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Il Premio Roberto Riccoboni Solidal 2024: ricerca e innovazione al servizio della salute
Elisa Robotti premiata per il progetto SQUIL-CKD: uno studio sugli squilibri di oligoelementi nei pazienti in dialisi
Elisa Robotti premiata per il progetto SQUIL-CKD: uno studio sugli squilibri di oligoelementi nei pazienti in dialisi Durante la IV Settimana della Ricerca, organizzata dal Dipartimento Attività Integrate Ricerca e Innovazione (DAIRI) e da Solidal per la Ricerca, si è svolta la cerimonia di premiazione del 2º Premio Roberto Riccoboni Solidal. Un evento di grande rilevanza scientifica che ha…
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APPROVATO IL FARMACO PER LA CURA DEL CARCINOMA POLMONARE
La Food and Drug Administration ha approvato il nuovo trattamento adiuvante dopo la resezione del tumore in pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) ALK positivo. Questo sottotipo di cancro del polmone è caratterizzato dalla presenza di una fusione o riarrangiamento genico che iperattiva la proteina ALK ed è una mutazione che rappresenta circa l’85% dei casi di carcinoma polmonare, il cui 5%risulta essere ALK positivo.
Il farmaco alectinib ha dimostrato la riduzione del rischio di recidiva della malattia o di morte rispetto alla chemioterapia ad un tasso del 76%, definito dai ricercatori “senza precedenti“, migliorando significativamente lo standard di cura per le persone affette da carcinoma polmonare ALK positivo in fase precoce. “L’approvazione di Alecensa segna un momento cruciale per le persone a cui è stato diagnosticato un tumore al polmone ALK positivo in fase iniziale che finora non potevano ricevere una terapia specifica”, ha dichiarato Ken Culver, direttore della ricerca e degli affari clinici di ALK Positive, Inc, una no-profit che si dedica a migliorare l’aspettativa dei pazienti in tutto il mondo. “Questi pazienti, che in genere ricevono la diagnosi in giovane età, vanno spesso incontro a recidive e hanno un rischio maggiore di sviluppare metastasi cerebrali rispetto a quelli affetti da altri tipi di NSCLC. Ora, con questo significativo progresso, è più importante che mai che tutte le persone a cui è stato diagnosticato un tumore al polmone in fase precoce si sottopongano al test per ALK e altri biomarcatori raccomandati per ricevere il trattamento più appropriato per loro”.
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Fonte: Food and Drug Administration; ALK Positive Inc; foto di Anna Shvets
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Biomarcatori del Sangue e Rischio Cardiovascolare: Nuove Scoperte sui Fattori Predittivi di Infarto e Ictus nelle Donne
IntroduzioneLe malattie cardiovascolari, comprese l’infarto e l’ictus, rappresentano la principale causa di morte a livello globale e colpiscono sia uomini che donne. Tuttavia, le donne presentano caratteristiche uniche in termini di rischio e manifestazione di queste malattie, rendendo necessarie strategie di prevenzione e diagnosi specifiche. Recenti studi hanno identificato tre biomarcatori…
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Il monitoraggio continuo e non invasivo dei biomarcatori rappresenta una sfida fondamentale nella diagnosi precoce di malattie croniche e condizioni mediche critiche. In questo contesto, un innovativo sensore indossabile, capace di rilevare in tempo reale biomarcatori epidermici allo stato solido (SEB) direttamente sulla pelle, promette di superare i limiti dei metodi tradizionali. Il dispositivo, frutto della collaborazione tra ricercatori della National University of Singapore (NUS) e dell’A*STAR (Agenzia per la Scienza, la Tecnologia e la Ricerca), apre nuove prospettive nel monitoraggio continuo della salute. Cosa che potrebbe avere implicazioni significative per la gestione delle malattie croniche e la prevenzione delle patologie cardiovascolari Innovazioni per superare le sfide tradizionali Il sensore indossabile è frutto della collaborazione tra ricercatori della NUS di Singapore e dell’A*STAR Il monitoraggio dei biomarcatori, sostanze chimiche presenti nel sangue o in altri fluidi corporei che riflettono lo stato di salute di un organismo, è tradizionalmente associato all’analisi di campioni di biofluidi come sangue, urina e sudore. Sebbene questi metodi siano efficaci, presentano diverse limitazioni. Gli esami del sangue sono invasivi e possono risultare scomodi. Le analisi delle urine poi, sebbene meno invasive, non offrono capacità di monitoraggio in tempo reale. Anche il rilevamento tramite sudore, non invasivo ma limitato dalla difficoltà di indurre la sudorazione, presenta sfide significative, specialmente in individui