#ballate popolari
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Fiabe Italiane del Piemonte: un tuffo nella saggezza popolare tra passato e futuro
Le fiabe piemontesi rivivono con Paolo Menconi: tradizione e innovazione per grandi e piccini
Le fiabe piemontesi rivivono con Paolo Menconi: tradizione e innovazione per grandi e piccini. Nel libro “Fiabe Italiane del Piemonte”, l’autore Paolo Menconi ci guida in un affascinante viaggio tra le storie popolari della regione, reinterpretate e arricchite per il pubblico contemporaneo. Questa raccolta di 12 fiabe trasforma la saggezza antica in narrazioni moderne, utilizzando filastrocche e…
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diceriadelluntore · 1 year ago
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Storia Di Musica #297 - Richard And Linda Thompson, I Want To See The Bright Lights Tonight, 1974
Nel 1972, quando abbandona i leggendari Fairport Convention, gruppo cardine della rivoluzione del folk sulla via della sua elettrificazione, ha poco più che venti anni. E già allora era unanimemente considerato un talento prodigio e cristallino. Abbandona un gruppo popolarissimo e autore di dischi capolavoro per seguire la sua visione di musica, una nuova via britannica al folk, che mescoli insieme il rock'n'roll con le cantate popolari dei secoli precedenti, strumenti ad arco con la sua fidata chitarra elettrica, dulcimer e fisarmoniche. Nello stesso anno pubblica il primo tentativo, Richard Thompson Starring As Henry The Human Fly, dove è aiutato da un pezzo dei Fairport (la voce inarrivabile di Sandy Denny e il basso-guida di Ashley Hutchings) dove sperimenta questo mix che è ancora acerbo, come la sua voce (nei Fairport non era il cantante principale) ma che ha le prime canzoni gioiello (The Angels Took My Racehorse Away, che stilla britishness in ogni nota) e le prime grandiosi ballate (The Poor Ditching Boy o l'altrettanto bella The Old Changing Way). Tra le coriste c'è una giovane cantante, con pochissima esperienza, Linda Peters: diventerà in pochi mesi la moglia di Richard e tutto è pronto per il primo disco da duo. Le premesse tuttavia non sono rosee per questo lavoro. Il precedente fu un mezzo fiasco commerciale e solo i buoni rapporti di Thompson con il boss della Island, Chris Blackwell, permisero la pubblicazione del lavoro. Che infatti fu registrato in pochissime sedute ai Sound Techniques studio nel quartiere di Chelsea a Londra, con l'aiuto dell'ingegnere del suono e comproprietario John Wood, per si dice un paio di migliaia di sterline per un paio di settimane nel Maggio 1973. Forse anche per questo il disco, che ha una sua aura tutta particolare, è dark e malinconico, ma di un fascino incredibile, che all'epoca fu del tutto ignorato (tanto che il disco fu pubblicato fuori dalla Gran Bretagna soltanto nel 1983, in uno dei picchi di fama di Richard e Linda) e da allora è considerato uno dei capolavori del folk rock britannico.
Linda ha una voce sorprendente e si lega magnificamente, in una sorta di incrocio fuoco e ghiacco, con quella ruvida e bassa di Richard. I Want To See The Bright Lights Tonight esce nell'Aprile del 1974, dopo quasi un anno dalle sessioni con Wood. le canzoni che lo compongono sono meravigliosamente dolenti, disegnando i contorni di una umanità stanca e disillusa, sofferente, quasi senza speranza. Si passa da ballate elettriche che sanguinano sofferenza come la spettacolare Calvary Cross, o l'altrettanto dolente When I Get To The Border, elegia di chi sta scappando dal brutto del mondo (A one way ticket's in my hand\Heading for the chosen land\My troubles will all turn to sand\When I get to the border). Sono canzone che parlano di alcool, come Down Where The Drunkards Roll, rifugio per lo stordimento. In Linda Thompson, Richard ha trovato una collaboratrice eccezionale e una cantante di livello mondiale; Linda possedeva una voce chiara e ricca come quella di Sandy Denny, ma con una forza che poteva facilmente sostenere il materiale spesso pesante di Richard, e si dimostrò capace di affrontare qualsiasi cosa le venisse presentata, dal country di Withered And Died fino alla parata di personaggi da circo di The Great Valerio, dal sapore brechtiano con una parte finale strumentale che ha il sapore di una composizione di Erik Satie. Thompson se nella canzone più dark del disco, The End Of The Rainbow è più desolatante che mai quando canta: Life seems so rosy in the cradle,\But I'll be a friend I'll tell you what's in store\There's nothing at the end of the rainbow\There's nothing to grow up for anymore, regala una speranza nella title track, cantata da entrambi, con il famoso riff rock'n'roll dei bei tempi e gli ottoni della CWS Manchester Band, all'epoca la più grande brass band del paese, perchè ci si può divertire con poco ogni tanto: Meet me at the station, don't be late\I need to spend some money and it just won't wait\Take me to the dance and hold me tight\I want to see the bright lights tonight.
Come accennato il disco venne quasi del tutto ignorato, tanto che l'anno successivo, nel 1975, Hokey Pokey è un disco decisamente più leggero e scanzonato, e la coppia tra alti e bassi continua a scrivere, a suonare e a fare concerti, riuscendo a garantirsi un certo seguito. Ma è il momento della riscoperta di questo capolavoro che è particolare: fu infatti ristampato appena dopo il loro nuovo capolavoro, Shoot Out The Light (1982), che anche nel titolo chiude un cerchio relazionale, dato che è l'ultimo come marito e moglie; è decisamente il più rock dei loro lavori, e racconta quasi come un film di Bergman la fine della loro storia d'amore, con l'aiuto decisivo in cabina di registrazione di Joe Boyd, grande talent scout e produttore dei Fairport Convention. In esso una canzone di Linda, drammatica nella sua bellezza, Walking On The Wire, dice:
Too many steps to take Too many spells to break Too many nights awake With no one else This grindstone's wearing me And your claws are tearing me Don't use me endlessly It's too long It's too long to myself.
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antennaweb · 4 months ago
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cinquecolonnemagazine · 1 year ago
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Echi del Passato: Esplorando le Canzoni Antiche Italiane
Le canzoni antiche italiane rappresentano una finestra aperta su un passato ricco di emozioni, storie e tradizioni. Questi brani musicali intramontabili sono testimonianze del patrimonio culturale italiano e continuano a suscitare interesse e ammirazione anche nei giorni nostri. Attraverso melodie coinvolgenti e testi profondi, le canzoni antiche trasmettono emozioni universali che attraversano il tempo e le generazioni. Canzoni antiche italiane: varietà e storia La varietà delle canzoni antiche italiane spazia dalle ballate romantiche alle canzoni popolari, dalle serenate ai canti religiosi. Questa diversità riflette la complessità della società italiana, con le sue radici profonde nella storia e nella cultura. La musica è sempre stata una forma d'espressione che ha attraversato i confini sociali ed economici, raggiungendo l'animo delle persone in ogni angolo del paese. Caratteristiche Una delle caratteristiche più affascinanti delle canzoni antiche italiane è il loro legame con eventi storici e sociali. Molte di queste canzoni erano utilizzate come mezzi di comunicazione per condividere notizie importanti, esprimere sentimenti di protesta o celebrare momenti di gioia. Ad esempio, le canzoni legate alle lotte per l'indipendenza o alle difficoltà della vita contadina riflettono la storia di un'epoca e i suoi cambiamenti. Le canzoni antiche italiane spesso si distinguono per i loro testi poetici e lirici. Le parole sono accuratamente selezionate per evocare immagini vivide e sentimenti intensi. Queste canzoni hanno la capacità di creare una connessione emotiva tra chi le ascolta e le storie che raccontano. Sono veri e propri frammenti di vita catturati in versi, che ci permettono di immergerci nell'atmosfera di tempi passati. Un altro aspetto notevole delle canzoni antiche italiane è la loro trasmissione attraverso le generazioni. Questi brani sono stati tramandati oralmente, spesso da genitori a figli, o da musicisti di strada che li eseguivano per le folle. Questa tradizione orale ha contribuito a preservare le canzoni antiche nel corso dei secoli, permettendo loro di sopravvivere al passare del tempo e di influenzare la cultura musicale moderna. Regione che vai, musica che trovi Ogni regione d'Italia ha le sue canzoni tradizionali, ognuna con il suo stile e la sua storia. Dalla dolce melodia di una canzone d'amore napoletana al ritmo vivace di una tarantella pugliese, ogni brano offre uno spaccato unico delle tradizioni locali. Questa varietà è un riflesso della ricchezza culturale della nazione e dell'unità nella diversità. Le canzoni antiche italiane rappresentano un tesoro culturale che ci collega alle radici della nazione. Sono il ponte tra il passato e il presente, trasportandoci indietro nel tempo e rivelando gli aspetti più profondi dell'identità italiana. L'importanza di preservare e apprezzare queste canzoni non può essere sottovalutata, poiché ci aiutano a capire meglio la nostra storia e ci ricordano che le emozioni umane sono intrinsecamente legate alla musica. Read the full article
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ilcovodelbikersgrunf · 4 years ago
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Ottant’anni. Strana età per una rockstar, se non addirittura incongrua rispetto allo stereotipo che vorrebbe eroi sempre giovani, freschi, esuberanti. Ma il signor Bob Dylan non è tipo da farsi condizionare da così banali dettagli anagrafici. I suoi ottant’anni li dimostra tutti, fino in fondo, con segni profondi e cicatrici dell’anima. Ha un volto autentico, da nobile superstite, da sopravvissuto impegnato in una sua particolare forma di resistenza umana. È scontroso, arcigno, irsuto, un nugolo di capelli sgraziati su quel naso adunco che da sei decenni simboleggia il suo spigoloso rapporto con il mondo. Che poi è il suo grande fascino, la sua irresistibile forza.
Poeta laureato, profeta in giaccone da motociclista. Napoleone vestito di stracci. Inafferrabile, come un sasso rotolante. È stato analizzato, classificato, crocifisso, sezionato, ispezionato e respinto, ma mai capito abbastanza.
Entrò nella mitologia nel 1961, con chitarra, armonica e berretto di velluto a coste, metà Woody Guthrie, metà Little Richard. Era il primo folksinger punk. Introdusse la canzone di protesta nel rock. Rese le parole più importanti della melodia e del ritmo. La sua voce, nasale e rauca, che suona «come sabbia e colla», come disse David Bowie, e il suo fraseggio sensuale sono unici. Può scrivere canzoni surreali con una logica interna – come un dipinto di James Rosenquist o come una poesia di Rimbaud – e semplici ballate che piovono dritte dal cuore con la stessa semplicità. Può tirar fuori le tenebre dalla notte e dipingere di nero il giorno.
Definirlo un eroe dei nostri tempi potrebbe essere riduttivo. Più passa il tempo, più la storia della musica popolare si ingarbuglia in miriadi di confusi intrecci, e più la sua figura rifulge, cresce d’importanza.
Oggi possiamo dire che l’opera di Bob Dylan sembra centrale, una sorta di straordinaria e irripetibile sintesi di valori poetici e musicali, di processi sociologici e artistici. Il menestrello di Duluth, infatti, non è stato soltanto il pifferaio della contestazione pacifista. È stato anche questo, non c’è dubbio, ma è stato molto di più. In quegli stessi anni, la stagione della protesta giovanile, in quel decennio infuocato in cui la sua figura e alcune sue canzoni (Blowin in the wind su tutte) si saldarono in modo inestricabile con le vicende sociali e politiche del tempo, Dylan riuscì anche a essere il cantore del lato oscuro del sogno americano. Più che cantare la speranza, e l’ottimismo adolescenziale, creò una galleria di eroi perdenti, amari, maciullati dall’“american way of life”. È una vera e propria galleria di antieroi, da Emmett Till a John Brown, da George Jackson fino al pugile Hurricane.
