#bianchi oltre
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Bianchi Oltre de nouveaux coloris pour 2025
Pour 2025 Bianchi fait évoluer les montages de la gamme Oltre, RC, Pro, Comp, Race et revisite ses coloris classiques ! À découvrir. En 2025 dans la large gamme Bianchi Oltre on va retrouver du Céleste, du noir du gris, de l’irisé et du bleu.Mais il n’y a pas qu’au niveau cosmétique qu’il y a du changement. On a ainsi sur les montages haut de gamme (RC et Pro) en Shimano de capteurs de puissance…
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Ontdek de voordelen van het gebruik en kopen van Bianchi Specialissima , E Bikes en Bianchi Oltre
De Bianchi Specialissima en de racefietsen van de Fausto De Coppi- periode lijkt niet erg op elkaar. De Specialissima , een fiets ontworpen door Italiaanse wielerpioniers, is misschien wel de meest geavanceerde en superieure van allemaal, ook al is hij opgenomen in de klassieke Celeste. Het gewicht en de Countervail-technologie zijn hiervan de twee belangrijkste kenmerken.
Visit:- https://medium.com/@bimici01/ontdek-de-voordelen-van-het-gebruik-en-kopen-van-bianchi-specialissima-e-bikes-en-bianchi-oltre-c008f50f9721
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Dialoghi tra donne che si amano
Si, sto per mandare all’aria la vita regolare e “ragionevolmente” serena fatta sinora. Per amore. Per l’attrazione irresistibile che ormai io, arrivata a ben oltre quarant'anni, provo per te: la mia più cara amica intima da tempo. Adoro i messaggi roventi che rinneghi e minimizzi di giorno ma che invece mi mandi di nascosto alle due di notte. Perché ti urgo, lo so.
Doppi sensi e frasi che devo giustificare con lui, arrampicandomi sugli specchi. Piccoli romanzi di passione condensati in cinque o sei righe. Che si fanno ogni volta più intrisi dei dubbi di mio marito, pover'uomo, umidi delle sue lacrime nascoste di coniuge che ormai è ben cosciente di essere tradito. Parole che sono anche fonte di una passione torrida e inconfessabile per te che mi cresce tra le cosce.
Mandala preziosi e impalpabili, gioiellini di parole che vanno rigorosamente cancellati subito dopo letti, appena abbiano assolto al loro compito di far battere forte il cuore a cui erano destinati. E che hanno pian piano sgretolato le mie difese di moglie e madre.
Ora fai il sacrificio e cerca di stare zitta per un po’. Chiudi quelle labbra di meravigliosa fresca divorziata assetata d'amore che io adoro divorare: in segreto e nel peccato. Prova ad ascoltare la gente attorno a noi. Proprio adesso, in questo bar: in ciascuno dei presenti puoi percepire chiaramente e quasi toccare il bisogno di essere amato e compreso.
Accarezzato e perdonato. Guarda nei loro occhi. Anche in quelli di chi ha i capelli bianchi. Soprattutto in quelli di chi ha i capelli bianchi. Penso sia proprio arrivato il momento della verità, tra noi. Perché il tempo vola letteralmente.
Perché nel mio letto ormai voglio che regni sovrano solo il profumo della tua pelle, accanto a me: costi quel che costi. Fanculo le ragioni economiche, le altre cazzate e l'unione con mio marito di fatto finita. Siamo pronte? Soprattutto: tu sei pronta?
-Non stiamo parlando solo della felicità di due persone, qui.
-E allora dimmi: di che cos'è che stiamo parlando?
RDA
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I furbi scendono la corrente come pesci bianchi, sulla cresta d'acque blu, oltre le rapide, i furbi con le loro gole e sopracciglia da furbi, i loro furbi peli nel naso, entrambe le scarpe allacciate, tutte le tragedie cancellate, denti splendenti, i furbi non si scompongono, anche le loro furbe morti sono morti al quadrato, furbi furbi furbi, hanno case migliore, auto migliori, risate migliori. Persino i loro incubi sono sogni sgargianti, questi furbi, ti siedono di fronte, con un sorriso pulito, che li riempie, financo i capelli sprizzano nitore. Quanto ho vissuto e quanti ne ho visti. Sapete cos'è davvero la morte? È uno di questi furbi rottinculo che ti stringe la mano e ti abbraccia Charles Bukowski - I Furbi
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Guardare oltre le apparenze...
...Varcare la soglia dell'anima, fino a raggiungere quel posto inaccessibile, blindato, buio e inquietante, quel posto dove si celano i dolori, le delusioni sanguinanti, le lacrime inesplose, gli abbracci mai chiesti, ma di cui si ha fame. Vedere così bene da aprire quella porta, sedersi in quella stanza portare serenità e fiori bianchi, "bere un caffè", qualche carezza, risate, cose belle di cui parlare, fare silenzio, sentirsi. Scegliersi, essere talmente tanto maturi e consapevoli da ritagliarsi spazi di tempo, precise intersezioni di vita, piccoli mondi segreti e inaccessibili, sapere benissimo dove si cela quel territorio senza mappa per fondersi e al tempo stesso sapere dove si trova quel posto dove non è consentito neppure sbirciare. Scegliere il rispetto per la dignità e la natura dell'altro e non la tolleranza. Lasciarsi andare, fare l'amore di ogni cosa, corpo, pensiero, parola e anima. Sognare a occhi aperti, a occhi chiusi. Affidare alle parole una cura sperando che arrivi, che tocchi, sperare di essere compresi. Cercare l'anima nell'odore, portarlo via a futura memoria, cercare addosso quella memoria, nelle pieghe della pelle, dell'anima. Esserci, semplicemente, non per avere un posto ma dare qualità ad attimi. Esserci non per avere un ruolo ma un valore, essere valore aggiunto. Esserci per ripromettersi in una parola, in un sospiro esclusività e rispetto. Esserci perché chi ti ha scelto e compreso ha capito che non sei una via di fuga ma uno spazio da vivere in costante crescita, in evoluzione e senza limiti. Tante parole e dieci lettere: C O M P L I C I T À.
