#Stato moderno
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gregor-samsung · 7 months ago
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" Nel corso di una conferenza stampa tenutasi nel maggio del 1962, John F. Kennedy proclamò, nei toni che gli erano consueti, la fine delle ideologie; rispose così a due bisogni della nazione: il bisogno di credere che le decisioni politiche siano nelle mani di specialisti imparziali e bipartitici e il bisogno di credere che i problemi di cui si occupano gli esperti siano incomprensibili ai profani: «Per molti anni la maggior parte di noi è stata condizionata ad avere un’opinione politica: repubblicana o democratica, “liberal”, conservatrice o moderata. La realtà dei fatti è che la maggior parte dei problemi… che dobbiamo affrontare ora, sono problemi tecnici, problemi amministrativi. Sono risoluzioni estremamente complesse, che non si prestano a quel nobile genere di agguerriti movimenti che in passato hanno infiammato il paese con tanta frequenza. [Essi] concernono questioni che trascendono ormai la capacità di comprensione della stragrande maggioranza…»*
*Citato in David Eakins, Policy-Planning for the Establishment in A New History of Leviathan, a cura di Ronald Radosh e Murray Rothbard, New York, Dutton, 1972, p. 198.
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Christopher Lasch, La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive; Nuova postfazione dell’autore, traduzione di Marina Bocconcelli, Fabbri (collana Saggi Tascabili), 1992. [Libro elettronico]
[Edizione originale: The Culture of Narcissism: American Life in an Age of Diminishing Expectations, W. W. Norton, New York City, 1979]
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falcemartello · 7 months ago
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5 maggio 1821, muore Napoleone Bonaparte.
Passato alla storia per essere stato grande un stratega, conquistare e legislatore, in realtà fu anche altro: il primo mitomane moderno a mettersi in testa di fare dell’Europa un mega stato unitario e poi invadere la Russia.
Poco più di un secolo dopo sarà emulato da un mediocre pittore austriaco, con più o meno le medesime conseguenze.
Stesso sogno imperiale, stessa bruciante sconfitta. Anzi decisamente peggiore.
Ebbene, difronte alla perentorietà della storia uno si aspetterebbe che i governanti successivi agiscano con un briciolo di senno, realismo e cautela in più.
Invece no. E nel 2024 ci ritroviamo con l’unione europea pronta a far nuovamente guerra alla Russia.
Per i più attenti l’esito è già scritto, ma non voglio rovinare il finale a tutti gli altri.
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Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
(...)
A. Manzoni
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ilpianistasultetto · 6 months ago
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Il problema di questo Paese non e' Toti (o i politici come lui) ma i milioni e milioni di cittadini Toti-imitatori. Sembriamo un Paese infettato, fallato, dove i simil-Toti sono tanto emulati e mai ferocemente condannati. Non sono molti i cittadini che rifiuterebbero l'invito di qualcuno a passare vacanze "a scrocco" su uno yacht. C'e' una contropartita? -"Fa niente, tanto a me non costa nulla".
Una concessione, un appalto, un prestito bancario, l'assunzione di un figlio o parente presso qualche ente di Stato, la nomina a Preside di qualche facolta' universitaria o a primario d''ospedale, fiches per il casino'. "Tanto a me non costa niente".
La ristrutturazione di una casa, la riparazione dell'auto, una lavatrice, due chili di bistecche, qualche bottiglia di vino pregiato. "Tanto a me non costa niente."
Piu' che un Paese moderno, sembriamo un Paese rimasto all'epoca del baratto, di una mano lava l'altra... uno stivale abitato da troppi "pedrito el drito". Un condono edilizio a me e tanti voti a te. Tu mi strappi la multa e io ti do una busta d'arance. Tu chiudi un occhio sugli scontrini e io ti faccio mangiare gratis nel mio ristorante. Tu mi fai fare una Tac domani e io regalo una borsa di marca a tua figlia. Tu mi dai la pensione di invalidita' e l'accompagno e io ti voto anche se rubi a rotta di collo. Tu mi dai 20 o 50 euro e io corro alle urne.
Ma che Paese siamo?
@ilpianistasultetto
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scogito · 1 year ago
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Il noto simbolo dell'Infinito ∞ se lo guardi bene è in realtà un circuito chiuso.
A livello concettuale è stato introdotto dal matematico Wallis che lo definì come una "linea senza fine"... ovvero una retta.
Tuttavia venne disegnato con questa contorsione.
Nel moderno misticismo tale simbolo ∞ viene identificato come una variante dell'Uruboro: il noto serpente che si morde la coda. Un altro circuito chiuso.
Si aggiunge che lo stesso simbolo viene definito come un "8 rovesciato"... e qui si mostra il collegamento numerologico.
L'8 non è un numero che parla di infinito, parla di potere.
L'8 è infatti collegato all'Archetipo del Sovrano.
Per finire, se si accosta tutto agli Arcani: la lama della Forza quando è correttamente numerata e disegnata, si trova in ottava posizione e ha per cappello la forma simile all'infinito.
La Forza di base indica chi controlla il potere.
Chi gestisce la materia, non l'energia...
che non può avere numero, perché è infinita.
Viviamo dentro una simbologia distorta, che mostra in realtà un circuito autobloccante in un Sistema chiuso e fermo al chakra del potere.
Ogni associazione rivolta a una simbologia distorta genera convinzioni distorte nate da proiezioni inconscie distorte.
