#Case di Cura
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megachirottera · 2 years ago
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Chi era responsabile della risposta fallita alla pandemia?
Qualsiasi forma di medicina che cerchi di modificare il processo di malattia sarà intrinsecamente pericolosa e, sebbene la medicina moderna sia inutilmente pericolosa, un certo numero di morti è inevitabile indipendentemente dal sistema medico utilizzato. Source: 2022, Jun 24; A Midwestern Doctor on The Forgotten Side of Medicine (more…) “”
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pier-carlo-universe · 4 months ago
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Ordinanza a Novi Ligure: Accensione anticipata degli impianti di riscaldamento per la stagione termica 2024-2025
A causa delle temperature inferiori alla media, il Comune di Novi Ligure ha autorizzato l’accensione facoltativa degli impianti termici dal 10 al 14 ottobre 2024.
A causa delle temperature inferiori alla media, il Comune di Novi Ligure ha autorizzato l’accensione facoltativa degli impianti termici dal 10 al 14 ottobre 2024. Il Comune di Novi Ligure, in risposta alle recenti condizioni meteorologiche che hanno visto un abbassamento delle temperature al di sotto della media stagionale, ha emesso l’Ordinanza Sindacale n. 84 del 10 ottobre 2024. Tale…
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sanitadomani · 2 years ago
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Meno personale e più sicurezza
Sanitadomani.com – Abbiategrasso (Milano). “Dopo anni e anni di attività nel contesto di grande strutture e, in particolare, sanitarie e di cura, abbiamo compreso che sono spesso gli oggetti di uso quotidiano quelli più pratici e che si rivelano molto utili. Insieme allo sviluppo di tutti gli altri settori dell’igiene aziendale e personale, abbiamo sempre più approfondito la ricerca di tecnologie…
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gregor-samsung · 4 months ago
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LA NOSTRA SCUOLA
La nostra scuola è privata. È in due stanze della canonica più due che ci servono da officina. D’inverno ci stiamo un po’ stretti. Ma da aprile a ottobre facciamo scuola all’aperto e allora il posto non ci manca! Ora siamo 29. Tre bambine e 26 ragazzi. Soltanto nove hanno la famiglia nella parrocchia di Barbiana. Altri cinque vivono ospiti di famiglie di qui perché le loro case sono troppo lontane. Gli altri quindici sono di altre parrocchie e tornano a casa ogni giorno: chi a piedi, chi in bicicletta, chi in motorino. Qualcuno viene molto da lontano, per es. Luciano cammina nel bosco quasi due ore per venire e altrettanto per tornare. Il più piccolo di noi ha 11 anni, il più grande 18. I più piccoli fanno la prima media. Poi c’è una seconda e una terza industriali. Quelli che hanno finito le industriali studiano altre lingue straniere e disegno meccanico. Le lingue sono: il francese, l’inglese, lo spagnolo e il tedesco. Francuccio che vuol fare il missionario comincia ora anche l’arabo. L’orario è dalle otto di mattina alle sette e mezzo di sera. C’è solo una breve interruzione per mangiare. La mattina prima delle otto quelli più vicini in genere lavorano in casa loro nella stalla o a spezzare legna. Non facciamo mai ricreazione e mai nessun gioco. Quando c’è la neve sciamo un’ora dopo mangiato e d’estate nuotiamo un’ora in una piccola piscina che abbiamo costruito noi. Queste non le chiamiamo ricreazioni ma materie scolastiche particolarmente appassionanti! Il priore ce le fa imparare solo perché potranno esserci utili nella vita. I giorni di scuola sono 365 l’anno. 366 negli anni bisestili. La domenica si distingue dagli altri giorni solo perché prendiamo la messa. Abbiamo due stanze che chiamiamo officina. Lì impariamo a lavorare il legno e il ferro e costruiamo tutti gli oggetti che servono per la scuola. Abbiamo 23 maestri! Perché, esclusi i sette più piccoli, tutti gli altri insegnano a quelli che sono minori di loro. Il priore insegna solo ai più grandi. Per prendere i diplomi andiamo a fare gli esami come privatisti nelle scuole di stato.
