#Storia del Medio Oriente
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" La globalizzazione ha compromesso la stabilità di numerosi regimi autoritari, dalla Libia alla Siria all’Iraq, facendo prendere coscienza ai popoli delle proprie condizioni politiche. La caduta di Gheddafi nel 2011 si è tradotta in un vuoto politico che milizie tribali rivali – dai liberali agli islamisti della linea dura – hanno riempito con la paura. La violenta reazione alla Primavera araba siriana e alla sollevazione dei sunniti iracheni ha creato un vuoto analogo. L’obiettivo comune dei tanti gruppi armati che l’hanno riempito è la conquista del potere politico ed economico in vista di uno sfruttamento, non della creazione di uno stato democratico né di una nuova nazione nel senso moderno della parola. Al contrario, l’anarchia è il terreno più fertile per il saccheggio delle risorse e lo sfruttamento delle persone. Il processo di degenerazione e crollo dello stato è quindi la causa ultima del carattere premoderno dei conflitti odierni, ed è un fenomeno sempre più legato a fattori economici, al drastico impoverimento di vaste regioni e popoli. La globalizzazione ha portato la prosperità in alcune aree, come la Cina o il Brasile, e la povertà in molte altre, come il Medio Oriente e parti dell’Africa. La crisi dello stato in Africa è legata in parte agli allarmanti mutamenti climatici, in parte alla corsa dei paesi ricchi per accaparrarsi le risorse del continente. In Medio Oriente altri fenomeni hanno contribuito a questo impoverimento."
Loretta Napoleoni, ISIS - Lo Stato del terrore. Chi sono e cosa vogliono le milizie islamiche che minacciano il mondo, traduzione di Bruno Amato, Feltrinelli, 2014¹; pp. 109-110.
[Edizione originale: The Islamist phoenix : The Islamic State and the redrawing of the Middle East, Seven Stories Press, New York, 2014]
#Loretta Napoleoni#ISIS - Lo Stato del terrore#medioriente#Storia del Medio Oriente#Storia del Medioevo#Stato Islamico#Età delle invasioni#letture#leggere#terrorismo islamico#Storia della civiltà islamica#imperialismo americano#saggi#globalizzazione#rivoluzioni colorate#amministrazione obama#Facebook#guerra per procura#terrorismo#rivoluzioni#Primavere arabe#democrazia#libertà#saggistica#relazioni internazionali#mondo#Siria#Iraq#Palestina#Libano
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L'unica democrazia del Medio oriente
Solo l'Occidente conosce la storia
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Non so molto su Hamas ma io mi stavo riferendo agli occidentali sionisti che usano i crimini di Hezbollah contro loro
Forse non sai la storia del guerra civile in Siria ma questo è quanto, la Siria (paese confinante sia con il Libano sia con Israele) è governata dal dittatore Bashar al-Assad, lui è molto odiato e corrotto (ma è anche pro-Palestina perciò), nel 2011 c'è stata una rivoluzione in Siria per toglierlo di mezzo e instaurare un governo democratico, questa rivoluzione è diventata una guerra civile tra il governo di Assad e le forze ribelli, dato che il lato di Assad stava perdendo e che Assad è un importante alleato della Russia e dell'Iran, questi ultimi hanno mandato Hezbollah (anche loro recipienti di aiuti militari ed economici di RU+IR, anche se la storia dietro la loro alleanza è abbastanza complicata) a schiacciare le forze ribelli, Hezbollah è considerato il più potente esercito non-statale al mondo e hanno praticamente salvato il culo di Assad senza problemi (ed anche forze militari russe e iraniane sono state mandate), queste sono solo un paio delle interferenze straniere durante la Guerra Civile Siriana (anche l'America, la Turchia, l'Iraq e moltri altri stati ci hanno messo le mani, qui è dove L'ISIS è nata e hanno dichiarato guerra al mondo intero), non per niente quasi 10 milioni di siriani sono scappati dal paese per sopravvivere
In questa guerra migliaia di civili, uomini, donne e bambini siriani sono morti, molti uccisi dalle forze Hezbollah e russe per mantenere un dittatore al potere, questo gli ha resi estremamente odiati in certe parti del mondo arabo, ed io sono d'accordo con loro, fanculo Assad e i suoi amico, ma non sopporto quando le loro tragedia viene usata da occidentali sionisti anti-Hezbollah che gli odiano perché posano una minaccia all'IDF e non perché se ne fregano veramente degli innocenti civili siriani, la maggioranza di siriani sono pro-Palestina, e vogliono che la Siria, il Libano e la Palestina siano libere, pacifiche e democratiche
Comparated to twitter it's so much easy finding zionists on this site, you see a repost of tweet made by an arab saying something like "hey isn't kinda fucked that Hezbollah are being treated like the heroes of Middle East after all the shit they did?" and then you check the TUMBLR account that reposted it and they will always a have a tag like #palestinians_deserve_to_be_raped
#non so se sapessi sto fatto ma è molto importante per capire la lunghissima storia di hezbollah#loro non sono gli eroi del medio oriente. ma sono sicuramente il male minore tra loro e l'IDF
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Un anno dopo la falsa libertà dell’indifferenza | il manifesto

Pubblicato circa 12 ore fa
Edizione del 6 ottobre 2024
# Mario Ricciardi
«La storia conosce molti periodi di tempi bui in cui lo spazio pubblico è stato oscurato e il mondo è diventato così esposto al dubbio che le persone hanno cessato di chiedere alla politica niente altro se non che presti la dovuta attenzione ai loro interessi vitali e alla loro libertà personale. "
Sono parole di Hannah Arendt, scritte nel settembre del 1959, in occasione del conferimento del premio Lessing, ma rimangono attuali ancora oggi.
Le riflessioni di Arendt erano in parte ispirate dalla sua esperienza di ebrea apolide, sfuggita alla persecuzione nazista e alla Shoah, ma non avevano un carattere esclusivamente retrospettivo, e neppure riferito soltanto allo sterminio degli ebrei. L’oscuramento dello spazio pubblico cui allude Arendt è una condizione che deriva dall’impoverimento del tessuto connettivo da cui dipende la politica nel suo senso più nobile, che non la riduce al nudo uso della forza, ma si alimenta invece nel dialogo e nel confronto tra i cittadini di una repubblica.
