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Elezioni USA 2024: L'Illusione Rossa e le Dichiarazioni Anticipate di Vittoria di Trump
Le elezioni presidenziali statunitensi del 2024 hanno riproposto il fenomeno noto come "Illusione Rossa" ("Red Mirage"), in cui i risultati iniziali delle urne mostrano un vantaggio per i candidati repubblicani, destinato a ridursi man mano che vengono co
Le elezioni presidenziali statunitensi del 2024 hanno riproposto il fenomeno noto come “Illusione Rossa” (“Red Mirage”), in cui i risultati iniziali delle urne mostrano un vantaggio per i candidati repubblicani, destinato a ridursi man mano che vengono conteggiati i voti per corrispondenza e anticipati, tipicamente favorevoli ai democratici. Questo scenario ha portato l’ex presidente Donald Trump��
#Alessandria today#Analisti Politici#Attualità Politica#comunicazione politica#Conteggio Voti#critiche politiche#democrazia americana#Dichiarazioni Anticipate#Dichiarazioni di Vittoria#Donald Trump#Elezioni 2024#elezioni presidenziali#elezioni USA 2024#Fiducia nel Processo Elettorale#Google News#Illusione Rossa#Integrità Elettorale#italianewsmedia.com#Legittimità Elettorale#media americani#notizie USA#Osservatori Internazionali#Partito Democratico#partito repubblicano#Pazienza Elettorale#Pier Carlo Lava#politica americana#Processo Democratico#Reazioni Internazionali#Red Mirage
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as an abitante di polentalandia vorrei capire perché c'è gente del sud e isole che vota lega e simili. qual è il processo mentale che li spinge a votare per gente che fino a qualche anno fa li insultava alla prima occasione?
Perché: 1. gli italiani (TUTTI) hanno la memoria corta, altrimenti non avremmo avuto berlusconi premier per più di una volta 2. la lega ha cambiato modo di far politica (a parole) e fa finta di essere un partito nazionale e non macroregionale, quindi in poche parole fa come un fratelli d'Italia qualunque (che schifa il Mezzogiorno quanto la lega, state sereni) 3. ha approfittato del fatto che ad un certo punto a destra non c'era nessuno di rilevante (prima che la meloni si svegliasse) e che la sinistra fosse inesistente (ringraziamo quella monnezza del pd per questo) 4. il m5s è il partito che va per la maggiore in alcune regioni del sud, e il fatto che 'sto partito sia una banderuola e si allei con chiunque pur di governare ha fatto guadagnare qualche punto alla lega in passato
Ma la vera domanda da farsi è "ma quanto ha fatto schifo il partito democratico da permettere addirittura a questi scappati di casa dei leghisti di prendere qualche voto dal mezzogiorno?"
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Open Arms, l'accusa dei Pm: «Salvini agì in spregio a tutte le regole. Era un'autopromozione»
Sei anni per aver trattenuto illegalmente 147 persone a bordo di una nave, «piegando strumentalmente le norme alla strategia dei porti chiusi», non sono una richiesta politica contro l’atto politico di un ministro.
Sono piuttosto la valutazione giuridica di un comportamento considerato illegittimo in base alle leggi nazionali e alle Convenzioni internazionali. Un reato, secondo la valutazione dei pubblici ministeri, commesso non per attuare la linea politica di un governo, bensì l’autopromozione della propria personale posizione. Anche in chiave elettorale.
È il punto chiave, per quanto scivoloso, del processo e dell’atto d’accusa finale: alla sbarra non è la politica ma il comportamento di un politico, ribadiscono i pm, sapendo che la difesa ha battuto e batterà proprio su questo punto.
Non a caso, la requisitoria parte proprio da qui. «Di fronte al fallimento delle misure varate dal governo — spiega il procuratore aggiunto Marzia Sabella, riferendosi alle direttive e ai decreti sicurezza approvati dall’esecutivo Conte sostenuto da Lega e Cinque stelle —, l’imputato Salvini s’è avventurato in atti amministrativi illegittimi e penalmente rilevanti, consapevole di agire in spregio a tutte le regole, distinguendo così la sua responsabilità da quella del governo del suo insieme».
A partire dal 14 agosto 2019, quando il Tar del Lazio annullò il divieto d’ingresso di Open Arms in acque nazionali, gli altri ministri competenti Elisabetta Trenta (Difesa) e Danilo Toninelli (Trasporti) si rifiutarono di firmare un nuovo provvedimento che confermasse il primo; e lo stesso premier Conte scrisse a Salvini per chiedergli di far scendere almeno i minorenni (la loro presenza a bordo è un’aggravante del reato) e poi che l’obiettivo della redistribuzione era in via di raggiungimento. Provocando un «vero e proprio caos istituzionale», costringendo altri organismi «ad approntare soluzioni di fortuna non potendo permettere di lasciare quei naufraghi senza terra».
Ma il leader leghista ha proseguito con il suo diniego, proclamando in diretta facebook: «Solo contro tutti». Una frase che ora finisce nella requisitoria a riprova che la linea politica del governo non c’entrava più; anche perché «non c’era più il governo», ormai in crisi dopo la decisione della Lega di sfilarsi dalla maggioranza, come hanno testimoniato gli ex colleghi davanti al tribunale.
Prima di qualsivoglia volontà politica, collettiva o individuale, nell’impostazione dell’accusa ci sono comunque le leggi. Secondo le quali i diritti fondamentali delle persone — alla vita, alla salute, alla libertà personale — prevalgono su ogni altro. Compresa la difesa dei confini da parte dei singoli Stati. L’obbligo dei salvataggi in mare, che giuridicamente si conclude solo con la concessione del Pos (permesso di sbarco in un porto sicuro), «è un principio ancestrale che risale all’Odissea», ricorda l’altro pm Calogero Ferrara. Estendendo il concetto: «Anche il terrorista e il trafficante di uomini non possono essere lasciati in mare; uno Stato democratico è diverso dai criminali, prima li salva e poi li processa».
È un altro punto qualificante affrontato dall’accusa per contrastare la difesa di Salvini. Il divieto di approdo e di sbarco era giustificato dall’ipotetica presenza a bordo di terroristi o soggetti comunque pericolosi per l’ordine pubblico. Ma quella presenza, sottolinea Giorgia Righi, terzo magistrato del pool della Procura palermitana, era presunta e indimostrata: «L’ha ammesso lo stesso imputato, qui in aula, quando ha sostenuto che per lui era un automatismo; tutti i passaggi di navi con soggetti imbarcati senza il coordinamento dell’Italia erano considerati potenzialmente offensivi, anche in assenza di segnalazioni o ragioni specifiche».
Un motivo in più, secondo la ricostruzione dei pm, per considerare illegittimo il comportamento del ministro, consapevole di aver innescato «un iter criminoso» interrotto solo dall’intervento della supplenza della magistratura», quando il procuratore di Agrigento ordinò il sequestro della nave e lo sbarco di tutti i migranti.
Niente — almeno negli ultimi sei giorni di un’odissea che era cominciata il 1° agosto e quindi durava da venti, mentre le condizioni di salute e di sicurezza a bordo della nave si stavano facendo drammaticamente pericolose tanto che i migranti cominciavano a buttarsi in mare pur di toccare terra — giustificava il persistente rifiuto del ministro dell’Interno di concedere il Pos. Non il rifiuto da parte del comandante di andare in Spagna né quello di far scendere a Malta solo una parte dei migranti, perché non si poteva continuare a navigare per giorni né si potevano rischiare disordini a bordo.
Bisognava solo rispettare le regole, e l’imputato s’è guardato bene dal farlo, concludono i pm. Chiamati a «difendere i confini del diritto», a fronte di un imputato che invoca solo la difesa dei confini nazionali. Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 14/09/2024
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Un gioielliere viene rapinato da tre imbecilli che si improvvisano ladri (il che non li assolve né dall'essere ladri né dall'essere imbecilli), armati di armi giocattolo a cui hanno tolto il tappo rosso.
Durante la rapina minacciano di morte il gioielliere e la moglie, poi ottenuto il bottino fuggono ma siccome sono ladri improvvisati vengono raggiunti dal gioielliere armato con un'arma vera che è autorizzato a detenere solo ed esclusivamente nel suo negozio.
Il gioielliere spara e non per difesa ma per recuperare il maltolto e per vendicarsi delle minacce oltre che del furto.
Due restano morti e uno ferito. Ad uno dei morti a terra, il gioielliere sferra dei calci.
In tribunale il gioielliere viene riconosciuto colpevole per avere sparato non per difendersi e la cosa mi pare evidente.
Quando lo ha fatto non era in pericolo di vita lui e nemmeno la moglie o altri suoi cari o collaboratori.
O meglio, in pericolo erano solo i passanti che avrebbero potuto trovarsi sulla traiettoria dei proiettili.
Gli danno diciassette anni e non essendo un avvocato non mi spingo a dire che siano stati troppi o troppo pochi.
Potrei scrivere qui le mie impressioni in merito all'entità della condanna ma lascerebbero il tempo che trovano o potrei parlarne al bar Seventyfive e sarebbe tempo ancora più sprecato.
Il gioielliere è stato giudicato e condannato secondo la legge italiana che i giudici sono tenuti ad applicare, per giusta o ingiusta che sia. Punto.
Il gioielliere è stato condannato da giudici che hanno esaminato dei video girati al momento della rapina, sia all'interno della gioielleria che all'esterno, quindi non solo sulla base di testimonianze o dei sentito dire.
Il gioielliere si ritiene condannato ingiustamente e incolpa non solo i giudici del suo processo o le leggi ingiuste che lo hanno visto colpevole ma addirittura incolpa "alcune frange del CSM".
Oggi la notizia spopola nei social e tanta gente si schiera con il gioielliere che viene ritenuto da alcuni perfino un eroe.
E fin qui ci può stare. Quello che non ci sta è che come il gioielliere incolpa alcune frange del CSM, la gente sui social che lo acclama, se la prenda con giudici, governo, leggi, cazzi e sdazzi, insomma con tutto il sistema democratico che regge la Repubblica dal 1946.
Poi naturalmente arriva lui, il capitone e tutte le 💩💩💩 del suo partito di 💩.
Da sempre Salvini e tutte le 💩💩💩 leghiste stracciano le palle con la difesa sempre legittima, anche quando sparacchi in mezzo a una strada, rischiando di colpire non solo i ladri ma pure i passanti.
Vogliono più armi e meno storie se vengono usate a cazzo di cane, che siano i cacciatori nelle campagne altrui, piuttosto che i gioiellieri che subiscono una rapina e si mettono a sparare tra la gente per strada.
Quello che non ci sta è che un partito politico e in prima persona il suo segretario, continuino a fare politica, o meglio a fare propaganda politica in questo modo, sfruttando drammi come questo e fingendo di non essere al governo di questa "nazione al contrario" da decenni.
Quello che non ci sta è che la lega continui ad avere poco meno del 10% di voti, stando agli ultimi sondaggi e che tanti coglioni continuino a credere alle puttanate del capitone e della schiera dei suoi scherani.
Ma se così non fosse, l'Italia non sarebbe una nazione al contrario.
PS: una cosa mi scappa, non riesco proprio a tenerla. Oltre alla condanna il gioielliere, in base alla sentenza, deve risarcire le sue vittime con più di quattrocentomila euro. Mi pare una puttanata, sempre tenendo conto di non essere un avvocato: praticamente i rapinatori (magari non proprio loro ma le loro famiglie) hanno ottenuto un risarcimento superiore all'entità del tentato furto. Se si facevano sparare direttamente facevano prima. Ma siamo una nazione a rovescio, per cui giusto così...