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BLACKLOTUS
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Sai cos’è bello qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un’orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. È come se non fosse mai passato nessuno. È come se noi non fossimo mai esistiti. Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. È tempo. Tempo che passa. E basta.
Sarebbe un rifugio perfetto. Invisibili a qualsiasi nemico. Sospesi. Bianchi come i quadri di Plasson. Impercettibili anche a se stessi. Ma c’è qualcosa che incrina questo purgatorio. Ed è qualcosa da cui non puoi scappare. Il mare. Il mare incanta, il mare uccide, commuove, spaventa, fa anche ridere, alle volte, sparisce, ogni tanto, si traveste da lago, oppure costruisce tempeste, divora navi, regala ricchezze, non dà risposte, è saggio, è dolce, è potente, è imprevedibile. Ma soprattutto: il mare chiama. Lo scoprirai, Elisewin. Non fa altro, in fondo, che questo: chiamare. Non smette mai, ti entra dentro, ce l’hai addosso, è te che vuole. Puoi anche far finta di niente, ma non serve. Continuerà a chiamarti. Questo mare che vedi e tutti gli altri che non vedrai, ma che ci saranno, sempre, in agguato, pazienti, un passo oltre la tua vita. Instancabilmente, li sentirai chiamare. Succede in questo purgatorio di sabbia. Succederebbe in qualsiasi paradiso, e in qualsiasi inferno. Senza spiegare nulla, senza dirti dove, ci sarà sempre un mare, che ti chiamerà.
Alessandro Baricco
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PORTA DI BRANDEBURGO
Secondo fonti sul posto, sarebbero oltre 30mila i manifestanti alla porta di Brandeburgo, blocchi in tutta la città e nel resto della Germania.
La mobilitazione non sembra intenzionata a fermarsi anche dopo la giornata odierna.
Intanto se cercate su Google in navigazione privata “Germany Berlin”, vi restituisce notizie su scherma e calcio… silenzio su tutto quello che sta accadendo e sulle istanze degli agricoltori e della società civile tedesca.
In Italia pare sia stato indetto il 22 gennaio come giorno di inizio della mobilitazione da parte di una federazione di agricoltori.
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Giorgio Bianchi
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Storie ed emozioni e lezioni di vita.
Dal Grande Spirito allo Spirito Santo.
Tatanka, taverna del pellegrino, oasi di pace. 📷
Ancora ateo ma molto provato dagli eventi. Non mi ero ancora convertito, e stavo attraversando il periodo più duro della mia vita. Ma nonostante tutto avevo dei punti fermi su cui appoggiarmi e molti amici che mi sostenevano, conoscendo le cause delle mie sofferenze. Subivo ingiustizie da parte di chi invece, avrebbe dovuto aiutarmi. Le cause? Avevo acquistato un luogo che non avrei dovuto prendere io, già, faceva gola ai qualcuno dei potenti che amministravano il Comune e ad altri che in teoria avrebbero dovuto stare neutri.
Era ridotto cosi quando l'ho acquistato io ma era al centro del paese e in più confinava con quella che si può ben vedere, un'antica chiesa del 1700 circa, ancora diroccata e sconsacrata. Divieti su divieti, ma nonostante aver dovuto rinunciare a molte delle strutture che avevo nei programmi come per esempio una piscina, alla fine questo è stato il prodotto che sono riuscito ad ultimare. Avevo due squadre in serie "A" sia maschile che femminile e i campi di calcetto erano necessari.
Non mi fecero muovere più di cosi e non potetti più avere nessun altro permesso, nel frattempo avevano ristrutturato e riconsacrata la chiesa. E cosi, come funzionava anticamente, mi ritrovai contro Sindaco e Comune, Chiesa, clero e Belle Arti con il naturale coinvolgimento dell'arma dei carabinieri. Sindaco comunista (Peppone) prete (Don Camillo)...si voglio finire questo post con il sorriso sulle labbra pensando che è solo passato e che, seppure in tantissimi anni di soprusi, che in Italia conosciamo bene, forse proprio per tali sofferenze, io quì ci ho incontrato, conosciuto e ricevuto il Signore nel mio cuore e nella mia vita.
Nello stesso periodo dunque, iniziò la mia storia come pellegrino e mi ritrovai come d'incanto ad essere un uomo davvero felice. Avevo con me il Fratello e l'Amico come Guida, e tutte le Vie del mondo da percorrere in libertà. La vera Libertà!
-Non dovevo rinnegare niente e nessuno, io ero cresciuto come uno spirito libero e sempre dalla parte dei deboli. Amavo gli indiani fin da piccolo e odiavo le promesse non mantenute cosi come facevano i bianchi con lingua biforcuta. D'altra parte gli indiani erano un popolo spirituale, che amava e rispettava la natura gli animali e gli altri esseri umani se agivano correttamente con loro e venivano in pace e rispettavano la parola data. Traditi più volte, reagivano con forza e coraggio come le madri quando difendono i loro figli. Per non dilungarmi oltre e concludere, quel Grande Spirito era non altro che lo Spirito Santo, avevo solo cambiato il nome ma era sempre il mio Dio.
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Ma il giorno dopo l'11 Settembre però, dopo aver appreso la notizia dai Tg, anch'io come tutti feci cordoglio. Un abominio, uno vero scempio circa tremila morti, ma gli esecutori, avevano toccato la pupilla di Dio e attirato la sua ira, mentre Bush dichiarava che tutto quello non sarebbe di certo rimasto impunito. Ecco cosi come sempre i capi dichiarano le guerre dai loro comodi salotti, e gli altri vanno a morire. Perchè non andate in testa voi come si faceva una volta? Ma non succederà mai. Ecco perchè il giorno dopo, ripensando alla storia di quei popoli innocenti e sottomessi, cosi come gli indiani e in accordo, con ciò che si può leggere nelle scritture: "Ciò che l'uomo semina, quello pure raccoglierà", ho scritto questa breve poesia già pubblicata, per non dimenticare:
"Guardando e riguardando queste foto degli indiani, mi viene in mente adesso la guerra ai talebani.
