#architettura e corpo
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pier-carlo-universe · 10 days ago
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Annabel Karim Kassar presenta “PORTICO”: un’installazione site-specific tra poesia e architettura alla Statale di Milano
In occasione del FuoriSalone 2025, l’architetta e artista Annabel Karim Kassar presenta PORTICO, una suggestiva installazione site-specific che reinventa con gesto poetico e forza sensuale l’ingresso monumentale dell’Aula Magnadell’Università Statale di Milano. La conferenza stampa dell’evento si terrà lunedì 7 aprile alle ore 14.00. PORTICO è molto più di una struttura architettonica: è…
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ilsalvagocce · 14 days ago
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La collina
ieri ho ripensato a quando sono tornata all'ospedale dove mamma fu ricoverata per un mese fino alla fine
Sta su una collina, anzi al suo inizio - una clinica che c'è sempre stata, così incastonata tra i pini altissimi e le pigne che scivolano giù per la scarpata, quella che tu fai al contrario con la macchina per salire e fermarti alla 'Villa', oppure proseguire, verso i gelsi che costeggiano la strada bianca e i campi che a giugno si riempiono di girasoli, un anno sì e un anno no, e d'inverno se nevica son discese per scivolare con lo slittino, ce l'avessi, e da collina a collina, attraversando la campagna, trovi i giaggioli sui bordi, che io rubo, a primavera, e pure la casa dove da piccola imparavo a suonare il pianoforte, dalla maestra Anna. Finita la strada bianca, d'un tratto è già svincolo che porta alla città.
Puoi disegnarlo su una mappa quel fiume di breccia tra le colline, e l'inizio e la fine è sempre stata quella clinica, la Villa. E il mio sempre è sempre stato un posto di pace, un posto buono, solo architettura di inizio novecento che sbuca dalle cime dei pini, niente salute, niente malattia, entrai forse una sola volta da ragazzina per una visita agli occhi. Quell'aprile e poi maggio invece entravo per mamma, che non aveva più la speranza, ma non si diceva ormai più, io con il permesso, col tampone, con l'orario che si poteva, solo un'ora presto e poi un'ora tardi. Non c'era spina, tronco, tagliente come due mesi prima al ricovero al pronto soccorso; era un dolore sparso e profondo, quelli col sorriso sforzato, schizofrenico e poi saggio, ma finto direi finto, perché il corpo si lasci, lasci andare, tu lo lasci andare, anzi mamma resta, no, vai, vai. Arrivavo e la sentivo tossire dai corridoi, me ne andavo e tossiva ancora, unico suono infinito e tremendo, e l'infermiere, uno lo ricordo bene, le tamburellava sul petto, e io lì accanto, e diceva paziente dai Grazia tossisci non ti preoccupare tossisci. Amavo quelle dita abbronzate che tamburellavano sullo sterno carenato di mia mamma, insegnava a me come aiutarla, come suonare il pianoforte dalla maestra Anna, un trillo dal suono ovattato.
Poi è finito tutto, finisce tutto come la collina, come la strada che inizia e che finisce.
Nella nebbia che non c'era, perché era maggio di primavera sgargiante, giorni dopo la clinica aveva chiamato per ritirare gli effetti personali di mamma. Avevo preso la macchina una volta ancora verso la collina, ero scesa tra i pini altissimi, avevo cercato con gli occhi la finestra dove poteva essere stata la sua camera, ultimo respiro, se era stato lì o lì o lì. Erano caduti rametti dietro di me, è un segno è mamma è un segno, ero entrata, senza tampone, mi bastava arrivare all'ingresso, dicevano, ed erano già lì, una o uno non ricordo, col sacco nero di plastica e dentro le canottiere, le magliette coi fiori, per cambiare mamma su un letto che non la vedeva mai alzata, profumate intatte e la sua bambola sirena, in cima a tutto, che voleva sempre con sé. Ho aperto il sacchetto seduta in macchina nel parcheggio, sotto i pini; ho visto passare l'infermiere che suonava il pianoforte sullo sterno di mia madre, l'ho salutato con lo sguardo, sorridendo, mi chiedevo chissà se lo sa, me l'ho chiesto per mesi, di tutti; pure la sirenetta mi sorrideva tra le mani, e maggio era sgargiante prepotente e vivo.
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schizografia · 4 months ago
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Il volto umano è una forza vuota, un campo di morte.
La vecchia rivendicazione rivoluzionaria di una forma che non ha mai corrisposto al suo corpo, che era nato per essere altra cosa dal corpo.
È perciò assurdo rimproverare di essere accademico a un pittore che si ostina tuttora a riprodurre i tratti del volto umano così come sono; perché così come sono essi non hanno ancora trovato la forma che indicano e designano; e sono ben altro che semplici schizzi, ma dal mattino alla sera, e nel mezzo di diecimila sogni, pestano come nel crogiolo di una palpitazione passionale mai stanca.
Ciò significa che il volto umano non ha ancora trovato la sua faccia e che sta al pittore procurargliela.
Ma questo significa che la faccia umana così com’è la si cerca ancora con due occhi, un naso, una bocca e le due cavità auricolari che corrispondono ai buchi delle orbite come le quattro aperture della tomba della morte prossima.
Il volto umano porta in effetti una specie di morte perpetua sul suo volto che sta proprio al pittore salvarlo restituendogli i suoi propri tratti.
Dopo mille e mille anni infatti che il volto umano parla e respira si ha ancora come l’impressione che non abbia ancora cominciato a dire quello che è e quello che sa.
E io non conosco un pittore nella storia dell’arte, da Holbein a Ingres, che, questo volto d’uomo, sia riuscito a farlo parlare. I ritratti di Holbein o di Ingres sono muri spessi, che non spiegano niente dell’antica architettura mortale che s’inarca sotto gli archi di volta delle palpebre, o s’incastra nel tunnel cilindrico delle due cavità murali delle orecchie.
Soltanto van Gogh ha saputo trarre da una testa umana un ritratto che sia il detonatore esplosivo del battito di un cuore scoppiato.
Il suo.
La testa di van Gogh con il cappello floscio rende nulli e inesistenti tutti i tentativi di pitture astratte che potranno essere fatte dopo di lui, sino alla fine delle eternità.
Perché quel volto di macellaio avido, scagliato come un colpo di cannone sulla superficie più estrema della tela,
e che all’improvviso si vede fermato
da un occhio vuoto,
e rivoltato verso l’interno,
esaurisce completamente tutti i segreti più ingannevoli del mondo astratto di cui la pittura non figurativa può compiacersi,
è per questo che nei ritratti che ho disegnato
ho evitato prima di tutto di dimenticare il naso, la bocca, gli occhi, le orecchie o i capelli, ma ho cercato di far dire al volto che mi parlava
il segreto di una vecchia storia umana che è passata come morta nelle teste di Ingres o di Holbein.
A volte ho fatto venire, accanto alle teste umane, oggetti, alberi o animali perché non sono ancora sicuro dei limiti ai quali il corpo dell’io umano può fermarsi.
Del resto ho rotto definitivamente con l’arte, lo stile o il talento in tutti i disegni che si vedranno qui. Voglio dire, peggio per chi li considererebbe opere d’arte, opere di simulazione estetica della realtà.
Nessuno di essi è propriamente un’opera.
Sono tutti abbozzi, cioè colpi di sonda o di spatola dati in tutte le direzioni dal caso, dalla possibilità, dalla fortuna o dal destino.
Non ho cercato di curarvi i miei tratti o i miei effetti,
ma di manifestarvi delle specie di verità lineari evidenti che valgono tanto per le parole, le frasi scritte, quanto per il grafismo e la prospettiva dei tratti.
È per questo che numerosi disegni sono mescolanze di poesie e di ritratti, di interiezioni scritte e di evocazioni plastiche di elementi, di materiali, di personaggi, di uomini o di animali.