Più in generale si può dire che Dylan è stato il primo intellettuale della storia del rock. Prima di lui non si era abituati a conferire ai musicisti popolari, se non ai folksinger più impegnati, un rilevante valore intellettuale. Prima di lui Elvis Presley e gli altri eroi degli anni Cinquanta erano dei grandi talenti, dotati di intuito, di un selvaggio e contagioso istinto. Ma non c’era ancora la coscienza e la consapevolezza del proprio ruolo. Elementi che irrompono impetuosamente, invece, con l’avvento di Dylan, l’artista che ha portato la musica rock dall’innocenza primitiva delle origini alla profonda coscienza dei decenni successivi.
Robert Allen Zimmerman, che nel 1962 ha legalmente cambiato il suo nome in Bob Dylan, ha anche un altro enorme merito. Un po’ come a Louis Armstrong viene riconosciuto il grande pregio di aver in qualche modo portato a una prima compiuta definizione il linguaggio del jazz, che certamente non ha inventato, ma che ha rafforzato, evoluto, sintetizzato. Dylan ha compiuto qualcosa di analogo, prendendo il materiale folk ereditato dalla grande stagione degli hobo e lo ha velocemente condotto a maturazione, estendendo la portata, gli orizzonti e la potenza della canzone popolare tradizionale. Al di là delle apparenze, è lui il più grande innovatore, come dimostrò a più riprese con tutti i suoi capolavori elettrici degli anni Sessanta e Settanta.
Fin dai primi album, Dylan introduce un linguaggio complesso, preso in prestito dalla letteratura, dal cinema, dalla lingua quotidiana, da visioni sempre più surreali e audaci. Con lui la canzone diventa un prodotto artistico maturo, del tutto autonomo, capace anche di creare per la prima volta nella storia un alto livello di massa. Realtà che qualcuno comprese anche all’epoca, come John Lennon che nel 1965 dichiarò che a mostrare la strada era proprio Bob Dylan. Altri, come i membri dell’Accademia Reale Svedese, che gli assegneranno il Premio Nobel per la Letteratura, ci arriveranno molto più tardi, precisamente nel 2016.
Il mistero Dylan, grazie a una irripetibile coincidenza di valori artistici ed epocali, significò anche che, per la prima volta, musiche dichiaratamente non commerciali divennero incontenibili successi di vendita. Da quel momento l’industria discografica, costretta dagli eventi, aprì le porte al nuovo, senza più temere l’originalità e l’innovazione, consentendo l’afflusso di forze e di idee completamente nuove. Da allora la musica rock è cambiata, ma da allora è costantemente cambiato anche Bob Dylan, il primo nemico del suo stesso mito, deciso sempre a metterlo in discussione, ad osteggiarlo, a concedere poco alla platea.
Questo gli ha consentito di sopravvivere al suo tempo, di raggiungere il traguardo degli ottant’anni in modo vitale, inquieto, come un artista al quale la maturità non è servita da alibi per smettere di interrogarsi e provocare domande. Segno di una coscienza che il rock di oggi farebbe bene a recuperare. Per progredire e ritornare al passo con i tempi.
Intanto si preparano i festeggiamenti: Patti Smith, che nel 2016 andò a Stoccolma a ritirare il Nobel a suo nome – e si impappinò, commossa, mentre cantava A hard’s rain a-gonna fall – celebrerà Dylan il 22 maggio allo Spring Festival del Kaatsbaan Cultural Park nello stato di New York. Festa anche a Duluth, dove Dylan nacque il 24 maggio 1941, mentre nella vicina Hibbing, dove la famiglia si trasferì dopo che il padre Abram Zimmermann, colpito dalla polio, aveva perso il lavoro, i piani per un monumento nel cortile del liceo dove Bob (“Zimmy”) si diplomò nel 1959 sono tuttora “caduti nel vento”. Al centro delle celebrazioni anche la pubblicazione di tre nuovi libri e una riedizione: “You Lose Yourself You Reappear” di Morley, mentre il biografo Clinton Heylin tornerà a esaminare gli anni formativi in “The Double Life of Bob Dylan” e “Bob Dylan: No Direction Home” del 1986 del giornalista del New York Times e amico Robert Shelton (che nel frattempo è morto) verrà aggiornata e ripubblicata.
Elusivo come sempre, Dylan è bloccato nella casa di Point Dume a Malibu da quando un anno fa il Covid gli ha impedito di andare in Giappone per una nuova tappa del “Never ending tour”, ma non di fermarsi nel suo lavoro. Durante il lockdown ha composto un nuovo album e venduto per 300 milioni di dollari il suo catalogo musicale a Universal Music. Tra un anno poi l’apertura dell’archivio segreto affidato al miliardario del petrolio George Kaiser: il Bob Dylan Center sorgerà a Tulsa, Oklahoma, dove già, in un gemellaggio simbolico, sono custodite le carte del suo idolo Woody Guthrie. E, nel frattempo, il “grande vecchio” del rock prepara il suo ritorno sul palco nel 2022.
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hollandersecondo · 5 years ago
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Torino nelle canzoni
Alcune città sono grandi dive, fotografate, adulate, citate fino alla noia. Parigi, Roma, New York. Protagoniste di innumerevoli film, di romanzi, e di canzoni. E appunto di canzoni, volevo parlare, anzi di testi. I parolieri sono spesso abili artigiani capaci di adattare parole e rime alle capricciose esigenze delle note musicali. Creatori di frasi d'effetto, di assonanze magari semplici ma immediatamente evocative all'orecchio di un ascoltatore spesso distratto. Molti testi letti senza ascolto diventano insignificanti se non infantili senza una musica di supporto. A volte, più raramente, i parolieri sono poeti e allora i loro versi vivono di vita propria, belli anche se muti. In alcuni casi i testi delle canzoni sono vere storie, brevi racconti e cronache di un tempo, di un sentimento. Io sono nato e vivo in un luogo che non è appariscente. Torino non è una star, e fino a pochi anni fa era nota solo per essere sede di una fabbrica di automobili. Poi le cose sono cambiate, negli ultimi tempi sono arrivati i turisti  ed una certa notorietà internazionale. Non sono comunque tantissime le canzoni dedicate o ambientate a Torino. Tutte però sono in qualche modo significative e strettamente legate ad un ben preciso momento storico nella vita della città.  Esistono naturalmente antiche ballate e canzoni in dialetto torinese, canti popolari, canti di osteria, ma in questa sede  prendo in  esame solo testi in Italiano.
La più antica che mi viene alla mente è “ Ciao Torino “ autori Lampo e Prato, anno 1949. A dire il vero, è leggermente controverso il fatto che il testo originale sia stato scritto in Italiano. Secondo alcune fonti era in Torinese, secondo altre fu tradotta in dialetto da quel Gipo Farassino di cui ci occuperemo tra poco. Testo estremamente semplice:
“Ciao Torino, io vado via, vado lontano a lavorare. Io non so che cosa sia, sento il cuore tremare.”
Semplice eppure rivelatore: ci fu un tempo, neppure troppo lontano, in cui anche Torino era terra di emigranti, di gente che doveva andarsene, per cercare condizioni di vita migliore.
Poi, il boom economico, il miraggio della Grande Fabbrica che offriva a tutti un posto di lavoro. Ecco  “ La mia città “ del 1969 .  Parole e musica di Gipo Farassino. Gipo, artista molto amato a livello locale, autore dialettale, attore, uomo politico, scrisse anche canzoni in italiano, raccolte in un album dal titolo “ Due soldi di coraggio “  Ne “La mia città “ crea un ritratto triste da Neorealismo, la città-fabbrica priva di gioia, dove gli operai in tuta blu sono soldatini in fila, quasi burattini mesti.
“Un mare di fredde ciminiere un fiume di soldatini blu un cielo scordato dalle fiabe un sole che non ti scalda mai. Questa mia città ti fa sentir nessuno ti strozza il canto in gola ti spinge ad andar via. Questa mia città che spegne le risate che sfugge a tanta gente resta la mia città “
Ma il boom è anche espansione urbana, periferie dove i prati con pecore al pascolo lasciano il posto ai palazzoni dell'edilizia speculativa. Ne “ L'auto targata Torino”  del 1973, musica di Lucio Dalla parole di Roberto Roversi, un vento contestatario dal sapore leggermente populista contrappone una Torino da cartolina alla cruda realtà di quei “ Terroni “ che erano i predecessori di una lunga serie di gente venuta da “ altrove” Le facce diverse in cerca di lavoro, non sempre amate da chi è ormai immemore di un tempo in cui i poveri nel mondo si chiamavano Italiani.
“Questo luogo del cielo è chiamato Torino lunghi e grandi viali, splendidi monti di neve sul cristallo verde del Valentino illuminate tutte le sponde del Po. Mattoni su mattoni sono condannati i terroni a costruire per gli altri appartamenti da cinquanta milioni “
Alla fine la Contestazione non genera solo figli innocui. Arrivano gli anni difficili della violenza, dello scontro duro. La città è spesso un campo di battaglia, una terra di nessuno dove anche il modo di vestire, il locale dove andare a bere un caffè, diventano etichetta politica. Il cantautore torinese Enzo Maolucci, nel suo album “ Barbari e Bar “ del 1978, con un linguaggio diretto ed efficace, dipinge un'immagine allo stesso tempo realistica e beffarda di una Torino che ha un tantino perso l'aplomb, di una città moderna che non ha la statura della grande metropoli, anche se una élite forse radical-chic vorrebbe fare sfoggio di inutile snobismo. E' centrale in questo racconto la presenza di bar e caffè, luoghi di ritrovo mondano, covi dissidenti, porti per rifugiarsi lontano dalla folla.
“ Il Gran Bar è fatto apposta per fascisti stravaganti. In cremeria adesso ci trovi i comunisti più osservanti. La Gran Madre è una gran piazza, il Po è li' vicino per chi si ammazza.
Si ammazzano a Torino, sai, Torino che non è Nuova York Si ammazzano a Torino, sai, Torino di Barbari e Bar.
Dal Bar Elena esco in via Po, vado col pensiero... Pugni in tasca, sbornia triste, palle in giostra, muri sporchi di ideali messi in mostra.
Adoro andarmene in vetrina, specchiarmi cinico e beffardo, finché un'edicola sirena seduce il mio sprezzante sguardo. Il compromesso storico, l'Amerika col Kappa, convergenze parallele, la crisi del romanzo e poi...”
Ma non tutti vanno al Bar Elena. Nella banlieue, qui come a Londra, ragazzi Punk strillano arrabbiati il loro “ No future “ Loro sono “Rough” band street punk molto locale e molto molto alternativa, che nel 1982 interpreta con  grinta giustamente ( Punkescamente ) sgangherata  “Torino è la mia città”
“Crescer nella noia senza sapere cosa fare Crescer nella noia senza un futuro in cui sperare In un città dove non succede mai niente Torino è la mia città “
La rabbia stanca. Ancora di più la rabbia senza soluzione, la violenza fine a se stessa. Finiscono gli anni della P38, torna la voglia di normalità. Il Privato non è più Politico. Siamo alla fine del secolo e del millennio. Anno 1999, un'altra Band torinese, molto nota, questa, molto amata, Subsonica, canta una città che riesce ancora ad ispirare l'amore, ne “ Il cielo su Torino “
“Per il tuo amore che è in tutto ciò che gira intorno acquista un senso questa città e il suo movimento fatto di vite vissute piano sullo sfondo Un altro giorno un'altra ora ed un momento dentro l'aria sporca il tuo sorriso controvento il cielo su Torino sembra muoversi al tuo fianco”
La città è un organismo vivente, e come tutto ciò che vive è in continuo divenire. Gli esami non finiscono mai, come diceva Eduardo. Si allontana lo scontro armato, eppure altri scontri, forse più subdoli, incombono. Torino diventa città multi etnica, dove ci si diverte, finalmente, ma dove le fabbriche chiudono, dove si spaccia e si consuma droga, e non tutti i nuovi arrivati sono buoni cittadini. “ Tanco del Murazzo “ di Vinicio Capossela, sempre sul finire del secolo, anno 1996, descrive un Noir deve ci si fa, e ci si pesta, con Slang duro e impietoso. Ed i Murazzi, lungo fiume di bar e locali per i giovani abitanti della notte, diventano terra di nessuno, frontiera pericolosa.
