#Luis Grane
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(above- “Steelhead” Terracotta sculpture by Ako Castuera )
Spooky season may be coming to a close but there is still time to see the ghosts, and the artists behind them, in At Home with “City of Ghosts” at Dunedin Fine Art Center. Thoughtfully curated by Nathan Beard, the exhibition focuses on artwork, in a variety of mediums, by 17 of the artists who helped create the award winning Netflix series City of Ghosts.
Created by Elizabeth Ito, City of Ghosts follows a group of children as they track down and record stories about the history of Los Angeles from the ghosts who also live in the city.
Artists included in the exhibition- Mike Andrews, Kwasi Boyd-Bouldin, Ako Castuera, Alex Cline, Mercedes Dorame, Luis Grané, Chloe Hsu, Elizabeth Ito, Jasmin Lai, Bob Logan, Yulissa Maqueos, Hugo Morales, Keiko Murayama, Adam Muto, Claire Nero, Zen Sekizawa, and Pen Ward, with additional contribution from Decibel Studios LA.
This exhibition closes 12/23/23.
Below are some additional selections from the show.
Chloe Hsu– “Fish Market”, drypoint and watercolor
Jasmin Lai– “The 110 and Downtown LA”, digital print
Acrylic and ink work by Kwasi Boyd-Bouldin
Prismacolor and watercolor work by Alex Cline
Luis Grané– “Pool Maintenance” , acrylic on canvas
“La Mejor Herrencia” Maqueos-Gonzalez family photos and “Maqueos Music (Banda Oaxaqueña)”, 2023, video by Decibel Studios LA with Los Angeles based clarinet player Yulissa Maqueos
Pendleton Ward (left) and Elizabeth Ito (right) both created Pepper's Ghost animations for the exhibition
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#City of Ghosts#Elizabeth Ito#Florida Art Shows#Dunedin Fine Art Center#Dunedin Art Shows#Chloe Hsu#Ako Castuera#Nathan Beard#Alex Cline#Jasmin Lai#Luis Grane#Kwasi Boyd-Bouldin#Pendleton Ward#Decibel Studios LA#Keiko Murayama#Bob Logan#Zen Sekizawa#Adam Muto#Hugo Morales#Yulissa Maqueos#Mercedes Dorame#Mike Andrews#Claire Nero#Art Shows#Clay#Ceramics#Drawing#Animation#Art#Ceramic Art
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È il turno di Salvini. Mentre il mondo va a rotoli, l’Italia si occupa delle grane della sua classe dirigente. Avevamo appena finito di asciugare le lacrime di coccodrillo del ministro della cultura di destra ed avevamo appena preso atto che il martire Toti ha preferito patteggiare con la coda tra le gambe e ci risiamo. Con la Meloni siamo alla via crucis ed eccoci alla stazione dell’indimenticato Ministro dell’Interno del governo gialloverde che passava le giornate in giro per il Belpaese in una sorta di comizio permanente. Mentre i suoi alleati del fu Movimento sgobbavano tra le scartoffie, il buon Salvini vagava circondato da folle semi biotte covando il colpo di genio per conquistare lo scettro più ambito. La famosa papetata, l’inizio della sua fine politica anche se non certo poltronistica. In quella torrida estate italiana, era lui il paladino della patria che ci difendeva dalle orde barbariche. Non si parlava d’altro che di navi e barchini e guardie costiere. Sembrava che il nostro paese fosse sotto scacco e i Mori sarebbero arrivati a Roma brandendo gli infradito. Sono passati diversi anni e l’unica certezza è che gli immigrati sbarcano come non mai, le navi delle ong continuano a salvare i naufraghi dagli squali e pian piano la propaganda sta lasciando spazio alla realtà. Già, il blocco navale era una fregnaccia elettorale tra le altre e degli immigrati c’è un dannato bisogno in paesi come il nostro ridotti a gerontocomii in cui ci si riproduce ai ritmi dei panda. Lo dicono i numeri. Gli imprenditori non trovano braccia nostrane, i giovani italiani preferiscono andare a scuola e prediligono lavori dove si resta al caldo e non ci si screpola le mani, pretendono perfino di venire pagati decentemente e di avere anche il tempo per respirare. Rifiuto della schiavitù o imborghesimento a seconda dei punti di vista. Altra certezza granitica, la stragrande maggioranza dei barbari sono in realtà bravissime persone che vengono qui per mantenere i loro cari e già che ci sono pure se stessi. E se vi fosse una migliore integrazione, si eviterebbero anche i rari casi di sbandati che turbano la nostra quiete. Altra verità scolpita nella roccia, l’Italia e la sua cultura sono inossidabili e i figli degli invasori sono italiani al cento percento. Cambiano giusto forme estetiche e colori migliorando il panorama, non affatto la sostanza culturale. Purtroppo o per fortuna a seconda dei punti di vista. La realtà sta facendo davvero passi da gigante, di questo passo si potrebbe arrivare a capire che invece di essere una disgrazia, gli immigrati sono la salvezza di paesi come il nostro ed invece di scatenare battaglie navali e alimentare la paura per qualche poltrona, sarebbe ora di allestire corridoi umanitari ed attrezzarsi a gestire meglio l’integrazione di una società sempre più multietnica. Di questo passo si potrebbe perfino arrivare a capire che se il mondo è ridotto in queste condizioni, i principali colpevoli siamo noi occidentali che galoppiamo un folle turbo capitalismo, abbiamo un curriculum coloniale da brividi e se non facciamo qualcosa potremmo essere solo alla punta dell’iceberg. Sarebbe ora di affrontare alla radice i fenomeni come l’immigrazione invece di subirli. Fenomeni globali che richiederebbero perlomeno la massa europea ma qui pare si pretenda troppo. Qualche merito a Salvini bisogna comunque darglielo. Nel suo ambito è stato un precursore. Nel nord Europa hanno smesso solo di recente di prendersela con noi terroni per passare ai Mori. È così. Più sei diverso, più fai paura, più ti becchi le frustrazioni altrui. Ma perlomeno stiamo imparando che alla fine passa.
[...]
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Ma torniamo al ferragosto, al mare e alla mucillagine, che speriamo scompaia anche se c’è uno scienziato dei mari di Fano, Corraddo Piccinetti, che vede nero: "Rischiamo di tenercela per un altro mese. Spariamo sui fondali masse d’acqua dalle vongolare per provocare una mareggiata artificiale".
"Noi vecchi – ricorda Sandro Lepri – ci ricordiamo la mucillagine del 1989, siamo informati, non ci fa paura. Ma i giovani non la conoscono e bisognerebbe forse ricominciare a spiegare tutto da capo".
Fu Geniale, 35 anni fa, l’allora presidente dell’Apt Primo Grassi. La Riviera era piena di mucillagine, i turisti fuggivano, i giornali tedeschi ci sparavano addosso di tutto e lui prese una motonave, fece salire a bordo Rai, giornali e tv di mezzo mondo e quando arrivò al largo, senza dire una parola, immerse un bicchiere nell’Adriatico e bevve la mucillagine.
Fu lo spartiacque. La rinascita. L’inizio della riscossa.
Ora mille esperti ci dicono che non fa male fare il bagno, non ci si ammala, non succede nulla: tutto ciò ci tranquillizza, ovvio, Ma è normale che di fronte a questo spettacolo i turisti non siano, diciamo così, invogliati a buttarsi in acqua.
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El sistema Braille: un viaje táctil por el conocimiento y la independencia para las personas no videntes.
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27 ott 2023 13:43
“QUANDO MILENA GABANELLI SE N’È ANDATA, MI HA DETTO: ‘TI LASCIO ‘REPORT’ E L’INSONNIA’” – SIGFRIDO RANUCCI SI CONFESSA A "OGGI" E RACCONTA COME HA VISSUTO IL CAMBIAMENTO DI PALINSESTO (E DI GOVERNO): “STAVAMO BENE ANCHE DOVE ERAVAMO PRIMA. MA NON ABBIAMO PERSO SPETTATORI. NOI VICINI AI 5 STELLE? ABBIAMO FATTO INCHIESTE SU TUTTI” – "STIAMO SULLE 176-177 QUERELE, OGNI SETTIMANA NE ARRIVANO DUE" (AVVERTITELO CHE FORZA ITALIA PENSA DI TOGLIERGLI COPERTURA LEGALE) - "SONO UNA FOGLIA DI FICO NELLA RAI MELONIANA? NEL CASO UNA CON LE SPINE" - "HO LA SCORTA PERCHÉ UN SOGGETTO IN CARCERE AVEVA PRESO CONTATTI CON..." -
Estratto dell’articolo di Dea Verna per “Oggi”
«Quando Milena Gabanelli se n’è andata, mi ha detto: “Ti lascio Report e l’insonnia”. In effetti dormo tre-quattro ore a notte». Sigfrido Ranucci, che dal 2017 conduce il programma d’inchiesta più famoso d’Italia, ora affronta la sfida della domenica sera: un’arena che vede Report contrapporsi non solo a fiction, quiz e partite, ma anche a In onda su La7 e all’ex gioiellino di Rai 3, Che tempo che fa di Fabio Fazio, traslocato sul Nove.