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Ama che mi tranquillizza sulla questione televoto menomale finalmente il processo democratico può tornare a funzionare di nuovo
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X CHIUDE L'ATTIVITÀ IN BRASILE DOPO LE RICHIESTE DI CENSURA DEL MINISTRO DEL STF ALEXANDRE DE MORAES
Ieri sera, Alexandre de Moraes ha minacciato di arresto il nostro rappresentante legale in Brasile qualora non rispettiamo i suoi ordini di censura. Lo ha fatto con un'ordinanza segreta, che condividiamo qui per esporre le sue azioni.
Sebbene i nostri numerosi ricorsi alla Corte Suprema non siano stati ascoltati, il pubblico brasiliano non sia stato informato di queste ordinanze e il nostro personale brasiliano non abbia alcuna responsabilità o controllo sul blocco dei contenuti sulla nostra piattaforma, Moraes ha scelto di minacciare il nostro personale in Brasile piuttosto che rispettare la legge o il giusto processo.
Di conseguenza, per proteggere la sicurezza del nostro personale, abbiamo preso la decisione di chiudere la nostra attività in Brasile, con effetto immediato.
Il servizio X rimane disponibile per il popolo brasiliano.
Siamo profondamente rattristati di essere stati costretti a prendere questa decisione. La responsabilità è esclusivamente di Alexandre de Moraes.
Le sue azioni sono incompatibili con un governo democratico. Il popolo brasiliano ha una scelta da fare: la democrazia, o Alexandre de Moraes.
Fonte: Global Government Affairs, divisione legale di X
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Provo a riassumere come i democratici si sono cacciati in questo pasticcio. Primo, quei dem che hanno maggiore visibilità (perché governano sulle due coste, perché controllano i social media e grandi tv e giornali, perché dominano a Hollywood e in altri potentati della cultura di massa, perché hanno fiumi di denaro da Wall Street e da BigTech) hanno ignorato un vasto rigetto popolare verso gli aspetti più radicali e controversi della loro proposta politica: le frontiere aperte all’immigrazione clandestina; un ambientalismo apocalittico che ha in odio l’economia di mercato e la crescita; un anti-razzismo che si è rovesciato in forme di razzismo contro i bianchi nelle dottrine woke insegnate in tante scuole e università; un’agenda Lgbtq+ promossa in modo arrogante e sprezzante verso chi ancora segue modelli di vita e di famiglia tradizionali. Tutto questo descrive solo l’ala più radicale del partito di Biden, che ha ancora un vasto centro moderato. Ma poiché gli estremisti avevano una visibilità e un’influenza preponderante nella «bolla» e nei media, il partito democratico nel 2020 ha rischiato seriamente di presentare uno di loro come candidato. Finché gli elettori moderato-conservatori della base afroamericana hanno ripescato nelle primarie del 2020 il vecchio Biden. Il quale allora salvò il suo partito dalla deriva - cosa di cui l’establishment gli fu sommamente riconoscente. Per placare l’ala sinistra Biden fece un gesto «identitario», si scelse come vice Kamala Harris i cui unici meriti, secondo i suoi critici, sono di essere donna e di colore. Ora i nodi vengono al pettine. Qualcuno dovrebbe convincere Biden a farsi da parte. Ma questo qualcuno non può essere associato alle fazioni che Biden sconfisse nel 2020, perché sono perfino meno credibili di lui. Poi andrebbe risolto il problema Harris. Lei si considera l’erede legittima al trono. Per quanto difficile da immaginare, è ancora meno popolare del presidente stesso. Anche lei quindi andrebbe «spinta» da parte, ma chi dovesse prendersi questa responsabilità sarebbe esposto al processo «identitario»: come osa far fuori una donna di colore. Infine, quand’anche si trovassero i notabili di partito capaci di mettere a segno le due prime operazioni, con l’allontanamento forzato di Joe e Kamala, resterebbe aperto il problema di recuperare voti fuggiti a destra perché spaventati da certe derive estremiste dei dem. Tutto questo andava fatto negli ultimi due anni, gestendo delle vere primarie aperte, un dibattito serio e senza tabù tra le varie correnti del partito. Se non è accaduto in questi anni, c’è una ragione, e anche più d’una. Era più facile continuare a demonizzare Trump, o a trascinarlo da un tribunale all’altro, che cercar di capire come questo losco personaggio possa rappresentare il «meno peggio», per quasi mezza America. - Federico Rampini, La vera vittoria di Trump
L'arma di distruzione di massa, il nichilismo della politica, il menopeggismo si è rivoltato contro i suoi stessi creatori: ottimo.
(Il candidato vincente i Dem lo avevano : Kennedy, il che rende tutto più tragicomico)
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“ Nel novembre 2014 [Mariagrazia] Bruzzone pubblica [su La Stampa] un altro dettagliatissimo reportage: “I neo-nazi imperversano in Ucraina, ma il nazismo non è più il ‘male assoluto’ (per l’Occidente)”. Parte dal voto contrario di Ucraina, Usa e Canada all’annuale mozione dell’Onu contro l’esaltazione del nazifascismo, e traccia una mappa dei leader e gruppi neonazisti che infestano le istituzioni e le forze armate di Kiev, appoggiati dagli Usa. Purtroppo l’articolo è misteriosamente scomparso dall’archivio digitale del quotidiano torinese, oggi assai prodigo di elogi al battaglione Azov e ad altre opere pie ucraine che, prima dell’invasione, erano descritte per quello che erano: milizie neonaziste. Ma alcuni siti di controinformazione l’hanno rintracciato e pubblicato integrale. [...] Bruzzone racconta poi «l’apparente processo di ‘nazificazione’ in corso nelle scuole, come testimoniato dal tweet del presidente Poroshenko sull’addestramento militare a lezione e dall’immagine dei simboli nazisti in questa classe. Eppure il governo Usa li aiuta e li finanzia. ‘Se solo il pubblico sapesse che il governo US aiuta mostri del genere’, scrive Global Research raccontando di una delegazione Ucraina in arrivo a Washington per reclamare altri soldi e aiuti militari. In realtà armi, anche letali, ne hanno appena ricevute, in coincidenza con la recente visita a Kiev del vicepresidente Usa Joe Biden». L’autrice ipotizza uno scenario inquietante: «E se il partito Svoboda fosse solo il fronte elettorale di organizzazioni neonaziste e ultranazionaliste?… Se queste organizzazioni non fossero tanto espressione dell’opposizione ucraina quanto delle forze segretamente utilizzate dalla Nato che usano l’Ucraina come base, e non da oggi? Se a giocare un ruolo decisivo negli episodi di violenza che portarono al collasso del governo ucraino che era uscito dalle elezioni fosse questa organizzazione militare neonazista legata alla Nato?… A sostenerlo, in un post del marzo scorso rilanciato ora dal solitamente attendibile Global Research, è l’analista geopolitico F. William Engdahl, basandosi anche su fonti personali tra i quali veterani dell’intelligence americana.
Engdahl che scriveva a ridosso di quei primi eventi, ricostruiva l’accaduto, Yanukovich forzato a fuggire come un criminale, accusato di aver rifiutato l’offerta di un ingresso dell’Ucraina nella Ue preferendo un accordo con la Russia che offriva il taglio di 15 miliardi di dollari di debiti ucraini e gas a prezzi ridotti. Ricordava l’accordo di compromesso raggiunto con Yanukovich dai ministri degli Esteri di Germania, Francia e Polonia – senza gli US, prova dei diversi punti di vista e metodi europei – la telefonata in cui la Nuland spiegava al “suo” ambasciatore quale governo e quale coalizione volesse a Kiev, col famoso “Fuck the Eu”, l’Europa si fotta, appunto. E arriva al precipitare degli eventi, quel 22 febbraio, quando a piazza Indipendenza la polizia si ritirò in preda al panico, sotto il fuoco incrociato dei cecchini. Chi aveva schierato i cecchini? è la domanda finora senza risposta, si chiedeva l’autore. Secondo fonti di veterani dell’intelligence US i cecchini arrivarono dall’organizzazione militare di ultradestra conosciuta come Ukrainian National Assembly–Ukrainian People’s Self Defense [Una-Unso: una sigla legata al partito-milizia Pravyj Sektor, nda]… Il leader di Una-Unso Andriy Shkil dieci anni fa divenne il consigliere di Yulia Tymoshenko, appoggiata dagli Usa. Durante la “Rivoluzione Arancione” appoggiò il candidato pro-Nato Yushchenko contro il pro-Russia Yanukovich. Si dice anche che abbia legami stretti col Partito Nazionale Democratico in Germania (Ndp). “Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 i membri dell’organizzazione para-militare Una-Unso sono stati dietro ogni rivolta contro l’influenza russa”, afferma Engdahl. Il filo che connette le violente campagne è sempre anti-Russia. L’organizzazione, secondo le fonti di veterani dell’intelligence americana, è parte di una Gladio segreta della Nato, e non è un gruppo nazionalista come quello che viene descritto dai media occidentali… I para-militari dell’Una-Unso sarebbero stati coinvolti in ogni guerra sporca della Nato nel post-guerra fredda. Si tratta di pericolosi mercenari usati ovunque sia per combattere guerre sporche sia per incastrare la Russia, perché pretendono di essere forze speciali russe (per Wikipedia nel ’91 membri di Una-Unso avevano servito nelle forze armate sovietiche). Gli avvenimenti in Ucraina sono andati avanti secondo le linee suggerite da Engdahl (al governo Arseniy Yatsenyuk pilotato dagli Usa, forte ruolo di Svoboda), che chiudeva con una frase quasi profetica: “Il dramma non è affatto finito. In gioco c’è il futuro della Russia, le relazioni Europa-Russia e il potere globale di Washington o almeno di quella fazione che a Washington vede ulteriori guerre come primo strumento della politica”.» Nel 2016, al posto di Calabresi, arriva il turbo-atlantista Maurizio Molinari e sulla Stampa articoli del genere non ne escono più. L’Ucraina è sacra e intoccabile. Ma nel 2019, quando viene eletto Zelensky, considerato il “Grillo di Kiev” e per di più sospetto per la sua provenienza dell’Est russofono del Paese, il quotidiano di casa Agnelli lo massacra: «Come tutti i populisti, Zelensky dichiara di voler sconfiggere la classe politica al potere, definita inefficiente e corrotta». Poi invece si rivela un docile strumento in mano a Washington e la Stampa cambia linea anche su di lui. “
Marco Travaglio, Scemi di Guerra. La tragedia dell’Ucraina, la farsa dell’Italia. Un Paese pacifista preso in ostaggio dai NoPax, PaperFIRST (Il Fatto Quotidiano), febbraio 2023¹ [Libro elettronico].
#Marco Travaglio#Scemi di Guerra#Ucraina#Russia#Europa#controinformazione#Volodymyr Zelensky#Vladimir Putin#UE#ultranazionalismo#Joe Biden#antifascismo#Unione Europea#Maria Grazia Bruzzone#Victoria Nuland#russofobia#Gladio#imperialismo americano#nazionalismo russo#Mario Calabresi#giornalismo d'inchiesta#Pravyj Sektor#guerra sporca#NATO#Maurizio Molinari#CIA#pacifismo#antimilitarismo#censura#propaganda
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Democrazie
Al Liceo Artistico 'Nervi-Severini' di Ravenna una delibera del consiglio di Istituto ha istituito il congedo mestruale per le studentesse che lo richiedano: vengono concessi due giorni di assenza giustificata in casi certificati di dismenorrea, la possibilità di assentarsi per un massimo di due giorni al mese senza che tale assenza sia calcolata tra quelle che devono essere considerate per la validità dell'anno scolastico. Le rappresentanti della componente studentesca nel consiglio di istituto del 'Nervi-Severini' hanno fatto presente come molte ragazze soffrano di crampi mestruali tanto forti da interferire con lo svolgimento delle normali attività, raccogliendo in proposito 16 testimonianze di loro compagne. Hanno quindi richiesto di applicare nella scuola, in analogia con l'istituto del congedo mestruale oggi disciplinato in Spagna, una forma di agevolazione per le assenze che tale condizione può determinare.