È così che bisogna accogliere questi disegni nella barbarie e nel disordine del loro grafismo «che non si è mai preoccupato dell’arte» ma della sincerità e della spontaneità del tratto.
Antonin Artaud, Quaderno 316, giugno - agosto 1947
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crazy-so-na-sega · 3 months ago
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SPECOLA spè-co-la
SIGNIFICATO Osservatorio astronomico; punto elevato o cima di un edificio da cui si può osservare il cielo; punto di vista
ETIMOLOGIA voce dotta recuperata dal latino specula ‘vedetta, osservatorio’, da spècere ‘osservare’.
Un caso stupendo di come le parole cambiano e acquistano un tono da tempi andati perché a cambiare sono le nostre città, e il modo in cui si conduce la ricerca.
È una parola che emerge nel rinascimento, recuperata dal latino — in cui ha i significati di osservatorio, altura, cima. È in generale il luogo di vedetta, e trae questo suo nome da un verbo, spècere, che origina anche lo speculum, lo specchio (letteralmente, lo ‘strumento per guardare’). Il fatto curioso è che viene recuperata non tanto in riferimento ai vasti rilievi che fanno da osservatorî naturali, ma in una dimensione specialmente artificiale, architettonica.
La specola è il luogo (del palazzo, s’intende, non della casupola) da cui si può osservare il cielo — un vero e proprio osservatorio astronomico, o semplicemente un punto elevato, una sommità da cui si possono condurre bene queste osservazioni. È un termine che testimonia l’antico rifiorire dell’interesse verso questa scienza, e che ancora dà il nome a torrini e, per eccellenza, ad edifici interi attrezzati con simili postazioni. (Io penso alla Specola di Firenze, sede del Museo di storia naturale, chiusa fino a data da stabilire, la cui torre ospita alla sommità una sala ottagonale che dà sul cielo a 360°.)
Ora, questo significato si è generalizzato per significare il belvedere, l’altana, la cima aperta a una vista panoramica — resta l’elemento architettonico, non la sua funzione celeste e astrofila. Anche perché l’inquinamento luminoso delle città, che trasforma l’adamantino cristallo nero del cielo in un opaco bibitone nerancione, fa sì che difficilmente una specola urbana dei tempi andati permetta più osservazioni di sensibile rilievo scientifico, o anche solo amatoriale. Si può quindi continuare a parlare delle specole che spuntano fra i tetti delle case, dell’alta specola affacciata sulla piazza, delle specole segrete che conosciamo solo noi e dove passiamo i momenti di pausa con qualche collega.
Ma in maniera molto significativa la specola diventa anche, in senso figurato, il punto di vista, la posizione ideologica. Ha un bel tratto poetico capace di ridare smalto e senso a metafore così usate da non far più percepire il senso proprio originale. Così potremmo parlare delle impressioni sulla situazione che abbiamo avuto dalla nostra specola, facciamo notare all’amico che le sue idee prendono corpo da una specola estremamente personale, e viaggiando incontriamo usi che secondo la nostra specola abituale sono barbari, ma che impariamo a giudicare altrimenti.
Che splendore, una parola che dalle cime di vedetta romane battute dal vento si fa architettura slanciata per ricerche squisite e di somma altezza — e metro di una porzione di cielo, di cognizione del mondo.
Testo originale pubblicato su: https://unaparolaalgiorno.it/significato/specola
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lunamarish · 9 months ago
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Mia moglie, nuda, guarda il suo corpo diventare gradini, tre vertebre di una colonna, cielo e architettura.
Salvador Dalì
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a-alban-works · 4 months ago
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Acrostico
Double debut album officially released on October 26, 2023.
Genre: electroacoustic music, musique concrète, drone/dark-ambient, electronic, experimental, noise, tape music.
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Tracciare l'attività del pensiero umano, studiarne evoluzione e mutamenti, andamenti, particolarità, come di un organismo dalla forma incostante il cui corpo coincide con il proprio tempo. Se le sue attività potessero essere tradotte e convertite in un evento sonoro complesso, in una partitura grafica leggibile da un'intelligenza cibernetica, esse sarebbero il canto dell'identità, e l'identità vera è molteplice.
Lo scorrere del suo tempo non è lineare come quello stabilito all'esterno, bensì è architettura di rievocazioni radunate da una volontà priva di un significato apparente, all'interno di passaggi, stanze, corridoi, attraversando porte e utilizzando chiavi. Avere accesso a tutti questi ambienti comporta essere ovunque in ogni momento, sgretolarsi e ricomporsi altrove, dentro un corpo ermetico dove i suoni sono l'alfabeto con cui è scritto.
Servirsi delle macchine per trascrivere la propria mente, per prenderne nota.
In un costante processo di analisi del se, cercando, collezionando, catalogando oggetti, eventi e creature musicali, costruendo legami e connessioni, come farebbe un alchimista che scruta le testimonianze della sua anima ad ogni suo nuovo esperimento, ed ogni esperimento è un tentativo. Ogni tentativo è un suono. Ogni suono è un luogo, ed ogni luogo è un ricordo.
Tutto ciò che è ascoltato scompare nel buio segreto del silenzio, per poter sempre riapparire, poiché parte integrante di quell'entità che una sola cosa è e che tutte le cose potrebbe essere.
To trace the activity of human thought, to study its evolution and changes, its trends, its peculiarities, like an organism of inconstant form whose body coincides with its time. If its activities could be translated and converted into a complex sound event, into a graphic score readable by a cybernetic intelligence, they would be the song of identity, and true identity is multiple.
The flow of its time is not linear like that established outside, but is an architecture of re-enactments and structures brought together by a will without apparent meaning, within passages, rooms, corridors, through doors, using keys. Having access to all these environments means being everywhere at all times, crumbling and reassembling elsewhere, inside a hermetic body where sounds are the alphabet with which it is written.
Using machines to transcribe one's mind, to take note of it.
In a constant process of analysis of the self, searching, collecting, cataloguing objects, events and musical creatures, building links and connections, as an alchemist would do who scrutinises the evidence of his soul with each new experiment, and each experiment is an attempt. Every attempt is a sound. Every sound is a place, and every place is a memory.
Everything that is heard disappears into the secret darkness of silence, only to reappear again and again, as an integral part of that entity that one thing is and that all things could be.
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levireonhato · 5 months ago
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“Tutto cambia, Levi Reonhato. Non sei più un bambino ora, ma un uomo, con un fardello da uomo sulle spalle e una scelta da uomo davanti a te.”
