#tradizioni contadine
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I giorni della merla: tra leggenda, storia e significato attuale
La leggenda dei Giorni della Merla affonda le sue radici in un passato lontano, fatto di tradizioni orali e racconti tramandati di generazione in generazione.
La leggenda dei Giorni della Merla affonda le sue radici in un passato lontano, fatto di tradizioni orali e racconti tramandati di generazione in generazione. Secondo la credenza popolare, gli ultimi tre giorni di gennaio – il 29, il 30 e il 31 – sono i più freddi dell’anno. Ma perché proprio questi giorni? L’origine del nome è avvolta nel mistero, ma le spiegazioni più affascinanti provengono da…
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è proprio vero che le cose che feriscono sono quelle che trovano spazio dentro di noi. attecchiscono perché da fuori arriva l’eco di un’idea che è già nostra: io sono questo, io sto facendo questo. e il seme cresce, annaffiato dalla nostra permeabilità, l’opinione dell’altro non dice di lui ma di me, qualsiasi generico pensiero diventa diretto alla mia debolezza.
#anche volgarmente detto#avere la coda di paglia#ritorniamo alla saggezza delle nostre tradizioni contadine#a m piace questo elemento
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La pizza di Natà 🎄
Fra le tradizioni dolci antiche contadine e povere, una volta c’era la pizza de Natà che si dice affondare le sue radici nella tradizione medioevale. Nel corso della storia culinaria marchigiana si è persa però la tradizione di preparala perché nel frattempo nelle nostre tavole natalizie marchigiane e non solo, sono arrivati i dolci più sofisticati e più ricchi di ingredienti quali il burro o…
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Al via il progetto ME.TA Dauna in Puglia
La Daunia, in Puglia, è terra di storia, cultura e tradizioni contadine che si fondono con l’innovazione e la sostenibilità. Dalla necessità di valorizzare questo patrimonio nasce il progetto di cooperazione “ME.TA Dauna” (Mercato della Terra Dauna), finanziato dal Programma di Sviluppo Rurale 2014-2022 misura 16 “Cooperazione” – sottomisura 16.4, che vede insieme diverse aziende agricole – Posta…
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Il dolce di Pasqua è fatto in casa per quasi un italiano su due
AGI – In più di quattro famiglie su 10 (43%) si preparano quest’anno in casa i dolci regionali tipici della Pasqua, con un deciso ritorno delle tradizioni delle ricette contadine tramandate di generazione in generazione. È quanto emerge dall’indagine Coldiretti/Ixè sulla Pasqua degli italiani in occasione della prima mostra delle specialità territoriali pasquali al Mercato di Campagna Amica al…
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Il Museo Etnografico e Laboratorio dell'Arte Tessile di Lanzo Torinese: Una Tela di Storia e Cultura
Il Museo Etnografico e Laboratorio dell'Arte Tessile di Lanzo Torinese: Una Tela di Storia e Cultura.
Nel cuore delle pittoresche Valli di Lanzo, un tesoro nascosto attende pazientemente di svelare le sue meraviglie tessili al mondo.
Il Museo Etnografico e Laboratorio dell'Arte Tessile, un'opera voluta con fervore da Ester Fornara Borla e resa possibile dall'impegno dell'Amministrazione Comunale, è una gemma culturale incastonata nel seicentesco ex istituto delle Suore Immacolatine, noto anche come Palazzo d’Este.
Inaugurato con gioia e fierezza il 20 giugno 2009, questo museo è molto più di una semplice raccolta di oggetti antichi; è un santuario che celebra la ricca storia tessile e il patrimonio artistico delle Valli di Lanzo.
Riscoperta delle Tradizioni Tessili
Una delle principali missioni del Museo Etnografico è quella di preservare e promuovere le tradizioni tessili tipiche del territorio.
L'esposizione è suddivisa in due sezioni distintive: la prima, dedicata alla filatura e alla tessitura, offre un'affascinante panoramica delle antiche tecniche utilizzate dalle donne nelle case rurali delle Valli di Lanzo.
Qui, visitatori di ogni età possono immergersi nel processo intricato e laborioso che portava alla creazione di tele grezze di canapa o cotone, utilizzate per la biancheria per la casa e quella personale.