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t-annhauser · 4 months ago
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I drammi dell'ineluttabilità borghese, cioè dell'impossibilità di uscire dai propri panni non solo civili, ma anche dal proprio Sé, come dicono gli psicanalisti. Un istinto da rabdomante mi portò a leggere, finita la scuola, il Fu Mattia Pascal e La coscienza di Zeno (il terzo fu L'Ulisse di Joyce del quale sto ancora portando a termine la mia personale traduzione, sono attualmente impantanato nel IX episodio, Scilla e Cariddi). Pirandello mi piace ma è di un'amarezza che abbatte, Svevo invece si addice più alla mia personalità, al mio gusto tragicomico. In entrambi i casi si tratta della descrizione esatta di come la vita conduca il borghese moderno, così libero a parole, in direzione opposta rispetto alle sue risibili aspirazioni. Essendo io un uomo d'altri tempi trovo questi due libri più interessanti di un abbonamento a Netflix. Imparare a leggere quel che è stato scritto di buono sarebbe un buon esercizio per noi generazione di sfessati rimbecilliti dalla noia di vivere fino al cinismo. Memento vivere, diceva Nietzsche, poi trasformato in macchietta futurista in Memento audere dal nostro sommo vate sdentato con l'alito che puzzava d'uovo (così Savinio descrive Gabriele D'Annunzio, di cui tutte le mie insegnanti di letteratura alle medie erano innamorate).
Sentire le cose, ci spiega Nietzsche nella seconda inattuale, invece di limitarsi a "farsele imparare" a scuola, ma ciò comporta irrimediabilmente il rischio di vivere.
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diceriadelluntore · 6 months ago
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Storia Di Musica #326 - Tame Impala, Lonerism, 2012
L’edificio in copertina del disco di oggi (che ricordo è il fil rouge dei dischi di Maggio per questa rubrica) è un particolare di uno degli edifici dei Giardini di Lussemburgo di Parigi. È mostrato sovraesposto alla luce, un po' sfocato in una giornata soleggiata estiva, come potevano farlo le decine di migliaia di turisti in quel luogo quel giorno, ed è opera di Leif Podhajsky, grafico e artista visuale australiano, che decise di editarla proprio come se fosse una foto fatta quasi per caso, mancando il fuoco del soggetto. Con questa copertina, l’artista di oggi voleva esprimere la sottigliezza e spesso l’indifferenza dell’isolarsi contemporaneo, come simboleggia il cancello più a fuoco dell’edificio e del giardino di sfondo. Kevin Parker è stato sin da subito un tipo dalla fervente immaginazione e creatività. Australiano di Perth, sin da giovanissimo inizia a suonare in gruppi rock amatoriali, fin quando non ha un piccolo successo con i Dee Dee Dums, un rock duo dove lui canta e suona la chitarra e Luke Epstein la batteria. È quasi per scherzo che registra in maniera casalinga delle canzoni che pubblica su una pagina di MySpace (ode al leggendario social network), dando a questa idea il nome Tame Impala, in omaggio alla grande antilope africana. Sorprendentemente ottengono un successo per passaparola sulla piattaforma, tanto che una piccola casa editrice australiana, la Modular Recordings, lo scrittura. Parker è “costretto” a ingaggiare altri due musicisti per suonare dal vivo i brani, Dominic Simper (basso) e Jay Watson (batteria). Il 2008 è l’anno del loro lancio: firmano un Ep a nome Tame Impala (sebben la copertina con la scritta la scritta di tre stelle lo fa diventare famoso come Antares, Mira And The Sun) una loro canzone, Half Full Glass Of Wine diviene una piccola hit, suonano come supporter band ai The Black Keys e in numerosi festival, dove il loro suono proto-psichedelico ha un grande successo. Che perdura nel 2009: nuova canzone di successo, Sundown Syndrome, che addirittura è inserita nella colonna sonora del film pluricandidato agli Oscar I ragazzi stanno bene, ancora festival, concerti, critica innamorata di questo suono vintage-moderno peculiare. Nel frattempo Epstein se ne va, e Parker da solo scrive testi e musica del primo (tranne una canzone con Jay Watson), attesissimo, disco dei Tame Impala: nel 2010 viene alla luce Innespeaker, apoteosi di questo gusto del nostro per il rock psichedelico degli anni d’oro (metà anni 60) ma con tocchi pop spiazzanti, ma che funzionano a meraviglia. Disco acclamato dalla critica e dal pubblico, Parker è con il nome di una band una delle nuove sensazioni della musica.
È con curiosità che quando esce nel 2012 Lonerism ci si approccia a questo nuovo lavoro: c’è già chi lo aspetta alla prova del secondo disco modesto dopo un grande inizio. Ma quasi tutti vengono smentiti da un lavoro che prosegue in questo binomio creativo quanto meno singolare tra psichedelia e pop music, ma stavolta lo fa abbandonando le chitarre e il rock per spingersi molto di più sull’elettronica, echi di new wave, accentuando la spinta psichedelica con cascate di tastiere e effetti di sampling. Parker non si nasconde e vuole creare una musica che “sia psichedelica ma che abbia la grazia pop di Britney Spears”. Registrato tra Perth e Parigi, spesso in totale solitudine, solo con il fido ingegnere del suono Dave Fridmann al mixing, il disco si apre con il gioco di campionamenti di Be Above It (quasi un mantra pop), che si ripetono in Endors Toi, in una atmosfera solare, quasi da serie Tv californiana. La stupenda Apocalypse Dreams, primo singolo estratto e una delle canzoni più belle dell’intero repertorio Tame Impala, ha echi lennoniani e un finale che in più punti sembra un omaggio a David Bowie e alle sue esplorazioni spazial-musicali di qualche decennio precedente. La parte centrale del disco è invece quella più marcatamente psichedelica. Nel trittico Mind Mischief, Music To Walk Home By e Why Won't They Talk to Me? si sente il lavoro dietro il mixer di Dave Fridmann, già produttore dell'esordio, ma soprattutto collaboratore fisso di quei pazzerelli dei Flaming Lips. Elephant sfoggia un riff sporco e quasi funk e un determinato assolo di tastiere acide, bellissime sono l'onirica ballata Nothing That Has Happened So Far Has Been Anything We Could Control e la quasi marcetta pianistica di marcetta Sun's Coming Up. Discorso a parte merita l’ultimo singolo, Feels Like We Only Go Backwards, che lo stesso Parker ammetterà di aver scritto pensando a Walk In The Park dei Beach House: una sognante ballata power dream pop, che diventerà una delle canzoni dell’anno, usata in film (Divergent del 2011), serie Tv (The Imperfects su Netflix), e spingerà il disco ai posti più alti delle classifiche redatte dalle riviste specializzate come miglior lavoro dell’anno. Anche le vendite sono sbalorditive: solo Feels Like We Only Go Backwards vende un milione di copie tra fisiche e digitali. Nonostante per alcuni sia un divertissement, il secondo lavoro è portentoso per l’accuratezza di certi particolari, per il lavoro di produzione certosino e per la freschezza generale delle musiche, caratterizzate dall'uso spectoresco degli arrangiamenti, dalla stratificazione degli effetti e da una pomposità e magniloquenza che faranno scuola.
