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staipa · 13 days ago
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L'era della dopamina - di Anna Lembke
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/mt3ly L'era della dopamina - di Anna Lembke Se sei alla ricerca di una lettura coinvolgente e illuminante, "L'era della dopamina" di Anna Lembke potrebbe essere esattamente ciò di cui hai bisogno. Con uno stile chiaro e accattivante, l'autrice esplora il tema della dipendenza nel contesto della società moderna, offrendo non solo una diagnosi accurata ma anche suggerimenti pratici per mantenere l'equilibrio. Attraverso un mix di esperienze personali, casi clinici e dati scientifici, Lembke ci invita a riflettere sulla nostra relazione con il piacere e sull'importanza di trovare un equilibrio tra gratificazione immediata e autentiche fonti di benessere. Questo libro è una lettura consigliata per coloro che desiderano esplorare il tema della dipendenza in modo approfondito e senza moralismi, e per chi è interessato a esplorare il proprio rapporto con il mondo iperstimolante che ci circonda.
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staipa · 1 month ago
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L’Intelligenza Artificiale sta uccidendo la creatività umana?
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/fzegs L’Intelligenza Artificiale sta uccidendo la creatività umana? Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale generativa ha compiuto passi da gigante. Strumenti come ChatGPT per la scrittura, Midjourney per l’arte visiva e Veo 3 di Google per la creazione di video stanno trasformando il modo in cui produciamo contenuti. Ma questa rivoluzione porta con sé una domanda fondamentale: l’IA sta aiutando la creatività umana o la sta soffocando? L’IA: strumento di supporto o sostituzione? Molti creativi si stanno chiedendo se l’uso crescente dell’IA possa portare a un appiattimento della produzione artistica. La tecnologia è sempre stata una leva per la creatività, ma quando un algoritmo è in grado di produrre testi, immagini o musiche su richiesta in pochi secondi, il ruolo dell’essere umano diventa incerto. L’IA può essere un incredibile strumento di supporto: aiuta gli scrittori a superare il blocco creativo, gli artisti a sperimentare con nuovi stili e i musicisti a comporre più velocemente. Tuttavia, se usata senza criterio, può portare a un’esplosione di contenuti generici e ripetitivi, privi di quella scintilla che rende unica la creatività umana. Il rischio dell’omologazione Uno dei problemi principali dell’IA generativa è la tendenza a produrre contenuti basati su ciò che ha già assimilato. Poiché si tratta di un sistema di predizione basato su modelli esistenti, c’è il rischio che il materiale generato diventi ripetitivo e sempre più simile a ciò che è già stato creato in passato. Questo potrebbe portare a un’omologazione della creatività, dove tutto sembra già visto, già letto, già sentito. Nei social network, ad esempio, si assiste già a una standardizzazione dei contenuti: testi e immagini ottimizzati per ottenere più engagement si somigliano sempre di più. Se l’IA diventa il principale motore di creazione, ci sarà ancora spazio per il vero estro artistico? Creatività assistita o sostituita? D’altra parte, l’IA può essere un alleato prezioso per i creativi. Pensiamo alla scrittura: se uno scrittore ha difficoltà a strutturare una storia, un assistente IA può suggerire idee, schemi narrativi o persino proporre variazioni di stile. Ma la differenza tra un artista e una macchina sta nell’intenzionalità: l’IA genera contenuti in base a modelli statistici, mentre l’essere umano crea sulla base di emozioni, esperienze e intuizioni personali. Il rischio è che l’IA venga usata per produrre contenuti “a basso costo” e in grande quantità, riducendo il valore del lavoro creativo. Già oggi, alcune aziende sfruttano l’IA per generare articoli, illustrazioni e persino colonne sonore, senza il coinvolgimento di professionisti umani. Esempi concreti di impatto dell’IA sulla creatività Alcuni creativi stanno già sperimentando con l’IA per capire fino a che punto possa spingersi. Ad esempio: Scrittura: alcuni autori hanno provato a scrivere racconti con e senza IA, scoprendo che, sebbene l’IA possa produrre testi coerenti e ben strutturati, manca della profondità e dell’originalità tipiche della scrittura umana. Arte visiva: il caso di Jason Allen, che ha vinto un concorso con un’opera creata con Midjourney, ha sollevato molte polemiche: è ancora arte se a generarla è un algoritmo? E chi detiene i diritti di un’opera creata dall’IA? Musica: diversi musicisti stanno sperimentando con l’IA per generare basi e melodie. Il dibattito rimane aperto: questi strumenti stanno democratizzando la creazione musicale o stanno rendendo superflua la presenza di artisti umani? Come gli artisti possono usare l’IA senza perdere il controllo L’IA non è né un nemico né un salvatore della creatività: è uno strumento, e come tale dipende da come viene utilizzato. Se sfruttato per amplificare l’immaginazione e supportare il processo creativo, può portare a nuove forme di espressione. Se usato solo per automatizzare la produzione di contenuti in modo seriale, rischia di appiattire il panorama artistico e culturale.
Ecco alcune strategie che i creativi possono adottare per sfruttare l’IA senza perdere la propria identità: Usarla per generare bozze e non prodotti finiti: l’IA può aiutare a superare il blocco creativo, ma il tocco umano è essenziale per dare carattere all’opera. Mixare input umani e AI: un artista potrebbe creare una bozza, usarla come base e modificarla profondamente, evitando la ripetitività algoritmica. Mantenere il controllo sulla narrazione: affidarsi all’IA per supporto, ma non per sostituire l’ispirazione e l’unicità umana. Il futuro della creatività umana Più che chiedersi se l’IA stia uccidendo la creatività, dovremmo domandarci: stiamo usando l’IA per creare meglio o solo per produrre di più? Se la creatività umana rimane al centro del processo, l’IA può diventare un potente strumento di esplorazione e innovazione. Ma se l’IA diventa il principale motore della produzione culturale, rischiamo di perdere l’autenticità e la diversità che rendono unica ogni opera d’arte. Il futuro della creatività non dipende dall’IA, ma da come scegliamo di usarla.
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staipa · 1 month ago
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L’Appello all’Autorità (Argumentum ad Verecundiam)
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/01fji L’Appello all’Autorità (Argumentum ad Verecundiam) Se sei stanco di dare per scontate le cose solo perché le dice qualcuno di famoso, devi assolutamente leggere questo articolo! Scoprirai come evitare di cadere nella trappola dell'Appello all'Autorità, imparando a valutare le informazioni in modo critico. Con esempi pratici e consigli utili, ti aiuterà a sviluppare un pensiero più autonomo e a non farti influenzare solo dalla fama di chi parla. Ricorda: non è chi lo dice, ma cosa dice, e perché lo dice, a fare la differenza!
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staipa · 2 months ago
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Aggiornamenti sulla 500 8 Bulloni
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/sojes Aggiornamenti sulla 500 8 Bulloni Ecco la mia 500 8 Bulloni in una nuova e splendente forma! Dopo aver parlato di lei in un vecchio articolo, finalmente ho dato un nuovo look alla mia macchina tanto amata. Per chi l'ha conosciuta e l'ha amata, eccola qui, pronta a stupire con le sue nuove linee. Dai un'occhiata alle foto e fammi sapere cosa ne pensi!