La lotta al terrorismo che il mondo sta facendo si dice è cosa giusta, ma la gente sta morendo.
L'America che spara, e che colpisce forte, non se ne rende conto che semina la morte.
Or tutti che l'aiutano perchè colpita al cuore ma intanto nessun ricorda che il talebano muore.
Tu un bel giorno hai deciso e hai decimato gli indiani, con le pistole, i fucili e loro con le mani.
Che senso d'impotenza devono aver provato, hanno difeso casa e non ti avevano provocato.
Ci vivevano da sempre, era la loro terra, ma tu per bramosia gli hai dichiarato guerra.
Li hai sconfitti, sei diventato padrone, loro erano i daini, tu eri il leone e quando eri sicuro che loro erano finiti, hai detto a tutto il mondo: "Ecco a voi gli Stati Uniti".
Ora ti ricordi che quel che è fatto è reso, che senso d'impotenza provi adesso popolo leso.
Eri certo ed eri sicuro che non sarebbe mai successo, del boomerang che è tornato te ne accorgi solo adesso.
Ma tu ti puoi difendere, puoi persino attaccare, la vittoria è quasi certa, ma poi dovrai pensare,
a come vivere in futuro e a far la strada dritta o pagherai di nuovo perchè ogni cosa è scritta".
lan ✍️🖤
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Ricotta del vicino di casa, cassatina con ricotta, sfogliatelle con ricotta, cannoli al cioccolato con ricotta, cannoli tradizionali.
Il clacson sgraziato e difettato di una vecchia punto mi attira verso il muretto che costeggia la strada di campagna su cui confina la casa. Mi affaccio oltre il muretto e vedo nella sua vecchia punto Stefano, il pastore che abita con gregge e famiglia più in alto su monte “A vuliti na ricotta?” “Cettu” “ Un chilu o menzu chilu?” “Menzu” “Accà, pigghiassi’ Mi passa un sacchettino di plastica trasparente caldo, in cui una forma di ricotta naviga nel siero da cui è nata “Quant’è?” “Du euri” Lo guardo sconcertato. Con due euro ti compri solo la fame. Pago e con gentilezza porto la ricotta in casa. La metto in un angolo della cucina coprendola con una tovaglia a quadrettoni bianchi e rossi. Gliela sistemo intorno con attenzione, come si fa con un neonato. Mangiamo. Il primo è un piatto di pasta con il pomodoro fresco dell’orto. Poi porto in tavola la ricotta. L’osserviamo con devozione sentendo il profumo di latte e il suo tepore. Ha un colore bianco-dorato ctipico della ricotta di pecora. Si taglia con un sospiro perché ha la consistenza di una nuvola e in bocca si scioglie lentamente. Nessuno parla. Il gusto cremoso e intenso, stordisce il pensare, l’immaginare, il paragonare. Non è ricotta, è il vento che semina gli arbusti sui monti, l’acqua di marzo che li trasforma in fiori, il passo lento delle pecore che seguono il suono del campanaccio sotto il sole della primavera e le nuvole grigie madri della pioggia che si inseguono nell’azzurro intenso del cielo. È un piacere soffice, come il grembo di una bambina, impalpabile come la schiuma del mare, fiabesco come un sogno al mattino. La ricotta fresca muta e si rinnova se la mangi con il caffè macinato, con il cioccolato, nei cannoli, nel ripieno dolce delle fraviole, con il miele o sulla pasta in bianco. Da sola, quando è fresca è una solista perfetta, da ammirare e gustare. È un bacio al senso di latte: soffice, caldo, gustoso, intenso. Come il latte è innocente, umile, semplice, pura. Un poema in un verso e con mille rime. Evoca le colline scoscese, i boschi infiniti, i ruscelli gioiosi, bianchissime nuvole in azzurrissimi cieli. Per questo ormai, l’evento del mattino, è ormai l’arrivo di Stefano e della sua scassatissima e polverosa punto, un prezioso forziere colmo di calde, tenere ricotte.
The awkward and defective horn of an old Punto attracts me towards the low wall that runs alongside the country road on which the house borders. I look over the wall and see Stefano in his old place, the shepherd who lives with his flock and family higher up the mountain “Do you want ricotta?” “Cettu” “Un chilu or menzu chilu?” “Menzu” “Accà, pigghiassi” He hands me a hot transparent plastic bag, in which a wheel of ricotta floats in the whey from which it was born "How much it is?" “Two euros” I look at him bewildered. With two euros you can only buy hunger. I pay and kindly bring the ricotta home. I put it in a corner of the kitchen, covering it with a red and white checkered tablecloth. I arrange it around him carefully, as one would do with a newborn. Let's eat. The first course is pasta with fresh tomatoes from the garden. Then I bring the ricotta to the table. We observe it with devotion, smelling the scent of milk and its warmth. It has a white-golden color typical of sheep's ricotta. It is cut with a sigh because it has the consistency of a cloud and slowly melts in the mouth. Nobody talks. The creamy and intense taste stuns thinking, imagining, comparing. It's not ricotta, it's the wind that sows the shrubs on the mountains, the March water that transforms them into flowers, the slow pace of the sheep that follow the sound of the cowbell under the spring sun and the gray clouds that give birth to the rain that they chase in the intense blue of the sky. It is a soft pleasure, like a child's womb, impalpable like sea foam, fairy-tale like a dream in the morning. Fresh ricotta changes and is renewed if you eat it with ground coffee, with chocolate, in cannoli, in the sweet filling of ravioles, with honey or on plain pasta. Alone, when it is fresh it is a perfect soloist, to be admired and enjoyed. It's a kiss with the feeling of milk: soft, warm, tasty, intense. Like milk she is innocent, humble, simple, pure. A poem in one verse and with a thousand rhymes. It evokes the steep hills, the endless woods, the joyful streams, very white clouds in very blue skies. For this reason, the morning event is now the arrival of Stefano and his battered and dusty car, a precious treasure chest full of warm, tender ricotta.
