#caccia al libro
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«Noi non cerchiamo mai le cose, ma la ricerca delle cose» dice Pascal
Cit. "Il lettore sul lettino. Tic, manie e stravaganze di chi ama i libri"
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susieporta · 2 months ago
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PAURA
(post da leggere con calma per digerirlo al meglio)
Quando parliamo di gestione emotiva, salta sempre fuori qualcuno che obietta: "eh ma la paura è importante, ci avverte del pericolo".
È importante sottolineare la differenza, in questo caso, tra paura istintiva e paura emotiva.
La paura istintiva è un'emozione legata al nostro istinto di sopravvivenza, e ci ha permesso di sopravvivere alle tigri dai denti a sciabola, alle tribù avversarie, al buio della notte quando andavamo a caccia nella foresta, alla fame e alla sete.
La paura emotiva è viceversa legata alle nostre fantasie catastrofiche circa un futuro che potrebbe non verificarsi mai, e che smuove i nostri fantasmi interni attraverso immagini e parole.
Domani potrei morire; domani mi lascerà, mi tradirà, mi abbandonerà per sempre; tra sei mesi non potrò laurearmi, avviare quel progetto, fare una famiglia, ecc.
Ora, il punto fondamentale che gioca a nostro sfavore - e qui vi prego di prestare la massima attenzione - è che le fantasie e le parole catastrofiche che si collegano alla paura emotiva, poggiano le loro basi sulle sensazioni primordiali della paura istintiva.
Quando mio padre o il mio capoufficio mi guardano storto, oppure quando la mia fidanzata o il mio fidanzato parlano in modo triste della nostra ultima uscita al ristorante; oppure quando semplicemente qualcuno mi ruba il parcheggio, io non faccio differenza tra questi eventi, e il pericolo di morte suscitato dalla sensazione di pericolo che avverto sulla mia schiena sudata, sulle mie gambe tremanti, o sui miei occhi spalancati.
Il sistema simpatico si è già attivato prima che sorga un pericolo reale, verificabile, e soprattutto anche se non è davvero un pericolo mortale.
Ondate di adrenalina e cortisolo hanno già invaso il sistema limbico e la neocorteccia, e la vista è completamente annebbiata dalla paura. Il mio cuore pompa sangue a mille battiti al minuto, e le mie gambe sono paralizzate.
Poggiando sul sistema della paura istintiva, la paura emotiva è più facilmente attivabile nelle sue fantasie di pericolo le quali rinforzano a loro volta le sensazioni ataviche della paura istintiva, in un circolo vizioso nel quale scambiamo continuamente un'occhiataccia del capoufficio con un assalto di una tigre dai denti a sciabola.
Ecco perché il lavoro da fare, nel caso in cui ci sono delle fragilità, dei blocchi emotivi ed energetici, è sempre prima di tutto un lavoro primitivo sui sistemi sottili di attivazione e disattivazione, sull'autoregolazione organismica, e sul sistema energetico di carica e scarica.
Possiamo credere alle nostre fantasie mentali solo perché generano e vengono sostenute da sensazioni corporee, alle quali per milioni di anni abbiamo affidato la nostra vita.
Nel mio nuovo libro, che uscirà cartaceo tra pochi giorni e che è già online formato Kindle, propongo numerose strategie e tecniche veloci per gestire gli stati autonomici.
©Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
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gregor-samsung · 1 year ago
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" Adoravo i film sugli aviatori, e fu proprio uno di quei film a procurarmi una delle emozioni più forti della mia infanzia. Una volta, era una sera di dicembre cosmicamente nera, accesi il televisore della zia e sullo schermo vidi un aeroplano che oscillava sulle sue ali. Aveva un asso di picche e una croce sulla fusoliera. Mi chinai, avvicinai la faccia allo schermo e immediatamente apparve in primo piano la cabina: un volto che non sembrava neanche umano, con occhialoni tipo quelli da sciatore e un casco con cuffie di ebanite lucida, sorrideva attraverso i vetri spessi. Il pilota sollevò una mano coperta da un lungo guanto nero e mi salutò. Poi sullo schermo apparve un altro aereo, inquadrato dall'interno: dietro due cicche identiche erano seduti due piloti con i giubbotti imbottiti che, attraverso la lastra di plexiglas incorniciata nell'acciaio, erano impegnati a seguire le evoluzioni del caccia nemico che volava vicinissimo a loro. «È un M-109» stava dicendo un pilota all'altro. «Vedrai che ci faranno rientrare.» L'altro, che aveva un bel volto emaciato, annuì. «Non ti porto rancore» disse, riprendendo evidentemente una conversazione interrotta. «Ma ricordati una cosa: fa' che questa storia fra te e Varja duri per tutta la vita… Fino alla tomba!»
A questo punto smisi di seguire l'azione sullo schermo: mi aveva folgorato un'idea. Anzi, non si trattava proprio di un'idea, ma della sua ombra debolmente impressa nella mia coscienza (era come se quel pensiero mi fosse scivolato accanto alla testa, sfiorandola appena). L'idea era questa: se solo un attimo prima, guardando lo schermo, era stato come vedere il mondo dalla cabina di due aviatori in giubbotto, allora niente mi impediva di ritrovarmi in quella o in qualsiasi altra cabina, senza bisogno di alcun televisore. In fondo il volo si riduce a un insieme di sensazioni che io già da un pezzo avevo imparato a simulare, seduto nella soffitta della mia alata baracchetta dalle stelle rosse, quando osservavo il muro dell'ufficio reclute trasformarsi in cielo e producevo deboli ronzii con la bocca. Questa confusa intuizione mi aveva talmente scombussolato che continuai a guardare il resto del film distrattamente e rientravo nella dimensione televisiva soltanto quando sullo schermo apparivano scie di fumo o una schiera di aeroplani nemici fermi al suolo sembrava venirmi incontro. "Questo significa" pensavo "che è possibile guardare da dentro se stessi come da dentro un aeroplano e che non è affatto importante da dove si guarda: è più importante ciò che si vede…" Da quel momento in poi, passeggiando d'inverno per le vie della città, immaginavo spesso di volare dentro un aereo sopra un campo innevato; quando svoltavo, piegavo la testa e il mondo si inclinava docilmente a destra o a sinistra. "
Viktor Pelevin, Omon Ra, traduzione dal russo di Katia Renna e Tatiana Olear, Mondadori (Collana Strade blu), 1999. [Libro elettronico]
[Edizione originale russa: Омон Ра, casa editrice Издательство Текст, Mosca, 1992]
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diceriadelluntore · 2 years ago
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Ruote
In un Paese come il nostro sempre a caccia di sensazionalismo, non poteva certo passare inosservata una vicenda che, e lo spiegherò tra breve, ha radici nel nostro Paese millenarie.
