#racconti popolari
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Fiabe Italiane del Piemonte: un tuffo nella saggezza popolare tra passato e futuro
Le fiabe piemontesi rivivono con Paolo Menconi: tradizione e innovazione per grandi e piccini
Le fiabe piemontesi rivivono con Paolo Menconi: tradizione e innovazione per grandi e piccini. Nel libro “Fiabe Italiane del Piemonte”, l’autore Paolo Menconi ci guida in un affascinante viaggio tra le storie popolari della regione, reinterpretate e arricchite per il pubblico contemporaneo. Questa raccolta di 12 fiabe trasforma la saggezza antica in narrazioni moderne, utilizzando filastrocche e…
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gregor-samsung · 4 months ago
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" Di fronte a noi abitava la Lola, una delle prime persone transgender della città, con grave scandalo dei benpensanti del circondario. Una volta la incontrammo dal macellaio e mia madre la salutò dicendole: «Ciao Antonio», scatenando l’incredulità della nostra beata innocenza. Lei, comprendendo la situazione dal mio sguardo confuso, le rispose: «Lucia, per favore, davanti ai tuoi figli chiamami Lola». Le cose cambiano e oggi Lola si fa chiamare Frate Antonio, veste un saio e si è ritirato a vita spirituale da decenni, una storia che farebbe la gioia di gente come il generale Vannacci e Simone Pillon, per cui per favore non andate a raccontargliela, grazie. Al campetto di via Compagnoni oggi non ci sono più i ragazzini, le strade dove giocavamo gliele hanno rubate ormai da tempo immemore. Nelle case sopravvissute alle recenti demolizioni restano gli anziani e i nuovi inquilini di antichi assegnatari poi diventati proprietari e infine locatori. Ogni volta che passo da via della Canalina in macchina guardo da lontano il mio balcone, immagino mia madre che mi chiama e sento che se sono diventato quello che sono è perché ho potuto vivere in quel luogo e in quel contesto, perché quel luogo e quel contesto insegnavano, anche senza l’uso di strumenti complessi, il materialismo storico, la politica, la società, la socialità, la solidarietà, la povertà, la dignità. In breve: la coscienza di classe. In quel luogo diventavi antifascista prima ancora di imparare a leggere e a scrivere. "
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Brano tratto da:
Storie di antifascismo senza retorica, a cura di Arturo Bertoldi e Max Collini, prefazione di Francesco Filippi, People editore, Busto Arsizio (VA), 2024¹, pp. 57-58.
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stilouniverse · 1 year ago
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Il pagliaio
di Luisa Gianassi -Nonna raccontami di quando eri bambina nella grande casa del Pian dei Poggioli a Scarperia, che mi piace tanto… -Va bene Elia, ti racconto di come salvai lo zio Tonio che stava cadendo dal pagliaio. Avevo circa la tua età, 9 anni, quando… -Scusa nonna, ma cosa è un pagliaio? -Hai ragione Elia, tu non puoi saperlo perché oramai i pagliai non esistono più. Tu sei abituato a…
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vecchiorovere · 1 month ago
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Ettore Tito, Marietta.
Olio su tela, 1887. Venezia.
Nei tanti suoi quadri che raccontano la tranquillità della laguna veneta, Marietta è il ritratto della giovane popolana, carico di fascino e seduzione, in posa come modella tra le calli di una Venezia fin de siecle ricca di storie e racconti popolari.
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mucillo · 7 months ago
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Fino a quando avrò pochi palmi della mia terra!
Fino a quando avrò un ulivo…
un limone…
un pozzo…un alberello di cactus!..
Fino a quando avrò un ricordo,
una piccola biblioteca,
la foto di un nonno defunto.. un muro!
Fino a quando nel mio paese ci saranno parole arabe…
e canti popolari!
Fino a quando ci saranno un manoscritto di poesie,
racconti di ‘Antara al-’Absi
e di guerre in terra romana e persiana!
Fino a quando avrò i miei occhi,
le mie labbra,
le mie mani!
Fino a quando avrò… la mia anima!
La dichiarerò in faccia ai nemici!..
La dichiarerò… una guerra terribile
in nome degli spiriti liberi
operai.. studenti.. poeti..
la dichiarerò.. e che si sazino del pane della vergogna
i vili… e i nemici del sole.
Ho ancora la mia anima..
mi rimarrà… la mia anima!
Rimarranno le mie parole.. pane e arma.. nelle mani dei ribelli!
Samih al-Qasim, "Un tè alla menta"
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maimoncat · 5 months ago
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Ma da dove viene la rima dell'orco?
"Ucci, ucci,
Sento odor di cristianucci!"
Potrebbe sembrare scontato chiederselo, abbiamo sentito tutti questi versetti mostruosi dalla bocca dell'orco di Pollicino o del gigante di Jack e il fagiolo magico. Ma a pensarci bene non possono venire da queste fiabe: l'orco non ha alcuna rima nel testo originale dei Racconti di Mamma Oca, di Charles Perrault, e nelle versioni inglesi, il gigante di Jack dice una filastrocca del tutto diversa da quella italiana: "Fee-fi-fo-fum/ I smell the bones of an englishman!". Già le parole iniziali non corrispondono per nulla nei suoni, ma piuttosto che alla fede ci si riferisce alla nazionalità (se volete saperne di più riguardo alla storia di quella filastrocca, potete leggervi questo post di @adarkrainbow). Tralaltro, l'uso di "cristiano" come sinonimo di "umano" è tipico di modi di dire ed espressioni italiane, quindi se anche fosse stato un adattamento dall'inglese, il traduttore dovrà aver saputo il fatto suo sul linguaggio fiabesco italiano.
E quindi? Da dov'è che sono spuntati fuori questi versetti? Io un'idea ce l'avrei, ma non so bene come siano arrivati alle altre fiabe, come abbiano raggiunto questa fama.
Fatto sta, che nel 1885 il famoso studioso di fiabe siciliano Giuseppe Pitrè pubblica la raccolta novelle popolari toscane, tra le quali spicca per noi la n. XXIV, Il diavolo fra i frati, raccontata da Rosina Casini a Fabbriche. Per chi conoscesse le fiabe dei Grimm, questa è una versione del Diavolo dai tre capelli d'oro: un re si ammala, il suo servo fedele va alla ricerca della cura, una penna di una bestia favolosa, e sul suo cammino incontra tanti disgraziati che gli chiedono penne e consigli; questi li riesce a prendere la moglie della bestia, che, nascosto il servo dalla fame del marito, gli strappa le penne per "svegliarlo e chiederli cosa significhino i suoi sogni". Ora, la bestia, entrata a casa grida:
"Mucci mucci, /Oh che puzzo di cristianucci!/ O ce n’è, o ce n’è stati,/ O ce n’è de’ rimpiattati."
ed eccola qua, la rima orchesca! Perché anche se in altre fiabe la "bestia piumata" è qualcosa come un grifone, in questa storia ha proprio il comportamento da orco. Lo pensava anche Calvino quando inserì la novella tra le sue Fiabe Italiane cambiò il titolo in L'orco con le penne, mantenendo sempre la filastrocca:
"Mucci mucci, / Qui c'è puzza di cristianucci / O ce n'è, o ce n'è stati / O ce n'è di rimpiattati."