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Day 1
Arrivati al monastero, quello che vedo è straordinario. Uno spazio circondato dalle montagne, perfettamente curato, verde e tranquillo.
Poco distante un centinaio di persone in abiti bianchi. Stanno camminando in fila, molto lentamente. Così lenti che a guardarli da lontano sembrerebbe che siano immobili. Mi viene subito in mente ciò che Emmanuel Carrère descrive nel suo libro “Yoga” in cui racconta, tra le mille altre cose, anche l’esperienza del ritiro Vipassana.
Il pomeriggio è trascorso velocemente e mi sono sentita immensamente serena ed emozionata per ciò che succederà nei prossimi giorni.
Oggi ho conosciuto quasi subito una ragazza in particolare, J., un raggio di sole argentino con cui da subito capisco di condividere molto.
Il Monastero ha delle regole (in foto solo alcune) che ci hanno illustrato appena arrivati. Inizialmente mi è sembrato molto rigido ed ero un po’ titubante…non sapevo nemmeno se potevo camminare sull’erba o sedermi allo stesso tavolo di un uomo.
Dopo essermi confrontata con alcune ragazze e aver ascoltato la presentazione del Monastero da parte della mitica volontaria della reception (una signorotta tedesca che parla inglese sforzandosi di riprodurre un accento thai, boh!), ho ridimensionato il tutto. Anzi, effettivamente in confronto ad altri monasteri questo sembra molto bilanciato e permette di stare in silenzio a chi lo desidera, di meditare moltissime ore al giorno (vedi il programma che segue :D) e far sì che ognuno viva l’esperienza a suo modo.
Alcune peculiarità e rinunce che mi aspettano:
il letto non esiste, si dorme in una camerata con altre 20 ragazze letteralmente per terra, con un materassino spesso 2cm.
Nella nostra stanza vive un topo, che si aggira con gioia e cerca cibo. Oltre al numero infinito di formichine e altri amici della foresta.
Sveglia alle 5:00 IN TEORIA, ma ho il presentimento che la morning meditation in my room verrà sostituita da un pisolotto.
Due pasti al giorno, il primo alle 7 del mattino e l’ultimo alle 11. Vedremo.
Alle 18:00 ho partecipato, insieme alle 150 persone che alloggiano nel Monastero, al momento dei canti e della meditazione serale. Cerco sempre di ritagliarmi un piccolo spazio ogni giorno per fare un po’ di cosiddetta mindfulness, fare un il punto della situazione e riconnettermi. Non si può certo dire però che io sia abituata a meditare ore ed ore quotidianamente, quindi considerando ciò sono riuscita a vivermi serenamente anche i pensieri che a volte arrivano, accogliendoli e osservandoli.
Nei prossimi giorni chiederò il “silent badge”, per provare a ridurre al minimo le parole, per lo meno quelle con gli altri.
Seguono altri aggiornamenti, baci!🍕🍕🍕
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Un altro esempio di giornalismo spazzatura.
Un articolo redatto da ignoranti “ECO-ideologizzati” allo scopo di titillare “l’hindinniazzioneh” di “animalati e Gretini vari”.
Già nel titolo usando il termine “raro”si diffonde la fake news metropolitana che gli orsi bianchi siano in estinzione.
Fregnacce!
Negli anni ‘70, la popolazione di orsi polari era pari a circa 5.000 - 10.000 individui.
Attualmente le stime vanno dai 22.000 ai 31.000 orsi polari a livello globale.
Inoltre l’abbattimento dell’orso vien fatto passare come un atto di pura crudeltà umana.
Altra bufala! Casomai è esattamente il contrario!
In merito, vi invito a leggere perché le autorità islandesi sono giunte a tale decisione.
Altrimenti continuate a fidarvi dei “professionisti dell’informazione”!
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Dalla pagina FB "Un Italiano In Islanda":
Le polemiche riguardo all’abbattimento dell’orso polare arrivato in Islanda l’altro giorno e abbattuto dopo essere stato visto da una signora di 83 anni nel suo giardino in un luogo isolato, sono state forti anche qui. È comprensibile che la morte di un animale così fortemente simbolico susciti indignazione, ed è sicuramente un grande peccato. Tuttavia, le autorità islandesi, come di consueto, hanno spiegato molto chiaramente le ragioni dietro alla scelta. Le riassumo qui sperando di placare le polemiche:
— Premessa: gli orsi arrivano molto raramente su pezzi di ghiaccio staccatisi dalla banchisa e trasportati dalla corrente. I più annegano in mare, ma se il ghiaccio è abbastanza grande e non si scioglie in mezzo al mare approdano in Islanda. L’ultimo era stato nel 2016, prima ce ne erano stati uno nel 2010 e due nel 2008, si tratta dunque di eventi rarissimi.
1) l’orso polare non può sopravvivere in Islanda: ha bisogno di ghiaccio sul mare per cacciare foche mimetizzandosi. Le coste islandesi sono scure. Non è dunque possibile sostenere orsi liberi in Islanda. Non riuscirebbero a cacciare, senza contare che non ci sono tratti di costa disabitati abbastanza grandi da poterne ospitare alcuni senza rischi per la popolazione autoctona.
2) gli esemplari che arrivano in Islanda sono smagriti e stremati. Oltre a renderli ancor più pericolosi, ciò fa sì che le chance di sopravvivenza ad un anestetico siano basse. Anestetizzare un animale debilitato significa spesso ucciderlo.
3) A volte lo stress e l’adrenalina rendono l’anestetico inefficace. Per spararlo bisogna essere ad al massimo 30m. Se l’anestetico non funziona e l’orso carica, va abbattuto comunque.
4) Nel 2008, si provò ad anestetizzarne uno, perché un ente privato si era offerto per coprire i costi di trasporto, ma quello scappò verso il mare. Perderlo di vista significava rischiare che sbucasse in zone popolate, uccidendo qualcuno, per cui lo si è dovuto abbattere.
