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“Avere la pazienza del pane” di Benedetta Sanna (Eretica Edizioni, 2024. Recensione a cura di Rita Bompadre
“Avere la pazienza del pane” di Benedetta Sanna (Eretica Edizioni, 2024 pp. 68 € 15.00)
“Avere la pazienza del pane” di Benedetta Sanna (Eretica Edizioni, 2024 pp. 68 € 15.00) discioglie l’origine del fermento esistenziale mescolando gli ingredienti con un espediente indispensabile per far maturare l’amalgama emotivo attraverso la fragranza dei versi e il profumo della memoria. Benedetta Sanna concede il suo tempo interiore nella preparazione di una riflessione umana, lungo il…
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Mi piaci se taci...
Mi piaci solo se mi baci...
Così taci...
Conoscevo un uomo... E nella mia testa mi ripetevo sempre queste parole quando stavo con lui... Alla fine iniziavo io a baciarlo... Per non stare ad ascoltarlo... Era di una bellezza incantevole... Ma anche di un' ignoranza incredibile... Quando apriva la bocca perdeva ogni fascino tanto erano stupide e vuote le sue parole... Inutile dire che lo incontrai solo tre volte... Nessuna bellezza poteva coprire il vuoto del suo animo... Nessun bel fisico poteva competere con il vuoto delle sue parole... L'intelligenza è sempre il più bel dono... Lui non lo aveva mai ricevuto però...
~ Virginia ~
I like you if you're silent... I only like you if you kiss me... So shut up... I knew a man... And in my head I always repeated these words to myself when I was with him... In the end I started kissing him... So as not to listen to him... He was of an enchanting beauty... But also an incredible ignorance... When he opened his mouth he lost all charm, his words were so stupid and empty... Needless to say, I only met him three times... No beauty could cover the emptiness of his soul... No beauty physical could compete with the emptiness of his words... Intelligence is always the best gift... Him he never received it though...
~ Virginia ~
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Lettere e Latino
Anna frequentava l'ultimo anno del liceo classico. Era stata eletta Reginetta d'Istituto per la sua bellezza prorompente. Alta 1,75 per 55 kg di peso; forme distribuite da uno scultore, grazia assoluta nelle movenze e nel porsi con gli altri. Nessun problema con compagne, compagni o altri al mondo. Ma il prof. Sasso, suo insegnante di Lettere e Latino, le stava sulle palle da sempre: inflessibile, distante e asettico. Incorruttibile. Al punto di dare agli allievi del 'lei' durante ogni possibile forma di contatto, interrogazione od occasionale che fosse. Quell'anno fu per lei particolarmente duro, non solo per gli esami di stato, ma soprattutto perché proprio poco prima degli esami perse il padre. Tra tutti, il più comprensivo e cruciale inaspettatamente per lei fu proprio lui: il prof. Sasso.
Che la prese da parte in più occasioni. Cercò di indirizzarla verso un percorso psicologico di recupero e autoanalisi, al fine di re-instradarla su un binario di minima, ritrovata serenità. Il prof. Sasso: cinquantenne, un pizzico di stempiatura e di grigio sulla testa. Bassino: 1,65 di vitalità e con regolare pancetta dell'appagamento, malgrado il molto sport ancora praticato con assiduità. Scapolo riservatissimo: pochi ed esclusivi hobby. Le parlò tra una lezione e l'altra spesso di cose alte e belle. Le consigliò alcuni testi buddisti, tra cui riteneva il più essenziale "The Buddha in daily life" di R. Causton. Non gliene parlò per farle cambiare religione, ma perché sono quelli che ti sussurrano direttamente all'anima. E poi tu metabolizzi. Qualcosa di bello e buono ti resta comunque dentro.
Le indicò poi altri testi fondamentali: “Il Palpito dell'Uno” e “Nel nome dell'Uno” di Angelo Bona. Da confrontare in un secondo tempo con “Molte vite, un'anima sola” e “Molte vite, molti maestri” di Brian Weiss. E altro ancora, di questi e altri autori. Le aveva dato l'incarico, a tempo perso, di fare un parallelo tra l'approccio europeo all'argomento trasmigrazione delle anime, alto e filosofico, rispetto a quello decisamente più terapeutico e concreto, pragmatico del collega americano. Sapeva che poi degli autori suggeriti sicuramente la giovane avrebbe acquistato anche altri titoli. E che così avrebbe allargato molto i suoi orizzonti.
Avrebbe imparato a guardarsi dall'alto. Invitandola a leggere, le parlò a lungo dei percorsi delle anime e le garantì che avrebbe ritrovato il suo papà, prima o poi. Lei bevve letteralmente le parole del prof. Sasso e vi si aggrappò con tutta sé stessa. Iniziò le letture e divorò i libri: era tutto come lui le aveva detto ed era ansiosa di parlargli ogni giorno. Le anime sono assetate di reminiscenza e captano al volo le oasi di pace lungo il percorso terreno, quando le trovano. Sentiva ora per il prof. Sasso un sentimento misto tra attrazione e gratitudine ed era perciò molto sorpresa. Doveva vederlo, toccarlo, parlargli, sorridergli. Voleva affascinarlo. Si recò quindi un pomeriggio a casa sua.