Ancora meglio farà Currents nel 2015: scritto, suonato e registrato tutto da solo, molto più dance, virando ancora di più sul pop psichedelico e sul synth-pop, venderà milioni di copie e vincerà il Grammy come Miglior Disco Rock e miglior Disco dell’anno nel 2016, decine di altri premi e scaraventa canzoni come Let It Happen, ‘Cause I'm A Man, Eventually e The Less I Know The Better a miliardi di visualizzazioni sui siti di streaming facendo di un ragazzo di Perth il nuovo Re Mida del pop internazionale.
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susieporta · 3 months ago
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Il Mago
"Il Padre e la Madre: la fonte del Trauma si trasforma in Vita".
Perché è così importante lavorare sulla figure genitoriali?
Esse rappresentano il nostro primario approccio al mondo dell'Incarnazione, il nostro primo "osservatorio astronomico".
Dal padre e dalla madre, siano stati essi assenti o presenti nella nostra quotidianità, è dipeso l'assorbimento dei Simboli associativi legati alla "visione (o distorsione) della Realtà".
Per un lungo periodo abbiamo "visto" attraverso i loro occhi, attraverso la loro storia, attraverso il loro schema di sofferenza.
Ed è già nella pancia della madre che sono entrati in gioco i primi schemi di identificazione con la disfunzione ereditata.
Seppur possa risultare doloroso e scomodo "sollevare il tappeto dell'infanzia", quella polvere va ripulita. Non si vede, ma c'è.
Non si lavora sulle figure genitoriali per distribuire colpe o evocare miracoli di guarigione o di riconoscimento.
Il bambino che non è stato riconosciuto affettivamente nei suoi bisogni emozionali, non cambierà la sua posizione all'interno del nucleo guarendo se stesso.
Ma può spogliarsi dell'Illusione di essere stato amato, tanto cara a chi non accetta di arrendersi a questa faticosa verità.
Ed iniziare un nuovo viaggio, autonomo, sincero, autentico, meno edulcorato.
Non tutti i genitori sono stati capaci di "amare".
Sono rare le figure genitoriali che, nonostante a loro volta siano state ignorate o ferite nei bisogni più profondi, siano riuscite ugualmente a veicolare il sentimento di accoglienza e piena accettazione dell'unicità dei loro figli.
Ma questo non significa che non possiamo cambiare la nostra "storia". Anzi. Il vero viaggio inizia proprio dalla Fede in se stessi e nella propria capacità riparativa e generativa.
Chi è stanco di lavorare sull'eredità della disfunzione, chi crede sia sufficiente un "cerotto alla ferita", chi cerca la risoluzione spirituale ad un problema strettamente umano, non ha compreso fino in fondo cosa significa "fissità dello schema familiare".
La "gabbia" è il Simbolo.
La famigerata "Matrix", tanto esaltata dall'Esoterismo moderno, è rappresentata dall'invisibile intreccio di tutti i simboli del Corpo di Dolore uniti assieme. Dal reticolo della disfunzione sul piano energetico. Dalle memorie di dolore e sofferenza che attanagliano l'Essere Umano.
Uscire dalla "Matrix" significa spogliarsi degli Antichi Schemi di Vittima e Carnefice, dal senso di colpa, dalla vergogna, dall'impotenza, dalla sottomissione, dalla distorsione del proprio piano percettivo interiore.
Non si esce dall'Illusione con il potere dello Spirito. Non se il Sistema umano è ancora irretito o intasato da blocchi o ferite.
Non possiamo negare i segnali del Corpo.
Più sono dolorosi, più polvere sta uscendo da sotto il tappeto.
E di conseguenza più intensamente dobbiamo impegnarci a pulire. Granello dopo granello.
Se l'unica reazione che esprimiamo sono la "stanchezza" e la "lamentela fissa", se con arroganza e impotenza diventiamo complici dalla nostra "triste e sfortunata vita", se cerchiamo pillole miracolose o soluzioni a costo zero, siamo sulla strada sbagliata.
Avete già lavorato sulla madre o sul padre più e più volte? Questo vi rende onore. Ma se ancora ne sentite il bisogno, o ancora sono evidenti fratture genitoriali dentro di voi, si riparte.
Si va fino in fondo.
E non si tratta di rivivere la medesima esperienza di qualche anno fa. E' tutto cambiato dentro di noi nel frattempo.
Lavorare oggi sui Simboli del Trauma è totalmente diverso.
Siamo cresciuti. Siamo più maturi, più ricettivi, più sensibili. Siamo pronti a maneggiare le elaborazioni e risoluzioni con maggior presenza e competenza emozionale.
E' un onore portare a chiusura i cicli di Dolore. E' commovente. E' liberatorio. E' sano.
No, non siamo "sfortunati" ad aver avuto genitori così "impegnativi". Non siamo la vittima del loro Dolore o della loro Rabbia. Siamo orgogliosi artefici della nostra guarigione.
E dovremmo essere disposti a "morire per noi stessi".
Non per loro. Per noi stessi.
Per la nostra felicità, per il nostro immenso Cuore, per la nostra magica presenza sulla Terra.
Noi non siamo il Trauma.
Noi siamo molto e molto di più.
Appassionatevi a voi stessi. Esplorate, sperimentate, entrate nel vostro straordinario mondo, smontate Simbolo per Simbolo tutta l'Antica Narrazione su chi siete o siete stati.