Grazie al restauro di un antico telaio risalente al XIX secolo, esposto con orgoglio nella sezione, è possibile rivivere l'arte millenaria della tessitura e ammirare la perfezione dei dettagli delle tele prodotte.
La seconda sezione del museo è un omaggio all'Arte Popolana Lanzese, conosciuta anche come "Lavoro di Lanzo".
Questa tecnica di ricamo, nata nel cuore della città intorno al 1910 grazie all'iniziativa visionaria di Elena Mars Albert, ha plasmato un'intera generazione di donne lanzesi.
Attraverso la creazione di fiori, foglie e fettucce all'uncinetto, le giovani ragazze, spesso provenienti da famiglie contadine o svantaggiate, hanno imparato a trasformare semplici fili in opere d'arte.
I manufatti risultanti, spesso composti su tela grezza, erano venduti con orgoglio a Torino e oltre, portando un po' della bellezza delle Valli di Lanzo nel resto del mondo.
Una Ricostruzione Storica Vivente
Il Museo Etnografico non è solo una tappa turistica, ma un laboratorio vivente dove le tradizioni tessili prendono vita.
Grazie alla dedizione del Comitato Ponte del Diavolo di Lanzo, il museo ospita regolarmente sessioni pratiche e visite guidate per condividere le antiche tecniche e promuovere l'arte della tessitura e del ricamo.
Qui, i visitatori possono sperimentare di persona l'uso degli strumenti secolari, testimoni dell'ingegno e della maestria dei tessitori del passato.
Il Passato e il Presente Si Fondono
Oltre alla sua funzione educativa e culturale, il Museo Etnografico è anche un ponte tra il passato e il presente.
Le opere esposte, insieme alla documentazione fotografica originale e agli arazzi moderni creati dal laboratorio d’arte tessile “Ricamare a Lanzo”, raccontano una storia di continuità e innovazione.
Il Ricamo di Lanzo, inserito nel disciplinare di produzione “Tessitura, Arazzi, Ricamo e Abbigliamento” per l'Eccellenza Artigiana della Regione Piemonte, continua a ispirare anche la moda contemporanea, come dimostrato dal progetto di reinterpretazione stilistica del 2012, che ha dato vita a una collezione di gioielli contemporanei.
Un Palazzo Rico di Storia
Il palazzo che ospita il Museo Etnografico è più di un semplice edificio; è una testimonianza vivente della storia delle Valli di Lanzo.
Un tempo appartenuto alla potente famiglia Este di San Martino in Rio, il palazzo ha attraversato secoli di dominio e cambiamenti politici prima di diventare sede dell'Istituto delle Suore Immacolatine e, infine, del Museo Etnografico.
La sua storia intrisa di nobili gesta e passaggi di potere conferisce al museo un'aura di grandezza e maestosità che si fonde perfettamente con il suo intento di celebrare le arti tessili locali.
In conclusione, il Museo Etnografico e Laboratorio dell'Arte Tessile di Lanzo Torinese è molto più di una semplice attrazione turistica; è un luogo dove la storia prende vita, dove le tradizioni sono onorate e dove l'arte continua a fiorire. Con la sua vasta collezione di opere antiche e moderne, le sue sessioni pratiche e il suo impegno per la promozione della cultura tessile locale, questo museo rimane un faro di ispirazione per le generazioni presenti e future.
ragncampagnin
Esempi di Prodotto Tessile Italiano
Una Tela di Storia e Cultura
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Giorni della merla: il proverbio sarà rispettato?