Il caldo desertico era svanito e una falce di luna spuntò bassa all’orizzonte, sottile e rossa come il sorriso di un cannibale. Attraverso le arcate s’intravedeva il tenue bagliore delle luci, decine di migliaia di lampade a olio sminuite dalla vasta oscurità del deserto circostante. A sud, una cappa di fumo smorzava la lucentezza del fiume. Il vento trasportava con sé l’odore di acciaio e di fornace, sempre presente in una città conosciuta solo per i suoi soldati e le sue armi. Come vorrebbe, Levi, aver visto Serra prima di tutto questo, quand’era la capitale dell’Impero dei Dotti. A quei tempi i grandi edifici erano biblioteche e università, non caserme e sale di addestramento. La Strada dei Cantastorie ospitava un gran numero di palchi e di teatri, non un mercato di armi in cui le uniche storie che si raccontavano erano quelle di guerra e di morte. Era un desiderio stupido, come quello di volare. Nonostante le conoscenze di astronomia e architettura e matematica, i dotti si erano sgretolati sotto l’invasione dell'Impero. La bellezza di Serra era perduta ormai. Adesso era una città marziale. In alto, il cielo splendeva, illuminato dalla luce fioca delle stelle. Una parte del corvino sepolto da tempo capì che questa era bellezza, ma non era più in grado di meravigliarsene come faceva da bambino. Allora, si arrampicò sugli alberi del pane per avvicinarsi alle stelle, convinto che un po’ di altezza in più lo avrebbe aiutato a vederle meglio. Allora, in quel mondo era fatto di sabbia e cielo. Allora, era tutto diverso. x: «Tutto cambia, Levi Reonhato. Non sei più un bambino ora, ma un uomo, con un fardello da uomo sulle spalle e una scelta da uomo davanti a te.» Levi aveva in mano il coltellino e lo puntò alla gola dell’uomo incappucciato accanto a lui. Da dove era saltato fuori? Giurerebbe sulla vita dei suoi genitori e di quell'imbranata di sua sorella che quest’uomo non era qui un attimo fa. «Chi diavolo sei?» gli chiese tagliente. Lo sconosciuto abbassò il cappuccio e il corvino ottenne la sua risposta: un Augure. Che ci faceva qui un / Augure /? Credeva che i santoni avessero di meglio da fare, come rinchiudersi nelle caverne a leggere le viscere delle pecore. Era esattamente uguale da come sua madre Laia un tempo li aveva descritti: la sclera degli occhi dell’Augure era di un rosso demone acceso, in contrasto con le iridi nere e lucenti; la pelle si tendeva sulle ossa del suo viso come un corpo torturato sulla ruota. A parte gli occhi, in lui non c’era molto colore in più rispetto ai ragni traslucidi che si annidavano nelle catacombe di Serra.
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Si chiedeva come fosse possibile che sua madre, una donna così tanto intelligente, pensava davvero che gli Auguri fossero immortali? Ma in fondo non era l’unica. I marziali credevano che il / potere / degli Auguri derivasse dal loro essere posseduti dagli spiriti dei morti. Eppure, a chiunque aveva un briciolo di logica, era chiaro che erano una banda di ciarlatani, venerati in tutto l’Impero non solo come creature immortali, ma anche come oracoli ed esperti nella lettura del pensiero. x: «Nervoso, Levi?» l’uomo spinse via il coltello dalla gola, «perché? Non devi avere paura di me. Sono solo “un ciarlatano che vive nelle caverne, uno che legge le viscere delle pecore”. Giusto?» Che il cielo lo fulmini! Come faceva a sapere che Levi pensava queste cose? Cos’altro sapeva? «Era uno scherzo» replicò, «uno stupido scherzo.» x: «E il tuo piano per disertare? Anche quello è uno / scherzo /?» Il corvino rimase in silenzio. Chiunque tenterebbe di scappare da quella “prigione”, chi è che non lo farebbe? x: «Gli spettri delle nostre cattive azioni cercano vendetta» disse la figura dall’aspetto pallido, «ma il prezzo da pagare sarà elevato». «Il / prezzo /? Di cosa cazzø stai blaterando vecchio?» lasciando stare / l’educazione / che i suoi genitori gli avevano insegnato, gli ci volle un istante per capire. Voleva farlo pagare per consentirgli di mettere in atto il suo piano. All’improvviso l’aria della sera si fece più fresca, e pensò alla segreta di Kauf di cui aveva tanto sentito parlare, dove l’Impero spediva a soffrire i disertori nelle mani dei suoi servi più crudeli. E pensò alla frusta di quella strega, al sangue di quei poveri ragazzi che macchiavano le pietre del cortile di Rupenera. Gli aumentò di colpo l’adrenalina, dicendogli di attaccare l’Augure, di sbarazzarsi della minaccia che rappresentava, ma il buon senso prevalse sull’istinto. Gli Auguri godevano di un tale, sconfinato rispetto, che ucciderne uno non era un’opzione percorribile. Umiliarsi invece poteva essere utile. Dunque, era qui per punirlo? x: «Non sono qui per punirti. In ogni caso, il tuo futuro è già una punizione sufficiente. Sai perché sei qui, Levi?» l’Augure si voltò verso la torre campanaria modellata come un diamante. Le parole di cui erano fregiati i mattoni della torre erano così familiari che ormai non le notava quasi più nessuno: “Dai giovani temprati per la battaglia s’innalzerà il Predestinato, l’Imperatore Supremo, flagello dei nostri nemici, condottiero di un esercito devastante. E l’Impero sarà completo.” x: «Per le profezie. Per il futuro contenuto nelle visioni degli Auguri. Ecco perché abbiamo costruito questa accademia. Ecco perché sei qui. Conosci la storia?» Cinquecento anni fa, un brutale guerriero di nome Taius aveva riunito i clan divisi dei marziali ed era piombato giù dal Nord, annientando l’Impero dei Dotti e conquistando la maggior parte del continente. Si era autoproclamato Imperatore e aveva fondato la propria dinastia. Ma gli Auguri, considerati santi già a quei tempi, avevano scoperto nelle loro visioni che la stirpe di Taius un giorno si sarebbe estinta. E in quel momento avrebbero dovuto scegliere il nuovo imperatore attraverso una serie di prove di forza fisica e mentale: le Selezioni.
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Per ovvi motivi, Taius non aveva apprezzato granché la profezia, ma gli Auguri dovevano averlo minacciato di strangolarlo con le budella di pecora, perché non aveva fiatato quando avevano eretto Serra e cominciato ad addestrarvi gli allievi. E, cinque secoli dopo, erano ancora tutti qui, in attesa che la linea dinastica del vecchio furbacchione si estinguesse e che uno di loro potesse trasformarsi in un imperatore nuovo di zecca. Generazioni di guerrieri si erano addestrati, avevano servito ed erano morti senza essere neppure sfiorati dalle Selezioni. Serra può anche essere nata come luogo in cui istruire il futuro imperatore, ma ora era solo una palestra per sfornare le risorse più micidiali dell’Impero. «Conosco la storia», Levi interruppe finalmente il suo ostinato silenzio. Laia gli raccontava storie bislacche dato che quelle d’amore non erano di suo gradimento. Era la sua narratrice e potrebbe anche sembrare una pazza scappata da un manicomio che papà James - santo uomo che era - aveva sposato, ma con la sua voce, il guizzo di una mano e l’inclinazione della testa sapeva tessere le trame di mondi interi. Eppure Levi non credeva a una sola parola di quel mito, per lui era soltanto sterco di cavallo. x: «Non è né un mito né sterco di cavallo, mi dispiace», replicò l’Augure serio. «Sei davvero capace di leggere il pensiero.» x: «Una formulazione semplicistica per un’impresa complessa. Ma è così, ne siamo capaci.» «Allora sai tutto. Del mio piano di fuga, delle mie speranze, del mio odio, della mia famiglia. Tutto.» x: «È un buon piano, Levi», confermò il santone. «Quasi infallibile. Se desideri portarlo a termine, io non ti fermerò.» “È un trucco” gridò la mente del corvino, ma guardò negli occhi del santone e non vide alcuna menzogna. x: «Vieni, facciamo due passi.» Levi era troppo intontito per fare altro che non fosse seguirlo. Se l’Augure non stava cercando d’impedirgli di disertare, allora cosa voleva? Cosa intendeva quando aveva detto che il suo futuro sarà già una punizione sufficiente? Il corvino aveva cercato di leggere i suoi pensieri, tutto ciò di cui aveva bisogno sapere, ma il / velo / dell’Augure glielo impediva. Raggiunsero la torre e le sentinelle di guardia si allontanarono, come obbedendo a un tacito ordine. Levi e il santone erano soli a contemplare nell’oscurità le dune di sabbia. Era così lontano da casa sua, dalla sua famiglia... chissà cosa staranno facendo in questo momento. Cosa penserebbero di lui se diventasse un assassino? Lo avrebbero ugualmente accettato? Tanti pensieri affollarono la mente del corvino. A volte aveva come un nido di scorpioni che gli brulicavano nella mente, senza posa. x: «Quando sento i tuoi pensieri, mi torna in mente Taius il Primo. Aveva nel sangue l’istinto del soldato, proprio come te. E, come te, ha lottato col proprio destino» sorrise al suo sguardo incredulo. «Oh, si. Conoscevo Taius. Conoscevo i suoi avi. lo e i miei simili calpestiamo questa terra da un migliaio di anni. Abbiamo scelto Taius per creare l’Impero, così come abbiamo scelto te, cinquecento anni dopo, per servirlo.» Era impossibile! Se quest’uomo sapeva leggere nel pensiero, l’immortalità potrebbe essere piuttosto ragionevole come passo successivo. Allora, vuol dire che tutte quelle stupidaggini sugli Auguri posseduti dagli spiriti dei morti erano vere? Se solo la sua famiglia potesse vederlo... come gongolerebbe! Con la coda dell’occhio, guardò il santone. Osservandolo di profilo, gli sembrava di colpo curiosamente familiare. C: «Il mio nome è Caino. Sono stato io a sceglierti.»