Lui fu molto lieto della visita e gli occhi gli sorrisero, nel vederla. Era oggettivamente un esemplare di donna spettacolare, seppur molto giovane. La fece accomodare in salotto e andò in cucina a prendere qualcosa da bere; quando tornò la trovò come una fiera selvaggia: bellissima e nuda, accovacciata sul divano. Col sesso in bella evidenza! Rimase interdetto e bloccato: “signorina Anna, ma cosa fa… si rivesta immediatamente…” però non mostrava troppa convinzione. Era stupito ma ipnotizzato ed estasiato.
Non poteva credere a un regalo così bello proprio per lui. Non l'avrebbe mai confessato, ma quella ragazza era stata spesso oggetto delle sue fantasie, durante i suoi privatissimi momenti di felicità solitaria. L'aveva desiderata intensamente. Fu lei a sbloccare l'impasse e gli diede del tu: “ma che dici, Sasso: sei matto? Ti sto offrendo la cosa più bella e dolce che ho, qualcosa per cui tutti i ragazzi dell'Istituto farebbero la fila e tu mi dici di rivestirmi? Ti dico io cosa farai: ora ti inginocchierai subito, me la mangerai finché vorrò e poi forse ti regalerò qualcos'altro che gradirai moltissimo…”
Il prof. Sasso come un automa si inginocchiò e non poté fare a meno di obbedire, da studente modello, alla neo-professoressa. Promossa sul campo per meriti erotici. Ella godette dell'uomo e del suo scrupoloso leccarle la passera, ma forse ebbe maggior piacere per il potere che finalmente aveva su di lui. Comunque, dopo una mezz'ora si alzò e lo trascinò in camera da letto. Si fece montare come lei preferiva: a pecorina. Lo fece godere, godere e godere: voleva sinceramente ricambiarlo delle cure avute per la sua anima. Lo rese esausto ma felice. Lo accolse anche nel suo stupendo culo e lui una volta entrato lì dentro, in quel piccolo antro delle delizie, pensò sinceramente di aver così toccato il paradiso. Anche perché mentre la inculava teneva le mani a coppa su quei piccoli seni morbidi e perfetti.
La sorreggeva delicatamente. Subito a seguire, mentre la baciava e scopava in modo più tradizionale, di quelle mammelle acerbe ne avrebbe assaggiato il dolce sapore e annusato l'odore meraviglioso, cose che gli si sarebbero conficcate nell'anima per la vita. Il giorno dopo tutto tornò uguale a prima. Anna finalmente, grazie al prof. Sasso aveva ritrovato un po' di pace e speranza nel domani. L'uomo di converso aveva capito, dopo averlo soltanto studiato e quasi al tramonto del proprio percorso esistenziale, cosa vuol dire veramente innamorarsi. Provava la sensazione frizzante di sentire il cuore che impazzisce dalla voglia di dirle continuamente che lei era la cosa più bella mai capitatagli. E tramite messaggi ringraziava la sua giovane insegnante.
Era lacerato dentro, dalle esigenze del suo cuore, dalla sua brama di possederla nuovamente e dalla paura che qualcosa potesse incrinare la sua rispettabile, integerrima facciata di serio professore mostrata pubblicamente. Quindi, le chiedeva ogni volta di non contattarlo più: non sta bene, la differenza d'età, il decoro, la reputazione, l'etica. Lei se lo rigirava con sapienti capriole di parole e infine concludeva invariabilmente con: "a che ora ci vediamo stasera per… l'ultima volta? Me la vorrai concedere, no?"
E il gioco del "rimorso che fa a tira-la-corda col desiderio" ricominciava uguale il giorno dopo. Ma era il secondo a vincere. Sempre. E la storia andò avanti. Non avrebbero più smesso, fino a che lei non si trasferì in un'altra città per l'università. Però anche Anna sentiva dentro il profondo bisogno del Prof. Sasso e quando tornava a casa, la prima persona che andava a trovare era sempre lui.
Quei due si amavano veramente. Scherzavano di continuo, come sedicenni. Due anime probabilmente legate da secoli, peregrinano nello spazio e nel tempo. Cercandosi inconsciamente. E perciò quando si ritrovano nella contemporaneità di un periodo non si lasciano più. A dispetto di convenzioni, età anagrafica e ostacoli vari che si frappongano sul cammino dell'amore.
RDA
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Il femminile sacro è il portatore della Verità. La Verità per trovare strada può anche esercitare forza, sdegno, caparbietà, disgregazione di regole, contesti e relazioni.
Purtroppo queste attivazioni sono il più delle volte incarnate in distorsioni e corruzione, perciò quasi mai apportano purezza e sono finalizzate all'espressione del vero.
Le donne che gridano ai quattro venti la loro autorità comportandosi con meschinità, manipolazione, strafottenza, ricatti, menzogne, vendetta e furia, sono tutte manifestazioni della stessa distorsione. Sono portatrici di un ego distorto e spesso malato, ovvero irrecuperabile dal punto di vista del programma sacro. Sono tali perché scambiano il potere malato col valore, a prescindere e solo per i propri comodi.