“Il fiume è giallo, lento fango d'Orinoco scorre tra i fuochi, gli spacci, i mangiafuoco scende il murazzo, c'è una macchina bruciata kebab arrosto e folla a grappoli in parata le ragazze aspettano di uscire fuori per ballare e intanto provano le scarpe nuove e ridono da sole dentro casa, lei lo guarda e resta lì senza parlare fuori tutto accade anche senza di noi nel grotto spingono e si bercian Patuan l'anfe che sale, caldo a fiotti, nervi tesi Envisia serve al banco acqua minerale ondeggiano sulle ginocchia tutti uguale guarda lo specchio e vede in fondo che per occhi adesso ci ha due buchi neri e nel riflesso dell'abisso vede il pozzo che era un tempo anima sua”
Ma voglio chiudere con una nota più tenera.
“Torino sulla luna “è una canzone scritta da Giuseppe Peveri in arte Dente con Fabio Barovero, per la colonna sonora del film “La luna su Torino” di Davide Ferrario, pellicola del 2014. Con voce poetica, l'autore coglie con un guizzo vincente quella che è forse  l'anima più vera di Torino:
“Linea d’orizzonte, vertici i punti piani e gli spazi paralleli, pendii abitudini inutili pressioni, altitudini inizia la fine tutte le cose si incontrano qui”
In questa città di geometrie e di grandi chiaroscuri, dove molte cose iniziarono in sordina, nel bene e nel male, per poi diffondersi ed allargarsi lontano, in questa città dove si cerca di non esagerare mai, andando spesso all'avanguardia quasi controvoglia, dove genti tanto diverse da apparire a prima vista incompatibili riescono a convivere nonostante tutto, in questa città che a volte non pare Italiana, è bello camminare, guardando ascoltando e pensando che davvero tutte le cose s'incontrano qui.
Di    BRUNO BRUNI
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yes-martins-fan-blog · 6 years ago
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A Petruro tutto il mondo è paese
Un’ occasione per conoscere le tradizioni dei vari paesi del mondo espressi tramite balli e danze popolari.   
Trecento ospiti in un paese di cinquecento anime si notano parecchio , se poi sono del Kenya , Nuova Zelanda , Algeria, Congo, Argentina, Brasile, Perù , Messico , Cina, Corea , Taiwan e ancora Polonia, Romania, Portogallo, Spagna, Serbia si notano molto di più.
Provate a immaginare la piazza di questo piccolissimo paese completamente invaso da un gruppo di Neo Zelandesi , mentre danzano il loro ballo popolare, la “Danza Maori”, vestiti solo con gonne di paglia e con disegni tradizionali sul torso nudo .
Non ci credereste, ma l’intero paese ballava con loro.
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Episodi come questo si ripetono da diversi anni nel paese di Petruro, piccola frazione del comune di Forino in provincia di Avellino grazie al “ Forino Folk Festival “.
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La storia di questa rassegna internazionale risale a diversi anni fa, ed è legata a un ballo popolare irpino, tipico di questo paese: il “Ballo O’ Ntreccio” messo in scena a Petruro per la prima volta negli anni 70’ . E’ un  ballo processionale  che prevede l’intreccio di cerchi decorati con nastri variopinti  che creano un effetto particolare e unico. Originariamente questo tipo di ballo veniva eseguito spesso nei giorni di vendemmia e nella raccolta delle nocciole, durante le pause dei contadini. I danzatori suddivisi in coppie, eseguivano diverse gallerie e girotondi utilizzando dei cerchi fatti con i rami di vite o di nocciolo. Negli anni ebbe un evoluzione divenendo un vero e proprio ballo creando varie coreografie. A partire dal 1983 viene fondato il Gruppo Folk "Ballo O’ Ntreccio" con l’obiettivo di confrontarsi con realtà folkloristiche regionali e internazionali. Negli anni si ebbe un riscontro positivo a questa iniziativa e per questo nacque nel 1992 la rassegna internazionale dei gruppi folk ospitando vari paesi internazionali, per creare una sorta di vetrina aperta sul mondo e un incontro tra culture diverse.
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La rassegna, purtroppo , non ha avuto vita facile , a partire dall’inizio degli anni 2000 declinò soprattutto per difficoltà economiche. Era difficile per una piccola frazione provvedere autonomamente ai costi di ospitalità per tutti quelli che arrivavano da lontano. Il comune di Forino, infatti, non finanzia in alcun modo questo evento non ritenendolo un evento culturale, anche se richiama molti visitatori. Per questo motivo il popolo petrurese con il tempo ha creato vari modi per riuscire a recuperare le risorse necessarie. Ad esempio  il gruppo folk "Ballo O’Ntreccio" durante l’anno partecipa a pagamento ad altre feste popolari sia campane che in altre regioni come Calabria, Molise , Puglia. Il tutto per evitare che una tradizione così bella vada perduta per sempre.
Dopo un periodo in cui, per risparmiare, l’evento aveva preso cadenza biennale, dal 2010 c’è stata una rinascita: la rassegna viene organizzata ogni  anno grazie alla “formula scambio”, cioè una rete di scambio tra Molise,Calabria, Basilicata e Puglia e i gruppi che arrivavano dall’estero. In realtà i problemi organizzativi non sono finiti, com’è comprensibile visto che una frazione di appena 500 abitanti arriva a ospitarne fino a 300. A partire da luglio bisogna organizzare l’alloggio che viene creato nella scuola elementare con materassi raccolti nelle famiglie del paese, la creazione di docce, dove non ci sono, di spogliatoi e addirittura la stanza per il trucco, le donne del paese iniziano a stilare menù per gli ospiti pensando a tutti e tre i pasti giornalieri composti, a volte, anche da più di due portate. Il paese è coinvolto a pieno viene animato da questi gruppi che a volte creano anche situazioni ironiche e buffe. In parallelo si sviluppa l’organizzazione della festa : palco , stand ecc, sicuramente  il tutto è molto faticoso ma viene ripagato dall’affluenza delle persone del posto e dei paesi vicini e dal gran successo dell’evento che ogni anno è in crescita.
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Molti si chiederanno in effetti come mai queste popolazioni provenienti da tutto il mondo vengono in questo piccolo paese del sud Italia? …  La risposta è semplice per loro è un occasione di visibilità e soprattutto di guadagno. Molti gruppi folk come quello dei kenioti sono professionisti e approfittano del festival folk per organizzare un tour sia in Italia che all’estero. Trascorrono in Europa un periodo di oltre un mese esibendosi in varie città e vari festival.  
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Paesi lontani, ma non mancano ogni anno al festival di Petruro le esibizioni dei gruppi folkloristici irpini, il più importante dei quali è la “Tarantella di Montemarano” che ha origini antiche legate alla presenza sul territorio di contadini bulgari.  Altro gruppo è Pratola Folk che nasce nel 1974  per raccontare i problemi economici che affliggevano il sud in quegli anni con canzoni di denuncia suonate e ballate. Il gruppo folk “Napollillo” di Nusco presenta musiche e balli di origine contadina, la sua storia è legata alle pause dal lavoro dei contadini che per intrattenersi ballavano e danzavano usando i “maccaturi” fazzoletti usati come copri capo delle donne creando durante le danze vari nodi. Negli anni sono stati perfezionate coreografie molto colorate. Semplici balli popolari che però raccontano la storia di un luogo, riuscendo a essere occasione di incontro con altre culture e tradizioni.
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carmenvicinanza · 3 years ago
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Giovanna Marini
https://www.unadonnalgiorno.it/giovanna-marini/
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Giovanna Marini, cantautrice e ricercatrice etnomusicale e folklorista italiana, è una colonna portante della nostra tradizione musicale popolare.
Nata col nome di Giovanna Salviucci, il 19 gennaio 1937 a Roma in una famiglia di musicisti, ha conservato per le sue produzioni artistiche il cognome del marito, anche dopo che ebbero divorziato.
Nel 1959 si è diplomata in chitarra classica al conservatorio di Santa Cecilia a Roma e si è perfezionata con il grande Andrés Segovia.
All’inizio degli anni sessanta ha cominciato a frequentare intellettuali come Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino e il gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano, impegnati nella ricerca della musica popolare e di protesta, quella dei contadini, dei pastori, degli operai.
Appassionata di canto sociale che definisce come storia orale cantata, ossia registrazione popolare degli avvenimenti storici mediante lo strumento privilegiato della canzone di composizione anonima e di circolazione orale.
Nel 1964, con il Nuovo Canzoniere Italiano, con cui ha avuto una decennale collaborazione, ha preso parte al Festival dei Due Mondi di Spoleto,  con lo spettacolo Bella Ciao, rimasto nella storia per il grande scandalo suscitato, seguito da denunce e interrogazioni parlamentari. I responsabili dello spettacolo furono, infatti, denunciati per oltraggio alle forze armate per l’esecuzione della versione integrale del canto della Prima Guerra Mondiale O Gorizia, tu sei maledetta.
Dopo una breve parentesi a Boston con il marito (Pino Marini, fisico nucleare) in cui era scaturita la ballata Vi parlo dell’America, ha iniziato l’attività solista, proponendo recital in cui alternava ballate e brani propri, con l’esecuzione di canti tradizionali rielaborati.
Nel 1974 ha contribuito a fondare la Scuola di Musica Popolare del Testaccio, di cui è  presidente onoraria.
Due anni dopo, ha creato il Quartetto Vocale, formazione musicalmente duttile, con cui approfondisce le enormi possibilità espressive della voce femminile scrivendo varie cantate, celebre quella in morte di Pier Paolo Pasolini. Si tratta di cicli di brani polifonici inframmezzati da narrazioni declamate, recitate, dall’autrice che si accompagna alla chitarra, evocando nei modi e nella sostanza, la figura della cantastorie. Incentrate su tematiche della contemporaneità, le cantate risultano accessibili a un largo pubblico nonostante siano molto complesse dal punto di vista formale.
Gli spettacoli e iniziative a cui ha preso parte hanno fatto la storia del recupero delle tradizioni popolari italiane, come Ci ragiono e canto (1965), nel quale è stata assistente musicale con Dario Fo.
Dalla fine degli anni Settanta, è stata sovente in Francia dove, oltre a esibirsi, è stata compositrice di numerose musiche di scena per il teatro con enorme successo di critica e di pubblico.
La sua produzione, negli anni, si è diversificata, ha anche insegnato tecniche delle vocalità contadine alla scuola del Testaccio (dall’anno della fondazione a oggi) e all’Università Paris VIII-Saint Denis (dal 1991 al 2000).
Nella sua inarrestabile ricerca, ha girato tutto il paese raccogliendo una massa sterminata di canti popolari in lingua italiana e nei vari dialetti e lingue regionali.
È la colonna portante dell’Istituto Ernesto De Martino, nel quale raccoglie l’enorme quantità di canti da lei scoperti e catalogati, e per i quali è arrivata a creare persino uno speciale sistema di notazione musicale. La sua è una vera opera di trascrizione della memoria.
Per il bicentenario della Rivoluzione francese, nel 1989, ha musicato la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Nella sua lunga carriera, ha sempre abbinato la musica e la ricerca alla narrazione politica e sociale.
Nel 2002, assieme a Francesco De Gregori, ha inciso l’album Il fischio del vapore, con un successo di vendite senza precedenti che l’ha consacrata al successo del grande pubblico, dopo quarant’anni di inarrestabile attività.
Moltissime sono state le sue partecipazioni a festival internazionali.
Negli anni ha scritto molta musica per teatro e per il cinema. Nel 2016 la sua musica ha fatto da colonna sonora al documentario Un paese di Calabria  incentrato sulla storia del comune di Riace.
Nel 2019 il documentario A sud della musica – La voce libera di Giovanna Marini, ha subito un incomprensibile episodio di censura ed è stato cancellato dalla programmazione del cinema dove doveva essere proiettato. Ne è seguito un tam-tam sui social network e il film è stato proiettato nelle settimane seguenti in altri cinema di Genova.
Considerata una cantante popolare, passionaria del canto politico, la sua produzione rivela comunque la sua fortissima impronta personale, frutto di una musicalità maturata attraverso percorsi artistici diversi fra di loro e, per molti aspetti, irripetibili.