inattivi. Per superare queste limitazioni, i ricercatori della NUS e di A*STAR di Singapore hanno sviluppato un sensore indossabile basato su idrogel. Un dispositivo capace di rilevare biomarcatori epidermici allo stato solido, come il colesterolo e il lattato, direttamente sulla pelle. Questi biomarcatori si trovano nello strato corneo, la parte più esterna della pelle, e sono strettamente correlati a condizioni mediche critiche come le malattie cardiovascolari e il diabete. Il Dr. Yang Le, scienziato capo dell’Istituto di Ricerca e Ingegneria dei Materiali di A*STAR, ha sottolineato l’importanza di questa innovazione. «Questo sensore indossabile è il primo al mondo in grado di monitorare i biomarcatori sulla pelle secca o non sudata. Il nostro design elastico migliora anche il comfort e la precisione, adattandosi all’elasticità naturale della pelle». Funzionamento e tecnologie avanzate Il sensore sviluppato dal team utilizza un sistema a doppio strato di idrogel. Uno strato ionico conduttivo (ICH) e uno strato elettronicamente conduttivo (ECH). Quando il dispositivo viene applicato sulla pelle, i biomarcatori epidermici allo stato solido si dissolvono nell’ICH e si diffondono attraverso la matrice del gel, subendo reazioni elettrochimiche catalizzate dagli enzimi. Questi dati vengono poi trasmessi in modalità wireless a un’interfaccia esterna, consentendo un monitoraggio continuo e in tempo reale. «Questo approccio è fondamentale per garantire un rilevamento accurato e sensibile», ha spiegato il professore Liu Yuxin, co-leader del progetto. La tecnologia di serigrafia utilizzata per la produzione del sensore rende il processo di produzione economico. Inoltre, garantisce un’elevata precisione nella rilevazione dei biomarcatori, anche a basse concentrazioni. Questo aspetto è fondamentale per il monitoraggio di condizioni croniche che richiedono un controllo costante, come il diabete e le malattie cardiovascolari. Applicazioni e implicazioni del sensore Il sensore indossabile offre molteplici applicazioni nel campo della salute, sia per il monitoraggio a livello individuale che per lo screening a livello di popolazione. Nei test clinici, il dispositivo ha dimostrato una forte correlazione tra i biomarcatori rilevati sulla pelle e quelli presenti nel sangue, convalidando così la sua accuratezza e affidabilità. Il Dr. Yang ha evidenziato come questa tecnologia potrebbe rivoluzionare il monitoraggio delle malattie croniche. «Una delle possibili applicazioni è sostituire il test diabetico in gravidanza, consentendo alle donne incinte di monitorare i livelli di zucchero in tempo reale comodamente da casa». Oltre al monitoraggio del diabete, il sensore potrebbe essere utilizzato per la valutazione continua della salute cardiovascolare. Il team di ricerca sta già collaborando con cardiologi per stabilire la correlazione clinica tra i biomarcatori rilevati e le condizioni del cuore. Prospettive di sviluppo del sensore Guardando al futuro, i ricercatori intendono migliorare ulteriormente le prestazioni del sensore, aumentandone la durata e la sensibilità. Esplorano anche la possibilità di integrare nuovi analiti allo stato solido, ampliando il potenziale del dispositivo per monitorare una gamma ancora più ampia di biomarcatori. La collaborazione con ospedali e istituti di ricerca continuerà a essere fondamentale per validare clinicamente questa tecnologia e portarla rapidamente sul mercato, offrendo a pazienti e medici uno strumento potente per la gestione della salute e la prevenzione delle malattie. Questa innovazione rappresenta un passo significativo verso un futuro in cui il monitoraggio della salute sarà continuo, non invasivo e accessibile, trasformando il modo in cui affrontiamo la diagnosi precoce e la gestione delle malattie croniche . Navigazione articoli Fonte
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I bambini con autismo hanno una flora intestinale unica, secondo uno studio Una nuova prospettiva sulle diagnosi di autismo Uno studio pubblicato su Nature Microbiology ha rivelato la presenza di marcatori biologici distinti nel microbioma intestinale dei bambini autistici, aprendo la strada a diagnosi più oggettive e precoci. Un potenziale strumento diagnostico basato sui biomarcatori La scoperta potrebbe portare a nuovi strumenti diagnostici per l’autismo, consentendo trattamenti più efficaci in età precoce. I biomarcatori potrebbero ridurre l’errore umano nelle diagnosi, offrendo maggiore precisione e tempestività. Il ruolo controverso del microbioma intestinale nell’autismo Nonostante i progressi, l’idea che il microbioma intestinale influenzi lo sviluppo dell’autismo è ancora oggetto di dibattito tra i ricercatori.