Queste donne sono in parte il prodotto degli uomini (distorti) e in altra il frutto del femminismo altrettanto distorto.
Chi cerca di rapportarsi a loro deve abbassarsi e "obbedire", altrimenti viene scartato, usato o deriso.
É una forza potentissima che si abbatte solo con l'indifferenza e l'assenza di riconoscimento. Salvo i casi in cui è la donna a volere uscire dalla sua convinzione (situazioni molto rare).
Per abbattimento non intendo forme di violenza, né fisica, né verbale. Bensì l'azione del distacco, ovvero l'allontanamento da quel tipo di attività che in nessun modo ha rispetto del prossimo e pratica superiorità subdola, vanità per bellezza e falso valore personale.
Questo come sempre vale anche nelle piccole cose, perché di certo se nessuno nutre l'ego di una distorta, dal più stupido video su TikTok al suo più grande messaggio globale, la distorta deve vedersela con la realtà, e a quel punto:
o ridimensiona e corregge sé stessa osservando l'immondizia che vomita nel mondo
o si auto annienta e scompare.
Ci sono tante donne ormai totalmente fuorviate da un senso del potere fasullo ed esasperato, purtroppo moltissime insegnano anche "tecniche" varie. Hanno canali seguitissimi, ringraziamenti da chi prendendole come esempio diventa una copia anche peggiore.
Purtroppo in una società priva di discernimento il distacco è un atto difficilissimo e non capito, proprio perché la maggioranza di chi pensa di essere perlomeno razionale, in realtà non sceglie quasi mai per logica, ma per simpatia, amplificazione di paure, diniego di ferite e scorciatoie.
In poche parole per emotività infantile e mal gestita.
(questo è un post sulla responsabilità femminile, chi vuole rispondere incolpando gli uomini significa che cerca giustificazioni e ha mal capito il testo).
#zombie#società#società malata#svegliatevi#aprite gli occhi#sistema#verità#schiavi#ego#illusioni#violenza#donne#distorsioni#disfunzioni#mondo marcio#rincoglioniti#discernimento#lavoro su di sè#distacco#allontanamento#osservazione#consapevolezza#tik tok#femminile#maschile#matrix
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(Caprichos di Francisco Goya, l’Asino)
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«Il Quoziente Intellettivo medio della popolazione mondiale sta diminuendo nell’ultimo ventennio.
Una delle cause è l'impoverimento del linguaggio.
Diversi studi dimostrano infatti la correlazione tra la diminuzione della conoscenza lessicale (e l'impoverimento della lingua) e la capacità di elaborare e formulare un pensiero complesso.
La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: incapace di proiezioni nel tempo.
Un altro esempio: eliminare la parola "signorina" (ormai desueta) non vuol dire solo rinunciare all'estetica di una parola, ma anche promuovere involontariamente l'idea che tra una bambina e una donna non ci siano fasi intermedie.
Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero.
Gli studi hanno dimostrato come parte della violenza nella sfera pubblica e privata derivi direttamente dall'incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole.
Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare.
La storia è ricca di esempi e molti libri (1984, di George Orwell; Fahrenheit 451, di Ray Bradbury) hanno raccontato come tutti i regimi totalitari abbiano sempre ostacolato il pensiero attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole.
Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E non c'è pensiero senza parole.
Facciamo parlare, leggere e scrivere i nostri figli, i nostri studenti. Insegniamo e praticare la lingua nelle sue forme più diverse. Anche se sembra complicata. Soprattutto se è complicata.
Perché in questo sforzo c'è la libertà.
Coloro che affermano la necessità di semplificare l'ortografia, sfrondare la lingua dei suoi “difetti”, abolire i generi, i tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità, sono i veri artefici dell’impoverimento della mente umana.
Non c'è libertà senza necessità.
Non c’è bellezza senza il pensiero della bellezza.»
Christophe Clavé
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Ho spento la televisione, la cronaca, le brutture, il gossip, le sciocchezze; ho spento tutte le voci che raccontano fatti, fatti, fatti, sempre e solo fatti, ed ho iniziato ad ascoltare le parole belle, quelle che ti scavano dentro, che ti mettono in crisi davvero, che creano nella tua anima grandi orizzonti in cui puoi ancora correre e sognare.
Ho spento delusioni, amarezze, speranze, ricordi tristi, e tengo accesa la bellezza delle piccole cose, di quelle fatte a mano dove conta solo l’amore.
Ho spento la luce e acceso una candela perché mi ricorda che, se vuoi fare luce, devi consumarti e non trattenerti.
Ho spento tanti fari e tengo accese le stelle perché mi obbligano a guardare in alto e a sognare, mi ricordano che siamo fatti di desideri e non di piccolezze.
Ho spento l’egoismo e tengo aperte le mani perché due mani aperte raccolgono più cose, più cuori, più gioia, più dolore da consolare.
Ho spento le critiche, le chiacchere, gli abusi di parole e tengo acceso il silenzio perché solo lì senti cose inaudite.
Ho spento la rabbia e tengo accesi i sorrisi caso mai qualcuno ne avesse bisogno.
Ho spento l’arroganza, la saccenteria, le pretese e tengo accesa la tenerezza perché è così che posso guarire gli altri.