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imwhatiplay · 3 years ago
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Richard Marx
(1963, Chicago, Illinois, USA)
Richard Marx è un cantautore e compositore statunitense, dall'enorme successo a cavallo fra gli anni 80' e i '90. Benché la maggiorparte dei suoi brani più popolari siano delle ballate, il suo repertorio è in gran parte in stile rock. È entrato nei record, in quanto è stato il primo cantante a piazzare i primi sette singoli della sua carriera nella Top 5 della Billboard Hot 100.
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luha2013 · 3 years ago
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Ornella Vanoni….
La Vanoni è una delle artiste italiane dalla carriera più longeva: in attività dal 1956, con la pubblicazione di circa 112 lavori (tra album, EP e raccolte) è considerata tra le più grandi interpreti della musica leggera italiana, oltre che una tra le cantanti più vendute con oltre 65 milioni di dischi.
Dotata di uno stile interpretativo molto personale e sofisticato, che le conferisce una timbrica vocale fortemente riconoscibile, Ornella Vanoni vanta un ampio e poliedrico repertorio, che spazia dalle Canzoni della mala degli esordi al pop d'autore, alla bossa nova (storica la realizzazione insieme a Toquinho e Vinícius de Moraes dell'album La voglia la pazzia l'incoscienza l'allegria nel 1976 inserito nella classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre secondo Rolling Stone Italia alla posizione numero 76) e al jazz.
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Durante la sua carriera sessantennale hanno scritto per lei molti tra i più importanti autori, non solo italiani, e collaborato con artisti del calibro di Gino Paoli, New Trolls, Paolo Conte, Fabrizio De André, Ivano Fossati, Lucio Dalla, Sergio Bardotti, Mogol, Giorgio Calabrese, Franco Califano, Bruno Lauzi, Grazia Di Michele, Renato Zero, Riccardo Cocciante, Bungaro, Pacifico e Carmen Consoli.
Ha partecipato a otto edizioni del Festival di Sanremo, raggiungendo il 2º posto nel 1968 (con Casa bianca) e piazzandosi per ben tre volte al 4º posto, nel 1967 (con La musica è finita), nel 1970 (con Eternità) e nel 1999 (con Alberi): in quest'ultima edizione, Ornella Vanoni è stata la prima artista nella storia del Festival a ricevere il Premio alla carriera. È anche l'unica donna e il primo artista in assoluto ad aver vinto due Premi Tenco (solo Francesco Guccini dopo di lei è stato premiato due volte), e l'unica cantante italiana ad aver ottenuto questo riconoscimento come cantautrice. Ha inoltre vinto una Targa Tenco, che porta complessivamente a tre il numero di riconoscimenti a lei assegnati dal Club Tenco.
Curiosità: Ha vinto due volte il Premio Lunezia ed è stata insignita di importanti riconoscimenti e onorificenze tra cui, nel 1984, del titolo di Commendatore della Repubblica e, nel 1993, di Grande ufficiale Ordine al merito della Repubblica italiana.
«Sono stata una ragazza inventata. Inventata dagli altri. Di mio avrei voluto fare l'estetista, niente di più. Avevo l'acne e avrei voluto curare la pelle, la mia e quella degli altri. Ero andata a studiare Lingue in Inghilterra, in Svizzera, in Francia e quando tornai a Milano non sapevo che cosa fare. Fu un'amica di mia madre a lanciare l'idea: "Hai una bella voce, perché non fai l'attrice?". Mi iscrissi alla scuola di recitazione del Piccolo. Il giorno degli esami d'ammissione ero terrorizzata, tanto da sentirmi male. Con la V di Vanoni venni chiamata per ultima, sapevo che nella commissione c'erano grossi nomi, Strehler, Paolo Grassi, Sarah Ferrati. Quando mi hanno chiamata, avevo il cuore a mille. Recitai un pezzo dell'Elettra, ero follemente emozionata, chiedevo scusa a tutti, mi interrompevo [...] A un certo punto ho sentito una voce femminile: "Attenzione, qui c'è qualcosa". Era della Ferrati. Mi presero. Dopo un anno divenni la compagna di Strehler, era il '55. E fu scandalo. Avevo vent'anni, lui era sposato, non c'era il divorzio e, per di più, viveva da solo, era di sinistra ed era un artista. Mia madre si lamentava, piangeva: "Così ti rovini, ti devi sposare."» ORNELLA VANONI
Insieme ad autori come Fausto Amodei, Fiorenzo Carpi, Dario Fo e Gino Negri, Strehler trae infatti spunto da alcune antiche ballate dialettali narranti vicende di cronaca nera, per procedere alla stesura di nuovi testi incentrati sul tema della malavita, aventi per protagonisti poliziotti, malfattori, carcerati, minatori, e inventando pertanto la definizione di canzoni della mala. Per alimentare la curiosità del pubblico, viene lasciato credere che si tratti di autentici canti popolari ricavati da vecchi manoscritti, e viene dunque allestita per lei la sua prima tournée teatrale, terminata con uno spettacolo a Spoleto, al Festival dei Due Mondi nel '59.
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Le interpretazioni particolarmente enfatiche della Vanoni, caratterizzate da una timbrica vocale e da una gestualità alquanto inconsuete ma sensuali, incuriosiscono parecchio il pubblico, che inizialmente sembra in parte confondere le ambientazioni dei brani proposti con le vere origini della cantante. Nel complesso, le canzoni della mala ottengono un buon successo, malgrado qualche critica di snobismo alto-borghese e l'intervento della censura radiotelevisiva che non apprezza i contenuti di alcuni testi. Per Ornella Vanoni, però, quello della mala inizia ad essere un cliché nel quale non intende essere rinchiusa.
Terminato il rapporto con Strehler (del quale in seguito dichiarerà di non avere apprezzato lo stile di vita, ritenendolo inadeguato ad una ragazza poco più che ventenne), si allontana anche dall'ambiente del Piccolo Teatro, alla ricerca di un nuovo percorso artistico.
Nel 1960, alla Ricordi Ornella incontra Gino Paoli, col quale intraprende un'intensa storia d'amore, nonché una florida collaborazione artistica che le permette di cimentarsi con un repertorio a lei più congeniale. Paoli le scrive infatti una prima canzone d'amore dal titolo Me in tutto il mondo e successivamente le dedica, colpito dalle sue grandi mani, un vero e proprio ritratto musicale: la celeberrima Senza fine.
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Nel 1961 partecipa a Canzonissima con Cercami: questa canzone, inizialmente destinata a Claudio Villa e che Ornella incide in lacrime dedicandola a Paoli, è il suo primo 45 giri di grande successo commerciale, con oltre 100.000 copie vendute. Nello stesso anno, la Ricordi pubblica anche il suo primo album, che riunisce sei canzoni della mala sulla prima facciata, e sei canzoni d'amore sulla seconda. Nel frattempo prosegue la carriera teatrale ne L'idiota di Marcel Achard, impegno per il quale l'Istituto del Dramma Italiano la premia come rivelazione del teatro e che le vale anche il prestigioso Premio San Genesio come miglior attrice dell'anno. Il successo continua con "La fidanzata del bersagliere" di Edoardo Anton, che le frutterà il suo secondo Premio San Genesio come miglior attrice del 1963. Gli spettacoli sono entrambi prodotti dal marito, Lucio Ardenzi: «andavo in scena a soli venti giorni dalla nascita di nostro figlio, Cristiano, e per di più senza compenso. Allora lui era in difficoltà finanziarie e io avrei fatto qualsiasi cosa per aiutarlo».
Nel frattempo cambia anche etichetta discografica e passa dalla Ricordi alla Ariston pubblicando alcuni 45 giri di successo come Tristezza (1967, primo brano del repertorio brasiliano, che lei ha sempre amato riproporre), la sua versione di Un'ora sola ti vorrei (sempre del '67). Nel 1969 è la volta di Una ragione di più, uno dei brani di maggior successo della cantante, che la vede per la prima volta scrivere un testo, con la collaborazione di Franco Califano, mentre la musica è di Mino Reitano. In questo periodo Ornella incide anche due album intitolati Ai miei amici cantautori e Io sì - Ai miei amici cantautori n.2, interpretando brani di quei cantautori che avevano maggiormente influenzato il suo percorso musicale.
Nel 1970 Ornella partecipa ancora una volta al Festival di Sanremo con il brano Eternità, in coppia con I Camaleonti, scritta da Giancarlo Bigazzi e Claudio Cavallaro, che si classifica alla 4° posizione. Sarà però col singolo successivo, L'appuntamento di Roberto Carlos, Erasmo Carlos e Bruno Lauzi, che la cantante ottiene il suo maggiore successo commerciale, rimanendo in classifica per molti mesi e vendendo 600.000 copie, affermandosi definitivamente nel panorama musicale italiano e riuscendo a conquistare tutto il pubblico. Il brano viene inserito nella colonna sonora del film Tony Arzenta diretto da Duccio Tessari ed è scelto come sigla musicale del programma radiofonico Gran varietà.
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Sempre nel '71, esce un altro dei suoi cavalli di battaglia: Domani è un altro giorno, versione italiana di un brano di Tammy Wynette The Wonders You Perform. Il brano viene presentato a Canzonissima 1971 e viene inserito nella colonna sonora del film La prima notte di quiete di Valerio Zurlini. Per la finale della stessa edizione di Canzonissima, Ornella Vanoni interpreta Il tempo d'impazzire, scritta da Giorgio Calabrese e Andracco. È inoltre conduttrice del programma E tu che fai? Io questa sera vado a casa di Ornella, a cui partecipa come ospite anche Lucio Battisti; qualche settimana dopo registra la prima trasmissione a colori nella storia della televisione italiana, dal titolo Serata d'onore.
Nel 1973 esce il singolo di successo Dettagli: come L'appuntamento, è una cover brasiliana di Roberto Carlos, tradotta ancora una volta dallo stesso Bruno Lauzi. L'omonimo album Dettagli riscuote un enorme successo commerciale (circa mezzo milione di copie vendute). Nell'autunno dello stesso anno, incide un nuovo LP - l'ultimo per la Ariston - dal titolo Ornella Vanoni e altre storie, per lo più composto da cover straniere adattate in italiano: l'album si apre con un'ottima reinterpretazione della celebre Je suis malade di Serge Lama (adattata in italiano da Giorgio Calabrese col titolo Sto male), che la Vanoni presenta alla Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia.
Nello stesso anno viene scelta come testimonial pubblicitaria per la Martini, azienda per la quale girerà numerosi caroselli fino al 1976, interpretandone anche il celebre jingle.
Nel 1974 Ornella Vanoni lascia la Ariston e fonda - con l'aiuto di Danilo Sabatini (suo compagno dell'epoca) - una propria casa discografica: la Vanilla. Il primo album edito dalla nuova etichetta, distribuita dalla Fonit-Cetra, si intitola A un certo punto e raggiunge nuovamente i vertici della classifica totalizzando ancora una volta circa mezzo milione di copie vendute.
Nello stesso anno viene pubblicato l'album La voglia di sognare, che si piazza alla sesta posizione delle classifiche di vendita e che contiene pezzi scritti da Bruno Lauzi, Riccardo Cocciante e Lucio Dalla. La canzone che diede il titolo all'album, La voglia di sognare è stata scritta da Carla Vistarini e Luigi Lopez, e premiata l'anno successivo anche dalla critica discografica e divenuto sigla del Gran Varietà radiofonico della Rai.
Nello stesso anno torna sul piccolo schermo accanto a Gigi Proietti, nello spettacolo Fatti e fattacci (che vince il prestigioso Festival della Rosa d'oro di Montreaux per l'intrattenimento). Il programma era basato sulle canzoni proposte da Proietti e dalla Vanoni, che interpretavano la parte di due cantastorie che andavano in giro per l'Italia con una compagnia di saltimbanchi fermandosi nella piazza di una città. Successivamente invece è in teatro, protagonista nella commedia dell'amica Iaia Fiastri intitolata Amori miei, un grande successo da cui in seguito verrà tratto l'omonimo film interpretato da Monica Vitti.
Nel 1977 la Vanoni posa nuda e dirige la versione italiana di Playboy chiedendo come compenso, al posto del denaro, una sfera dell'artista Arnaldo Pomodoro con il quale nasce una profonda amicizia.