Secondo il proverbio, i giorni della merla dovrebbero essere i più freddi dell'anno. Le antiche credenze popolari, con la loro saggezza che deriva dai ritmi della terra, sanno vedere in questi ultimi giorni del mese i germi di quella che sarà la prossima stagione. Vediamo, allora, cosa ci attende in questi giorni e nei prossimi mesi. Le tradizioni contadine Tante delle nostre credenze attuali hanno origine dalle antiche tradizioni contadine. Il mondo contadino, così legato ai cicli della terra, conosce l'importanza del mese di gennaio. In giorni in cui i campi sono ricoperti da neve e brina e tutto sembra tacere, il lavoro della primavera, in realtà, è già iniziato sotto il suolo. Il periodo che va dalla fine di gennaio all'inizio di febbraio rappresenta un primo passaggio verso la primavera ed è per questo che nell'antichità in questo periodo si celebravano riti propiziatori. Si chiedeva alle divinità raccolti abbondanti e questi potevano essere assicurati da determinate condizioni meteorologiche. I giorni della merla, che cadono dal 29 al 31 gennaio, e la Candelora, 2 febbraio, erano cruciali in tal senso. Il proverbio sui giorni della merla Non a caso alle due ricorrenze sono legate dei proverbi che sfidano non solo il tempo ma soprattutto il cambiamento climatico. Una leggenda narra che, gli ultimi giorni di gennaio, una merla bianca decise di proteggersi dal freddo con i suoi cuccioli nel comignolo di un camino e che dopo tre giorni ne uscirono tutti colorati di nero per la fuliggine. Dunque tradizione vuole che in questi giorni il clima sia piuttosto rigido e a dirlo c'è anche il proverbio: “Se i giorni della Merla vuoi ben passare, pane, polenta, maiale e fuoco del camino per scaldarti” Nella tradizione, però, c'è spazio anche per un'eccezione e a dirlo è un altro proverbio: "Se i giorni della Merla saranno freddi, allora la primavera sarà bella; se sono caldi, la primavera arriverà in ritardo". Che tempo farà, quest'anno, nei giorni della merla? Previsioni meteo per i giorni della merla A conclusione di un mese caratterizzato da temperature al di sopra della media, eccezion fatta per brevi periodi, i giorni della merla non sembrano mostrare alcuna inversione di tendenza. Per tutta la settimana, l'Italia sarà invasa dall'anticiclone africano che assicurerà bel tempo e temperature miti. Al Nord, le temperature scenderanno fino ad arrivare intorno ai 10° mentre al Centro e al Sud si attesteranno intorno ai 12/15°, valori al di sopra della media stagionale. Prevista, inoltre, nebbia in Val Padana. Anche se di notte le temperature subiranno cali importanti, non ci saranno grosse gelate. Tutto fa presagire, allora, che in questa settimana non faremo largo uso di sciarpe e cappelli e che, nella prossima stagione, dovremo sempre avere con noi l'ombrello. In copertina foto di PenjaK da Pixabay Read the full article
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Le Fiabe Italiane di Italo Calvino
Il 15 ottobre 1923 nasceva a Cuba uno dei più grandi narratori del Novecento italiano, Italo Calvino, che ha lasciato un segno indelebile nella letteratura con opere come Il barone rampante e Se una notte d’inverno un viaggiatore, ma fu anche un raffinato ricercatore della tradizione fiabesca italiana con le sue Fiabe italiane... La fonti della tradizione fiabesca italiana, che soffrono per l’assenza di grandi studiosi ottocenteschi e di una raccolta nazionale, hanno lasciato alla storia della letteratura le prime grandi raccolte di fiabe che la storia conosca. Giovan Francesco Straparola fu l’autore della prima raccolta di fiabe conosciute: Le piacevoli notti, edite per la prima volta nel 1550 con 25 racconti e nell’edizione definitiva del 1553 con 73, ispirati al Decamerone a cui rimanda la struttura a cornice, ma sono solo in parte vere e proprie fiabe, tra cui una versione di Pelle d’asino e del Gatto con gli stivali. Un secolo dopo, tra il 1634 e il 1636, uscì a Napoli una delle più importanti opere relative alla storia della fiaba con i cinque volumi de Lo cunto de li cunti a firma di Giambattista Basile, con 49 fiabe, più un racconto di cornice e le prima documentazioni di fiabe famosissime come Cenerentola. L’opera di Basile era scritta in dialetto napoletano, ma secondo l’uso barocco, e il suo unico fine era l’intrattenimento lieve e senza pensieri delle corti e dei salotti napoletani, ma ebbe un successo praticamente planetario per l’epoca, Perrault probabilmente lo usò come fonte, i Grimm ne tradussero alcune fiabe, inoltre il Cunto venne tradotto in bolognese, toscano, tedesco