Nei tempi bui il conflitto sociale, che è un fattore essenziale di una democrazia sana, perde il proprio carattere positivo, di espressione della pluralità delle opinioni e della parzialità delle verità che esse esprimono, e lascia il posto a contrapposizioni identitarie, e alla fuga dalla politica di ampi settori della popolazione, che si rifugiano nel culto esclusivo dei propri interessi e della propria libertà personale, priva di alcun collegamento con l’azione collettiva.
Chi si sente minacciato – i perseguitati, gli oppressi – cerca soltanto la compagnia di chi condivide lo stesso destino, e chi si trova invece in una condizione di relativa sicurezza vive sovente come un esiliato in patria, coltivando una visione individualista della vita e degli scopi che essa si prefigge. In una situazione del genere è inevitabile che si perda la sensibilità nei confronti delle ingiustizie che colpiscono gli altri, quelli che non appartengono alla nostra cerchia, e che si finisca per accettare come un fatto la prevalenza del forte sul debole.
In gioventù Arendt aveva conosciuto questo atteggiamento di acquiescenza nel modo in cui tanti tedeschi, persone in molti casi colte e ben educate, scelsero semplicemente di ignorare «la chiacchiera intollerabilmente stupida dei nazisti». Noi lo vediamo oggi nel modo in cui molti voltano lo sguardo dall’altra parte mentre c’è chi ripropone una visione suprematista e violenta dei “valori” della società occidentale, negando l’umanità delle vittime innocenti dei bombardamenti a Gaza e in Libano.
Un anno di guerra
A un anno dal 7 ottobre questa forma di cecità morale si manifesta nel ricordare la vittime dell’attacco di Hamas solo per tentare di giustificare la reazione, sproporzionata e illegale, del governo Netanyahu, e nel disinteresse nella sorte degli ostaggi israeliani, molti dei quali sono morti o rischiano di morire come “danni collaterali” di una guerra che potrebbe estendersi a tutto il Medio Oriente a servizio di un disegno politico di pura potenza.
Chi potrebbe permettersi di coltivare l’altruismo e l’apertura verso il prossimo rinuncia a farlo, lasciando il campo aperto a una guerra in cui tutti si considerano aggrediti, nessuno è in grado di riconoscere le ragioni altrui, ma una parte può mettere in campo una forza militare di gran lunga superiore, e non si fa alcuno scrupolo di usarla in modo indiscriminato, non per colpire il nemico, ma per punire un intero popolo. All’orizzonte c’è la concreta possibilità che si compia un genocidio, perpetrato dalle vittime di ieri che hanno scelto di farsi carnefici.
Dopo un anno persino chi ha criticato in modo più convinto le scelte del governo Netanyahu corre il rischio di soccombere al senso di impotenza, alla difficoltà che si incontra nel far sentire la propria voce di dissenso superando gli ostacoli e le intimidazioni provenienti da chi è convinto che lasciare mano libera all’uso indiscriminato della forza da parte di Israele soddisfi un “superiore” interesse strategico, e sia utile per puntellare una sempre più fragile egemonia.
Lasciare sole le vittime – i palestinesi, i libanesi, gli israeliani che hanno ancora il coraggio di opporsi alle scelte del proprio governo – è una tentazione ricorrente, per rifugiarsi nello spazio ristretto, ma per alcuni soddisfacente, del proprio interesse e della propria libertà. La lezione che ci trasmette Hannah Arendt e che, così facendo, ci stiamo incamminando sulla stessa strada percorsa nel secolo scorso dai tedeschi che scelsero di ignorare la «volgarità» nazista.
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In sintesi.
Quelli che fino a ieri narravano come la Russia fosse sull'orlo del collasso economico e sociale, ora vogliono farci credere che Putin sarebbe in grado di invaderci tutti, a uno a uno. Nonostante la Nato.
Era fake la narrativa prima come è fake adesso. Tipo Kamala la vincerà e Biden presidente più votato della storia. Ci vorrebbe più equilibrio da maturi, meno equilibrismi da checche isteriche. Tant'è, è il mondo socialista social, zeppo di Contrordine Compagni Trinariciuti; chi ci casca è perdente.
Torniamo al punto. I fake emanati dai Burosauri dell'Apparato europide coi loro media e cul-turame a libro paga, ora convergenti sulla balla della emergenza difesa europea, paradossalmente sono originati da una necessità reale: gli Usa si orientano finalmente contro il vero nemico primo dell'Occidente, (non è Soros ma) la Cina; per questo recluteranno la Russia come alleato, per completare la barriera contenitiva e fatalmente mollando le retrovie Europa e Medio Oriente. I fronti si spostano: è la geopolitica, bellezza.
Nel M.O. sono già appuost' : il Patto Abramo cioè Israele+Arabia Saudita e UAE sistemerà finalmente le questioni regionali.
Invece l'Europa si trova fuori equilibrio (non ci vuol tanto). I BuroPoteri Marci europidi non vogliono ridimensionarsi tornando a sviluppare il Mercato Comune, pensando all'approvvigionamento energetico. Devono fingere di dover gestire emergenze e pandemie: senza, il Re EU politico è nudo, un Ente Inutile.
Per cui passano la narrativa del divorzio voluto da Trump che insegue l'amichetta Putin e ci fotte l'Ucraina, dove avevamo già vinto mannaggia, bastava solo un finto sconfinamento in Polonia già tentato da Zelensky per mandarci le truppe di tutta la Nato ed era fatta.
Il risultato del nuovo fake sarà pericoloso: produrrà il riarmo dei soli tedeschi, tutti gli altri han le pezze al chiulo. Dejà vu, corsi e ricorsi novecenteschi, limitati cmq. al piano regionale neo-periferico. Qui dovremmo spendere soldi si ma in cyber security e Iron Dome, altro che carrarmati. Con belle ricadute economiche.