E congedate l'eredità degli schemi di disfunzione, interiorizzando genitori sani e amorevoli, abbondanti e colmi di sguardi comprensione e di ammirazione.
Solo così i vostri Doni potranno fiorire nella Materia e creare un "abbondante raccolto" nei mesi avvenire.
Non è "colpa dei vostri genitori". Non siete "sfortunati" e non siete "vittime". Non più.
Oggi potete "vedere", affrontare e "scegliere di guarire".
E la stanchezza cronica, il malessere e il senso di ingiustizia si trasformeranno in Forza, Entusiasmo e Riconciliazione con il Mondo che vi circonda e che aspetta solo voi per rifiorire di colore e luce.
Mirtilla Esmeralda
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abr · 19 days ago
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Dio ha salvato Felipe. A Valenza (...) il re ha fatto il re, affrontando a viso aperto la folla ruggente, e il politico ha fatto il politico, tagliando la corda.
Col suo slancio ispirato e rischioso, col suo gesto da hombre vertical, e sottolineo “hombre” perché l’onore è concetto virile (...), Filippo VI di Spagna mi consente (...) di lodare un dinasta senza applaudire un Windsor (...).
Domani le masse torneranno socialiste, torneranno a votare il mediocre Sánchez o chi per esso, torneranno a credere nella promessa deresponsabilizzante dello Stato moderno: sicurezza dalla culla alla tomba (non prima dei novanta, s’intende). Ma quando hanno visto l’onore lo hanno riconosciuto. Senza saperlo ne avevano nostalgia.
Grande Camillo Langone, distinto tra tanta noiosa fuffa provinciale, via https://www.ilfoglio.it/preghiera/2024/11/05/news/il-re-di-spagna-filippo-vi-mi-consente-di-tornare-neo-borbonico-7112621/
ps.: notare gli effetti quotidiano della narrativa socc'ialista "dateci il potere e vi difenderemo da tutto, anche da voi stessi": disastri ambientali da ricette erronee sul territorio a favore dei soliti palazzinari, guerre, bombe, controllori di treno accoltellati, ragazzi sbalestrati, gente indignada livida che basta un nonnulla e gli parte l'embolo ...
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sistemabibliotecariomilano · 4 months ago
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Perfetti per l'estate
Come di consueto, proponiamo agli affezionati lettori delle biblioteche milanesi la nostra rubrica di consigli di lettura, perfetti per l’estate!
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Fonte: Pexels
La recente ristampa de Al paradiso delle signore di Zola è una ghiotta occasione per leggere un romanzo avvincente, tomo XI del ciclo dei Rougon-Macquart: un feuilleton di gran classe per gli appassionati di moda, scritto da un maestro nell’arte della descrizione (il tema è simile a quello de Il ventre di Parigi, ma concentrato sull’abbigliamento), “che esplora lucidamente l’universo femminile”, spaziando per tutti gli strati sociali della Parigi di metà Ottocento. Una lettura che analizza la nascita di un fenomeno moderno tuttora in espansione: il grande magazzino, oggi diventato centro commerciale (come in Il denaro si descriveva la bolla finanziaria del 1860, profetica di quelle dei nostri tempi). Non erano necessarie le parole di Gide (e di molti altri critici citati nella preziosa prefazione di Mario Lunetta) per rivalutare questo capolavoro. Iperbolico, lussureggiante, immaginifico.
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A questo romanzo è vagamente ispirata la serie televisiva italiana trasmessa da Rai 1 dal 2015, ora diventata una vera e propria soap, ma ambientata tra gli anni cinquanta e sessanta a Milano, dove esistette davvero un negozio chiamato “Paradiso delle signore”.
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Ironico (di un’ironia antifrastica), divertente, scorrevolissimo, Di chi è la colpa? fu pubblicato nel 1947 ed è l’unico romanzo dello scrittore russo Aleksandr Ivanoviĉ Herzen. Dimenticatevi Tolstoj e Dostoevskij, il suo stile ricorda piuttosto il Gogol’ fantasioso e stravagante dei racconti. Citiamo dalla prefazione di questa recente ristampa: «È strano che questo straordinario scrittore, in vita celebre personalità europea, stimato amico di Michelet, Mazzini, Garibaldi e Victor Hugo, a lungo venerato nel suo paese non solo come rivoluzionario, ma come uno dei più grandi uomini di lettere, sia tuttora poco più di un nome in Occidente. Il piacere che si ricava dalla sua lettura … rende ciò una strana e ingiustificata perdita». Sottoscriviamo in pieno.
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È già in testa a tutte le classifiche la nuova avventura, attesa da ben sei anni dopo Il morso della reclusa, dell’ispettore Adamsberg, creato dall’abile penna della scrittrice francese Fred Vargas, questa volta in trasferta nella selvaggia Bretagna, il regno di Asterix e dei menhir. Sulla pietra è il decimo resoconto della serie dell’improbabile ispettore e le profonde conoscenze storiche dell’autrice si dispiegano felicemente in questo noir ricco di misteri e di legami con il passato.
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Appena ripubblicato da Edizioni Capricorno nella collana Capolavori Ritrovati, L’altare del passato di Guido Gozzano ci consente di scoprire, se ancora non l’abbiamo fatto, la prosa del poeta di “Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state”. In questi undici racconti “riaffiorano tutti i temi cari al poeta - la malinconia, il rimpianto per il tempo che passa, i ricordi ingialliti, l’esitazione amorosa, l’indulgenza verso gli oggetti inutili”.
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A cento anni dalla nascita dell’autore (New Orleans 1924 - Bel Air 1984) Garzanti ha appena ripubblicato Bare intagliate a mano: cronaca vera di un delitto americano (presente anche nella raccolta Musica per camaleonti), sorta di reportage esposto in forma narrativa di Truman Capote. Non potevamo aspettarci niente di meno dallo scrittore che, dieci anni prima della pubblicazione di questo giallo, in Sangue freddo (da cui nel 2005 è stato tratto un film con la strepitosa partecipazione di Philip Seymour Hoffman) aveva romanzato un fatto di cronaca che nell’America del 1959 aveva destato grande scalpore: lo sterminio di un’intera famiglia per un bottino di pochi dollari.