e inglese. Quando il successo dei Grimm nell’Ottocento investì l’intera Europa, in Italia non ci fu una ricerca per la studio e valorizzazione delle fiabe tradizionali, ma furono paradossalmente gli stranieri inglesi e tedeschi, come R. H Busk in Lazio e Laura Gonzenbach in Sicilia, a incominciare un lavoro filologico sul folclore italiano. Solo con la fine dell’Ottocento alcuni studiosi italiani, tra cui Giuseppe Pitrè per la Sicilia e la Toscana, Domenico Bertoni per Venezia, Domenico Comperetti per il Piemonte, Gherardo Nerucci per la Toscana e Vittorio Imbriani per Firenze e Milano, pubblicarono le loro raccolte, frutto di ricerche e studi locali e regionali. Ma mancava un lavoro collettivo che rappresentasse l’intera Penisola e da lì Italo Calvino nel 1956 si cimentò nell’imponente scrittura delle Fiabe italiane, seguendo il modello costituito proprio dai Grimm per il trattamento dei testi, attinti alle raccolte dell’Ottocento e del Novecento e da lui sottoposti a rimaneggiamenti profondi, per cui il risultato è un’opera con valenza letteraria e non documentaria. Il lavoro di Calvino risente delle raccolte ottocentesche, infatti sono molti i testi della tradizioni siciliana, veneta e toscana, mentre sono poche le testimonianze di altre regioni, ma impegnò l’autore in una riflessione linguistica e filologica davvero notevole infatti dice nell’introduzione al lavoro che “Le favole italiane sono prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che è il farsi di un destino: la giovinezza, dalla nascita che porta in se un auspicio o una condanna, al distacco della casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano. E in questo sommario disegno, c’è tutto: dalla persecuzione dell’innocente al suo riscatto, alla fedeltà a un impegno, alla purezza di cuore come virtù basilari che portano alla salvezza e al trionfo, alla bellezza come segno di grazia, l’infinita metamorfosi di ciò che esiste”. Leggere le Fiabe italiane è un modo oggi per trovare la tradizione fiabesca delle varie regioni, forse rimaneggiata, ma ricca e complessa come quella tedesca. Read the full article
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13 Dicembre: SANTA LUCIA
Una Dea che viene da lontano portando una spiga di grano e .. tanti doni!
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Dalla Svezia all’Austria, dalla Boemia alla Spagna, dal Brasile alla Finlandia, in moltissime parti del mondo il 13 dicembre si festeggia Santa Lucia.
E secondo molte tradizioni, nella notte tra il 12 e il 13 Dicembre, la Santa passa di casa in casa a portare i doni...proprio come Babbo Natale!
La storia dice che Santa Lucia nacque a Siracusa, probabilmente intorno al 283 d.c., e morì il 13 Dicembre del 304.
Su di lei sono nate diverse leggende, con un comune denominatore: Lucia era una dolcissima ragazza dagli occhi bellissimi, che fu perseguitata per la sua grande fede.
La sua storia è intessuta di elementi leggendari, che testimoniano l'enorme venerazione di cui Santa Lucia ha goduto e gode.
L'iconografia la rappresenta nell'episodio dello strappo volontario degli occhi.
Altri attributi possono essere una spada oppure anche una tazza da cui esce una fiamma, una fiaccola o un mazzo di spighe.
Fatto sta che nel giorno che precede la sua festa, in molte parti di Italia e del mondo, i bambini le scrivono una letterina chiedendole dei doni. Preparano cibo e carote sui davanzali delle finestre per sfamare la Santa e il suo asinello e poi vanno a dormire attendendo il mattino.
In Svezia e in Danimarca è abitudine che la mattina del 13 dicembre la figlia primogenita si vesta con una tunica bianca e una sciarpa rossa in vita e, con il capo coronato da un intreccio di rami verde e sette candeline, porti caffè, latte e dolci ai familiari ancora a letto, accompagnata dalle sorelle più piccole vestite con tunica e cintura bianche.
La Santa è stata più volte messa in relazione con la Dea greca Demetra o con la romana Cerere, i cui attributi principali erano il mazzo di spighe e la fiaccola.
"Luce degli occhi, della vista", "luce del mondo", "luce cosmica": le espressioni rivelano non solo una chiara simbologia spirituale di grandissima intensità, ma soprattutto quella visione cosmologica delle civiltà passate e delle moderne culture contadine in cui s'alternano luce e buio, vita e morte, in un percorso che nella sua circolarità è garanzia di un eterno fluire e ritornare delle cose.
La festa di Santa Lucia anticipa la festa del ritorno della Luce, Yule, che si celebra il 21 Dicembre, con il solstizio d'Inverno.