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staipa · 2 months ago
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Il fallimento della scuola nell’educazione alla tecnologia
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/80j9s Il fallimento della scuola nell’educazione alla tecnologia Hai mai pensato a quanto sia importante educare i ragazzi all'uso consapevole della tecnologia? In un articolo recente, ho esaminato il fallimento della scuola nel farlo, nonostante le buone intenzioni di vietare gli smartphone durante l'orario scolastico. Ma vietare non è educare, e il vero obiettivo dovrebbe essere formare cittadini capaci di usare gli strumenti digitali in modo critico e responsabile. Scopri di più leggendo l'articolo completo!
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staipa · 2 months ago
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Italiani veri - Giacomo Moro Mauretto
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/jqn17 Italiani veri - Giacomo Moro Mauretto Se sei curioso di scoprire la vera storia evolutiva e genetica degli italiani, allora il libro "Italiani veri" di Giacomo Moro Mauretto è ciò che fa per te. Con uno stile chiaro e onesto, l'autore ci porta in un viaggio attraverso migliaia di anni di migrazioni, incontri e mescolanze che hanno plasmato l'identità italiana. Grazie a dati genetici reali e spiegazioni dettagliate, Moro Mauretto ci mostra come la scienza possa sfatare i miti sulle origini dei popoli. Ma non è solo divulgazione scientifica: il libro mette in discussione l'idea di "razza pura" e invita a guardare all'umanità con occhi più aperti. Se vuoi capire veramente le radici dell'Italia e dell'essere umano, questo libro è ciò che fa per te.
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staipa · 2 months ago
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L’intelligenza artificiale, i video realistici e la verità che scegliamo di vedere
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/iixkh L’intelligenza artificiale, i video realistici e la verità che scegliamo di vedere Negli ultimi giorni, l'attenzione si è concentrata su Veo 3, il nuovo modello di intelligenza artificiale sviluppato da Google DeepMind. Presentato durante l'evento Google I/O 2025, Veo 3 rappresenta un significativo passo avanti nella generazione di contenuti video tramite IA. Questo strumento è in grado di creare video ad alta definizione a partire da semplici prompt testuali o immagini, integrando elementi come dialoghi sincronizzati, effetti sonori e musiche di sottofondo. Le capacità di Veo 3 non si limitano alla generazione di immagini in movimento; il modello comprende e riproduce la fisica del mondo reale, garantendo movimenti fluidi e coerenti, e può interpretare complesse descrizioni per creare scene cinematografiche dettagliate. Questa tecnologia è attualmente accessibile attraverso l'app Gemini per gli abbonati Ultra negli Stati Uniti e tramite la piattaforma Vertex AI per le aziende. Le preoccupazioni sollevate da Veo 3 L'introduzione di Veo 3 ha suscitato un mix di entusiasmo e preoccupazione. Da un lato, offre nuove opportunità per creatori di contenuti, educatori e professionisti del marketing, democratizzando la produzione video di alta qualità. Dall'altro, emergono timori legati alla possibilità di creare contenuti ingannevoli o manipolati con estrema facilità. La capacità di generare video realistici con dialoghi e ambientazioni credibili solleva interrogativi sull'autenticità dei contenuti online. Inoltre, la potenziale sostituzione di ruoli creativi tradizionali, come attori e registi, con soluzioni automatizzate alimenta il dibattito sull'impatto dell'IA nel settore dell'intrattenimento e dei media. Ma siamo sicuri che sia davvero questo il problema? La verità è che da anni non distinguiamo più il vero dal falso — e non abbiamo certo avuto bisogno dei video creati dall’IA per perderci. Le fake news circolano da molto prima dell’intelligenza artificiale generativa. I titoli acchiappa-click, le notizie inventate o distorte, le foto decontestualizzate… tutto questo esiste già. E funziona. Non servono video falsi per crederci Le fake news, prima e dopo l’avvento di tecnologie come Veo 3, continuano ad avere caratteristiche ricorrenti che non dipendono dallo strumento utilizzato ma dal modo in cui sono costruite: fanno leva su emozioni forti (paura, rabbia, indignazione), confermano idee già presenti in chi legge, sono spesso confezionate in modo sensazionalistico, e hanno titoli o contenuti volutamente ambigui. Tutti elementi che abbiamo già visto analizzando i meccanismi classici della disinformazione. Come spiegato in dettaglio nella guida su come riconoscere una fake news (https://www.staipa.it/blog/come-riconoscere-una-fake-news-parte-3/), queste notizie false raramente si presentano come completamente inventate: più spesso distorcono, esagerano o rimescolano contenuti veri per ottenere un effetto specifico. E anche con strumenti di nuova generazione, il principio resta lo stesso: se non siamo allenati a riconoscerle, ci cascheremo comunque. Il meccanismo è noto e ha un nome preciso: bias di conferma. Tendiamo a dare più credito alle notizie che confermano le nostre opinioni, e a ignorare (o attaccare) quelle che le mettono in discussione. È un filtro mentale che ci fa credere a ciò che vogliamo sia vero. A questo si aggiungono altri bias cognitivi: Effetto di verità illusoria: più sentiamo ripetere una notizia, più ci sembra vera. Bias dell’autorità: se lo dice una figura autorevole (o che consideriamo tale), ci fidiamo. Effetto Dunning-Kruger: più ne sappiamo poco, più crediamo di capirci qualcosa. Il problema, insomma, non sono (solo) gli strumenti. È l’uso che ne facciamo. E soprattutto, è l’atteggiamento con cui ci avviciniamo all’informazione. I canali inaffidabili useranno l’IA, quelli seri faranno debunking Non c'è dubbio che i canali inaffidabili useranno questa tecnologia per rafforzare le proprie narrazioni.
Lo fanno già oggi, con mezzi più grezzi: immagini modificate, titoli distorti, contenuti presi fuori contesto. L’intelligenza artificiale generativa darà loro un’arma in più. Ma non è questo a doverci spaventare. Perché anche i canali affidabili continueranno a fare ciò che fanno: verificare, contestualizzare, debunkare. E soprattutto, continueranno a basarsi su un principio tanto semplice quanto cruciale: la responsabilità dell’informazione. È una questione di scelta (come lo è sempre stata) Alla fine, tutto si riduce a questo: la scelta delle fonti. Oggi più che mai, serve esercitare il pensiero critico. Serve sapere che il nostro cervello può ingannarci. Serve riconoscere che a volte ci fidiamo non perché qualcosa è vero, ma perché ci fa comodo pensarlo. I video falsi sono solo l’ultima evoluzione di un problema antico: la tendenza umana a credere a ciò che ci rassicura, che ci scandalizza, che conferma il nostro mondo. Non serve avere paura dell’intelligenza artificiale. Serve avere consapevolezza di noi stessi.