Chi ha voluto lo spostamento di Report dal lunedì alla domenica?
«La Rai aveva un problema dopo l’addio di Fazio. E ha pensato che la carta migliore per occupare quello spazio fosse Report. Su questo mi sento anche gratificato. È stata la soluzione migliore per noi? Forse stavamo bene anche dove eravamo prima. Ma non abbiamo perso spettatori. E, anche se nessuno se n’è accorto, facciamo 40 minuti in più. Non di fiction, non di chiacchiere, ma di inchieste».
Questa nuova collocazione vi penalizza o no?
«[…]Fare il paragone con Fazio non ha senso, lui fa infotainment, noi inchieste, abbiamo budget diversi. Sarebbe come metterci in competizione con Sanremo. A me spiace che uno bravo come lui abbia abbandonato l’azienda. Gli faccio i complimenti perché non era facile ottenere questi risultati. Spero li faccia anche lui a me».
Come si trova nella Rai meloniana?
«I rapporti con i dirigenti sono buoni, improntati al rispetto. Se con questa domanda si riferisce alla libertà, continuiamo a mantenerla».
Non teme di essere una foglia di fico?
«Una foglia di fico con le spine, nel caso».
Ha mai ricevuto offerte da altre reti?
«Sì, e sarebbero state anche interessanti dal punto di vista economico. Ma amo la Rai, sono nato lì dentro, apprezzo che mi abbia fatto sentire libero: per un giornalista d’inchiesta non ha prezzo. Non ci sono molti editori disponibili a mandare in onda Ranucci per poi farsi togliere per un’inchiesta 6 o 7 milioni di pubblicità.
La Rai può permetterselo perché ha il canone. Ora lo vogliono tagliare. Ma attenzione, questo è il modello che ha disgregato il sistema sanitario nazionale. Tagli, tagli, tagli e poi ti rivolgi al privato. Nel nostro campo è pericoloso, infili il virus della disinformazione e della mancanza di approfondimento».
Quante querele avete ricevuto?
«Stiamo sulle 176-177. Ogni settimana in media ne arrivano due. Ma il sottoscritto e la redazione di Report non hanno mai perso una querela per calunnia o diffamazione. Questo lo dico a Ignazio La Russa e ai colleghi giornalisti che lo hanno ospitato senza contraddittorio dopo la nostra puntata». […]
Perché lei ha la scorta?
«A causa di un progetto di omicidio. È stato individuato un soggetto in carcere che aveva preso contatti con dei killer stranieri per uccidermi. Stiamo parlando di un narcotrafficante, con legami con l'estrema destra e la 'ndrangheta».
Per lei, è peggio fare un'inchiesta e avere grane, oppure vedere che il giorno dopo cade nel vuoto, non accade niente?
«Lo scopo di un'inchiesta è quello di illuminare le zone d'ombra. Non è vero che dopo le nostre inchieste non accade nulla. Certo, c'è un senso di frustrazione nel vedere sempre gli stessi personaggi che ruotano, gli stessi meccanismi. Però continuo a credere che si possano migliorare le cose, altrimenti non sopporterei le pesanti ricadute di questo lavoro che resta il più bello del mondo».
Ha rapporti con i politici?
«Nascono perché scatta la sindrome di Stoccolma. Qualcuno che hai toccato in passato, poi sente la necessità di comunicare con te. Ho sempre cercato di ascoltare, di capire».
C'è una parte politica a cui si sente affine?
«Qualcuno scambia la politica con l'astuzia, per la capacità di galleggiare. Per me la politica è amore per il bene comune. Ho incontrato anche persone che prima di entrare in politica erano animate da questi sentimenti. Poi sono usciti diversi, c'è qualcosa là dentro che non funziona».
Mi faccia qualche nome.
«No, poco importa il nome, conta la trasformazione».
Dicono che siete faziosi.
«Non esiste una trasmissione che ha fatto inchieste su tutti, come noi. Dicono che siamo vicini ai 5 Stelle, ma abbiamo fatto puntate su Casaleggio, sulle mascherine che riguardavano il Presidente Conte. Abbiamo fatto inchieste che riguardavano la sinistra, ho avuto una denuncia da Vincenzo De Luca». […]
Com'è stata la sua gavetta?
«[…] Da giovane avevo provato a entrare nei corsi di giornalismo della Luiss. Mi bocciarono, dissero che non ero adatto a fare il giornalista».
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Il caso dei "gioielli sauditi": Bolsonaro avrebbe rivenduto i doni ricevuti da paesi stranieri
Nuove grane giudiziarie per l’ex presidente del Brasile Jair Bolsonaro, riconosciuto colpevole di abuso di potere e uso distorsivo dei media a fini elettorali e per questo giudicato ineleggibile per otto anni. La polizia federale brasiliana sta indagando sui regali da lui ricevuti dai paesi stranieri durante la carica e che sarebbero stati rivenduti configurando il reato di “arricchimento…
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Lui non deve chiedere mai.
Decide come gli pare e lo comunica in conferenza stampa: ultimo caso l’obbligo vaccinale. Ha uno stile perentorio di governo che in altri passaggi storici (quando i partiti erano una cosa seria, mica le controfigure attuali) non sarebbe stato mai tollerato. Gli avrebbero dato del golpista, del tiranno, del dittatore. Per molto meno Fanfani veniva dipinto come un ducetto e Craxi, nelle indimenticate vignette di Forattini, con gli stivali da marcia su Roma. Amintore e Bettino, specie a sinistra, ebbero avversari feroci: adesso nessuno obietta sul metodo e tutti cercano di adeguarsi, compresa l’opposizione.
Addirittura è lui che, ogni tanto, si preoccupa di puntellare i nemici: li preferisce deboli ma vivi. Cerca di coinvolgerli in una fantomatica “cabina di regia”. Mortifica i grillini sulla prescrizione e premuroso tende la mano a Conte col quale, visibilmente, non c’è feeling; umilia Salvini sul Green Pass e subito dopo gli riconosce magnanimo la leadership della Lega, guai a chi glielo tocca. L’Avvocato del popolo e il Capitano sono talmente appecoronati che nemmeno profittano del semestre bianco; nei pronostici doveva segnare l’inizio della Grande Ricreazione, invece non succede nulla, finora solo sbadigli.
«L’uomo che non deve chiedere mai è in totale sicurezza», ghigna chi gli sta vicino. Potrà governare sereno per un altro anno e mezzo, fino al 2023; oppure traslocare sul Colle a gennaio, casomai dovesse stancarsi: dipenderà da lui, dalla sua voglia, dai suoi progetti di vita.
Ma che cosa lo rende così dominante, pur senza un esercito alle spalle? Intanto ha una levatura sopra la media (non eccelsa) della nostra classe dirigente. Un certo timore reverenziale che l’uomo incute per via del curriculum. Frequenta i potenti, padroneggia la finanza, conosce la geopolitica, sa esprimersi in lingua straniera. Non ce n’è tanti in giro con queste qualità sopraffine. Giorgetti, per dire, lo considera «un fuoriclasse». L’Uomo della Provvidenza. Al posto giusto e nel momento adatto.
Però c’è dell’altro su cui fa leva, specie nei confronti dei populisti. Oltre all’ascendente, mettono paura gli artigli che non ha tirato fuori. Perlomeno, non ancora. Il personaggio è tutto tranne che innocuo. Conte e Salvini lo sanno perfettamente: se venisse messo alle corde, potrebbe diventare pericoloso. In che modo? Per fare un esempio, uno tra i tanti, schierandosi da una parte o dall’altra alla vigilia delle elezioni. Nessuno può correre questo rischio, permettendosi di regalarlo al fronte degli avversari. Più si avvicineranno le urne e meno i partiti pianteranno grane, costretti a tenerselo amico, mal che vada neutrale. Anzi, peggio: meno i vincitori saranno “presentabili” e più l’uomo sarà per loro imprescindibile. Perché agli occhi del mondo restiamo il Paese di Pulcinella; perché è lui che fa quadrare i conti; perché solo grazie a lui, ex presidente BCE, abbiamo ricevuto i miliardi del Recovery Fund, in caso contrario ce li avrebbero fatti sognare. La sola idea di cambiare cavallo scatenerebbe i poteri forti, i mercati, lo spread. In un battibaleno ci ritroveremmo sull’orlo del default. Per scatenare l’inferno, lui non dovrebbe nemmeno muovere un dito: gli basterebbe tornare nella villa di Città della Pieve, dove godersi un meritato riposo.
Tuttavia c’è qualcosa di unico che lo rende così manifestamente superiore. Qualcosa che gli altri non usano. Qualcosa che usavano i tamarri negli anni ’70, e che oggi non è più in voga. Qualcosa che, al solo sentore, mette in riga quanti lo circondano.
Il dopobarba.
L’uomo che non deve chiedere mai emana un profumo inconfondibile. Ogni mattina, appena rasato, cadono tutti in ginocchio davanti a lui.
L’uomo che non deve chiedere mai, deve soltanto radersi. E si ritrova il Paese in mano appena esce dal bagno.