Buona Santa Lucia a tutti e Buon Onomastico a tutte le Lucia, Lucio, Luciana, Lucy!!!!!
🌾 ✨ 🔥 🌟 🥕
#ilcerchiodellalunaofficial #santalucia #saintlucy #FestadellaLuce #deediluce #lightgoddess
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"San Martino" di Giosuè Carducci: Una Celebrazione Poetica dell’Autunno e delle Tradizioni Italiane. Recensione di Alessandria today
La bellezza della natura e delle tradizioni contadine nel verso di un grande poeta
La bellezza della natura e delle tradizioni contadine nel verso di un grande poeta RecensioneSan Martino, una delle poesie più celebri di Giosuè Carducci, celebra la bellezza e la vitalità della campagna italiana durante il periodo autunnale, in particolare nel giorno di San Martino, l’11 novembre. Con la sua scrittura, Carducci ci trasporta in un borgo italiano, dove la nebbia si solleva lenta…
#Alessandria today#atmosfera rustica#Autunno#borgo italiano#Cacciatore#campagna italiana#Carducci Nobel#Carducci poeta#celebrazione autunno#celebrazione vino#celebrazione vita rurale#Ciclo delle stagioni#Cultura contadina#cultura letteraria.#Giosuè Carducci#Google News#immagini evocative#italianewsmedia.com#letteratura dell’Ottocento#letteratura italiana#maestrale#migrazione uccelli#Natura#Nebbia#Pier Carlo Lava#poesia campestre#poesia classica#poesia d’autunno#poesia italiana#poeti italiani
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- Buongiorno, Anto', che stai leggendo? - Guardo come so' andate le primarie di quei democristiani del PD. - E come so' andate? - Te lo ricordi il nuovo che avanza? Ecco, è avanzato un'altra volta. - Bei tempi quando quello che avanzava si dava da mangiare ai maiali.
(al bar)
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Bisogna raccontare Andrea Zanzotto per capire chi siamo stati, cosa dobbiamo proteggere. Sul “Filò” di Silvio Castiglioni
Il testo più longevo. Forse il più bello o forse no, poco importa: non si allontaniamo dal vero se pensiamo che sia quello più sentito, più sincero. Perché Filò di Silvio Castiglioni è profondo come una radice: ha debuttato nel 2000 a Guado del Po, sulla via Francigena, e in questi anni ha camminato costantemente e con parsimonia quasi contadina. Nonostante non sia lungo la traiettoria ideale dello storico percorso che unisce Roma a Canterbury, il Mulino di Amleto di Rimini, sabato scorso, ha chiesto all’attore (e lo ha ottenuto) uno scartamento laterale: la città di Federico Fellini, comunque, è pur sempre un crocevia di storia (Ariminum, più di duemila anni fa), di viabilità (dall’Arco d’Augusto si snoda la via Flaminia che termina in Piazza del Popolo; a nord invece la Romea e la Popilia, a Ovest – circa – la via Emilia) e di tradizioni rurali.
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Filò contiene buona parte della vita di Silvio Castiglioni: quella di uomo e quella artistica. Quella di mensch veneto, conficcato come una stella alpina – rara e bellissima – nel terriccio padano. E quella di attore: la Grande Commedia dell’Arte e i Maestri del Novecento, Bread and Puppet di Peter Schumann e Odin Teatret di Eugenio Barba per esempio ma anche Sandro Lombardi e Federico Tiezzi.
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“Far filò”. Si faceva ‘sti tenpi andàti quando le donne contadine e montanare, in inverno, si riunivano nelle stalle per filare, quindi fare maglie e sciarpe, oppure rammendare pantaloni e calze. Chiacchiere e pissi pissi a volume medio, che tanto lì non ci sono orecchie che le scòlta, storie lunghe per tenersi compagnia e aspettare – insieme – il ritorno della bella stagione.
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L’humus fertile delle tradizioni, la necessità ancestrale e profonda di raccontare una pagina del passato, il divertimento che nasce quando si recupera, filologicamente, fotografie che ti hanno descritto o solamente sussurrato. Anche questo è (o forse solo questo è) teatro.