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Anche questo thriller, per quanto incredibile possa sembrare la sua progettazione (e poi realizzazione), si ispira alla realtà, raccontata in forma di dialogo tra l’autore e l’investigatore incaricato delle indagini. Uno stile assolutamente inimitabile.
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Ambientato in una Milano semideserta di metà agosto (il cadavere di una donna annegata viene recuperato nel Lambro) Le conseguenze del male di Gian Andrea Cerone è ormai un best seller. Avevamo già proposto questo autore nel post natalizio (I libri della renna) per un racconto contenuto nell’antologia Un lungo capodanno in noir, la cui protagonista, Marisa Bonacina, era la moglie del commissario Mandelli, che invece campeggia in questo thriller estivo da leggere tutto d’un fiato. Il numero di donne trovate annegate è decisamente troppo alto perché si tratti sempre di suicidi e, contestualmente, il commissario, costretto a interrompere le ferie, si trova a fare i conti con il passato. Un duplice percorso di indagine guidato da una scrittura che attanaglia l’attenzione del lettore per non abbandonarla più.
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Il Saggiatore ha appena ripubblicato una raccolta dei racconti di un autore ingiustamente dimenticato, Guido Morselli, intitolata Gli ultimi eroi. “Gli ultimi eroi raccoglie per la prima volta tutti i racconti di Guido Morselli, narrazioni in cui, come solo nelle sue opere più alte, la sua invenzione si libera, dando vita a realtà alternative e a commoventi ritratti umani: da un Mussolini che si trasforma per amore in leader democratico all’incontro fra Pio XII e uno Stalin che vuole sostituirlo con un sosia; dall’ultima grottesca resistenza di un gruppo di soldati nazisti fuggiti da un manicomio a un comico tentativo di far finanziare agli americani l’Unità d’Italia. Fantasmagorie proiettate sul muro da una lanterna magica, la cui luce ci permette di osservare per una volta, una volta ancora, l’abbacinante talento di un maestro nascosto”. Da non perdere.
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Se ancora non l’avete letto, vi consigliamo Zipper e suo padre, uno dei migliori romanzi di Joseph Roth. Ambientato durante gli anni della Grande guerra e della repubblica di Weimar, è incentrato sul tema universale dei rapporti familiari e questo ne fa un’opera sempre attuale. Dal padre frustrato che maltratta e umilia la moglie e il figlio primogenito, al protagonista (amico del narratore, rappresentato dallo scrittore stesso) Arnold che, dopo la partecipazione al conflitto, si isola diventando angolista, neologismo che indica la sua volontà di stare in disparte in qualsiasi circostanza sociale, la famiglia Zipper rappresenta il simbolo dei danni provocati dalla guerra. Il risultato è la formazione di una generazione di indifferenti (per citare le parole dell’autore), proprio come li descriveranno Gramsci, nell’articolo Odio gli indifferenti, e Moravia, nel suo capolavoro. Si gusta ogni singola pagina.
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unfilodaria · 3 months ago
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- Motore!
- Partito!
- CIAK!
ANATOMIA DI UN AMORE PERDUTO - Scena 110, primo piano, interni…
Tenendole le mani strette - non andartene lo sai che ti amo…
- NOOO, STOP! STOP! maledizione, non è questa la battuta… é la centodecima che giriamo e me la sbagli ancora? E che cazzo sei de coccio? Le devi dire “Si ho sbagliato tutto… vai per la tua strada, me ne farò una ragione” questo le devi di’
- Ma io la amo!!!
- “Ma io la amo! Ma io la amo!” Ma che c’hai tre anni?…
- cinquantano…
- e non mi interrompere, coglione! Lo so che c’hai cinquantanovanni sonati. E che non lo so? E proprio per questo che la tua battuta non va bene, sa de vecchio, de romantico stantio. Devi da esse’ moderno, emancipato, anche un po’ sboccato, tipo “ma si fai quello che cazzo ti pare, sei adulta e vaccinata e…”
- e non sai che te perdi…
- e daje! Ma sei coglione forte? Innanzi tutto sei tu che l’hai mollata, che l’hai tenuta sulla corda come uno stronzo per due anni, con un “non è cosa, ci siamo fatti troppo male e bla bla…”
- ma lei ha…
- “ma lei” un cazzo! E statte zitto quando ti dico una cosa importante! Te dicevo, l’hai tenuta sulla corda, tutte le pippe dell’orgoglio ferito, del sentirsi tradito, morto! E c’hai rotto bello mio. Lo vedi che t’ha detto ciao, s’é trovato n’antro e se lo scopa pure? (Scusa ma se non parlo così sto stronzo non capisce)
- e che non ce lo so che sta con un altro? Ma mica me sento de morì per questo? É andata!…
- E dimmi perché te senti di morire? Non perché se la scopa un altro? (Scusami ma se non glielo sbatto ‘nfaccia lo stronzone non capisce)
- É che mi sento un coglione…
- ecco bravo: l’hai detta una buona…
- che mi sento il cuore in gola, che mi sembra di vederla ad ogni angolo, che mi vengono i vuoti al cuore, che c’ho una tristezza infinita… Ma che non lo sai?
- e si che lo so. Stai tutto inciancicato, e che non lo vedo? Ma allora perché non gliel’hai detto prima che l’amavi? Che era la ragione della tua vita? Perché non le hai ammollato un bacio quando potevi e pure qualche altra cosa (e d’occasioni sto stronzo in due anni ne ha avute che ne avute, vero?)