Oltre la lodevole iniziativa, mi sono piaciute moltissimo le parole del Preside, Prof. Gianluca Dradi:
Probabilmente per una scuola si tratta della prima iniziativa di questo genere in Italia. La promozione delle competenze di cittadinanza, che costituisce uno degli obiettivi formativi delle scuole, passa anche attraverso il recepimento delle legittime istanze degli studenti messi nelle condizioni di appurare come i problemi possano essere gestiti attraverso un processo democratico che si realizza all'interno degli organi collegiali
Ricordo anche che la scuola tempo fa istituì il regolamento per le 'carriere alias', cioè la possibilità di adottare un nome di elezione per gli studenti transgender e di comparire come “si sentono” nel registro di classe.
Boccate di bellezza e di vero sviluppo formativo, che ogni tanto fanno bene.
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«Non resteremo più in silenzio di fronte ai pregiudizi dell’Onu! Ho deciso di revocare il visto al coordinatore ‘umanitario’ delle Nazioni Unite, Lynn Hastings», ha scritto su X il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen.
Hastings, che sarebbe anche vice coordinatore speciale per il processo di pace in Medio Oriente, è accusata di non aver condannato Hamas per il «massacro brutale di 1.200 israeliani» del 7 ottobre in Israele, «per il rapimento di bambini e anziani», per gli «abusi» e le «violenze» e «per usare i gli abitanti di Gaza come scudi umani». Mentre ha «invece condannato Israele, un Paese democratico che protegge i suoi cittadini».
Contro Israele = dalla parte dell'ONU. Tertium non datur. Unite i puntini.
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I nuovi barbari, l“Homo Faber” e una possibile direzione per ricostruire una società umana, alternativa
25 Settembre, 2023
di Leonardo Guerra
La crisi della nostra società e civiltà ha forti analogie con quella che seguì la caduta dell’Impero Romano di Occidente nel 476 D.C.
Allora le orde di barbari erano capeggiate da Odoacre, generale, infiltratosi nell’esercito romano. Oggi, i barbari post-moderni sono capeggiati da globalisti misantropi infiltrati in politica che sono stati messi alla testa di truppe parlamentari di politici corrotti, “tagliagole”, disposti a tutto pur di mantenere i loro privilegi esclusivi.
Con i loro governi tecnici e con i governicchi imposti da Bruxelles hanno di fatto, prima, messo in ginocchio in modo definitivo il nostro Paese dal punto di vista economico e, poi, abolito e calpestato la costituzione e le leggi, sfondandole come fossero “pareti di carta di riso”. Svuotate le Istituzioni dei meccanismi e processi democratici dall’interno, come fanno soltanto i veri parassiti, hanno lasciato intatto soltanto il guscio esterno, cioè l’apparenza di un sistema democratico che non c’è più che è di fatto un sistema totalitario soft, ma feroce….un “lupo che indossa una pelle d’agnello”.
Cosa accomuna Odoacre e i nuovi barbari? Il saccheggio sistematico dei beni della popolazione, l’assoluta mancanza di rispetto dell’essere umano, la crudeltà e l’indifferenza verso la vita umana. L’equivalente dei capi delle orde di orchi nel film del Signore degli Anelli.
Gli enormi mezzi di cui dispongono sono i nostri soldi (contributi) che grazie un’alchimia contabile ci vengono rigirati sotto forma di finanziamento a prestito da Bruxelles (PNRR). Servono per la realizzazione di un piano di globalizzazione disumano che vede nell’Alleanza militare Nato, capeggiata dagli USA, il principale protagonista che manovra e tira le fila, da dietro le quinte.
L’esecuzione del piano, infatti, è guidata da remoto dal blocco globalista militar-industriale anglo-americano, che si avvale, per la programmazione e la gestione, di tecnologie molto avanzate e sofisticate, come l’Intelligenza Artificiale. Nella realizzazione, invece, utilizzano le esperienze accumulate in 70 anni di guerre convenzionali che hanno fatto del bombardamento delle popolazioni civili una strategia precisa (shock & awe/guerra mentale). Le tecnologie militari utilizzate sono spaventose come la geo-ingegneria, Energy Direct Weapons, e gli stessi vaccini Covid. I nostri politici, infatti, conducono per procura una vera guerra non convenzionale contro il loro stesso popolo. Esattamente come Volodymyr Zelenskyy in Ucraina conduce una guerra convenzionale contro la Russia, per trascinare al macello milioni di Ucraini.
L’altra caratteristica comune fra i due periodi storici è quella di una ideologia edonista che pervade la società e che ha corrotto i costumi del popolo con tratti di una ferocia repressiva mai vista prima, camuffata da tolleranza. I codici sorgenti di questa nuova cultura autosufficiente sono drammatici dal punto di vista umano, usano la corruzione come sistema in tutti gli organi dello stato e in tutti i settori della nostra società.
Inoltre, non vi è più, ormai. alcun dubbio che allo stesso tempo sia in corso da molti anni anche un processo di speciazione antropologica per selezionare masse indistinte di individui impregnati di individualismo estremo e di materialismo nichilista. Indifferenti a tutto, concentrate esclusivamente sui loro bisogni primari, mansuete, manovrabili e comando, prive di pensiero critico, con desideri indotti da remoto grazie al controllo mentale attuato ormai in modo pervasivo da anni.
Come nel 476 D.C. anche i nostri barbari hanno un ciclo di vita limitato che si esaurirà, auto estinguendosi. Proprio come i virus. Serve pazienza. Non si possono combattere, dominano tutti i settori con una disparità di mezzi impressionante.
La cosa più opportuna da fare, quindi, è sottrarsi il più possibile al sistema di propaganda e rifiutare le loro esche ideologiche e per evitare le loro conseguenti scorribande. Questa indicazione è supportata dai risultati ottenuti nei gruppi di controllo durante il Covid, come gli Amish negli USA (-90% di mortalità) e l’Africa (emergenza covid mai esistita). Il bombardamento mediatico ha prodotto nella popolazione il risultato atteso: un “effetto nocebo”, sistemico e persistente. Vera arma di sterminio.
Raccogliersi e ritirarsi in comunità, quindi, è la cosa più saggia per chi ha deciso di rifiutare la vita che offre un sistema predatorio come l’attuale, proprio come fecero le persone di buona volontà nel periodo dei barbari di Odoacre, raccogliendosi fra loro e trovando riparo nei conventi benedettini. Ritornando cioè ad una vita naturale ed essenziale, all’insegna della semplicità e della comunione.
Sul piano personale dobbiamo estirpare dai nostri cuori e dalla nostra mente l’imprinting che inevitabilmente abbiamo ricevuto essendo nati, cresciuti e diventati adulti in questo sistema che ha un modello sociale ed economico basato sulla separazione, sul conflitto fra individui, sulla competizione sociale continua e sulla guerra.
Se non si estrae e ci si purifica da questa “spina velenosa” (l’egoismo e l’indifferenza verso la condizione altrui che scaturiscono inevitabilmente dall’edonismo e dalla guerra) che, più o meno, ognuno di noi ha dentro di sé, sarà impossibile ricostruire una vera società umana, che sia interiormente diversa dalla attuale. Altrimenti, il rischio di ricadere nello stesso solco non sarebbe trascurabile, anche se ci si affranca in tutti gli altri settori.
La semplice “regola” e la semplice organizzazione dei conventi Benedettini contribuirono a guarire lo stesso problema individuale presente nelle persone e permise, quindi, di ricostruire una società umana. Il modello dei conventi Benedettini viene studiato dalle università e dalle Corporation ancora oggi per la sua efficienza. La regola di San Benedetto da Norcia è quella di: “ora et labora”. Anche allora il problema era l’ego prevalente nella società e negli individui che vi erano vissuti.
La “regola” produsse l’effetto di ridurre progressivamente la prevalenza e la pesantezza di questa “spina” nella comunità restituendo così spazio espressivo allo spirito e alla sua spontaneità, prima completamente soffocati.
Grazie a questo modello organizzativo è stato possibile entrare nel medioevo, dar vita alle città stato e dopo al Rinascimento Italiano. Un rinascimento prima di tutto spirituale e i suoi frutti si sono visti in tutti i settori della vita e rappresentano un patrimonio culturale unico che tutto il mondo ci invidia.
Quindi, non conformarsi e DIRE NO è la prima cura.
Rifiutare tutte le esche ideologiche offerte quotidianamente dal nostro governo per cancellare tutti, e in modo definitivo, i nostri diritti umani e naturali, e cioè DIRE NO a:
- Menzogne
- Leggi sbagliate
- Imposizioni inutili
- Paura
- Vaccini inutili
- Identità Digitale,
- European Digital Identity Wallet;
- Passaporto vaccinale
- Denaro elettronico (contante sempre e
comunque);
- limitare l’uso degli SMARTphone,
- Città dei 15 minuti
- Green economy
- Cambiamento climatico
In contemporanea, scegliere di sottrarsi progressivamente ad un sistema predatorio che non ha alcun rispetto dell’essere umano e della vita umana. Iniziare, quindi, un processo di purificazione del nostro cuore dall’egoismo da soli o in gruppi aventi lo stesso scopo, ritornando ad una vita naturale, semplice e basata su processi essenziali, quali la bellezza, frequentando gente che la pensa come noi.
Solo costruendo le basi per una società umana alternativa a quella predatoria del pensiero unico, daremo ai nostri figli e nipoti la possibilità di vivere un nuovo Rinascimento umano.
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Un cambiamento epocale. Così lo descrive il New York Times usando le parole di Cynthia Phelps, prima viola, con la Filarmonica dal 1992. Fondata nel 1842, la New York Philharmonic per la prima volta ha un numero maggiore di musiciste donne rispetto agli uomini: 45 contro 44. Una maggioranza risicata, ma comunque significativa, soprattutto se si pensa che per 180 anni la più antica orchestra degli Stati Uniti è stata una roccaforte maschile. Al momento della sua fondazione, le donne non solo erano scoraggiate dal perseguire una carriera musicale, ma era raro che partecipassero a concerti serali a meno che non fossero accompagnate dagli uomini. [..]
Nel 1970, poi, molte orchestre cominciano a modificare i criteri di ammissione e le regole per le audizioni, nel tentativo di rendere il processo più democratico possibile. Nascondere l'identità del musicista sotto audizione è un tentativo di rendere il meccanismo più oggettivo possibile, in quelle che vengono definite audizioni cieche. In queste, i musicisti - o le musiciste - suonano nascosti dietro a un paravento, costringendo di chi deve giudicarli a focalizzarsi solo sul talento, senza sapere età, sesso, caratteristiche fisiche. [..]
Il processo funziona: se nel 1970 la New York Philharmonic ha solo cinque donne, nel 1992 ne ha 29. Rappresentazione non vuol dire però fine della discriminazione o del sessismo. Le posizioni principali che sono anche quelle meglio pagate, sono ancora in maggioranza degli uomini e spesso, anche a parità di ruolo, le musiciste sono pagate meno dei musicisti.
Simona Siri su La Stampa
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Eyes on the world #218
Una settimana che, per un motivo o per un altro, non dimenticheremo.
Novembre inizia col botto, con l’esito delle elezioni americane e le prime reazioni. Con le nostre news andiamo a scoprire le ultime dal conflitto israelo-palestinese, ma anche cosa sta succedendo in Germania. Infine il punto sulla situazione in Spagna dopo le gravissime alluvioni e su una delle operazioni più importanti della storia condotte dall’Interpol.