La notizia, riportata da tutti i siti e dalle testate giornalistiche, sostiene che il giorno di Pasqua una donna abbia abbandonato il proprio neonato, presumibilmente di una settimana, nella Culla per la vita della clinica Mangiagalli, a Milano. Il bimbo, Enea, stava bene e portava con sé una lettera firmata dalla madre.
La Culla per la vita è la modernissima versione delle Ruote degli esposti, un sistema che permetteva attraverso una porta girevole di consegnare i bambini ad un ente caritatevole, per la maggior parte dei casi conventi e monasteri.
La prima attestazione certa di una Ruota degli esposti è del 1180 in Francia; Papa Innocenzo III, secondo la leggenda dopo numerosi sogni in cui gli apparivano cadaveri di neonati ripescati nel Tevere, istituì una"ruota nel 1198 nell'ospedale di Santo Spirito in Sassia. ma qualcosa di simile rivolto ai neonati nati in difficoltà risale addirittura all'VIII secolo, tra l'altro proprio a Milano, dove l'Arciprete Dateo fondò uno Xenodochio, che era una sorta di luogo di accoglienza gratuita per i pellegrini (da xénos, ospite, e dochèion, ricettacolo), e una Chiesa, San Salvatore in Xenodochio, oggi non più presente perchè distrutta, in cui era sepolta la salma dello stesso Dateo, con questa iscrizione:
SANCTE MEMENTO DEUS QUIA CONDIDIT ISTE DATHEUS HANC AULAM MISERIS AUXILIO PUERIS
Dateo per i pueris fondò il primo brefotrofio. A differenza di un orfanotrofio, che accoglie i bimbi già abbandonati, un brefotrofio accoglie, alleva e assiste i neonati illegittimi, abbandonati o in pericolo di abbandono (brephotropheîon, comp. di bréphos ‘bambino’ e del tema di tréphō ‘nutro).
Invito chiunque abbia voglia, curiosità e tempo a visitare un monastero o un convento delle proprie zone, soprattutto di religiose: quasi sicuramente esisterà una ruota degli esposti, che era spesso il modo più sicuro, intimo e probabilmente redditizio di non far morire un figlio che non si poteva mantenere.
Ritorno per un momento alla vicenda Enea, perchè quasi da subito personaggi, anche televisivi, lanciano appelli alla madre del bambino per riprenderselo, offrendo aiuto per il mantenimento. Mi rincresce moltissimo che venga trattata così una persona, che, in modo legittimo e tra l'altro nella maniera più sicura per suo figlio, abbia fatto questa decisione. Infatti non possiamo di certo sostenere, nemmeno dalla lettera che ha lasciato vicino al piccolo che questa sia stata:
una decisione presa di impulso;
una decisione presa solo per motivi economici;
che non sia stata davvero una decisione tormentata, e che va comunque rispettata.
Per quelle casualità che mi piacciono tanto, poche settimane fa ho letto questo libro
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candidato allo Strega, dove l'autrice, meravigliosa poetessa, racconta con stile mozzafiato la storia da lei ricostruita, straziante e magnifica, dei suoi genitori, e di come abbandonarono una bimba di un mese, lei, davanti i giardini di Villa Borghese, a Roma, agli inizi degli anni '60. Leggendolo si può probabilmente in parte comprendere cosa ha provato la madre di Enea. A cui va tutto il mio rispetto.
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bibliotecasanvalentino · 9 months ago
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#bibliotecasanvalentino
Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: Milieu Edizioni
Buona lettura a tutti!
SUL FONDO DEL BLACK’S CREEK di Sam Millar
In una torrida e sonnolenta giornata d’estate sulle rive del Jackson’s Lake, il quattordicenne Tommy e i suoi amici Brent e Charlie, detto Ferro per la sua fortuna sfacciata, fanno il bagno nudi nel lago, bevono Coca ghiacciata, leggono fumetti della Marvel e, d’improvviso, assistono impotenti al suicidio di Joey Maxwell, un ragazzino di poco più giovane che sceglie di lasciarsi morire nel lago a poca distanza da loro.
La piccola cittadina di Black’s Creek, a nord dello stato di New York, dove i ragazzi vivono da sempre con le loro famiglie, viene scossa da questo tragico evento e in molti pensano di sapere cosa, o meglio chi, abbia spinto il piccolo Joey a togliersi la vita. In città, infatti, gira un losco figuro che lavora come custode part time al cinema Strand e si dice in giro che vada molestando i ragazzini. Jeremiah, il papà del giovane Maxwell con il quale è meglio non scherzare perché “Lui non perdona e non dimentica…”, chiede a gran voce che venga fatta giustizia. Lo sceriffo Henderson, padre di Tommy, si sente sotto pressione ma non ha abbastanza prove per procedere all'arresto del presunto colpevole. La situazione degenera quando a Black’s Creek vengono commessi due omicidi.
Sul fondo del Black’s Creek è un noir coinvolgente, dal ritmo tesissimo e dal linguaggio crudo, che cattura l’attenzione del lettore fin dalle prime pagine, ma è anche un racconto di formazione che descrive la perdita dell’innocenza di un ragazzino e dei suoi amici che si trovano ad affrontare un nemico feroce, malvagio e subdolo e che, pur di sconfiggerlo, sono pronti a commettere atti irreversibili.
COSA MI È PIACIUTO
All'interno del romanzo l’amicizia appare come un elemento fondamentale, ma anche estremamente fragile. Il primo amore è vissuto come un’esperienza memorabile, ma che genera confusione e dolore. Con grande intensità Sam Millar ci descrive il rapporto speciale che Tommy ha con suo padre, lo sceriffo Henderson, un uomo coraggioso, retto, sensibile, che ha una profonda fede nella giustizia: “…È per questo che abbiamo la legge, Tommy. Se consentissimo alle persone di farsi giustizia da sole, avremmo anarchia e linciaggi. Lo capisci questo, vero?”. In alcuni punti del libro l’autore stempera la tensione con situazioni e dialoghi ricchi di umorismo, ad esempio quando Tommy si caccia nei guai, oppure quando viene rimproverato ripetutamente da sua madre, una sorta di generale in gonnella, per le amicizie che frequenta, i continui ritardi e la sua disobbedienza. Del resto, la signora Henderson fa bene a stare in apprensione per quel suo figlio irrequieto. Black’s Creek è un paesino all’apparenza tranquillo, ma quando arriva il buio il pericolo è in agguato; dopotutto, come dice Ferro a Tommy “La notte e le tenebre appartengono ai mostri. Non ai supereroi”.