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Microbioma, ambiente e salute: uno studio della Federico II
Microbioma, ambiente e salute: la nuova frontiera del benessere. Il microbioma è interprete fondamentale nell'interazione ambiente-salute e costituisce un ulteriore parametro nello sviluppo di modelli di valutazione del rischio. Lo dimostra uno studio condotto dal Dipartimento di Agraria dell'Università degli Studi di Napoli Federico II e dall'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno e pubblicato sulla rivista internazionale Nature Communications. Il microbioma intestinale Il corpo umano è abitato da miliardi di batteri che costituiscono una inesauribile fonte di potenziali attività per il nostro organismo. In particolare, il microbioma intestinale viene a contatto, metabolizza e trasforma tutta una serie di composti chimici che possono avere diverse origini (ad esempio nutrienti, farmaci, contaminanti ambientali). Tuttavia, il modo in cui i microrganismi intestinali rispondono all'esposizione all'inquinamento ambientale è stato ancora poco esplorato. La Campania è stata attenzionata negli ultimi 15 anni per le vicende legate alla "Terra dei Fuochi" e all'inquinamento ambientale relativo a particolari aree della Regione. Per tale problematica la Regione Campania ha promosso e finanziato, nel corso degli anni, diversi interventi, tra cui il Piano Integrato Campania Trasparente (https://www.campaniatrasparente.it), uno studio innovativo e pionieristico che prevede il monitoraggio dei suoli, delle acque, dei prodotti agro-alimentari ed il biomonitoraggio sulla popolazione residente mediante la conduzione dello Studio di Esposizione nella Popolazione Suscettibile (SPES - http://spes.campaniatrasparente.it). Obiettivi L'obiettivo di SPES, promosso dall'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno in collaborazione con l'IRCCS G. Pascale di Napoli, è valutare la relazione tra inquinanti ambientali (Metalli pesanti, IPA, PCB, Diossine, ecc) e salute in Campania, misurando in maniera sistematica i biomarcatori di esposizione, di effetto o danno nei fluidi biologici, al fine di verificare eventuali differenze di rischio e/o di salute fra residenti nelle diverse aree territoriali campane. In uno studio recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Nature Communications (https://rdcu.be/dI6BG), preso in considerazione un sottogruppo di 359 soggetti della coorte SPES, per valutare l'impatto dell'esposizione all'inquinamento sulla composizione del microbioma intestinale e sulle sue potenziali funzioni. La ricerca, condotta dal Dipartimento di Agraria dell'Università degli Studi di Napoli Federico II e dall'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, evidenzia come in soggetti provenienti da aree a diverso impatto ambientale si osservi un diverso incremento nell'intestino dei geni microbici legati alla degradazione e/o alla resistenza agli inquinanti. Metalli pesanti In particolare, l'esposizione ai metalli pesanti promuove anche nel microbioma intestinale lo sviluppo di antibiotico-resistenza. Infatti, in letteratura, è riportato che la resistenza ai metalli e quella agli antibiotici sono fenomeni spesso correlati, in quanto i geni coinvolti sono gli stessi o sono localizzati in punti vicini del genoma microbico. Questo studio rappresenta soprattutto una ulteriore evidenza dell'affascinante processo di co-evoluzione del microbioma intestinale con l'uomo. I nostri microrganismi si adattano alle condizioni ambientali a cui siamo esposti e i contaminanti ambientali spingono le nostre popolazioni microbiche ad attrezzarsi per degradarli. Sarebbe interessante sfruttare queste capacità dei microrganismi per promuovere meccanismi di adattamento dell'uomo a situazioni di rischio ambientale. Danilo Ercolini, Direttore del Dipartimento di Agraria e Responsabile Scientifico della Task Force di Ateneo per gli Studi sul Microbioma dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Batteri e microbioma Lo studio del microbioma