Andiamo subito nel cuore delle news 👇
🇺🇸 USA: DONALD TRUMP ELETTO DI NUOVO PRESIDENTE. LE RAGIONI DELLA VITTORIA E DEL CROLLO DEMOCRATICO
1) Inizio doveroso dalle elezioni americane. Donald Trump, candidato Repubblicano, ha vinto le presidenziali negli Stati Uniti e tornerà alla Casa Bianca dopo il primo mandato (2017-2021). La vittoria, più schiacciante di quanto ci si aspettasse, è arrivata sia dai grandi elettori (ha superato di gran lunga la soglia dei 270, minimo utile a farsi eleggere) sia dal popolo, superando il 50%. Lo spoglio dei voti sta continuando anche in queste ore (specialmente per ciò che riguarda la composizione di Camera e Senato, che dovrebbero comunque appartenere ai Repubblicani), ma i risultati sono ormai ufficiali e Trump sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti. Ora, sono previste diverse tappe prima dell'insediamento ufficiale il 20 gennaio 2025. Il 17 dicembre i grandi elettori si riuniranno nei rispettivi stati per votare formalmente per presidente e vicepresidente, certificando così l'elezione di Trump. Questo voto sarà poi trasmesso al Senato. Prima della certificazione ufficiale, tuttavia, inizierà il processo di transizione, in cui Trump avrà accesso a risorse, aggiornamenti dell'intelligence e potrà formare il suo governo, le cui nomine saranno ratificate dal Senato dopo l'insediamento. Il 3 gennaio si insedierà il nuovo Congresso, che il 6 gennaio conterà i voti elettorali e certificherà ufficialmente il risultato delle elezioni. L’inauguration day avrà luogo il 20 gennaio davanti al Campidoglio, dove Trump presterà giuramento davanti a membri del Congresso, giudici della Corte Suprema, alti funzionari e ex presidenti.
Poiché è già stato presidente, è possibile prevedere le sue politiche, molte delle quali saranno un ritorno a provvedimenti già adottati in passato. In politica estera, Trump mostra un'inclinazione verso i leader autocratici, con posizioni molto diverse da quelle del democratico Joe Biden: intende ridurre o interrompere il sostegno militare ed economico all’Ucraina ed è particolarmente vicino al premier israeliano Benjamin Netanyahu, in linea con leader e partiti di estrema destra europei. Trump si è dimostrato scettico nei confronti della NATO, ventilando persino l’ipotesi di un’uscita degli Stati Uniti o una riduzione significativa del supporto militare verso i paesi europei, preoccupati dalla crescente minaccia russa. Sul piano commerciale, ha annunciato il ritorno di dazi elevati su prodotti cinesi ed europei, per incentivare la produzione statunitense, una mossa che potrebbe danneggiare l’economia di esportazione dei paesi europei, inclusa l’Italia. In tema di immigrazione, Trump ha promesso di espellere circa 11 milioni di migranti irregolari presenti negli Stati Uniti e ha diffuso informazioni discriminatorie sui migranti durante la campagna elettorale, suggerendo un approccio restrittivo sull’accoglienza di nuovi immigrati. Infine, Trump potrebbe prendere in considerazione un divieto federale dell’aborto, sull’onda delle pressioni della destra cristiana, soprattutto dopo la revoca della sentenza Roe v. Wade da parte della Corte Suprema nel 2022, anche se durante la campagna ha avuto posizioni ambigue al riguardo.
Ma come è arrivata la sua vittoria? Nel 2008 Barack Obama vinse le elezioni presidenziali attirando un grande sostegno dalle minoranze etniche, mentre il Partito Repubblicano riconobbe la necessità di espandere la propria base elettorale. Quindici anni dopo, nel 2024, i Repubblicani hanno ottenuto il supporto di un numero significativo di afroamericani, asiatici e latinoamericani, ma lo fanno con un candidato come Donald Trump, noto per le sue posizioni dure sull’immigrazione. L’elettorato Repubblicano è ora più eterogeneo e Trump ha guadagnato consensi tra le minoranze in aree come la contea di Baldwin in Georgia e Miami in Florida, dove i Repubblicani hanno vinto per la prima volta in decenni. Anche lungo il confine tra Texas e Messico, tradizionalmente a maggioranza Democratica, molte contee hanno preferito Trump. Secondo gli exit poll, Trump ha aumentato i consensi tra i latinoamericani e le altre minoranze rispetto al 2016 e al 2020. Una ragione chiave è lo stato dell’economia, con l’inflazione e il costo della vita in aumento, elementi che hanno colpito particolarmente le minoranze etniche. Inoltre, le posizioni conservatrici dei Repubblicani su temi come l’aborto e i diritti civili rispecchiano i valori religiosi di molti elettori delle minoranze. Dall’altra parte a uscirne con le ossa rotte è il Partito Democratico. Dopo le elezioni, si è aperto un dibattito su cosa abbia causato la sconfitta di Kamala Harris. Tra le principali cause si evidenzia il legame con Joe Biden, presidente uscente impopolare di 81 anni, che ha ritirato la sua candidatura solo a luglio, lasciando poco tempo a Harris per condurre una campagna elettorale efficace. Durante questa, Harris non è riuscita a prendere le distanze dalle scelte controverse di Biden, in particolare su economia e immigrazione, settori chiave della competizione. Inoltre, in un’intervista, Harris ha dichiarato di non avere divergenze significative con Biden, favorendo la narrativa repubblicana che la descrive come pienamente allineata a un'amministrazione impopolare. L’associazione a Biden ha penalizzato Harris anche per quanto riguarda l’immigrazione, tema in cui era stata nominata da Biden come responsabile delle cause della migrazione dall’America Centrale. Harris ha dovuto fare una campagna in tempi ristretti, costruendo un team rapidamente e senza una strategia di comunicazione ben definita. Anche il candidato vicepresidente Tim Walz non ha portato i vantaggi sperati, dimostrando poca incisività. Dopo un avvio positivo, la campagna ha sofferto di mancanza di interviste con media non progressisti e di critiche su posizioni passate, come il fracking e la decriminalizzazione dell’immigrazione. I risultati delle elezioni riflettono un calo del sostegno anche in aree tradizionalmente democratiche e tra gruppi come le donne e i latinoamericani. In generale, il calo di consensi tra le minoranze è legato a cambiamenti sociali complessi, non imputabili a un singolo candidato.
Prima di vedere quali sono state le reazioni e le possibili conseguenze a livello mondiale dell’elezione di Trump, vale la pena (eccome) ricordare che martedì, in dieci stati americani, si è votato anche per inserire il diritto all’aborto nelle Costituzioni statali, al fine di proteggerlo da possibili leggi future. I sostenitori del diritto all’aborto hanno vinto in sette stati: Arizona, Colorado, Maryland, Missouri, Montana, Nevada e New York. In alcuni casi, come in Missouri e Arizona, il risultato comporterà cambiamenti significativi nelle restrizioni esistenti, aumentando i limiti temporali per l’aborto. In altri stati dove l’aborto è già legale, i referendum mirano a evitare future limitazioni. Tuttavia, in tre stati a maggioranza repubblicana – Florida, South Dakota e Nebraska – i referendum non sono passati, mantenendo restrizioni stringenti.
🇺🇸 COSA SIGNIFICA L’ELEZIONE DI TRUMP PER UNIONE EUROPEA, ITALIA E PER I PROCESSI IN CORSO? SCOPRIAMOLO.
2) Il secondo mandato di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti potrebbe rappresentare un problema significativo per l’Unione Europea, dato che durante il suo primo mandato l’approccio "America First" aveva già penalizzato economicamente i principali Paesi europei. In un momento di debolezza politica ed economica dell’Europa, con una Germania in crisi economica e leader come Macron e Scholz in difficoltà, Trump ha proposto politiche ancora più radicali, come nuovi dazi sulle importazioni, minore supporto per l’Ucraina e critiche alla NATO. I leader europei, come Ursula von der Leyen e Macron, hanno inviato messaggi di collaborazione, anche se è improbabile che possano influenzare l'approccio di Trump. Macron ha anche sollecitato Scholz a lavorare per un’Europa più indipendente e unita. In risposta alle possibili politiche di Trump, l’Unione Europea ha pianificato dazi di ritorsione e collaborazioni con gli Stati Uniti in chiave anti-cinese. Inoltre, in campo militare, sono stati stanziati aiuti per l’Ucraina, ma l’Europa non sarebbe pronta a sopperire a un eventuale disimpegno degli Stati Uniti. L’Europa resta dipendente dalla NATO per la difesa, nonostante l’aumento delle spese militari nei Paesi europei per avvicinarsi alla quota del 2% del budget prevista. Thierry Breton ha ricordato che, durante il primo mandato, Trump aveva avvertito von der Leyen che gli Stati Uniti non avrebbero difeso l’Europa in caso di attacco, considerandola una "NATO morta". Alcuni Paesi, come l’Ungheria di Orbán e l’Italia di Meloni, potrebbero sfruttare affinità politiche per instaurare rapporti privilegiati con Trump, rischiando di compromettere la coesione dell'Unione.
A questo proposito, la vittoria di Donald Trump influenzerà anche la politica interna italiana, con impatti su governo e opposizione. A destra, si prevede un aumento dei toni identitari, soprattutto su immigrazione, e possibili cambiamenti nelle politiche di sostegno all'Ucraina. Il governo di Giorgia Meloni potrebbe cercare un ruolo di mediazione tra Europa e Stati Uniti, riducendo la dipendenza dall'asse franco-tedesco per posizionare l’Italia come interlocutrice privilegiata degli USA, seguendo l'esempio di leader come Viktor Orbán. L'opposizione, rappresentata in parte dal Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, appare divisa. Conte ha espresso simpatia per Trump, distanziandosi ulteriormente dal Partito Democratico, la cui leader Elly Schlein teme il ritorno del leader repubblicano alla Casa Bianca. In campo economico, l’annunciato aumento dei dazi commerciali da parte di Trump potrebbe danneggiare le esportazioni italiane, mentre la richiesta di maggiore spesa per la difesa da parte dei membri NATO potrebbe mettere sotto pressione il bilancio italiano. Matteo Salvini, leader della Lega, ha accolto con entusiasmo la vittoria di Trump, cogliendo l’occasione per ribadire la sua posizione di destra radicale e criticare l'Europa. Meloni, invece, pur condividendo in parte i valori di Trump, deve mantenere cautela per via dei legami instaurati con l’amministrazione Biden e il sostegno alla causa ucraina, una posizione che potrebbe dover rivedere nel nuovo contesto internazionale.
Nota a margine, ma non meno importante, riguarda i problemi legali del neo-presidente: la sua vittoria infatti potrebbe portare alla risoluzione di gran parte di essi. Attualmente sono in corso tre processi penali contro di lui: due federali e uno statale in Georgia. I primi due, relativi al tentativo di sovvertire l’esito delle elezioni del 2020 e alla sottrazione di documenti riservati, potrebbero essere facilmente chiusi con il suo ritorno alla Casa Bianca. Il terzo, in Georgia, potrebbe essere sospeso a causa di un conflitto di interessi e della possibile richiesta di immunità presidenziale. Un ulteriore processo penale a New York, in cui Trump è stato già dichiarato colpevole per falsificazione di documenti contabili legati al pagamento dell’attrice Stormy Daniels, potrebbe anch'esso subire rinvii o sospensioni. Anche i numerosi processi civili, che lo vedono accusato di diffamazione, abusi sessuali e frode fiscale, potrebbero rallentare o diventare più complessi a causa della posizione presidenziale. Secondo Politico, in qualità di presidente, Trump disporrebbe di un "campo di forza giuridico" che lo proteggerebbe dalle conseguenze penali. Tuttavia, i processi civili come quello per diffamazione della giornalista E. Jean Carroll potrebbero proseguire, sebbene rallentati dalla sua carica.