- si le ho avute, vero. Ma lei non se ne può venire, dopo manco 15 giorni che c’eravamo lasciati (Lasciati poi... almeno per me non lo era, cercavo di mantenere il punto. Nella incazzatura del momento, si, lo abbiamo detto e ripetuto. Incazzati violentemente, so volate parole grosse, troppo grosse, come sempre, abbiamo scantonato di brutto) dopo che stavamo per fare davvero, almeno così ci eravamo detti quella maledetta sera, e se ne viene con “sto con un altro, sento che è una cosa importante…” e allora la nostra che era? m'ha preso per il culo? Che c’avevo da pensare se nell’arco di un mese (maledettissimo agosto di ogni stramaledetto anno) é cambiata come il giorno e la notte e mi porta all’esasperazione (coglione che ci casco sempre e poi sempre), evidentemente cercando il pretesto per fanculizzarmi e farsi fanculizzare… e poi la storia importante… che c’avevo da pensa’? Che c’avevi il serpe nel manicone? Che ti stavi già guardando attorno? Che la cosa per te non era così seria? Mi so’ sentito ferito a morte.
- ma quando la fai tragica. Ma se sei stato il primo a cacarti addosso? Che temevi che la cosa diventasse così seria da perdere il controllo e non riuscire a risolvere tutte le cose rimaste appese cinque anni prima? (tua figlia, sua figlia, le incomprensioni? Le INSODDISFAZIONI! la parte economica e tutto il cazzo che vi fotte!) Che è? Mo' ti brucia? Non parli più? St'orgoglio del cazzo! Te lo ficchi adesso lì l’orgoglio… mo te lo tieni tutto e ti stai zitto.
- ma io…
- muto! Concentrati, ripeti la battuta e non diciamo cazzate.
Forza ragazzi, attivate le macchine che giriamo
- Motore!
- Partito!
- CIAK: ANATOMIA DI UN AMORE PERDUTO - Scena 111, primo piano, interni… Azione!
Tenendole le mani strette - ti auguro tutta la fortuna possibile. Vivi la tua vita. Ti voglio bene...
- BUONA QUESTA! C’è un "ti voglio bene" di troppo ma va bene così. Tu non sei Redford ed io non sono Neil Simon.
Pausa di dieci minuti e poi giriamo in esterni.
E tu coglione, ricomponiti, asciugati quelle lacrime del cazzo. Lei è andata, fattene una ragione una volta per tutte. Hai una vita davanti e tanti film ancora da girare.
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firewalker · 5 months ago
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Invido la gente che sa spegnere il cervello
Mi è stato detto più volte che sto troppo tempo con le cuffiette, e probabilmente è vero. Praticamente, se non sto su internet o a leggere qualcosa, ho sempre qualcosa da ascoltare, tipicamente podcast o audiolibri.
Questo perché se faccio qualcosa di manuale, che non lascia la mente attiva come la lettura, ad esempio, preferisco stare con le cuffie. Perché il mio cervello non si spegne.
So di gente che dice di non pensare a niente in certi momenti, e io li invidio tantissimo. So di gente che pensa in continuazione a questo o a quel problema, alla soluzione migliore per un dato compito, a come organizzare la cena, a cosa c'è intorno a lei... insomma, pensa. Pensa normalmente, dico.
Io no. Io canto. E purtroppo canto canzoni
tipicamente sceme o ridicole o, in qualche modo, non proprio adatte in ogni momento
che spesso non conosco per intero
Ad esempio, stamattina ho fatto la prova di un percorso di Nordic per un'uscita che abbiamo in programma domenica della settimana prossima. Non ho messo le cuffiette perché volevo sentire il telefono che mi dava indicazioni su dove andare, seguendo un percorso già segnato, e perché dubitavo che la batteria delle cuffiette sarebbe durata abbastanza da reggere per tutto il giro.
Quindi stavo facendo Nordic, l'ho fatto per circa due ore e mezza, e intorno a me avevo qualche rara persona, alberi, fiumi, montagne, insetti, rumore di bosco per la maggior parte del tempo. Bellissimo.
E invece no
La prima canzone che ricordo di aver cantato (sempre nella mia mente, mai a voce alta, non mi serve) è I Watussi. E non dall'inizio alla fine, ma per almeno 40 minuti il mio cervello è andato in loop su noi siamo quelli che all'equatore vediamo per primi la luce del sole noi siamo i Watussi. QUARANTA MINUTI DI QUELLA FRASE. Perché i Watussi e perché quella frase? Non lo so. Forse ho letto wafer su un incarto gettato a terra. Quando me ne sono accorto (sì, me ne devo accorgere) ho cercato di scacciare la canzone pensando a qualcos'altro, magari un filino più moderno. Ho pensato Pausini, Baglioni e poi... BAM, di nuovo i Watussi. E di nuovo loop, stavolta almeno cantavo un po' di più e non solo quella riga.
Poi sono arrivati i Backstreet Boys. Eh già. You are my fire... e basta, perché conosco davvero poche parole di quella canzone! E anche qui, loop finché... boh, è arrivata
Rosvita Rosvita socnrinaiunriuneaiufnaeiruniunITA (non so le parole, faccio versi nel mio cervello) che lenza, che lenza, se vuoi prendere il pesce più grosso ci vuole pazienza
Due ore e mezza di camminata dopo, arrivo alla macchina stanco fisicamente e devastato mentalmente, con un repertorio completo di cinque o sei canzoni. Cinque o sei pezzi di canzoni ripetuti all'infinito.
E la mia vita è sempre così. Se monto un mobile d'Ikea fischietto o canto, e saranno sempre le stesse note e le stesse parole finché non ho finito. Se sto facendo un lavoro in cui la testa non è impegnata ho la radio che parte e non la posso fermare.
Quindi, come da titolo, invido la gente che sa spegnere il cervello.
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falcemartello · 2 months ago
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Lo Stato moderno non rappresenta affatto il più grande gruppo di potere.
Il globalismo NON è un prodotto statale (per definizione), che anzi mira a eliminare l'idea stessa di stato-nazione come nucleo rappresentativo dello spirito di un popolo.