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staipa · 2 months ago
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Libri consigliati
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/i1mtu Libri consigliati Se sei alla ricerca di libri che ti incuriosiscono, ti fanno pensare e ti aiutano a capire meglio il mondo, sei nel posto giusto! Nella mia pagina troverai una selezione di saggi e saggi divulgativi che uniscono rigore e chiarezza, passione e metodo, idee e domande. Sono libri che mi hanno lasciato qualcosa e che penso valga la pena raccontare. Se ami la conoscenza, la curiosità, il pensiero critico e la sensazione meravigliosa che ti regala un libro ben scritto, forse qui troverai qualche spunto per la tua prossima lettura. Dai un'occhiata e lasciati ispirare!
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staipa · 2 months ago
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Di nero vestiti: il piano perfetto di un dio del Male
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/oqw85 Di nero vestiti: il piano perfetto di un dio del Male Se io fossi una divinità del male, un'entità astuta e sottile, non mi manifesterei tra fiamme e corna, con riti oscuri e invocazioni blasfeme. Al contrario, se davvero volessi ingannare l'umanità, la strada più efficace sarebbe un'altra: creerei una religione. Non una qualunque, ma una religione che si mascheri da religione del bene. Una fede che si presenti come l’unica verità possibile, assoluta, e che prometta amore eterno e salvezza, mentre instilla sensi di colpa, dolore, paura. E quale miglior modello potrei usare, se non quello già esistente? Quello che ha influenzato per secoli la storia dell'umanità, la politica, la scienza e la cultura. Se fossi una divinità del male, creerei qualcosa di molto simile alla Chiesa Cattolica. Prima di tutto, accentrerei il potere. Un mio emissario in Terra, infallibile, che parla a nome mio: il Papa. Un uomo che comanda su una rete gerarchica piramidale composta da cardinali, vescovi, preti. Tutti uomini, ovviamente, perché il potere, se deve corrompere, è più efficace se concentrato e maschile. Questi emissari si vestirebbero di nero (con qualche dettaglio in oro, rosso porpora, bianco candido per dissimulare), predicherebbero la povertà mentre vivono tra ori, marmi e palazzi. Inviterebbero alla castità mentre abusano dei più deboli. Sfrutterebbero la fede per coprire crimini, perpetuare violenze, proteggere se stessi. Per rendere tutto ancora più efficace, inculcherei nella mente dei fedeli l’idea che il sesso è peccato, che il corpo è corrotto, che la donna è tentazione, che l’amore libero è perversione. Così facendo, li convincerei a rinunciare a ciò che il Dio buono avrebbe donato loro: piacere, libertà, bellezza, corporeità. Ma io non sarei solo una divinità del male: sarei una divinità sadica. E cosa c'è di più soddisfacente, per un dio sadico, che vedere l'essere umano soffrire, tormentarsi, privarsi dei suoi istinti più vitali, confuso dal senso di colpa e umiliato nella sua natura? Li osserverei inginocchiarsi su pavimenti gelidi, frustarsi le carni in nome della purezza, digiunare fino allo svenimento per pregare me, mentre rido nell’ombra. Perché il dolore, quando è scelto da chi è convinto che sia virtù, è il capolavoro della mia opera. Creerei un sistema in cui i bambini crescano fin da piccoli nel timore, non dell’errore, ma del peccato. Un concetto astratto, spesso indefinibile, che rende tutti colpevoli. Per ogni gioia, una colpa. Per ogni desiderio, un castigo. E se qualche animo libero si ribellasse? Se qualcuno iniziasse a pensare con la propria testa, a mettere in discussione la verità rivelata? Lo accuserei di eresia, lo metterei al rogo, lo costringerei al silenzio. Come con Giordano Bruno, bruciato vivo per aver osato pensare. Come con Galileo, costretto a ritrattare davanti alla mia autorità per aver guardato il cielo e visto qualcosa che non volevo si vedesse. E per evitare che altri seguissero il loro esempio, metterei al bando i libri. Ne creerei un indice, lungo, minaccioso, in cui vietare ogni parola che possa accendere una scintilla di ragione. Perché la cultura è pericolosa: fa pensare. E chi pensa, rischia di vedermi. Il mio sistema avrebbe anche un nemico, ovviamente. Un nemico che in realtà non esiste, o che esiste ma è innocuo: Satana. Un simbolo che serve a terrorizzare, a mantenere i fedeli legati alla mia religione. "Fate il bene o finirete all'inferno", direi. Ma quel bene lo definirei io, e coinciderebbe esattamente con ciò che mi conviene, ciò che soddisfa il mio sadismo. E se invece quel nemico non fosse altro che il vero Dio buono? Colui che li ha creati liberi, perché potessero scegliere da soli la propria strada. Colui che ha dato loro la capacità di provare piacere, perché potessero goderne senza vergogna. Un Dio che ama davvero l’umanità, che l’ha voluta felice, creativa, libera. Ma io, Dio del male, farei in modo che lo odino.
Che lo considerino debole, permissivo, falso. Lo coprirei d’insulti attraverso la mia dottrina, lo accuserei di assenza, mentre riempio io stesso il mondo di sofferenza. Non mi limiterei a influenzare chi già mi conosce. Manderei i miei emissari in terre lontane, in nazioni che non sanno nulla di me. E lì, tra foreste e villaggi, conquistarebbero, razzierebbero, distruggerebbero culture e tradizioni millenarie. Convertirebbero con la croce e la spada. E una volta terminata la conquista, quando le urla degli oppressi si farebbero troppo forti, vestirei quegli stessi emissari da santi. Li trasformerei in missionari buoni, eroi dell’evangelizzazione, anime pie in cerca di anime da salvare. E mentre sradicano popoli interi, intonerebbero canti in mio onore. Le Americhe, l’Africa, l’Asia: ogni continente sarebbe percorso dai miei preti coloniali, con la Bibbia in una mano e il fucile nell’altra. Darei valore al martirio, all’autoflagellazione, alla rinuncia. Incoraggerei la sofferenza come via per la salvezza, perché nulla è più utile al male che convincere l’uomo a distruggersi da solo. Ma la sofferenza non sarebbe solo spirituale. La imporrei con le leggi. Impedirei l’educazione sessuale, affinché i giovani vivano il corpo come minaccia. Condannerei l’aborto, anche nei casi più tragici. Difenderei il feto e ignorerei la madre. Benedirei le guerre, ma mi direi difensore della vita. Predicherei la pace, ma benedirei le armi. E se poi le epoche cambiassero, se la modernità avanzasse e il dubbio iniziasse a serpeggiare, il mio clero si adatterebbe. Apparirebbe più aperto, più umano, più accogliente. Ma solo in apparenza: nel frattempo, continuerebbe a influenzare le leggi, a osteggiare la scienza, a condannare il suicidio assistito, la libertà delle donne, i diritti LGBTQ+. Gestirei tesori sterminati, collezioni d’arte, immobili, banche. Manterrei un piccolo Stato nel cuore dell’Europa, immune da ogni controllo. E mentre parlo di povertà, siederei su troni d’oro. Quando qualcuno chiedesse trasparenza, risponderei col mistero, col dogma, col silenzio. Infine, userei i simboli. Farei in modo che milioni di persone si segnino ogni giorno, automaticamente, come riflesso condizionato. Insegnerei loro a inginocchiarsi, a mormorare preghiere in lingue che non capiscono, a ripetere formule magiche. Così che la fede diventi abitudine, e l’abitudine obbedienza. Se fossi una divinità del male, farei esattamente così. Perché non c’è forma di male più potente di quella che si traveste da bene. E allora sorge una domanda inquietante: e se fosse già successo?