5) L’orso non può comunque essere addormentato e portato subito da qualche parte per poi mollarlo, come si immaginano alcuni. Deve stare per lungo tempo a riprendersi in una struttura apposita. Nessuna struttura di questo tipo esiste in Islanda, e costruirne una per un orso ogni 10 anni non è realistico in un paese grande un terzo dell’Italia ma con sole 380.000 anime a gestirlo. Una volta acclimatato in una struttura, potrebbe non essere più possibile liberarlo senza che muoia perché non più in grado di sopravvivere da solo, se non cercando la presenza umana, il che porta al punto…
6) una volta rimasto a contatto con le persone, l’orso diventa ancor più pericoloso perché si abitua a loro. Significa che riportarlo in Groenlandia implica il piantare ai groenlandesi una predatore apicale che non ha più alcun problema ad avvicinarsi all’uomo. Per questo i groenlandesi non rivogliono orsi indietro. Il veterinario groenlandese contattato immediatamente dalla autorità islandesi aveva immediatamente posto il rifiuto all’ipotesi di rimpatrio “Se mollate quell’orso in Groenlandia andrà dritto a cercare qualche abitato umano”.
7) l’orso polare non è come gli orsetti marsicani. È importante capire questo: È una macchina omicida. La convivenza con l’uomo è assolutamente preclusa dal fatto che per esso gli uomini sono prede. Non attacca solo per difendere cuccioli o territorio. Attacca per uccidere e mangiare. Non sono animali pacifici che vivono nei loro territori e attaccano solo se disturbati.
8)gli orsi polari portano malattie pericolose per l’uomo.
9) Riportare un esemplare in Groenlandia significherebbe sottoporlo ad uno stress tale per cui rischierebbe comunque di morire. Non sarebbe un viaggio come quelli fatti per spostare fauna africana. Senza contare che in Africa le operazioni di spostamento sono routine, e sono compiute con mesi di preparazione e su esemplari ben conosciuti.
10) Ammesso poi che si optasse per un rimpatrio e che qualche paese lo accettasse, non è che puoi portarlo in un posto a caso dell’artico e lasciarlo. Se l’habitat è ideale, ci saranno già altri orsi, orsi che lo riconoscerebbero come estraneo e che lo ucciderebbero. Oppure potrebbe essere lui ad uccidere orsi nel luogo dove viene lasciato.
11) la popolazione di orsi polari per ora ha buoni numeri (20-30.000 secondo le stime IUCN), e un esemplare abbattuto ogni dieci anni non rischia di comprometterla (sono molti di più quelli che muoiono in mare prima di riuscire ad arrivare in Islanda). La specie sembra anzi in aumento in alcune zone. Il pericolo che la minaccia è il riscaldamento e la perdita di ghiaccio marino, molto più della caccia, che è portata avanti dagli inuit dell’artico secondo un rigido sistema di quote. Non significa che dobbiamo infischiarcene, ma che non ha senso usare l’argomento del “è in via d’estinzione” per criticare la decisione dell’abbattimento.
Nonostante resti il dispiacere per un animale iconico, spero che, dopo queste spiegazioni, cessino le polemiche in merito e si capisca meglio il perché di questa scelta. Non sono solo ragioni di ordine economico, come spero sia chiaro, ma anche sanitario, sociale e ambientalistico, oltre che di buon senso. Questa non è una guerra tra gente che ha a cuore gli animali e gente che li vuole vedere morti. Non dovrebbe esserlo. Si può tranquillamente tenere al benessere animale e accettare che, talvolta, è la soluzione più di buon senso che se ne abbatta uno, senza che ciò significhi sdoganare l’uccisione indiscriminata di qualsiasi animale. La realtà è complessa, cerchiamo di pensare in modo complesso e non scadere sempre nelle letture in bianco e nero.
#orso polare#islanda#Groenlandia#innuit#ghiaccio polare#fregnacce di Repubblica#animalisti ottusi#WWF#animalari salottieri
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Tenere assieme una famiglia
Anna: bellissima mora trentaseienne, madre di due bambini e moglie di Alfredo, lavorava con Michele nell'aziendina di quest'ultimo. Era la sua efficiente e fidata segretaria. Michele, leggermente più basso di Anna, aveva quasi sessant'anni ed era un uomo energico, positivo, in ottima salute, un po’ sovrappeso.
Tutto sommato, era comunque un uomo che aveva un suo innegabile fascino e dei sani appetiti. Sempre gentile e sorridente. Lavorando quotidianamente gomito a gomito, Michele inevitabilmente finì per sentirsi molto attratto da Anna, ma non andava mai oltre qualche garbato apprezzamento.
A un certo punto, la famiglia di Anna subì uno scossone, a causa della inattesa, improvvisa e pesantissima cassa integrazione a metà ore di Alfredo. Budget ridotto all'osso e, più spesso che non, insufficiente ad affrontare le spese di famiglia. Risparmi intaccati: per il mutuo, la scuola e il resto. Certo, Alfredo ogni tanto trovava dei lavoretti in nero, ma nulla di sostanzioso e continuativo. Frustrazione era ciò che sentiva maggiormente.
Quando ormai sempre più di rado egli faceva l'amore con Anna, l'uomo era brusco e sgarbato; quasi a voler ribadire il suo ruolo di maschio, qualora ce ne fosse stato bisogno. Lei si sentiva umiliata per questo. Eppure, solo poco tempo prima lui era un marito gentile e la trattava con i guanti bianchi. La giovane madre, frustrata ma sempre donna assetata di attenzioni, aveva quindi preso ad apprezzare molto i puntuali complimenti di Michele al mattino in ufficio: “come sei bella, oggi; profumi di primavera. Con te qui entra un raggio di sole..." e così via.
Il suo datore di lavoro, avendo appreso dello stato di estrema difficoltà della donna, aveva iniziato a darle un aiuto economico concreto. Ella per orgoglio, seppur debolmente, si era inizialmente opposta ma aveva finito con l'accettare. Quei cinquecento euro al mese che lui le passava in nero erano una sostanziosa boccata d'ossigeno, per il bilancio familiare. E Alfredo era roso dalla gelosia, immaginando chissà cosa. Anna era ferita dalle sue insinuazioni.