Anche se non tutti la conoscono, la sua raccolta ebbe una grande influenza nella conoscenza degli italiani del loro patrimonio fiabesco. La Prezzemolina di Imbriani è abbastanza conosciuta, e dalla stessa raccolta è anche tratta la fiaba che ispirò la miniserie televisiva Fantaghirò. Probabilmente è da questa raccolta di Calvino che la filastrocca è entrata nell'immaginario fiabesco generale degli orchi.
In realtà ci sono anche altri aspetti che il Pollicino che conosciamo noi possa esser stato influenzato da Calvino. Una delle prime traduzioni di Perrault, da parte di Collodi, rende il nome Petit-Poucet come Puccettino. Mentre le fiabe italiane hanno sia un Pulcino (nell'omonima fiaba pugliese, uguale per trama a quella francese) e un Pollicino (citato solo come sposo nelle rime di Gallo Cristallo).
Però per accertarsi di queste cose bisognerebbe controllarne altre edizioni di queste fiabe. Se qualcuno riesce a scovarne, ce lo faccia pure sapere!
Provo a metter 'sta roba anche in inglese, magari interessa a qualcuno:
You know that rhyme the giants in english fairy tales say? "Fee-fi-fo-fum/I smell the bones of an englishman!" Well, we have a similar one in italy: "Ucci, ucci/ sento odor di cristianucci!" "Ucci, ucci/ I smell little christians" (for the longest time "cristiano" was used as a synonym to human. It still is by some people). It gets mostly used in Perrault's Little Thumbling by the ogre or in Jack and the beanstalk by the giant. But it doesn't come from these stories. Perrault didn't use any rhymes and the verses from Jack are way too different.
So where did this come from? I might have an idea, but I'm not entirely certain how it reached national knowledge.
Point is, in 1885 the great sicilian folk tale scholar Giuseppe Pitrè published a collection of tuscan folk tales, novelle popolari toscane. Of these, n. XXIV, Il diavolo fra i frati (the devil among friars), told by Rosina Casini from Fabbriche, sticks out to us. For those of you familiar with the Grimms' tales, this is a version of the Devil with the three golden hairs: a king gets sick, his faithful servant sets out to find the cure, a feather from a magic beast, and on his way he finds many unfortunate people, asking for magic feathers and solutions as well. These are all coaxed out from the feathered beast by his helpful wife, who wakes him at night by pulling his feathers and telling him of "the weird dreams she just had!". Now, when this beast frist comes home, it says this:
"Mucci mucci, /Oh che puzzo di cristianucci!/ O ce n’è, o ce n’è stati,/ O ce n’è de’ rimpiattati." ("Mucci, mucci/ oh what stink of little christians!/ There either are, or there have been,/ or there are hidden away.")
There it is, our ogrish rhyme! Because even if this "feathered beast" is in some versions of the story a griffin, it has the same behavior of an ogre. Which is why, when Italo Calvino put this tale among his Italian folk tales, he changed the title to the feathered ogre, while keeping tge verses:
"Mucci mucci, / Qui c'è puzza di cristianucci / O ce n'è, o ce n'è stati / O ce n'è di rimpiattati."
While not everyone knows this collection, it had a big influence in italians being more in-touch with their body of fairy tales. Imbriani's Prezzemolina is fairly well known now, and the same collection also contains the fairy tale that inspired the "Cave of the golden rose" miniseries, Fantaghirò. It's probably Calvino's collection that brought a regional expression to a broader audience.
Calvino might have influenced in other ways the italian reception of little Thumbling as well: one of the first translations of this tale, by Carlo Collodi, keeps the sound of the original name (Petit Poucet) as Puccettino. The now well-known form Pollicino can be found in Calvino as a rhyming name in Crystal Rooster and in a similar form in an apulian version of Perrault's story (Pulcino, Chick).
Though, to be sure we'd need to check more editions
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donaruz · 1 year ago
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#GAZA
Fino a quando avrò pochi palmi della mia terra!
Fino a quando avrò un ulivo…
un limone…
un pozzo…un alberello di cactus!..
Fino a quando avrò un ricordo,
una piccola biblioteca,
la foto di un nonno defunto.. un muro!
Fino a quando nel mio paese ci saranno parole arabe…
e canti popolari!
Fino a quando ci saranno un manoscritto di poesie,
racconti di ‘Antara al-’Absi
e di guerre in terra romana e persiana!
Fino a quando avrò i miei occhi,
le mie labbra,
le mie mani!
Fino a quando avrò… la mia anima!
La dichiarerò in faccia ai nemici!..
La dichiarerò… una guerra terribile
in nome degli spiriti liberi
operai.. studenti.. poeti..
la dichiarerò.. e che si sazino del pane della vergogna
i vili… e i nemici del sole.
Ho ancora la mia anima..
mi rimarrà… la mia anima!
Rimarranno le mie parole.. pane e arma.. nelle mani dei ribelli!
Samih al-Qasim
Poeta palestinese
Un tè alla menta (1968)
Noi siamo quelli che credono ancora a queste emozioni.
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Novità (ma non solo...)
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Il vostro affezionato staff delle Biblioteche di Milano vi imbandisce un piccolo antipasto letterario, prima delle pantagrueliche proposte natalizie.
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Di Geoffrey Holiday Hall si sa soltanto che fu giornalista e scrittore. Elogiato da Leonardo Sciascia che lesse La fine è nota nel 1952, pubblicò solo due gialli e poi scomparve praticamente nel nulla. La fine è nota (uscito per la prima volta in Italia con il titolo La morte alla finestra) fu premiato in Francia nel 1953 come miglior poliziesco in lingua non francese. Il titolo originale (The end is known) deriva dal Giulio Cesare di Shakespeare: “Oh, se fosse dato all’uomo di conoscere la fine di questo giorno che incombe! Ma basta solo che il giorno trascorra e la sua fine è nota”. Un giallo di classe, strutturato come un viaggio a ritroso nella vita del protagonista di cui si ricostruisce la storia passo per passo, testimonianza per testimonianza, come un misterioso puzzle che si completa, ovviamente, solo nel finale. Molto godibile è anche il secondo titolo Qualcuno alla porta, dai toni più leggeri, nonostante gli omicidi e l’atmosfera della Vienna sotto l’occupazione sovietica nel secondo dopoguerra che non ricorda neppure lontanamente gli splendori dell’impero asburgico. “Sembra uno di quei soggetti che piacevano a Hitchcock (e non è detto che il pressoché ignoto Holiday Hall, scrivendo Qualcuno alla porta, non avesse in mente le figure di James Stewart e Doris Day, o di Cary Grant e Grace Kelly)”. La frizzante coppia americana che si trova, suo malgrado, a gestire le indagini ricorda anche il duo Tommy e Tuppence di Agatha Christie. Doppio colpo di scena sul finale: cosa chiedere di più a un libro giallo?
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Ha un solo difetto Un volto nella folla di Budd Schulberg: è troppo breve. Parliamo ancora dell’autore di Perché corre Sammy? e I disincantati per questo racconto appena uscito e finora inedito in Italia, da cui Elia Kazan trasse il film omonimo con protagonista Andy Griffith (l’indimenticabile avvocato Matlock della fortunata serie televisiva, per intenderci). Il tema, fin troppo attuale, è quello della manipolazione del pensiero e dei comportamenti (e quindi del voto) delle masse da parte dei personaggi dello spettacolo: in questo caso si tratta di un finto sempliciotto proveniente da un paesino dell’Arkansas che, in virtù della sua sconcertante capacità di coinvolgimento, diventa il paradigma dell’America intera. Grazie alle sue canzoni folk, a vecchi luoghi comuni sulle tradizioni popolari e a un indubbio carisma, il nostro eroe riesce a condizionare il pubblico e ad arricchirsi con i lauti proventi della pubblicità. Cambia il tema negli altri due racconti della raccolta: i ‘dietro le quinte’ del mondo del cinema in Questa è Hollywood, che l’autore, sceneggiatore e figlio di un tycoon della Paramount, non solo conosceva bene, ma sapeva anche descrivere con agile penna, e L’imbonitore, sul mondo della boxe. Ricordiamo che per la sceneggiatura di Fronte del porto (che è anche un romanzo), celebre film con Marlon Brando, Schulberg si aggiudicò l’Oscar nel 1954.