«A / condannarmi /, per meglio dire. Immagino che tu abbia scelto migliaia di uomini nel corso degli anni. Dev’essere proprio il tuo passatempo preferito» C: «Ma tu sei quello che ricordo meglio. Perché gli Auguri sognano il futuro: tutte le conseguenze, tutte le possibilità. E tu sei intrecciato nelle trame di ogni singolo sogno. Un filo d’argento in un arazzo notturno.» «E io che pensavo aveste sorteggiato il mio nome da un misero cappello.» C: «Ascoltami, Levi Reonhato» l’Augure ignorò la frecciata. Anche se la sua voce non era più alta ora di un istante fa, le sue parole erano avvolte nel ferro, appesantite dalla certezza. «La Profezia è realtà. Una realtà che affronterai presto. Tu cerchi di scappare. Tu cerchi di eludere il tuo dovere, ma non puoi sfuggire al tuo destino.» «Il mio / destino /?» C: «La vita non è sempre ciò che pensiamo sarà» sentenziò Caino. «Tu sei brace sotto la cenere, Levi Reonhato. T’infiammerai e brucerai, distruggerai e / devasterai /. Non puoi cambiare la tua sorte. Non puoi fermarla.» «Io non voglio!»
C: «Quello che vuoi non ha importanza. Dovrai fare una scelta. Tra disertare o fare il tuo dovere. Tra sfuggire al tuo destino o affrontarlo. Se diserti, gli Auguri non ti fermeranno. Scapperai. Lascerai l’Impero. Vivrai, ma non troverai sollievo nel farlo. I tuoi nemici ti daranno la caccia. Le ombre fioriranno nel tuo cuore, e diventerai tutto ciò che hai sempre odiato e temuto: malvagio, crudele, inesorabile. Sarai incatenato all’oscurità dentro di te come saresti incatenato alle pareti di un cella, in prigione.» Caino gli si avvicinò, il suo sguardo era spietato. «Ma se resti, se fai il tuo dovere, avrai la possibilità di spezzare per sempre i vincoli che ti legano all’Impero. Avrai la possibilità di raggiungere una grandezza inconcepibile. Avrai la possibilità di ottenere la vera libertà: del corpo e dell’anima. Quando il momento arriverà, lo saprai, Levi. Devi fidarti di me.»
«Come faccio a fidarmi? Quale dovere? La mia prima missione? La seconda? Quante persone dovrò torturare? Quanto male dovrò commettere prima di poter essere / libero /?» Gli occhi di Caino erano fissi sul viso del giovane, mentre fece un passo lontano da lui, e poi un altro. «Quando potrò lasciare l’Impero? Tra un mese? Un anno? ...Caino!» L’augure scomparse in fretta, come una stella all’alba. Levi si allungò per afferrarlo, per obbligarlo a restare e a dargli delle risposte, ma la sua mano trovò solo aria.
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archinterni · 1 year ago
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UNA VITA DA ARCHITETTO
Interessante incontro con Gian Carlo Malchiodi che, introdotto dall'amico Ugo la Pietra, curatore del volume per i tipi di Prearo Editore e da Antonio Monestiroli, racconta la feconda vita professionale all'insegna di un razionalismo della scuola milanese.
Presiede l'incontro il Presidente dell'Ordine Arch. Daniela Volpi.
GIAN CARLO MALCHIODI: UNA VITA DA ARCHITETTO
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DANIELA VOLPI Il Presidente dell’Ordine Daniela Volpi dà il benvenuto e ringrazia per aver scelto la sede dell’Ordine per la presentazione del bel libro su Gian Carlo Malchiodi, uno dei protagonisti della rinascita della città del dopoguerra. Milano è ricca dei suoi edifici nei quali, ancora oggi si può riconoscere la sua ricerca nel declinare la modernità mantenendola all’interno delle identità storiche della scuola razionalista. Una modernità “progettata”, sintesi creativa tra passato e futuro. UGO LA PIETRA L’Architetto e Artista Ugo La Pietra, curatore del libro prende la parola e racconta di aver accettato il difficile incarico di scrivere questo testo, non come storico, ma come appassionato di architettura. Con questo approccio, infatti, ha scritto diversi saggi: nel 1985 ha scritto il primo libro su Gio Ponti, fino ad allora autore dimenticato. Successivamente ha scritto di Ulrich e poi stava apprestandosi a fare la monografia di Tomaso Buzzi e del suo maestro, Vittoriano Viganò. Noi tutti passiamo davanti alle case di Malchiodi, senza saperlo. Questo libro dovrebbe portare alla luce queste mirabili opere degli ani 40 e 50. In quegli anni, se ci fossero stati più architetti del suo livello, la città avrebbe oggi un altro aspetto. Malchiodi è anche fine designer, basti guardare le cassette delle lettere, i corrimano, le maniglie, le lampade e tutti i piccoli dettagli che pazientemente disegna, senza lasciare nulla la caso. La sua architettura è colta e attenta, dal disegno equilibrato e ricco di modulazioni, ritmi, soluzioni spaziali innovative e trasparenze. Le soluzioni progettuali sono rese da arditi accostamenti di materiali, caldi e freddi, colorati o sobri. ANTONIO MONESTIROLI Antnio Monestiroli inquadra l’opera di Malchiodi nello scenario culturale dell’epoca, che vedeva come protagonisti Gardella, Albini, BBPR, generazione di maestri molto poco conosciuta, forse anche perche’ poco trattata dalle riviste, trascurata dalla storia dell’architettura.