Matte Galt
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jazzandother-blog · 4 months ago
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https://youtu.be/9B7ZWDaKECI?si=xFf6HwQfex3zQCUm
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(English / Español / Italiano)
On March 2, 1959, at 2:30 in the afternoon, a group of musicians entered an old church on 30th Street in New York that the Columbia record company had converted into a recording studio thanks to the special sonority of the place. The musicians belonged to the sextet of Miles Davis, trumpeter and composer extraordinaire, a cornerstone of modern jazz. The first to arrive was drummer Jimmy Cobb, who calmly and carefully set up his drum kit. Soon after, bassist Paul Chambers, saxophonists Cannonball Adderley and John Coltrane, pianists Bill Evans, who no longer belonged to the sextet but would record on this album, and Wynton Kelly arrived. Finally, Miles, the leader of the group. Without even knowing it, this first session and the second recorded on April 22 would become fundamental in the history of both jazz and music. The product of those two days would be called Kind of Blue and was released on August 17 of the same year.
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El 2 de marzo de 1959, a las dos y media de la tarde, un grupo de músicos entraron a una antigua iglesia en la calle 30 de Nueva York que la compañía discográfica Columbia había convertido en estudio de grabación gracias a la sonoridad especial que tenía el lugar.Los músicos pertenecían al sexteto de Miles Davis, trompetista y compositor extraordinario, piedra angular del jazz moderno. El primero en llegar fue el baterista Jimmy Cobb quien con tranquilidad y esmero montó su batería. Poco después llegarían el bajista Paul Chambers, los saxofonistas Cannonball Adderley y John Coltrane, los pianistas Bill Evans, quien ya no pertenecía al sexteto pero que grabaría en este disco, y Wynton Kelly. Finalmente, Miles, el líder del grupo. Sin siquiera saberlo, esta primera sesión y la segunda grabada el 22 de abril se volverían fundamental tanto en la historia del jazz como de la música. El producto de ese par de días se llamaría Kind of Blue y salió a la venta el 17 de agosto del mismo año.
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Il 2 marzo 1959, alle due e mezza del pomeriggio, un gruppo di musicisti entrò in una vecchia chiesa della 30ª strada a New York che la casa discografica Columbia aveva trasformato in studio di registrazione grazie alla particolare sonorità del luogo. I musicisti appartenevano al sestetto di Miles Davis, trombettista e compositore straordinario, pietra miliare del jazz moderno. Il primo ad arrivare fu il batterista Jimmy Cobb, che con calma e attenzione sistemò la sua batteria. Subito dopo arrivarono il bassista Paul Chambers, i sassofonisti Cannonball Adderley e John Coltrane, i pianisti Bill Evans, che non faceva più parte del sestetto ma che avrebbe registrato su questo album, e Wynton Kelly. Infine, Miles, il leader del gruppo. Senza nemmeno saperlo, questa prima sessione e la seconda registrata il 22 aprile sarebbero diventate fondamentali nella storia del jazz e della musica. Il prodotto di quei due giorni si sarebbe chiamato Kind of Blue e sarebbe stato pubblicato il 17 agosto dello stesso anno.
Fuente: Pasión por el Jazz y Blues
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libriaco · 4 months ago
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La fine del Medioevo
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«Mi creda, dottore, non si riusciva a chiudere occhio. C'è chi fa cominciare l'Evo moderno dall'anno in cui è stato inventato il Flit. Non discuto. Ma il Flit vuole anche dire finestre tutte chiuse. E le finestre chiuse significano lenzuola che ti si attaccano alla pelle per il sudore. Non scherzo. Fino a ieri vedevo avvicinarsi la notte terrorizzato. Maledette zanzare!»
G. Bassani, Gli occhiali d'oro [1958], Milano, Mondadori, 1980
Il para-diclorodifeniltricloroetano o DDT (in alcuni paesi commercialmente noto come FLIT) è un solido incolore altamente idrofobico, con un leggero odore di composto aromatico clorurato.
Immagine: una pubblicità della Bombrini Parodi - Delfino comparsa sul numero del 6 giugno 1948 de "l'Unità".
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anglerflsh · 10 months ago
Note
I love your passion about the history. I wish I could study it or at least know which books I should read. Do you have something to recommend? I got that pirate history book you mentioned noted. I actually note every book for studying that you mention to know what I can read and be sure it's good.
Oh! Well, honestly if you have the Volume of Braudel's History of Mediterranean Civilisations I mentioned (yes, the one with pirates) that is already one good recommendation from my list, I loved studying from that and I'll probably read the second volume as well for my own fun.
The thing is, recommending books about history is tricky because of the sheer span of... Human History. There could be a lot of facets you could be more or less interested about!
Here's a little few that I can recommed out of what I liked: I think I've talked about the essay collection about the history of european public law I read before, so if the topic interests you, "Lo Stato Moderno In Europa" by Fioravanti could be up your alley. Or, if you'd rather read a quasi-biography more about a specific topic, I also liked "Caccia alle streghe: Pierre de Lancre" by Palazzo. And if you'll allow me to publicise something by one of my professors, "Tempi Barbarici" by Gasparri and Rocca is quite interesting too! I'll also add (if you can find an edition, because my copy was written by my highschool teacher and gifted to me directly) the Manzoni book about the French Revolution and the Risorgimento.
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multiverseofseries · 4 months ago
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House of the Dragon 2, Episodio 6 (Smallfolks): Women Power!
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È un passo a due quello del sesto episodio della seconda stagione di House of the Dragon (2x06): Rhaenyra e Mysaria, Daemon e Alys, Aegon e Aemond. Una danza parallela a quella dei draghi, ma che non si evolve come vi aspettereste.
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House of the Dragon* continua sulla scia delle puntate che solo apparentemente sono statiche, di strategia e non di azione, ma è solo un'impressione. Lo spin-off del Trono di Spade, con il sesto episodio della seconda stagione si avvicina verso il gran finale. Tuttavia, dopo il quarto sconvolgente episodio, qualcuno si è lamentato dell'eccessivo andamento altalenante della narrazione.