Gli anni ottanta proseguono all'insegna di un'autoproduzione consapevole e un cambio di casa discografica, la CGD.
Per i lavori discografici che caratterizzeranno il decennio, Ornella non si limita a collaborare alla produzione (di Sergio Bardotti), ma scrive anche da sé alcuni pezzi (tra gli altri, "Ricetta di donna", "Per un'amica" e "Questa notte c'è"). Per la prima volta, interi album vengono concepiti in funzione di materiale proprio: "Bisogna darsi cariche nuove [...] e poi non c'era questo materiale straordinario d'autore che arrivasse sul tavolo", dichiarerà la cantante in un'intervista del 1982. Ma la Vanoni fa di necessità virtù, e il riscontro di pubblico e critica è subito entusiasta. Adotta così una nuova formula di lavoro, appoggiata da Sergio Bardotti e Maurizio Fabrizio, che diventa una costante e un brand per i lavori successivi.
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Nel 1980 viene pubblicato l'album Ricetta di donna che vanta le collaborazioni con Michele Zarrillo (che scrive con Totò Savio la musica della title track), Fabrizio De André (che scrive il testo italiano di un classico di Leonard Cohen Famous blue raincoat, che diventa La famosa volpe azzurra) e Paolo Conte (che firma il brano La donna d'inverno). Ornella scrive il brano che dà il titolo all'album.
Nel 1981 è la volta di un altro importante e sofisticato album, Duemilatrecentouno parole (2301 allude al numero totale di parole scritte da Ornella Vanoni nell'album), di cui Ornella scrive ben sei pezzi, oltre alla famosissima Musica musica anche la tenera e conosciuta Vai, Valentina e si avvale della presenza di Gino Paoli e Pierangelo Bertoli in due canzoni. Il disco raggiunge il sesto posto in classifica vendite. Per questo album il Club Tenco conferisce alla Vanoni ben due importanti riconoscimenti: si aggiudica sia il Premio Tenco come operatore culturale sia quello come miglior cantautore con l'album Duemilatrecentouno parole, risultando la prima cantautrice donna ad aggiudicarsi tale riconoscimento.
Il 1983 è invece la volta del prestigioso album Uomini, che ruota intorno alla tematica del maschio. Ornella, oltre a continuare a scrivere i testi si avvale della collaborazione di Lucio Dalla, Toquinho e Gerry Mulligan agli strumenti e di Giorgio Conte con il risultato di un album di altissima qualità, che, nonostante le polemiche del testo Il marinaio, di Maurizio Piccoli, ritenuto scabroso, ha dei buoni risultati di vendita, raggiungendo l'ottavo posto in classifica. Ad ogni canzone è abbinato un uomo rappresentativo della Storia, un suo frammento epistolare e la relativa fotografia: I grandi cacciatori: Ernest Hemingway; Il marinaio: Gustav Flaubert; La discesa e poi il mare: Eduardo De Filippo; L'amore e la spina: Hermann Hesse; Rabbia libertà fantasia: Pietro Mascagni; Questa notte c'è: Peter Altenberg; La donna cannibale: Dino Buzzati;Lupo: Oscar Wilde; Ho capito che ti amo: Scott Fitzgerald; Uomini: Giuseppe Garibaldi. Anche per questo album la Vanoni riceve la Targa Tenco come migliore interprete diventando l'artista italiana con maggior numero di riconoscimenti.
Nel 1984 è ospite fisso del programma trasmesso da Canale 5, Risatissima, con la conduzione di Milly Carlucci, nel quale in ogni puntata cantava un brano musicale
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Nel 1985 comincia una lunga serie di concerti tenuti nei principali teatri italiani in coppia con Gino Paoli, che segna il riavvicinamento artistico dei due a distanza di anni: da questa tournée di grandissimo successo viene registrato il doppio disco di grande successo, Insieme. Di tale impegno particolarmente apprezzata sarà la canzone Ti lascio una canzone.
Nel frattempo la Vanoni lavora anche allo spettacolo di prosa Commedia d'amore, presentato nei teatri al fianco di Giorgio Albertazzi e portatore di critiche positive.
Nel 1989 torna al Festival di Sanremo con Io come farò, scritta per lei da Gino Paoli, classificandosi alla decima posizione, che anticipa la pubblicazione dell'album Il giro del mio mondo quasi del tutto scritto da Paoli con la collaborazione di Sergio Bardotti, a eccezione del brano Isola, scritto da Teresa De Sio. Con questo disco si conclude la collaborazione con Bardotti, ripresa poi nei primi anni Duemila.
Nel 1992 esce Stella nascente, primo album di Ornella Vanoni con la produzione di Mario Lavezzi, che scrive anche il singolo omonimo insieme a Mogol. In questo disco, la Vanoni ritorna a firmare i testi di ben cinque canzoni, tra cui Perduto. Inoltre comincia anche la collaborazione con Grazia Di Michele, che scrive Non era presto per chiamarti amore. Stella nascente ottiene il disco d'oro per le vendite.
Nel 1995 è la volta di Sheherazade, prodotto ancora da Mario Lavezzi. Ornella Vanoni è autrice di otto dei dodici ritratti femminili del disco, incentrato e dedicato ancora una volta alla donna. Il titolo dell'album, Sheherazade (come anche il brano omonimo), vuole essere un riferimento e una dedica all'ingegno, alla creatività, al potere della seduzione e della bellezza, propri dell'essere donna: emblema di ciò è Sheherazade o Sharāzād, personaggio protagonista de Le mille e una notte, che riuscì a sfuggire alla morte per mano del re persiano Shāhrīyār, trasformando il suo odio in "lacrime d'amore", grazie al suo fascino e alla sua fantasia. In una nota dell'album, la cantante definisce Sheherazade "il più grande archetipo femminile".
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L'album, arrangiato da più musicisti, è tra i più eterogenei circa le atmosfere e le sonorità presenti. Due i principali successi contenuti nel disco: Per l'eternità di Mogol-Lavezzi e Rossetto e cioccolato, scritta dalla stessa Ornella. Anche a questo disco collabora Grazia Di Michele, coautrice assieme alla Vanoni di tre brani, tra cui Sos (che nel 2009 Ornella dichiarerà essere la canzone che più rappresenta se stessa e l'amore). Tra gli altri brani presenti, spiccano Lupa, Il mio trenino, I desideri delle donne e Angeli e no.
Nel 1996 Ornella Vanoni avrebbe dovuto partecipare al Festival di Sanremo con un altro brano da lei firmato (Bello amore), ma poche ore prima della prova d'orchestra al Teatro Ariston, la melodia del brano (di Giuseppe Barbera) viene eseguita in un programma radiofonico della RAI, con un altro testo, da Emilia Pellegrino, la quale, avendo tentato senza successo la carriera di cantante presso il Centro Europeo Tuscolano di Mogol, secondo la stampa, avrebbe sottratto uno spartito con la melodia "incriminata" durante le attività musicali del CET, per poi riutilizzarla, mossa da frustrazione, per una sorta di vendetta personale (possibilmente favorita da qualcuno dell'ambiente).
Nel 2001 incide due album di cover, prodotti da Mario Lavezzi, in cui rivisita alcuni grandi successi italiani degli anni sessanta e settanta in chiave moderna: Un panino una birra e poi... e E poi... la tua bocca da baciare, col quale passa alla Sony Music. I due album le valgono rispettivamente due disco di platino e due disco d'oro per le vendite.
Il 30 novembre 2007 inizia la tournée (che proseguirà fino a maggio 2008) “Una bellissima ragazza”, concerto-spettacolo – le scenografie di Giancarlo Cauteruccio e la direzione musicale di Mario Lavezzi - che la porta nei maggiori teatri d’Italia ed in Spagna dove partecipa al “Festival Ellas Crean” al National Auditorium di Madrid e a “Le voci d’Italia”, rassegna organizzata nello splendido Palau de la musica catalana di Barcellona.
Nell’estate 2008 parte il tour “Ornella Live 2008” in luoghi storici e magici d’Italia con importanti partecipazioni: “Omaggio a Rosa Balistieri” con Carmen Consoli a Catania, “Musica per i borghi” dove duetta con Giorgia a Marsciano, l’ “Omaggio a Fabrizio De André” in seno al “Time in Jazz” di Paolo Fresu a L’Agnata, “Caulonia Festival” con Eugenio Bennato a Caulonia Superiore.
Il 2008 è anche l’anno di importanti riconoscimenti: “Premio Milano donna - le donne che hanno fatto grande Milano”, “Premio Marisa Bellisario Speciale alla Carriera “ dedicato a “Le donne che progettano il futuro: innovazione, creatività, meritocrazia”.
Il 13 novembre 2009 esce il disco Più di te, dedicato ancora una volta al mondo dei cantautori: Ornella Vanoni canta al maschile testi come Alta marea (Antonello Venditti), Quanto tempo e ancora (singolo che ha anticipato l'album, di Biagio Antonacci), Dune mosse (Zucchero Fornaciari), La mia storia tra le dita (Gianluca Grignani), Ogni volta (Vasco Rossi), e duetta con Lucio Dalla, Gianni Morandi, Mario Lavezzi (Vita), Samuele Bersani (Replay), Pino Daniele (Anima), Ron (Non abbiam bisogno di parole), Gianna Nannini (I maschi). Quest'ultimo album ottiene il triplo disco d’oro per le vendite.
Nel febbraio 2014 Ornella annuncia la sua ultima tournée teatrale intitolata Un filo di trucco, un filo di tacco, titolo che ricorda la frase che la madre della Vanoni le ripeté per anni prima di uscire. Lo spettacolo, portato nei principali e più grandi teatri italiani, presenta davvero l'aspetto di un recital composto non soltanto dall'esecuzione dei più importanti successi della cantante, ma anche momenti di dialogo con il pubblico e monologhi scritti proprio dalla Vanoni.
«Dopo aver annunciato che Un filo di trucco, un filo di trucco sarà la mia ultima tournée tutti mi chiedono se smetterò di cantare. Non ci penso neanche! Fino a quando potrò canterò, non potrei fare altrimenti. Sarà l'ultima tournée nel senso che non ho più le forze di tenere un palco per più di due ore e alternare musica a recitazione.»
Tra il 2015 e il 2016, la cantante è nuovamente in tour con un ennesimo spettacolo totalmente acustico, dal titolo Free soul. «Il concerto si apre con la voce di Vinicius De Moraes che recita una poesia e poi la scaletta spazia dal jazz alla bossanova, dai suoi grandi successi e ad alcune chicche che Ornella regalerà al pubblico, senza tralasciare le radici soul che da sempre accompagnano le sue interpretazioni più intense. L'aspetto più emozionante del concerto rimane il dialogo verbale tra Ornella e il pubblico: a ruota libera, senza un copione scritto, racconta la libertà dell'anima.»
Durante tutto il 2018 e parte del 2019 è nei principali teatri italiani con lo spettacolo La mia storia tour , in cui canta anche l'ultimo successo, Imparare ad amarsi.
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Nel 2019 partecipa alla seconda edizione del programma Ora o mai più, condotto da Amadeus su Rai 1, in qualità di Coach del cantante Paolo Vallesi. Dal settembre 2019 è giudice della prima edizione di Amici Celebrities condotto da Maria De Filippi prima, e poi da Michelle Hunziker, su Canale 5.
Il 1º dicembre 2019 è protagonista del programma "In Arte...Ornella Vanoni" condotto da Pino Strabioli, con il quale ripercorre la sua lunga carriera, alternando all'intervista rari filmati.
Il 10 settembre viene presentato come evento speciale nella selezione ufficiale delle Giornate degli autori nel corso della 78ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia il documentario diretto da Elisa Fuksas, Senza Fine, e prodotto Tenderstories. Nel film ci sono, tra gli altri, Paolo Fresu, Samuele Bersani e Vinicio Capossela. E ci sono tutte le passioni forti e le solitudini, le vette e gli abbandoni dell'iconica cantante italiana. «Non è un film definitivo sulla Vanoni… è un film sul nostro incontro ed è sgangherato come lo siamo noi…. Ornella mi ha insegnato ad essere coraggiosa» afferma la regista.