E’ un movimento di cultura, che crede nella ragione e vede anche l’architettura come una disciplina conoscitiva. Sviluppando un progetto, si andava alla radice del problema, cogliendo gli elementi essenziali e organizzandoli in modo razionale. Il grande amore per la casa in cui si vive bene, in cui vige un buon rapporto con la natura e il sole, l’attenzione verso le condizioni igieniche, la distribuzione spaziale logica, hanno come risultante la semplicità della forma. Un altro aspetto importante riguarda il rapporto tra la vostra generazione e quella dei progettisti più giovani. Oggi sembra ci sia una riscoperta di forme pure e razionali a voi care. Intanto si sta abbandonando l’hi-tech, momento di forte ideologia delle macchine architettoniche come il Beaubourg. GIAN CARLO MALCHIODI Malchiodi comincia il suo intervento ringraziando tutti gli attori della serata: l’Ordine, l’editore e i relatori. Quando ha cominciato a progettare in Italia c’era ancora la famosa architettura del regime. Tutte le riviste italiane portavano esempi quali Piacentini, salvo qualche eccezione come Ridolfi. Uno stile che non lo convinceva. Nella sua vita professionale ha avuto diverse esperienze e anche la fortuna di avere avuto come maestro Gio Ponti e di essere andato a lavorare nel suo studio. Dopo il lavoro spesso Ponti gli parlava di architettura, insegnandogli molti principi che ancora usa. Diceva: “l’edificio deve essere un oggetto finito, completo, composto da base, corpo e coronamento. Se lo progettate così non si potranno attaccare dei pezzi”. Achille Castiglioni faceva l’esempio dell’uovo, forma naturale perfetta e pertanto intoccabile. Lo stesso Castiglioni diceva che nulla doveva essere lasciato al caso. Se ne è ben accorto Malchiodi, nella professione, quando, omettendo di disegnare dei particolari, essi venivano malamente interpretati dal costruttore. Alle volte basta un particolare sbagliato, per rovinare tutta una composizione. Malchiodi è sempre partito dalla pianta, cercando sempre di perfezionarla, perchè la casa risultasse funzionale, rispondendo alle esigenze del fruitore. Le sue piante sono come delle macchine e da esse deriva la forma dell’edificio esterno. Per quanto riguarda i committenti, egli non ha mai avuto clienti ricchi e altisonanti, che lo chiamavano per progettare una villa. La casa di via De Amicis, per esempio è fatta di balconcini, come quella progettata da Viganò in Viale Piave, pannellati, in origine, color carta da zucchero. Malchiodi avrebbe voluto che ogni pannello dei balconi fosse dipinto con un quadro astratto, e che tutti i pannelli insieme formassero un enorme dipinto. Cosa impossibile, se vediamo cosa è venuto fuori. Una delle case che gli piace ancora ora è quella di via Cassolo, una delle ultime. Una casa con un fronte di oltre 60 metri molto stretto. Ha voluto arretrare la casa, progettato un giardino sul fronte e innalzato la casa maggiormente, rompendo questo volume in quattro elementi sfalsati e collegati dai corpi scale e ascensori. Questi edifici avevano perso il loro parallelismo con la strada, che è stato poi recuperato mediante l’allineamento dei balconi.
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thebeautycove · 2 years ago
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CALÉ FRAGRANZE D'AUTORE - ARCHILIBRIUM - Eau de Parfum - Novità 2023 -
Natura. In profonda connessione. Ode al Risveglio. Parte III.
"Mi ha colpito il fatto che il concetto di architettura organica nascesse con una bellissima storia all'inizio del '900, ma non avesse avuto un grande seguito nel tempo. Ho pensato che nel contesto della crisi climatica e ambientale anche l'olfatto potesse avere un ruolo nella riflessione sul posto che l'uomo dovrebbe occupare all'interno del mondo naturale come ospite alla pari degli altri esseri animali o vegetali, invitandoci a scoprire gli odori semplici della natura e a dare il nostro contributo senza necessariamente alterare in modo invasivo il pianeta che ci accoglie e che merita rispetto." Silvio Levi
Quando la Natura bussa alla porta…e vivi nel supremo privilegio di poterle stare accanto. Di sentirti in armonia con le sue regole, di dipendere dalla sua capacità di generare serenità e bellezza, di sentirla madre e amica che tutto offre senza  chiedere nulla in cambio, se non il dovuto rispetto. La natura da sempre ispira la creatività di menti straordinarie, arte, architettura, design hanno attinto a questa inesauribile fonte per dar corpo ad un’idea, diffondere un messaggio di bellezza e armonia universale nel tempo.
Esplorare la Natura, poterla ‘abitare’ senza arrecarle disturbo, questa in sintesi la riflessione che ha originato la creazione della tredicesima fragranza di Calé Fragranze d’Autore - Archilibrium - crasi tra architettura ed equilibrio, dove il concetto cardine è il rapporto dialogante, armonico tra uomo e natura.
Nucleo ispirante l’architettura organica di Frank Lloyd Wright e le sue opere poetiche incastonate, mimetizzate nel paesaggio che le circonda, una su tutte Casa Kaufmann, la villa capolavoro eretta su una cascata.
La fragranza diviene emanazione di tale intuizione, ogni elemento interviene a sviluppare la trama olfattiva. Immersiva e potente la presenza verde boschiva, accordi botanici di arbusti silvestri, spezie e bacche balsamiche, ginepro, elemi, lentisco in accordo con sentori minerali, di roccia umida e impervia. Poi la sorprendente rivelazione, questa natura è accogliente, docile, consente agli umani di renderla rifugio, nido, riparo e gradisce aromi conviviali di zafferano, caffè, tabacco, sfumature domestiche di fiori appena recisi, iris e magnolia, di fuoco e legni da ardere. Tutto volge alla cordialità nel calore e nella delizia di benzoino e semi di ambretta, ristoro di corpo e mente, salubre e benefico infine, a far circolare tanta serenità e armonia, il rito gioioso innalzante dei muschi. Casa mia casa.
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Creata da Silvio Levi in collaborazione con Maurizio Cerizza.
Eau de Parfum 50 ml.  Online qui
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figlidiroma · 2 months ago
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To be precise, these are not exactly the Three Graces but rather the allegories of Picture, Sculpture and Architecture mourning Antonio Canova's death; the relief was realized by Giuseppe Fabris.
Si tratta delle allegorie di Pittura, Scultura ed Architettura piangenti sulla tomba di Canova. Il monumento, voluto da Leone XII della Genga e opera di Giuseppe Fabris (o De Fabris), campisce la parete d'ingresso della Protomoteca capitolina. Nella parte superiore del monumento giace reclinato il corpo del grande artista, mentre il delicatissimo rilievo mostra le Arti in compianto assieme al Genio dell'Armonia. Al talento e al genio di Fabris si devono anche la ricognizione della tomba di Raffaello Sanzio al Pantheon e la bellissima tomba a Canova.
Cito dal sito già linkato per una completa biografia di Fabris: "Nella sua veste di Reggente alla Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, De Fabris diventa protagonista di uno degli “eventi” più eclatanti di quel tempo: il ritrovamento delle spoglie di Raffaello Sanzio (Urbino 06-04-1483 – Roma 06-04-1520, genio dell’arte rinascimentale), sepolto all’interno di Santa Maria ad Martyres (il Pantheon) ma della cui collocazione precisa si erano perse le tracce. Dopo 5 giorni di lavori iniziati il 9 settembre 1833 le ricerche ebbero esito positivo. Il 15 si apre la cassa e De Fabris invita Vincenzo Camuccini, lì presente, a “ritrarre in disegno le spoglie dell’immortale Raffaello”. Il 18 ottobre lo scheletro viene ricomposto entro un sarcofago donato da Gregorio XVI".
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The Three graces Relief, Protomoteca, Palazzo Senatorio, Musei capitolini via adrianovero on Flickr
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pier-carlo-universe · 3 days ago
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Un sogno disturbante tra immagini simboliche e visioni urbane: scopri “Sueño torcido” di María José Luque Fernández ispirata a Georgia O’Keeffe. Scopri di più su Alessandria today.