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Le "Sette Figlie di Eva" sono un concetto affascinante e rivoluzionario nell’ambito della genetica delle popolazioni. Questo termine si riferisce a sette donne ancestrali che vissero tra i 10.000 e i 45.000 anni fa, e che, attraverso la trasmissione del DNA mitocondriale (mtDNA), sono alla base della discendenza materna di circa il 95% delle persone di origine europea. Il DNA mitocondriale è trasmesso esclusivamente attraverso la linea materna, il che permette di tracciare il lignaggio materno di generazione in generazione.
Nel 2001, il genetista Bryan Sykes ha reso noto questo concetto nel suo libro Le Sette Figlie di Eva, dove ha ipotizzato che i nostri antenati materni si possano ricondurre a uno dei sette distinti haplogruppi mitocondriali. Ogni haplogruppo è rappresentato da una donna ancestrale ipotetica, e ciascuna di queste donne è considerata una "madre" delle popolazioni moderne.
Le sette donne di cui si parla sono:
1. Velda (la madre di tutti): Velda è la figura ancestrale comune a tutte le donne di origine europea. Viene spesso considerata la più antica di queste antenate, risalente a circa 45.000 anni fa.
2. Helena (Haplogruppo H): Helena è una donna che visse circa 20.000 anni fa e la sua discendenza è una delle più diffuse in Europa.
3. Jasmine (Haplogruppo J): Jasmine rappresenta un altro haplogruppo europeo e la sua linea si estende in gran parte dell'Europa centrale e occidentale.
4. Katrina (Haplogruppo K): Katrina è l'antenata di molte persone nelle regioni dell'Europa settentrionale e centrale, con una diffusione significativa in Europa del Nord.
5. Tara (Haplogruppo T): Tara è l'antenata che ha dato origine a una linea mitocondriale diffusa soprattutto nelle popolazioni dell'Europa meridionale e orientale.
6. Ursula (Haplogruppo U): Ursula ha vissuto circa 40.000 anni fa e la sua linea mitocondriale è una delle più antiche, con una grande diffusione in Europa e anche in Asia.
7. Xenia (Haplogruppo X): Xenia rappresenta un altro ramo ancestrale che ha dato origine a diverse popolazioni, specialmente nell'Europa orientale e in alcune aree del Medio Oriente.
Queste sette donne sono un legame profondo che unisce tutte le persone di origine europea, poiché la ricerca sul DNA mitocondriale ci permette di risalire alle nostre radici più remote, collegando la nostra esistenza a quelle delle nostre antenate, che hanno vissuto millenni fa. La teoria delle Sette Figlie di Eva illumina il mistero. della nostra storia genetica, e ci ricorda l'importanza della trasmissione materna nella costruzione delle nostre identità genetiche.
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Ghali questa volta ha sbagliato a dire "stop al genocidio" durante il festival di Sanremo. La musica, la notorietà, non sono fatte per quello. E' molto più interessante il litigio nella casa del Grande Fratello. Anche Dargen D'Amico ha sbagliato ha dire che il nostro silenzio è "corresponsabilità" è molto più importante la storia del ballo del Qua Qua. Perchè un'artista dovrebbe parlare di botti che tutte le notti lasciano soli orsacchiotti? Perchè di un babbo che corre con un bimbo freddo in braccio, tenendolo avvolto in uno straccio, ne parlano gli artisti? Lasciamolo fare ai giornalisti, gli stessi che quando intervistano un giovane musicista, in un modo brutale, ci tengono a ricordare che è meridionale. Gli artisti hanno sbagliato ad utilizzare un palco così importante per parlare di quello che accade in Medio Oriente, è molto più facile leggere a Domenica In il comunicato di un'amministratore delegato che cita la strage di Hamas ed i lutti e si scusa con "parole che condividiamo tutti". Non a nome mio. Sentiamo in continuazione discorsi che parlano di Dio, ma in questi discorsi sento solo io, io e mio. E non basterà un po' di censura in televisione, per zittire le urla di mamme che si gettano nelle fiamme per cercare un bimbo che piange e che brucia, guardando in faccia un sogno che si infrange. In fondo, laggiù non ci sono futuri medici e artisti o avvocati, ci sono solo futuri rovinati. GHALI HA SBAGLIATO, PERCHE' HA FATTO LA COSA GIUSTA. Ma nella stessa Italia mafiosa che nasconde la testa dentro una busta, perché se non vedo te, tu non vedi me, se non guardo la guerra, la guerra non c'è. E se lo dici ad alta voce all'Ariston, dai fastidio e nessuno vuole sapere che al di là del mare è in atto un genicidio. Stronzi.
Pietro Morello
#parole#frasi e citazioni#citazioni#frasi#frasi sulla vita#frasi tristi#frasi e parole#leggere#frasi tristezza#tristezza#genocide#dolore#rabbia#sanremo#ghali#dargen d'amico#Pietro Morello
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𝑰 𝒓𝒂𝒄𝒄𝒐𝒏𝒕𝒊 𝒅𝒆𝒊 𝒃𝒂𝒎𝒃𝒊𝒏𝒊 𝒊𝒔𝒓𝒂𝒆𝒍𝒊𝒂𝒏𝒊 𝒊𝒏𝒄𝒂𝒓𝒄𝒆𝒓𝒂𝒕𝒊
LENTAMENTE EMERGONO I RACCONTI DEI BAMBINI ISRAELIANI RILASCIATI DALLA PRIGIONIA DI HAMAS
Hanno sofferto la fame, sono stati drogati, gettati in tunnel umidi e buie soffitte, oppressi e picchiati dai loro rapitori o da folle di invasati. Sono stati marchiati a fuoco sulle gambe con i tubi di scappamento delle moto in modo che potessero essere identificati se avessero cercato di scappare, sono stati costretti a guardare i terrificanti video delle atrocità terroriste commesse il 7 ottobre la cui vista nemmeno gli adulti riescono a reggere senza sentirsi male.