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“ L'operaio Arturo Massolari faceva il turno della notte, quello che finisce alle sei. Per rincasare aveva un lungo tragitto, che compiva in bicicletta nella bella stagione, in tram nei mesi piovosi e invernali. Arrivava a casa tra le sei e tre quarti e le sette, cioè alle volte un po' prima alle volte un po' dopo che suonasse la sveglia della moglie, Elide. Spesso i due rumori: il suono della sveglia e il passo di lui che entrava si sovrapponevano nella mente di Elide, raggiungendola in fondo al sonno, il sonno compatto della mattina presto che lei cercava di spremere ancora per qualche secondo col viso affondato nel guanciale. Poi si tirava su dal letto di strappo e già infilava le braccia alla cieca nella vestaglia, coi capelli sugli occhi. Gli appariva così, in cucina, dove Arturo stava tirando fuori i recipienti vuoti dalla borsa che si portava con sé sul lavoro: il portavivande, il termos, e li posava sull'acquaio. Aveva già acceso il fornello e aveva messo su il caffè. Appena lui la guardava, a Elide veniva da passarsi una mano sui capelli, da spalancare a forza gli occhi, come se ogni volta si vergognasse un po' di questa prima immagine che il marito aveva di lei entrando in casa, sempre così in disordine, con la faccia mezz'addormentata. Quando due hanno dormito insieme è un'altra cosa, ci si ritrova al mattino a riaffiorare entrambi dallo stesso sonno, si è pari. Alle volte invece era lui che entrava in camera a destarla, con la tazzina del caffè, un minuto prima che la sveglia suonasse; allora tutto era più naturale, la smorfia per uscire dal sonno prendeva una specie di dolcezza pigra, le braccia che s'alzavano per stirarsi, nude, finivano per cingere il collo di lui. S'abbracciavano. Arturo aveva indosso il giaccone impermeabile; a sentirselo vicino lei capiva il tempo che faceva: se pioveva o faceva nebbia o c'era neve, a secondo di com'era umido e freddo. Ma gli diceva lo stesso: - Che tempo fa? - e lui attaccava il suo solito brontolamento mezzo ironico, passando in rassegna gli inconvenienti che gli erano occorsi, cominciando dalla fine: il percorso in bici, il tempo trovato uscendo di fabbrica, diverso da quello di quando c'era entrato la sera prima, e le grane sul lavoro, le voci che correvano nel reparto, e così via. A quell'ora, la casa era sempre poco scaldata, ma Elide s'era tutta spogliata, un po' rabbrividendo, e si lavava, nello stanzino da bagno. Dietro veniva lui, più con calma, si spogliava e si lavava anche lui, lentamente, si toglieva di dosso la polvere e l'unto dell'officina. Così stando tutti e due intorno allo stesso lavabo, mezzo nudi, un po' intirizziti, ogni tanto dandosi delle spinte, togliendosi di mano il sapone, il dentifricio, e continuando a dire le cose che avevano da dirsi, veniva il momento della confidenza, e alle volte, magari aiutandosi a vicenda a strofinarsi la schiena, s'insinuava una carezza, e si trovavano abbracciati. Ma tutt'a un tratto Elide: - Dio! Che ora è già! - e correva ad infilarsi il reggicalze, la gonna, tutto in fretta, in piedi, e con la spazzola già andava su e giù per i capelli, e sporgeva il viso allo specchio del comò, con le mollette strette tra le labbra. Arturo le veniva dietro, aveva acceso una sigaretta, e la guardava stando in piedi, fumando, e ogni volta pareva un po' impacciato, di dover stare lì senza poter fare nulla. Elide era pronta, infilava il cappotto nel corridoio, si davano un bacio, apriva la porta e già la si sentiva correre giù per le scale. Arturo restava solo. Seguiva il rumore dei tacchi di Elide giù per i gradini, e quando non la sentiva più continuava a seguirla col pensiero, quel trotterellare veloce per il cortile, il portone, il marciapiede, fino alla fermata del tram. Il tram lo sentiva bene, invece: stridere, fermarsi, e lo sbattere della pedana ad ogni persona che saliva. «Ecco, l'ha preso», pensava, e vedeva sua moglie aggrappata in mezzo alla folla d'operai e operaie sull' "undici", che la portava in fabbrica come tutti i giorni. Spegneva la cicca, chiudeva gli sportelli alla finestra, faceva buio, entrava in letto. Il letto era come l'aveva lasciato Elide alzandosi, ma dalla parte sua, di Arturo, era quasi intatto, come fosse stato rifatto allora. Lui si coricava dalla propria parte, per bene, ma dopo allungava una gamba in là, dov'era rimasto il calore di sua moglie, poi ci allungava anche l'altra gamba, e così a poco a poco si spostava tutto dalla parte di Elide, in quella nicchia di tepore che conservava ancora la forma del corpo di lei, e affondava il viso nel suo guanciale, nel suo profumo, e s'addormentava. “
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Tratto dal racconto L'avventura di due sposi (1958), raccolto in:
Italo Calvino, I Racconti; prima edizione: Einaudi, novembre 1958.
#Italo Calvino#I Racconti#L'avventura di due sposi#letture#letteratura italiana del XX secolo#leggere#citazioni letterarie#narrativa italiana del '900#amore#classici del '900#lavoro#intellettuali italiani del XX secolo#vita di coppia#operaismo#letteratura del boom economico#incomunicabilità#vivere#società industriale#città#sentimenti#vita matrimoniale#Italia#scritti brevi#Einaudi#risveglio#mattina#sensualità#giorni
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Cinema e adolescenza. Harmony Korine e l’underground che diventa mainstreem
Insieme all’arte visiva e alla musica punk, altra mia grande passione è il cinema. Ovviamente parlare di cinema nella generazione Netflix è cosa assai difficile, ma ci sono molte sfaccettature e analisi semiotiche legate ai film indipendenti che solitamente sfuggono ai più. Bene, detto questo, oggi parliamo di cinema indipendente e di quel maledetto genio che è Harmony Korine.
Per cinema indipendente, o indie, si intende la produzione di un film senza l'intervento di una grande casa di produzione (ad esempio una delle grandi major di Hollywood). Le caratteristiche principali di questi film sono essenzialmente due: il basso costo e la completa libertà espressiva lasciata al regista, cosa questa che solitamente spaventa i grandi studi, che preferiscono evitare i film sperimentali per concentrarsi su progetti più sicuri e remunerativi. La cosa che generalmente contraddistingue, quindi, queste pellicole, riguarda il soggetto che è molto più impersonato e cerca di staccarsi dai consueti stereotipi dei vari generi cinematografici, il che li rende dei film del costo di svariati milioni di dollari ad un regista esordiente, specie se ha intenzione di utilizzare attori sconosciuti. Un grande impulso ai film indipendenti si ebbe a metà degli anni ’80 con le prime videocamere, e più recentemente con i modelli digitali, che hanno permesso a schiere di giovani registi di evitare i costi proibitivi delle pellicole 35 mm, dei noleggi delle attrezzature, della stampa dei negozi, ecc. Anche la fase di post-produzione è ora molto più economica, grazie al significativo aumento delle prestazioni dei personal computer, all'introduzione dei DVD e al contemporaneo sviluppo di software semi-professionali sempre più sofisticati (utilizzati per il montaggio, la correzione del colore, i titoli di testa ecc.). La crescente popolarità degli “indie” ha costretto recentemente gli studi di Hollywood a creare delle piccole filiali per poter entrare a loro volta in questo nuovo mercato. Di conseguenza, oggi, non è più così netta la differenza fra ciò che è realmente indipendente e ciò che non lo è: per fare un esempio, il film Eternal Sunshine of the Spotless Mind, noto in Italia come Se mi lasci ti cancello, del 2004, considerato un film indipendente, vanta un cast che non sfigurerebbe in un grane blockbuster, la sceneggiatura di un autore pluripremiato, e un budget iniziale di decine di milioni di dollari. D'altra parte, attori di fama internazionale sono molto attratti dal fenomeno indie, tanto da arrivare ad autoridursi il compenso pur di prendere parte ai progetti più interessanti.