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staipa · 3 months ago
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Il mio primo intervento su bufale.net
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/3uykd Il mio primo intervento su bufale.net Ho parlato di novità in arrivo, ma posso giurare che la novità che aspettavo non era né così rapida, né tanto meno questa. Per quella novità bisognerà ancora aspettare, facciamo qualcosa tipo l'inizio del prossimo anno? Vedremo. Ma per questa... beh, è qua. Fino a pochi giorni fa non avevo neppure mai parlato con Claudio di Bufale.net, anche se lo seguo praticamente da sempre, e oggi mi ha fatto fare una comparsata lì. Vediamo dove porterà! https://www.instagram.com/reel/DKWo-RVNreQ/?igsh=d3g0eHV3Z2FsMG1q Per il resto restate sintonizzati che pian piano le cose arrivano
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staipa · 3 months ago
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Antisemitismo e antisionismo: capire la differenza è un dovere morale
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/oll4t Antisemitismo e antisionismo: capire la differenza è un dovere morale C'è una frase che da mesi torna nei dibattiti online, nei notiziari, nei talk show e persino nei post dei social più innocenti: "Chi critica Israele è antisemita". Ed è qui che si apre uno dei più pericolosi cortocircuiti del nostro tempo, una confusione alimentata da chi ha interesse a nascondere la realtà dietro le parole. Perché essere antisemiti e essere antisionisti non solo non sono la stessa cosa, ma sono in realtà posizioni profondamente opposte. Cosa significa essere antisemiti? L’antisemitismo è una forma di odio razziale e religioso. Si basa sul pregiudizio e sulla discriminazione verso le persone ebree in quanto tali. È lo stesso veleno che ha portato alle leggi razziali del '38, ai pogrom, alla Shoah. È la convinzione assurda e pericolosa che un'intera popolazione, un intero popolo, sia "inferiore", "manipolatore", "maligno" solo per la propria origine o fede. Essere antisemiti significa odiare qualcuno non per ciò che fa, ma per ciò che è. E il sionismo, allora? Il sionismo è un’ideologia politica, nata nel XIX secolo, che sosteneva il diritto degli ebrei a costituire uno Stato nazionale in Palestina. Una proposta storicamente complessa, che può essere discussa e analizzata come tutte le ideologie. Ma nel tempo il sionismo si è trasformato: da movimento per l’autodeterminazione a giustificazione sistematica di un progetto coloniale, fondato sull’esproprio, sulla discriminazione, e –come stiamo vedendo oggi– sulla violenza. Criticare il sionismo non è odiare gli ebrei. È opporsi all’uso di un’identità –quella ebraica– come scudo ideologico per legittimare crimini contro un altro popolo. Il contesto: dall'attacco di Hamas alla risposta israeliana Il conflitto attuale ha avuto inizio il 7 ottobre 2023, quando Hamas ha lanciato un attacco a sorpresa contro Israele, denominato "Operazione Alluvione Al-Aqsa". In quell'occasione, circa 1.200 persone sono state uccise, principalmente civili, e oltre 250 sono state prese in ostaggio. Tra le vittime si contano anche 36 bambini. Questo attacco è stato un evento tragico e senza precedenti nella storia recente di Israele, scatenando una risposta militare massiccia da parte del governo israeliano. Tuttavia, la reazione di Israele ha sollevato gravi preoccupazioni a livello internazionale per la sua sproporzione. Secondo il Ministero della Salute di Gaza, fino a gennaio 2025, oltre 46.000 persone sono state uccise nella Striscia di Gaza, con più di 110.000 feriti. Di queste vittime, circa il 59% erano donne, bambini e anziani. Questi numeri evidenziano una disparità significativa tra le vittime israeliane dell'attacco iniziale e le perdite palestinesi causate dalla risposta militare. È fondamentale riconoscere che, mentre l'attacco di Hamas è stato un atto di violenza condannabile, la risposta israeliana ha avuto conseguenze devastanti per la popolazione civile di Gaza, un vero e proprio genocidio. Dovremmo essere tutti antisionisti? Sì, se il sionismo attuale si concretizza nell’oppressione sistematica di milioni di persone, nella demolizione di case, negli arresti arbitrari, nei bombardamenti su civili, nel controllo totale della vita quotidiana dei palestinesi. Essere antisionisti, in questo senso, non è solo legittimo: è necessario. È prendere posizione contro un potere che uccide, umilia, devasta. Esattamente come ci aspettiamo che si faccia in qualunque altro contesto in cui c'è un aggressore e una vittima. Esempio: il bullismo Immagina una scuola. C’è un ragazzino, piccolo e magro, che ogni giorno viene preso a spintoni, insultato, chiuso in bagno da un gruppo di compagni più forti. Un giorno, dopo mesi di soprusi, reagisce: colpisce uno dei bulli, prova a difendersi come può, magari fa anche del male in quel momento. Ma la reazione della banda di bulli è violentissima: iniziano a pestarlo ogni giorno con ancora più ferocia, e chiunque provi a difenderlo viene zittito con la frase:
“Attenti a quello che dite su di me, perché io sono stato vittima in passato, anche mio nonno è stato bullizzato”. È vero. Il bullo ha una storia di dolore. Ma non per questo ha il diritto di far soffrire qualcun altro. E chi gli fa notare la violenza non lo fa per odio, ma per giustizia. Lo stesso meccanismo vale per il potere coloniale e militare di Israele contro la popolazione palestinese. Chi protesta non è "contro" i forti in quanto tali, ma contro il loro abuso di potere e la sproporzione della risposta. Non è una guerra tra religioni Un altro mito da sfatare: non stiamo assistendo a un conflitto strettamente tra ebrei e musulmani. Molti ebrei nel mondo –inclusi intellettuali, attivisti ebrei israeliani– si dichiarano apertamente contro il sionismo e contro le azioni del governo di Tel Aviv. Al tempo stesso ci sono cristiani, musulmani, atei e laici tra i difensori del popolo palestinese. Questa non è una guerra di religione. È un conflitto politico e coloniale tra un oppressore armato fino ai denti, sostenuto da gran parte dell’Occidente, da noi quindi, e un popolo disarmato, intrappolato, senza vie di fuga. La fallacia logica che alimenta la confusione Alla base della confusione tra antisionismo e antisemitismo si nasconde spesso una fallacia logica precisa: la fallacia della falsa equivalenza (short.staipa.it/9da6e), o dell'ambiguità semantica. Si tratta di un errore di ragionamento che consiste nel trattare due concetti diversi come se fossero la stessa cosa. Nel nostro caso, si confondono deliberatamente: l'identità ebraica (etnico-religiosa), l'ideologia sionista (politica), lo Stato di Israele (nazionale e militare). Questa confusione permette di accusare di antisemitismo chiunque critichi Israele o il sionismo. Ma è come dire: "Se critichi la mafia, odi i siciliani", "Se critichi la Chiesa, odi i cristiani", "Se critichi il governo cinese, sei razzista verso i cinesi". È un trucco retorico: spostare il discorso dall'etica all'identità, trasformando una legittima accusa politica in un attacco razzista. È una forma di silenziamento, non di argomentazione. L’importanza delle parole Confondere antisemitismo e antisionismo è pericoloso. Significa silenziare il dissenso. Significa dire a chi denuncia un crimine: “Stai insultando un intero popolo”. È falso, e serve solo a proteggere chi detiene il potere. Schierarsi è necessario Oggi non possiamo più essere neutrali. Davanti a decine di migliaia di morti, bambini sotto le macerie, ospedali bombardati, l’indifferenza è complicità. Essere antisionisti significa dire: nessun popolo può costruire la propria sicurezza sulla distruzione di un altro. Essere antisemiti, invece, è un crimine morale. È odiare un gruppo di esseri umani per la propria identità. È quello che abbiamo giurato di non ripetere mai più dopo Auschwitz. Chi confonde le due cose o non ha capito, o sta deliberatamente proteggendo l’ingiustizia. E allora sì, dobbiamo schierarci. Non contro una religione. Non contro un popolo. Ma contro l’idea che la forza giustifichi tutto, anche il genocidio.