Quando chiedevano di andare in bagno dovevano aspettare per ore, quando piangevano venivano minacciati con armi puntate alla testa al grido “stati zitto!”. Alcuni da quando sono tornati riescono solo a sussurrare, altri non parlano mai. Avevano lividi e pidocchi, non si sono fatti la doccia per più di 50 giorni. Per più di 50 giorni non hanno visto la luce del giorno, perdendo la nozione del tempo, una bambina di 9 anni crede di essere stata via un anno. Hanno bevuto acqua fangosa o salata. Alcuni avevano ferite gravi che sono state curate male o non sono state curate per niente.
Gli aguzzini li terrorizzavano dicendo che i loro genitori li avevano dimenticati, che non li volevano più, che sarebbero rimasti in quei tunnel per sempre, che nessuno sarebbe venuto a riprenderli. Un ragazzino di 12 è stato chiuso al buio, da solo, per 16 giorni prima di essere riunito con alcuni altri ostaggi. Due gemelle di tre anni sono state separate l’una dall’altra e dai loro genitori.
“Sappiamo che alcuni bambini rapiti da Hamas sono stati abusati sessualmente. Non sono tra i piccoli che abbiamo in cura noi qui, si trovano in un’altra delle strutture mediche che hanno preso in carico gli ostaggi minorenni dopo il rilascio”.
Ne parla in un’intervista all’ANSA Omer Niv, vice direttore e pediatra dello Schneider Children’s Medical Center, il maggiore ospedale pediatrico di Israele e del Medio Oriente, dove sono in cura 19 piccoli ostaggi rilasciati dopo 50 giorni di prigionia a Gaza. “Sono come fantasmi. Soffrono di una depressione grave in misura mai vista prima, sono tristi, camminano lentamente, non vogliono uscire dalla stanza, scoppiano a piangere se vedono un estraneo, hanno paura, masticano il cibo lentamente, temono ogni rumore”, racconta Niv.
Abigail, Raz, Aviv, Yuval, Emilia, Ofri e tutti gli altri bambini strappati alla loro infanzia sono riemersi da Gaza senza punti di riferimento a cui aggrapparsi: le loro case sono state bruciate, i lettini non ci sono più, giocattoli e libricini ingoiati dalla distruzione che Hamas e Jihad si sono lasciati alle spalle il 7 ottobre. Niv non nasconde le difficoltà che gli stessi team di specialisti stanno incontrando nel curare i piccoli pazienti, dice chiaramente che stanno andando avanti per tentativi, elaborando un metodo per ciascun bambino tornato: “Non ci sono nella letteratura scientifica esempi in cui bambini piccoli di 2, 3, 4 anni siano stati rapiti, tenuti in luoghi claustrofobici, in condizioni igieniche estreme, separati dai loro genitori, nutriti a malapena, torturati con false notizie come la morte di papà e mamma anche se non era vero, con la storia che Israele non esiste più e nessuno sarebbe andato a salvarli. Non c’è mai stata una terapia per questi danni.
Perché non era mai successo niente del genere nella storia dell’umanità – ammette il pediatra – Con psichiatri, psicologi, medici di diverse specializzazioni, sociologi, affrontiamo i bambini uno per uno.
In un certo senso ci sentiamo impotenti”.
Una madre con due bambine di 3 anni è con noi già da una settimana, dal momento del rilascio. Vogliono restare qui: la loro casa è stata data alle fiamme in un kibbutz, il papà è rimasto in ostaggio a Gaza, non vogliono uscire – spiega – Che cosa posso dire a una bambina di 3 anni che ha visto il padre rimanere prigioniero, la madre che piange perché rivuole il marito. I bambini piccoli non riescono a raccontare quello che provano, si chiudono, non dormono, alcuni non hanno un’idea del tempo, non sanno quanto sono rimasti prigionieri, sono stati spostati da un posto all’altro, non sappiamo dove”, si avvilisce Niv.
“Abigail ha 4 anni, i terroristi le hanno ucciso i genitori davanti ai suoi occhi. Lei è riuscita a correre via, si è rifugiata in casa dei vicini, ma poi è stata portata a Gaza con una donna e i suoi tre figli. E’ rimasta senza nessuno dei suoi parenti stretti, papà e mamma morti, senza poter gridare, singhiozzare, lavarsi semplicemente i denti… Come dobbiamo curare questa bambina? In certi momenti ci sentiamo impotenti – dice Niv abbassando la voce di fronte a un dramma così schiacciante – Non sappiamo come sarà la loro situazione mentale domani, tra anni. Ci vorrà molto tempo. Questi bambini probabilmente avranno bisogno di essere curati per tutta la vita”, riconosce il vice direttore dello Schneider.
Hamas ha sedato gli ostaggi con farmaci prima di consegnarli alla Croce Rossa per il rilascio, allo scopo di “farli sembrare calmi e sereni” davanti alle telecamere benché avessero subìto 50 giorni di prigionia, abusi fisici, privazioni e terrorismo psicologico. Lo ha detto ieri la professoressa Ronit Endevelt, capo del Dipartimento nutrizione del Ministero della Sanità israeliano, durante un’audizione alla Commissione Salute della Knesset.
• Ansa, Israele.net —
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La bozza di conclusioni uscita dal vertice dei capi di Stato e di governo europei sottolinea la necessità “imperativa” di preparare i cittadini Ue al rischio di guerra “in vista di una futura strategia di prontezza”. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, due giorni fa, ha usato le parole di Cicerone, annunciando esplicitamente: “Se vogliamo la pace, dobbiamo preparare la guerra”. E la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen che aveva ulteriormente chiarito: “Il mondo è diventato più pericoloso e l’Ue si deve svegliare, sappiamo che le ambizioni di Putin non si fermano all’Ucraina”.
Il testo sottolinea anche la necessità di sviluppare un piano per una preparazione militare-civile coordinata e rafforzata, insieme a una gestione strategica delle crisi, considerando l’evoluzione del panorama delle minacce. Ciò che rende questa situazione ancora più tangibile è il fatto che questo appello è inserito nella sezione “militare” del documento. È un chiaro segnale che l’Unione Europea si sta preparando all’eventualità di un conflitto armato. Tanto che lo stesso Borrell ha invitato ad abbassare un pò i toni per “non spaventare i cittadini europei”.