In lacrime, si confidò un pomeriggio a fine giornata con Michele, il quale non poté esimersi dall'abbracciarla e stringerla a sé. L'uomo fu letteralmente e inaspettatamente stordito dal profumo e dal contatto col corpo sensuale di quella donna stupenda. Gli venne quindi spontaneo perdere il controllo e baciarla sul collo: lei si staccò subito e gli diede uno schiaffo. Michele, rosso in viso, abbassò il capo e le chiese scusa. Ma oramai in lui era divampato il fuoco del desiderio.
Il giorno dopo ci fu un po’ di imbarazzo, subito dissipato dall'ampio sorriso di Anna: in ufficio ella gli fece una carezza e gli disse che certamente capiva il suo desiderio, ma che era pur sempre una donna sposata. Il fatto vero era che comunque anche in lei iniziava a svilupparsi inesorabile una certa attrazione verso quel bell'uomo, sicuro di sé e solido, che la riempiva di cortesie e che la trattava come ogni donna desidera essere trattata.
Michele, folle di desiderio, un giorno ruppe gli indugi e arrivò ad offrirle trecento euro per un'ora d'amore. Glielo disse in modo delicato e dolce, per non imbarazzarla: “per favore non equivocare. Hai capito che ti desidero da morire e sai che capisco il tuo momento di difficoltà; però io sono qui anche per offrirti un aiuto sostanzioso. Non avrei mai immaginato di fare questa cosa, di dirti ciò che sto per dire, ma l'amore compie miracoli."
"Perciò ti dico solo che vorrei che tu fossi in mia compagnia per un'ora in una stanza. Non sentirti offesa: mi basta la tua semplice presenza fisica in un albergo; ben lontani da questo ufficio. Se vorrai concedermi solo un bacio, io capirò. E mi accontenterò: te lo giuro.”
Lei, contrariamente alle aspettative, dopo qualche esitazione, gli disse di sì e invece di farlo attendere lo baciò subito furtivamente sulla bocca. Poi gli mise le braccia al collo e gli disse: “ti ringrazio per ciò che stai facendo e ti anticipo che avrai ben più di un bacio. Anche perché ultimamente mio marito mi mortifica molto. Sono esasperata e non lo sopporto più. In ogni caso, anche se proprio non dovrei farlo, ti confesso di sentirmi molto attratta da te a mia volta.”
Quello stesso giorno staccarono un po' prima e, per non dare nell'occhio, uscirono ciascuno per conto suo. Andarono in un alberghetto discreto: non appena soli nella camera, lei gli slacciò i pantaloni e inginocchiatasi gli prese in bocca l'uccello. Gli regalò una mezz'ora di vero paradiso. Per il resto del tempo, quella prima volta in massima parte parlarono, mentre lui le baciava e accarezzava il seno e la passera. Lui le confessò che ciò che gli piaceva di quella relazione era il fatto di scopare proprio con lei; con una donna da tutti a ragione considerata moglie e madre esemplare, virtuosa e morigerata.
Le disse che pagando avrebbe potuto avere, senza offesa, donne ben più giovani e forse fisicamente perfette. Che non aveva mai tradito sua moglie. Che il suo oramai era un matrimonio appesantito dalla routine e dalla palese mancanza di interesse da parte della moglie per qualsiasi cosa che riguardasse il sesso. Ma disse anche che lei era ormai la sua droga; che invece di altre donne preferiva comunque invece dare a lei, proprio a lei, un aiuto concreto.
E toccare con un dito il cielo quando lei avesse acconsentito a farsi amare. Anna, dopo gli ovvii scrupoli iniziali, aveva iniziato a provare gusto nel sentirsi scopata ogni giovedì a pagamento; anche perché oramai anche lei non vedeva l'ora di farsi sfondare il culo e riempire la fica e la bocca da quell'uomo che moriva di brama per lei. Che la colmava di regali, complimenti e roventi dichiarazioni d'amore e desiderio: una vera droga per qualsiasi donna.
La storia sarebbe potuta finire qui, se non fosse per il fatto che Alfredo, sospettoso, un giorno pazientemente la aspettò all'uscita dal lavoro sin dalle due di pomeriggio. La seguì, la vide entrare in albergo con Michele. Quando lei tornò a casa da quell'ennesimo appuntamento, la costrinse a dire la verità, ad ammettere la sua relazione, facendola entrare in tutti i dettagli, soprattutto i più intimi. Lei tra le lacrime gli confessò come fosse iniziata. Lo fece anche riflettere su quanto quei soldi in più fossero utili, ovviamente e che non cadevano dal cielo.
Quando vide che il marito ascoltava con interesse estremo, iniziò ad aprirsi, piena di sottile malizia. Si sentiva gran puttana rivelata e scoprì che le piaceva molto umiliarlo, dopo che lui l'aveva trascurata sessualmente e quindi fatta soffrire a lungo. Gli rivelò perciò tutti i particolari dei suoi incontri: quello che piaceva a Michele e quello che lei stessa gli chiedeva di farle. Cose che suo marito neppure immaginave sua moglie potesse neppure pensare! Giochi di sborra, trattenimento del pene ovunque, uso di sex toys, farsi inculare dopo essersi fatta prendere a scudisciate sul culo e a schiaffi sulla fregna, pompini appassionatissimi con ingoio totale.
Si avvide immediatamente che a suo marito sorprendentemente la cosa piaceva da morire. Al punto che lui già quella prima volta a sorpresa e non resistendo più, tirò fuori l'uccello, le si inginocchò davanti, cominciò a masturbarsi piangendo e chiamandola sottovoce: 'puttana, maledetta troia.' E dicendole: 'oramai io per te sono solo un gran cornuto'. Umiliato ma felice, le sborrò sulle caviglie, con grande godimento di lui e un sentimento di pace ritrovata per lei, che lo accarezzò. Erano entrambi in lacrime. Poi Alfredo la portò subito in camera da letto: la desiderava come mai prima. Le leccò immediatamente la fregna a lungo: voleva sentire il sapore e l'odore del seme di Michele direttamente dalla fregna di sua moglie.