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staipa · 3 months ago
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Convegno su Truffe informatiche e ingegneria sociale
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/le9lz Convegno su Truffe informatiche e ingegneria sociale Mi è stato chiesto di intervenire a una conferenza a Torino su un tema tanto attuale quanto scivoloso: le truffe informatiche e l’ingegneria sociale. Un argomento che può sembrare tecnico, ma che in realtà ci riguarda tutti, ogni giorno. L’evento è patrocinato dal Consiglio Regionale del Piemonte e Città di Torino e con il supporto dei media partner Engim Artigianelli e Vis Group e alla presenza di Marco Porcedda Assessore alla sicurezza e legalità, Ludovica Cioria Vice Presidente Consiglio Comunale di Torino, Paola Angela Stringa Presidente Consulta Femminile Comunale, Carla Balbi Vice Presidente Centro Italiano Femminile, Claudia Leo Presidente Ass. Soccorso e Rinascita non solo Donna Aps. Il convegno è riconosciuto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino con 3 crediti formativi (CFU) validi per avvocati e avvocate. Iscrizione gratuita e obbligatoria registrando la propria presenza nell'apposito form. Il programma dell'evento è disponibile sul sito di engim qui: https://short.staipa.it/4crna locandina_a3_truffe_informatiche_artigianelli-2 Proprio lavorando su questo intervento, ho colto l’occasione per sviluppare un nuovo corso agile ma completo, di cui il mio intervento sarà solo un velocissimo estratto. Il corso è pensato per offrire a tutti gli strumenti necessari per riconoscere le trappole digitali e difendersi in modo consapevole. Tutti i dettagli del corso sono disponibili sulla pagina dedicata del blog: https://short.staipa.it/eylfi È nato da un’esigenza reale: capire come funzionano le truffe moderne, non solo nei loro aspetti tecnici, ma soprattutto nei meccanismi psicologici che le rendono così efficaci. Non si parla solo di virus, malware o phishing, ma di manipolazione emotiva, fiducia malriposta, schemi costruiti per aggirare la nostra attenzione. Durante la conferenza avrò modo di confrontarmi con esperti, forze dell’ordine, avvocati e cittadini. Uno scambio prezioso, che arricchirà anche i contenuti del corso stesso. Come ogni mio progetto divulgativo, il corso non è pensato solo per un pubblico tecnico: è per tutti, anche per chi non ha particolare dimestichezza con informatica e tecnologia. Può essere richiesto da scuole, comuni, aziende o altri enti, e adattato a contesti e bisogni specifici. L’obiettivo è semplice ma urgente: aiutare le persone a non cadere vittima di raggiri, a coltivare il dubbio sano, a riconoscere i segnali di pericolo prima che sia troppo tardi. Se ti interessa sapere: come funzionano le frodi online più comuni (dalle false mail bancarie ai finti operatori telefonici), cos’è l’ingegneria sociale e perché è così pericolosa, quali errori evitare e come proteggerti davvero, allora questo corso potrebbe fare al caso tuo. La consapevolezza è la prima forma di difesa.
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staipa · 3 months ago
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L’Argumentum Ad Hominem
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/ghix4 L’Argumentum Ad Hominem In ogni dibattito, pubblico o privato, ci si aspetta che le argomentazioni vengano analizzate e confrontate sul piano della logica e dei contenuti. Tuttavia, capita spesso che si finisca per spostare il bersaglio dall'argomento alla persona che lo sostiene. Questo tipo di errore è noto come Argumentum Ad Hominem, una delle fallacie logiche più diffuse e riconoscibili. Che cos’è l’Argumentum Ad Hominem? Il termine latino "Ad Hominem" significa letteralmente "contro l'uomo". Questa fallacia si verifica quando si cerca di screditare un argomento non affrontandolo direttamente, ma attaccando chi lo propone, spesso con riferimenti alla sua moralità, coerenza, carattere o motivazioni. La fallacia preferita di ogni hater, ma anche la più abusata nella politica odiera. Un esempio semplice "Non dovremmo ascoltare quello che dice Marco sull’ambiente, non è riuscito a prendere nemmeno la patente di guida." Il fatto che Marco non abbia la patente non ha nulla a che fare con la validità delle sue argomentazioni sull'ambiente. Si attacca la persona per screditare l'opinione, senza affrontare il merito della questione. Tipi di Ad Hominem 1. Ad Hominem Abusivo Attacco diretto alla persona, spesso con insulti o denigrazioni. "Che ne sa lui di economia? È solo un ignorante." 2. Ad Hominem Circostanziale Si cerca di delegittimare l'opinione altrui facendo riferimento al contesto personale dell'interlocutore. "Tu difendi l'energia solare solo perché lavori in una ditta che la produce." 3. Tu quoque (Tu anche!) Si accusa l'interlocutore di incoerenza per evitare di rispondere all'argomento. "Mi dici di non fumare, ma tu fumi!" Esempi nella vita quotidiana 1. Nei dibattiti politici "Non possiamo prendere sul serio le proposte di quel candidato: una volta è stato multato per divieto di sosta." Questo tipo di attacco ignora completamente le proposte del candidato e si concentra su un dettaglio irrilevante per screditarlo. Credo che più della metà delle affermazioni che sentiamo dire ai nostri politici, indipendentemente dal collocamento specifico, sia purtroppo di questo genere. 2. Nei social media "Non ascolto quello che dice quel tizio sul cambiamento climatico: guarda come si veste!" L'aspetto di una persona non ha nulla a che vedere con la validità delle sue opinioni scientifiche. È un attacco superficiale. 3. Nel marketing e nella comunicazione pubblica "Non dare retta a chi critica questo prodotto: sono solo invidiosi perché non possono permetterselo." Invece di rispondere alle critiche sul prodotto, si scredita chi le fa, attribuendogli motivazioni personali senza affrontare i contenuti. Perché cadiamo nell'Argumentum Ad Hominem? Attaccare la persona è più facile e immediato che rispondere con argomentazioni valide. Questo tipo di fallacia fa leva sulle emozioni e può sembrare efficace nel breve termine, soprattutto in contesti conflittuali o polarizzati come quelli politici o social. Inoltre, la nostra mente tende a confondere la fonte con il messaggio: se chi parla ci sembra poco credibile o antipatico, siamo più propensi a rifiutare le sue idee, anche quando sono sensate. Viceversa, siamo portati ad accettare affermazioni anche poco fondate se provengono da persone che stimiamo o che ci attraggono: è il cosiddetto halo effect (effetto alone), un bias cognitivo che ci porta a giudicare positivamente l'intero messaggio sulla base di un'unica qualità positiva del mittente (come l'aspetto fisico, la fama, o la simpatia).: se chi parla ci sembra poco credibile o antipatico, siamo più propensi a rifiutare le sue idee, anche quando sono sensate. Come riconoscerla e evitarla 1. Focalizzati sull'argomento, non sulla persona Quando valuti un'affermazione, chiediti: sto rispondendo all'idea o alla persona che la propone? 2. Chiedi prove concrete Se un'affermazione viene screditata sulla base di chi la fa, domandati se l'argomentazione è valida indipendentemente dalla fonte.