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Silvio Castiglioni si traveste da Don Chisciotte e accompagna gli spettatori nel veneto legnoso: una maschera – quella dello Zanni della Commedia dell’Arte – per mettere subito in chiaro le cose: si traversa un dialetto per arrivare dentro a una stalla di fieno, calore, memorie del sottosuolo, voci di lontani parenti.
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Il testo di partenza, quello di Andrea Zanzotto, in realtà è un pretesto. Un pre-testo: partire dall’autore per raccontare se stessi. Nell’estate del ’76 il poeta inizia a collaborare al Casanova di Federico Fellini. Nello stesso anno viene pubblicata l’opera Filò dalle edizioni Ruzzante di Venezia che comprende la lettera di Fellini, dove dichiara le sue aspettative, i versi per il film Casanova, quelli sul dialetto e una lunga nota. Scrive Zanzotto: “Sono grato a Fellini di avermi spinto gentilmente ammiccando e quasi segnando silenzio con un dito sulle labbra, a questa breve ma per me non trascurabile discesa per scorciatoie assai precipiti, molte volte intraviste, mai praticate in precedenza proprio qui e così: con un occhio a tante deesse, dalla Testa, a Rèitia (la principale divinità, femminile, venetica, ndr), a Venezia, alla Gigantessa bambola: tutte riducibili ad una sola realtà, pur nell’immensa lontananza delle loro icone, dei loro significati, dei loro tempi”.
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Silvio, in Filò, fa un nodo ai suoi amori regionali: il Veneto, e la Romagna (è stato Direttore artistico del Festival di Santarcangelo per diversi edizioni), e la Lombardia. In questo triangolo scaleno si muove, cammina. Vive. Non solo sul palco.
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Si parte dal Veneto più rùstego, l’anticamera. L’accesso alla stanza dei bottoni. In quella accanto, Paolo e Paola Castiglioni preparano un risotto con il tastasàl, la carne di maiale (non la salsiccia, proprio la carne di maiale) con l‘aglio, il vino bianco, il pepe, il sale e il rosmarino. Cibo per le orecchie e cibo per il naso. Manicaretti per il cuore e manicaretti per la bocca. Cucina fusion, ma tradizionale. Come tradizionale – nel senso più nobile del termine – è questo assolo lucido di Silvio: un po’ Paolo Rumiz (tanti i luoghi che tocca con le parole, e non solo la triade Veneto-Romagna-Lombardia) un po’ Cervantes, un po’ Ruzzante certamente, ma altrettanto capace di una scrittura autonoma e personalizzata.
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Non ingannino le maschere indossate da Castiglioni: il viaggio è autentico. Veneto, Milano, Siviglia, Buenos Aires, Friuli. Sulla rotta degli emigrati italiani che andavano a cercare fortuna fuori. Si va di liscio, di tango, di ricordi, di odori. E la storia raccontata, resa ancora più credibile dall’utilizzo del dialetto veneto, diventa una nave.
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Dialetto come baluardo – come ultimo avamposto – di biodiversità. Non ieri che era la lingua madre bensì oggi: salvaguardiamolo quindi con parsimonia e calore sembra dire Silvio Castiglioni. Alcune cose vivono nell’idioma di un luogo e sono intraducibili.
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Un cantastorie che porta in scena, accompagnato dalla fisarmonica di Beppe Chirico-Sancio Panza, il racconto della storia dell’Italia post bellica. Trent’anni “veri” che oscillano tra memoria e invenzioni, tra bocconi amari – i sogni che si hanno da piccoli raramente si realizzano – e stelle cadenti che indicano la via: l’oca che non vuole essere ammazzata, l’asino che uccide, il vecchio leone di un circo dimenticato, il maiale che viene sacrificato per sfamare la famiglia.
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Filò funziona. Eccome se funziona: il microcosmo apparente si innalza a Storia. E a teatro, soprattutto a teatro, profuma di vero. Come il risotto col tastasàl che a fine spettacolo gli spettatori assaggiano.
Alessandro Carli
L'articolo Bisogna raccontare Andrea Zanzotto per capire chi siamo stati, cosa dobbiamo proteggere. Sul “Filò” di Silvio Castiglioni proviene da Pangea.