A tutt'oggi ormai, ogni volta che Anna torna a casa dall'incontro in albergo, dopo la descrizione minuziosa di tutto ciò che sua moglie ha appena fatto col suo capo, egli desidera subito leccarle la fregna, come antipasto d'amore. Da bravo cornuto, vuole con tutta l'anima assaggiare, ingoiare il seme fresco del maschio che ha scopato la sua donna. Perciò chiudono a chiave i figli piccoli nella cameretta, raccomandando loro di stare buoni per soli cinque minuti davanti alla tv e lui mugolando di piacere la pulisce minuziosamente, ingoiando tutto. Lei viene, tenendogli la testa ben premuta contro la fregna e lo umilia dicendogli cose del tipo: 'oh, come inghiotte bene la sborra del mio capo, il mio marito cornuto! Lui si che è un vero maschio.'
Poi comunque la notte scopano a lungo. Egli ormai la spinge a prostituirsi a Michele, la incita continuamente a intensificare gli appuntamenti, spesso dandole consigli e precise indicazioni su cosa fare e come farlo godere. Anna oggi si trova quindi di nuovo piena di amore e passione per Alfredo, suo marito. Ma anche di voglia di fare del sano e soddisfacente sesso, prendendo ovunque il grosso cazzo di Michele. Il quale è ben felice di godere della giovane madre di famiglia ogni qual volta lo voglia. Pagando, ovviamente. Lei è contentissima come una pasqua, di fare la puttana di un solo uomo in assoluta riservatezza. E di avere a casa un marito che la aspetta, cornuto e contento di esserlo. Non saprebbe dire cosa le piace di più: se il cazzo adorato del suo capo o farsi pulire la fregna, appena surriscaldata e farcita, dalla bocca e dalla lingua di suo marito.
RDA
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"Forse tutti noi abbiamo un limite. Io l'avevo raggiunto. Oltre c'era solo l'abisso. C'era la rinuncia alla vita."
La vita di chi resta - Matteo B. Bianchi
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E TUTTO IL RESTO.
Ci ritroveremo fra sette minuti, caro Nicola e rifaremo tutto da capo. Avevamo detto così, no? Tutto da capo, cristo santo, non vedo l’ora di tornare a Villafalletto, fra quei campi che profumano di olivi e vigneti e terra bagnata e zolle leggere. Roba che quando la tieni fra le mani non puoi fare meno di baciarla, ti viene voglia di amarla davvero, quella terra.
Quando me ne andai presi una manciata e la misi in tasca, è una roba strana da fare, lo so, ma volevo portarmi dietro un ricordo concreto mentre partivo per la maledetta America. Già, la maledetta America, uno se la immagina smisurata e felice e disposta ad amarti. Ci pensi e ti vedi in una casa da muri bianchi e il tetto rosso e spiovente, che deve essere proprio uno spettacolo quando viene Natale. E poi il giardino e la strada alla fine del prato, ma non quelle polverose di Cuneo, no, strade pulite e lisce e infinite. Uno se la immagina piena di possibilità, la maledetta America, una roba che di giorno fai un lavoro dignitoso e la sera te ne stai seduto nel portico a chiacchierare e a bere un vino strano e magari a fumarti una sigaretta e guardi dentro casa la luce oltre la finestra e pensi che forse te la sei meritata davvero quella felicità. Uno se la immagina come il posto ideale in cui mettere radici e incontrare una donna e costruirci insieme un figlio nuovo di zecca e sentire che quello è il migliore dei mondi possibile, è il mondo di quelli che vanno là e ci restano per sempre, perché quella è l’America, amico mio, la maledetta America.
Un giorno l’ho fatto, sono saltato su una nave e sono venuto qui, “La providence” si chiamava, il nome prometteva bene. Uno schifo di viaggio, onde che sembravano uscite dal culo dell’inferno, e noi giù in terza classe a vomitare l’anima, fra le valigie di cartone e i mocciosi con i calzoni corti e le gabbie con le galline e le donne a pregare e i mariti a tirare giù bestemmie come sassate. Che poi un paio di volte l’avevo visto, il mare, e non sembrava così insopportabile, ma qui era un’altra faccenda, qui si trattava del fottuto Atlantico, amico mio, e quello quando ci si mette sa essere davvero cattivo. Me l’aveva detto mio padre una volta: “Attento Trômlin che quell’oceano lì è un gran figlio di puttana”, mi disse così, una volta soltanto e quello fu l’unico tentativo che fece per trattenermi.
Era frenetica, era urlante, era grande, cristo santo se lo era, smisurata da non rendersi conto quanto avresti dovuto camminare per vederne la fine, era ruvida, era diffidente, era fredda. Era New York.
Avrebbero dovuto dircelo, prima di farci rischiare la pelle sul fottuto Atlantico, intendo, doveva venire qualcuno a spiegarci com’era davvero, la maledetta America. Dovevano dirci che se sbarchi da emigrante ti trattano da pezzente e ti smistano insieme alle gabbie delle galline e a tutto il resto. Ti parcheggiano lì e ti urlano contro e tu non capisci una parola e quelli urlano ancora di più e ti spintonando come a ricacciartela in gola la tua dignità. Dovevano dirci che no, non c’è niente da fare, se sbarchi da emigrante non c’è modo di uscire da quel sobborgo popolato da valigie di cartone e gabbie e galline. E pezzenti. Era questa, la maledetta America.
E ci ho provato, amico mio, a tirarmi fuori da quello schifo di sobborgo. Ho dormito per strada, cristo santo se l’ho fatto, con il treno della sopraelevata che mi sferragliava sulla testa e le macchine che neanche si fermavano e la gente che rispondeva e il freddo e il tram e la maledetta America. E tutto il resto.
Ci ho provato, ho servito ai tavoli della gente che sta bene, mi sono bruciato i polmoni nella cave e logorato le mani in quella fottuta fabbrica di cordami. Alla fine mi sono stancato di prendere spintoni, penso sia normale incazzarsi un po’ e ho scoperto di non essere l’unico e che potevamo fare qualcosa e poi ho incontrato te. E tutto il resto.