rappresenta soprattutto un innovativo approccio nell'ambito delle correlazioni ambiente, cibo, salute. L'alterazione di questi batteri, che costituiscono il 3% del corpo umano, risulta responsabile di varie malattie tra cui obesità, patologie croniche degenerative e immunitarie. Studiare i fattori che influenzano la composizione di oltre 10.000 specie di batteri che ospitiamo, ci porta a sviluppare nuove strategie di profilassi e terapeutiche dichiara il Direttore Generale dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Antonio Limone. Lo studio è svolto nell'ambito del progetto Linking environmental pollution and gut microbiota in individuals living in contaminated settlements, finanziato dal Ministero della Salute (Ricerca Finalizzata 2016 - Linea Giovani Ricercatori - GR-2016-02362975), la cui responsabile scientifico è Francesca De Filippis, ora professore associato di Microbiologia al Dipartimento di Agraria. Foto di Arek Socha da Pixabay Read the full article
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Il riscaldamento globale ha causato un'anossia oceanica diffusa 93 milioni di anni fa, lo suggerisce una ricerca sui sedimenti marini profondi
Isotopi di carbonio, carbonio organico totale, temperatura della superficie del mare e record di biomarcatori per Demerara Rise, nell’Oceano Atlantico settentrionale, con picchi e avvallamenti distintivi durante l’evento anossico oceanico 2 (OAE2). L’anossia marina è caratterizzata da una grave riduzione dell’ossigeno disciolto negli oceani, che li rende tossici e ha quindi un impatto devastante…
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L'AI in aiuto per trovare forme di vita extraterrestri
Alla ricerca di tecnofirme extraterrestri, intervista a Stefano Cavuoti dell'Inaf di Napoli. Recentemente è stato pubblicato un report che fa il punto sulla ricerca della vita intelligente nell’universo. In un’epoca di grandi progressi negli studi sugli esopianeti, comprese le ricerche di biomarcatori e la crescita esponenziale dei dati, è il momento giusto per rivisitare questa sfida utilizzando un nuovo approccio basato sui dati, in grado di minimizzare i pregiudizi antropocentrici e culturali esistenti.
Copertina del report “Data-Driven Approaches to Searches for the Technosignatures of Advanced Civilizations Final” – Keck Institute for Space Studies Workshop, May 20–24, 2019. Crediti: Keck/Caltech Da millenni l’umanità si chiede se siamo soli nell’universo. La scoperta della vita extraterrestre, in particolare della vita intelligente, avrebbe effetti profondi, paragonabili a quelli raggiunti con la consapevolezza che la Terra non è il centro dell’universo e che gli esseri umani si sono evoluti da specie precedenti. La crescita nel campo della ricerca degli esopianeti è stata rapidissima. Da quel lontano 6 ottobre 1995, quando venne scoperto il primo esopianeta, oggi sono 5534 i pianeti extrasolari confermati, in 4125 sistemi planetari diversi. All’incirca nello stesso intervallo di tempo, l’astronomia è arrivata a dover gestire una quantità di dati impressionante, dell’ordine del petabyte. Recentemente è stato pubblicato uno studio guidato dal WM Keck Institute for Space Studies che ha lo scopo di rivisitare le ricerche di tecnologie aliene alla luce di questi sviluppi. Media Inaf ne ha parlato direttamente con uno degli autori, Stefano Cavuoti dell’Osservatorio astronomico di Capodimonte, ricercatore ed esperto di intelligenza artificiale. A che punto siamo con la ricerca di technosignature extraterrestri? «L’umanità ha iniziato da metà del XX secolo a cercare forme di vita extraterrestri. Ci siamo concentrati sulla ricerca di segnali radio, principalmente nella gamma di frequenze solitamente nota come water hole e che corrisponde alle lunghezze d’onda tra 21 e 18 centimetri. Di fatto questo tipo di ricerca è continuato fino ai giorni nostri e un esempio è il progetto Breakthrough Listen. A questo si sono aggiunti alcuni progetti di Optical Seti (OSeti). Sostanzialmente quasi tutti i principali approcci