Harmony Korine è una delle figure più emblematiche del cinema indipendente e della scena musicale indie statunitense degli anni Duemila. Nato a Bolinas, il 4 gennaio 1973 e cresciuto a Nashville, all’età di 19 anni scrive lo shock movie “Kids” diretto da Larry Clark. Il film segna la rappresentazione cinematografica dell’adolescenza; ai genitori di metà anni ’90 venne sbattuta in accia in maniera esplicita la vita dei propri figli tra sesso e droga, e per il sesso e per la droga si muore tutti i giorni. Korine veniva proprio da lì: dalla periferia di Nashville e dalla dipendenza dall’eroina, da un ambiente in cui morivano tutti i giorni giovani affetti da AIDS. Due anni dopo questa “botta alla società” dirige il suo primo lungometraggio, GUMMO, elogiato da registi quali Gus Van Sant e Werner Herzog. L'anno seguente Korine dirige The Diary of Anne Frank Part II, un mediometraggio di 40 minuti diviso in tre parti composto da footage realizzati dallo stesso regista (che raffigurano adolescenti in vesti sataniste, un ragazzo che seppellisce il proprio cane, un menestrello che balla e canta) e frammenti di pellicole super 8 saturate di altri film e videoclip. Con la sua seconda opera, Julien Donkey-Boy, deciderà di aderire al Dogma 95, movimento cinematografico creato dai registi danesi Lars Von Trier e Thomas Vinterberg, fondato sul decalogo di precise regole espresse in un manifesto programmatico pubblicato nel 1995 (da cui il nome). La corrente, dunque, non è nata né si è evoluta in modo spontaneo, come invece è avvenuto nella maggior parte dei casi nella storia del cinema. Il decalogo, al quale aderirono subito anche Søren Kragh-Jacobsen e Kristian Levring, è spesso definito anche con il significativo nome di Voto di castità, che lascia intendere lo spirito del movimento, ed è stato stilato e firmato ufficialmente a Copenaghen, lunedì 13 marzo 1995. L'obiettivo, molto ambizioso, era quello di "purificare" il cinema dalla "cancrena" degli effetti speciali e dagli investimenti miliardari. Niente luci, nessuna scenografia, assenza di colonna sonora, rifiuto di ogni espediente al di fuori di quello della camera a mano. Le regole da seguire per raggiungere questo obiettivo sono state espresse in un manifesto scritto. Le regole furono violate già dal primo film e ogni regista, chi più chi meno, ha fatto ricorso nei propri film ad espedienti (musica, luci, scenografie) vietati dal manifesto. Come riportato nel sito ufficiale, in realtà ogni regista può interpretare il decalogo a suo modo. Il 20 marzo 2005, a Copenaghen, i registi hanno firmato il documento che ha sancito la fine del patto a dieci anni di distanza. I dieci anni di esperienza del Dogma 95 hanno portato alla produzione di 35 film. Julien Donkey-Boy è la storia di un ragazzo schizofrenico, interpretato in maniera perfetta da Ewen Bremner che tutti ricordano per Spud in Trainspotting, e da un “adorabile” Werner Herzog che interpreta il padre del ragazzo. Dopo otto anni di assenza dalla scena e una sola sceneggiatura scritta per il Ken Park di Larry Clark, Korine torna alla regia con un film che si vuole avvicinare al cinema canonico: Mister Lonly; storia di un sosia di Michael Jackson che trova una comune di sosia in cui tutti sono perennemente immersi nei propri personaggi. Il film non riceve critiche entusiaste, ed è forse il film minore di Harmony Korine. Prima di dirigere una delle pellicole più importanti di questo nuovo secolo cinematografico, Korine regala al mondo uno dei film più immorali e disgustosi di sempre: Trash Humpers. Nel 2012 partecipa alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia con il suo quarto lungometraggio Spring Breakers, un affresco nichilista e senza pietà sulla gioventù odierna svuotata di ogni ideale e di ogni sensibilità, con protagoniste attrici prese da vari film per ragazzi (per creare un maggiore senso di sberleffo) "sporcate" con il ruolo di giovani criminali.
Gummo è il primo lungometraggio di Harmony Korine, girato nel 1997 e che ne rappresenta perfettamente il decennio. Siamo a Xenia, in Ohio, diversi anni dopo che un tornado ribattezzato Gummo ha devastato tutta la città, costringendo gli abitanti a vivere in una situazione di disagio e precarietà. Il film, costato 1,3 milioni di dollari, ne guadagnò soltanto 117000. Gli abitanti della città in cui è stato girato il film pensarono che stessero girando un film pedopornografico, e andarono a minacciare la crew armati di fucile. Il film racconta il susseguirsi delle giornate di diversi ragazzini, tra bambini e teenager con particolare attenzione per Tummler e Solomon. Tutti sono costretti a vivere male per sopravvivere, ad esempio i due ragazzini quasi protagonisti ammazzano i gatti e li rivendono al macellaio per tirare su qualche soldo. Lo shock del film sta nel disagio dei fatti, nell’oscuro vivere di questi ragazzini e nella volgarità del linguaggio. Violenza non ce n’è a parte qualcuna sugli animali, ma penso che sia finta.
Facciamo un attimo mente locale, qual è lo scopo della maggior parte dei ragazzini? La gara perenne al primo rapporto sessuale, dire parolacce e comprare oggetti praticamente inutili, mentre quello delle ragazzine è quello di sembrare e apparire più grandi. E cosa succede a questi ragazzini così in fermento quando i genitori praticamente non esistono più? Che i ragazzini pagano una disabile per farci sesso, che le ragazzine si mettono il nastro adesivo sui capezzoli per farli sembrare più grossi e un'altra miriade di piccoli eventi che barcamenano tra personaggi improbabili, pervertiti, psicofarmaci ed altri generi di amenità che infastidiscono lo spettatore e lo fanno quasi sentire colpevole. Ci sentiamo davvero sporchi ed anche responsabili per quello che stiamo vedendo. Ed è proprio così, è tutta colpa degli adulti. Questo film ci dimostra che i bambini che crescono con dei genitori poco presenti nella vita di questi, crescono esattamente nello stesso modo in cui crescono i bambini senza genitori. È vero che spesso la prima categoria di genitori sono costretti dalla povertà o a loro volta dai loro genitori a perpetrare un certo comportamento (questo ovviamente per problemi psicologici). E questo trasforma lo spettatore in un doppio spettatore: quello che sta guardano il film, e quello che sta guardando una realtà non molto lontana da lui, quello che spesso si dimentica o a cui non si pensa. Tutti alle elementari o alle medie avevamo compagni simili, e qui li ritroviamo tutti: quelli che pensano che la violenza sia uno scherzo e che la usano sempre e comunque, quelli che già bevono e già fumano, quelli che dicono parolacce, quelli che fanno già sesso senza sapere precisamente cosa sia, quelli che se incontrano il tuo sguardo vengono a spintonarti e ti danno dello sfigato. La descrizione di questi bambini è la stessa descrizione degli adulti ignoranti che popolano le nostre città, che ritroviamo nelle discoteche, nelle scuole, negli uffici, nelle fabbriche, ovunque. E oggi non è che ci sia molto bisogno di andare in giro per ritrovarli, basta guardare il popolo del web. Che dite non siamo tutti un po' responsabili di questa situazione?
Il bambino vestito da coniglio rosa riassume tutte le condizioni psicofisiche della pubertà: l’innocenza ricoperta da una scorza di adulto che non appartiene a questa età. La tecnica registica di Korine in questo film comprende diverse tecniche: comincia con una specie di found footage molto confusionario, tecnica che viene ripresa anche durante il corso del film; poi si passa a dei veri e propri videoclip musicali disagianti, e incolla il tutto con una camera a mano che risulta essere quasi un terzo personaggio sulla scena. Perché questo miscuglio di tecniche così diverse tra loro? Perché deve essere coerente con il fatto che il film deve essere narrato da un ragazzino. Se ci pensate bene un ragazzino di questa età è molto confuso, basta leggere come scrivono sui social network o come raccontano le cose. La fotografia è molto curata e risulta essere abbastanza realistica. Le meravigliose scenografie degradate ed i personaggi vengono illuminati proprio come farebbe madre natura, questo per essere il più attinenti possibile al reale. Korine da bravo regista indipendente ed anche un po' hipster, critica anche molto la cultura pop, e intendo pop nel senso più stretto del termine, ovvero quella che ascolta Madonna, quella che guarda Happy Days e quella che ha Pamela Handerson come idolo, un concetto che porterà a compimento nel suo ultimo, discussissimo film, ovvero quel capolavoro di Spring Breakers. Il ragazzo ubriaco che ci prova con il ragazzo affetto da nanismo africano è lo stesso Korine realmente ubriaco sul set. La colonna sonora è meravigliosa. Oltre alla già citata Madonna e il vecchio pop alla Buddy Holly, troviamo un sacco di brani di vari generi metal, anche estremi; abbiamo ad esempio i Batory, i Mortician, i Brujeria, per poi passare all’ambient di Burzum. C’è un tema che ricorre spesso durante il film che è un brano davvero meraviglioso. L’uso di questa musica non so se vuole essere una critica perché ovviamente il metal estremo non è un genere pedagogico per gli undicenni o i dodicenni. La soundtrack è meravigliosa, una selezione musicale davvero ottima; potreste vedere il film anche solo per questo. Gli attori sono quasi tutti non professionisti, ed è anche un po' ovvio visto che sono tutti molto giovani, ma questo non è affatto un difetto, anzi. Spesso i ragazzini e i bambini sono molto più naturali degli adulti e questo film ne è un esempio perfetto.
Menzione all’astro nascente del cinema indipendente Chloe Sevigny che, oltre a recitare, ha curato anche i costumi. Gummo di Harmony Korine non è un capolavoro, ma è un film generazionale fondamentale per gli anni ’90, che dovrebbero vedere tutti per smuovere le proprie coscienze. I contenuti e le tematiche sono molto forti, è un film davvero pregno di significati. Il regista è davvero un portento, se pensiamo che questa è la sua opera prima e l’ha realizzata a soli 24 anni c’è da rimanere a bocca aperta.
https://www.youtube.com/watch?v=gtY_545-ST8
Valerio Hank Vitale
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L’avventura di due sposi al tempo del Coronavirus. Una riscrittura di Italo Calvino
Alle nove di sera, l’operaia Elisa, tornando a casa dal lavoro dopo un lungo viaggio in tram da parte a parte di Milano, annunciò al marito: “La sai la novità? Da domani si sta a casa tutto il giorno!”.