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Per la serie i grandi classici hanno sempre qualcosa da dire è stato ripubblicato da Mondadori e da Sellerio Brighton Rock di Graham Greene. Una lettura da consigliare sotto tutti i punti di vista: un giallo ben costruito con protagonisti tratti sia dalla malavita, sia dal caso che fa di un personaggio del tutto inaspettato un accanito segugio alla ricerca del colpevole, come fosse Porfirij Petrovic che insegue Raskolnikov o Javert che perseguita Jean Valjean, ma con uno spirito diverso, fresco e originale. “Nello specchio inclinato sopra il lavabo si poteva vedere riflesso, ma gli occhi si distolsero rapidamente da quell’immagine di guance livide e mal rasate, di capelli lisci e occhi da vecchio. Non lo interessava. Era troppo orgoglioso per preoccuparsi del suo aspetto”.
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Nuova ristampa anche per Le vittime di Norwich (1935) uno dei gialli più famosi (insieme a The House of Dr. Edwardes che ispirò il film Io ti salverò diretto da Alfred Hitchcock) fra i 31 composti dalla coppia britannica John Leslie Palmer e Hilary Aidan St. George Saunders sotto lo pseudonimo di Francis Beeding.
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Da La regina degli scacchi di Walter Tevis, lo scrittore di Lo spaccone e Il colore dei soldi, è stata tratta una miniserie televisiva di grande successo. Accade spesso che i geni abbiano avuto una vita difficile, siano dei disadattati, spesso asociali, in perenne conflitto con se stessi, il prossimo e il mondo che li circonda. È anche questo il caso della protagonista, la piccola Beth, cresciuta in orfanotrofio, che trova una riscossa alla sua grigia esistenza grazie alla passione per la scacchiera. Una curiosità sul ‘caso letterario’ di Tevis: dopo il successo dei primi libri, fu dimenticato anche a causa dei problemi con l’alcol. Quando decise di riprendere a scrivere, lo fece seguendo un corso di scrittura all’Università dove fu riconosciuto dal poeta Donald Justice che, stupito, gli chiese cosa ci facesse un grande autore come lui in mezzo agli studenti, quando avrebbe invece dovuto salire in cattedra. Breve fu purtroppo la sua seconda stagione creativa: Tevis morì a soli 56 anni per un tumore.
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Il voyeurismo è il tema principale dell’ultimo romanzo di Simenon pubblicato da Adelphi, Delitto impunito: composto nel 1953 durante il soggiorno dello scrittore a Lakeville nel Connecticut, fu edito l’anno successivo in volume e a puntate sul settimanale «Les Nouvelles littéraires». Il secondo tema del libro è l’invidia, quella di chi non ha nulla, né bellezza né fascino nè denaro ed è stato defraudato perfino dell’affetto dei genitori, nei confronti di chi invece ha tutto questo e ne mena vanto, e gode nell’esibirlo senza ritegno. Una lotta accanita tra due personalità, che è la lotta atavica tra gli uomini per la supremazia. “A Élie non era mai successo di trovarsi davanti un uomo completamente felice, felice in tutto e per tutto, sempre e comunque, in ogni momento della giornata, e che approfittava con candore di tutto quel che lo circondava per accrescere il proprio piacere”.
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Una nuova indagine per l’improbabile detective di Partanna Giovà, metronotte per caso, coinvolto in un duplice omicidio di stampo mafioso insieme a tutta la scombinata famiglia Di Dio. Sarà ancora una volta l’anziana madre, autentica virago arroccata alle salde tradizioni popolari e armata di un cervello dalla logica “acuminata”, ad avviare le indagini verso l’inevitabile conclusione. Ma cos’è La boffa allo scecco? Questo, almeno, ve lo possiamo svelare: si tratta di un gesto simil-apotropaico (in realtà un autentico sopruso) che a tutti è occorso di subire almeno una volta nella vita, ovvero lo schiaffo di rimando, come sfogo per un’ingiustizia patita che non si è in grado di vendicare altrimenti. Roberto Alajmo non delude le aspettative.
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Per quanto riguarda Sarà assente l’autore di Giampaolo Simi, si può dire che, se esiste una sana via di mezzo tra assecondare a priori i gusti dei lettori meno esigenti e scrivere in modo che solo l’autore possa comprendere i propri contenuti, Simi l’ha sicuramente trovata e ce la propone in queste succulente paginette. Dedicato a chi ha la voglia, la necessità, l’urgenza di ridere a crepapelle.
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Nell’ultimo nato della serie del BarLume di Marco Malvaldi, La morra cinese, gli inossidabili vecchietti sono alle prese con l’omicidio niente di meno che di un giovane filologo romanzo alle prese con un carteggio appartenente alla famiglia di un nobile “arci-decaduto” del luogo, in cui, pare, compariva addirittura un’epistola inedita di Giacomo Leopardi. Ma questo non è l’unico movente per un delitto che non resterà a lungo irrisolto.
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risplendiii · 2 years ago
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Raghi
Da qualche giorno sono diventata collaboratrice di Kodami, un magazine dedicato alla relazione tra uomo e ambiente, nonché progetto editoriale di Ciaopeople.
Ho scritto diversi articoli che sono già stati pubblicati, ma vi lascio l'ultimo uscito che, a parer mio, è il più bello e interessante:
Fatemi sapere se vi piace. Bacetti ♡
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carmenvicinanza · 8 days ago
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Selma Lagerlöf
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Selma Lagerlöf, scrittrice svedese, è stata la prima donna della storia insignita del Premio Nobel per la letteratura.
Autrice di numerosi romanzi e racconti, la sua opera epico-narrativa è stata quasi tutta ispirata alle tradizioni popolari della sua regione e alla vita di quell’aristocrazia provinciale colta ma decaduta che, con la rapida industrializzazione del paese, andava fatalmente tramontando.
La fiaba pedagogica è stata il mezzo che le ha consentito di realizzare un equilibrio tra verità psicologica e senso del meraviglioso.
Nata a Sunne, in Svezia, il 20 novembre 1858, ebbe un’infanzia difficile dovuta a una malattia all’anca che la costringeva a forti dolori e lunghi periodi di degenza, alleviati dalla compagnia della nonna, narratrice di racconti di miti e leggende del mondo nordico.
Era una maestra indipendente e moderna, quando, nel 1891, ha pubblicato il suo primo romanzo la Saga di Gösta Berling, storia scritta per intrattenere i suoi nipoti in cui reinterpreta la mitologia scandinava dandone un volto fortemente contemporaneo, grazie al quale i classici uomini-eroi, si scoprono fragili e imperfetti.