Ma questo posto non li sopporta i pezzenti che alzano la voce, qui devi stare al posto tuo, fare la tua parte e crepare senza disturbare nessuno. Avrebbero dovuto dircelo, amico mio, che qui vincono sempre loro, questi sono capaci di metterti in casa una rivoltella e convincere il mondo intero che sei un delinquente e che mesi prima hai ammazzato un tizio di una banca e devi pagarla cara. E tutto il resto.
Dovevano dircelo di non pensarci neanche alla dignità, che se provi a farti rispettare va a finire che qui qualcuno si indispettisce e si mette a starnazzare frasi cattive sugli stranieri, come se essere emigranti fosse una colpa. Dovevano dircelo che per sentirsi migliori un sistema l’avrebbero trovato e che saremmo finiti su questa fottuta sedia, a farci friggere come stronzi, per un crimine che neanche abbiamo capito bene quale sia. Il tizio della banca, hanno detto che siamo stati noi, mi pare di aver capito così, che poi neanche sappiamo dove sia quella diavolo di banca. Ma dice che questo non importa, siamo stati noi e dobbiamo pagarla cara e gli emigranti sono tutti delinquenti e l’America ha il diritto di dormire tranquilla e che questo è in assoluto il migliore dei mondi. La maledetta America.
Sono passati sette minuti caro Nicola e sto arrivando, hanno appena dato il segnale, sto tornando lì, fatti trovare pronto che dobbiamo fare tutto da capo. Con questa manciata di terra nella tasca che mi porto dietro da tutta la vita e il fottuto Atlantico e la maledetta America. E tutto il resto.
“Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra, non augurerei a nessuna di queste creature ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un anarchico, e davvero io sono un anarchico, ho sofferto perché sono un italiano, e davvero io sono un italiano. Se voi poteste giustiziarmi due volte, e se potessi rinascere altre due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già”. (dal discorso di Bartolomeo Vanzetti prima di essere giustiziato sulla sedia elettrica a sette minuti di distanza da Nicola Sacco. Questo brano è per loro e per tutti quelli che sono calpestati).
Francesco Lollerini
23 Agosto 1927
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“Anch’io mi sentivo comodo nella nostra casa-libreria. Qualcun altro avrebbe potuto dire che gli “piaceva” o persino che l’“amava”, ma nel mio vocabolario, “comodo” era sicuramente il termine più azzeccato. A voler essere più precisi, mi sentivo connesso all’odore dei libri vecchi. La prima volta che li avevo annusati era stato come se avessi trovato qualcosa che conoscevo già. Aprivo i libri a caso e li annusavo ogni volta che potevo, mentre la nonna mi sgridava, chiedendomi che senso avesse annusare vecchi libri ammuffiti. I libri mi portavano in posti dove altrimenti non sarei mai potuto andare. Condividevano le confessioni di persone che non avrei mai conosciuto e gli episodi di vite a cui non avrei mai assistito. Le emozioni che non avrei mai potuto provare e gli eventi che non avevo vissuto di persona si trovavano tutti racchiusi in quei volumi. Ed erano diversi per natura dagli spettacoli in tv e dai film.Il mondo dei film, delle soap e dei cartoni era già così dettagliato che non c’erano più spazi bianchi da riempire. Le storie sullo schermo esistevano esattamente come erano state filmate e disegnate.Per esempio, se in un libro c’era la descrizione: “Una signora bionda siede a gambe incrociate su un cuscino marrone dentro una casa esagonale”, un adattamento visivo avrebbe contemplato anche tutto il resto, dalla tonalità della sua pelle all’espressione, fino alla lunghezza delle sue unghie. Non restava niente da cambiare in quel mondo.Invece con i libri era diverso. Erano pieni di spazi bianchi. Spazi bianchi tra le parole e anche tra le righe. Potevo stringermi lì dentro e sedermi, oppure camminare, o scarabocchiare i miei pensieri. Poco importava se non avevo idea di cosa significassero le parole. Girare le pagine era solo metà dell’opera.
“Ti amerò per sempre. Anche se non potrò mai sapere se il mio amore sarà peccato, veleno o miele, non smetterò mai di fare questo viaggio d’amore per te.”
Le parole non mi dicevano un bel niente, ma non importava. Mi bastava che i miei occhi si muovessero da una parola all’altra. Annusavo i libri, con gli occhi che seguivano lentamente la forma e i tratti di ogni lettera. Per me, era sacro come mangiare le mandorle. Quando mi ero soffermato con gli occhi su un carattere abbastanza a lungo, lo leggevo a voce alta: Ti, amerò, per, sempre. Anche se, non, potrò mai, sapere se, il, mio, amore-sarà, peccato, veleno-o, miele, non smetterò, mai, di fare, questo viag-,gio, d’amore per,-te. Masticavo le lettere, le assaporavo, poi le sputavo fuori con la voce. Continuavo a farlo finché non le avevo imparate tutte a memoria. Quando ripeti la stessa parola ancora e ancora, viene un momento in cui il suo significato sbiadisce. Poi a un certo punto le lettere vanno oltre le lettere e le parole oltre le parole. Cominciano a suonare come una lingua straniera, priva di significato. È proprio allora che parole incomprensibili come “amore” o “eternità” iniziano a parlarmi. Raccontai alla mamma di questo giochino buffo.«Qualsiasi cosa perde significato se la ripeti abbastanza a lungo» mi spiegò. «All’inizio ti sembra di capire come funziona, ma poi, a lungo andare, ti pare che il significato cambi e piano piano si offuschi, finché alla fine non si perde del tutto. Sì, è come se diventasse tutto bianco.»
Amore, Amore, Amore, Amore, Amore, Amo, re, Amooo, reee, Amore, AmorAmo,-rAmo.Eternità, Eternità, Eternità, Eter,-nità, Eeeter,-niità.
E qui i significati erano spariti. Proprio come dentro la mia testa, che era stata un foglio bianco sin dal primo giorno.”
ALMOND.COME UNA MANDORLA
~ WON-PYUNG SOHNYY~
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