COSA NON MI È PIACIUTO
Come sempre quando un libro mi appassiona, mi trovo in difficoltà a evidenziarne gli aspetti negativi. Sinceramente, in questo caso, non ne ho trovato nessuno.
L’AUTORE
Sam Millar è uno scrittore e sceneggiatore nato a Belfast e, dopo la lunga militanza nell’IRA, è diventato uno degli scrittori di crime e thriller irlandesi più famosi. I suoi libri sono tradotti con successo in tutto il mondo. Per Milieu ha pubblicato il memoir “On the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese” e “I cani di Belfast”.
LA CASA EDITRICE
Milieu edizioni nasce a Milano come progetto di ricerca sulla storia criminale e sociale del Novecento e, in un secondo momento, si sviluppa come proposta editoriale a partire dal maggio 2012. Nel nome stesso della casa editrice sta il senso di questo percorso, nel fascino verso una mala a suo modo romantica e nella ricerca dei meccanismi “ambientali”, il milieu appunto, che influiscono sulle scelte dei singoli.
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messaggioinbottiglia · 2 years ago
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Proporrò la mia piccola opera, nata un po' per scherzo e un po' per necessità d'espressione emotiva, al salone del libro di Torino. Questa cosa mi sembra francamente pazzesca e irripetibile. Non riesco ancora bene a rendermene conto, ma sono comunque colmo di gratitudine.
Mi troverete a presentare "Quella notte d'inverno. Andammo a caccia di Yokai" sabato 20 maggio alle ore 10:30, presso gli stand U137/139 della regione Umbria, padiglione Oval.
Chiunque sia interessato: ci vediamo là!
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katnisshawkeye · 1 year ago
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The Hunt I
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Scheda informativa
Titolo completo: The Hunt I - Che la caccia abbia inizio Autore: Charlie Moon Editore: Sonzogno Prima edizione: giugno 2023 Pagine: 234 Prezzo: € 18,90
Trama
Builth Wells, Galles. A prima vista, sembrerebbe un ordinario ballo d’inverno: adolescenti in abiti eleganti, musica di dubbio gusto e l’atteso lento da condividere con la crush di turno. Charlie vorrebbe evitare tutto ciò, non sapendo come confessare a Tom che non potrà mai innamorarsi di lui, né recuperare il rapporto con Lance e Jake, un tempo suoi migliori amici, ora quasi estranei. Ma quando, al ballo, Charlie incontra per caso Hailee, tutti i ricordi riaffiorano e il suo cuore torna a battere per lei. E proprio quando le incomprensioni e le tensioni irrisolte sono sul punto di esplodere, succede il peggio: tre misteriosi sconosciuti tentano di rapire Jasmine, la sorella di Jake. Nell’impeto della lotta per cercare di salvarla, uno dei ragazzi scopre di potersi trasformare in un animale totem, acquisendo straordinarie capacità sensoriali. Ma da dove derivano questi poteri? Per risalire all’unicità, Charlie e i suoi amici dovranno scavare nel loro passato per imparare a conoscersi e ad accettarsi, preparandosi così ad affrontare una battaglia che affonda le radici nella notte dei tempi e li riguarda molto da vicino.
Recensione
È il secondo libro uscito, e che leggo, della content creator Charlie Moon, che “nata” nel mondo YouTube gaming ha sempre dimostrato una grande passione per il raccontare storie: chi era lì allora, a guardare i suoi video di Minecraft, può ben ricordare che il suo giocare sul gioco a cubetti della Mojang andava oltre il semplice “giocare”. Charlie Moon costruiva mondi, e ne viveva avventure al loro interno.
Ed è quello che ha fatto anche con il primo volume di questa trilogia fresca di scrittura, che racconta di un periodo invernale facendo il possibile per rinfrescare il lettore nella calda estate della sua uscita. È un libro che va oltre la sua trama, narrando temi attuali e di dibattito pubblico, dalla lotta per il riconoscimento dei diritti della comunità LGBTQIAPK+ — su cui il primo libro di Charlie Moon, Dicono di noi, è incentrato — ai temi di rispetto e sostenibilità ambientale.
Così come la natura ci ha creato, allo stesso modo ci distruggerà.
La natura è al centro della narrazione di The Hunt I fin dalle prime pagine del libro, dove i sei protagonisti — Charlie, Jasmine, Jake, Tom, Lance e Hailee — si ritrovano a giocare insieme durante l’estate, in quella che è un’infanzia fatta di fantasia e magia come tutti i bambini dovrebbero avere.
[...] Sorrido di rimando, pensando che non ha idea di cosa mi stia passando per la testa in questo momento. Mentre lo guardo uscire dalla biblioteca, penso che nemmeno io so cosa gli stia passando per la testa. [...] O forse vuole semplicemente smetterla di cercare di essere la persona che gli altri si aspettano che sia. [...] Chissà se agli altri capita mai di sentirsi come la neve a settembre. [...] Noi esseri umani viviamo nella convinzione che esista solo ciò che vediamo. Ci è stato insegnato che è la luce che dà forma al mondo. Nonostante tutto, ci interroghiamo spesso su cosa si nasconda nel buio. [...]
È una storia in cui emerge l’interrogazione dell’essere umano rispetto a quello che fa e a quello che pensa, aprendo il libro dei perché senza però trovare le risposte alle numerose domande che, prima o poi, tutti si fanno. È, però, anche l’introduzione a tutte le risposte che, molto probabilmente, seguiranno nei prossimi due libri della trilogia, che daranno un’interpretazione, un punto di vista, una visione del mondo per rispondere alle tante domande che l’essere umano si pone. Perché esistiamo? Perché siamo al mondo? Qual è il nostro scopo? 
The Hunt I è anche un libro di crescita personale. La protagonista, un’adolescente, è alla ricerca della sua strada. Nel libro la crescita personale è posta sotto una chiave magica, con una trasformazione alla lettera: ma chi può negare che, nella vita, le persone si trasformano per davvero? Charlie, in questo primo capitolo della sua avventura, se ne rende conto: passando per le difficoltà, e per il timore di non essere utile, si interroga sul modo giusto di reagire quando la vita prende una piega che va oltre tutto quello che è stato sempre insegnato. E non è forse il capire che, crescere, è una cosa bella? Che non riguarda solo l’avere sempre più responsabilità?