3. Non cadere nella trappola dell'incoerenza Anche se chi parla è incoerente, l'argomento può comunque essere corretto. Conclusione L’Argumentum Ad Hominem è una scorciatoia retorica che impoverisce il confronto e allontana dal vero cuore delle discussioni. Imparare a riconoscerlo è fondamentale per mantenere un dialogo serio, rispettoso e centrato sui contenuti. Ricorda: criticare un'idea è legittimo, attaccare chi la esprime è una fallacia.
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staipa · 3 months ago
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Padre Kayn vs Don Ambrogio. Ateo contro cristiano, opinioni a confronto.
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/1pjg6 Padre Kayn vs Don Ambrogio. Ateo contro cristiano, opinioni a confronto. C'è una forma di divulgazione che riesce a scivolare con grazia tra leggerezza e profondità. Ecco, "Padre Kayn vs Don Ambrogio. Ateo contro cristiano, opinioni a confronto. Ediz. illustrata" ci riesce benissimo. Un libro che non si prende troppo sul serio, ma che sa perfettamente cosa sta facendo: far pensare, sorridere, riflettere, senza mai rinunciare alla complessità. Gli autori del volume sono: Padre Kayn, youtuber noto per la sua satira religiosa e i contenuti di critica alla fede da una prospettiva razionale e laica, e Don Ambrogio Mazzai, sacerdote cattolico molto seguito sui social, noto per la sua capacità di comunicare con un linguaggio semplice e diretto, specie verso i più giovani. Il libro nasce come dialogo a distanza tra le loro posizioni, portando sulla carta un confronto che ha preso forma sui social e nella cultura digitale contemporanea. Le illustrazioni che accompagnano il testo sono di Smeriglia e Ongaro, due fumettisti italiani con stili diversi ma complementari. Le loro tavole intervallano i capitoli e aiutano a visualizzare lo spirito del dibattito: ironico, tagliente, ma mai privo di profondità. La scelta di inserire illustrazioni contribuisce a rendere il libro più accessibile, mantenendo alta l’attenzione del lettore anche nei passaggi più teorici. Padre Kayn rappresenta l’ateo razionale, colto, ironico, armato di scienza, filosofia e storiografia. Don Ambrogio è il prete tradizionale, fedele alla dottrina, ma spesso impacciato nelle risposte, evasivo, e in qualche caso addirittura sviante. L’alchimia che ne nasce è brillante e, a tratti, spietata. Il libro è strutturato come una lunga chiacchierata tra i due personaggi, ma ogni battuta apre un mondo: si parla dell’esistenza di Dio, del senso della vita, dell’origine dell’universo, ma anche di morale, sessualità, miracoli, contraddizioni della Bibbia. Ogni capitolo è un affondo, una provocazione, uno stimolo. Personalmente -chi se lo sarebbe mai potuto aspettare?-, ho trovato più solida e convincente la voce di Kayn. Non solo perché ne condivido la visione del mondo, ma per la coerenza e la precisione delle argomentazioni. Kayn non lancia slogan: costruisce. Utilizza dati storici, riferimenti biblici analizzati con cura, osservazioni scientifiche. È tagliente, ma mai gratuito. Don Ambrogio, invece, tende spesso a deviare il discorso, a rispondere con slogan, o peggio, a evitare le domande con voli pindarici. Eppure non siamo di fronte a una caricatura. Questo è uno dei meriti maggiori del libro: riesce ad essere un vero dialogo, nonostante la sproporzione tra le due voci. Il tono è ironico, brillante, ma non svuota mai i contenuti. Anzi: si percepisce quanto studio, quanto mestiere, quanta profondità ci sia dietro. Le citazioni – bibliche, storiche, scientifiche – sono corrette, ben contestualizzate e soprattutto messe lì per offrire qualcosa in più, non per fare sfoggio. Se c’è un limite, forse è proprio nella scrittura del sacerdote. Don Ambrogio, pur avendo dalla sua la tradizione e la fede, sembra non voler mai davvero ingaggiare un confronto alla pari. Il risultato è che Kayn vince facile. Sarebbe stato bello vedere un sacerdote in grado di rispondere con argomentazioni altrettanto solide, non per "vincere", ma per far riflettere anche chi parte da un’altra posizione. "Padre Kayn vs Don Ambrogio" è un libro per tutti. Anche per i credenti. Anzi, forse soprattutto per loro. Perché mette in discussione senza insultare, stimola senza giudicare, provoca ma non umilia. Certo, chi ha una fede molto rigida potrebbe sentirsi attaccato. E chi non è in grado di apprezzare l'ironia, offeso. Ma chi ha voglia di mettersi in gioco troverà qui una miniera di spunti. Alla fine di ogni capitolo, poi, oltre alle belle illustrazioni c'è un QR Code che porta ogni volta a una serie di video dove il confronto tra i due autori
continua, anche se, anche qui, si evidenzia ancora di più la sproporzione tra i due contendenti, forse non seguiti da un editor come nella scrittura, dei due si vede maggiormente l'animo e la qualità. Come spesso accade su questo blog, non consiglio libri per convincere qualcuno a pensarla come me. Lo faccio perché credo che leggere, riflettere, mettere in discussione anche ciò in cui si crede –o non si crede– sia un atto di libertà. E se Dio dovesse esistere, sono abbastanza sicuro che riderebbe di gusto leggendo questo libro. Si parla anche di questo in un capitolo. A quanto pare, secondo Don Ambrogio, Dio sarebbe molto ironico e divertente, soprattutto in alcuni passi della bibba. Qui il link per acquistare il libro, comunque disponibile nelle librerie e nei principali store online: https://www.lcieditore.it/catalogo/padre-kayn-vs-don-ambrogio
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staipa · 4 months ago
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Meta: l'uso dei nostri dati nell'IA grazie al tacito consenso