Il libro, considerato la sua opera principale, ebbe un enorme successo che le aveva portato un cospicuo premio in denaro con cui aveva potuto lasciare l’insegnamento per cominciare a viaggiare con la sua compagna, la scrittrice Sophie Elkan. Insieme visitarono Italia, Egitto, Palestina, Francia, Belgio e Olanda, luoghi di ispirazione per opere successive.
È stata molto attiva nelle rivendicazioni dei diritti delle donne e ha partecipato al Congresso dell’Alleanza internazionale per il diritto al voto femminile.
Figura eminente della letteratura svedese, è stata la prima scrittrice a vincere il premio Nobel per la letteratura nel 1909, per l’elevato idealismo, la vivida immaginazione e la percezione spirituale che caratterizzano le sue opere.
Coi proventi del Nobel, aveva riacquistato e ristrutturato la residenza di famiglia che suo padre era stato costretto a vendere a causa di un dissesto finanziario.
Nel 1914 è stata la prima donna a entrare nell’Accademia Svedese.
Ha ricevuto lauree ad honorem ed è stata insignita della Legion d’Onore francese. Anni dopo, Marguerite Yourcenar l’ha definita “la più grande scrittrice dell’Ottocento“.
Alla morte di Sophie Elkan, nel 1921, ne aveva ereditato i beni personali che andarono a costituire una sorta di museo nella sua casa, noto come Elkanrummet (Stanza Elkan).
Con l’avvicendarsi della persecuzione nazista è stata una ferma oppositrice dell’interventismo e della guerra, ne ha condannato gli orrori nel romanzo L’esiliato, i cui diritti d’autore vennero destinati al Comitato internazionale per il soccorso dei profughi politici, procurandosi la messa al bando di tutte le sue opere in Germania.
Si è spenta il 16 marzo 1940 a causa di un’emorragia cerebrale.
Sulla sua vita libera e coraggiosa, sono stati scritti libri e tratti diversi film. Le è stato dedicato un asteroide ed è stata effigiata su una banconota svedese.
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theadaptableeducator · 3 months ago
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Migliorare l'Educazione Interdisciplinare attraverso l'Insegnamento dei Racconti Popolari
L’insegnamento dei racconti popolari offre un approccio ricco e sfaccettato all’educazione che può migliorare varie materie all’interno di un modello educativo interdisciplinare. I racconti popolari, con i loro temi universali, le diverse origini culturali e le narrazioni coinvolgenti, forniscono una risorsa inestimabile per gli educatori che mirano a creare un’esperienza di apprendimento…
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antennaweb · 4 months ago
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mucillo · 1 year ago
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Samih al-Qasim, "Un tè alla menta"
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Fino a quando avrò pochi palmi della mia terra!
Fino a quando avrò un ulivo…
un limone…
un pozzo…un alberello di cactus!..
Fino a quando avrò un ricordo,
una piccola biblioteca,
la foto di un nonno defunto.. un muro!
Fino a quando nel mio paese ci saranno parole arabe…
e canti popolari!
Fino a quando ci saranno un manoscritto di poesie,
racconti di ‘Antara al-’Absi
e di guerre in terra romana e persiana!
Fino a quando avrò i miei occhi,
le mie labbra,
le mie mani!
Fino a quando avrò… la mia anima!
La dichiarerò in faccia ai nemici!..
La dichiarerò… una guerra terribile
in nome degli spiriti liberi
operai.. studenti.. poeti..
la dichiarerò.. e che si sazino del pane della vergogna
i vili… e i nemici del sole.
Ho ancora la mia anima..
mi rimarrà… la mia anima!
Rimarranno le mie parole.. pane e arma.. nelle mani dei ribelli!
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giancarlonicoli · 8 months ago
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7 apr 2024 17:30
TAAC! RENATO POZZETTO RACCONTA A “GENTE” LO SCHERZO TREMENDO CHE FECE CON COCHI E JANNACCI A LINO TOFFOLO: “LO SEGUIMMO, MENTRE ERA APPARTATO IN AUTO CON UNA GIORNALISTA DI “FAMIGLIA CRISTIANA”. APPOGGIAI IL SEDERE NUDO AL SUO FINESTRINO. POI SCAPPAMMO VIA. QUANDO TORNÒ AL DERBY ERA  ROSSO PER LE RISATE E CI RACCONTÒ COSA GLI ERA SUCCESSO MENTRE LIMONAVA. NOI ZITTI, MORIVAMO DAL RIDERE…” – E POI LE DONNE, LA DROGA AL DERBY, LA CARRA’ CHE NON VOLEVA A "CANZONISSIMA" LUI, COCHI E BOLDI (“ERA UNA BALLERINA, CHE NE CAPIVA?”) E COME NASCE IL MITOLOGICO “TAAC”... -
Maria Elena Barnabi per Gente 
Gli occhi sono un po’ velati, il viso è pieno di rughe, ma la voce fa impressione: è quella di sempre. Stentorea, delineata, con la ben riconoscibile cadenza milanese che l’ha reso famoso in tutta Italia. «Quando salgo in taxi mi basta dire: “Mi porta in via Calatafimi?”, che il tassista si gira e dice: “Ma lei è Pozzetto?”». Ed è proprio quella voce lì che dovete sentire nelle orecchie quando leggete le risposte che Pozzetto ci dà in questa lunga chiacchierata. 
Lei è il ragazzo di tutti. 
«Sì, abbastanza». 
Uomini, donne, bambini, le vogliono bene tutti. 
«Me lo dicono spesso». 
È sempre stato così? 
«Sì. Perché anche da ragazzo andavo sempre alla ricerca dell’allegria. Non costava niente. Ci divertivamo tutti. Qualcuno aveva la casa libera, facevamo scherzi, suonavamo. Cantavamo le canzoni popolari. Ci prendevamo in giro anche in modo feroce. Come la commedia all’italiana: che fa ridere anche quando racconta le tragedie». 
L’intervista potrebbe già finire qui, perché in queste frasi c’è già dentro tutto: l’ironia di uno degli artisti che ha inventato il cabaret italiano, l’amore per il surreale che ha conquistato diverse generazioni, la consapevolezza di chi era povero ed è diventato ricchissimo.
Ma siccome Renato Pozzetto a quasi 84 anni è venuto apposta per noi a Milano dal Varesotto – dove abita in una grande villa, la moglie Brunella non c’è più dal 2009 – per parlare della sua bella autobiografia, andiamo avanti. Lo incontriamo in pieno centro a Milano, nella luminosa sede della società di produzione televisiva e cinematografica dei figli Francesca e Giacomo, alle pareti quadri di Mario Schifano: «Se volete fare il cinema, rimanete dietro le quinte gli ho detto», spiega lui.
«E così abbiamo aperto questa società». La sua autobiografia si chiama Ne uccide più la gola che la sciarpa e dentro c’è la storia d’Italia, quella del Dopoguerra e del boom economico e dei giovani che volevano divertirsi, creare, inventare e lasciarsi alle spalle l’infanzia sotto le bombe. Oltre a ciò c’è anche, naturalmente, la storia personale di Pozzetto: l’infanzia da sfollato nelle montagne di Varese dove incontra e diventa amico di Cochi Ponzoni. Le notti all’osteria l’Oca d’oro insieme agli artisti Piero Manzoni e Lucio Fontana. Le serate a cantare al cabaret, dove il duo Cochi e Renato viene notato da Enzo Jannacci che da allora decide di prendere i due ragazzi scatenati e geniali sotto la sua ala protettrice. I successi al Derby, lo storico locale milanese di cabaret, insieme con i ragazzi del “Gruppo motore”, cioè Enzo Jannacci, Lino Toffolo, Felice Andreasi, Bruno Lauzi. E poi la Rai, la Carrà, “la vita l’è bela”, le mille traversate Roma-Milano in auto, il film, i soldi, le case, le mangiate alla mitica trattoria Cantarelli di Busseto nella Bassa padana, le bevute, i ristoranti, le donne. Da sfondo, una Milano che ti fa venire voglia di averla vissuta in quegli anni lì. 