Ed è anche una storia di amicizia. Di come le amicizie, a volte, possono disfarsi con il tempo, ma anche di come le stesse amicizie possono sopravvivere a lungo, anche se ci si perde di vista per lungo tempo.
Dal punto di vista della scrittura, c’è da considerare che scrivere un buon fantasy è difficile, in quanto è complessa la creazione di un mondo che riesce a stare in piedi. Il fatto che si tratti anche di un urban ha facilitato l’autorə nel non creare un mondo da zero, posizionandosi in una località gallese, ricca di leggende druidiche, che ben si adatta alla realtà del suo libro. Ottima è la ricerca sulle capacità degli animali, e come queste sono diventate i superpoteri dei sei protagonisti. Ben fatto, anche se abbastanza superficiale, probabilmente dovuto a una visione “da esternə”, è l’inserimento di elementi che richiamano la popolazione studentesca e la cultura nerd della reale Builth Wells. Seppure parla a ragazzə giovanə nel loro stesso linguaggio, non è invece ottimale l’utilizzo dei numerosi intercalari volgari usati dai personaggi come espressioni di rabbia o stupore, dimostrando una poca ricercatezza nel lessico utilizzato.
Questo non significa che l’ignoranza sia da condannare.
La trama si svolge abbastanza linearmente, anche se è possibile intuire prima della conclusione chi è l’eroe, chi è la principessa da salvare e chi è il cattivo. È ottima, inoltre, la cura dei dettagli nelle scene di combattimento. In alcuni punti, invece, non ci si trova del tutto coerenti con il tempo cronologico degli avvenimenti, un errore comunque comune tra gli autori di fantasy, e che un autorə urban fantasy alle prime armi può solo migliorare con l’esperienza.
Perché finché ci sarà una luna a cui ululare, nessuno scriverà la parola fine.
Questo primo volume della trilogia The Hunt, dunque, si conclude mettendo le basi per lo svolgimento dell’avventura sovrannaturale dei sei protagonisti, lasciando nella mente del lettore una sola domanda: e ora?
La parola scoiattolo è contenuta 12 volte all’interno del primo volume. Seguite lo scoiattolo!
Valutazione
★★★☆☆ 3/5
Dellə stessə autricə
Dicono di noi, Sonzogno, 2019
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curiositasmundi · 1 year ago
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[...]
Strisce, macchie, simmetrie (im)perfette, spirali e ramificazioni del mondo naturale, nella maggior parte dei casi, non sono visibili a occhio nudo: spessosono nascoste, "si trovano sottoterra – le radici delle piante, il micelio dei funghi – oppure in mare, per esempio nel plancton". Per esempio, fu solo grazie al microscopio che, “nel 1862, il biologo marino Ernst Haeckel riuscì a osservare e disegnare i minuscoli scheletri ramificati e reticolati dei radiolari, che formano immensi depositi sul fondale degli oceani".
I pattern di ramificazione delle piante consentono loro di crescere e "godere di luce, ombra e umidità": accade per radici, infiorescenze, tronchi e rami "di alberi e arbusti che, a seconda delle specie, si biforcano o producono rametti laterali che si allargano – in orizzontale, in su o in giù – rendendo ogni pianta riconoscibile". Anche squame, placche, scaglie, scuti e penne si rivelano utili perché "proteggono dal caldo, dal freddo, dall’umidità, dai parassiti, dai morsi dei predatori o dagli urti e aiutano a volare o a nuotare". Nuotare, appunto: in acqua cosa accade? Possiamo parlare di pattern quando le forme non sono fisse? Le onde, l’arcobaleno, le nuvole, le gocce di pioggia sono pattern dinamici. Anche gli animali, riuniti in gruppi, possono creare pattern dinamici: pensiamo ai cerchi creati dai pesci nel mare o ai disegni degli storni nel cielo. Talvolta i pattern sono tracce di passaggi: non parliamo solo delle orme di animali, che ci fanno immaginare quattro zampe in movimento, ma anche delle stratificazioni sulle rocce, “testimonianze di [...] trasformazioni geologiche”, e ancora, "le strane serpentine sulle foglie annunciano la presenza degli insetti minatori".
L'uomo ha sempre mostrato interesse per i pattern naturali, così dunque la scienza con la sua continua ricerca di verità e stupore. Buglioni ci ricorda che, ne Il Saggiatore, Galileo Galilei rifletteva sulla relazione tra forme naturali e scienza, descrivendo l'universo come un grande libro "scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto".
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Primo, il cacciatore di libri deve cacciare da solo e non per procura, deve cioè sottoporsi all’ansia, alla fatica e non ultimo ai rischi economici della sua impresa.
Secondo, deve amare la preda «come il cacciatore di volpi dichiara di amare la volpe, ma senza il desiderio di distruggerla».
Terzo, deve conservare i suoi libri per studi utili, letture di piacere, o per la compagnia della loro presenza.
Quarto, deve andare a caccia dei libri che piacciono a lui e non di quelli approvati dalla moda o dal costume. Solo cosí avrà accesso alla felicità aristocratica della caccia al libro
[...]
L’epoca eroica della caccia al libro è ormai al tramonto, soppiantata da infallibili ma piú tristi algoritmi. Chi cerca un libro, oggi, lo trova solitamente in pochi minuti. Ma trova per lo piú ciò che cercava, e raramente fa l’incontro fatale con un libro che non conosceva e che non immaginava di desiderare.
[...] ottieni ciò che già sapevi di volere, ma questo non basta: «Le cose migliori sono quelle di cui non conoscevi l’esistenza fino al momento in cui non le hai avute».
Cit. "Il lettore sul lettino. Tic, manie e stravaganze di chi ama i libri"
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valentina-lauricella · 2 years ago
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Appunti dalla lettura di "Sette anni di sodalizio"
Molto commovente l'attenzione del Ranieri alla comodità fisica del suo amico nei tragitti in carrozza da Firenze a Roma e viceversa, il suo tenerlo al seno come un figlio e non come un compagno.
Interessante il freddo incontro con il conte Monaldo, vestito come un uomo del secolo passato e con un grosso libro di preghiere sottobraccio, frettoloso di recarsi in una chiesetta vicino casa per le lodi mattutine e contrariato dalla grande stima del Ranieri nei confronti del figlio.