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/k7one Meta: l'uso dei nostri dati nell'IA grazie al tacito consenso In questi giorni molti utenti stanno ricevendo una mail da Meta — l’azienda madre di Facebook, Instagram e WhatsApp — con un oggetto tanto rassicurante quanto ambiguo: “Scopri come useremo le tue informazioni mentre miglioriamo l'intelligenza artificiale (IA) in Meta.” Un tono pacato, un linguaggio neutro, qualche parola chiave (IA, innovazione, trasparenza) e un link per opporti. Ma leggendo con attenzione si scopre qualcosa che merita una riflessione profonda. E, forse, un po’ di inquietudine. Cosa dice davvero la comunicazione Meta ci informa che, per migliorare la sua intelligenza artificiale generativa (come Meta AI e i suoi strumenti creativi), utilizzerà le informazioni pubbliche dei nostri account: post, commenti, interazioni. Tutto ciò che abbiamo mai reso pubblico da quando abbiamo creato l’account. Non solo: useranno anche le nostre interazioni con i servizi di intelligenza artificiale integrati nei loro prodotti. Il tutto, specificano, “sulla base dei legittimi interessi”. In altre parole: non stanno chiedendo il tuo consenso. Ti stanno informando che useranno i tuoi dati — a meno che tu non ti opponga esplicitamente. Il paradosso del consenso implicito In teoria, secondo il GDPR, abbiamo il diritto di sapere come vengono usati i nostri dati. Ma in pratica, molte piattaforme come Meta stanno trasformando il diritto all'informazione in una giustificazione retroattiva: “Ti abbiamo avvisato, se non ci dici di no, per noi è sì.” Questa forma di “consenso implicito” ribalta completamente il principio della protezione dei dati: non sei tu a dare il permesso, è l’azienda a dartelo… per toglierglielo. Ma sono solo dati pubblici, no? È proprio questo il punto: sono pubblici, certo, ma erano pubblici per le persone, non per le macchine. Scriviamo post pubblici perché vogliamo che siano letti da amici, conoscenti, magari da un pubblico generico. Ma da lì a diventare materiale grezzo per l’addestramento di un algoritmo ce ne passa. Non è solo una questione di privacy. È una questione di contesto. Un nostro commento su un post, una battuta, una riflessione personale — anche se pubblica — assume un altro significato quando viene inghiottita da una macchina che ne estrae pattern linguistici, bias culturali, frasi da replicare. In un certo senso, perdiamo il controllo non solo dei nostri dati, ma anche del senso di ciò che scriviamo. Il diritto di opposizione… ma quanto è facile? Meta ci concede il diritto di opposizione. Ma per esercitarlo bisogna compilare un modulo, aspettare una mail, e sperare che il processo funzioni davvero. Un meccanismo volutamente macchinoso? Forse no, ma di sicuro poco incentivante. Siamo davanti a una dinamica ricorrente: si fa affidamento sull’inerzia dell’utente, sulla pigrizia digitale, sulla fiducia residua. E infatti, quanti si prenderanno la briga di opporsi? Quanti andranno a cercare le impostazioni sulla privacy, a capire cosa è pubblico e cosa no, a leggere le righe scritte in piccolo? Una normalizzazione silenziosa Se oggi consideriamo normale che i nostri dati siano usati per addestrare un'intelligenza artificiale senza un nostro consenso esplicito, domani potremmo abituarci ad altri tipi di accessi non richiesti. Le conseguenze possibili non sono solo teoriche: basti pensare alla possibilità che un algoritmo impari dai nostri commenti più impulsivi, dai post scritti in momenti delicati, o da battute fraintese, e che tutto questo venga utilizzato per addestrare un modello che genera contenuti, risposte automatiche o persino campagne pubblicitarie. C'è anche il rischio concreto di un effetto “boomerang reputazionale”: se una parte delle nostre parole finisce, anche in modo anonimo, nel patrimonio culturale e linguistico di un'IA, ciò che abbiamo scritto pubblicamente può essere reinterpretato, ricontestualizzato, o addirittura “ritornare” in una forma simile in altri contesti.
Infine, il fatto che queste informazioni alimentino algoritmi che verranno poi utilizzati per migliorare l'engagement o influenzare comportamenti (come già avviene nella pubblicità mirata), introduce una forma di sfruttamento che merita di essere chiamata col suo nome: estrattivismo digitale. Il rischio più grande non è tanto che Meta usi i nostri dati. È che cominciamo a trovarlo normale. Che la prossima volta non ci faccia nemmeno più caso. Che smettiamo di distinguere tra cosa è pubblico per scelta e cosa è pubblico per sfruttamento. L'intelligenza artificiale, per come viene venduta oggi, è il nuovo “motore del progresso”. Ma se il carburante siamo noi, almeno dovremmo essere messi nella condizione di scegliere se e quando farci usare. Il prezzo della comodità Viviamo in un’epoca in cui molti strumenti digitali sembrano gratuiti, ma non lo sono mai davvero. Paghiamo con tempo, attenzione, dati… e, sempre più spesso, con la nostra identità digitale. Non si tratta di demonizzare Meta o l’intelligenza artificiale. Si tratta di pretendere un rispetto più profondo per la nostra autonomia. Perché una vera innovazione non può basarsi sull’uso disinvolto della nostra fiducia.
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staipa · 4 months ago
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Giornata mondiale del libro e del diritto d'autore
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/npqc2 Giornata mondiale del libro e del diritto d'autore Il 23 aprile è la Giornata mondiale del libro e del diritto d'autore, giornata organizzata dall'UNESCO per promuovere la lettura, la pubblicazione dei libri e la protezione della proprietà intellettuale attraverso il diritto d'autore. Io nel mio piccolo cerco di recensire i libri che più mi colpiscono, se vi va di dare un'occhiata, prendere qualche consiglio o commentare insieme un libro vi invito a leggere i miei consigli qui: https://short.staipa.it/libri Leggo molti più libri di quanto riuscirei mai a recensire ma se sono in quella lista, sono sicuramente tra quelli che ritengo i più belli. Leggere rende liberi. Fa conoscere altri mondi, altre visioni, apre la mente. Senza lettura diventiamo autoreferenziali come se tutto il mondo girasse attorno a noi. Senza lettura siamo costretti a fidarci di chi abbiamo davanti senza saper valutare se meriti fiducia. Senza lettura perdiamo quella parte di noi che esprime la capacità di sognare altre possibilità. Leggere è un esercizio che diventa presto desiderio e poi si trasforma in un mondo intero.
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staipa · 4 months ago
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L'intelligenza artificiale e il problema del copyright: chi sta rubando cosa?