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levysoft · 3 years ago
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Questo è un elenco con personaggi che può essere considerato come dominio pubblico Ciò significa che possono essere utilizzati liberamente per opere derivate, come strisce, film, cartoni animati e altre opere d'arte, senza che sia richiesto il consenso di alcun legittimo proprietario. In generale, la regola è che i personaggi diventano di dominio pubblico settant'anni dopo la morte del loro autore. Se l'autore è sconosciuto, viene arrestato 70 anni dopo la pubblicazione di un'opera.
Nota: questo elenco riguarda solo i personaggi, non le opere derivate. Il fatto che a film essere di pubblico dominio non significa che anche i personaggi di quel film siano di pubblico dominio. Ad esempio, il file Cartoni animati di Superman fatto tra 1941 e 1943 è di pubblico dominio, ma il personaggio cade Superuomo ancora appena sotto diritto d'autore. È anche possibile il contrario: il personaggio Herakles è di pubblico dominio, ma il film Disney su questo personaggio è protetto da copyright.
Soddisfare
1 Personaggi della mitologia greca
2 Personaggi di Mille e una notte
3 Personaggi di Robin Hood
4 Personaggi delle fiabe dei fratelli Grimm
5 Personaggi delle fiabe di Hans Christian Andersen
6 Personaggi di Bram Stokers Dracula
7 Personaggi di Arthur Conan Doyles Sherlock Holmes
8 Personaggi di Rudyard Kiplings Libro della giungla
9 Personaggi del selvaggio West
10 Altri personaggi popolari della letteratura e della storia europee
11 Altri personaggi popolari
12 Personaggi di opere religiose
Personaggi della mitologia greca
Tutte le figure della mitologia greca possono essere considerate di dominio pubblico.
Jason
Eracle
Il Leone di Nemea
Odysseus
Il Ciclope
Circe
Ermete
Afrodite
Hestia
Personaggi di Mille e una notte
I racconti di Mille e una notte furono registrati in diverse versioni tra il 500 a.C. e il 1800. Ciò consente a tutti i caratteri di essere considerati di pubblico dominio.
Aladin
Ali Baba e i quaranta ladri
Sinbad il marinaio
Il pescatore e il ginn
Personaggi di Robin Hood
Menzioni di Robin Hood si possono trovare fin dal primo Medioevo. Tutte le ballate che menzionano Robin Hood furono scritte prima del diciannovesimo secolo. Ciò rende i seguenti caratteri di dominio pubblico:
Robin Hood
Lady Marion
Il Sceriffo di Nottingham
Piccolo Jan
Will Scarlet
Guy di Gisburne
Fratello Tuck
Allan a Dale
Tanto
David di Doncaster
Re Giovanni
Re Richard
Personaggi delle fiabe dei fratelli Grimm
Il Fratelli Grimm ha registrato molte fiabe e racconti popolari diversi. Entrambi sono morti nel diciannovesimo secolo (1859 resp. 1863). Di conseguenza, un gran numero di personaggi delle fiabe appartiene al pubblico dominio:
Il principe ranocchio
Il lupo e i sette bambini
Piccolo fratello e sorella
Rapunzel
Hansel e Gretel
Cenerentola
Donna Holle
Cappuccetto Rosso
I musicisti della città di Brema
La bella addormentata
Bianco come la neve
Rumpelstiltskin
Personaggi delle fiabe di Hans Christian Andersen
Hans Christian Andersen collezionava, come i fratelli Grimm, molte fiabe. È morto nel 1875. Questo rende i suoi personaggi di pubblico dominio:
La principessa sul pisello
L'Imperatore spiega I vestiti nuovi dell'imperatore
L'usignolo cinese
Il brutto anatroccolo
La Sirenetta
Karin spiega Le scarpe rosse
La ragazza con il fiammifero
La regina della neve
Pollicina
Il soldato fuori La Tinder Box
omino del sonno
Personaggi di Bram Stokers Dracula
Copyright su Bram Stokers Dracula è scaduto, in quanto l'autore più di settanta anni fa (in 1912) è deceduto. Di conseguenza, i seguenti caratteri sono di dominio pubblico:
Conte Dracula
Abraham van Helsing
Wilhelmina Harker
Arthur Holmwood
Jonathan Harker
John Seward
Quincey Morris
Renfield
Lucy Westenra
Personaggi di Arthur Conan Doyles Sherlock Holmes
Arthur Conan Doyle, l'autore di Sherlock Holmes, morto nel 1930. Per questo motivo, tutti i personaggi di Sherlock Holmes sono di pubblico dominio:
Sherlock Holmes
Dr. Watson
Professor Moriarty
Personaggi di Rudyard Kiplings Libro della giungla
Rudyard Kipling morto nel 1936. Sono conosciuti Libro della giungla contiene un gran numero di caratteri, che ora sono di dominio pubblico:
Mowgli il bambino umano
Akela il Lupo
Raksha la lupa
Baloo il orso
Bagheera il pantera
Chil l'Aquilone
Mang il pipistrello
Registro di Bandar, un casino scimmie
Kaa il serpente (Pitone)
Shere Khan il Tigre
Tabaqui il sciacallo
Rama il Toro
Personaggi del selvaggio West
Molti personaggi storici del selvaggio west sono usati liberamente per questo Westerns:
Buffalo Bill
Annie Oakley
Toro Seduto
Billy il bambino
Pat Garrett
Wyatt Earp
Doc Holiday
Jesse James
Frank James
Robert Ford
Banda di James-Younger
Gli eventi vengono spesso utilizzati anche per questo:
Scontro a fuoco all'O.K. recinto per bestiame
Pony Express
Altri personaggi popolari della letteratura e della storia europee
Paesi Bassi
Cavalieri di capra
Willem van der Decken (capitano di L'olandese Volante)
Dove Wander
Visser Blommaert e l'Ossaert
Ellert e Brammert
Faust a Leeuwarden
La donna avara
Le pere che scivolano
La vanitosa lattaia
Wijerd Jelckama
Ossaert
Pier Gerlofs Donia
Redbald e Wulfram
Madre di segale
San Nicola e Black Pete
Jantje van Sluis
Dik Trom
Eline Vere
La signora di Stavoren
Bambino mutevole
Donne bianche
La sirena di Westenschouwen
Gran Bretagna
Beowulf
Re Artù
Lancillotto
Frankenstein
Ebenezer Scrooge
Sweeney Todd
Jack lo Squartatore
Mostro di Loch Ness
Lawrence d'Arabia
Germania
coniglietto di Pasqua
Baron von Münchhausen
Winnetou
Old Shatterhand
Old Firehand
Italia
spartacus
Giulio Cesare
Belgio
Tijl Ulenspiegel
Lamme Goedzak
Spagna
Don Chisciotte
Svizzera
Wilhelm Tell
Altri personaggi popolari
Ben Hur
Tarzan
C. Auguste Dupin
Babbo Natale
Popeye [1]
Cthulhu
Personaggi di opere religiose
In effetti, i personaggi di ogni religione contano almeno 70 anni fa o più prima incorporati su carta sotto il dominio pubblico. Ma gli adattamenti delle opere religiose possono essere visti come discriminatori.
Fonti, note e / o riferimenti
↑http://entertainment.timesonline.co.uk/tol/arts_and_entertainment/tv_and_radio/kids_tv/article5415854.ece
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bangtanitalianchannel · 7 years ago
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[ARTICOLO] I BTS incontrano Vogue a L.A. – Ed è “Hella Lit”
““Wow, ma quello è Raf?” chiede J-Hope – il main dancer dei BTS – entrando di colpo in un’appariscente suite situata nel quartiere di Downtown Los Angeles e arredata con divani color senape, e dirigendosi verso il centro della stanza, dove su degli stand sono appesi jeans attillati e western top. “Sembrano costosi” mormora, studiando le strisce di gros-grain, poi richiama l’attenzione degli altri membri della band nel momento in cui questi arrivano: “Ragazzi, è Calvin Klein!”
Il decimo piano dell’hotel è stato completamente chiuso al pubblico per questa settimana di novembre in modo da poter accomodare i sette membri del gruppo K-pop, giunti negli U.S. in occasione della loro prima significativa esposizione ai media americani: James Corden, poi Jimmy Kimmel, una memorabile performance agli AMAs (il primo gruppo coreano a parteciparvi), e Ellen DeGeneres, con una sfilza di interviste rilasciate nel mentre. Durante il loro penultimo giorno hanno raggiunto un nuovo traguardo, diventando la prima band K-pop a girare un servizio fotografico completo con Vogue, che ha loro proposto un tour divertente e spensierato della città che hanno conquistato con il loro successo.
Entrano nella stanza uno alla volta – Jungkook, il più giovane, è davvero incredibile dal vivo, non appena arriva cala un silenzio percepibile che lo coglie leggermente di sorpresa. Si dirige subito verso la zona dedicata al make-up per ricevere eventuali ritocchi, canticchiando tra sé e sé nell’attesa. Gli altri membri si precipitano verso gli snack ammucchiati su una credenza: ramen istantaneo e scatole di Pocky, Cheetos e Fritos croccanti, lattine di Coca Cola, fette di Castella, Americano ghiacciati, e densi frullati che aiutano a mantenere la forma fisica contenuti in borracce turchesi, confezionati separatamente e allineati con una precisione millimetrica.
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La collezione di Raf in tessuto di jeans per la primavera 2018 (poi fotografato sulle Kardashian-Jenners) è puntualmente apprezzato; dopo ciò, i ragazzi escono per cambiarsi in privato e tornano per un controllo di gruppo. Essi sono estremamente meticolosi con riguardo ai vestiti: “Sono perfezionisti”, ripete orgoglioso un membro dello staff per cinque volte durante la giornata. Gli orli sono risvoltati, disfatti e riappuntati finché non si trovano appena sopra la caviglia; Jungkook si concentra su una cintura finché non calza a pennello, mentre Jimin e Suga confrontano tra loro orecchini con catenine d’argento, che sfiorano i colletti a causa della loro lunghezza. Jin entra con prontezza, alza le spalle alla vista di un paio di stivali da cowboy blu fiordaliso, e si mette in bocca una fetta di Castella.
Dopo circa 45 minuti, i ragazzi si accomodano su uno dei divani color senape e iniziano a raccontare con piacere i momenti salienti della settimana appena passata –l’incontro con Post Malone agli AMAs, Panda Express all’aeroporto – per poi passare alle loro espressioni preferite di slang americano. “Insegnaci qualcosa!” chiede il leader RM, in precedenza Rap Monster. Uno degli editori propone ‘lituation’, un misto tra ‘lit’ (nb: acceso, fantastico) e ‘situation’ (nb: situazione).
I loro occhi brillano come se avessero appena ricevuto in regalo un nuovo, splendente giocattolo. “Lituation! È hella lit (nb: ‘davvero fantastico’, gioco di parole con riferimento al testo di Mic Drop)!”
E lo era davvero.
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Ormai, tutto quello che c’è da sapere sui BTS è trapelato nelle interviste. ‘BTS’ sta per ‘Bangtan Sonyeondan’, o ‘Bulletproof Boy Scouts’; la scorsa estate, avendo notato un successo crescente negli U.S., hanno aggiunto il nuovo significato di ‘Beyond The Scene’. La boy band, composta da sette membri, ha debuttato nel 2013 tramite la Big Hit Entertainment, un’agenzia di intrattenimento di Seoul che ha rivestito un ruolo di importanza minore. Inizialmente la loro musica era influenzata maggiormente dal rap e l'hip-hop. Nel 2015 hanno cambiato direzione e tracce dance energiche come "Dope" e tracce EDM come "Save Me" hanno attirato l'attenzione di un pubblico più internazionale nonostante la Big Hit rimanesse focalizzata sull'Asia.
Tutto è cambiato lo scorso maggio all'edizione del 2017 dei Billboard Music Awards, quando i BTS sono volati a Los Angeles per accettare il premio per Top Social Artist indossando i loro completi di seta firmati Saint Laurent e il successivo fermento su Twitter (la piattaforma social preferita dalla band) ha attirato l’attenzione del resto del mondo. Da quel momento l'attenzione nei loro confronti è aumentata a dismisura e quando i loro voli per la West Coast sono stati programmati, la stampa e i fan erano già pronti all'attacco. Al loro arrivo a L.A. sono stati accolti da una folla urlante di ragazze e ragazzi che si accalcavano contro la linea delle guardie di sicurezza che avevano formato un muro umano per proteggere i ragazzi.