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GERACI SICULO - SI SGAVITA A MUNTAGNA , Festa della transumanza
Geraci Siculo è uno dei tanti paesini siciliani con una storia antichissima, con castello, antiche chiese e conventi e con una finestra sul vuoto da cui il principe Francesco Ventimiglia nel medioevo saltò, letteralmente, nel vuoto inseguito dai cavalieri del re a cui si era ribellato. Il paese resto comunque feudo della potentissima famiglia Ventimiglia a cui nel parlamento siciliano, spettava di diritto il primo seggio. A fine Maggio a Geraci si festeggia la “sgavita da muntagna” il passaggio delle mandrie di bestiame che risalgono dalla costa e vanno a stanziarsi nei pascoli delle alte montagne delle Madonie. Ora, può sembrare strano che quest’evento sia festeggiato ma esso segnava l’arrivo della estate, la mietitura e tutte quelle attività contadine estive. Le mandrie una volta erano numerose e questi passaggi dai pascoli invernali a quelli estivi, assomigliavano a quei movimenti di bestiame che vedevamo nei film americani dei Cow Boy. La festa segna comunque l’attaccamento non solo alle tradizioni ma ai ritmi della natura, quelli regolati dalle stagioni e dalla loro influenza sull'uomo e sulle sue attività.
Geraci Siculo is one of the many Sicilian villages with an ancient history, with a castle, ancient churches and convents and with a window on the void from which Prince Francesco Ventimiglia in the Middle Ages jumped, literally, into the emptiness pursued by the knights of the king to whom he had rebelled . However, the town remained a fief of the powerful Ventimiglia family to which the first seat was entitled in the Sicilian parliament. At the end of May in Geraci we celebrate the "accros of the mountain" the passage of the cattle herds that go up from the coast and go to settle in the pastures of the high mountains of the Madonie. Now, it may seem strange that this event is celebrated but it marked the arrival of summer, the harvest and all those summer peasant activities. The herds were once numerous and these passages from winter to summer pastures resembled those cattle movements we saw in the American Cow Boy movies. However, the celebration marks the attachment not only to the traditions but to the rhythms of nature, those regulated by the seasons and their influence on man and his activities.
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Ad Ischia torna 'Andar per cantine', tra degustazioni e trekking
NAPOLI – Ischia celebra la sua storia, la cultura e le tradizioni enogastronomiche con la quindicesima edizione di Andar per Cantine, la manifestazione della Pro Loco Panza d’Ischia che punta alla riscoperta delle origini contadine e alla valorizzazione dell’enogastronomia sull’isola culla della Magna Grecia, dove da ventinove secoli le viti importate dai greci di Eubea hanno trovato terra…
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Il pane drogato. Quello della panificazione è senza dubbio tra gli aspetti fondamentali per interpretare la storia e la cultura di una popolazione. Fino al primo dopoguerra italiano la vita dei contadini abruzzesi era un'esistenza dura. Carestie, scarsità di mezzi e di risorse, malattie (come la pellegra, derivante, appunto, dal massiccio consumo di pizza di granone/granoturco che, come ricorda un cronista di fine Ottocento, recava il "miserando spettacolo di uomini che in primavera si scorticano, mutando pelle come serpi") e soprusi dei signori (Fontamara docet) lasciano ben presagire come l'attuale e idilliaca concezione della civiltà contadina dei secoli passati sia in gran parte dovuta ad averla egregiamente superata. La sopravvivenza era strettamente legata a poche, e lesinate, varietà di alimenti: legumi, cereali autoctoni (come la solina) e verdure spontanee, come cicoria, tarassaco e borragine. Tra queste vi era loglio [nell'immagine a destra], un'infestante i cui semi, nella varietà nota come "zizzania", hanno effetti psicotropi se ingeriti in grandi quantità. "Tagliare" la farina di frumento o granoturco con semi di loglio era una pratica comune in molte società contadine del tempo, in quanto gli effetti da essi prodotti avevano il beneficio di smorzare gli effetti della fame, seppur "imbriacando" chi ne faceva uso. Per questo nel vastese, come in altre zone d'Abruzzo, era comune additare un individuo pigro, di scarsi riflessi o poco intelligente con la frase "Ha magnate lù pàne di juòjje", cioè "ha mangiato il pane con loglio". #GoticoAbruzzese #abruzzo #pane #folklore #tradizioni https://www.instagram.com/p/BykUDs2okBv/?igshid=3ib1r4dadts0
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