Perché ha scritto la storia della sua vita a 83 anni suonati? 
«Prima insistevano gli editori. Poi gli amici: bevi un bicchiere in più e magari racconti qualcosa in più. E così alla fine mi sono deciso a farlo. È stato piacevole scrivere cose che non mi ricordavo. Volevo raccontare le cose con la mia filosofia». 
(...)
Il suo “Taac” e i mille modi di dire di Cochi e Renato sono entrati nel costume di tutti gli italiani.
«Le frasi che sono rimaste le ho trovate io. Mi è sempre piaciuto osservare le persone, mi affascinavano, e poi volevo aggrapparmi a qualcosa che mi faceva sorridere. “Bravo sette più” era un modo per far ridere gli studenti, era portare in scena la stronzata dei voti. Invece Taac lo diceva un amico che veniva al Derby: “Ciao Renato, sono andato al casinò, ho vinto. Taac”. Lo feci mio». 
Si dice che al Derby ci fosse una stanza per gli artisti e le loro “amiche” della serata. «Tutto vero. Una sera la stanza era occupata da non so più chi e allora Lino Toffolo – caro Lino, scriveva delle canzoni bellissime – uscì in auto con una sua amica, una giornalista che lavorava pensi un po’ a Famiglia Cristiana. Io, Cochi e Enzo lo seguimmo e, mentre erano appartati, scesi dall’auto e appoggiai il sedere nudo al suo finestrino. Poi scappammo via. Quando tornò al Derby era tutto rosso per le risate e ci raccontò cosa gli era successo mentre limonava. Noi zitti, morivamo dal ridere». 
Nel libro cita spesso le “simpatiche signorine” che vi stavano attorno.
«Ho iniziato con la chitarra in mano nei locali a 15 anni. Dai, di certo non ho mai dormito all’umido...». 
E di droga ne girava al Derby? 
«Ma che domanda mi fa? Era il cabaret, erano gli Anni 60. Come chiedermi se c’era la “mala”...». 
Lo prendo per un sì. Passiamo oltre. Mentre eravate stelle del Derby, nei primi Anni 70 vi chiamò la Rai per fare un programma con Raffaella Carrà. Era Canzonissima, il varietà del sabato sera, il più seguito in Italia. 
«Ci convocarono dall’oggi al domani, andammo a Roma in fretta e furia, con noi c’era anche Massimo Boldi. La sera poi dovevamo tornare per fare uno spettacolo. La Carrà alla riunione non si fece vedere e ci dissero poi che non ci voleva. Ma era normale: era una ballerina, cantava il Tuca tuca. Cosa c’entrava con noi? Cosa ne capiva?». 
Invece voi rimaneste, e aveste l’idea di andare in onda per finta da un seminterrato. 
«Facevano finta di guardare su con un periscopio e dicevamo che le ballerine erano bellissime, usavano minigonne vertiginose e che avevano gambe perfette come la Carrà. Facevamo lo sketch del contadino, io parlavo con la radio. Poi la sigla E la vita, la vita entrò in classifica, divenne un successo incredibile. Si ricredettero tutti». 
Mentre facevate Canzonissima arrivò la prima offerta del cinema per lei solo: Per amare Ofelia, era il 1974. 
«Feci leggere il copione a Jannacci, lui mi disse: “Per me è una cagata”. E io gli risposi con l’ultima frase della sua canzone Prete Liprando: “E io lo faccio lo stesso!”. (Segue visione su YouTube del filmato di Jannacci che canta la canzone, ndr)». 
Da lì la sua vita cambiò. 
«Una bomba. Uscì il film, fu un grande successo, mi diedero il David di Donatello. Tutti parlavano di me, mi volevano. Quell’anno mi offrirono tre contratti con De Laurentiis credo, oppure erano cinque, non ricordo. Giravo a Madrid e poi tornavo nel weekend per fare la tv». 
Quanto guadagnò in quel primo anno? 
«Cento milioni. La mia vita cambiò totalmente. Io ero nato povero, sfollato, senza casa. Per anni avevo fatto la fame di notte nei locali, di giorno vendevo ascensori. Anche a teatro, da famosi, ci davano due lire. Con il cinema arrivarono cachet altissimi. 
Cosa ne fece?
«Comprai subito la casa per i miei genitori insieme a mio fratello che era un agente immobiliare. Facemmo la casa di Gemonio, al lago, una casa grande per tutti, camere da letto per l’intera famiglia. Così anche i ragazzi erano a posto». 
(...)
Fu a causa del cinema che le strade tra lei e Cochi si separarono? 
«All’inizio lui fece qualche film da solo e poi anche con me. Quando era possibile facevo lavorare i miei amici, come in Sturmtruppen. Alla fine Cochi scelse il teatro, lasciò la moglie e i figli e andò a Trieste dove c’era la sua nuova fidanzata. E così le nostre strade si divisero». 
Il ragazzo di campagna è senza dubbio il suo film più amato. 
«Quel ragazzo lì ero io. Anche in Sono fotogenico misi molto del mio, la scena del provino in cui non cambio espressione era una mia idea. Sa quel che mi dà fastidio? Dicono che Il ragazzo di campagna sia stato visto da 100 milioni di persone in tv. Però allora non c’erano i diritti dello sfruttamento televisivo. E io di quelli non prendo niente». 
Ha girato più di 70 film. Si è mai pentito di qualcuno? 
«E lei non si è mai pentita di niente? Ma la vita è fatta così». 
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daimonclub · 8 months ago
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Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno
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Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, un post letterario che riprende alcuni brani di questo testo umoristico di Giulio Cesare Croce con una piccola introduzione e una breve biografia dell'autore. Quando frequentavo le scuole medie, nel 1973, nella nostra antologia - LA LETTURA. ANTOLOGIA CON LETTURE EPICHE di Italo Calvino e Giambattista Salinari, Zanichelli Editore, un libro bello corposo per ogni annualità, oltre all'epica, alle poesie e a vari testi letterari di autori classici vi erano anche testi più umoristici, tratti da opere di scrittori di assoluta genialità. Tra questi vi erano brani tratti dal Bertoldo di Croce che, con i testi del Don Chisciotte di Cervantes, erano tra i miei preferiti; non a caso molti anni anni dopo la mia tesi di laurea si occupò proprio del fenomeno umoristico. A distanza di 50 anni, e dopo aver sofferto parecchio durante la mia complicata esistenza, a soli pochi mesi dalla morte di mia madre, dedico questo post a Bertoldo e al suo autore, memore dei miei anni più spensierati, quando dopo delle intese giornate scolastiche ritornavo a casa e potevo beneficiare della presenza dei miei genitori, di una realtà che non ritornerà mai più. Restano solo i ricordi, la nostalgia, la meloanconia, la sofferenza e la lieve funzione terapeutica della letteratura. Giulio Cesare Croce è stato uno scrittore e drammaturgo italiano del XVI secolo, noto principalmente per essere l'autore della popolare opera comica "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno", la cui trama ruota attorno alle avventure di due contadini, Bertoldo e Bertoldino, e del loro amico Cacasenno. Figlio di fabbri e fabbro a sua volta, morto il padre, lo zio continuò a cercare di dargli una cultura. Non ebbe mai mecenati particolari, e lasciò gradualmente la professione di famiglia per fare il cantastorie. Acquisì fama raccontando le sue storie per corti, fiere, mercati e case patrizie. Si accompagnava con un violino. L'enorme sua produzione letteraria deriva da una autoproduzione delle stampe dei suoi spettacoli. Ebbe due mogli e 14 figli e morì in povertà. L'opera di Croce è caratterizzata da un umorismo vivace, un linguaggio colloquiale e una satira sociale che prende di mira le convenzioni e le ipocrisie del suo tempo. "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno" è diventato un classico della letteratura comica italiana e ha avuto una grande influenza sulla tradizione del teatro popolare. Una forma scritta precedente come fonte fu il medievale Dialogus Salomonis et Marcolphi. Oltre a "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno", e ad un romanzo successivo sempre dello stesso filone, Croce scrisse anche altre opere, tra cui commedie, numerosi libretti brevi in prosa e poesia, che abbracciano vari generi letterari della tradizione popolare e raccolte di novelle.