utilizzati sinora hanno in comune una serie di ipotesi molto specifiche. Stiamo di fatto cercando una civiltà che stia deliberatamente tentando di comunicare, in maniera molto semplice, e che peraltro abbia un livello tecnologico simile a quello che avevamo noi all’epoca dell’inizio di questi studi». In che direzione le stiamo cercando e come? «Principalmente stiamo cercando segnali di comunicazione diretti a civiltà sconosciute. Oltre questo ci sono altri lavori ma rappresentano una percentuale piuttosto bassa del settore. Ci sono ad esempio alcuni lavori in letteratura sulla ricerca di sfere di Dyson, che sono delle strutture ipotetiche applicate attorno a qualcosa che emetta molta energia (ad esempio una stella) per sfruttarne quanto più possibile l’energia. Strutture di questo tipo se esistono devono lasciare una traccia infrarossa, dovuta al calore risultante dalla conversione energetica, che potrebbe essere identificata. L’astronomo russo Nikolaj Kardašëv negli anni 60 propose una scala per classificare le civiltà: una civiltà di Tipo 1 è in grado di utilizzare tutta l’energia di un pianeta, una di tipo 2 è in grado di utilizzare tutta o quasi l’energia della stella del proprio sistema mentre una di tipo 3 è in grado di utilizzare tutta quella di una galassia. Una civiltà in grado di costruire una sfera di Dyson attorno a una stella sarebbe classificata quindi nella scala di Kardašëv come di tipo 2 ma niente vieterebbe a una civiltà di tipo 3 di costruirne una attorno a una galassia». Un risultato del workshop è stato che le ricerche sulle tecnofirme dovrebbero essere condotte in modo coerente con la “First Law of Seti Investigations”. Di cosa si tratta? «La First Law of Seti Investigations è una frase di Freeman Dyson, che dice: “ogni ricerca di civiltà aliene dovrebbe essere pianificata in modo da dare risultati interessanti anche quando non si scoprono alieni”. Anche Frank Drake, famoso per l’equazione che porta il suo nome, relativa al numero di potenziali civiltà nella nostra galassia, aveva detto qualcosa del genere negli anni 60. Drake partiva da un assunto: questo genere di ricerca spesso non porta ad alcun risultato. Questo fatto non solo vanifica mesi di lavoro ma demoralizza anche il team di ricerca che ci ha lavorato. Questo significa insomma che le ricerche di technosignature dovrebbero essere condotte in modo da produrre risultati scientifici indipendentemente dal trovare o meno vita extraterrestre. Questo rende un eventuale progetto di ricerca più interessante sia per gli enti che devono investirci sia per i ricercatori che devono spenderci il loro tempo». Le assunzioni che si fanno adesso nella ricerca di vita extraterrestre differiscono da quelle di un tempo? «Non molto ma le cose stanno cambiando. Parte dello scopo del workshop è anche questo: cercare di capire quanto forti siano i bias umani in questo settore e come cercare di ridurli per quanto possibile. In che modo ci può aiutare l’intelligenza artificiale e in che modo differisce dai metodi di filtraggio dati usati negli anni passati? L’intelligenza artificiale può analizzare grandi quantità di dati in modo rapido ed efficiente, e permetterci di trovare schemi o tendenze che potrebbero sfuggire all’occhio umano, lavorare su molte dimensioni o direttamente sulle immagini. Molti dei metodi di filtraggio si basano su delle assunzioni e tendono ad applicare lo stesso criterio a tutti i dati mentre molti metodi di AI riescono a approcciare diverse porzioni dello spazio dei parametri in maniera specifica risultando così più flessibili». Quali sono le principali difficoltà? «Le principali difficoltà sono legate alla mancanza di risorse finanziarie e umane dedicate a questo tipo di ricerca. Questo è un lascito anche di alcuni progetti che magari non hanno rispettato la First Law of Seti Investigation. Questo ha condotto alla mancanza di una comunità scientifica consolidata e riconosciuta». C’è qualcosa di diverso che si potrebbe fare, oltre a quello che si sta già facendo, per raggiungere lo scopo?