Determinante l'altissima sensibilità umana, sostenuta da un illuminato misticismo, della sorella di Ranieri, Paolina, nella fondazione di quel sodalizio a tre ch'ebbe luogo nella città di Napoli e a Villa Ferrigni alle falde del Vesuvio. Compiaciutissima che Paolina sapesse a memoria tutti i Canti di Leopardi e che quindi in qualche modo lo amasse. Colpitissima dalla figura di Paolina che, pur essendo una donna colta (suo fratello la definisce compagna di studi), sostiene che l'ago, la calza, la scopa, sono la missione della donna, e non le lettere. Ella si dice immediatamente entusiasta di poter assistere Leopardi, sia per amore del fratello, sia in virtù di come lei intenda la vita, ovvero come sacrificio e servizio.
Non penso affatto che una simile donna sia stata immeritevole di sposare Leopardi, essendo una specie di Santa, come Santo era lui! Ecco, se questo libro costituisce l'altare di qualcuno, lo è della sorella di Ranieri, Paolina. Nel cantare le sue lodi, il fratello non ha il minimo freno; la dipinge con un affetto e una venerazione tali che si penserebbe egli non avesse neppure per Leopardi.
Sono giunta al punto del resoconto in cui la padrona del primo degli appartamenti napoletani occupati da Ranieri e Leopardi, insospettita dall'inusuale legame tra i due, praticamente li caccia di casa. In una delle notti trascorse in questo appartamento, Leopardi vede la padrona di casa introdursi nella sua stanza e armeggiare attorno alla cassettina dove lui conserva pettine, spazzola e forbici. Qui il Ranieri precisa che il suo amico non aveva mai posseduto un rasoio, data la sua totale mancanza di barba.
C'è il grazioso quadretto del Leopardi che va a teatro e si fa schermo con una mano agli occhi feriti dalle luci.
Leopardi che sembra rasserenato dalle cure della sua infermiera e dall'ordine in cui tiene la casa.
Poi, una descrizione disgustosa e degradante delle sue funzioni corporali e dei capricci cui sottoponeva, apparentemente con cieco egocentrismo, il suo ospite e la sua infermiera. Seguito a leggere per puro piacere masochistico e curiosità malsana, e comunque nella speranza di trovare ancora un quadro grazioso, una descrizione da cui traspaia benevolenza nei suoi confronti.
C'è la caduta di Leopardi in pensieri tetri, da cui i suoi amici cercano di risollevarlo. Il sospetto che il suo pessimismo sia frutto di una patologia psichica (la depressione, di cui nell'Ottocento non si conosceva il nome) non ha attraversato solo la nostra mente, ma anche quella dei suoi più intimi amici e conviventi.
C'è la sua persecuzione per motivi religiosi: editori che non vogliono stampare i suoi canti, censori che vorrebbero modificarne parti di stesura, la difficoltà di diffusione delle poche copie stampate da privati, a causa dell'ostracismo degli ambienti cattolici. Persino il padre di Ranieri ha da ridire sul fatto che la figlia eserciti la propria carità nei confronti di un uomo dalle idee antireligiose.
Una curiosità che mi delizia: Leopardi disse che si trovava più a suo agio con il greco antico che con l'Italiano, che le prime parole che gli venivano alla lingua e alla penna erano in greco antico e poi doveva come tradurle simultaneamente in Italiano. La facilità con cui apprese il greco da piccolo, la familiarità che ebbe quasi da subito con esso come se fosse una lingua ritrovata e ricordata, mi suggeriscono una forma di conoscenza pregressa alla sua ultima incarnazione. Ovviamente questa sua disposizione può avere altre motivazioni: il prestigio indiscusso di cui godevano gli Autori greci nella cultura occidentale, la facilità nell'imparare le lingue tipica degli Asperger. Ma una motivazione non esclude l'altra, anzi potrebbero essersi combinate insieme.
Ranieri si premura di mettere in risalto quanti sacrifici fecero lui e la sorella per quell'adorato malato, e come le loro preghiere si scontrassero con la sua testardaggine. Leopardi non aveva molta fiducia nei medici, pretendeva di curarsi da solo, e quando invece si decideva a seguire le loro prescrizioni, lo faceva con eccesso, senza buon senso. Perché se pure nelle poesie egli invocasse la morte, nella vita quotidiana era assai apprensivo per la propria salute. Ma le sue preoccupazioni cessavano quando si trattava di dolci e gelati, che i medici gli avevano vietato. Ne era furiosamente ghiotto, inutili erano i tentativi di Paolina di non farlo uscire per andare al bar e ingozzarsi di gelati. Più volte ne abuso` tanto da star male al bar, dove il Ranieri lo andava a riprendere, trovandolo affiancato da persone che lo deridevano, e con le quali il Ranieri fu una volta tentato di venire alle mani.
Leopardi era molto sensibile sia alle lodi, che voleva sincere e calorose, che alle critiche. Chi conosceva questa sua debolezza, talvolta si prendeva gioco di lui. Il Ranieri doveva provocare, nelle conversazioni, lodi per il suo amico, per evitare che lui cadesse nel mutismo con quella persona che gliele negasse.
Una persona totalmente invisa a Leopardi era Niccolò Tommaseo, per aspre critiche alla sua opera combinate a dileggiamenti del suo aspetto fisico (ma Ranieri non fa cenno di tali pesanti provocazioni, facendo apparire Leopardi come preda di uno dei suoi capricci). Poiché Leopardi non vedeva quasi più, era costretto a dettare i suoi scritti. Una volta ne detto` uno, particolarmente pungente, indirizzato al Tommaseo. Quando Ranieri giunse alla trascrizione di quel cognome usato in un significato triviale, pregò il Leopardi di non continuare e gli chiese il permesso di stracciare, per amore della sua gloria, quanto già scritto. Questo episodio mi sembra umiliante della figura di Leopardi e credo che la sua narrazione avrebbe potuto esserci risparmiata. È vero che testimonia dell'amore del Ranieri per il suo amico, ma se mettiamo sul piatto della bilancia l'amore dimostrato e l'umiliazione a cui lo ha sottoposto narrando l'episodio, credo che l'umiliazione pesi di più.
Ranieri sottolinea il merito proprio e della sorella di avere mantenuto in vita e curato il malato fino a permettergli di scrivere quei tredici Canti che lui definisce i più belli, oltre ad un poemetto e ai Pensieri.