Italo Mazzoni, turnista di notte, raggiunto da una notizia così incredibile mentre stava indossando il giaccone impermeabile per andare in fabbrica, mormorò, con gli occhi ancora spenti e appannati di sonno: “Ti hanno licenziata?”.
“Ma no! È a causa del virus che sta infettando mezza Italia. Il padrone non ha sanificato gli ambienti ed è stato denunciato e costretto a chiudere la fabbrica”.
“La fabbrica! Dio, ho fatto tardi?” urlò Italo, e come un automa si allontanò senza neppure guardarla, con in mano le chiavi della macchina e l’immancabile pacchetto di sigarette.
Elisa ebbe un attimo, appena un attimo di smarrimento nell’accorgersi che lui non l’aveva ascoltata, ma poi gli corse dietro e lo raggiunse sulle scale. Disse: “Amore, non hai capito. La fabbrica rimarrà chiusa per un mese”.
Allora Italo, improvvisamente scosso dal suo ipnotico torpore, intuì che qualcosa di grosso era accaduto. Un disastro o un evento fortunato? Prima che potesse iniziare a darsi una risposta, la sua attenzione si concentrò sulle mani di lei, sporche di cioccolata.
“Ma cosa hai fatto?”.
“Sono stata al centro commerciale, ho preso due dolci. Uno anche per te”.
Infilò una mano nella borsa e tirò fuori una ciambella al cioccolato. Disse: “Volevo festeggiare. Mi vergogno un poco perché fuori la gente sta morendo e il rimedio contro questo maledetto virus non l’ha ancora trovato nessuno. Ma finalmente avremo tempo per stare insieme. Sei contento?”.
Italo allargò le braccia in un gesto che manifestava tutta la sua sorpresa. Disse: “Non dovrò più andare in fabbrica di notte? E neanche tu, di giorno?”.
“Esatto. La produzione è stata bloccata. Siamo in cassa integrazione fino a nuove disposizioni del Governo. E a me sta bene”.
“Dormiremo insieme?”.
“Dalla sera alla mattina”.
Si strinsero forte e pensarono le stesse cose: niente più caffè presi al volo, niente incontri fugaci sulla porta di casa, niente corse nella nebbia, niente grane sul lavoro.
Erano trascorsi quattro mesi da quando il coronavirus aveva fatto la sua comparsa in città, dando il via a quella che nel giro di poche settimane sarebbe diventata un’epidemia diffusa. Nelle famiglie obbligate a rimanere in casa, il bollettino dei morti era diventato un argomento di conversazione perfino più ricorrente della crisi economica. Per evitare l’ulteriore diffondersi del virus, il Governo aveva reagito con misure draconiane, chiudendo scuole, negozi, ristoranti e ora anche quelle fabbriche dove gli operai erano costretti a lavorare gomito a gomito. Ai cittadini era stato ordinato di limitare i contatti sociali.
Stando tutti e due a casa, Elisa e Italo avrebbero finalmente vissuto la vita da sposini che il lavoro gli aveva sempre negato: andare a letto insieme, nudi e un po’ eccitati, scambiarsi qualche parola oscena e poi fare l’amore ogni sera, con la stessa emozionante e convulsa serialità.
Vivevano a Sesto, periferia industriale di Milano, in un monolocale di 40 metri quadri. Il cucinino era umido e buio, il bagno aveva la finestra a tetto, ma Elisa diceva di essere innamorata di quel posto perché gli ricordava Un amore in soffitta, un telefilm che guardava da ragazza.
Italo invece amava l’agricoltura, e se avesse avuto una casa in campagna e un fazzoletto di terra da coltivare non si sarebbe fatto pesare qualche ora di auto in più per raggiungere la fabbrica. Tuttavia, per non mettere in difficoltà sua moglie, che era stata bocciata alla scuola guida un numero impressionante di volte, si era adattato a quello spazio angusto che gli dava ansia.
Ormai erano sposati da sette anni ma non avevano mai vissuto insieme per più di qualche ora al giorno. La chiusura della fabbrica li proiettava in un territorio sconosciuto, una convivenza vera che non li spaventava, poiché volevano viverla con tutto l’amore che erano stati a lungo costretti a reprimere.
La prima notte insieme fu meravigliosa. Senza bisogno di parole, riuscirono a darsi esattamente ciò che volevano: una brama di interezza mai provata, una passione incandescente, tanta pace.
La notte successiva ci fu un piccolo imprevisto. Elisa si accorse che Italo russava. Non era cosa da poco, perché la costringeva a prendere sonno con un concerto di tromboni nelle orecchie.
Questa piccola scoperta la turbò, come una nuvola nera apparsa in un giorno di sole.
Lui dal canto suo, era abituato a dormire da solo nel letto a due piazze, e aveva molta difficoltà a condividere il materasso. Ripensava con nostalgia a quando si coricava e, dopo qualche minuto, piano piano si spostava dalla parte di Elisa, assorbendone l’assenza e il tepore. E così s’addormentava.
Ora invece, se provava a uscire dal suo confine, veniva ricacciato indietro con parole di fuoco: “Italo, non riesci a stare fermo? Ogni volta che sto quasi per dormire, sento che mi tocchi una gamba e perdo il sonno!”.
Poi a Elisa sembrò che suo marito avesse l’alito pesante. Fu indecisa se dirglielo, per paura che lui la prendesse male, ma poiché quel difettuccio non passava, dopo quattro notti nelle quali ebbe l’impressione di dormire con un ubriaco che si era bevuto un cocktail di superalcolici e aglio, si fece coraggio e gli suggerì di lavarsi i denti prima di mettersi a letto.
Ma lui si offese e ribatté: “Ieri notte ti è scappato un peto”.
“Non è vero!”.
“Sì, è così. Avrei voluto aprire la finestra ma ho preferito non svegliarti per non essere insultato”.
“Quando ci vedevamo poco, l’amore c’era”, disse lei, in tono amareggiato.
Lui annuì: “Ora le cose dovrebbero andare meglio, e invece è il contrario”.
Si tennero il muso per ore, ma la sera, passando in rassegna gli inconvenienti che erano accaduti, pensarono che in fondo si era trattato di piccoli malintesi, equivoci senza importanza.
Convennero che anche nella persona che amiamo di più al mondo può esserci qualcosa che non ci piace ma che non deve mandarci il sangue alla testa in un secondo. Bisogna comprendere e pensare al buono. Così la rabbia finisce lì, senza emozioni distruttive.
Si promisero pazienza, ma non servì.
Da quando faceva i turni di notte, a causa delle alterazioni del ciclo sonno-veglia, Italo era ingrassato ― ormai sfiorava i cento chili ― e dopo una piccola corsetta il cuore gli batteva all’impazzata. Come se non bastasse, aveva sviluppato un’ipertrofia prostatica che lo faceva correre al bagno appena sentiva lo stimolo. Se dentro c’era Elisa, gli montava il nervoso e cominciava a dare pugni alla porta.
“Amore, mi scappa! Lo sai che sto male! Non posso fare la pipì sul pavimento, fammi entrare! Se non mi fai entrare, spacco tutto!” gridava, come un bambino capriccioso.
Elisa era furiosa. Tra i mille oltraggi cui non amava sottoporsi, il peggiore era trovarsi sulla tazza del cesso con un pazzo che le chiedeva di fare in fretta. Ma anche Italo aveva le sue ragioni: la vescica che scoppiava non era il suo unico problema. L’abitudine a riempire le giornate con il lavoro era così consolidata che, dovendo restare chiuso in casa, si sentiva morire di noia e, per quanto odiasse la fabbrica, la preferiva a una stanza in cui camminare avanti e indietro come una belva in gabbia.
Di giorno non aveva sonno e non sapeva che fare. Accendeva la tv e si innervosiva nel vedere che tutte le trasmissioni parlavano del coronavirus. Metteva qualcosa a cuocere e la dimenticava sul fuoco. Sfaccendava, creando un gran disordine. Accendeva la stufa anche se non faceva freddo. Elisa cominciò a temere che prima o poi l’avrebbe visto impazzire.
E infatti una sera, alle nove e tre quarti, Italo prese il portavivande, il termos, si mise l’impermeabile e uscì.
“Dove vai?” chiese lei. “A quest’ora i supermercati sono chiusi. C’è il coprifuoco”.
“Vado in fabbrica”.
Elisa capì che la vita a volte offre dei regali. Era stanca di litigare. Proprio stanca. Perciò non provò a fermarlo. Disse solamente: “Aspetta, prendi la mascherina”.
E lo salutò con un bacio.
Italo corse giù velocemente, in modo macchinale, infrenabile, ma non riuscì a dare un passo fuori dal portone perché un militare armato di mitra gli fece cenno di tornare indietro.
Scoraggiato, rimase per un tempo incalcolabile seduto sulle scale, con la mente perduta in una zona d’ombra tra l’alienazione e la fuga. Poi gli venne sonno e si addormentò.