Il nuovo strumento di assistenza militare all’Ucraina da 5 miliardi è stato approvato e sul tavolo dei leader c’è la anche la proposta sull’uso dei profitti degli asset russi per comprarci armi e munizioni fa fornire a Kiev. Dal febbraio 2022 la UE e i suoi Stati membri hanno fornito o impegnato oltre 143 miliardi di euro a sostegno dell’Ucraina, di cui 33 miliardi in aiuti militari.
Ma a rendere il tutto ancora più inquietante è lo spettro del casus belli che potrebbe portare i paesi europei alla guerra con la Russia.
“L’Europa ha bisogno dell’effetto Pearl Harbour, di uno shock devastante che ne scuota le democrazie, polverizzi la trincea di dubbi, egoismi ed esitazioni infinite, costringendola ad agire con il consenso delle sue opinioni pubbliche”. A scriverlo una veterana del Sole 24 Ore, l’editorialista Adriana Cerretelli che da anni segue la politica europea per il principale quotidiano economico italiano.
“Dietro garanzia di anonimato il nostro interlocutore, politico europeo di alto rango, evoca l’attacco a sorpresa del Giappone alla base navale americana nel Pacifico, quello che nel 1941 ruppe la neutralità degli Stati Uniti, facendone dal giorno dopo i protagonisti della Seconda Guerra Mondiale a fianco dell’Europa democratica contro la Germania di Hitler”.
La Cerretelli scrive su Il Sole 24 Ore del 20 marzo che il vertice del Consiglio europeo in corso a Bruxelles “è il secondo vertice europeo di guerra dopo quello che due anni fa si tenne a Versailles”.
L’editorialista sottolinea come ci siano ancora divergenze in seno all’Unione Europea ma che “la certezza dell’instabilità continentale, l’esplosione del Medio Oriente dopo il massacro del 7 Ottobre, lo shock di novembre se l’America optasse per il ritorno di Trump, salvo sorprese antieuropeo, antiNato e filo-Putin, hanno prodotto profondi ripensamenti”.
Secondo la Cerretelli l’invio di «soldati sul campo», evocato dalla Francia di Macron e sconfessato a metà dopo il no generale, non è sparito dai radar. Come la questione dei missili tedeschi Taurus, che per il cancelliere Scholz è «prudente» non dare agli ucraini ma per altri sono un deterrente indispensabile.
In Europa, dove in alcuni paesi torna la coscrizione obbligatoria, il presidente del Consiglio Ue Charles Michel nella consueta lettera di invito ai 27 paesi membri della Ue, ha scritto che: “Siamo di fronte alla più grande minaccia alla nostra sicurezza dalla Seconda Guerra mondiale, è tempo di fare passi concreti”. E poi ha citato Cicerone: “se vuoi la pace prepara la guerra”.
La storia insegna molte cose, anche come cominciano le guerre. Più difficile è sapere in anticipo come vanno a finire e di solito finiscono male per molti.
Fermiamoli, con ogni mezzo necessario!!
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Operazione Speciale: Lioness, un thriller spionistico al femminile

Taylor Sheridan oramai è di casa su Paramount+, avendo creato gran parte dell'offerta seriale originale attualmente presente sulla piattaforma. Eccezion fatta per Yellowstone, da cui tutto è partito e che da noi è disponibile in esclusiva su Sky e NOW per una questione di diritti, i suoi spin-off 1883 e 1923 e le serie separate da quell'universo, Mayor of Kingstown e Tulsa King, costituiscono l'ossatura del recente servizio streaming.
Punto di vista inedito?

Operazione Speciale Lioness: Zoe Saldana in una scena
Questo nuovo thriller spionistico, che conferma la capacità di Taylor Sheridan di maneggiare il genere e la materia, inizia quasi come la miniserie Maid, ovvero con una giovane donna, Cruz (Laysla De Oliveira) che prova a fuggire dal fidanzato violento in un quartiere degradato, per poi diventare qualcos'altro, quando lei si ritrova in un avamposto dei Marine, che potrebbe mostrarle una nuova strada dove incanalare tutta la sua rabbia e che potrebbe "salvarla". A quel punto arriva il reclutamento nel programma militare americano Lioness, realmente esistente, che addestra giovani donne non solo ad essere spietati soldati ma soprattutto a mascherarsi nella folla sotto copertura per entrare in contatto con possibili fonti in Medio Oriente nella lotta al terrorismo. Le fonti sono donne anche loro: figlie, sorelle, mogli, madri che potrebbero aiutare l'esercito statunitense ad arrivare ai loro figli, fratelli, mariti, padri per fermarli.
Propaganda militare?

Operazione Speciale Lioness: una scena
Il punto di vista sembra quindi inedito per la solita storia di lotta al terrorismo raccontata oggigiorno, soprattutto alla serialità che a Homeland deve molto se non tutto, ma la serie è stata tacciata di propaganda guerrafondaia che ha in fondo sempre caratterizzato la serialità di Sheridan. Anche qui, pensandoci, c'è una distinzione fin troppo netta tra buoni e cattivi, tra amici e nemici. Allo stesso tempo però risulta interessante vedere la messa in atto di quest'operazione sui generis, tra gite al mercato e incontri in gioielleria piuttosto che tra le dune di sabbia nel deserto o in covi in edifici segreti.

Operazione Speciale Lioness: un'immagine della serie
Il bilanciamento tra vita privata e professionale è sicuramente il core di Operazione speciale: Lioness, come dimostrano anche gli altri personaggi. Sheridan ha messo in piedi un cast stellare ancora una volta, dopo la coppia Ford-Mirren in 1923 e Renner e Stallone protagonisti di Mayor e Tulsa: Zoe Saldana, reduce dai successi delle saghe di Guardiani della Galassia e Avatar, imbraccia le vesti di Joe, un'agente della CIA che fatica a mantenere in piedi il proprio matrimonio con Neil (Dave Annable), un oncologo pediatrico, e il proprio rapporto con le loro due figlie. C'è molta onestà in questa relazione, bisogna ammetterlo, dato che la coppia parla con disinvoltura di relazioni casuali extraconiugali rispettive per poter sopravvivere e "sentire qualcosa", quando si ritrovano dopo mesi sotto lo stesso tetto.