🇮🇱 ISRAELE-HAMAS: GLI ATTACCHI IN LIBANO, LE PROTESTE CONTRO NETANYAHU, IL LICENZIAMENTO DI GALLANT
(3) Torniamo ora alle ultime sul conflitto israelo-palestinese. Venerdì scorso l’esercito israeliano ha effettuato una serie di bombardamenti nella valle della Beqaa, nel nordest del Libano, uccidendo 52 persone e ferendone diverse decine, secondo il ministero della Salute libanese. Gli attacchi sono seguiti all’ordine di evacuazione della città di Baalbek emesso da Israele mercoledì, che ha spinto oltre 60.000 persone a lasciare le proprie abitazioni. Gli attacchi hanno colpito prevalentemente centri rurali della zona, mentre in precedenza Israele si era concentrato sulla capitale Beirut e sul sud del Libano, aree con una presenza forte di Hezbollah, il gruppo politico e militare libanese in conflitto con Israele. Israele considera la valle della Beqaa come una delle basi di Hezbollah, data anche la provenienza di alcuni dei suoi leader storici. L’esercito israeliano sostiene che molti combattenti di Hezbollah si siano ritirati nella valle dopo i bombardamenti nel sud e nella capitale, utilizzandola come retroguardia per lanciare attacchi contro Israele. Prima dell’evacuazione, la zona contava circa 80.000 residenti. In risposta agli attacchi israeliani, tra venerdì e sabato Hezbollah ha lanciato missili verso Israele: la maggior parte è stata intercettata, ma alcuni hanno colpito la città di Tira, ferendo 11 persone e danneggiando edifici. Negli ultimi mesi di conflitto, in Libano più di 2.900 persone sono state uccise, migliaia ferite e oltre un milione ha abbandonato le proprie case a causa dei bombardamenti e dell’invasione israeliana nel sud del paese.
Domenica, l'esercito israeliano ha riferito di aver catturato in Siria un uomo siriano accusato di spiare per conto dell'Iran. Questa operazione di terra, la prima di cui Israele abbia parlato pubblicamente nell'ultimo anno, è avvenuta mentre il paese è coinvolto in vari conflitti con gruppi iraniani nei paesi vicini. L'uomo, Ali Soleiman al Assi, residente a Saida nel sud della Siria, avrebbe monitorato le attività israeliane sulle alture del Golan e ora si trova in Israele per l'interrogatorio. Israele aveva già effettuato numerosi attacchi aerei in Siria contro obiettivi iraniani, incluso uno ad aprile che aveva colpito l'ambasciata iraniana a Damasco, scatenando la risposta iraniana con il lancio di missili. Il conflitto fra Israele e gruppi sostenuti dall'Iran si estende anche al Libano, dove Israele ha intensificato i bombardamenti contro Hezbollah, e alla Striscia di Gaza contro Hamas.
Questa settimana, nella notte tra martedì e mercoledì, migliaia di manifestanti hanno bloccato la principale autostrada di Tel Aviv e protestato contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, con mobilitazioni in altre città. Le proteste sono scaturite dal licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant, annunciato da Netanyahu martedì sera, e riflettono il malcontento verso il governo. I manifestanti accusano Netanyahu di non fare abbastanza per riportare in patria gli ostaggi catturati da Hamas durante gli attacchi del 7 ottobre 2023. A Tel Aviv, i manifestanti hanno bloccato l'autostrada Ayalon, utilizzando materiali da costruzione e accendendo falò, mentre in altre città come Gerusalemme e Haifa sono stati bloccati vari snodi stradali. La polizia ha tentato di disperdere la folla con idranti e sono stati arrestati circa quaranta manifestanti. I partecipanti sventolavano bandiere israeliane e gialle, simbolo di solidarietà con gli ostaggi, definendo Netanyahu un "traditore". Gallant, ex generale e ministro della Difesa dal 2022, è stato licenziato per "gravi differenze di vedute" sulla gestione della campagna militare. Gallant ha dichiarato che il disaccordo riguarda la coscrizione universale, il ritorno degli ostaggi e la necessità di un'inchiesta sugli eventi del 7 ottobre. Aveva anche criticato la strategia di Netanyahu su Gaza e si era opposto alla riforma della giustizia, provocando precedenti proteste nel marzo 2023. Il Jerusalem Post stima decine di migliaia di manifestanti tra Tel Aviv e Gerusalemme, mentre il Times of Israel riferisce di oltre duemila manifestanti a Tel Aviv, nonostante le restrizioni per i bombardamenti con il Libano. Intanto Netanyahu ha proposto di nominare il ministro degli Esteri Israel Katz come successore di Gallant, soggetto all’approvazione del governo e del parlamento.
In ultima analisi, sempre questa settimana, un ufficiale israeliano ha dichiarato che Israele non permetterà ai civili palestinesi di tornare nel nord della Striscia di Gaza, confermando i sospetti di una rimozione forzata della popolazione. Questa zona è sotto attacco da circa un mese, giustificato dall’esercito israeliano come necessario per eliminare forze di Hamas riorganizzate. L’operazione ha devastato i centri di Jabalia, Beit Hanoun e Beit Lahia, interrompendo l’arrivo di aiuti e mettendo sotto assedio gli ultimi ospedali attivi. L’evacuazione della popolazione dal nord sembra stavolta definitiva: l’ufficiale Itzik Cohen ha dichiarato che non è previsto il ritorno dei civili, mentre nel sud continuerà l’accesso agli aiuti. Nonostante l’ordine di evacuazione, si stima che alcuni civili siano rimasti. Alcuni giornalisti, accompagnati dall’esercito, hanno testimoniato la distruzione di case e infrastrutture, rendendo improbabile un ritorno alla normalità per anni. Questa strategia appare simile al “piano Eiland”, ideato dal generale Giora Eiland, che prevederebbe il controllo israeliano del nord della Striscia per estirpare Hamas, anche attraverso misure estreme come il blocco degli aiuti e spostamenti forzati. Tuttavia, Israele ha negato di attuare tale piano.
🇩🇪 GERMANIA: APERTA LA CRISI DI GOVERNO DOPO IL LICENZIAMENTO DEL MINISTRO DELLE FINANZE LINDNER
4) Facciamo un salto in Germania. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha licenziato il ministro delle Finanze Christian Lindner, leader del Partito Liberale (FDP), a causa di divergenze sulle riforme economiche. Questo ha innescato una crisi politica in Germania, poiché il governo, composto dalla coalizione tra Socialdemocratici (SPD), Verdi e FDP, perde così la maggioranza parlamentare. Dopo il licenziamento, anche altri tre ministri liberali hanno abbandonato il governo. Scholz potrebbe governare in minoranza, ma difficilmente riuscirebbe a far approvare leggi cruciali, come il bilancio, fino a una prevista mozione di fiducia il 15 gennaio 2025. Se perderà la fiducia, il parlamento sarà sciolto e nuove elezioni saranno indette entro 60 giorni. Durante un incontro tra i leader di coalizione, era emerso che non avrebbero trovato un accordo sui 9 miliardi di euro necessari al bilancio, e Scholz ha rifiutato la proposta di Lindner di convocare elezioni anticipate. Dopo l’incontro, Scholz ha criticato Lindner per tutelare solo gli interessi del suo partito, annunciando che avrebbe cercato un supporto esterno dai Cristiano-Democratici (CDU) guidati da Friedrich Merz, per approvare le misure economiche fino a gennaio. I Verdi, attraverso Robert Habeck e Annalena Baerbock, hanno espresso la volontà di restare in coalizione, ma ritengono inevitabili elezioni in primavera. Lindner, dal canto suo, ha accusato Scholz di ignorare le difficoltà economiche e le preoccupazioni dei cittadini. Le divergenze sui limiti del debito erano iniziate nel 2023, quando la Corte costituzionale aveva dichiarato illegali alcune spese straordinarie del governo per la transizione energetica, causando buchi di bilancio significativi. Lindner, contrario a superare i limiti di debito e favorevole a tagli alla spesa pubblica e agli obiettivi climatici, ha perso consenso. Al suo posto Scholz ha nominato Jörg Kukies, socialdemocratico, mentre restano incerte le possibilità di approvare il bilancio per il 2025 senza l’appoggio dell’FDP.
🇪🇦 SPAGNA: NON SI FERMANO LE POLEMICHE POST ALLUVIONI. QUALI SONO GLI ULTIMI AGGIORNAMENTI?
5) Torniamo in Spagna per gli ultimi aggiornamenti post alluvioni, causate da un fenomeno meteorologico noto come DANA, acronimo di "depressione isolata nei livelli alti". Questa situazione si è verificata a causa di un'anomalia atmosferica che ha prodotto abbondanti e prolungate precipitazioni. Il fenomeno è stato amplificato dalle elevate temperature delle settimane precedenti, che hanno aumentato l'evaporazione e l'umidità nell'aria, e dalla presenza di aree anticicloniche stabili che hanno bloccato la DANA sul territorio interessato. Una DANA si forma quando una massa di aria fredda si separa dalle correnti a getto, creando instabilità e precipitazioni intense. Nel caso attuale, la pioggia è stata particolarmente intensa a causa dell'evaporazione dal Mediterraneo e del blocco della depressione in un “vortice stazionario”. A Chiva, vicino Valencia, sono stati registrati 491 millimetri di pioggia in otto ore, quasi quanto l'intera media annuale. Questo evento è stato paragonato alla tempesta Boris di settembre, che ha colpito l’Europa centrale con dinamiche simili. Secondo il climatologo Giulio Betti, questi fenomeni, “vortici isolati” con blocchi anticiclonici stabili, sono alimentati dalle alte temperature, intensificate dal cambiamento climatico. Sebbene le alluvioni non diverranno più frequenti ovunque, nelle regioni a rischio potrebbero aumentare in intensità a causa del riscaldamento globale.
A Valencia e in altre città spagnole colpite, si cercano ancora dispersi e il bilancio delle vittime nella Comunità Valenciana è di 211 morti, con altri tre decessi in altre regioni, secondo quanto riportato dal primo ministro Pedro Sánchez. Non si ha ancora una stima ufficiale dei dispersi, e si teme che molti corpi siano intrappolati in automobili travolte dalle esondazioni, accumulate lungo strade e ferrovie. I vigili del fuoco, supportati dai militari, stanno svuotando garage e cantine allagate. A Valencia, sono stati allestiti due obitori d'emergenza per identificare i corpi recuperati, e più di trenta esperti di patologia forense sono stati inviati per collaborare alle operazioni di riconoscimento. In conferenza stampa, Sánchez ha definito l’alluvione come la più grave in Europa di questo secolo, e ha annunciato l’invio di altri 5mila militari per supportare i 3mila già presenti nella regione, oltre a migliaia di agenti e volontari.