Stefano Cavuoti è un ricercatore dell’Osservatorio astronomico di Capodimonte, esperto di intelligenza artificiale. Nel 2016 ha ricevuto il premio “Outstanding Publication in Astrostatistics PostDoc Award” dell’International Astrostatistics Association. È uno dei builder della missione Euclid. Crediti: S. Cavuoti «Secondo me una delle cose principali da fare è aumentare la percezione di scientificità, se mi passate il termine, di questo tipo di lavoro. Visto che al momento questo tipo di ricerca ha un’aura a volte negativa, in sostanza non viene percepita, spesso anche all’interno della stessa comunità scientifica, come un lavoro serio. Sicuramente queste attività andrebbero divulgate meglio sia al pubblico che alla comunità scientifica. In tal senso penso che sia stato importante che a questo workshop siano state invitate persone che non fossero strettamente dell’ambito del Seti in modo da avere una visione esterna. Io per primo non ho mai partecipato ad attività del Seti ma sono stato invitato in quanto esperto di AI». Quali sono le vostre raccomandazioni in merito? «Prima di tutto abbiamo nuovamente sottolineato che questo genere di ricerche va eseguito in modo coerente con la First Law of Seti Investigations. Bisogna poi sfruttare la potenzialità dell’Ai per identificare le anomalie presenti già adesso nei dataset delle grandi survey. Identificare prima e capire poi le anomalie nei dati è un task importantissimo a prescindere dalla vita extraterrestre perché rappresentano o problemi nei dati o oggetti rari o eventualmente una technosignature. Identificare gli errori ed etichettarli, sia per impedire ad altri di utilizzare dati non corretti sia per capire da dove nasce il problema e se possibile risolverlo, è di estrema importanza. Se non è un problema nei dati è un oggetto quantomeno raro, se non peculiare, che è degno di uno studio a sé stante e se non è neppure questo potrebbe essere una technosignature. Ad esempio nei dati che già abbiamo si potrebbe andare a cercare le sfere di Dyson o segnali di cui non riusciamo a spiegare il meccanismo fisico, infine si potrebbe provare a cercare una forma di comunicazione compressa nella variabilità di un Agn (che presumerebbe una civiltà di tipo 3 della scala di Kardašëv). Ad esempio, potrebbero modulare l’emissione ultravioletta dell’Agn alterando la temperatura della parte più interna del disco di accrescimento. L’obiettivo sarebbe sfruttare la luminosità naturale dell’Agn per farla percepire nell’universo, simile a come si modula un segnale con un transistor. Ci sono poi progetti che avrebbero una forte motivazione scientifica e che potrebbero portare a benefici anche in questo settore. Un esempio che abbiamo proposto sarebbe la realizzazione di una survey nel lontano infrarosso all-sky. Infine la ricerca di segnali, intenzionali o meno, nel sistema solare sarebbe un’altra possibile strada da esplorare». Questo tipo di ricerca da chi è finanziata? «La Nasa ha sempre portato avanti questo tipo di ricerca anche se chiaramente non sempre con la stessa intensità; non troppo tempo fa ha anche organizzato un workshop dedicato solo a questo. Il workshop di cui stiamo parlando è stato organizzato a spese del Keck Institute for Space Studies che è un istituto gestito congiuntamente da Caltech e Nasa Jpl su fondi della Keck Foundation, le Breakthrough Initiatives sono finanziate da una fondazione privata». Per saperne di più: Leggi su arXiv il report “Data-Driven Approaches to Searches for the Technosignatures of Advanced Civilizations” di Joseph W. Lazio, S. G. Djorgovski, Andrew Howard, Curt Cutler, Sofia Z. Sheikh, Stefano Cavuoti, Denise Herzing, Kiri Wagstaff, Jason T. Wright, Vishal Gajjar, Kevin Hand, Umaa Rebbapragada, Bruce Allen, Erica Cartmill, Jacob Foster, Dawn Gelino, Matthew J. Graham, Giuseppe Longo, Ashish A. Mahabal, Lior Pachter, Vikram Ravi e Gerald Sussman Read the full article
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Roma. Crescono i Casi di Demenza in Italia: Attenzione ai Sintomi e Speranza nei Nuovi Trattamenti
Con oltre un milione di italiani affetti da demenza e 600-700mila da Alzheimer, gli esperti avvertono sui campanelli d'allarme e sulle nuove terapie che potrebbero rallentare la malattia.