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terramia · 6 months ago
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Queste erano le eccellenze del Sud
1735. Prima Cattedra di Astronomia in Italia
1737. Costruzione S.Carlo di Napoli, il più antico teatro d’Opera al mondo ancora operante
1754. Prima Cattedra di Economia al mondo
1762. Accademia di Architettura, tra le prime in Europa
1763. Primo Cimitero Italiano per poveri (Cimitero delle 366 fosse)
1781. Primo Codice Marittimo del mondo
1782. Primo intervento in Italia di Profilassi Antitubercolare
1783. Primo Cimitero in Europa per tutte le classi sociali (Palermo)
1789. Prima assegnazione di “Case Popolari” in Italia (San Leucio a Caserta)
1789. Prima assistenza sanitaria gratuita (San Leucio)
1792. Primo Atlante Marittimo nel mondo (Atlante Due Sicilie)
1801. Primo Museo Mineralogico del mondo
1807. Primo Orto Botanico in Italia a Napoli
1812. Prima Scuola di Ballo in Italia, gestita dal San Carlo
1813. Primo Ospedale Psichiatrico in Italia (Real Morotrofio di Aversa)
1818. Prima nave a vapore nel mediterraneo “Ferdinando I”
1819. Primo Osservatorio Astronomico in Italia a Capodimonte
1832. Primo Ponte sospeso, in ferro, in Europa sul fiume Garigliano
1833. Prima Nave da crociera in Europa “Francesco I”
1835. Primo Istituto Italiano per sordomuti
1836. Prima Compagnia di Navigazione a vapore nel mediterraneo
1839. Prima Ferrovia Italiana, tratto Napoli-Portici
1839. Prima illuminazione a gas in una città città italiana, terza dopo Parigi e Londra
1840. Prima fabbrica metalmeccanica d’ Italia per numero di operai (Pietrarsa)
1841. Primo Centro Sismologico in Italia, sul Vesuvio
1841. Primo sistema a fari lenticolari a luce costante in Italia
1843. Prima Nave da guerra a vapore d’ Italia “Ercole”
1843. Primo Periodico Psichiatrico italiano, pubblicato al Reale Morotrofio di Aversa
1845. Primo Osservatorio meteorologico d’Italia
1845. Prima Locomotiva a vapore costruita in Italia a Pietrarsa
1852. Primo Bacino di Carenaggio in muratura in Italia (Napoli)
1852. Primo Telegrafo Elettrico in Italia
1852. Primo esperimento di illuminazione elettrica in Italia, a Capodimonte
1853. Primo Piroscafo nel Mediterraneo per l’America (il “Sicilia”)
1853. Prima applicazione dei pricìpi della Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi
1856. Expò di Parigi, terzo paese al mondo per sviluppo industriale
1856. Primo Premio Internazionale per la produzione di Pasta
1856. Primo Premio Internazionale per la lavorazione di coralli
1856. Primo sismografo elettrico al mondo, costruito da Luigi Palmieri
1860. Prima Flotta Mercantile e Militare d’Italia
1860. Prima Nave ad elica in Italia “Monarca”
1860. La più grande industria navale d’Italia per numero di operai (Castellammare di Stabia)
1860. Primo tra gli stati italiani per numero di orfanotrofi, ospizi, collegi, conservatori e strutture di assistenza e formazione
1860. La più bassa mortalità infantile d’Italia
1860. La più alta percetuale di medici per numero di abitanti in Italia
1860. Primo piano regolatore in Italia, per la città di Napoli
1860. Prima città d’Italia per numero di Teatri (Napoli)
1860. Prima città d’Italia per numero di Tipografie (Napoli)
1860. Prima città d’Italia per di Pubblicazioni di Giornali e Riviste (Napoli)
1860. Primo Corpo dei Pompieri d’Italia
1860. Prima città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli)
1860. Primo Stato Italiano per quantità di Lire-oro conservata nei banchi Nazionali (443 milioni, su un totale 668 milioni messi insieme da tutti gli stati italiani, compreso il Regno delle Due Sicilie)
1860. La più alta quotazione di rendita dei Titoli di Stato
1860. Il minore carico Tributario Erariale in Europa
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staipa · 6 months ago
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://www.staipa.it/blog/quantum-computing-la-nuova-frontiera-della-scienza-e-della-tecnologia/?feed_id=1698&_unique_id=66fd24b1245d0 %TITLE% Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia sta accelerando a un ritmo quasi vertiginoso, e il quantum computing rappresenta una delle rivoluzioni più attese, non che sia però così nuova, affatto. Intanto però una premessa: il 90% di tutto quello che viene definito quantico, quantistico, o che citi la quantistica è fuffa. Nulla che incida sul mondo tangibile, sul corpo umano o su cose più grandi di una molecola -in generale- vi ha a che fare e qualunque "santone" ne parli quasi certamente vi sta prendendo in giro o non sa di cosa sta parlando. I computer quantistici, se non stanno provando a vendervene e uno, invece esistono. Anche se per ora non funzionano molto bene. Per apprezzare a pieno questa tecnologia però, dobbiamo fare un passo indietro e osservare l’evoluzione del calcolo classico che ha dominato per oltre mezzo secolo e che ancora domina. La Nascita del Computer Classico Il computer classico, basato sull’architettura di von Neumann, ha rivoluzionato il mondo negli anni '40 e '50. A differenza dei calcoli manuali o meccanici, i computer elettronici permisero di eseguire operazioni complesse con velocità e precisione. La struttura base di un computer classico si fonda su bit, unità che possono essere nello stato di 0 o 1, rappresentando l’informazione binaria che è alla base di tutto ciò che i nostri dispositivi tecnologici eseguono oggi. È grazie a questa architettura che abbiamo visto nascere internet, intelligenza artificiale, e tutta l’innovazione digitale che ci circonda. Se i computer classici ci hanno portato lontano, oggi ci troviamo di fronte a nuovi problemi. Problemi che richiedono potenze di calcolo esponenzialmente superiori, come la simulazione di sistemi biologici complessi, la modellazione di molecole per nuove terapie farmacologiche o la gestione di dati finanziari su scala globale. Qui entra in gioco il quantum computing. Quantum Computing: I Primi Passi Il concetto di quantum computing emerse già negli anni '80, con Richard Feynman e David Deutsch, che ipotizzarono che i sistemi quantistici potessero essere utilizzati per simulare fenomeni fisici molto più efficientemente dei computer classici. La differenza fondamentale risiede nei qubit, le unità di base del quantum computing. Mentre i bit classici possono essere 0 o 1, i qubit possono esistere in una sovrapposizione di entrambi gli stati contemporaneamente, grazie alle leggi della meccanica quantistica. Tecnicamente anche più di due stati. Ovviamente non mi metterò a scrivere un pippone che provi a spiegare come questo sia possibile, anche perché non ne sarei in grado, e voi smettereste di leggere prima della prima metà del primo capoverso. Se intanto siete arrivati fin qua, grazie. Apprezzo. Bit vs Qubit: Una Differenza Fondamentale Per capire meglio la rivoluzione che il quantum computing rappresenta, è utile spiegare in modo semplice la differenza tra bit e qubit. Un bit, come già accennato, è la più piccola unità di informazione in un computer classico e può avere solo due stati: 0 o 1. Ogni operazione eseguita da un computer tradizionale si basa su questa logica binaria, che per quanto potente, è limitata dalla sua linearità. Un algoritmo può fare un calcolo alla volta, e per quanto si possa dividere un programma in thread (pezzetti che girano in contemporanea) il numero di calcoli fattibili nello stesso istante resta limitato al numero di processori presenti nel computer. Il qubit, invece, sfrutta i principi della meccanica quantistica per esistere in più stati contemporaneamente. Non è vincolato a 0 o 1, ma può essere una combinazione di entrambi o di altri valori, attraverso la sovrapposizione. Questo permette a un computer quantistico di esplorare più soluzioni a un problema nello stesso momento. Inoltre, i qubit possono essere entangled, cioè correlati
in modo tale che lo stato di uno influisce istantaneamente sullo stato dell’altro, anche a distanza. Questa proprietà consente di eseguire calcoli complessi in modo molto più efficiente rispetto ai computer tradizionali e di avere un grande numero di input diversi elaborati nello stesso istante. Come Questa Differenza Viene Utilizzata La capacità dei qubit di essere in più stati contemporaneamente e di "entanglarsi" con altri qubit è alla base delle applicazioni pratiche del quantum computing. Ad esempio, nelle simulazioni molecolari, un computer quantistico può esaminare tutte le possibili configurazioni di una molecola simultaneamente, mentre un computer classico deve analizzarle una alla volta. Questo non solo riduce enormemente i tempi di calcolo, ma consente anche di ottenere risultati più accurati, con implicazioni dirette per la scoperta di nuovi farmaci e la progettazione di materiali avanzati con tempistiche incredibilmente più rapide e con un minor bisogno di test di laboratorio potenzialmente inconcludenti. Le Sfide del Quantum Computing Nonostante questi incredibili progressi, il quantum computing non è esente da problemi. Uno dei principali è il decadimento dei qubit, fenomeno che causa una perdita di coerenza quantistica, rendendo i calcoli meno affidabili. Tuttavia, nuovi sviluppi nella tecnologia stanno migliorando la stabilità dei qubit, avvicinandoci sempre di più a un sistema quantistico pienamente funzionale​. Un problema che potrebbe aprirsi a quel punto, però, è quello della sicurezza degli attuali sistemi di cifratura, ad esempio quelli basati su numeri primi usati attualmente nei sistemi bancari. Queste cifratura si basano sul fatto che per scoprire il numero utilizzato servano un numero di tentativi che per in computer attuale si concluderebbero in centinaia o migliaia di anni. Un computer quantistico però potrebbe risolvere lo stesso problema in pochi secondi, tentando potenzialmente tutte le combinazioni nello stesso momento. Posto che un malfattori possa permettesi di costruirne uno ovviamente. Un Salto Quantico Verso il Futuro Guardando al futuro, il quantum computing non è solo una tecnologia da laboratorio, ma un qualcosa che potrebbe trasformare profondamente la nostra società, soprattutto abbinato alle intelligenze artificiali. Dalla risoluzione di problemi matematici complessi alla simulazione del nostro universo, il quantum computing rappresenta una delle più grandi sfide e opportunità del nostro tempo, anche se fa meno figo dell'IA e non ci gira attorno tutto quel marketing. Come per tutte le tecnologie rivoluzionarie, sarà interessante osservare come essa si svilupperà e quali nuovi orizzonti riuscirà ad aprire, ma non va demonizzata, non bisogna averne paura. Bisogna solo capirne le implicazioni e attendere quali sviluppi potrà portare.