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Giulio Cesare Croce L'autore riprese temi popolari del passato, come la storia di Bertoldo, ambientandola alla corte di re Alboino a Verona e a Pavia. Nella sua versione più organica, rese la storia meno licenziosa e attenuò la rivalsa popolare verso i potenti. Aggiunse un seguito riguardante il figlio di Bertoldo, chiamato Bertoldino, e successivamente un altro seguito elaborato da Adriano Banchieri, chiamato Novella di Cacasenno. Questi racconti furono poi adattati in tre film, nel 1936, nel 1954 e l'ultimo del 1984, diretto dal grande Mario Monicelli, con Ugo Tognazzi e Alberto Sordi. In Bertoldo, l'autore confessò forse le sue aspirazioni personali, rappresentando il rozzo villano come un autodidatta desideroso di fortuna e mecenati. La sua produzione letteraria contribuì significativamente allo sviluppo della commedia dell'arte italiana e alla diffusione della cultura popolare nel XVI secolo, diventando così uno dei precursori della commedia italiana, apprezzata ancora anche oggi. I suoi scritti inoltre contribuirono anche alla grande letteratura carnevalesca, un importante filone identificato per la prima volta da Michail Bachtin, che tra i suoi esponenti conta tra gli altri Luciano di Samosata, Rabelais, Miguel de Cervantes e Dostoevskij. Le sottilissime astuzie di Bertoldo. Nel tempo che il Re Alboino, Re dei Longobardi si era insignorito quasi di tutta Italia, tenendo il seggio reggale nella bella città di Verona, capitò nella sua corte un villano, chiamato per nome Bertoldo, il qual era uomo difforme e di bruttissimo aspetto; ma dove mancava la formosità della persona, suppliva la vivacità dell'ingegno: onde era molto arguto e pronto nelle risposte, e oltre l'acutezza dell'ingegno, anco era astuto, malizioso e tristo di natura. E la statura sua era tale, come qui si descrive. Fattezze di Bertoldo. Prima, era costui picciolo di persona, il suo capo era grosso e tondo come un pallone, la fronte crespa e rugosa, gli occhi rossi come di fuoco, le ciglia lunghe e aspre come setole di porco, l'orecchie asinine, la bocca grande e alquanto storta, con il labro di sotto pendente a guisa di cavallo, la barba folta sotto il mento e cadente come quella del becco, il naso adunco e righignato all'insù, con le nari larghissime; i denti in fuori come il cinghiale, con tre overo quattro gosci sotto la gola, i quali, mentre che esso parlava, parevano tanti pignattoni che bollessero; aveva le gambe caprine, a guisa di satiro, i piedi lunghi e larghi e tutto il corpo peloso; le sue calze erano di grosso bigio, e tutte rappezzate sulle ginocchia, le scarpe alte e ornate di grossi tacconi. Insomma costui era tutto il roverso di Narciso. Audacia di Bertoldo. Passò dunque Bertoldo per mezzo a tutti quei signori e baroni, ch'erano innanzi al Re, senza cavarsi il cappello né fare atto alcuno di riverenza e andò di posta a sedere appresso il Re, il quale, come quello che era benigno di natura e che ancora si dilettava di facezie, s'immaginò che costui fosse qualche stravagante umore, essendo che la natura suole spesse volte infondere in simili corpi mostruosi certe doti particolari che a tutti non è così larga donatrice; onde, senza punto alterarsi, lo cominciò piacevolmente ad interrogare, dicendo: Ragionamento fra il Re e Bertoldo. Re. Chi sei tu, quando nascesti e di che parte sei? Bertoldo. Io son uomo, nacqui quando mia madre mi fece e il mio paese è in questo mondo. Re. Chi sono gli ascendenti e descendenti tuoi? Bertoldo. I fagiuoli, i quali bollendo al fuoco vanno ascendendo e descendendo su e giù per la pignatta. Re. Hai tu padre, madre, fratelli e sorelle? Bertoldo. Ho padre, madre, fratelli e sorelle, ma sono tutti morti. Re. Come gli hai tu, se sono tutti morti? Bertoldo. Quando mi partii da casa io gli lasciai che tutti dormivano e per questo io dico a te che tutti sono morti; perché, da uno che dorme ad uno che sia morto io faccio poca differenza, essendo che il sonno si chiama fratello della morte. Re. Qual è la più veloce cosa che sia? Bertoldo. Il pensiero. Re. Qual è il miglior vino che sia? Bertoldo. Quello che si beve a casa d'altri. Re. Qual è quel mare che non s'empie mai? Bertoldo. L'ingordigia dell'uomo avaro. Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un giovane? Bertoldo. La disubbidienza. Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un vecchio? Bertoldo. La lascivia. Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un mercante? Bertoldo. La bugia. Re. Qual è quella gatta che dinanzi ti lecca e di dietro ti sgraffa? Bertoldo. La puttana. Re. Qual è il più gran fuoco che sia in casa? Bertoldo. La mala lingua del servitore. Re. Qual è il più gran pazzo che sia? Bertoldo. Colui che si tiene il più savio. Re. Quali sono le infermità incurabili? Bertoldo. La pazzia, il cancaro e i debiti. Re. Qual è quel figlio ch'abbrugia la lingua a sua madre? Bertoldo. Lo stuppino della lucerna. Re. Come faresti a portarmi dell'acqua in un crivello e non la spandere? Bertoldo. Aspettarei il tempo del ghiaccio, e poi te la porterei. Re. Quali sono quelle cose che l'uomo le cerca e non le vorria trovare? Bertoldo. I pedocchi nella camicia, i calcagni rotti e il necessario brutto. Re. Come faresti a pigliar un lepre senza cane? Bertoldo. Aspettarei che fosse cotto e poi lo pigliarei. Re. Tu hai un buon cervello, s'ei si vedesse. Bertoldo. E tu saresti un bell'umore, se non rangiasti. Re. Orsù, addimandami ciò che vuoi, ch'io son qui pronto per darti tutto quello che tu mi chiederai. Bertoldo. Chi non ha del suo non può darne ad altri. Re. Perché non ti poss'io dare tutto quello che tu brami? Bertoldo. Io vado cercando felicità, e tu non l'hai; e però non puoi darla a me. Re. Non son io dunque felice, sedendo sopra questo alto seggio, come io faccio? Bertoldo. Colui che più in alto siede, sta più in pericolo di cadere al basso e precipitarsi. Re. Mira quanti signori e baroni mi stanno attorno per ubidirmi e onorarmi. Bertoldo. Anco i formiconi stanno attorno al sorbo e gli rodono la scorza. Re. Io splendo in questa corte come propriamente splende il sole fra le minute stelle. Bertoldo. Tu dici la verità, ma io ne veggio molte oscurate dall'adulazione. Re. Orsù, vuoi tu diventare uomo di corte? Bertoldo. Non deve cercar di legarsi colui che si trova in libertà. Re. Chi t'ha mosso dunque a venir qua? Bertoldo. Il creder io che un re fosse più grande di statura degli altri uomini dieci o dodeci piedi, e che esso avanzasse sopra tutti come avanzano i campanili sopra tutte le case; ma io veggio che tu sei un uomo ordinario come gli altri, se ben sei re. Re. Son ordinario di statura sì, ma di potenza e di ricchezza avanzo sopra gli altri, non solo dieci piedi ma cento e mille braccia. Ma chi t'induce a fare questi ragionamenti? Bertoldo. L'asino del tuo fattore. Re. Che cosa ha da fare l'asino del mio fattore con la grandezza della mia corte? Bertoldo. Prima che fosti tu, né manco la tua corte, l'asino aveva raggiato quattro mill'anni innanzi. Re. Ah, ah, ah! Oh sì che questa è da ridere. Bertoldo. Le risa abbondano sempre nella bocca de' pazzi. Re. Tu sei un malizioso villano. Bertoldo. La mia natura dà così. Re. Orsù, io ti comando che or ora tu ti debbi partire dalla presenza mia, se non io ti farò cacciare via con tuo danno e vergogna. Bertoldo. Io anderò, ma avvertisci che le mosche hanno questa natura, che se bene sono cacciate via, ritornano ancora: però se tu mi farai cacciar via, io tornerò di nuovo ad insidiarti. Re. Or va'; e se non torni a me come fanno le mosche, io ti farò battere via il capo.