Anche Elisa, rimasta sola, spense la luce e andò a letto.
Accucciata sotto le coperte, nel silenzio riconquistato, allungò un braccio verso il cuscino di suo marito e lo portò verso di sé.
Meditò su quell’amore che aveva bisogno di non essere mai del tutto con lei.
Sentì il veleno della nostalgia, doloroso e incurabile, dentro al petto.
Francesco Consiglio
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ALLARMI SIAM VOTANTI TERROR DEI POLITICANTI!!
Ricordo che quando arrivava il momento del voto, anni e anni fa, i miei genitori votavano secondo coscienza e convinzione politica.
Anche io lo feci all'inizio quando a metà degli anni '80 raggiunsi la maggiore età. Ma durò poco. Infatti mi dovetti adattare a votare il meno peggio, sempre di più il meno peggio nel corso degli anni.
Oggi il meno peggio sembra venuto meno. Se n'è andato poveraccio, defunto.
Noto che a molti italiani il voto che interessa è quello "da casa", ovvero quello televisivo.
Il Grande Fratello o altri format che chiedono il voto da casa insegnano; quindi partiti si sono adoperati per diventare trash come i programmi televisivi che richiamano milioni di voti.
Ora il meno peggio è un'utopia, si voterà ad minchiam.
Sempre più aventi diritto al voto tentano la sorte, come al gratta e vinci. A un turno elettorale votano di uluLà e in un altro votano di uluLì. Tentano la sorte. Io speravo a questo turno di trovare un partito simile al TTS: Trivella Tua Sorella; oppure un candidato come Vota Antonio La Trippa di De Curtis memoria. Invece si stanno riesumando canoni e stili che rimandano al dopo guerra. Si sta tornando indietro.
Non c'è un partito, dico almeno uno, che tra le proprie fila non annoveri mele marce.
Faccendieri, corrotti, mafiosi e viscidi. Che puntualmente mettono nelle grane le insegne del partito a cui appartengono e chi, nelle file di quel partito, cerca di applicarsi con impegno e onestà. Per quanto il potere te lo permetta e a prescindere dalle proprie idee.
Questa cosa che a X Factor si può mandare a casa un concorrente e a Montecitorio no, deve finire.
Semestralmente si va al tele voto, comodamente da casa. Chi ha sparato più cazzate o fatto meno, o niente, di quello che ha promesso va alla sfida con i colleghi come lui meritevoli di tornarsene a casa.
La classe politica che avanza è figlia degli anni '80 e '90, che ho vissuto in totale spensieratezza, forse troppo.
La preparazione e la serietà è veramente paragonabile, in moltissimi casi, alle gag di Drive In o Mai Dire Gol.
Ho visto passare di moda le musicassette, poi i congiuntivi ora il rispetto per l'avversario.
Anche a livello di politiche locali non è che la solfa cambi più di tanto, ho toccato con mano questa realtà molto più vicina a noi che i palazzi romani.
Beh, l'urto del vomito per la cattiveria e l'astio assaporato è ancora forte e per fortuna ne sono fuori.
A questo punto rimpiango quando c'era il meno peggio da votare, non ce rimasto manco più questo.
In realtà alcuni li conosco sparsi qua e là, spero che possano almeno loro farcela ma sarà una magra consolazione.
Se penso che le sorti di questo Paese e dell'Europa dipenderanno da una classe politica votata da poco più del 50% degli aventi diritto al voto che saranno convinti di dove mettere la "X", mi mette angoscia.
Se non vai a votare e non ti vuoi occupare di politica ricordati che la politica si occupa sempre del tuo culo. Le tribune elettorali di una volta vedeva impegnati politici bravi a smontare le teorie degli avversari, convincendoti che le loro erano migliori.
Oggi un politico apre bocca ti fa venire voglia di votare l'avversario, ma poi senti l'avversario e ti passa la voglia di dare il voto anche a lui.
Si potrebbero rispolverare slogan d'antan, come "viva la fregna" no sessista e anti gay, "andate a lavorare" eh magari ci fosse lavoro qui la disoccupazione dilaga, oppure il sempre attuale "vaffanculo"... unisex, piace a tutti oramai.
Sì è vero. Non cambia nulla. Specialmente se non alzi il tuo culone dal divano e non vai a votare.
Poi guardo le liste dei candidati e ritorno sul divano, con una birra guardando un film catastrofico tipo fine dell'umanità, giusto per tirarmi su di morale.
Come diceva il compianto Nino Manfredi "Basta 'a salute e un par de scarpe nove, poi gira' tutto er monno".
ps per i candidati tutti, continuate a beccarvi qui sui social (mai direttamente ma indirettamente dai vostri profili/pagine, mi raccomando), che prendo i pop-corn e seguo. Grazie.
#voto#eurepee 2019#pensiero#ironia#politica#meno peggio#LiberoDeMente#schifo#politici#politicanti#votare
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Vanunu nel 1986 decise di rivelare al mondo che sì, è vero che Israele possiede l’arma nucleare, che sotto la centrale sperduta del deserto del Negev dove lui si recava ogni giorno a lavorare si trovava una fabbrica con plutonio sufficiente per produrre 200 armi atomiche. Erano stati i francesi negli anni 50 a confidare ad Israele i segreti militari dell’atomo ma la tacita convezione era di non dirlo pubblicamente. Anche se tutto il mondo lo ha sempre saputo.Dunque Vanunu, dopo un tormentato esame di auto-coscienza, prese accordi con il Sunday Times di Londra dove si recò per essere intervistato sulle sue preziose informazioni, proprio mentre le spie del Mossad seguivano i suoi movimenti. Perché non lo fermarono prima: ormai era fatta, fermare una rotativa non è come oggi buttare le copie di un giornale già stampato (come fa Molinari)… e poi un po’ di pubblicità non guasta mai poi. Lo lasciarono fare, dunque, e poi chiesero all’allora capo del governo di sua Maestà (era la Thatcher) se la disturbasse una operazione per rapire il loro tecnico. La signora di ferro rispose che non se ne parlava proprio, che non voleva grane in casa sua, si rivolgessero agli italiani che erano più laschi.
Fu così che i servizi di Tel Aviv architettarono un piano incredibile con il benestare delle autorità di Roma (allora a capo del governo era Bettino Craxi): fecero adescare l’ingenuo Mordecai da una bionda di nome Cindy che lo invitò a passare con lei un paio di giorni nella città eterna. Candidamente perso negli occhi dell’avvenente spia, Vanunu partì, trovando gli israeliani ai piedi dell’aereo sulla pista di Fiumicino. Messo in una macchina venne rapito e rispedito in Israele. Se fosse solo una spy-story sarebbe avvincente ma non è così. Iniziò il suo dramma: incarcerato in una prigione di massima sicurezza é stato rinchiuso in un lungo, totale isolamento, rilasciato dopo diciotto anni ma mai uomo libero perché sottoposto a crudeli regole: senza passaporto, con il divieto di avvicinarsi a meno di 500 metri da un porto o da un aeroporto, dalle ambasciate o dalle auto del corpo diplomatico o di incontrare un cittadino straniero senza autorizzazione.
Insomma, si aprirono per Mordecai le porte dell’inferno con una persecuzione vendicativa senza fine, metodo che oggi vediamo applicato su larga scala tra le strade di Gaza. Vanunu non è stato solo: come per Assange, fondatore di Weakileaks che ha rivelato come la santa alleanza occidentale fa le sue guerre di dominio, un largo movimento di solidarietà lo sostenne, chiedendo la sua liberazione e il disarmo dell’area mediterranea. Egli non agì per interesse personale né si offrì al mercato spionistico: la sua fu una scelta etica che poneva il mondo di fronte ai rischi della proliferazione nucleare.
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Research Media Roles
How to break into character design
Obviously this is not a step by step guide into becoming a character designer because everyone makes their own path and encounters their own opportunities. The creative industry is not like others, as in most cases you cannot simply follow a straight path into a professional job. However, you can do the right tings to get yourself in beneficial situations that can further your career.
Luis Grane
•After two failed attempts at contacting character designers on social media. I decided to research Luis Grane, a character designer who has worked in animated films including Prince of Egypt, Hotel Transylvania, Ratatouille, and Boxtrolls. I wanted to find out his work and how he broke into the industry.
•Grane began by creating comic strips in Argentina later he moved to London to work on commercial animation. However he was not fully content doing this so he began to study at Sheridan College in Canada and from there he got hired by DreamWorks. Whilst at DreamWorks he began to focus on doing character design and worked in various projects in studios like Pixar, Sony, Laika, Digital Domain, Warners, Disney and Aardman.
•Judging by Grane’s career it is safe to say that character design is a very competitive role in the industry and you must jump onto any opportunity that comes your way. Even when he worked for DreamWorks he still had many side projects with other studios. Also it does not seem to matter what animation style the project Is, as Grane as worked in both Boxtrolls and Prince of Egypt. One being a stop motion film and the other a 2D animated film.
Inspirational Quotes
‘I have a studio in downtown LA where I divided my time working in commercial projects for advertising and film productions and doing my own personal work in visual arts, video projections, video installations, and paintings.’