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carmenvicinanza · 7 months ago
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Silvia Calderoni
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Nei nostri guardaroba abbiamo imparato a collezionare moltissimi tipi di corazze che in diverse situazioni dobbiamo sfoggiare, ma le stesse ci hanno anche plasmato. Quando ero più piccola, avevo necessità di indossarle, ma adesso riesco ad essere al mondo in un certo modo, a modo mio, e delle corazze riesco felicemente a farne a meno, arrivando anche a stare nuda. La mia vita è un punto di forza, ma da intendere come morbidezza, non solo passività, non certo la chiave dell’aggressività che rende qualcuno in una posizione attiva.
Silvia Calderoni, attrice, autrice, performer, dj e importante attivista queer transfemminista.
Artista che travalica schemi, barriere, regole e omologazioni, ha fatto del teatro un’azione politica esponendosi al di là del proprio ruolo e utilizzandolo come spazio di confronto e dibattito.
Il suo corpo, adoperato come spunto su riflessioni pubbliche su arte e identità, viene considerato un manifesto politico.
È stata protagonista di alcune collezioni di Gucci ispirate alla fluidità di genere e della mini serie web Ouverture of Something that never ended, diretta dal regista Gus Van Sant.
Nata a Lugo, in provincia di Ravenna, il 9 settembre 1981, ha iniziato a lavorare da giovanissima con la compagnia Teatro della Valdoca, di cui è stata interprete in diverse produzioni.
Dal 2006 fa parte di Motus, compagnia nomade e indipendente, con la quale ha portato in giro diversi fortunati spettacoli ospitati in numerosi festival nazionali e internazionali.
È stata protagonista di The Plot is the Revolution a fianco di Judith Malina, storica fondatrice del Living Theatre, in uno dei suoi ultimi spettacoli.
Nel 2009 ha vinto il Premio Ubu come miglior attrice under 30.
Ha lavorato anche per cinema e tv ed è comparsa in diversi videoclip musicali.
Oltre che nei teatri, il suo percorso politico, ma anche formativo e artistico, ha preso corpo nella rete degli spazi informali, indipendenti e occupati di militanza culturale.
Con Ilenia Caleo, dal 2015, porta avanti un atelier di ricerca aperto e orbitante che si snoda tra laboratori, residenze artistiche e formati spettacolari. Dal 2017, entrambe, insegnano allo IUAV di Venezia nel Laboratorio di Arti visive. Insieme concepiscono e creano installazioni e progetti nomadi e crossdisciplinari in giro per il mondo. Nel 2022, hanno creato l’istallazione Pick Pocket Paradise per la mostra Espressioni con frazioni al Castello di Rivoli e sono state artiste associate del Padiglione Italia della Biennale Architettura 2023.
È stata oggetto di pesanti critiche da parte di esponenti di destra quando, nel 2020, in un progetto di arte pubblica a Bologna per la campagna La Lotta è Fica, che rappresentava le lotte femministe che intersecano l’antirazzismo, è stato affisso un poster in cui era ritratta in nudo integrale con sei capezzoli con lo slogan Così è (se mi pare). 
Nel 2023 è uscito il suo libro, Denti di latte, che sonda il campo sensoriale della sua infanzia trasformando la percezione della realtà in un’esperienza di indagine continua. 
Il lavoro di Silvia Calderoni è impossibile da confinare all’interno di un solo linguaggio. Sicuramente nasce dal teatro di ricerca come dimensione in cui esprimere una serie di istanze per cui la società non ha ancora alfabeti disponibili. Il suo corpo, materia prima e viva, attraverso cui instaurare un tacito patto tra sé e il pubblico, è uno strumento che  travalica i confini della scena tradizionalmente intesa per toccare mondi limitrofi, come l’arte, la moda e il cinema.
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copihueart · 1 year ago
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IL MARE
Il mare scorre dentro la sua panna bianca di spuma, a cavallo dell’onda, con la sua opera miracolosa, a tracciare un angusto sentiero e si apre subito lucente negli occhi la visione dell’oceano. Dopo tanto vagare, lambisce rive sconosciute, donne d’esiguo ruscello, fiumi irreali che lo confondono e porta nel corpo innumerevoli cicatrici, impetuosi venti, prede e rigurgiti di vita, segni della lontana esistenza degli uomini. Il mare nel suo brodo primordiale conserva storie di navigatori e di vascelli fantasma, imprese legendarie ed enormi disastri, i suoi marosi si alzano verso il cielo a vigilare sulle città morte, nel fascino che incute terrore, nel freddo veleno artico o tra le palme padrone delle sabbie dorate, o contro le scogliere incoccate da colonie d’uccelli marini. Le sue isole sono piaghe d’una scoperta ferita, esse non guariscono, seminano rugiada sulle acque di ogni squarcio, per qualsiasi impronta sconosciuta sul terreno e quando la luna vi si specchia, l’argenteo riflesso assume aspetti fiabeschi, a nascondere le larghe piastre di pietra del fondale, i cespugli rosa, le alghe sinuose, i relitti morenti con le loro incrostazioni-
Il mare ha una suo voce, quella dell’abile cacciatore, del forte guerriero, del perfetto esploratore, a diffondere il suo grido da sciacallo e il suo richiamo da sirena. Ha il riso sghignazzante che si conficca nei terreni costieri, che erode le barriere, che scavalca i frangiflutti e allaga accampamenti. Sobrio e opaco, in allegro disordine, vivo e scattante in ogni respiro, trasparente osservatore delle profondità, si diffonde con la sua cornice, con i cassetti pieni di vecchie cianfrusaglie, andando a tastoni nel suo tappeto profondo, con una grande quantità d’animali di stoffa, con le sue luci e le sue oscurità ad emergere al netto di una vecchia fotografia, ricchissima di particolari, appartata e segreta, con i suoi ganci e nastri colorati, luccicanti e cangianti, incipriati e punteggiati di nei, ricoperto dalla sua sopracoperta originaria, con le sue crepe nei fondali, come un bozzolo spigoloso che si perde in una lunga e ripida galleria dove si annidano innumerevoli abitanti.