E poi ho spento la paura perché non esiste nessuno che può rubare la mia libertà.
Filippo Rubini
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" «Con la cultura non si mangia» ha dichiarato […] Tremonti il 14 ottobre 2010. Poi, non contento, ha aggiunto: «Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia». Che umorista. Che statista. Meno male che c’è gente come lui, che pensa ai sacrosanti danè. E infatti, con assoluta coerenza, Tremonti ha tagliato un miliardo e mezzo di euro alle università e otto miliardi alla scuola di primo e secondo livello, per non parlare del Fus, il Fondo unico per lo spettacolo e altre inutili istituzioni consimili. Meno male. Sennò, signora mia, dove saremmo andati a finire?
In questi ultimi anni, però, l’ex socialista Tremonti non è stato il solo uomo politico a pronunciarsi sui rapporti tra cultura ed economia. Per esempio, l’ex ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha sostenuto che per i laureati non c’è mercato e che la colpa della disoccupazione giovanile è dei genitori che vogliono i figli dottori invece che artigiani. Sapesse, contessa… E il filosofo estetico Stefano Zecchi, in servizio permanente effettivo nel centrodestra, ha chiuso in bellezza, come del resto gli compete per questioni professionali: ha detto che in Italia i laureati sono troppi. Insomma, non c’è dubbio che la destra italiana abbia sposato la cultura della non cultura e (chissà?) magari già immagina un ritorno al tempo dell'imperatore Costantino, quando la mobilità sociale fu bloccata per legge e ai figli era concesso fare solo il lavoro dei padri. (Non lo sapeva, professor Sacconi? Potrebbe essere un’idea…) E la sinistra o come diavolo si chiama adesso? Parole, parole, parole. Non c’è uno dei suoi esponenti che, dal governo o dall'opposizione, non abbia fatto intensi e pomposi proclami sull'importanza della cultura, dell'innovazione, dell'istruzione, della formazione, della ricerca e via di questo passo, ma poi, stringi stringi, non ce n’è stato uno (be’, non esageriamo: magari qualcuno c’è stato…) che non abbia tagliato i fondi alla cultura, all'innovazione, all'istruzione, alla formazione, alla ricerca e via di questo passo. Per esempio, nel programma di governo dell'Unione per il 2006 si diceva: «Il nostro Paese possiede un’inestimabile ricchezza culturale che in una società postindustriale può diventare la fonte primaria di una crescita sociale ed economica diffusa. La cultura è un fattore fondamentale di coesione e di integrazione sociale. Le attività culturali stimolano l’economia e le attività produttive: il loro indotto aumenta gli scambi, il reddito, l’occupazione. Un indotto che, per qualità e dimensioni, non è conseguibile con altre attività: la cultura è una fonte unica e irripetibile di sviluppo economico». Magnifico, no? Poi l’Unione (o come diavolo si chiamava allora) vinse le elezioni e andò al governo. La prima legge finanziaria, quella per il 2007, tagliò di trecento milioni i fondi per le università. Bel colpo. Ci furono minacce di dimissioni del ministro per l’Università e la Ricerca, Fabio Mussi. Ma le minacce non servirono. Tant’è che, nella successiva legge di bilancio, furono sottratti altri trenta milioni dal capitolo università a favore… degli autotrasportatori. E inoltre, come scrivono Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi, nel 2006 con il governo Prodi «c’è stato un calo del trenta per cento circa dei finanziamenti, cosicché il già non generoso sostegno alla ricerca di base è diminuito, da circa centotrenta a poco più di ottanta milioni di euro, proprio nel periodo in cui al governo si è insediato lo schieramento politico che, almeno a parole, ha sempre manifestato un grande interesse per la ricerca». Certo, dopo quanto avevano scritto nel programma, non sarebbe stato chic e «progressista» avere la faccia tosta di dire che bisognava sottrarre risorse alla scuola e all'università, e allora non l’hanno detto. Però l’hanno fatto, eccome. "
Bruno Arpaia e Pietro Greco, La cultura si mangia, Guanda (collana Le Fenici Rosse), 2013¹ [Libro elettronico]
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Sapevate che… nella Divina commedia c’è una frase che pochi conoscono ma è la più bella definizione di amore mai data in tutta la storia della letteratura!
Ecco, siamo nel terzo Cielo del Paradiso. E a un certo punto Dante mentre parla con lo spirito di un beato, Folchetto da Marsiglia, usa questa parola «intuarsi»: «s’io m’intuassi, come tu t’inmii». Intuarsi è una parola straordinaria! Ma cosa significa?
Significa entrare nel cuore e nella mente dell’altra persona. Da due diventare uno. Intuarsi non significa annullarsi nell’altra persona, ma indossare, anche per un istante, la sua pelle, la sua anima. E permettere all’altro di fare lo stesso con noi. Perché l’amore è questo: reciprocità. Tendere la mano verso l’altro. Entrare dentro l’altro. Solo chi ama conosce e solo chi conosce ama. Intuarsi esprime qualcosa che noi abbiamo perduto, il senso delle relazioni tra le persone. La forza del «noi». In una società che sa dire soltanto «io», abbiamo bisogno di tornare a «intuarci» l’uno nell’altro.