Nel frattempo, il ministro dei Trasporti spagnolo, Oscar Puente, ha pubblicato un messaggio su X (Twitter) per rispondere alle domande riguardo alle vittime e ai dispersi dell'alluvione nella regione di Valencia. Puente ha smentito le accuse di nascondere informazioni e ha spiegato che le operazioni di pulizia sono complesse, soprattutto nelle aree meno accessibili. Il ministro ha chiarito che è prematuro stimare il numero di persone ancora da trovare, poiché le aree allagate devono essere bonificate prima di ottenere conferme. Una confusione sul numero dei dispersi è nata dopo un articolo di el Diario, che citava 1.900 segnalazioni di mancato contatto con persone nella zona colpita. Tuttavia, il ministro dell’Interno, Fernando Grande-Marlaska, ha ridimensionato il dato, precisando che non tutte le segnalazioni sono aggiornate. In Italia si è discusso del parcheggio allagato del centro commerciale Bonaire di Aldaia, descritto come un "cimitero sommerso," ma non ci sono prove certe sul numero di persone presenti al momento dell’allagamento. Anzi. A questo proposito, martedì mattina si è conclusa la ricerca di eventuali cadaveri nel parcheggio sotterraneo. La polizia scientifica, dopo aver ispezionato circa cinquanta automobili e il 99% della struttura, non ha trovato corpi e ha interrotto le ricerche.
A non fermarsi è invece il dibattito politico intorno alla tragedia, principalmente riguardo la gestione dell'emergenza e degli aiuti. La questione primaria è se questa gestione debba restare di competenza regionale, come finora avvenuto, o essere assunta dal governo centrale, accusato di ritardi nell'intervento. Il premier Pedro Sánchez e il presidente della Comunità Valenciana Carlos Mazón, di schieramenti opposti, hanno inizialmente cercato di mantenere un fronte unito, ma le tensioni sono aumentate. Sánchez ha annunciato un piano di aiuti da 10,6 miliardi di euro, sebbene Mazón avesse richiesto fondi maggiori. Le critiche sono cresciute anche per i ritardi nell'allerta e nella risposta delle istituzioni. L’intensa pioggia è stata annunciata da varie segnalazioni nei giorni precedenti, ma il sistema di allarme pubblico Es-Alert è stato attivato solo dopo 13 ore dall’allerta rossa diramata dall’AEMET, quando ormai diverse zone erano già sommerse. Le tensioni sono emerse pubblicamente durante una visita a Paiporta, una delle città più colpite, dove re Felipe, Letizia Ortiz, Sánchez e Mazón sono stati contestati dalla popolazione locale. La situazione si è complicata con l’intervento di attivisti di estrema destra, che hanno utilizzato la protesta per scopi politici. Nel caos successivo all’alluvione, Mazón è stato criticato anche dai media e da membri del suo partito, i Popolari, i quali stanno cercando di distanziarsi dalla sua gestione. Alcuni esponenti di Vox e gruppi di estrema destra hanno diffuso false informazioni sulle cause dell’alluvione, sostenendo che i governi attuali, diversamente da Franco, trascurano le infrastrutture idrauliche. Hanno anche accusato l’Unione Europea di voler demolire le dighe, un’affermazione smentita dal Ministero della Transizione ecologica, che ha chiarito come solo due piccole chiuse siano state demolite negli ultimi anni per motivi di sicurezza.
🌐 L’INTERPOL PONE FINE ALLA PIÙ GRANDE OPERAZIONE DELLA SUA STORIA SULLA TRATTA DI ESSERI UMANI
6) Chiudiamo con una notizia di portata internazionale. L’Interpol ha recentemente concluso la più vasta operazione della sua storia contro la tratta di esseri umani. Tra il 29 settembre e il 4 ottobre 2024, sono state arrestate 2.557 persone in 116 paesi, di cui 850 sospettate di traffico di esseri umani. L’operazione ha permesso il soccorso di oltre tremila potenziali vittime e l’identificazione di circa 18.000 migranti irregolari. Le forze dell’ordine hanno intensificato i controlli in alcuni varchi di confine strategici e monitorato 24.000 voli. I gruppi criminali identificati non erano impegnati solo nella tratta di esseri umani, ma anche in altri reati, come il traffico di armi e droghe, o in truffe forzate. Ad esempio, nelle Filippine, più di 250 persone, principalmente cinesi, erano costrette a commettere frodi online dopo essere state attirate con false promesse di lavoro. Un altro caso in Mali ha riguardato alcune donne togolesi, attirate con uno schema piramidale, costrette a coinvolgere familiari e sottoposte ad abusi. In Europa, diversi arresti hanno riguardato organizzazioni che facilitavano l’attraversamento illegale delle frontiere europee e britanniche, spesso coinvolte anche in traffico di droga e riciclaggio di denaro.
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Andiamo veloci con un paio di brevi 👇
🇲🇩 Maia Sandu, presidente uscente della Moldavia e leader europeista del Partito di Azione e Solidarietà (PAS), ha vinto il ballottaggio delle elezioni presidenziali con il 55,4% dei voti, battendo il candidato filorusso del Partito Socialista, Alexandru Stoianoglo, che ha ottenuto il 44,6%. La competizione è stata incerta, in un paese di circa 2,4 milioni di abitanti situato tra Romania e Ucraina. In Moldavia, il presidente ha poteri simili a quelli italiani, con funzioni di rappresentanza e garanzia istituzionale, oltre a poteri esecutivi e legislativi diretti. Sandu aveva un vantaggio nel primo turno, con il 42% dei voti contro il 26% di Stoianoglo, ma al secondo turno non aveva il supporto di altre forze politiche, mentre Stoianoglo ha ottenuto voti da candidati filorussi. La Moldavia, parte dell’Unione Sovietica fino al 1991, ha subito influenze russe per anni, pur adottando progressivamente posizioni filoccidentali, soprattutto con l’elezione di Sandu. Durante il primo turno delle presidenziali, un referendum ha approvato, seppur di misura, l’inserimento dell’adesione all’Unione Europea come “obiettivo strategico” nella Costituzione. Sebbene simbolico, il referendum ha rafforzato il sostegno alle proposte europeiste. La Russia ha cercato di influenzare l’esito delle elezioni e del referendum con disinformazione e finanziamenti occulti.
🇮🇹 Il 6 novembre, il Senato italiano ha approvato all'unanimità una legge che garantisce alle persone senza dimora il diritto all'assistenza sanitaria, inclusa la possibilità di avere un medico di base. La proposta, avanzata dal deputato Marco Furfaro (PD), mira a colmare un vuoto normativo che richiedeva un indirizzo di residenza per accedere ai servizi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). In precedenza, chi non aveva una residenza anagrafica poteva ricevere solo cure di emergenza, e per accedere ai servizi sanitari doveva registrarsi con un indirizzo fittizio, legato a enti o associazioni, una soluzione temporanea e non sempre conosciuta. Furfaro ha evidenziato che questa situazione coinvolgeva circa 100mila persone in condizioni di particolare vulnerabilità. Ha ringraziato Antonio Mumolo, presidente dell'associazione Avvocato di Strada, che da anni si batte per i diritti dei senzatetto e aveva già proposto una legge simile, approvata a livello regionale in alcune regioni italiane. Ora, grazie alla nuova legge nazionale, è stato stanziato un fondo di un milione di euro all'anno per il 2025 e il 2026, per finanziare un programma sperimentale nelle 14 città metropolitane d'Italia.
Alla prossima 👋
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J-Ax in un pezzo di 10 anni fa cantava: “persone senza onore qui le chiamano onorevoli”. Pur non facendo nomi, tantissime sono le persone, gli “onorevoli” (o per meglio dire i “dis-onorevoli”) che potrebbero essere i destinatari di questa frase.
È il 2021, quando al senato viene affossato il ddl Zan che avrebbe inasprito le pene nei confronti di chi commette reati omo-trans-fobici, che porta il nome di Alessandro Zan (Partito Democratico). All’affossamento del ddl in questione, a festeggiare è tutta l’ala destra dell’emiciclo, sempre pronti a remare contro qualsiasi forma di senso civico e contro qualsiasi azione di buonsenso.
A festeggiare c’è anche lui, Simone Pillon, “senatùr” leghista che un giorno sì e l’altro pure inveisce contro il mondo lgbtqi+, al punto da arrivare ad essere condannato per diffamazione nei confronti dell’associazione Omphalos Lgbti+, accusata di fare “una propaganda unidirezionale e celebrativa dell’omosessualità, con l’intento di coinvolgere i minorenni in attività a sfondo esibizionistico/erotico, svolte presso l’associazione”. Secondo la sentenza, Pillon avrebbe additato l’associazione come “istigatrice dell’omosessualità” (?) E “soggetto che distribuisce materiale pornografico” (!!!).
All’affossamento del ddl Zan, Pillon e soci leghisti hanno subito prontamente festeggiato sui loro social, con foto e video provocatori in cui si inneggia al “salvataggio dell’Italia dalle teorie del gender che stanno rovinando le nuove generazioni”. Risultato? Una valanga di commenti e di insulti, più o meno veementi, che rientrano nel diritto di critica e nella libertà di espressione (che peraltro Pillon & soci han sempre difeso a spada tratta, rivendicando anche di utilizzare parole oscene nei confronti di determinate categorie di persone). Peter Gomez ha specificato sul sito de Il fatto quotidiano.It: “ci limitiamo a ricordare che la libertà di parola nasce nel 700 con la rivoluzione rancese per poter parlare male di coloro i quali erano al potere. Per per parlarne bene, infatti, c’erano già i cortigiani. E oggi è davvero difficile parlar bene di questi nostri tre ex rappresentanti” (Simone Pillon, Stefano Lucidi e Guglielmo Golinello, tutti e tre ex parlamentari della Lega Per Salvini Premier).
Forse però la libertà di parola e di espressione, la libertà di ruttare in pubblico nei comizi con contenuti diffamatori e basati sul nulla forse vale solamente per loro. Si è scoperto, infatti, che Simone Pillon (in compagnia dei suoi colleghi) si è rivolto ad uno studio legale di Modena (tale Studio Legale Virgili) per far sì che quest’ultimo lo difendesse dalle critiche e dagli insulti ricevuti per via delle sue uscite davvero polarizzanti e decisamente criticabili e attaccabili. Una valanga di lettere sono state inviate ai malcapitati, con richieste di risarcimento di cifre ingenti che potevano sforare anche i 20mila euro per “diffamazione aggravata nei confronti dell’ex senatore”.
A far scoppiare il caso è stato Thomas Mackinson, che ha portato a galla sul giornale diretto da Gomez e Marco Travaglio, questa enorme macchina di risarcimenti che nasconde del marcio dietro: una macchina basata essenzialmente sulla paura volta ad agire nei confronti di poveri malcapitati che non riescono a distinguere “una lettera raccomandata da un atto giudiziale”. Nella lettera solo una alternativa: paga il risarcimento per i commenti oppure vai a processo. In pratica: un’estorsione bella e buona.
Come spiega l’avvocato Luca Zenaldi all’interno di questo servizio de Le iene realizzato da Roberta Rei, la corretta procedura prevede, in caso ci si senta diffamati, la presentazione di una querela che viene esaminata dal pubblico ministero il quale decide se effettivamente sussiste la diffamazione, e dunque eventualmente rinvia al giudizio. Ebbene, in tale macchina manca esattamente il passaggio della presentazione di querela da far esaminare al pubblico ministero. In buona sostanza, l’azione avviata da Pillon e dallo studio legale a cui si è rivolto è nient’altro che una pesca a strascico che sulla legge dei grandi numeri tenta di acchiappare quanti più pesci disposti a pagare, un po’ per vergogna, un po’ per levarsi dalle grane. Ed infatti in tanti han pagato.
In questi 8 minuti e poco più di servizio de Le iene, la Rei ha parlato di tutta la situazione riguardante l’ex “senatùr” leghista, andando anche ad intervistarlo circa tutta la faccenda.
Un noto detto italiano recita che “sono tutti froci con il culo degli altri”: in questo caso, si potrebbe affermare che richiedono tutti libertà di espressione, almeno finché non si finisce al centro di shitstorm volutamente create e ricercate a tavolino.
(Servizio de Le iene di Novembre 2022).