Quando diventa più pesante, con la sua artistica architettura, lambisce le salite e le discese, passa indisturbato con i suoi rumori e si percepiscono a stento i suoi scrosci d’acqua, le catene del suo starnutire, quell’intonaco che si sgretola e si scolla quando si abbatte contro le vesti costiere, a sbucciare la rada, i camminamenti dei porti da sembrare un colabrodo di intenzioni smarrite. E quando invece un po’ svogliato e sciocco, rimasto orfano delle sue muse, si arrampica con amari e disperati salti e abbozza un fiacco sorriso andando a sbattere contro le fiancate delle navi di passaggio, smette di legarsi e quindi si sottrae al perverso gioco delle maree e con la sua profonda voce d’ammonimento si presenta e si gonfia come una valanga in discesa per aggiungersi al suo cumulo di fallimenti.
Il mare nel suo affettuoso ritratto ricorda con nostalgia il tempo della caccia alle balene, le nobili famiglie di delfini, l’intrecciarsi delle spade dei pirati, lo straziato e dolente passaggio dei sottomarini, i corpi galleggianti dei naufraghi dei numerosi affondamenti, le labili tracce lasciare dai migranti, le plastiche e le chiazze di petrolio imbastite dagli uomini, le reti infinite dei pescatori. Il mare raccoglie in sé , straziato e dolente, sferzato e furibondo, tutte queste iniquità, con la sua testa occhialuta racchiusa in uno scialle nero, con le pestilenze lasciate alla deriva, con i detriti e i pomeriggi trascorsi a navigare, mette a lucido la sua copertina d’azzurro, si ammanta di conchiglie e racchiude tutto ciò che acquista nella sua aria di mistero e con rosso dispetto ci ricorda che siamo ormai inutili raccomandazioni senza altro futuro, perché dal mare siamo venuti e le difficoltà e le fatiche della vita al mare ritorneranno.
Il mare s’indovina dal profumo, dagli occhi spalancati e dal cuore che batte forte, con le sue nudità che rivestono i colori del cielo, con quei boccoli d’oro che gli scendono sulle spalle, con quella sua graziosa composizione che diventa a tratti pericolosa e richiama agguati e svolazzi, tempeste e trame tascabili che non offrono perdono. Il mare ha i piedi lunghi e ti bacia le mani, ma non farti ingannare, ha imparato a farsi rispettare e non t’ingannino i suoi luccichii, le sue scatolette con le lucciole dentro, il suo pescato e il suo senso di profonda protezione. Potrebbe addirittura tentare la fuga, ribellarsi, rabberciare il tempo. Il mare è lì che ti guarda, con il suo diletto profondo, che t’insegna incredulo ad essere libero, a disseminare e rosicchiare i confini del mondo , a lasciarti andare alla deriva. Le sue acque e il suo ventre culleranno la tua anima con la sua onda di piacere e ti renderanno immortale.
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multiverseofseries · 1 year ago
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Family Switch: Quel pazzo venerdì formato famiglia
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Family Switch, il film Netflix natalizio per tutta la famiglia, con protagonisti Ed Helms e Jennifer Garner nei panni di due genitori che si scambiano i corpi coi propri figli alla vigilia delle festività.
Jennifer Garner ha avuto successo grazie all'action di Alias ma la sua carriera è poi continuata su binari più "materni", tanto davanti quanto dietro la macchina da presa: il sorprendente Juno, il divertente The Adam Project, il deludente Yes Day, ma anche la serie L'ultima cosa che mi ha detto che univa il thriller proprio al family drama. Ora, con un perfetto tempismo per Natale 2023, la si è vista tornare nei panni di una mamma in Family Switch, nuovo film originale Netflix.
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Family Switch: una scena del film
La trama di Family Switch sembra quasi riprendere quella del cult del 2003 Quel pazzo venerdì, di cui tra l'altro stanno girando il sequel 20 anni dopo, ma ampliando il discorso al formato famiglia: i Walker sono composti da madre, padre e i due figli adolescenti, ovviamente due poli opposti tra loro, il neonato ultimo arrivato e l'immancabile compagno canino, Pickles. Il Natale è alle porte ma la famiglia Walker sembra aver dimenticato come comunicare, troppo impegnati chi con i propri device chi con il lavoro e le responsabilità da adulti. Ogni membro della famiglia ha un evento pre-natalizio decisivo in arrivo: Jess (Jennifer Garner) ha un'importante presentazione presso lo studio di architettura dove lavora che le permetterebbe di diventare socia se il progetto andrà a buon fine.
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Family Switch: il cast dopo la trasformazione
Bill (Ed Helms) è un insegnante di musica che potrebbe avere l'occasione di una vita al concerto scolastico con la propria band attempata. CC, la figlia, (Emma Myers) ha un'importante partita di calcio che potrebbe farla selezionare da un talent scout per la Nazionale. Wyatt (Brady Noon), il figlio, è un nerd timido e introverso che non ha il coraggio di confessare i propri sentimenti alla storica vicina di casa e ha un importante colloquio preliminare per entrare prima del tempo a Yale.
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Family Switch: Jennifer Garner in una scena
Ma nella fatidica notte in cui la famiglia va a vedere l'allineamento planetario, complice la presenza di una cartomante sui generis che si offre di far loro una foto di famiglia, il sestetto si sveglia il mattino dopo ritrovandosi nel corpo di un altro membro del nucleo familiare. Tutto partendo dal presupposto: "Se solo fossi me per 24 ore capiresti meglio come mi sento e perché mi comporto così". Inizialmente c'è ovviamente sgomento da parte di tutti, anche perché ognuno deve capire come affrontare quella giornata così importante sperando di poter sistemare le cose una volta tornati al planetario. Si innesca quindi la classica commedia degli equivoci - che cita sia 30 anni in un secondo che 17 Again - Ritorno al liceo solo in formato familiare, che è la caratteristica nuova di questa pellicola natalizia che unisce il ritrovare lo spirito del Natale al ritrovare il rapporto tra genitori e figli. Tema centrale del film è infatti l'incomunicabilità che spesso oggi colpisce le famiglie, sempre di fretta, troppo impegnate e concentrate su altro e non sui propri affetti.
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Family Switch: una scena del film con Ed Helms e Brady Noon
Se nei primi due atti il film segue le regole canoniche del soggetto di base, nell'ultimo terzo deraglia pericolosamente verso il surreale - nonostante stiamo pur sempre parlando di uno scambio di corpi soprannaturale - e verso il buonismo tipico di questi film per famiglie. Allo stesso tempo però Family Switch scalda il cuore grazie soprattutto all'affiatamento creato dal quartetto protagonista.Ma non tutte le gag e i siparietti comici funzionano allo stesso modo, però Jennifer Garner e Ed Helms confermano la propria propensione per la commedia, mentre Emma Myers e Brady Noon dimostrano di essere dei giovani talenti emergenti.
In conclusione in Family Switch è l’incomunicabilità alla base di questo family movie natalizio che prende ispirazione da classici del genere come Quel pazzo venerdì utilizzando lo stesso escamotage narrativo ma ampliandolo ad un formato familiare. E ‘ vero che non tutti i momenti comici funzionano allo stesso modo ma il focus della storia, grazie ai quattro protagonisti, arriva allo spettatore e scalda un pochino il cuore…
Perché ci piace
- Il poker d'assi protagonista, tra conferme e nuove leve.
- L'idea alla base ampliata al nucleo familiare.
- Il tema dell'incomunicabilità generazionale.
- Ci si emoziona un pochino…
Cosa non va
- … ma non sempre si ride.
- Alcune sequenze hanno un effetto cringe.
- Nell'ultimo atto il film deraglia un po' troppo sul surreale.
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