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://short.staipa.it/qdko7 L'intelligenza artificiale e il problema del copyright: chi sta rubando cosa? L’intelligenza artificiale (IA) generativa, negli ultimi anni, ha mostrato capacità sorprendenti nel creare testi, immagini, musica e persino video. In pochi secondi, queste macchine possono generare contenuti in grado di competere con la creatività umana, sollevando però alcune domande fondamentali: chi detiene i diritti su queste opere digitali? E soprattutto, le IA stanno utilizzando materiali protetti da copyright senza autorizzazione? Un problema di addestramento (e di trasparenza) Per capire a fondo la questione, occorre partire dall’addestramento delle IA. Modelli come ChatGPT, MidJourney, Stable Diffusion e DALL·E si basano su reti neurali addestrate su enormi quantità di dati. Questi dati includono testi, immagini, video e musiche raccolti da ogni angolo di internet, spesso senza una reale distinzione tra contenuti di dominio pubblico e materiali protetti da copyright. Le aziende che sviluppano queste tecnologie sostengono di potersi appoggiare a principi come il "fair use" (o “uso legittimo”), ma la situazione è tutt’altro che chiara. Se una persona comune copia ed elabora un contenuto protetto senza permesso, rischia di incorrere in una violazione di copyright. Se lo fa un algoritmo, la faccenda è ancora in parte da definire dal punto di vista legale, poiché la normativa non era inizialmente concepita per sistemi IA di questa portata. A questo va aggiunto che spesso manca trasparenza su quali dataset e siti vengano inclusi nel processo di addestramento. Alcuni sviluppatori di IA, di fronte alle prime critiche, hanno iniziato a rilasciare elenchi parziali delle fonti usate, ma la questione non è risolta: molti creatori non sanno nemmeno che i loro lavori sono stati inclusi. L'IA come artista (involontario) e i casi concreti Diversi artisti, scrittori e fotografi hanno scoperto con sorpresa di essere diventati "tutor involontari" per le IA. Un esempio significativo è quello dell’artista digitale Greg Rutkowski, il cui stile fantasy è stato ripetutamente evocato tramite prompt di testo, generando immagini estremamente simili alle sue illustrazioni. Allo stesso modo, l’artista Karla Ortiz ha denunciato come molte delle sue opere siano state incluse nei dataset di addestramento di alcuni modelli di IA senza alcun permesso. Altri episodi riguardano scrittori di narrativa, come l’autrice Jane Friedman, che ha trovato online libri a lei attribuiti ma creati interamente da modelli linguistici. In alcuni casi, i testi generati dalle IA riprendevano sezioni quasi identiche di opere già pubblicate, modificandole solo leggermente. Oppure fotografi come Amy Smith, che ha riconosciuto dettagli unici delle proprie foto in alcune immagini prodotte da generatori di IA, scoprendo così che i suoi scatti erano stati utilizzati nei database di training. Uno dei casi più noti è quello di Getty Images, che nel 2023 ha citato in giudizio Stability AI, sostenendo che il software Stable Diffusion avrebbe impiegato miliardi di immagini coperte da copyright (tra cui molte immagini Getty, riconoscibili dal watermark). Questo episodio ha mostrato come i grandi archivi fotografici possono diventare vettori di dati appetibili per il training delle macchine, senza che nessuno chieda il permesso. Le posizioni dei produttori di IA Alcune aziende, sotto la pressione mediatica e legale, hanno iniziato a prendere posizioni più chiare. Stability AI, ad esempio, ha annunciato futuri aggiornamenti del proprio modello per limitare l’uso di materiale protetto, e sta valutando l’implementazione di strumenti per facilitare l’opt-out degli artisti. Anche OpenAI ha dichiarato di voler rispettare le normative sul copyright, sebbene non sia sempre facile stabilire i confini di un uso "accettabile" quando si parla di dataset di addestramento così vasti. Meta (ex Facebook) ha pubblicato alcuni documenti relativi ai
contenuti di addestramento, ma la questione resta delicata: molti file e opere caricati in passato su piattaforme social ora si trovano, potenzialmente, anche nei database di addestramento. Google, dal canto suo, si è mossa in modo analogo per Bard e altre IA interne, ma la community di creatori invoca maggiore trasparenza. Le cause legali e le questioni aperte Aumento di controversie legali: Getty Images vs. Stability AI: come accennato, un caso emblematico di immagini con watermark sfruttate nel dataset. Class action di artisti: in vari Paesi, tra cui Stati Uniti e Regno Unito, alcuni collettivi di artisti stanno valutando azioni legali per difendere i propri diritti e richiedere compensi. Protezione delle opere letterarie: l’Authors Guild americana ha espresso preoccupazione riguardo alle IA che generano testi troppo simili a opere protette. La battaglia, insomma, è appena iniziata e potrebbe portare a una rivisitazione del concetto di copyright digitale. Che differenza passa tra “creare” e “ricombinare” quando si parla di contenuti generati in larga scala da algoritmi? Possibili soluzioni: dal database di opt-out alla compensazione Per evitare che la situazione degeneri in un “Far West” digitale, si stanno ipotizzando diverse soluzioni: Database di opt-out: Dare la possibilità a chi detiene i diritti di un’opera di dichiarare esplicitamente che non vuole che il suo materiale venga utilizzato per l’addestramento. Questo sistema, tuttavia, è complesso da implementare: occorrerebbe un’adesione globale di tutti i fornitori di IA. Compensi per i creatori: Qualcuno propone un modello simile a quello delle licenze radiofoniche, dove i distributori (in questo caso, chi sviluppa e utilizza IA) pagano una quota ad artisti e scrittori in base all’uso delle loro opere. Trasparenza e tracciabilità: Rendere noti i dataset di addestramento e creare sistemi che permettano di tracciare l’origine dei singoli contenuti. In questo modo, se un artista scopre di essere stato incluso senza permesso, può agire di conseguenza. Regolamentazioni internazionali: Diversi governi stanno iniziando a discutere leggi specifiche per l’IA. L’Unione Europea sta lavorando all’AI Act, che potrebbe introdurre regole più precise sulla responsabilità nell’uso di dati protetti. Un futuro incerto (ma non necessariamente tetro) La forza innovativa dell’IA è innegabile. Nel giro di pochi anni, queste tecnologie hanno rivoluzionato il mondo della creatività digitale e posto nuove sfide a legislatori, artisti, produttori e consumatori. Non si tratta di demonizzare l’intelligenza artificiale in sé — in fondo, è uno strumento potentissimo che può migliorare molti settori — quanto di definire regole del gioco eque e rispettose del lavoro altrui. Se lasciassimo l’evoluzione dell’IA completamente priva di vincoli, potremmo arrivare a un punto in cui la creatività umana viene svuotata di valore, perché imitabile e replicabile all’infinito da algoritmi. Ma se, al contrario, riuscissimo a trovare un equilibrio tra libertà creativa, tutela dei diritti d’autore e incentivi per l’innovazione, potremmo costruire un ecosistema in cui uomo e macchina collaborano alla creazione di nuovi linguaggi espressivi. La sfida è aperta, e la palla passa al legislatore, alle aziende tech e agli stessi artisti, che rivendicano a gran voce il diritto di avere un controllo sul proprio lavoro. Nel frattempo, i tribunali di mezzo mondo iniziano a ricevere cause e denunce destinate a mettere a confronto, in modo drammatico, i vecchi concetti di copyright con le nuove potenzialità del calcolo algoritmico. La direzione che prenderà questa sfida è ancora incerta, ma una cosa è sicura: l’intelligenza artificiale non scomparirà, e con essa le questioni legate al copyright e alla proprietà intellettuale. Come sempre, spetta alla società stabilire dove tracciare i confini, per evitare che l’innovazione diventi sottrazione di diritti e di dignità creativa.
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