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Brano tratto dalla lettera dei ragazzi di Barbiana ai ragazzi di Piadena dell’1 novembre 1963 raccolta in:
Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, a cura di Michele Gesualdi, Milano, A. Mondadori (collana Oscar n° 431), 1976 [1ª Edizione: 1970]; pp. 167-168.
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fashionbooksmilano · 2 months ago
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Renzo Mongiardino Architettura da Camera
a cura di Francesca Simone
Officina Libraria, Roma 2022, 224 pagine, 21x24cm, ISBN 978-88-3367-194-9
euro 38,00
email if you want to buy [email protected]
Pubblicato nel 1993 da Rizzoli, Architettura da camera si può considerare un classico dell’architettura di interni. A lungo esaurito, viene ora riproposto in una nuova edizione, curata dalla nipote di Mongiardino, Francesca Simone, che mantiene il testo originale ma modifica in parte l’apparato iconografico e la veste grafica per renderli più aderenti al testo. Laureatosi con Gio Ponti nel 1942, dagli inizi degli anni Cinquanta si afferma come architetto realizzando alcune delle case più affascinanti della seconda metà del XX secolo, destinate ad una clientela internazionale e prestigiosa di colti collezionisti e grandi imprenditori tra cui Thyssen, Onassis, Agnelli, Safra, Zanussi, Valentino, Versace, Rothschild e Hearst. Contemporaneamente porta avanti la sua attività di scenografo per il teatro e per il cinema lavorando con Franco Zeffirelli, Peter Hall, Giancarlo Menotti, Raymond Rouleau. Architettura da camera si articola in una serie di lezioni-racconto volte a spiegare metodo e canoni della sua architettura di interni. Riccamente illustrati con riferimenti storici e a dimore realizzate da Mongiardino, i capitoli affrontano ciascuno uno specifico problema (la stanza troppo alta, la stanza lunga) o una questione di gusto, per esempio quello per le rovine, per mostrare come risolverlo prima da un punto vista spaziale e di proporzioni e poi attraverso la minuziosa progettazione di ogni dettaglio, eseguiti dai fedeli artigiani che collaborarono con lui per tutta la sua carriera. Abilissimo creatore di spazi spettacolari, Mongiardino ha saputo accostare oggetti comuni e di antiquariato in un gioco magistrale di tessuti preziosi o dipinti, pannelli scolpiti e non e una gamma di trompe-l’oeil grazie ai quali otteneva capolavori con materiali poveri. Lo “stile Mongiardino” è ormai divenuto leggendario tanto da meritare continue pubblicazioni sulle più importanti riviste di architettura e interni, ma anche su quelle di larghissima circolazione, come il magazine del «New York Times», oltre a numerosi libri.
15/11/24
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sciatu · 6 months ago
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RITORNO A NOTO - Se arrivi nella parte alta di Noto ti troverai in un gregge di case piccole ed essenziali, poco alte e con nessuna decorazione ma disposte in modo ordinato e preciso. Erano queste le case del popolo disposte ordinatamente a circondare i grandi palazzi e le scenografiche chiese del Barocco Siciliano. Dal confronto tra queste anonime case e gli edifici dei principi, baroni e potenti ordini religiosi, appassiona la cura con cui in quest’ultime dimore si sono realizzati piccoli dettagli. Sono questi dettagli che danno le ali a queste grandi opere come ai grandi palazzi borghesi, dettagli minimi ma curati, piccoli gioielli, invenzioni continue, instancabile ricerca del bello, che esaltano l’imponenza e la barocca leggiadria delle costruzioni più importanti. Nel caldo dominante, e nell’accecante luminosità della pietra, le ringhiere dei balconi, le cornici delle finestre e delle vetrate, le edicole ed i portoni sono il sottofondo, l’overture dell’imponente bellezza delle chiese e dei conventi. Come sempre Noto stupisce, racconta, emoziona che può fare solo la pura bellezza.