Il viaggio a L.A. è stato una sorta di fenomeno pop mai più visto dall’arrivo dei Beatles a New York (o l’arrivo dei One Direction, beh, ovunque) ma di una rilevanza diversa. Per molti americani di origine asiatica ha significato molto vedere questi sette coreani celebrati su scala mondiale. In Corea i coreani sono rimasti meravigliati di vedere un gruppo loro arrivare così in alto (curiosamente i BTS sono esplosi prima all’estero, vincendo il loro primo daesang o altro premio importante coreano solo nel 2016). Anche i ragazzi lo sanno. Durante la giornata trascorsa con loro, hanno passato molto tempo beatamente sbalorditi dalle attenzioni nei loro confronti.
"È ancora difficile credere che stia accadendo davvero", ha detto Jin. "È un sogno."
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Sono le 3:45 del pomeriggio e i ragazzi sono finalmente saliti sul party bus (com’è possibile viaggiare per L.A. con un piccolo entourage se non in questo modo?). Alla fine si contano: sette star del K-Pop, tre direttori di Vogue, una crew di quattro uomini per il video, un manager, una guardia del corpo, un traduttore, un truccatore, un assistente e il guidatore. Il resto del team (tre altre guardie del corpo, due hair stylist e un makeup assistant, altri manager e due addetti stampa) segue in Escalades nere scintillanti. I sedili sono rivestiti di pelle e il bus è dotato di luci colorate e di un palo argento al centro. Ci sono anche degli snack: bottiglie di Coca Cola tenute nel ghiaccio, distribuite dai ragazzi, pretzel ricoperti di yogurt, barrette Kind e un sacchetto di nacho cheese Doritos che Jimin ha preso tutto contento (“Sono i miei preferiti!”).
"Questo è il tipo di luogo in cui fare una festa?" Ha chiesto Jin mentre guardava il palo con sospetto. Una volta spiegato loro che quel bus porta le persone da un club all'altro ("così la festa non si ferma mai") il gruppo è rimasto sbalordito ("Wow, americani..."). Così J-Hope ha collegato il suo telefono e ha messo una selezione delle loro canzoni preferite: "Havana", "Dirty Pop". Si sono scatenati per la prima volta dopo giorni lasciando lo stress per gli AMAs alle loro spalle. Sembravano pieni di energia repressa.
Il basso fa tremare le pareti e V raccoglie due tappi abbandonati di Coca Cola e li mette vicino agli occhi, ghignando e scoppiando a ridere selvaggiamente. Jin e RM a turno si muovono provocativamente e saltellano attorno al palo in modo drammatico, finché anche ogni membro del team e dello staff sta ridendo.
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Perché i BTS sono così popolari?
Sono lontani dal primo artista sud coreano a fare un salto negli Stati Uniti – le SNSD con la loro hit virale “Gee”, tra cui Rain, che famosamente sconfisse Stephen Colbert come personalità più influente per il Time del 2007 (come votato dai fan) – ma l'attenzione attorno a loro sembra diversa. È una questione di tempismo: al momento giusto, hanno trovato un gruppo appassionatamente leale chiamato Army, che ha perso la testa, è cresciuto rapidamente e ha consegnato i suoi ragazzi alla notorietà internazionale. Tuttavia, c'è anche il corrente paesaggio mediatico da considerare. È il motivo per cui i Billboard Music Awards hanno segnato un punto di svolta – i media hanno visto il potenziale di visualizzazioni e la crescita esponenziale di copertura mediatica che ha seguito è sembrata alle volte, per lo sgomento degli Army, ipocrita.
Prendete James Corden, per esempio, che ha attirato delle ire per aver assecondato i fan. Peggio ancora sono stati quegli intervistatori americani che non avevano fatto alcuna ricerca e hanno spesso posto con superiorità domande ignoranti - “Ballate?” quando sono conosciuti per questo. È stato difficile per gli Army guardare interviste esigue, condotte da persone che a malapena conoscevano (a cui sicuramente non interessavano) i loro ragazzi, solo per l'attenzione che avrebbero potuto portare; in molti casi, sono stati trattati come una novità asiatica.
Eppure il mondo della moda sembra impaziente di accoglierli in maniera più equilibrata, qualcosa che i ragazzi apprezzano molto. Hanno indossato Saint Laurent di Anthony Vaccarello per entrambe le comparse sui red carpet americani; spendono molto tempo a preoccuparsi di orologi e orecchini e nel documentare i loro look quotidiani. Sul party bus, mordono cautamente i loro hot dog ricoperti di mostarda, attenti a non farne cadere una goccia. Sono grandi fan di marche come Gucci, WTAPS e Calvin (e Raf, se per questo), seppure in Corea il prezzo di CK sia alquanto salato per via delle tasse di importazione. “Che ne pensa di uno sconto di gruppo: un pacco da 30 camicie di Calvin per $30, come suona?” propone Jungkook, ridendo. “Siamo d'accordo?”
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Lo scorso autunno, i BTS sono stati avvicinati da un cameraman fuori da un famoso chiosco di hot dog vicino ad Hollywood. Il filmato è diventato virale e rumor che la band avesse cancellato un “meet and greet” senza alcun motivo si sono diffusi rapidamente. Ovviamente, la verità è che non ci sarebbe mai dovuto essere un meet and greet, ma un servizio fotografico privato con questo magazine: il proprietario ha firmato un accordo standard, parte del quale stipula che l'evento sia chiuso al pubblico. In seguito, l'account Twitter del chiosco posta l'esatto orario a cui la band sarebbe arrivata e incoraggia i fan ad andare.
Il bus accosta trovandosi davanti almeno tre crew di giornalisti, inclusi l’ABC News e il TMZ, e una folla di fan in attesa: il servizio fotografico non è più possibile. Per attenersi al programma, il team è obbligato a spostarsi qualche quartiere più lontano per continuare. Alla fine alcuni cameraman riescono a trovare la nuova location: un uomo particolarmente aggressivo comincia a urlare i suoi diritti di fronte ad un bodyguard (che non capendo l’inglese rimane letteralmente imperturbato). Il servizio deve obbligatoriamente interrompersi e i ragazzi mettono piede di nuovo sull'autobus.
“Perderete tutti i vostri fan americani ancor prima di diventare famosi” urla rincorrendoli.
“Che cosa ha detto?” chiedono una volta saliti di nuovo sopra il bus. Sembrano essere sulle spine, anche se principalmente confusi dalla situazione e dal panico scaturito. I team di trucco e parrucco si affrettano ad applicare olio di essenze erbali dietro i loro colli e si offrono di fare loro dei rilassanti massaggi alle spalle.
Una volta che le sue affermazioni vengono tradotte, tuttavia, la tensione diminuisce e loro ridono.
“Ringraziatelo per essersi preoccupato per noi!” dice J.Hope sorridendo.
“Sì, grazie davvero!”
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Anche il team della Big Hit, sebbene apertamente contrariato, sembra in cuor proprio elettrizzato. “I paparazzi erano qui!” dice uno di loro passando. “Questo significa che siamo davvero diventati famosi, eh?”. Flash back al 2014 quando i BTS sono arrivati ad LA per filmare un reality show, American Hustle Life, in cui hanno imparato la cultura hip-hop. In una memorabile scena, i ragazzi sono stati mandati in strada per approcciare con molto poco successo delle ragazze random e per invitarle a partecipare al loro video musicale. Adesso, hanno un team di sorveglianza e il TMZ interessato a loro.
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Assistiamo ad uno scenario più allegro da Dave and Buster’s, la catena di sale giochi per adulti, dove ai ragazzi vengono date carte da gioco illimitati per essere lasciati liberi. La pista in una sera infrasettimanale è tranquilla, solo un paio di famiglia con figli piccoli che passano il tempo; non viene prestata molta attenzione al bel gruppo sul fondo. Jungkook e Jin si fiondano sulla macchina di Dance Dance Revolution e si sfidano, i loro palesi stivali da cowboy che si muovono frenetici sul tappeto. Suga e Jimin afferrano un gioco di spari in prima persona mentre J-Hope e RM cominciano a tirare a canestro. Al di là della sala, V attira l’attenzione di un bambino - “Mamma, erano in TV ieri sera!” - e scatta un selfie insieme a lui, prima di rivolgere la sua attenzione al macchinario in cui lanci palloni grandi quanto il tuo palmo attraverso diversi cerchi. “Aspettate, questo è davvero difficile!” dice, chiamando Jimin per fargli fare un giro (Jimin ne lancia un paio nei cerchi giusti senza alcuna fatica).
La loro energia è contagiosa e sembra anche infinita. Dopo aver terminato il servizio fotografico ed essersi inchinati all’intera crew di lavoro, i sette ragazzi risalgono sul loro Escalades e ritornano immediatamente all’hotel. Si dirigono verso le loro stanze separate, si cambiano indossando abiti puliti e continuano un’intervista che era stata interrotta quel pomeriggio. Il giorno dopo, di buon mattino, appaiono da Ellen, si dirigono poi direttamente al LAX (N/B: l’aeroporto di Los Angeles) e ritornano a Seul per cominciare le prove degli show di fine anno, allenandosi fino a tarda notte.
Non ci sono dubbi che siano stanchi, ma nonostante questo sorridono e continuano a lavorare. Probabilmente la bellezza sta in quella semplicità: sette giovani ragazzi che si godono il viaggio.”
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©Cam, ©CiHope, ©Clara, ©lynch) | ©Vogue
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antennaweb · 4 months ago
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sciscianonotizie · 4 years ago
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Stella Bassani a Gazoldo Degli Ippoliti celebra in musica la XXI° Giornata della Cultura Ebraica
Ritorna Stella Bassani, interprete e vocalist mantovana, presso la sede della Postumia di Gazoldo degli Ippoliti, in provincia di Mantova, per testimoniare la Giornata Europea della Cultura Ebraica che, nel 2020, compie la sua XXI° edizione. Canzoni popolari tradizionali e contemporanee, con il meglio del suo repertorio storico e ballate mai eseguite in pubblico. “ Percorsi ebraici“...
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source https://www.ilmonito.it/stella-bassani-a-gazoldo-degli-ippoliti-celebra-in-musica-la-xxi-giornata-della-cultura-ebraica/
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scienza-magia · 5 years ago
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La magia presso i popoli celti e germanici
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Come sanno tutti gli storici delle religioni la magia ha sempre rivestito una grandissima importanza in molte civiltà e in molti periodi storici a cominciare dalle epoche antichissime sin dalle origini della civiltà umana . In questo articolo prenderemo in considerazione il ruolo rivestito dalla magia presso i celti e i popoli germanici. Cominceremo il nostro discorso sulla magia interessandoci dei celti popolo molto misterioso che per tale ragione ha attirato l’attenzione di molti studiosi . Nella società celtica erano i druidi a gestire e controllare la dimensione del sacro e del soprannaturale . Essi erano i detentori nel mondo celtico del sapere ancestrale e cosmico , conoscitori dei segreti delle piante ed inoltre avevano l’importante compito di lanciare il malocchio contro i nemici ed infine erano anche medici e mediatori nell’ambito del gruppo sociale a cui appartenevano . Possiamo dire che i druidi celtici erano gli antenati di quelli che verranno in seguito chiamati stregoni o sciamani . I druidi erano altresì gli importantissimi sacerdoti della religione celtica , religione che ha da sempre attratto l’interesse degli storici delle religioni . Soprattutto negli ultimi decenni la religione celtica ha attratto l’ interesse di numerosi studiosi i quali hanno messo in evidenza il grandissimo prestigio sociale che godevano i druidi , presso i popoli germanici la magia era praticata non da uomini ma da donne dotate di grandissimo potere sociale che prendevano il nome di Sibille . Tali donne possono essere considerate le mediatrici del rapporto esistente tra i componenti della tribù e la dimensione magica religiosa e in senso lato soprannaturale . Al posto della quercia e del vischio che erano i simboli dei druidi celtici presso i germani il simbolo collegato con la dimensione magica e religiosa era il frassino , pianta che rivestiva un importantissimo simbolismo nella magia presso i popoli germanici . Infatti, il frassino nella complessa mitologia germanica affondava le proprie radici nel centro del mondo avvolgendolo completamente . Anche la mitologia germanica è stata oggetto di approfonditi studi da parte degli storici delle religioni che hanno concentrato la loro attenzione sulle principali divinità della religione germanica quali ad esempio Thor Odino etc.