Cast stellare

Operazione Speciale Lioness: un momento della serie
Creata da Sheridan insieme a Jill Wagner, che nella serie interpreta la leader della squadra, Bobby, la serie ha come fiore all'occhiello sicuramente la caratteristica di poter vantare nel proprio arsenale anche Michael Kelly (reduce dal successo di un'altra serie spionistica, Tom Clancy's Jack Ryan) nei panni del supervisore della CIA Byron Westfield e Nicole Kidman in quelli del supervisore di Joe, Kaitlyn Meade, e infine Morgan Freeman nel ruolo di Edwin Mullis.

Operazione Speciale Lioness: una scena della serie
Quello che viene messo in piedi è quasi un passaggio di testimone generazionale tra le donne dello show, che nei rari momenti di quiete possono condividere e confrontare le proprie esperienze sul campo e nella vita. Non è detto che la guerra là fuori sia l'unica che queste donne vivono e non è detto nemmeno che sia la più pericolosa. In questo ricorda quasi un Army Wives - Conflitti del cuore al contrario. Operazione speciale: Lioness è la serie che fa al caso vostro se volete un intrattenimento complesso ma non troppo, che guarda fuori dalla finestra per raccontare lo spionaggio oggi, soprattutto quello relativo al fermare un eventuale prossimo 11 settembre e le conseguenze che ciò comporta sulle famiglie dei soldati che decidono di arruolarsi.
Conclusioni
In conclusione Operazione Speciale: Lioness è l’ennesima serie di Taylor Sheridan per Paramount+ che si muove pericolosamente tra l’innovativo e il vecchio stampo, proponendo un intrattenimento non troppo impegnato che guarda all’attualità e ai delicati rapporti tanto dentro casa quanto sul campo di battaglia, e non è detto che questi ultimi siano i più difficili da gestire.
👍🏻
Il punto di vista inedito femminile sia per quanto riguarda i Marine che le fonti che queste devono avvicinare.
Il cast stellare coinvolto.
La messa in scena e i dialoghi asciutti ad alta tensione.
👎🏻
Il rischio di propaganda militare, di cui è stata tacciata la serie, c’è.
#special operations lioness#lioness#paramount plus#paramount#operazione speciale lioness#zoe saldana#nicole kidman#taylor sheridan#recensione#review
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Marjane Satrapi

Marjane Satrapi, fumettista, regista, sceneggiatrice e illustratrice, con il suo lavoro illustrato ha dato voce all’Iran contemporaneo.
È l’autrice del famosissimo Persepolis, il primo fumetto autobiografico sulla storia iraniana poi diventato un film, nel quale descrive la sua infanzia in patria e la sua adolescenza in Europa. La protagonista è una bambina, i suoi giochi, la scuola e la scoperta del rock, che si svolgono in mezzo all’ascesa del fondamentalismo religioso in Medio Oriente.
Una riflessione sui comportamenti legati alla superficialità e al pregiudizio che portano a identificare un paese, un’intera civiltà, con alcuni estremi, drammatici aspetti della sua storia recente.
Scritta con l’intento di “ribattere ai pregiudizi sul mio Paese senza essere interrotta” è la saga di una famiglia iraniana a Teheran tra il 1960 e il 1990.
Sua è anche l’immagine simbolo della lotta delle donne iraniane contro il regime: Donna, Vita, Libertà.
Nata a Rasht, il 22 novembre 1969, è stata educata secondo principi progressisti da genitori illuminati, che, per evitarle il clima oppressivo ed estremista del regime di Khomeini, l’hanno fatta studiare prima al Liceo Francese di Teheran e poi, ancora giovanissima, a Vienna, dove ha dovuto fare i conti con pregiudizio e razzismo nei suoi confronti.
Nel 1988, alla fine della guerra con l’Iraq, è tornata a casa e ha frequentato la Facoltà delle Belle Arti. Incapace di reggere il clima di censura e privazione delle libertà, terminati gli studi, si è trasferita prima a Strasburgo e poi a Parigi dove, frequentando l’Atelier des Vosges, gruppo di disegnatori e disegnatrici che hanno dato vita al movimento d’avanguardia della Nouvelle bande dessinée.
Nel 2001 è nato il suo capolavoro Persepolis che ha riscosso subito un grande successo grazie allo stile semplice e immediato del disegno, volutamente naif e talvolta elementare, sempre efficace.
Il libro ha venduto oltre tre milioni di copie in tutto il mondo ed è stato tradotto in oltre venti lingue. La storia ha assunto un carattere universale grazie all’astrazione conferita dal segno in bianco e nero e alla semplificazione delle figure. La forma del romanzo grafico è riuscita magistralmente a sintetizzare specificità culturali entrando in comunicazione con culture e età diverse.
Nel 2007 ne è stato tratto l’omonimo film d’animazione candidato al Premio Oscar nel 2008. Scritto e diretto da Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud è stato realizzato interamente a mano, secondo le tecniche più tradizionali, per ricreare il segno del fumetto.
Dopo Persepolis ha pubblicato Taglia e cuci, Pollo alle Prugne con cui ha vinto l’Oscar del fumetto al festival internazionale di Angoulême, Il sospiro, favole persiane, Il velo di Maia. Marjane Satrapi o dell’ironia dell’Iran.
La trasposizione filmica di Pollo alle prugne, in live action, del 2011, è stata presentata in anteprima alla 68ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Ha anche diretto The Voices (2014) e Radioactive (2019).