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Emma D'Arcy e la sua Rhaenyra rimangono uno dei fiori all'occhiello della serie
Dispiace leggerlo in giro perché sembra che gli spettatori non abbiano più pazienza. Pazienza di gustarsi l'episodio settimanale con calma; pazienza di attendere gli sviluppi dei personaggi e delle storyline, che non sono sempre immediati, come la scrittura originaria di George R.R. Martin, del resto, insegna. Poi, la pazienza di non pretendere svariate morti truculente in ogni episodio, altrimenti anche il realismo drammatico in salsa fantasy del mondo delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco rischia di sgretolarsi.
La rivincita dei "bastardi"
Nel finale del quinto episodio Rhaenyra (Emma D'Arcy) insieme al primogenito Jace (Harry Collett) aveva avuto la folle idea (degna del nome della Casa che porta) di riunire gli eredi di altre famiglie di Westeros che avevano del sangue Targaryen nelle vene da antiche discendenze per provare a forgiare nuovi cavalieri di draghi. Perché, nella Danza dei Draghi oramai entrata nel vivo, bisogna averne di più, averli più grandi e saperli cavalcare. Purtroppo la Regina legittima erede al Trono di Spade ne ha persi due in poco tempo: prima quello di Daemon (Matt Smith), oramai arroccato ad Harrenhal preparando sostanzialmente si un'offensiva contro i verdi ma anche contro la moglie; e poi Rhaenys il cui drago è stato ucciso in battaglia, creando stupore e scalpore in tutto il regno.
In quest'ottica l'idea potrebbe essere geniale… oppure rivelarsi un pericoloso fiasco totale: se andrà male, chi altro senza sangue puro e primario potrà mai avere il coraggio di avvicinarsi nuovamente ad una di quelle mitiche creature sputafuoco? Questi "pretendenti" non sono gli unici "bastardi" (non in senso letterale) estraniati su cui si concentra la puntata: torna il fratello di Daemon e Viserys, che torna in un cameo inaspettato attraverso le visioni del Principe Consorte e che farà felice i fan, torna il fratello di Alicent che la aggiorna sull'altro suo figlio, Daeron, riflettendo su come sarebbero state le loro vite se il padre Otto avesse puntato tutto sul primogenito e non su di lei.
Una donna tra gli uomini
Proprio Alicent (Olivia Cooke) è di nuovo al centro dell'episodio in modo speculare rispetto a Rhaenyra e in questo House of the Dragon continua il discorso sul women power della scorsa: come dicevamo, due fazioni, stessa famiglia allargata, due concili ristretti eppure stesse problematiche da affrontare per le due Regine e stesso ragionamento patriarcale figlio del tempo fantastico, ma a tratti socialmente fin troppo reale, che racconta. Eppure proprio in questo spin-off venuto temporalmente ben prima degli eventi, Ryan Condal riesce ad essere ancora più moderno e legato ai tempi che corrono.
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Il verde del vestito di Alicent è di nuovo protagonista e simbolico
Con un plot twist perfettamente coerente col racconto imbastito finora che riguarda Rhaenyra e che la conferma un'abile stratega grazie anche alla sua (oramai) consigliera Mysaria (Sonoya Mizuno), riesce a fare, metaforicamente parlando, breccia tra le mura di King’s Landing. Alicent invece partendo da suo padre Otto continua ad essere usata da tutti gli uomini della sua vita - compreso Ser Criston, se ci fermiamo a riflettere un attimo - e, quando ha mal interpretato le parole del marito in punto di morte, pensava di poter controllare Aegon ed ora si è ritrovata per le mani il regno del terrore di Aemond (Ewan Mitchell), che è pronto a distruggere tutto quello che c'è stato prima in nome del piano machiavellico che ha in mente.
Fratelli coltelli
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Il sadismo di Aemond la fa da padrone nella puntata
Il sesto episodio è davvero un eterno passo a due tra le coppie di personaggi citate, in precedenza, e tra queste non si può escludere proprio il Re Usurpatore e suo fratello con la benda sull'occhio. Ci sono almeno due sequenze profondamente inquietanti e disturbanti tra i due Targaryen che lasciano col fiato sospeso. Così come qualche altra scena particolarmente avvincente che passa solo in parte all'azione ma che contribuisce a giocare con lo spettatore che dalla narrativa di Martin si aspetta sempre il peggio dietro l'angolo.
Non sono gli unici due parenti di sangue che si confronteranno in questo episodio, mentre Alys Rivers (Gayle Rankin) - altro personaggio sempre più chiave proprio come Mysaria - continua con le proprie affermazioni sibilline e il proprio carisma magico e mistico, consigliera di un uomo sempre più in balia dei propri demoni, di nome e di fatto. Parallelamente il serial affronta la questione sociale del popolo affamato, e ancora una volta le due parti della stessa Casa avranno un atteggiamento molto diverso sul problema. La risposta, neanche a farlo apposta, è nei draghi.
Conclusioni
In conclusione Il sesto episodio della seconda stagione di House of the Dragon (2x06) è sicuramente un episodio di passaggio – il precedente era più un “post mortem” - ma allo stesso tempo è ricco di sequenze angoscianti e piene di significato che ci dicono molto sui personaggi e sulla loro involuzione più che evoluzione. È come se stessero tutti sprofondando in un abisso sempre più nero dal quale sarà difficile tirare fuori qualcosa di buono. A rimetterci però è sempre il popolo dei Sette Regni, che inizia ad insorgere pesantemente e pericolosamente.
👍🏻
Strutturare la puntata a coppie di personaggi, consanguinei e non, con qualche colpo di scena in canna.
Il sadismo di Aemond.
L’idea dei consanguinei “latenti” in una serie sulla successione di sangue.
È un episodio sicuramente di passaggio (anche se in realtà ricco di vari spunti narrativi).
La perdita della bussola di Daemon potrebbe urtare i fan del personaggio, n ma resta in linea per come ci era stato presentato fin dall’inizio della serie.
👎🏻
In molti sicuramente troveranno qualcosa che non va, del resto è l'hobby del fandom di Hotd di questionare su qualsiasi dettaglio, ma per questa puntata mi astengo perchè non ho trovato nulla di rilevante che non mi sia piaciuto.
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