Sfuggendo all'amorevole protezione di Ranieri, volendo fare di testa sua, egli si fido` di un gruppo di pseudoletterati che gli avevano promesso la pubblicazione delle Operette Morali e dei Canti aggirando la censura. In realtà queste persone non avevano la minima intenzione di favorirlo. Resosi conto di ciò, Leopardi, un pomeriggio, prese un piccolo bastone e disse, a Ranieri e Paolina, che sarebbe uscito per bastonare qualcuno. I due fratelli lo guardarono con compatimento, si scambiarono un'occhiata, Ranieri prese sottobraccio Leopardi e, per distrarlo dal suo proposito, lo portò a spasso, finché del bastone non parlò più.
Non ci è risparmiata un'accurata descrizione della grave infestazione da pidocchi che occorse al malato, e dei sacrifici, sempre osteggiati dal capriccioso malato, sostenuti dai due fratelli per porvi rimedio.
Dopo un simile abisso di degradazione, ecco un quadretto da ricordare: Leopardi che ama passeggiare per i sentieri sulle falde del Vesuvio, e che prende l'abitudine di fermarsi ad ascoltare il canto di una ragazza di nome Silvia, che lavora al telaio, e ch'è fidanzata con il figlio di un fattore. Una deliziosa serie di coincidenze che pare quasi fabbricata ad arte.
Aveva paura di morire, e quindi della sopravvenuta epidemia di colera, perciò non volle tornare a Napoli finché non si fu almeno momentaneamente placata. Più egli si aggravava, con segni manifesti, più negava di essere davvero malato: diceva, addirittura, che quel che lo affliggeva fin dalla prima giovinezza era un malanno di nervi, e che sarebbe vissuto altri quarant'anni.
Qui Ranieri ci ragguaglia sulle preferenze gastronomiche del morituro, tra cui pani e biscotti speciali fatti arrivare da Napoli.
Tornato a Napoli e infastidito dai medici, se ne prende gioco dicendo che soffre soltanto di un'asma nervosa. Un giorno uno di questi medici gli fa una bella strigliata, come si farebbe ad un bambino, e lui sembra rabbonirsi ed accettare momentaneamente il consiglio di tornare alla villa sul Vesuvio.
Ma rimanda di giorno in giorno la partenza: sa che lì non potrà avere tutte le ghiottonerie di Napoli e, incredibile a dirsi, detesta la campagna, a favore della grande città.
Il 13 giugno Paolina va a far visita al padre, che le regala due cartocci di confetti. Ella li porta al malato, che li divora in poche ore (nonostante il divieto dei medici di mangiare dolci).
Seguono poi le tristissime vicende della morte e della sepoltura. E chi dice che Leopardi sia morto di colera, d'indigestione, che avrebbe potuto superare le proprie malattie e cantare l'inno alla gioia, o fare di meglio di ciò che ha fatto nella propria vita, è sicuramente mosso da volontaria ignoranza o malafede. Ricordo qui Savinio, che inventò fosse morto per indigestione di gelati e conseguente mal di pancia, per andare contro l'ampollosita` delle celebrazioni fasciste, ma di fatto ridicolizzando la figura di Leopardi (non me ne vogliano gli antifascisti, anch'io lo sono); il cattolicissimo Papini che indirettamente gli diede del piagnone, paragonando lo straordinario e complesso sistema di malattie del Leopardi agli avversi casi di Dante il quale, al di là di questi, riuscì a vedere Dio.
Chiunque non conosca la scoliosi, e come faccia sentire soffocati da sé stessi, non può esprimere alcun giudizio. Questo fu la morte di Leopardi: schiacciamento degli organi interni (polmoni, cuore) dovuta all'aggravamento della scoliosi per la probabile combinazione di due malattie, l'una che disfaceva e l'altra che piegava le vertebre. Se qualcuno vuole ancora riderne, faccia pure.
(Dopo aver letto "La ginestra")
Gli occhi di Leopardi non erano ciechi, ma stanchi. Scriveva tre, quattro, massimo sei righi al giorno, e non tutti i giorni. Credo fosse stanco di vedere questo mondo così piccolo, e la piccolezza degli uomini che si ergevano a grandi. Era ferito dalla luce falsa e abbagliante dello spiritualismo e dell'ottimismo, dall'aggressività con cui si usava, quasi come un'arma, il concetto di Dio. Stanco di credenze fantasiose alle quali si dava fiato con furbizia o con follia, e che la mente di un uomo ideologicamente onesto e lucido, non poteva piegarsi a contemplare. Nel riposo dalla luce falsa e feroce dei suoi contemporanei e del giorno, nella quiete, piena di sussurri e di movimenti appena percettibili, della notte, i suoi occhi vedevano lontano, fino a "nodi di stelle che a noi paiono nebbia", ovvero le galassie. Vedevano ogni fiammella del cielo, ogni stella, a confronto della quale tutto il mare e l'intera terra non sono che un punto.
Eppure, dell'ottimismo spiritualista che Leopardi considerava il male morale assoluto, è permeato il libretto del suo amico Ranieri. Egli dice, a un certo punto, che la dedizione sua e della sorella all'adorato malato, la poesia che furono quegli anni di cura del suo corpo asfittico e macchiato, sono la risposta alla concezione di dolore universale elaborata da Byron, Schopenhauer e Leopardi stesso. Ciò mi ha colpito perché non è del tutto sbagliato. È forse sbagliata la presunzione di volersi contrapporre, con il proprio umile, ma considerato grandioso, operato, come risposta, ovvero come smentita, al pensiero di altri. Ma non è sbagliato considerare l'amore come risposta unificatrice delle diversità, in quanto esigenza e tensione di base di tutti i gruppi e gli individui oltre le differenze ideologiche e di sensibilità individuale e culturale. E una cosa è certa, perché sperimentabile da tutti: l'amore lenisce e rende più tollerabile il dolore, sebbene non possa annullarlo.
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pensaatestesso · 2 years ago
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Io sono nato vecchio e lo sono diventato sempre più fino ai miei trent'anni. Quando ero piccolo ero pesante. Il mondo intero mi sembrava così inutile, la gente così spiacevole: non vedevo il senso di andare avanti.
Ero sempre malato, sempre solo, troppo impegnato a leggere autori che andrebbero letti solo dopo una certa età, che non facevano che instaurare in me la voglia di non vivere.