La sua ultima fatica letteraria è stata Donna, vita, libertà, in cui ha riunito esperti di storia, politica e comunicazione e i più grandi talenti del mondo del fumetto per raccontare l’evento che ha segnato la storia contemporanea: l’uccisione di Mahsa Amini dovuta al pestaggio della polizia morale perché non indossava “correttamente” il velo. La morte della giovane ha scatenato in tutto l’Iran un’ondata di protesta che ha dato vita a un movimento femminista senza precedenti.
Marjane Satrapi vive e lavora a Parigi, collabora con numerose riviste e cura una colonna illustrata per il The New York Times.
Nel 2024 è stata insignita del prestigioso Premio Principessa delle Asturie 2024 per la comunicazioni e gli studi umanistici per “la sua voce essenziale nella difesa dei diritti umani e della libertà“.
Nella motivazione, la giuria ha evidenziato che “è un simbolo dell’impegno civico guidato dalle donne. Per il suo coraggio e la sua produzione artistica è considerata una delle persone più influenti nel dialogo fra culture e generazioni“.
Nel ringraziare per il riconoscimento, Marjane Satrapi ha affermato: “approfitto l’opportunità per celebrare la feroce lotta del mio popolo per i diritti umani e la libertà. Oggi si onorano tutti i giovani che hanno perso la vita e a quanti continuano nella battaglia per la libertà in Iran“. E ha dedicato il premio a Toomaj Salhebi, artista di rap, condannato a morte per il suo canto alla libertà.
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Dopo l'attacco di Hamas del 7 ottobre, ho ricevuto un messaggio dagli organizzatori [di una conferenza sulla lingua francese che si sarebbe tenuta a Innsbruck], in cui mi si chiedeva di rendere noto il titolo del mio discorso, di « astener[mi] dal fare riferimento alla situazione attuale e di lasciare la dimensione politica fuori dal [mio] discorso per evitare qualunque scompiglio». Ho risposto che a queste condizioni non avrei potuto partecipare, poiché tutto il mio lavoro e la mia vita sono sono costantemente messi in discussione da quanto sta accadendo nel mio paese. L'organizzatrice ha insistito nel volermi chiamare per spiegarmi che «la situazione attuale» - un eufemismo - le sembrava molto confusionaria e complicata, una sorta di campo minato, e per questo voleva solo assicurarsi che quello che avrei detto sarebbe stato appropriato.
«Mi rendo conto », ha aggiunto, « che non diresti nulla di orribile. Voglio solo accertarmene ». Nelle settimane successive ho ripensato a questa conversazione e a quanto ci racconti del modo in cui noi palestinesi siamo trattati come esseri viventi, che respirano, che scrivono, che agiscono politicamente. Che io non abbia partecipato a un evento letterario è una conseguenza minima, ridicola, di quanto sta accadendo. Ma può indicare una cornice, una forma, per ciò che ancora fatico a nominare per paura che si avveri, e che in effetti sta accadendo ora a Gaza e in Cisgiordania. «Cerchiamo di trovare una risoluzione positiva», mi ha suggerito l'organizzatrice al telefono.
[…] La voce al telefono, come tanta parte del mondo che ci circonda, chiedeva la stessa cosa: per favore, cerchiamo di trovare una risoluzione positiva. Se solo voi poteste svanire, o - ancora meglio - se solo non foste proprio mai esistiti, e se solo poteste risparmiarci l'orrore, le espulsioni, i bombardamenti, le uccisioni, la fame di un popolo che ci costringete a scatenare su di voi. Il mondo intero risuonava in questa voce al telefono che mi diceva: c'è una soluzione, se solo tu non fossi così ostinato, c'è una soluzione, che è dissolverti nelle contraddizioni che ti sono state cucite addosso; se solo tu potessi disinvitarti dal mondo, se solo tu non complicassi il mondo con la tua esistenza, se solo non dovessi parlare con te, se solo non dovessi ascoltarti, se solo.
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Brano tratto dall'articolo dello scrittore palestinese Karim Kattam pubblicato sul sito The Baffler il 31 ottobre 2023 , quindi tradotto e pubblicato in:
ARABPOP - Rivista di arti e letterature arabe contemporanee, N. 6 / Palestina - Primavera 2024, Tamu Edizioni, Napoli.
#Karim Kattam#Palestina#letteratura araba contemporanea#Gaza#West Bank#Cisgiordania#apartheid#segregazione#ARABPOP#Mar Mediterraneo#Medioriente#sionismo#citazioni#questione palestinese#Storia del Medio Oriente#Territori occupati#colonialismo#indipendentismo#lotta di liberazione#Storia contemporanea#oppressione#irredentismo palestinese#crimini contro l'umanità#resistenza#conflitto israelo-palestinese#Conflitto arabo-israeliano#Territori palestinesi#mondo arabo#intellettuali palestinesi#letteratura in lingua francese
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Paolo Mattia
STORIA DI UNA TERRA CONTESA
Geografia, politica e religione nel conflitto israelo-palestinese
Tornato all’apice delle cronache mondiali con gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 e la successiva e massiccia offensiva israeliana su Gaza, il conflitto israelo-palestinese ha radici profonde e pochissime prospettive di soluzione. Ma come si è giunti a questo punto?
Il presente saggio – attraverso una narrazione agile e completa – ripercorre le tappe di un lungo e complesso percorso: dall’antichità al terzo millennio, attraverso migrazioni e scontri diretti, patti traditi e azioni diplomatiche, guerre cruente e stragi feroci, colonizzazioni e resistenze, sogni infranti e vendette giurate. Un excursus che attraversa la geopolitica del Medio Oriente, le evoluzioni interne ai due schieramenti, il ruolo dell’Italia e dei Paesi arabi, l’influenza americana e la natura del sionismo. Tra azioni militari, operazioni d’intelligence, svolte politiche e identità confessionali, la drammatica storia della terra di Palestina è affrontata senza filtri e con dovizia di dettagli, aneddoti e curiosità.
Un viaggio che unisce storia, politica e religione, scavando nell’abisso di un odio che risale alla notte dei tempi e che arriva ai giorni nostri senza apparire minimamente invecchiato.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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E se la storia ufficiale del popolo ebraico, costruita e tramandata dagli studiosi, non fosse altro che un mito con cui giustificare l’impresa coloniale dello Stato di Israele?