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Sia presso i celti che presso i germani la natura era considerata incantata tanto che esisteva una complessa simbologia magica che condizionava profondamente sia la vita degli individui che quella della collettività . Anche gli storici delle tradizioni popolari hanno compiuto interessantissimi studi intorno a tale complessa simbologia che faceva sentire pesantemente la sua influenza sui celti e sui popoli germanici . Molta importanza rivestiva nella memoria collettiva dei popoli il re celtico Merlino morto in battaglia nel 532 : egli è passato alla storia come il simbolo del mago per eccellenza nonché come il simbolo del vecchio druido che conosceva tutti i segreti della natura . Inoltre, Merlino aveva la fama presso molti popoli di essere in grado di parlare agli elementi della natura e di riuscire ad avere un assoluto controllo su di essi. Secondo la leggenda ( tale leggenda rientra nel famoso ciclo bretone che ha come protagonisti re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda). Merlino amava lasciare la sua corte per trascorrere moltissimo tempo nelle foreste in totale ed assoluta solitudine . Secondo la legenda Merlino quando si trovava in tali foreste assolutamente solo trovava l’ispirazione per comporre le sue celebri ballate che occupano un posto importante nella storia della letteratura . Un giorno Merlino nella foresta bretone di Progelandia fece un incontro di straordinaria importanza che condizionò tuta la sua esistenza : egli incontrò la Fata Riviana . Merlino si innamorò perdutamente di tale fata donna bellissima ed affascinante , l’incontro con la fata Riviana assunse grande importanza per la sua esistenza non solo perché ella fu il grande amore della sua vita ma anche perché gli insegnò tutti i segreti dell’arte magica . Tra i personaggi del ciclo bretone a cui appartiene merlino rivestono grande importanza cavalieri come Lancillotto che si innamorò della moglie di re Artù Ginevra e che compì tutta una serie di grandissime ed eroiche imprese . Concludiamo il nostro articolo mettendo in evidenza che nella mitologia germanica ed anche in quella di altri popoli europei rivestono grandissima importanza gli appartenenti al cosiddetto piccolo popolo ( fate, gnomi, elfi, folletti e anche ondine ed altri esseri magici . tali creature magiche utilizzavano spesso i loro poteri per interagire con gli esseri umani ed interferire nelle loro vicende individuali e collettive . In particolare, le fate tra le quali abbiamo citato in precedenza Riviana erano esseri dotati di grandissimi poteri magici ambivalenti e bellissime : esse erano esseri misteriosissimi e plurisecolari che spesso affascinavano e conquistavano gli uomini con i quali entravano in contatto . Le fate rivestono oggi una grandissima importanza nel movimento New Age che ha ripreso nella sua dottrina elementi della mitologia della tradizione celtica . Proprio il grande successo del new Age nel mondo occidentale ha riportato in grandissima auge l’interesse per il mondo e per la tradizione celtica . Oggi alcuni individui appartenenti al new Age sostengono di aver fotografato le fate e di aver stabilito contatti con loro attraverso il channelling una sorta di spiritismo praticato dagli Acquariani che si differenzia dallo spiritismo classico in quanto non si contattano solamente anime di morti ma soprattutto entità di vario tipo molte delle quali appartengono alla religione e alla tradizione dei celti e dei popoli germanici . Infine, dobbiamo dire che secondo alcuni adepti del new Age sarebbe possibile ricevere dalle fate conoscenze che fanno parte del patrimonio del sapere ancestrale dell’ umanità in gran parte andato perduto . Secondo gli Acquariani i druidi e le sacerdotesse dei popoli germanici conoscevano gran parte di questo sapere antichissimo ed ancestrale e proprio per tale ragione sia i Druidi sia le sibille godevano di grandissimo prestigio nei loro popoli . Prof. Giovanni Pellegrino Prof. Ermelinda Calabria Read the full article
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salentipico-blog · 7 years ago
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Giovedì 16 e venerdì 17 novembre (ore 20.45 – ingresso 12 euro + dp – info 0832242000 – prevendite vivaticket.it) con due concerti ai Cantieri Teatrali Koreja di Lecce prende il via il tour europeo del Canzoniere Grecanico Salentino, tra i più importanti e riconosciuti gruppi di world music. Sarà la prima occasione per ascoltare dal vivo, con uno spettacolo inedito, i brani del nuovo progetto discografico Canzoniere, uscito da qualche giorno su etichetta Ponderosa. Un groove percussivo di tamburi a cornice che sembra arrivare dall’elettronica di una drum machine. È Lecce che incontra New York, in una splendida fusione di stili e influenze in cui gli strumenti della tradizione salentina si prestano a un sound più moderno e contemporaneo, tra incursioni di chitarra elettrica e synth bass. Il concerto rientra (fuori abbonamento) in Strade Maestre, la stagione teatrale promossa da Koreja realizzata con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Puglia Assessorato Industria Turistica e Culturale – FSC Fondo per la Coesione 2014-2020, Piiil Cultura in Puglia; Partner Provincia di Lecce, Istituto di Culture Mediterranee, Comune di Lecce e Distretto Produttivo Puglia Creativa. E con il contributo di Adisu Puglia e Candido Vini. CGS volerà poi a Parigi (29 novembre), atterrerà a Berlino (30 novembre), e proseguirà in concerto a Firenze (1 dicembre), Mestre (2 dicembre), Roma (3 dicembre), fino all’Estonia (a Tallin il 5 dicembre, a Pärnu il 6, Jõhvi il 7 e Tartu l’8). Dal 9 dicembre si riparte da Bruxelles, il 10 a Milano per arrivare il 15 a Londra.
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A quarantadue anni di distanza dalla sua fondazione e a due dall’ultimo album “Quaranta”, arriva un disco innovativo e ambizioso, registrato tra Lecce e New York e ricco di prestigiose collaborazioni internazionali. C’è la chitarra inglese di Justin Adams, storico collaboratore di Robert Plant; si riconosce l’inconfondibile voce del cantautore anglo-francese Piers Faccini; e il prezioso tocco classico del violoncello di Marco Decimo, per anni al fianco di Ludovico Einaudi. Il CGS ci ha sempre abituato a un respiro globale, come dimostrano le entusiastiche recensioni della stampa estera e le partecipazioni ai festival più prestigiosi. Negli ultimi anni sono stati headliner per la world music al Womad (in Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda); hanno partecipato allo Sziget Festival di Budapest e al Festival Internazionale di jazz Montréal; sono saliti sul palco del Celtic Connections di Glasgow e si sono esibiti allo SXSW Music Festival in Texas. Eppure, questa volta, il salto è nel ritmo, nel sound. Identificabile nel tocco di Joe Mardin, figlio del celebre Arif, produttore dell’Atlantic Records (Norah Jones e Aretha Franklin, per capirci) che firma la produzione del disco; mentre Joe LaPorta, vincitore di un Grammy per “Blackstar” di David Bowie, è l’ingegnere del suono per il mastering.
La copertina dell’album – l’opera d’arte “Coca-Cola, 2015” realizzata dal collettivo artistico Casa a Mare – è una metafora visiva che rappresenta perfettamente questo nuovo spirito. Nella bottiglia di Coca Cola, simbolo del “contenitore” mondo, si riversa una salsa di pomodoro che rimane unica, senza tempo, glocal e profondamente contemporanea, proprio come la musica del CGS. Nel solco di quella tradizione popolare in cui il canto accompagna costantemente la vita delle persone segnandone i momenti più significativi, l’amore che nasce e che finisce, la vita e la morte, il divino e il quotidiano, oggi il CGS canta il suo Canzoniere: nuovo e travolgente “raccolto di canzoni”. Piantate e coltivate con attenzione e cura, sono state scelte solo dopo essere cresciute e maturate (l’album ha avuto un tempo di lavorazione di due anni).
Mauro Durante – leader della formazione dal 2007 – inizia a New York sessioni di scrittura e composizione che definisce “una sfida avvincente”, e “incredibilmente stimolante”. Lavora in “Moi” con il piano e l’estro del danese Rasmus Bille Bähncke, produttore e compositore per Sting e Blue; in “Ientu” c’è la scrittura e il suono di Michael Leonhart (collabora tra gli altri con Bruno Mars, James Brown, e Lenny Kravitz); scrive le musiche di “Con le mie mani” con Steve Skinner (Diana Ross e Celine Dion); mentre con Scott Jacoby (produttore e compositore per Coldplay, John Legend, e Vampire Weekend) realizza “Lu giustacofane”. Quando torna a casa i suoi eccezionali compagni di sempre fanno il resto. Alessia Tondo con la sua voce e le castagnette; Emanuele Licci con la voce, la chitarra e il bouzouki; Giulio Bianco con la zampogna, il basso, l’armonica, i flauti e i fiati popolari; Massimiliano Morabito suona l’organetto; Giancarlo Paglialunga è voce e tamburello e Silvia Perrone si prepara alla danza. Joe Mardin, che nel 2016 vola a Lecce, chiude le registrazioni dopo diverse sessioni con il gruppo al completo, e aggiunge il tocco finale come ingegnere del suono.
Il risultato, o il raccolto che dir si voglia, sono undici brani originali e uno tradizionale (“Pizzica de Sira”) dove il dialetto salentino incontra cori stratificati e melodie eteree; la pizzica si fonde con il pop anthemico; ritmi sincopati e field recordings si sposano alla perfezione con i ritornelli tipici della forma canzone. Le calde ballate d’amore di “Tienime” e “Sempre cu mie” si affiancano così al violino rapsodico di “Intra la danza” e al travolgente “Moi”, dove gli strumenti classici del Salento si affiancano al pianoforte e gli strumenti elettronici. In Canzoniere si sente l’urgenza di ritrovare la calma come in “Ientu”, ode al valore del silenzio e del respiro. Soprattutto, il bisogno di difendere la propria identità, come in “La ballata degli specchi”, in un mondo sempre più veloce e complesso, così ben descritto nel loop ossessivo di “Quannu te visciu”, che apre l’album. C’è la ferma volontà di custodire e proteggere la propria comunità dagli attacchi che sferra la vita, come incita “Lu giustacofane”, primo video dell’album, abbiano questi la violenza della Xylella che continua a sterminare gli ulivi, o la spregiudicatezza degli interessi economici della TAP (Gasdotto Trans-Adriatico) che vuole approdare sulle coste del Salento.Temi che – anziché svilupparsi nella paura e nella chiusura in sé stessi – guardano al mondo esterno con fiducia, aprendosi con curiosità e interesse all’altro e alle diverse culture.
Così il potente groove percussivo di “Con le mie mani” sprona a credere in noi stessi; mentre “Subbra Sutta”, in cui la voce di Emanuele Licci incrocia l’inglese di Piers Faccini, è un invito multilingue a vivere la vita con pienezza e senza timore. Ci sono le influenze dell’Occidente e dell’Oriente, fino ad arrivare all’antico rituale greco dell’altalena – “Aiora” in Griko – una pizzica dai colori scuri in cui organetto, violino e bouzouki si confrontano con il violoncello di Marco Decimo e la chitarra elettrica di Justin Adams. Il cuore del CGS rimane ancorato ai suoi ulivi secolari e alla sua tradizione di terra di mare. Ma sfrutta al massimo quella sua naturale tendenza a sintetizzare culture diverse per trascinare l’ascoltatore in una dimensione più attuale e globale.
Info www.canzonieregrecanicosalentino.net
Ai Koreja il via al tour europeo del Canzoniere Grecanico Salentino Giovedì 16 e venerdì 17 novembre (ore 20.45 - ingresso 12 euro + dp - info 0832242000 - prevendite 
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