‘I will not deny that strong drawing skills will help in this process, but throughout my career I’ve seen many artists that are technically outstanding but their designs lack appeal and charm. On the other hand, many artists with limited skills have a powerful sense of design so they are able to produce characters that immediately connect with the audience.’
‘Likewise, I think luck exists, but it has to find you working. I don’t like the concept of luck, I prefer to think of chance because, throughout your career, you get your chances.’
‘draw less, think more’
The art of The Incredibles
In the book ‘The art of the Incredibles’ production designer Lou Romano mentions that Mr. Incredibles design was very close to his earliest as from the start they had a very clear image of what they wanted. They wanted him to look like an ageing football player, past his prime. This small trait gives so much personality to the character that the audience begins to automatically fill in the gaps and familiarize themselves to cast.
As for his outfit, it was very basic. He would dress like a regular dad, it didn’t matter if he was a superhero this made him relatable to people both children with fathers like Mr. incredible and dads themselves, it also humanizes the character. This brings us back to Luis Grane who talked about the fact characters should not always be complex but filled with personality. Mr. incredible is made of very based shapes but this is what makes him so relatable and recognizable.
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Louis Antoine de Saint-Just
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Louis Antoine de Saint-Just
Ci sono personaggi storici che esercitano un fascino a volte incomprensibile sul nostro animo. Sul mio, in particolare, tali personaggi sono molti, ma una delle figure che mi ha colpito di più, per la sua complessità e le sue innumerevoli sfaccettature, è quella di Louis Antoine de Saint-Just de Richebourg.
Nato nell’agosto 1767 a Decize, in Borgogna, figlio primogenito di Louis Jean, capitano di cavalleria ed esponente della piccola nobiltà di provincia, ebbe una gioventù relativamente turbolenta, nel corso della quale si distinse per la sua capacità di piantare grane e di mostrarsi ribelle a qualsiasi forma di restrizione.
Spirito fortemente trasgressivo, libertino, consapevole del suo personale carisma, dopo una delusione amorosa nell’estate del 1786 si recò improvvisamente a Parigi, non prima di aver sottratto alla madre, rimasta vedova, una non indifferente quantità di argenteria. La madre reagì facendolo arrestare e chiudere in un riformatorio, dove rimase dal settembre 1786 al marzo 1787.
Nell’ottobre 1787 si iscrisse alla Facoltà di Diritto dell’Università di Reims, dove si laureò in meno di un anno, dando prova di voler almeno parzialmente modificare la propria condotta. Dopo avere personalmente assistito agli inizi della Rivoluzione francese, si convinse che la nobiltà non avrebbe potuto essere facilmente convertita ai nuovi orientamenti politici e sviluppò quindi una visione molto radicale, che lo portò a conoscere Robespierre e a diventare una delle persone a lui più vicine. Eletto all’Assemblea legislativa il 5 settembre 1792, di cui divenne il membro più giovane, si unì al gruppo dei Montagnardi, dei quali condivideva la visione politica assai radicale. Eccellente oratore, ideologicamente molto estremista, Saint-Just divenne in breve una figura di spicco dei Montagnardi stessi.
L’insurrezione parigina del 10 agosto 1792, che abbatté la monarchia, pose il problema del processo a Luigi XVI, che i Girondini (rivoluzionari moderati) non volevano assolutamente, temendo che un atto del genere non avrebbe fatto altro che rinforzare il radicalismo dei loro avversari Giacobini. Proprio sul tema del processo al sovrano, il 13 novembre di quell’anno Saint-Just pronunciò il suo primo discorso alla Convenzione, dove assunse subito un atteggiamento fortemente radicale: “Gli uomini che stanno per giudicare Luigi hanno una repubblica da fondare: ma coloro che attribuiscono una qualche importanza alla giusta punizione di un re, non fonderanno mai una repubblica […]. Cosa non temeranno da noi i buoni cittadini, vedendo la scure tremare nelle nostre mani, e vedendo un popolo che fin dal primo giorno della sua libertà rispetta il ricordo delle sue catene?” Di conseguenza, la sua richiesta fu quella di mettere immediatamente il re a morte e il suo discorso suscitò una notevole impressione tanto tra i suoi sodali politici quanto tra gli avversari, i quali furono costretti ad ammettere il suo notevolissimo talento oratorio. La sua richiesta fu di fatto approvata, visto che Luigi XVI venne ghigliottinato il 21 gennaio 1793.
Dopo l’approvazione della Costituzione del 1793, Saint-Just appoggiò incondizionatamente Robespierre nel suo tentativo di non “ammorbidire” lo spirito rivoluzionario, che culminò nell’approvazione della “Legge dei Sospetti” (17 settembre 1793), la quale conferì al Comitato di Salute Pubblica ampi poteri di repressione di ogni forma di opposizione.
A quel punto, Giacobini e Montagnardi assunsero il controllo della Convenzione e lo stesso Saint-Just venne eletto presidente della medesima (19 febbraio 1794). Egli si batté subito in favore della redistribuzione delle ricchezze degli aristocratici al popolo, ma senza che le sue idee venissero mai messe concretamente in atto.
Nel corso della primavera del 1794, il Comitato di Salute Pubblica controllava di fatto la politica francese e diede avvio alla fase del Terrore, scatenata contro tutti i suoi nemici, di destra e di sinistra. In tale azione, Saint-Just svolse un ruolo di assoluta preminenza, distinguendosi per il suo estremo radicalismo, che tuttavia cominciò ad allarmare i molti nemici che si stava facendo a tutti i livelli.
Inviato in missione a fine aprile 1794 presso l’Armata del Nord, onde esercitare una sorta di ruolo di commissario politico, ebbe subito modo di manifestare la sua fiducia incondizionata nell’offensiva ad oltranza, oltre ad imporre una dura disciplina all’esercito rivoluzionario, cui non mancava certo lo slancio ma difettava la capacità di gestirlo in maniera militarmente efficace. Pur incontrando l’opposizione di molti generali, egli riuscì ad assumere di fatto il comando delle operazioni, a riscuotere molta simpatia fra la truppa (che era solito guidare con l’esempio personale) ed ebbe un ruolo di rilievo nella vittoria di Fleurus (26 giugno 1794).
Ritornato a Parigi alla fine di quello stesso mese, a causa della dura lotta che si era aperta tra fazioni rivoluzionarie rivali, si batté per mantenere una certa armonia all’interno del Comitato di Salute Pubblica, sempre più ostile alla politica di Robespierre e ai suoi sanguinosi eccessi. Il suo intervento, tuttavia, venne duramente contrastato da Tallien ed egli, invece che reagire, si chiuse in uno sdegnoso silenzio. Arrestato insieme ai principali sostenitori di Robespierre, venne con costoro ghigliottinato nel pomeriggio del 28 luglio 1794, all’età di soli 26 anni.
La leggenda vuole che un suo insegnante abbia detto, di Saint-Just: “Questo ragazzo diventerà un grande uomo o uno scellerato“. Ammesso e per nulla concesso che tra le due figure testé citate esista una qualche possibile differenza, quello che mi ha sempre affascinato – di lui – è la sua fame di vita abbinata a una non meno ardente bramosia di morte, e anche la capacità di intendere alla perfezione il suo ruolo di politico, che – quando rettamente inteso – gli consentì di salire alla ghigliottina in perfetto silenzio, come se l’intera vicenda riguardasse un altro, mentre già prima, nei suoi Frammenti sulle istituzioni repubblicane, aveva scritto alcune parole che letteralmente adoro: “Io disprezzo la polvere di cui sono fatto e che vi parla; si potrà perseguitare e far morire questa polvere, ma sfido a strapparmi la libertà e la vita indipendente che mi sono dato nei secoli e nei cieli“. Quando ho letto queste parole, mi ha fatto piacere sapere di aver condiviso con lui una specifica concezione dell’esistenza.
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3 mag 2021 16:57
GIULIETTA DEGLI SPIRITI (ANIMALI) – I TERRIFICANTI SFOGHI DELLA MASINA AL FARFALLONE FELLINI: “MA CHE SEI 'N OMO TU? SEI 'N OMO TU CHE NON ME TOCCHI DA OTTO ANNI? O SEI UNO CHE SE FA TUTTE, MA PROPRI TUTTE L'ARTRE? PENSI CHE NUN TE VEDO? NON FAI CHE MANEGGIÀ CHIAPPE DI QUESTA E DI QUELLA! CHE DEVE FA 'NA POVERACCIA COME ME? CHE ME NE FREGA CHE TU SEI UN ARTISTA, SE SEI SOLO 'NA PARVENZA D'OMO? A ME NON M’INCANTI, SAI? DOVE SEI STATO A ARZA’ PORVERE? DIMMELO!”
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Estratto da “La Cartomante di Fellini - L’uomo, il genio, l’amico”, di Marina Ceratto Boratto, ed. Baldini+Castoldi
All’improvviso si attaccò a una misteriosa bottiglia con l’etichetta di un frantoio. Finsi di non vedere, aiutandola a portare i piatti a tavola…. Giulietta mi impedì di tornare in sala da pranzo. Continuava a tossire e a fumare. E riprese a raccontare.