Ma questa parola racchiude anche un altro segreto, come «Inforsarsi». O «il bellissimo «insemprarsi», star dentro l’eternità, o ancora «incielarsi»diventare tutt’uno con il cielo. Cosa hanno in comune queste parole? Ecco, quando Dante usa la parola «inforsarsi» non dice soltanto sono in forse ma sono «dentro» il forse. Perché l’unico modo per capire e amare è essere «dentro» le cose.
Come quando fai l’amore. Essere dentro una sensazione, uno stato d’animo, un’emozione con tutto te stesso, fino a diventare quell’emozione. Fino a sentirla con ogni fibra del tuo essere, della tua mente e del tuo cuore. Capite ora la bellezza di queste parole? In un’epoca di superficialità estrema, di relazioni poco profonde, di sentimenti vuoti, in un’epoca in cui ci teniamo sempre a distanza e siamo lontani dal cuore delle cose, Dante ci ricorda l’importanza di sentire intensamente. Di amare fortissimamente. Straordinario, no?
Guendalina Middei - Professor X
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Come una finestra sul mondo: la poesia di Alda Merini che parla all'anima. Recensione di Alessandria today
Scopri una poesia inedita scritta nello stile inconfondibile di Alda Merini, accompagnata da una riflessione sul suo eterno potere di parlare al cuore.
Scopri una poesia inedita scritta nello stile inconfondibile di Alda Merini, accompagnata da una riflessione sul suo eterno potere di parlare al cuore. Recensione: L’eternità della poesia di Alda Merini Alda Merini è una delle voci più straordinarie della letteratura italiana, capace di trasformare le emozioni più profonde in versi che toccano l’anima. La sua poesia è una finestra aperta sul…
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Oltrepasso la soglia dei miei 50anni e vergine di social, scelgo tumblr, in cerca di aforismi; da sempre affascinata dal potere delle parole, alla ricerca dell'orgasmico piacere di una frase giusta detta al momento giusto. Mi tuffo nel gomitolo...mi affaccio alle vostre finestre e trovo vite...trovo persone con cicatrici vistose che si arrossano ancora al sole cocente del tritacarne, chiamato vita, in cui ci muoviamo o con ferite ancora aperte e sanguinanti, esposte alla fame delle prede...trovo cuori lacerati, cervelli in panico, mani protese a cercare altre mani per farsi risollevare...trovo corpi senza forze, che si lasciano schiacciare da un mondo che corre troppo in fretta, senza rispetto per chi non ce la fa, senza attesa x chi resta indietro...trovo anime a brandelli che si sentono sole ma che hanno paura del contatto di altre anime sole...spaventate, uccise, morenti...
Cercavo parole ed ho trovato vite silenziose che parlano più di tutte le parole dell'intero universo...che libro l'umanità....quante pagine siamo in questo mondo...non basta un'enciclopedia per racchiuderci tutti...
Questo è un omaggio a tutti voi...al popolo Tumblr...a voi trovati per caso nel libro della mia vita... Solleviamo i nostri capi e guardiamoci per un attimo negli occhi....attraverso gli occhi si arriva all' anima....magari capita di scoprire nell' altro la nostra stessa sofferenza e in modo ridicolo sentirci un pochino sollevati dal condividere lo stesso tipo di dolore. Usciamo a guardare l'alba tutti insieme...ognuno la vedrà diversa attraverso i propri occhi, xchè ognuno è diverso ed è questa la nostra 'grande bellezza'.
Buona giornata a tutti voi...a tutti noi! ❤️
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Possiede la rara capacità di apprezzare a pelle la bellezza delle cose normali, una dote che la natura sembra concedere a quelli che non hanno parole per esprimerla.
David Foster Wallace
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Ciò che ho amato di lei
La trovai qualche anno fa, senza neppure cercarla. In panetteria. Come capita con tutte le cose veramente importanti delle nostre vite: scelgono loro dove trovarti e quando, perché semplicemente ti devono arrivare. Fu, la nostra, una storia qualsiasi. Tra due anime a caso su sette miliardi. In questo emisfero terrestre, nello stesso quartiere. Si sviluppò da subito una fortissima e magnetica attrazione, tra noi. Ne apprezzavo la discrezione e i sorrisi imbarazzati, sottintesi.
I modi controllati e assolutamente raffinati. Pian piano, l’aiutai a liberare in lei la sua versione più istintuale, soffocata e ingabbiata. Dai pregiudizi e dal bisogno di essere accettata dai suoi genitori, dai suoi modelli di vita. A Lucia ho insegnato che non deve nulla a nessuno, tranne che forse alla sua vera natura e ai suoi desideri. Che tutte le voglie sono lecite, sacrosante e vanno soddisfatte, a meno che non siano dannose per qualcuno.
E quindi giù domande:
-e allora l’amore? Se poi improvvisamente amo qualcun altro e poi tu soffri?
-fallo: lasciami. Capirò.
-ma che dici, scemo… e la lealtà, la coerenza, il rispetto…
-tutte cazzate messe su carta da chi non ha mai amato. L’amore è l’unica variabile caleidoscopica, imprevedibile e spietata nelle nostre vite. Nessuno che se ne sia mai lamentato, però…
-la gratitudine?