Quando i miei amici giocavano al pallone, io li guardavo con la fronte appoggiata alla rete metallica del campetto e mi interrogavo su cosa ci trovassero nel correre dietro a quella palla. Invidiavo che sapessero ballare una musica che io non riuscivo nemmeno a sentire.
In adolescenza, i loro progetti erano il mare e la discoteca, io progettavo di leggere Proust in una estate e scrivere un libro. E non me ne vanto. Con la morte di papà non ne parliamo, il mio mondo era finito. Ma poi poco alla volta una fragile musa mi ha dato la voglia di vivere.
Ho scoperto la natura, i pic-nic, le cose di tutti i giorni, la gioia di accendere il fuoco nel camino, di cucinare qualcosa di buono. Adesso ogni giorno che passa divento più giovane. Ormai posso mettermi a saltellare intorno a un animaletto perché lo trovo buffo e mi diverte.
Adesso ballo una musica che i miei coetanei – ormai cresciuti – non possono più sentire, mi tuffo nei laghi, parlo coi vagabondi, il più delle volte non uso denaro. Se per strada vedo uno che scarica dei pacchi da un furgone corro lì ad aiutarlo e mi diverto. La settimana scorsa due persone mi hanno chiesto: «Ma perché lo fai?», stupite del mio aiuto gratuito. E che ne so! Sono un animaletto, un animaletto che ha letto duemila libri, non mi interrogo più su questo o su quello.
So che non sono ancora abbastanza giovane, ma sento che ho preso la strada giusta, di non vedere solo buio e problemi, come quando avevo 4-5 anni. Adesso voglio vedere la vita.
Per errore ho lavorato troppo fino ai miei 38. Me ne è venuto un po' di benessere. Adesso non andrò a caccia di altri soldi, adesso voglio sorridere, accendere un fuocherello nella neve, scaldarci una cioccolata calda, tuffarmi nel mare da uno scoglio e arrivare a nuoto fin dove non mi si vede più. NICOLA PESCE #nicolapesce
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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"La furia" di Sorj ChalandonUn racconto di rabbia e redenzione nella Bretagna del 1934. Recensione di Alessandria today
"La furia", pubblicato il 3 settembre 2024, è l'ultimo e potente romanzo di Sorj Chalandon. Il libro prende spunto da un evento storico realmente accaduto: l'evasione di cinquantasei ragazzini dalla Colonia penale per minori di Belle-Île-en-Mer nel 1934,
“La furia“, pubblicato il 3 settembre 2024, è l’ultimo e potente romanzo di Sorj Chalandon. Il libro prende spunto da un evento storico realmente accaduto: l’evasione di cinquantasei ragazzini dalla Colonia penale per minori di Belle-Île-en-Mer nel 1934, un’isola al largo della Bretagna. La fuga scatena una caccia all’uomo che coinvolge gendarmi, guardie e perfino la popolazione locale e i…
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diceriadelluntore · 2 years ago
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Storie di Orse
Callisto era una bellissima ninfa. Che fosse bella, lo dice il suo stesso nome: Καλλιστώ, la più bella. Era una ninfa di Artemide, abilissima cacciatrice. Il suo mito è raccontato sia da Eschilo (opera persa, ma Eratostene di Cirene riporta la versione di Esiodo nei suoi Catasterismi), sia da Anfide, commediografo ateniese contemporaneo di Platone, nella sua Kallisto (perduta anch'essa, ma riassunta in un'altra opera, De Astronomia).
Il mito è questo: essendo al corteggio di Artemide, era a lei legata e, come la Dea, vergine. Un giorno, dopo una caccia stancante, era stesa senza faretra su un prato di un boschetto, quando capitò lì Zeus. Il Re degli Dei, con la consueta furbizia e cupidigia, prese le forme della dea, e la ninfa "ne accettò l'amore" (ovviamente la situazione è più violenta, ma tant'è atteniamoci alla favola). Questo punto è importante perchè è forse l'unico esempio di seduzione omosessuale femminile, e secondo alcuni studiosi era simbolico di riti iniziatici femminili scomparsi verso il I° millennio a.C. (tesi suggestiva si, ma piuttosto eterea). La ninfa rimase comunque incinta. Ma non lo disse ad Artemide, fino a quando, mesi dopo durante un'altra battuta di caccia, la Dea chiese alle ninfe di fare un bagno rigenerante: fu allora che scoprì la gravidanza della ninfa (un meraviglioso quadro di Tiziano ferma questo momento, del 1556-1559, conservato presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna)
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Scoperto il fatto, Artemide la scaccia: offesa e adirata, la trasforma in orsa.
Ovidio nelle Metamorfosi (che è un libro da tenere e leggere ogni tanto) narra che Callisto fu inizialmente avvicinata da Giove (Zeus per i greci) sotto le sembianze di Diana (Artemide greca), ma che, una volta accortasi della passione di questo, tentò di fuggire, costringendo il dio a riassumere il suo vero aspetto per prenderla con la forza. Uscita dal boschetto dove si trovava, Callisto notò Diana che la chiamava ma, per paura che potesse trattarsi di un nuovo travestimento di Giove, si rifiutò di avvicinarsi finché non vide il resto del corteo avvicinarsi, al che, convinta dell'identità della dea, si riunì al gruppo. Dopo tempo e in una nuova battuta di caccia, Diana propose di fare il bagno presso una fonte. Callisto tentò di nascondersi dietro alle altre ancelle per occultare il fatto di essere incinta, ma venne infine scoperta e Diana, adirata, la scacciò. Callisto diede quindi alla luce il figlio di Giove, Arcade, e solo allora Giunone (Era per i greci), infuriata per la messa al mondo di un figlio illegittimo del marito, la trasformò in un'orsa. Il figlio fu trovato da dei cacciatori e portato al re Licaone. Callisto vagò nei campi e nei pressi degli uomini ma avendo le sembianze di un orso fu temuta e scacciata sia dagli uomini che dai cani (in questo caso, il mito segue evemeristicamente il naturale comportamento dell'animale con l'uomo e gli animali addomesticati). Similmente, nella natura, era lei stessa a fuggire dalle altre bestie selvagge, compresi i lupi, "nonostante suo padre fosse un lupo", poichè secondo Ovidio era figlia di Licaone, Re della Pelasgia. Quindici anni dopo riconobbe il figlio Arcade che si era addentrato nella foresta per cacciare, ma quando cercò di avvicinarsi questo spaventato tentò di colpirla con una lancia nel petto. Giove, tuttavia, non permise il crimine di un figlio che uccide la propria madre, e mandò un vento che li sollevò entrambi da terra e lì collocò come costellazioni in cielo. Callisto diventò l'Orsa Maggiore, Arcade l'Orsa Minore. Giunone, infuriata nel vedere i due venire onorati con questa condizione, si recò da Teti e Oceano per chiedere che impedissero a madre e figlio di riposarsi nelle loro acque tramontando: si dice infatti che le due costellazioni "non si lavano nelle onde" poichè non scendeno mai sotto l’orizzonte, dove si riteneva vi fosse l’oceano. L’Orsa Maggiore è infatti alle latitudini mediterranee una costellazione circumpolare, di quelle cioè che non tramontano mai, non si inabissano sotto la linea dell’orizzonte.