«Sai che appena sposata con Federico e incinta, so’ caduta giù dalle scale? Ho abortito. Poi e arrivato Pier Federichino, vissuto solo tre settimane... poi, poi... per lui, nun so’ esistita più, intendo come donna... te rendi conto? Sembrava un marito tanto devoto invece ha cominciato ad andare in camporella.»
Non mi piaceva la piega che stava prendendo la serata. «Guarda Giulietta che è un marito affettuoso, dice su di te cose sublimi.» «Ma va là, ma a chi la racconti?» Come rassicurarla, nel silenzio spiccava il ticchettio di una sveglia, messa lì forse per la cottura dei suoi piatti. Dopo circa un quarto d'ora Federico fece il suo ingresso trionfale festeggiato da tutti.
Tutti tirammo un sospiro di sollievo, avrebbe ripreso con il suo stile e la sua autorità il controllo della situazione. «Chi ha telefonato Giuliettina? Non hai fatto le polpette, sai che mi piacciono tanto…» chiese mellifluo e aggiunse: «Ah, questo film, quanti problemi!»
«Ndò sei stato Ninì?» gli domandò lei, senza rispondergli.
«Per un piccolo sforamento del badget sono stato a parlare tutto il tempo con Fracassi, pessimista ma risolutivo come sempre», replicò soffiando ansia per troppo lavoro e aggiunse: «Qualcosina mangiucchio, forse solo la carne e il dolce! Che begli amici, che allegra brigata, raccontatemi tutti qualcosina di voi! Che bello ritrovarvi. Come sei in forma, Caterina! Ciao Marina bella! Lucia, che occhi magnifici da assassina».
«E già, eri con Fracassi o co `na mignotta, Ninì? Torni sempre con gli occhi bassi sul piatto e te metti a mangià e non dici mai niente di dove sei stato. Ma in realtà hai già mangiato...» continuò ostinata. Arrossimmo tutti.
«Su, Giuliettina, sai che è un film complesso, ho continue grane. Rogne spaventose con Rizzoli. Devo elencarti tutte le difficoltà, giorno per giorno? Dovresti essere contenta che te ne tengo fuori, te le evito, vivi qui beata, fra boschi e ruscelli, in compagnia dell'ottimo Salvato. E voi invece cosa avete fatto, avete sparlato del sottoscritto?»
Mentiva o diceva la verità sulla sua serata fuori casa? Lucia ci aveva avvertito che era un bugiardo congenito, comunque nessuno dei presenti voleva indagare, desideravamo solo che tornasse un po' di pace e leggerezza. Era uno spettacolo triste vedere una moglie sbottare a quel modo. Non immaginavamo certo che lei e Federico fossero due sposini in viaggio di nozze, ma che fossero a questo punto, mai.
Poi Giulietta, quasi con gli occhi iniettati di sangue, si scagliò a parole contro Federico, dimostrando un temperamento degno di una popolana di Roma e un talento drammatico superiore a quello della Magnani.
«Ma che sei 'n omo tu? Sei 'n omo tu che non me tocchi da otto anni? O sei uno che se fa tutte, ma propri tutte l'artre? Pensi che nun te vedo? Non fai che maneggià chiappe di questa e di quella! Che deve fa 'na poveraccia come me? Che me ne frega che tu sei un artista, se sei solo 'na parvenza d'omo? A me non m’incanti, sai? Dove sei stato a arzà porvere? Dimmelo!»
Stranamente Giulietta non tossiva più. Guido Alberti si alzò da tavola e si schiarì la voce, sembrava un tribuno: «No, vi prego non fate così, dovete andare d'accordo, avete dato dei capolavori al cinema mondiale e ne darete altri, così ci rendete infelici stasera, dovete far pace, perché voi due... voi due siete immensi... siete entrambi una risorsa per il mondo», Fellini si alzò e abbracciò Guido.
«Guidone che farei senza di te?» Ma Giulietta continuò imperterrita. «Infame! Perché te sei ridotto così? Perché quando l'ho sposato me voleva bene, sapete? Era normale, allora! Adesso è un mezz'omo.» Federico sembrava accettare rassegnato tutto ciò che usciva da quella bocca, rimproveri e insulti, ossessionato dai complessi di colpa o forse altrove, serafico.
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Ho apprezzato tantissimo quello che hai scritto alla ragazza che ti ha scritto di sentirsi sola, tu nei momenti di sconforto cosa fai?
Buongiorno personcina gentile,
ti ringrazio per ciò che hai detto e mi fa piacere tu abbia apprezzato il mio tentativo di supporto a quella cara ragazza; in fondo tutti abbiamo bisogno di una parola di conforto ogni tanto ed è bello cercare di aiutarsi a vicenda. Così dovrebbero fare tutti al mondo.
Si, beh, anche io spesso ho dei momenti in cui mi sento un po’ giù, anzi, diciamolo, mi sento proprio una merda. Per i più svariati motivi, che ora non sto qui ad esporti perché, te lo assicuro, ti annoierebbero a tal punto che poi lo sconforto verrebbe a te. E insomma, quando mi sento così, solitamente, lascio che la tristezza e la delusione si impossessino di me per un po’, giusto il tempo che serve per piangere le lacrime che è meglio non trattenere, perché alla fine il dolore esiste ed è normale, quindi lascio che anche lui faccia il suo lavoro (in questi tempi di crisi, non voglio mica sentirmi dire che l’ho licenziato, che poi vado nelle grane ahahaha).
In quel lasso di tempo quindi, se potessi spiarmi dalla serratura della porta di camera mia, potresti vedermi fare tre cose. Non c’è un ordine preciso in cui le faccio, se te lo stai chiedendo, e non è neanche detto che io le faccia sempre tutte e tre.
In ogni caso la prima è scrivere. Scrivere di tutto ciò che mi affligge, mentre qualche lacrima cade sul foglio e dilata il segno appena lasciato dalla penna. A volte quelle parole prendono la forma di una lettera, indirizzata alla persona che in quel momento mi fa soffrire (quasi sempre la stessa), altre volte invece, quelle parole, rimangono lì, senza una sagoma precisa, solo macchie nere sullo sfondo bianco del foglio, incasinate e in disordine, proprio come me.
La seconda, invece, è ascoltare la musica. Apro la scatola che contiene i miei cd preferiti, scelgo quello che è più affine ai miei pensieri in quegli istanti, lo inserisco nel lettore e premo play. C’è poco altro da dire, mi sdraio sul letto, stringo il mio Minion tra le braccia, ma potrebbe anche essere lo Stregatto o anche Stitch, (si lo so, ho 18 anni ma amo i peluche, non giudicatemi.) e chiudo gli occhi, ascoltando le parole, senza cantarle, arrivando a sentirle fin dentro alle ossa.
La terza cosa, ma non meno importante, anzi forse è la più fondamentale, è parlare con la mia Amica, proprio una con la A maiuscola. E’ una ragazza che purtroppo è lontana da me e non può abbracciarmi, né può essere fisicamente la mia “spalla su cui piangere”, ma dà tutta se stessa per essermi vicina col cuore, in ogni situazione, in particolare se la situazione non è delle migliori. Le parlo, senza aver paura di essere giudicata o di annoiarla, e le chiedo aiuto, le chiedo un parere, senza vergognarmi. No, non mi vergogno, perché chiedere una mano non indebolisce la mia abilità di affrontare i problemi, ma mi aiuta a non mollare, perché, insieme, è come se quel carico di dolore che porto sulla schiena, si alleggerisse.
E quindi questo è quello che faccio nella prima fase dei miei momenti NO. Poi, quando mi sembra di essermi liberata da buona parte del dispiacere, mi rialzo da dove ero seduta, mi asciugo le lacrime, apro bene gli occhi e mi dico che il dolore è passeggero e che è inutile soffrire ancora per qualcosa o qualcuno, quando ho davanti a me una vita da vivere, tutta mia. Una vita della quale sono protagonista e che devo affrontare a testa alta e col sorriso, perché alla fine, se guardo bene, ce ne sono tante di cose che mi fanno brillare gli occhi per la felicità e che mi fanno sperare in un futuro migliore.
E niente, a questo punto, il gioco è fatto. Pronta e più forte di prima.
Certo, non farti ingannare, a volte non è facile rialzarsi, non è che in mezz'ora il dolore sparisce, però non bisogna mai mollare la presa. Mai. Bisogna lavorarci, giorno per giorno. All'inizio andrà malissimo e ti sembrerà di aver perso definitivamente il sorriso e ogni speranza, ma, fidati, andando avanti, andrà meglio. Piano piano, ma andrà meglio. E, così, un passo alla volta, uscirai dal tunnel e rivedrai la luce e il mare. Poi, sì, le sofferenze lasceranno cicatrici e a volte sarà inevitabile ripensarci, però cerca di non guardarle troppo e guarda, invece, davanti a te, che il panorama è di nuovo fantastico. E infine respira e sorridi, che sei vivo.
Scusami per la lunghezza, forse ho davvero esagerato stavolta, e scusami anche per gli eventuali errori che ho commesso, non ho tempo di rileggerlo adesso.
Grazie ancora per la domanda e buona giornata, ma soprattutto buona vita.
Ilaria ❤
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