-certo: la gratitudine deve essere ovvia, ma non può trasformarsi in una invisibile ma pesante catena che ti condizioni nelle scelte, nei gusti; qualcosa che ti impedisca di vivere da donna libera, che ti faccia sentire vincolata a chi ti ha fatto del bene. Aiutare, fare del bene significano infatti semplicemente rendere libero qualcuno; nel corpo e nella mente. Solo questo. Altrimenti non è fare del bene: è mettere delle ipoteche sul cuore e sulla vita di quella persona. Pretendendo poi di riscuotere di continuo dei dividendi. Potremmo chiamarlo strozzinaggio dell’anima, direi. Ecco, si! Quindi, anche se si tratta di forzare la tua natura gentile, alla fine se proprio devi, per tagliare i legami tossici della mente sentiti pure libera di alzare il dito medio a chi ti ha ingabbiata nella sua rete di follia mentale. Credendo magari di farlo “per il tuo bene” e addirittura in buona fede.
Mi ascoltava e beveva le mie parole. “Un uomo è già mezzo innamorato di una donna che lo ascolti.” Certo: è proprio vero, giuro. E io quindi l’amavo ogni giorno di più. Crebbe anche sessualmente. Moltissimo. Sapeva fare cose che neanche una contorsionista innamorata... Lasciai il mio monolocale e mi trasferii da lei, nel suo appartamento più grande del mio, per vivere insieme. Iniziai a sentirmi sempre meno il maestro e ogni giorno di più l’allievo.
Era divenuta esperta nella stimolazione erotica: visiva e sensoriale in genere. Mi insegnava cose incredibili. Mi faceva godere da matti. Si dice che ogni uomo cerchi solo una donna bella e che voglia fare tanto sesso, fino a quando… non la trova! Comunque, posso dire che ci siamo amati senza barriere, limiti, pregiudizi o gelosie. Non volevo che lei.
Non cercavo che il suo corpo. Non amavo altre cose che non fossero il suo odore, le sue forme. Il suo seno poi era per me una vera fissazione. Lucia lo sapeva e ogni tanto, a tradimento e con la scusa di dover prendere qualcosa, mi sfiorava coi capezzoli turgidi il petto, il viso o la schiena. Questo dava regolarmente inizio a una mia incontenibile eccitazione. Non c’era pomeriggio in cui non finissimo a letto per amarci prima di cena. Anche quando avevamo avuto di che discutere. Anzi: quello dava più sapore all’amore.
Quella donna era un raro compendio di grazia, bellezza, forza e infine fiera, conscia sottomissione. La donna perfetta. Per me che sono pieno di difetti, fisse e debolezze atroci che mi mangiano da dentro. Durò fino a quando due anni fa per l’università non venne a vivere con noi Elena, sua sorella minore. Fui stoico: resistetti fino a che mi fu possibile. Ma quella ragazza era attraente nell'anima, oltre che nel corpo; mi prese il cuore da subito e pian piano me lo accartocciò.
Con un semplice sguardo mi passava da parte a parte. E lo sapeva, la piccola maliziosa. Mi fece a pezzi i ventricoli, dopo avermeli virtualmente leccati a lungo. Ogni tanto, se eravamo soli, si scopriva il seno, poi apriva la bocca e cacciava tutta la lingua fuori, nella posizione di ricevimento del seme per dieci secondi. E mi guardava fisso negli occhi. Oppure mi faceva vedere le sue grazie in trasparenza. Una dolce tortura. Restavo senza fiato e lei si divertiva. 'Ma io scherzavo', diceva. Per me lei invece costituiva un'inversione dei poli dell’asse terrestre.
Elena era fidanzata, al paesello. In città perciò si sentiva più libera. In breve, divenni segretamente cotto di lei. Be’, tra noi in ogni caso ci fu solo un bacio; languido e dolcissimo. Me lo diede lei a tradimento, in un pomeriggio in cui probabilmente sentiva un po’ più di trasporto verso di me. Io non riuscii a fare nulla per impedirlo. Non che l’avrei voluto, devo dire. Poi sorrise e come se avesse semplicemente bevuto un bicchier d’acqua se ne andò al cinema con gli amici. Io rimasi con un incendio nella mente e nell’anima. S’era prodotta una crepa, nel cemento armato che sino a quel momento mi univa a Lucia, la mia donna.
Cercavo di nasconderla. Maldestramente. Lei però se ne accorse immediatamente. Le confessai che amavo quella giovane Venere, che quella cerbiatta incosciente mi teneva in pugno senza forse neanche immaginare che uragano aveva scatenato in me. Un amore improbabile, disperato e impossibile. Destinato a squagliarsi, alla fine: te lo giuro! Ma lei niente.
Mi si negò da subito. Iniziò a darsi piacere da sola, per farmi morire di passione. Lo faceva piangendo, nel nostro letto. La sentivo, gemeva ma non mi consentiva neanche di toccarla. Per me era una vera tortura guardarla spogliarsi, averla vicina ogni sera più bella della precedente, calda e non poterla neppure sfiorare. Sentivo il suo odore trovare le mie narici e arrivare al centro esatto del mio desiderio.