Non tutti i favolisti seguono questo finale, poichè Arcade è riconosciuto un eroe greco importantissimo: infatti successe a Nittimo (figlio di Licaone, che per i favolisti greci era padre di sua madre Callisto, quindi suo nipote), e come nuovo re introdusse la coltivazione dei campi (che aveva imparato da Trittolemo, re degli Eleusi, e conoscitore dei famosi Misteri Eleusini), insegnando ai sudditi a fare il pane, a filare e a cucire i vestiti. Dopo di lui, la terra precedentemente chiamata Pelasgia fu chiamata Arcadia, e il suo popolo gli Arcadi. L'Arcadia divenne sinonimo di bellezza, della forza bucolica e dove uomini e natura vivono in perfetta armonia. Solo in seguito alla sua morte fu portato vicino la madre come stella, la più brillante, nella costellazione dell'Orsa Maggiore che i Greci chiamavano Arctophylax, Sorvegliante dell'Orsa, custode dell'amore che legava indirettamente madre e figlio.
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pollicinor · 2 months ago
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L'articolo accenna anche a un'altra caccia al tesoro che va avanti dal 1982
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bibliotecasanvalentino · 2 months ago
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storieditramonti · 3 months ago
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Naturalmente sono in ritardo, giusto di un paio di mesi... Ok, let'see if I remember... Letti fra Giugno e Agosto, l'ordine non è esatto.
"Nella stanza dell'imperatore", di Sonia Aggio: ambientazione storica, fra Costantinopoli e l'Anatolia... bel libro, in cui l'aspetto storico non prende il sopravvento su quello romanzesco e fantastico ma è di grande supporto.
Sempre storico è anche il secondo, e sempre ambientato a Istanbul... "Parle-leur de batailles, de rois et d'éléphants", di Mathias Enard , in cui lo scrittore fantastica su una possibile commessa a Michelangelo Buonarroti proveniente dalla Sublime Porta. Letto in francese. Carino.
"Il canto del Profeta" di Michael Lynch , ambientato in un futuro distopico in cui un governo dittatoriale si afferma e comincia a dare la caccia a chiunque si opponga, provocando l'inizio di forme di resistenza... Bel romanzo: cupo, con sviluppi tristi, tiene agganciati dalla prima pagina all'ultima.
"Lucy davanti al mare", di Elisabeth Strout: non mi piace il tipo di scrittura, molto colloquiale, lineare, che la scrittrice, o la traduttrice, ha deciso di abbracciare. La storia "non storia", legata al venir fuori della minaccia Covid a metà del 2020 negli USA, è soprattutto una storia legata all'affrontare la terza età con tutte le sue implicazioni di salute traballante, figli che si allontanano, precedenti partners che come fantasmi emergono saltuariamente dal passato, sfera sentimentale e sessuale da adattare a una realtà diversa... Il romanzo scava nell'intimo della protagonista, nelle sue riflessioni e nei tentativi di destreggiarsi nella bolla creata a causa del Covid. Non male, ma in genere preferisco altro.
"Il canto dei cuori ribelli", di Thirty Umrigar, un bel romanzo ambientato in un'India rurale ancora profondamente spaccata dalla contrapposizione fra hindu e mussulmani. Storia d'amore inter-religioso che finisce male.
"Fuoco", di Shida Bazyar. Il caso ha voluto che lo leggessi prima e mentre ero in viaggio in Germania, e in un certo senso mi ha aperto gli occhi e la mente su un sistema sociale che all'apparenza sembra perfettamente funzionante. Non è sempre così facile, e il razzismo strisciante è una piaga che può roderti l'anima. Difficile scrivere della trama, perché tutto resta in bilico fra una possibile realtà e il desiderio della voce narrante di trovare una via d'uscita.
"La ricreazione è finita", di Dario Ferrari. A me è piaciuto un sacco, l'ho passato, credo lo regalerò in versione cartacea perché merita. Il libro passa da un registro buffo, umoristico, a uno più serio nella seconda parte, con scioltezza, senza risultare forzata, anzi dando concretezza al testo, con una credibile ricostruzione degli anni di piombo come potevano essere vissuti all'interno di una cittadina toscana. Mi ha fatto pensare a mio fratello in quel di Arezzo in quegli anni, e alle perquisizioni in casa: ecco, queste storie hanno quel genere di credibilità. Bello, bravo Ferrari, e mi stupisco che nel 2023 non sia rientrato nella sfera magica dello Strega.
"Il filo della tua storia", di Nikki Erlich. Ah beh, a parte la contrapposizione fra "filicorti" e "fililunghi", dimenticando che esistono un mare di lunghezze medie in mezzo a quelle estreme, e a parte che la cosa più semplice, se davvero capitasse di trovarsi davanti a una realtà fantastica come quella narrata, sarebbe di fottersene e non aprire la scatola, tanto quello che deve accadere accade lo stesso, il romanzo è sicuramente godibile e induce alla riflessione.
"Il silenzio", di Don De Lillo, un racconto praticamente, è brevissimo. Del tipo, "che succede se tutta questa tecnologia su cui ormai facciamo affidamento all'improvviso smettesse di funzionare?" Bella domanda, a cui De Lillo risponde con i vaneggiamenti di una serie di personaggi a cui è difficile dare molto credito. Non indimenticabile, di De Lillo ho letto sicuramente di meglio.
Finiamo con "The Midnight Library", di Matt Haigh, letto in inglese. Una trentacinquenne sfigata tenta il suicidio, ma si ritrova davanti alla possibilità di scoprire che tutte le svolte immaginate e lasciate fuggire nel corso della sua vita non avrebbero portato a nulla di buono, e che comunque ogni scelta, anche la più piccola, può avere un significato che va oltre a quanto è possibile immaginare. Molto bello, o almeno, a me è piaciuto tanto.
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