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Il Brasile trasformato
Il 30 ottobre si è conclusa l’elezione più combattuta della storia brasiliana: Luiz Inácio Lula da Silva ha battuto Jair Bolsonaro. Chi si è recato alle urne sapeva che non si trattava di un voto qualunque. Bolsonaro aveva fatto di tutto per manipolare il processo democratico e aveva minacciato di contestare qualsiasi risultato che non fosse andato a suo favore. Ma Lula, il 77enne leader del Partito dei Lavoratori (PT), ha fatto leva sull’enorme popolarità che aveva accumulato durante i suoi precedenti anni al potere, arrivando al traguardo con il 50,9% contro il 49,1% di Bolsonaro. Così facendo, ha recuperato parte del terreno che il PT aveva perso nelle elezioni del 2018 e ha aumentato la quota di seggi della sinistra in un parlamento dominato dalla destra. Il risultato è stato senza precedenti: mai prima d’ora un presidente brasiliano era stato eletto per un terzo mandato, né il presidente in carica era stato sconfitto da quando è stata introdotta la possibilità di rielezion
Solo tre anni fa si pensava che Lula fosse politicamente finito e forse destinato a trascorrere il resto della sua vita dietro le sbarre, essendo stato condannato per corruzione. Ora è tornato, ma il Brasile che presiederà è molto diverso da quello che ha lasciato al suo successore Dilma Rousseff nel 2010. La serrata corsa elettorale ha smentito la convinzione, sostenuta da molti a sinistra, che questo fosse ancora essenzialmente lo stesso paese che aveva eletto il PT per quattro volte.
Una volta entrato nel Palácio da Alvorada a gennaio, Lula dovrà fare i conti con un’economia fiacca in patria e all’estero, con l’eredità di sei anni di gravi disfunzioni istituzionali, con un Congresso diviso e con una potente estrema destra. Mentre il suo primo governo ha beneficiato del boom delle materie prime all’inizio del millennio, non sembra esserci all’orizzonte una simile fortuna; e anche se ci fosse, la prospettiva di un cambiamento climatico dilagante limita la misura in cui potrebbe essere sfruttata. Dati questi vincoli il suo spazio di manovra – per aumentare la spesa sociale o espandere i diritti dei gruppi emarginati – sarà ancora più ristretto rispetto al 2003.
Per comprendere questi cambiamenti non è sufficiente dare la colpa alla vasta rete di influencer online, canali YouTube, gruppi WhatsApp e Telegram, stazioni televisive, emittenti radiofoniche e chiese evangeliche che si sono coalizzate intorno a Bolsonaro nel 2018.
È inoltre necessario esaminare le dinamiche di lungo termine che sono state messe in moto dalle amministrazioni del PT degli anni 2000 e 2010, insieme a quelle che sono emerse negli anni successivi. Tali dinamiche sono state all’opera nelle quattro storie principali della recente campagna elettorale: l’impressionante dimostrazione di forza di Bolsonaro, il degrado delle istituzioni democratiche brasiliane, l’ascesa del settore estrattivo come forza politica e sociale e l’ampia coalizione che il PT ha messo insieme. Questo saggio analizzerà ciascuno di questi aspetti.
I
Nel 2018, Bolsonaro poteva affermare di essere il candidato della speranza e del cambiamento. Nel 2022, invece, portava con sé il peso di un bilancio presidenziale disastroso: politica continuamente in subbuglio, aumento del costo della vita, corruzione palese, terribile gestione della pandemia Covid-19. Ci si aspettava che questi problemi alienassero una fetta consistente degli elettori che avevano favorito la sua vittoria quattro anni prima. In effetti, con l’annuncio dei risultati, è apparso chiaro che il destino di Bolsonaro è stato segnato da quella frazione di elettori che ha cambiato bandiera per Lula a Rio de Janeiro, San Paolo e Minas Gerais. Ma questa tendenza non è stata così forte come avevano previsto i sondaggisti; invece di perdere la maggior parte degli elettori indecisi, Bolsonaro è sembrato averne portato gran parte all’interno del suo zoccolo duro, che è emerso dal ciclo elettorale con un aspetto più ampio e coeso. Ciò ha senso se si considera che Bolsonaro, come Trump, si è sempre preoccupato di mantenere i suoi sostenitori impegnati e mobilitati piuttosto che di occuparsi delle attività quotidiane di governo. Se da un lato questa strategia gli ha fatto perdere molti sostenitori di centro, dall’altro ha consolidato il blocco bolsonarista.
La coalizione di Bolsonaro è in gran parte tenuta insieme dall’impressionante infrastruttura comunicativa dell’estrema destra. Tuttavia, le sue origini possono essere fatte risalire alla crisi economica scoppiata verso la fine del primo mandato di Rousseff e che ha innescato la fine anticipata del secondo, nonché alle varie riforme delle pensioni, del lavoro e della spesa sociale che ne sono seguite. Tra coloro che sono usciti dalla povertà durante gli anni del boom, il raggiungimento di standard di vita da classe media (spesso finanziati dal debito) è diventato una fonte importante di autostima. Ma la recessione iniziata nel 2015 ha minato il progetto del PT di « inclusione attraverso il consumo », provocando insoddisfazione verso il partito, aggravata da successivi scandali di corruzione. Da quel momento in poi, il « neoliberismo dal basso », ormai consolidato da tempo, si è combinato con la propaganda libertaria « dall’alto », dando vita a un nuovo paesaggio ideologico. Con l’esplosione del numero di persone che lavorano per la gig economy in Brasile (un aumento del 979,8% dal 2016), la sottoccupazione, la deregolamentazione e la crescente coercizione economica sono state interpretate come segni di libertà personale, imprenditorialità e sana concorrenza di mercato, consentendo a settori dell’elettorato di riacquistare parzialmente l’autostima che era stata persa sotto il PT. Contemporaneamente un rinnovato investimento nei pregiudizi di genere, razziali, religiosi e di classe – che la destra ha presentato come una difesa dei valori familiari repubblicani e cristiani – ha fornito una compensazione psicologica per l’incertezza economica e la riduzione delle aspettative. Man mano che si faceva strada un’idea della crisi che mescolava ultraliberismo e paranoia anticomunista, molte persone che avevano beneficiato delle politiche sociali del PT sono arrivate a vedere il loro avanzamento sociale come una conquista individuale – e a incolpare quelle stesse politiche, così come i gruppi e le minoranze che avevano aiutato, per le loro attuali tribolazioni.
Questo senso di risentimento nella classe medio-bassa convergeva con il senso di risentimento che si era creato fin dal primo mandato di Lula tra una classe medio-alta che si trovava in bilico tra i ricchi, che diventavano sempre più ricchi, e i poveri, che diventavano sempre meno poveri (minacciando così i loro segni di distinzione di classe). Nella campagna di Bolsonaro del 2018, questi due strati hanno unito le forze con una classe capitalista che ha visto nella caduta del PT l’opportunità di far passare una serie di riforme (tra cui un tetto permanente alla spesa pubblica) e in Bolsonaro l’occasione per almeno quattro anni di predazione senza freni.
Dopo quattro anni di questo tipo, il Brasile è ora un Paese più brutale e diseguale, ma questo non ha necessariamente danneggiato la posizione politica di Bolsonaro. Al contrario: per molti dei suoi aderenti, il fascino del bolsonarismo è quello che si potrebbe definire uno stato di natura distribuito in modo differenziato: una situazione in cui lo Stato non svolge più alcun ruolo nel mitigare le relazioni di potere esistenti e ogni persona è libera di esercitare la propria autorità in qualsiasi ambito possa esercitarla, anche se si tratta solo di moglie e figli o di gruppi minoritari oppressi. Anche per coloro che si trovano nelle periferie, l’idea che lo Stato si allontani e si rifiuti di intervenire può sembrare più liberatoria che minacciosa.
C’è una forma perversa di egualitarismo all’opera: la sensazione che, se si è sottoposti a condizioni di vita e di lavoro sempre più spietate, queste dovrebbero essere imposte a tutti – tranne, ovviamente, ai vincitori di cui si aspira a far parte e alla cui libertà senza limiti si spera di partecipare. Da qui il paradossale status di Bolsonaro come simbolo di disciplina e di permissivismo: egli rappresenta una forma di darwinismo sociale in cui competere significa operare al limite della moralità e della legge, e vincere significa non essere più soggetti alle stesse regole di tutti gli altri.
II
Tuttavia, i risultati del 30 ottobre non sono solo il riflesso di queste tendenze storico-politiche. Sarebbe dare troppo credito a Bolsonaro ignorando gli effetti del suo straordinario uso dell’apparato statale per sostenere la sua campagna elettorale. Questa è la seconda storia principale della competizione: anche se la sconfitta dell’ex capitano dell’esercito ha evitato al Brasile di imboccare una strada simile a quella dell’Ungheria di Orbán, il processo elettorale ha reso evidente l’erosione istituzionale avvenuta negli ultimi anni.
Sebbene Bolsonaro abbia promesso una « nuova politica », il suo mandato ha effettivamente radicalizzato alcune delle pratiche più losche della classe politica brasiliana, notoriamente egoista. Minacciato da indagini penali che riguardavano lui e i suoi figli e temendo un impeachment per la sua sconsiderata risposta alla pandemia, il presidente ha cercato di accattivarsi il favore del Congresso istituendo un « bilancio segreto » che, dal 2020, ha consegnato ai legislatori favorevoli 46,2 miliardi di reais da utilizzare senza alcun controllo democratico. (A titolo di confronto, l’inchiesta Lava Jato ha preteso di recuperare 6,28 miliardi di reais sottratti sotto il PT). Questo sistema, che aumenta notevolmente le opportunità di corruzione, ha contribuito a garantire la lealtà dell’organo legislativo, consentendo a Bolsonaro di approvare un numero impressionante di misure clientelari prima della campagna presidenziale. Tra queste: l’espansione dei programmi di trasferimento di denaro, l’apertura di linee di credito per i beneficiari di tali programmi, benefici per i conducenti di camion e taxi (due bastioni del bolsonarismo) e tagli fiscali per ridurre i prezzi del carburante. Tutto ciò ha portato a una temporanea ripresa delle condizioni economiche, dando credito alle affermazioni di Bolsonaro secondo cui il Brasile stava ottenendo risultati migliori di altri Paesi all’indomani della pandemia. Mentre Lula ha mantenuto il suo vantaggio tra la fascia più povera dell’elettorato, queste riforme hanno probabilmente contribuito a mantenere parte dei sostenitori che Bolsonaro avrebbe altrimenti perso a causa dell’aumento del costo della vita.
Inoltre hanno creato un deficit fiscale stimato in almeno 150 miliardi di reais, che sicuramente limiterà il programma del presidente entrante.
Oltre a questa operazione di acquisto di voti, Bolsonaro ha ripetutamente messo in dubbio il processo elettorale e ha suggerito che si sarebbe rifiutato di riconoscere una vittoria di Lula. Ha corteggiato apertamente l’apparato di sicurezza, ha nominato oltre 6.000 membri delle forze armate in posizioni di governo e ha accennato alla prospettiva di un golpe di destra. Anche se questo non si è mai concretizzato, le azioni della Polizia autostradale federale – che ha interrotto il traffico nelle roccaforti di Lula il giorno delle elezioni – hanno dimostrato che non si trattava di una minaccia del tutto vana. Nel bel mezzo della campagna elettorale, anche la lotta contro le disfunzioni istituzionali ha iniziato ad assumere una forma disfunzionale. Quando il Tribunale elettorale è intervenuto per controllare la diffusione della disinformazione di destra, lo ha fatto in modi legalmente discutibili, alimentando le rivendicazioni bolsonariste di essere ingiustamente presi di mira dall’apparato statale.