Sentivo l’aroma meraviglioso della sua pelle di seta e dormendo spesso me la sognavo. Soffrimmo entrambi da cani. Il calvario durò solo sei giorni e poi tra me e la sorella infine Lucia non ebbe esitazioni: scelse quest’ultima. Mi buttò fuori senza tanti complimenti. Pur non avendo io fatto nulla di concreto. L’amore esce fuori dai tuoi pori.
Se ne accorgono tutti. Più è impossibile, scorretto e proibito, più ti cresce dentro. I limiti, le imposizioni e i divieti sono proprio ciò che lo fa lievitare maggiormente. Amare è il vero pane quotidiano degli esseri umani. A volte è un pane amaro ed è protetto da una spessa vetrina di convenzioni. O da un chiaro “non ti voglio più.” E allora sono guai.
RDA
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"Averte mai sentito l’espressione «la bellezza salverà il mondo?» Vi siete mai chiesti cosa significa?
Questa è una delle più celebri frasi di Dostoevskij. La potete leggere ne L’Idiota, ma pochissimi ne hanno compreso il vero significato. In tanti credono che queste parole siano un semplice omaggio alla bellezza. Ma non è così. Che cosa vi sta dicendo in realtà Dostoevskij?
Ecco, pensate a cosa provate quando guardate un dipinto di Caravaggio o di Michelangelo. Quando osservate un tramonto. O un paesaggio talmente bello che vi toglie fiato. Sentite una sensazione di benessere, di piacere, ma anche qualcos’altro. Un sentimento più profondo ma anche più sottile. Guardate questa Venere di Botticelli: guardate i suoi occhi, i suoi capelli, il suo volto. Che emozioni vi trasmette? Una soave, irresistibile dolcezza che vi spezza il cuore. Vi sentite incantati, stupiti, commossi.
La grande bellezza ha sempre il potere di commuovere. «Dove c’è bellezza, c’è anche compassione, per la semplice ragione che la bellezza deve morire». Ogni momento può essere l'ultimo per noi, perché siamo mortali. Quando guardiamo un’alba che si specchia nelle acque del mare, quando vediamo nel viso di un uomo o di una donna una bellezza irresistibile, dentro di noi sappiamo che quel momento non tornerà. È questo che vi sta dicendo Dostoevskij. È la compassione che nasce in noi grazie alla contemplazione della bellezza che salverà il mondo. O meglio salverà l’uomo.
La bellezza che i media ci vendono invece è una bellezza plastificata, prodotta in serie, perché l’uomo per essere un buon consumatore deve innanzitutto credere di essere immortale. In una società che ha fatto dell’egoismo una moda e del consumismo un’arte, non c’è più spazio per la poesia, per pensare all’altro, per sentire. Non c’è più il tempo per vivere. Ma se voi invece di lasciarvi vivere, come fanno tanti, vi fate inebriare dalla bellezza della natura, dell’arte, della poesia, non troverete in queste cose soltanto una mera bellezza estetica ma la radice più profonda della vita stessa."
G. Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X (Cari amici, con un senso di commozione vi comunico che il mio romanzo Clodio è alla sua ultima ristampa. Se vi piacciono la storia e la filosofia, vi lascio il link per leggerne un estratto gratuito: https://www.amazon.it/Clodio-G-Middei/dp/8832055848
#letteratura #cultura #istruzione #dostoevskij
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Camille Claudel
1863 - 1943
Il 19 ottobre 1943, nel manicomio di Montdevergues, si spegneva Camille Claudel, dopo trent'anni di solitudine ed abbandono, aspettando invano la visita della sorella e della madre, alla quale aveva ripetutamente chiesto di essere riaccolta in casa.
" Cara mamma, ho tardato molto a scriverti perché faceva talmente freddo che non riuscivo a reggermi in piedi. Non ho potuto scaldarmi in tutto l’inverno, sono gelata fino alle ossa, spezzata in due dal freddo. (…) Sei ben crudele a rifiutarmi un asilo a Villeneuve. Non farei scandali come tu credi. Sarei troppo felice di riprendere la vita normale per fare qualunque cosa. (…) I manicomi sono fatti apposta per far soffrire, non c’è rimedio, specialmente quando non si vede mai nessuno. È il caso di dire che dovete essere pazzi. Quanto a me, sono così disperata di continuare a vivere qui che non sono più una creatura umana. (…) Non ho fatto quel che ho fatto per finire la mia vita come un numero in una casa di cura, ho meritato qualcosa di diverso."
Camille Claudel, da una lettera dal manicomio di Montdevergues alla madre.
“Tenetevela, ve ne supplico … ha tutti i vizi, non voglio rivederla, ci ha fatto troppo male”, così scrive la madre al direttore del manicomio senza riuscire a perdonarle le sue scelte anticonformiste. In trent'anni di internamento, Camille non ricevette mai una sua visita.
"Mia sorella Camille aveva una bellezza straordinaria, ed inoltre un'energia, un'immaginazione, una volontà del tutto eccezionali. E tutti questi doni superbi non sono serviti a nulla; dopo una vita estremamente dolorosa, è pervenuta a un fallimento completo."