E se la narrazione che ne propone una storia “unitaria”, descrivendola come un percorso lineare che dall’epoca biblica arriva ai giorni nostri con il ritorno nella terra perduta, fosse il falso ideologico di una storiografia di stampo nazionalista?
Nella sua opera più importante, che ha acceso un ardente dibattito in diversi paesi ed è diventata un best seller, lo storico israeliano Shlomo Sand smonta la teoria dell’esilio forzato a opera dei Romani, sostenendo che gli ebrei discendano da una moltitudine di convertiti provenienti da varie aree del Medio Oriente e dell’Europa orientale.
domande:
è davvero esistito un popolo ebraico che si è preservato per millenni mentre tutti gli altri "popoli" si dissolvevano e scomparivano?
Come e perché la Bibbia, impressionante biblioteca teologica che nessuno sa dire con certezza quando fu redatta o composta, è diventata un libro di storia affidabile per la nascita di una nazione?
L'esilio degli abitanti della Giudea si verificò con la distruzione del secondo Tempio o si tratta di un mito cristiano finito non per caso nella tradizione ebraica?
Se l'esilio non si è mai verificato, che ne è stato della popolazione locale e chi sono quei milioni di ebrei saliti alla ribalta della storia nei luoghi più disparati?
Se gli ebrei dispersi per il mondo fanno tutti parte del "popolo ebraico", quali elementi etnografici accomunano la cultura di un ebreo di Kiev a quella di un ebreo di Marrakech al di là dell'appartenenza religiosa e di alcuni rituali?
la teoria che considera l'ebraismo come un'importante cultura-fede e non un'uniforme cultura-popolo è davvero un suo svilimento come i ferventi sostenitori del nazionalismo ebraico continuano a ripetere da centotrent'anni?
basato su fonti e reperti archeologici, libro che si fa divorare...👍
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Grandi democrazie
Pensavo alla storia di omicidi e tentati omicidi di presidenti della più grande democrazia del mondo.
Poi ho pensato a Shinzo Abe e Olof Palme.
Ho anche pensato all'unica democrazia del medio oriente.
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Israele uguale nazismo? Cosa succede quando l’uso politico della storia si incontra con l’ignoranza della storia? L’uso politico della storia non è certo una novità. È sempre stato praticato. Si ricorre strumentalmente all’uno o all’altro esempio storico scegliendo l’interpretazione che si ritiene più conveniente al fine di dare sostegno, di fornire legittimità, alla posizione politica che si sta difendendo. A chi ne fa un uso politico, della storia in sé, di che cosa sia realmente accaduto in passato, non importa un bel nulla: si usa la storia come una clava, è solo un mezzo utile per fare propaganda, per conquistare proseliti, per sconfiggere le posizioni avversarie. Ma se la novità non sta certo nell’uso politico della storia, è nuovo il contesto in cui vi si fa ricorso. (...)
Le ricerche condotte dagli specialisti della comunicazione danno al riguardo indicazioni chiare: una grande quantità di persone che vive immersa nel presente ha perduto la capacità di capire che il presente è influenzato dal passato. A queste persone sfugge la profondità storica di qualunque evento di cui sia testimone. E poiché il passato non conta nulla, non è considerato un mezzo per comprendere il presente, non ha nemmeno senso dotarsi di un minimo di conoscenze storiche. Un tempo l’uso politico della storia, la storia usata come clava, incontrava un limite, ovvero esistevano degli anticorpi. Una parte almeno dei ceti istruiti era dotata di sufficienti nozioni storiche,e disponeva di sufficiente senso storico, da non farsi imbrogliare. Adesso non è più così, gli anticorpi sono svaniti o si sono assai indeboliti. A qualcuno è stato detto che un tempo (il quando, nonché il contesto, ovviamente, sono irrilevanti) è esistita una cosa denominata nazismo e di cui null’altro importa sapere se non che si trattava del male assoluto. Inoltre, quel qualcuno ha sviluppato nel tempo un odio viscerale nei confronti di Israele, Stato percepito come più potente dei suoi vicini e colpevole di essere appoggiato dall’Occidente. L’accostamento diventa automatico: Israele uguale nazismo. Non c’è alcun bisogno di sapere qualcosa né della storia del nazismo né di quella di Israele per stabilire l’associazione. E poiché ignoranza della storia significa anche ignoranza di cosa sia e di quanto abbia storicamente pesato l’antisemitismo, non sorprende che una quantità così elevata di studenti universitari, da Harvard alle università europee, non abbia problemi a fare un simile accostamento. (...)
Per aiutare a comprendere quanto sta accadendo in Medio Oriente occorrerebbe spiegare che si tratta di una vicenda complessa che inizia nel 1948 con la nascita dello Stato di Israele e il conseguente «rifiuto arabo». Nessuna comprensione di quanto è accaduto e accade è possibile se non si parte da lì. Gli stessi errori di Israele (le colonie in Cisgiordania, l’illusione di potere difendere all’infinito lo status quo, ossia i precarissimi rapporti fra due popoli reciprocamente ostili) non si spiegano se non ricostruendo quel quadro generale. Ma, appunto, ciò presuppone che l’interlocutore sia disposto a riconoscere il peso e l’importanza della storia per comprendere il presente. Il che però è impedito o quanto meno reso assai difficoltoso dal clima e dalle tendenze dominanti. La sopra citata ricerca del Cattaneo lascia aperto uno spiraglio. Risulta che gli atteggiamenti negativi verso gli ebrei sono più accentuati fra gli studenti con alle spalle un basso rendimento scolastico. In altri termini, anche nell’epoca dei social, la scuola può fare, almeno in parte, la differenza. Se essa tornasse al rigore di un tempo forse si potrebbero ricostituire gli anticorpi necessari per contenere la diffusione delle credenze più aberranti. L’incontro fra uso politico della storia e ignoranza della storia genera mostri. Ciò, di sicuro, non fa bene alla democrazia.
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