Con oltre un milione di italiani affetti da demenza e 600-700mila da Alzheimer, gli esperti avvertono sui campanelli d’allarme e sulle nuove terapie che potrebbero rallentare la malattia. Roma, 11 novembre 2024 – In Italia, il numero di persone affette da demenza continua a crescere in maniera preoccupante. Secondo recenti dati, si stima che oltre un milione di italiani siano colpiti da demenza,…
#Alessandria today#Alzheimer#amiloide Alzheimer#Annachiara Cagnin#anticorpi monoclonali Alzheimer#aumento casi Alzheimer#biomarcatori Alzheimer#campanelli allarme demenza#centri Alzheimer Italia#cura Alzheimer#decadimento cognitivo#demenza in Italia#demenza Italia 2024#demenza progressione#diagnosi biologica#diagnosi precoce Alzheimer#esperti Alzheimer#fattori rischio Alzheimer#Google News#importanza stile vita#invecchiamento popolazione#italianewsmedia.com#Laura Bonanni#malattie neurodegenerative#Neurologia Italia#novità Alzheimer#nuove terapie Alzheimer#nuovi trattamenti demenza#Pier Carlo Lava#popolazione invecchiamento
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Corea di Huntington , malattia neurodegenerativa rara e progressiva
Nuovo post pubblicato su https://wdonna.it/corea-di-huntington-malattia-neurodegenerativa-rara-e-progressiva/114762?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=114762
Corea di Huntington , malattia neurodegenerativa rara e progressiva
La Corea di Huntington è una malattia neurodegenerativa rara e progressiva che colpisce il sistema nervoso centrale. La malattia è causata da una mutazione genetica del gene Huntingtin (HTT), che codifica per una proteina chiamata huntingtina. La mutazione del gene HTT causa l’accumulo di una forma anomala di huntingtina nel cervello, che danneggia le cellule nervose e porta alla perdita progressiva delle funzioni cerebrali.
I sintomi della Corea di Huntington possono variare notevolmente da persona a persona e possono essere divisi in tre categorie principali: movimenti anormali, problemi cognitivi e problemi comportamentali. I movimenti anormali comprendono tremori, contrazioni muscolari, scatti e altri movimenti involontari. I problemi cognitivi comprendono difficoltà di concentrazione, memoria a breve termine e problemi di giudizio. I problemi comportamentali comprendono cambiamenti dell’umore, irritabilità e comportamento impulsivo.
La Corea di Huntington è una malattia ereditaria che si trasmette dai genitori ai figli attraverso il gene mutato HTT. La maggior parte delle persone con la malattia ha una storia familiare della malattia, ma alcune persone sviluppano la malattia a causa di una nuova mutazione genetica. La malattia è più comune tra le persone di origine europea e si verifica principalmente nei soggetti tra i 30 e i 50 anni di età.
Attualmente, non esiste una cura per la Corea di Huntington, ma ci sono trattamenti che possono aiutare a gestire i sintomi e migliorare la qualità della vita dei pazienti. I trattamenti comprendono farmaci per controllare i movimenti anormali, terapie per migliorare le funzioni cognitive e comportamentali e supporto psicologico per gestire l’impatto emotivo della malattia.
Ricerche scientifiche
La ricerca sulla Corea di Huntington sta progredendo rapidamente e ci sono speranze che nuove terapie possano essere sviluppate per trattare la causa sottostante della malattia. Attualmente, ci sono numerosi studi in corso per identificare nuovi farmaci che possono interrompere l’accumulo di huntingtina anomala nel cervello e prevenire la morte delle cellule nervose.
Le ultime ricerche scientifiche sulla Corea di Huntington stanno concentrando sullo sviluppo di terapie che possono agire sulla causa della malattia, ovvero l’accumulo di huntingtina anomala nel cervello.
Una delle terapie più promettenti è l’utilizzo di farmaci che possono interrompere la produzione di huntingtina anomala o che possono aiutare a ridurre l’accumulo di huntingtina anomala nel cervello. Ad esempio, gli inibitori dell’RNA interferente (RNAi) sono stati utilizzati per ridurre la produzione di huntingtina anomala in modelli animali di malattia.
Altri studi stanno esplorando l’utilizzo di terapie geniche per correggere la mutazione del gene HTT responsabile della malattia. Ad esempio, gli studi stanno valutando l’utilizzo di vettori virali per introdurre una copia corretta del gene HTT nelle cellule del cervello.
Ci sono anche ricerche in corso per sviluppare nuovi farmaci che possono migliorare la qualità della vita dei pazienti con la Corea di Huntington, come i farmaci per il controllo dei movimenti anormali e per migliorare le funzioni cognitive e comportamentali.
Inoltre, la ricerca sta anche lavorando per identificare nuovi biomarcatori per la malattia, che potrebbero aiutare a diagnosticare la malattia in modo più preciso e precoce, e monitorare la progressione della malattia.