Tutto ciò ha alzato la tensione delle elezioni e ha avvelenato l’atmosfera politica. Un elettore su tre, soprattutto donne e sostenitori di Lula, ha citato la violenza politica come preoccupazione. Le tensioni sono arrivate al culmine nella settimana che ha preceduto il secondo turno, con due gravi incidenti che hanno coinvolto gli alleati di Bolsonaro.
Prima, l’ex deputato in disgrazia Roberto Jefferson ha inscenato un confronto armato con la polizia federale, che ha cercato di arrestarlo dopo che aveva violato le condizioni degli arresti domiciliari definendo un giudice della Corte Suprema « una puttana consumata ». Poco dopo, la rappresentante federale Carla Zambelli ha puntato una pistola contro un uomo di colore con cui aveva avuto un alterco per le strade di San Paolo.
Il presidente in carica sperava chiaramente che queste truppe d’assalto avrebbero protetto la sua posizione. Dopo le elezioni, è rimasto in silenzio per 44 ore, consultandosi con vari alleati e aspettando di vedere se i blocchi stradali che i suoi sostenitori avevano eretto si sarebbero trasformati in un movimento abbastanza grande da permettergli di contestare i risultati. Quando ciò non si è verificato, ha tenuto un riluttante discorso di due minuti in cui non ha detto nulla sul suo avversario, ha celebrato la « vera emergenza » della destra sotto la sua amministrazione, ha fatto alcune dichiarazioni vaghe per mantenere viva la speranza della sua base e ha lasciato al suo capo di gabinetto il compito di annunciare che il processo di transizione era iniziato.
III
La terza grande storia delle elezioni riguarda la forma della mappa elettorale e l’affermazione della campagna brasiliana come forza sociale e politica.
Bolsonaro ha vinto, spesso con ampi margini, nel Sud, nel Midwest e in alcune parti del Nord: le terre del cuore dell’agrobusiness dove la frontiera estrattiva si sta espandendo. Ciò coincide con la diffusione della deforestazione durante il suo mandato. (Solo in Amazzonia è aumentata del 73% negli ultimi quattro anni, mentre sotto Lula era diminuita del 67%). Naturalmente, le amministrazioni del PT erano tutt’altro che nemiche dell’industria estrattiva; al contrario, la loro scommessa sul boom delle materie prime ha accelerato la riprimarizzazione dell’economia iniziata negli anni Novanta. Al di là dei discorsi sui « valori condivisi », ciò che spiega la preferenza del settore agroalimentare per Bolsonaro è stata la prospettiva di un’accumulazione non ostacolata da alcun vincolo o forza contraria, siano essi il riconoscimento delle rivendicazioni indigene, le normative ambientali o le politiche distributive. Anche se la maggior parte della ricchezza prodotta di recente nelle roccaforti dell’agrobusiness è finita nelle tasche di un ristretto numero di famiglie, il trionfo di Bolsonaro in queste regioni dimostra che azioni come lo smantellamento delle agenzie statali e l’incoraggiamento delle attività minerarie e di disboscamento illegali hanno veicolato con successo un messaggio aspirazionale: il suo governo avrebbe coperto le spalle dall’avventuroso uomo di frontiera e avrebbe difeso la libera impresa con ogni mezzo necessario.
È stato durante il secondo mandato di Lula che la Cina è diventata il principale partner commerciale del Brasile, affermando definitivamente il settore estrattivo sulla scena mondiale. Ma è stato quando il settore ha abbandonato la Rousseff nel 2015 che è sembrato diventare maturo dal punto di vista politico: non si è più accontentato di difendere i suoi interessi economici immediati, ma ha cercato di imporre la sua agenda all’intero Paese. Con Bolsonaro, infine, al settore è parso capire che una forma di capitalismo sorvegliante – una situazione in cui l’interesse di garantire la massima predazione porta il capitale a stringere accordi diretti di condivisione del potere con le forze di sicurezza trasformate in agenti economici e politici indipendenti – sarebbe la più compatibile con la sua prosperità sfrenata.
La tendenza storica più ampia potrebbe essere l’inversione del dominio politico delle campagne da parte delle grandi città (e dei settori industriali e dei servizi), iniziato con Getúlio Vargas negli anni Trenta. Questa inversione è una conseguenza diretta della formula di governo del PT durante il suo primo periodo al potere: conciliare la crescita economica con la distribuzione della ricchezza percorrendo la strada di minor resistenza, utilizzando la cornucopia offerta dal boom delle materie prime per combattere la povertà senza tentare riforme strutturali in settori come la proprietà della terra e la tassazione. Il potere che questo approccio ha conferito alle industrie estrattive è tale che, come ha osservato recentemente un analista, è diventato impossibile governare senza il « Mega-Midwest ». Se questo è indubbiamente vero nel breve e medio termine, la domanda per qualsiasi progetto politico che si occupi di uguaglianza economica e politica è se sia possibile governare con esso nel lungo periodo, o se continuare ad alimentare questo settore porterà inevitabilmente a qualcosa di ancora peggiore di ciò che è accaduto dal 2016.
IV
La quarta e ultima storia principale di queste elezioni è che l’ampio fronte democratico che il PT sperava di riunire nel 2018 alla fine si è affermato, con importanti figure della destra e del centrodestra che hanno deciso di non poter più concedere a Bolsonaro il beneficio del dubbio. La composizione del gabinetto di Lula rifletterà sicuramente questa eterogeneità politica, così come la necessità di stringere alleanze con un parlamento di destra ma ideologicamente eterogeneo. Lula ha già dichiarato che questo non sarà un governo del solo PT. Tuttavia, la vera questione è se il PT cercherà di affermare la propria leadership sulla coalizione di governo, o se cercherà semplicemente di mantenere un equilibrio che è destinato ad essere altamente instabile.
Nei prossimi quattro anni, il PT si troverà ancora una volta ad affrontare la pressione di perseguire la riduzione della povertà senza riforme strutturali, ma questa volta senza le entrate derivanti dal boom delle materie prime. Mentre si unisce alla schiera di leader più giovani, definiti la « nuova marea rosa » dell’America Latina, la sfida per Lula, come per loro, sarà quella di imparare le lezioni della vecchia marea rosa.
Forse la più importante è che, a parte un’improbabile situazione rivoluzionaria, la questione non è mai se fare o non fare concessioni, ma se, anche facendo concessioni, si sta comunque lavorando per una trasformazione a lungo termine dell’equilibrio delle forze. In caso contrario, e in assenza di un’evidente direzione di marcia o di un programma strategico, la linea di demarcazione tra concessione e capitolazione scompare ed è probabile che si debba concedere sempre di più. Data la duplice minaccia del cambiamento climatico e di un’estrema destra in crescita, la decisione di lavorare all’interno dei vincoli esistenti, senza sforzarsi di cambiarli, non potrà che rivelarsi disastrosa.
Le condizioni per una presidenza Lula non sono mai state così sfavorevoli come ora, ma la congiuntura gli offre anche una grande opportunità: guidare il Brasile fuori dall’isolamento internazionale che si è autoimposto e posizionarlo come leader mondiale nella lotta per un equo, ecologicamen
te realistico e socialmente trasformativo Green New Deal. Se questa strategia avrà successo, potrebbe contribuire ad ampliare il suo spazio di manovra a livello nazionale. Per usare una metafora calcistica che il presidente eletto senza dubbio approverebbe, passare all’offensiva potrebbe essere la migliore forma di difesa. Resta da vedere se Lula, il politico più talentuoso della sua generazione, sarà all’altezza di questa sfida.
Da: https://newleftreview.org/sidecar/posts/brazil-transformed
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Maria Edgarda Marcucci
Eddi, combattente italiana in Rojava
Volevo capire cosa comportasse questa rivoluzione nel quotidiano delle persone.
Avevo tanti interrogativi sul ruolo delle donne, su cui non si trovavano tante informazioni.
Volevo portare una solidarietà concreta per la gratitudine che avevamo nei confronti della rivoluzione confederale, perché se oggi possiamo andare in giro senza il timore di un attentato dello Stato islamico è grazie a loro e a nessun altro.
Parliamo di giovani donne e uomini come noi, nulla più nulla meno, che hanno protetto anche la nostra incolumità.
Questo meritava senz’altro riconoscenza e rispetto.
Ciò che accade lì è sicuramente una prospettiva migliore e necessaria rispetto alla distruzione in cui versiamo ora.
Maria Edgarda Marcucci, detta Eddi, oggi scrittrice e sceneggiatrice, è l’attivista femminista che per nove mesi ha fatto parte delle YPJ, le unità combattenti femminili contro l’Isis.
È una partigiana che ha messo in gioco la sua vita per prestare aiuto a un popolo che rischia il genocidio nel silenzio della comunità internazionale.
Nata a Roma nel 1991, sua madre è l’attrice e regista Roberta Lena.
Ha iniziato a interessarsi di politica negli anni in cui studiava Filosofia all’Università di Torino.
Ha militato nel movimento No TAV, collezionando denunce, processi e gli arresti domiciliari per l’assalto al cantiere di Chiomonte.
Nel 2017 è andata in Rojava, con una missione civile per fare un reportage e per studiare quell’embrione, unico, di stato sociale. Dopo aver visitato quei territori e convinta che quella battaglia fosse anche sua e che non potesse essere rimandabile, ha deciso di rimanerci ed è entrata nell’Unità di Protezione delle Donne, con cui ha combattuto contro lo Stato Islamico assieme alle milizie curde, con il nome di battaglia Shilan partecipando alla resistenza di Afrin dall’invasione turca.
Ha fatto parte attiva della straordinaria esperienza di quel lembo di Siria del Nord dove le donne curde hanno combattuto eroicamente contro l’orrore del Califfato e dato vita a un esperimento sociale unico di organizzazione statale basata sul femminismo. Si sono battute per vietare la poligamia, i matrimoni forzati, per sostenere le battaglie ecologiche e la redistribuzione dei beni.
Di quella utopia oggi resta poco. Le bombe turche e siriane, la povertà assoluta, stanno erodendo la rivoluzione del Rojava.
Tornata in Italia nel giugno 2018, già in aeroporto la polizia le ha notificato la richiesta di una misura di prevenzione in quanto ritenuta socialmente pericolosa per aver partecipato alla guerra contro l’ISIS ed essere stata introdotta all’uso delle armi.
Sul banco degli imputati è finita la sua militanza antagonista, perché nonostante fosse in attesa del processo, Eddi ha continuato a fare politica, presidi, cortei e manifestazioni No Tav in zone off limits. Ha divulgato e informato sulla guerra in Siria, sulla lotta all’Isis e sugli effetti del Confederalismo Democratico.
Dopo un lungo processo, durato 14 mesi, conclusosi il 17 marzo 2020 è stata condannata dal Tribunale di Torino a due anni di sorveglianza speciale.
Sottoposta a gravi limitazioni della libertà personale, le sono stati sequestrati patente e passaporto, ha avuto l’obbligo di firma e di dimora e il divieto a svolgere attività sociali.
Nel 2022 ha raccontato l’esperienza nel libro Rabbia proteggimi. Dalla Val di Susa al Kurdistan. Storia di una condanna inspiegabile.
Nello stesso anno ha co-sceneggiato il documentario The Matchmaker presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e candidato ai David di Donatello.
Nel 2023 è stata coautrice del libro Esiste una guerra giusta?: 13 punti di vista su interventismo e pacifismo.
Attualmente collabora con diverse testate, scrive e continua, inarrestabile, le sue battaglie politiche e sociali.
È molto presente nelle attività di Tuba, la libreria delle donne del Pigneto, a Roma, che ospita importanti manifestazioni culturali femministe in rete con gruppi, associazioni, scuole e biblioteche della città.
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