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Bertoldo e il suo asino Astuzia di Bertoldo. Partissi dunque Bertoldo, e andatosene a casa e pigliato uno asino vecchio, ch'egli aveva, tutto scorticato sulla schiena e sui fianchi e mezo mangiato dalle mosche, e montatovi sopra, tornò di nuovo alla corte del Re accompagnato da un milione di mosche e di tafani che tutti insieme facevano un nuvolo grande, sì che a pena si vedeva, e gionto avanti al Re, disse: Bertoldo. Eccomi, o Re, tornato a te. Re. Non ti diss'io che, se tu non tornavi a me come mosca, ch'io ti farei gettar via il capo dal busto? Bertoldo. Le mosche non vanno elleno sopra le carogne? Re. Sì, vanno. Bertoldo. Or eccomi tornato sopra una carogna scorticata e tutta carica di mosche, come tu vedi, che quasi l'hanno mangiata tutta e me insieme ancora: onde mi tengo aver servato quel tanto che io di far promisi. Re. Tu sei un grand'uomo. Or va, ch'io ti perdono, e voi menatelo a mangiare. Bertoldo. Non mangia colui che ancora non ha finito l'opera. Re. Perché, hai tu forse altro da dire? Bertoldo. Io non ho ancora incominciato. Re. Orsù, manda via quella carogna, e tu ritirati alquanto da banda perché io veggio venire in qua due donne che devono forse voler audienza da me; e come io le avrò ispedite, tornaremo di nuovo a ragionare insieme. Bertoldo. Io mi ritiro, ma guarda a dare la sentenza giusta. Astuzia sottilissima di Bertoldo, per non essere percosso dalle guardie. Quando Bertoldo vidde che in modo alcuno non la poteva fuggire, ricorse all'usato giudicio e, volto alla Regina disse: “Poi ch'io veggio chiaramente che pur tu vuoi ch'io sia bastonato, fammi questa grazia: ti prego in cortesia, che la domanda è onesta e la puoi fare, in ogni modo a te non importa pur ch'io sia bastonato, di' a questi tuoi che mi vengono accompagnare, che dicano alle guardie che portino rispetto al capo e che elle menino poi il resto alla peggio”. La Regina, non intendendo la metafora, comandò a coloro che dicessero alle guardie che portassero rispetto al capo e che poi menassero il resto alla peggio che sapevano; e così costoro, con Bertoldo innanzi, s'inviarono verso le guardie, le quali aveano di già i legni in mano per servirlo della buona fatta; onde Bertoldo incominciò a caminare innanzi agli altri di buon passo, sì che era discosto da loro un buon tratto di mano. Quando coloro che l'accompagnavano viddero le guardie all'ordine per far il fatto ed essendo omai Bertoldo arrivato da quelle, cominciarono da discosto a gridare che portassero rispetto al capo e che poi menassero il resto alla peggio, che così aveva ordinato la Regina. I servi sono bastonati in cambio di Bertoldo. Le guardie, vedendo Bertoldo innanzi agli altri, pensando che esso fusse il capo di tutti, lo lasciarono passare senza fargli offesa alcuna, e quando giunsero i servi gli cominciarono a tempestare di maniera con quei bastoni che gli ruppero le braccia e la testa, e in somma non vi fu membro né osso che non avesse la sua ricercata di bastone. sì tutti pesti e fracassati tornarono alla Regina, la quale, avendo udito che Bertoldo con tale astuzia s'era salvato e aveva fatto bastonare i servi in suo luoco, arse verso di lui di doppio sdegno e giurò di volersene vendicare, ma per allora celò lo sdegno che ella avea, aspettando nuova occasione; facendo in tanto medicare i servi, i quali, come vi dissi, erano stati acconci per le feste, come si suol dire. Bertoldo sta nel forno e la Regina il fa cercar per tutto. Dopo che l'infelice sbirro fu mandato a bere, si fece gran diligenza per trovar Bertoldo, ma per le pedate volte alla roversa non poteva(si) comprendere ch'ei fosse uscito fuori di corte, e la Regina lo fece cercar per tutto con animo risoluto di farlo impiccare, parendogli pur grave la beffa della veste e dello sbirro. Bertoldo viene scoperto nel forno da una vecchia, e si divulga per tutto la Regina esser nel forno. Stava dunque il misero Bertoldo in quel forno e udiva il tutto e cominciò a temere molto della morte e si pentì d'esser mai andato in quella corte e non ardiva d'uscire fuori per non essere preso, sapendo che la Regina gli aveva mal animo adosso; e ora tanto più avendogli fatto la burla dello sbirro e della veste, dubitava ch'ella non lo facesse impiccare. Ma avendo indosso quella veste, ch'era lunga, né avendola tirata ben dentro del forno tutta, essendone restata fuori un lembo, volse la sua mala sorte ch'ivi venne a passare una vecchia appresso al detto forno, e conosciuto l'orlo della veste, che pendeva fuori, che quella era una delle vesti della Regina, si pensò che la Regina fusse rinchiusa nel detto forno; onde andò in un tratto da una sua vicina e gli disse che la Regina era in quel forno. Andò colei seco e, guardando nel forno, vidde la detta veste, e, conoscendola, lo disse ad un'altra, quell'altra ad un'altra e così di mano in mano a tale che non fu meza mattina che per tutta la città andò la nuova che la Regina era in un forno dietro le mura della città. Il Re dubita che Bertoldo non abbi portato la Regina in quel forno, e va a chiarirsi del fatto. Udendo il Re simil fatto, dubitò che Bertoldo avesse portato la Regina in quel forno, perché lo conosceva tanto tristo che credeva ch'ei potesse fare ogni cosa, e le strattagemme del passato maggiormente gli crescevano il sospetto; onde subito andò alla camera della Regina e la trovò ch'ella era tutta arrabbiata; e inteso da lei la beffa della veste, si fece condurre a quel forno e guardando in esso vidde costui nel detto avviluppato nella veste della Regina, e tosto lo fece tirar fuori, minacciandolo della morte; e così fu spogliato della veste il povero villano e restò con gli suoi strazzi intorno; e tra che esso era brutto di natura e avendosi tutto tinto il mostaccio nel detto forno, pareva proprio un diavolo infernale. Bertoldo è tirato fuori del forno e il Re sdegnato dice: Re. Pur ti ci ho colto, villan ribaldo, ma a questa volta non scamperai del certo, se non sei il gran diavolo. Bertoldo. Chi non vi è non vi entri, e chi v'è non si penti. Re. Chi fa quello che non deve, gli avviene quello che non crede. Bertoldo. Chi