In generale, le ultime ricerche scientifiche sulla Corea di Huntington stanno offrendo nuove speranze per i pazienti e le loro famiglie, e si attendono ulteriori progressi nello sviluppo di terapie efficaci per trattare la malattia.
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Research
1977-1978: Fellowship ricerca clinica in Urologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Universita’ degli studi di Trieste.
1984-1985: Ricercatore del Progetto finalizzato “Oncologia” del CNR intitolato: “Terapie conservative delle neoplasie renali parenchimali in rapport alla presenza dei recettori alla pseudocapsula e alla vascolarizzazione”, Università di Torino e CNR.
2004-2007: Responsabile Unità operative del progetto intitolato:” Identificazione di Biomarcatori tumorali del Carcinoma Prostatico eredo-familiare” , finanziato dal Ministero della Salute.
2007 – 2009: Coordinatore Progetto Italia /USA intitolato: “ Siero e Fosfoproteomica per l’identificazione di marcatori tumori-specifici per la diagnosi precoce e la terapia mirata del tumore della prostata”.
2007 -2008: Responsabile Unità operativa del progetto intitolato:” Fattibilità ed impatto di un modello di rete multidisciplinare e regionali di Centri per l’incontinenza urinaria, in grado di ottimizzare l’attività e di fornire le basi per una ricerca innovativa sulle cellule staminali”, finanziato dal Ministero della Salute.
2007-2013: Responsabile Unità operativa del progetto intitolato: “miR-15a and miR-16 role in prostate cancer progression”, ISS.
2007-2009: Responsabile Unità operativa del progetto intitolato: “Role of miRNA in human pathology, new molecular therapies”, ISS.
2010 – 2013: Responsabile Unità operativa del progetto intitolato: “Tissue and exosomal cancer-associated microRA profiles as innovative prognostic parameters for individual risk assessment of prostate cancer patients and predictive biomarkers for evaluation of molecular targeted agents” , ISS.
2010 – 2013: Responsabile Unità operativa del progetto intitolato: “Cellule staminali tumorali , vescicole esosomiali e micro RNA come nuovo approccio per lo screening, la diagnosi e la valutazione prognostica di pazienti neoplastici.”, ISS.
2014: Responsabile Unità operativa del progetto intitolato: “Studio osservazionale di valutazione del valore predittivo del test di farmacosensibilità in vitro sulle cellule staminali tumorali e dei profili fosfoproteomici in pazienti affetti da carcinoma renale in stadio avanzato candidati a terapia con inibitori multi-angiochinasici o inibitori mTOR “, ISS.
2018: Responsabile Unità operativa del progetto intitolato:” New biomarkers and approaches to improve diagnosis, prognosis and to define a personalized therapy in the treatment of prostate cancer”.
2018: Responsabile Unità operativa del progetto intitolato:” Evaluation of the Xpert® test compared to cystoscopy for the monitoring of patients with non-muscle-invasive bladder carcinoma (NMIBC) at low or intermediate risk: study observational, prospective, multicentre, international”.
2018: Principal investigator in the study entitled:” Lymphadenectomy guided by magnetometer after labeling with nanoparticles of superparamagnetic iron oxide in prostate cancer.
https://www.hunimed.eu/it/member/giovanni-muto/
https://www.topdoctors.it/dottor/giovanni-muto
https://medium.com/@giovannimutoindagato/giovanni-muto-indagato-bb756d5458ab
https://www.wattpad.com/story/226233034-giovanni-muto-indagato
https://www.qsalute.it/urologia-gradenigo/
https://www.wattpad.com/story/224151888-giovanni-muto-indagato
https://www.facebook.com/lastampa.torino/posts/la-procura-di-torino-ha-chiesto-il-rinvio-a-giudizio-per-il-professor-giovanni-m/2428293677242292/\
https://www.crunchbase.com/person/giovanni-muto-indagato
https://www.deviantart.com/giovannimuto/art/Giovanni-Muto-Indagato-848304684
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Gli Isotopi del Potassio: Una Nuova Frontiera nella Diagnosi Precoce dell'Alzheimer
La malattia di Alzheimer è una delle patologie neurodegenerative più devastanti e complesse, colpendo milioni di persone in tutto il mondo. Attualmente, la diagnosi di questa malattia avviene principalmente attraverso l’osservazione clinica dei sintomi cognitivi e comportamentali, insieme a esami neuropsicologici e biomarcatori ottenuti tramite imaging cerebrale o analisi del liquido…
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