Paul Claudel
§
Sono precipitata in un baratro … Del sogno che fu la mia vita, questo è l’incubo.
"Sono 17 anni che Rodin e i mercanti di oggetti d’arte mi hanno spedita a far penitenza nei manicomi. Dopo essersi impossessati dell’opera di tutta la mia vita…
Il mio povero atelier, qualche povero mobile, qualche utensile che mi ero forgiata io stessa, la mia povera piccola casa eccitavano ancora la loro cupidigia! – L’immaginazione, il sentimento, il nuovo, l’imprevisto che nasce da uno spirito evoluto, tutto questo era loro precluso, a quelle teste murate, a quei cervelli ottusi, eternamente chiusi alla luce, per cui avevano bisogno che qualcuno gliela donasse. E lo ammettevano: “Ci serviamo di una pazza per trovare i nostri soggetti”.
C’è forse qualcuno che nutre almeno un po’ di riconoscenza per chi lo ha nutrito, che sa dare qualche risarcimento a colei che hanno depredata del suo genio? No! Un manicomio! È lo sfruttamento della donna, l’annientamento dell’artista a cui si vuol fare sudare sangue…Mi si rimprovera (crimine spaventoso) di aver vissuto da sola, di passare la mia vita con dei gatti, di avere manie di persecuzione! È a causa di queste accuse che sono incarcerata come un criminale, privata della libertà, privata del cibo, del fuoco e delle comodità più elementari. "
Camille Claudel in una lettera del 1918 al dottore che ha firmato il suo internamento
"Paul, fratello mio, portami fuori da qui… questo non è il mio posto e tu lo sai… Io so che farai di tutto per allontanarti da me, accetterai incarichi all’estero pur di liberarti di me… è così crudele… crudele...Mio caro Paul, devo nascondermi per scriverti e non so come farò a imbucare questa lettera. Perché, renditi conto, Paul, che tua sorella è in prigione. In prigione con delle pazze che urlano incessantemente, fanno smorfie, sono incapaci di articolare parole sensate. Ecco il trattamento che da quasi vent’anni s’infligge a un’innocente. Quando la mamma era in vita non ho mai smesso di implorarla di togliermi di qui, di mettermi in un posto qualsiasi, un ospedale, un convento, ma non in mezzo ai pazzi. Contavo su di te… mi avete trattata come un’appestata. Tu mi dici, Dio ha pietà degli afflitti, Dio è buono… Parliamone del tuo Dio che lascia marcire un’innocente in fondo a un manicomio."
dalle lettere di Camille Claudel al fratello Paul
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Sediamoci a vedere l'alba
Sopra ad un muretto,
In riva al mare,
O in cima ad una montagna
Restando in silenzio
Abbracciati ascoltando
I reciproci dolori
Che ci traffiggono come lame
Le nostre anime
Sediamoci a vedere L'alba
Osservando la bellezza della notte
Non importa dove siamo
Aspettiamo che il dolore passi
Come questa notte che fa paura
Buia e solitaria
Dove la luce è opaca
Dove le nostre anime brillano
Sediamoci a vedere l'alba
Stretti in un abbraccio
Lungo come questa notte
Sediamoci a vedere l'alba
Mentre le nostre anime si curano
Nella notte silenziosa
Dove non servono parole
Perché il silenzio tra noi
È il rumore delle nostre anime
Che si uniscono in una pace
Che ci fa sentire la grandezza
Dell'infinito e della vita
Cit. @pensieri-liberi-nella-mente
#compagnia#pensieri personali#poesia mia#alba#mare#montagna#dolore#infinito#vita#anima#luce#buio#notte
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Non serve forse dissezionare i pensieri, guardarli al microscopio, fissare i vetrini dei sogni in cerca di cosa, poi non so. Ho scavato, paletta e secchiello, picconi, zappe e psicoanalisi. Ho preso treni, per stare comoda e scomoda su un lettino ad ascoltare le mie parole e i respiri di qualcuno, le frasi che provavo a sviscerare, tra il bianco delle pareti e i colori dei libri. “Chi sei tu?” chiedevo senza saperlo al mio analista, ma soprattutto “chi sono io?”, “chi siamo noi?” e lui non aveva tutte le risposte, perché tutte le risposte non esistono e l’altro non può sapere mai fino in fondo, come si sta con quella mamma, con quel profumo, con quelle voci, con quel corpo, proprio quel corpo. E non siamo specchi, siamo marinai improvvisati su una barca che cerca di andare da qualche parte; siamo sub che si immergono e sentono il sapore dell’acqua, fanno esperienza di come si sta a guardare più in basso.
“So ancora respirare.”
È quasi estate e ascolto i suoni, osservo gli sguardi dei miei pazienti, accolgo le reazioni a pochi giorni dalle ferie e forse mi manca stare anche dall’altra parte, lasciarmi condurre un po’, fare resistenza, tuffarmi, creare strade di parole e dire “a lunedì”.
È quasi (la mia) estate e penso alla bellezza immane del poter stare in relazione, che poi non siamo isole, nemmeno prima di nascere.
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