non vi va non vi casca, e chi vi casca non si leva netto. Re. Chi ride il venere, piange la domenica. Bertoldo. Dispicca l'appiccato, egli appiccherà poi te. Re. Fra carne e unghia, nissun non vi pungia. Bertoldo. Chi è in difetto, è in sospetto. Re. La lingua non ha osso e fa rompere il dosso. Bertoldo. La verità vuol star di sopra. Re. Ancor del ver si tace qualche volta. Bertoldo. Non bisogna fare, chi non vuol che si dica. Re. Chi si veste di quel d'altri, presto si spoglia. Bertoldo. Meglio è dar la lana, che la pecora. Re. Peccato vecchio, penitenza nuova. Bertoldo. Pissa chiaro, indorme al medico. Re. Il menar delle mani dispiace fino ai pedocchi. Bertoldo. E il menar de' piedi dispiace a chi è tratto giù dalle forche. Re. Fra un poco tu sarai uno di quelli. Bertoldo. Inanzi orbo, che indovino. Re. Orsù, lasciamo andare le dispute da un lato. Olà, cavaliero di giustizia, e voi altri ministri, pigliate costui e menatelo or ora a impendere a un arbore, né si dia orecchie alle sue parole perché costui è un villano tristo e scelerato che ha il diavolo nell'ampolla e un giorno sarebbe buono per rovinare il mio stato. Su, presto, conducetelo via, né si tardi più. Bertoldo. Cosa fatta in fretta non fu mai buona. Re. Troppo grave è stato l'oltraggio che tu hai fatto alla Regina. Bertoldo. Chi ha manco ragione, grida più forte. Lasciami almeno dire il fatto mio. Re. Alle tre si fa cavallo e tu glien'hai fatte più di quattro, che gli sono state di troppo affronto. Va' pur via. Bertoldo. Per aver detto la verità ho da patir la morte? Read the full article
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girasoleazzurro · 9 months ago
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Il primo tema di cui parla Faeti nell'introduzione spiega già quasi tutto.
Si parla di imagerie popolare, iconografia con un lungo passato, nata nelle piazze e radicata nel volgo italiano. E di quelle figure che si muovono in questo ambito: i Figurinai, originariamente venditori ambulanti di figurine, intesi qui come un gruppo definito di illustratori con definite caratteristiche ed affinità con questo tipo di immaginario.
Si fa riferimento a quella antica tradizione che riguarda le stampe popolari e la letteratura ad esse collegata - accostabile ai chapbook inglesi, i bilderbogen tedeschi e la litterature de colportage francese. Erano libretti portati nelle città e nelle campagne da venditori ambulanti. attraverso i quali poteva comporsi una cultura popolare fondata su prodotti artigianali, diversi da quelli offerti dall'editoria moderna. Erano arrangiamenti, manipolazioni, riassunti tratti da opere più complesse ed inserite in grandi e famosi filoni: romanzi, aneddoti, descrizioni di miracoli, episodi storici, biografie di personaggi illustri. La loro più evidente caratteristica era la presenza dell-immagine, che doveva convincere, esporre, spiegare. Le immagini venivano spesso appese alle pareti {da cui la definizione di letteratura murricciolaia}, dalle quali potevano trasmettere il loro messaggio, che spesso risultava decisamente alternativo rispetto ai contenuti pedagogicamente diffusi dall'autorità costituita.
Questa spinta si incarna nelle immagini “capovolte” quelle che rendono protagonisti coloro che sono abitualmente disprezzati, odiati o temuti: Il mondo alla rovescia, L'albero della cuccagna, La gran compagnia de-rovinati, sono alcuni esempi, a cui si può facilmente accostare la mia idea di un carnevale dove la luna si mostra girata al contrario. Queste storie nascono poi nelle piazze, dai racconti dei cantimbanchi, dove nascono anche le maschere del carnevale della commedia dell'arte.
La fine dell'ottocento il momento in cui questa tradizione inizia ad essere sostituita, in parte integrata, con quella che oggi definiamo come letteratura per l'infanzia. Il caso di Salani è emblematico perché si pone al confine di quest'epoca, ed è anche l'editore del corpo principale di opere illustrate da Chiostri che compongono la mia ricerca. La tendenza di Salani era di inserire nell'ambito della letteratura popolare, prodotti che rinnovassero questo repertorio senza del tutto abbandonarlo, seguendo così un itinerario secondo il quale la letteratura per l'infanzia si approprierà di contenuti che gli adulti hanno ormai abbandonato. Un esempio di questo territorio condiviso tra letteratura popolare e libri per bambini sono le Novella della Nonna di Emma Perodi, in cui la fiaba si appropria di contenuti da feuilletton, sempre illustrate da Chiostri.
Analizzando il segno di autori come Chiostri e Mazzanti risulta chiaro come derivi da quello degli anonimi autori delle antiche stampe vendute per strada. La chiarezza del loro segno ripropone la simbolica fissita’ delle immagini dei santi, mentre allude ambiguamente all'ambito opposto, dell’imagerie popolare, con i suoi preti peccatori, e il suo gusto per il blasfemo {che è forse una delle prime espressioni di voglia di sovversione?).
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Penso che il rapporto con l'immagine sacra sia uno di quegli elementi cuciti sottopelle che sto cercando di raccontare in questo progetto, che forse è anche un modo di riappropriarsi e ri-ambientarsi in un luogo, un tempo, una cultura, concreta e spirituale.
É fondamentale la sacralità della Luna all’interno del mio racconto, incarna una divinità femminile come la madonna e la fata turchina. Così come fondamentale il senso di sovversione e di rovesciamento. In questa dicotomia tra aderenza ad una cultura cattolica profondamente radicata {e un rigido sistema pedagogico}, e spinta sovversiva, quasi blasfema, presente nella letteratura Murricciolaia, sento espresso quel senso di appartenenza ed al tempo stesso di messa in discussione della religione, con il suo carico di immagini, simboli, ricorrenze e modi di scandire la vita famigliare, soprattutto nel periodo dell’infanzia, soprattutto la mia.
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da Corpo Celeste, di Alice Rohrwacher, 2011. (Dopo ne parliamo).
Marta che accarezza il crocifisso –
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