RETURN TO NOTO - If you arrive in the upper part of Noto you will find yourself in a flock of small and essential houses, not very tall and without any decoration but arranged in an orderly and precise way. These were the houses of the people, arranged in an orderly fashion to surround the great palaces and the spectacular churches of the Sicilian Baroque. From the comparison between these anonymous houses and the buildings of the princes, barons and powerful religious orders, the care with which small details were created in these latter residences is fascinating. It is these details that give wings to these great works as well as to the great bourgeois palaces, minimal but cared for details, small jewels, continuous inventions, tireless search for beauty, which enhance the grandeur and the baroque grace of the most important buildings. In the prevailing heat, and in the blinding brightness of the stone, the railings of the balconies, the frames of the windows and the stained glass windows, the aedicules and the doors are the background, the overture of the imposing beauty of the churches and convents. Vome always Noto amazes, tells, and excites in a way that only pure beauty can do.
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fridagentileschi · 2 years ago
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Un'idea geniale è stata messa in atto in Canada. Hanno integrato case di riposo negli orfanotrofi. I risultati hanno superato ogni aspettativa!
Gli anziani hanno trovato i nipoti, gli orfani per la prima volta hanno provato l'amore e la cura dei genitori. Gli anziani sono migliorati significativamente nella loro salute e il loro interesse per la vita è tornato, hanno detto i medici.
L'amore non è mai abbastanza, ci vuole sempre e incondizionatamente per tutti.❤
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crazy-so-na-sega · 5 months ago
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L'ARCHIATER
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Pochi lo sanno, ma nel 142 d.c., venne istituita, in tutto l'Impero Romano, per ordine di Antonino Pio, la professione del medico municipale, chiamato archiater, ovvero il medico pubblico cittadino, insomma il medico della mutua degli antichi romani. Naturalmente il medico stava in città, per i villaggi invece i cittadini malati dovevano raggiungere la città più prossima, il municipio più vicino. Il medico privato invece era chiamato medicus.
Ne ebbero diritto tutti i cives romani, pertanto esclusi gli schiavi e gli stranieri, ma vigeva per tutto l'impero romano, da occidente all'oriente, dal settentrione europeo al meridione africano. Mai stato fece opera tanto grandiosa. L'architater faceva diagnosi, dava le erbe e le medicine, operava chirurgicamente, curava i denti e le ossa rotte.
I Romani infatti avevano medici, medicine, chirurghi e dentisti, anche se non si conoscevano nè batteri nè virus, scoperti solo nel 1800, per cui erano sconosciuti il contagio e le cause di molte malattie.
Tuttavia i medici romani, anche se non sterilizzavano, tenevano in gran conto la pulizia, tanto che avevano bende pulite e cofanetti e cassette ove tenevano gli attrezzi ben puliti e, se erano di ferro, ben oliati con puro olio di oliva.
Anticamente la medicina proveniva dalle erbe, e la loro ricerca era affidata alle donne. Anche se teoricamente doveva essere il pater familia a prendersi cura della famiglia e pure degli schiavi, in realtà erano le romane a prendersi cura dei familiari con impacchi, decotti, impiastri e tisane dei malati in famiglia, ed erano sempre le donne a fare le levatrici.
Catone si irritò molto per l'uso di valersi dei medici, soprattutto quelli greci che avevano invaso Roma, trascurando i buoni usi antichi e ci ha tramandato che la medicina domestica si basava essenzialmente sull'uso del cavolo, del vino e sul pronunciamento di filastrocche magiche (formule o invocazioni). Egli sintetizza così la cura del pater familiae:
 "Forniti di una canna verde, si reciti la formula "motas uaeta daries dardaries, asiadarides una te pes" e si canti ogni giorno "haut haut istasis tarsis ardannabon" e si guarirà così ogni male"
(Marco Porcio Catone, "De agri coltura", 160)
Per fortuna però c'erano le donne della famiglia e poi i medici, e per ciò che riguardava invece le malattie più gravi o la chirurgia, gli uomini che ne avevano possibilità andavano a studiarla nei paesi più progrediti in materia, in Grecia e in Egitto, ma esisteva anche una progredita medicina etrusca.
Nell'ambulatorio veniva attrezzata una piccola farmacia dove le sostanze semplici erano collocate in scatole di legno o vasi di terracotta o di ceramica sigillata (aretina) con l'indicazione del contenuto. Anche nelle case si attrezzarono minuscole farmacie, con cofanetti in metallo, osso o avorio, con diversi scomparti, con bende e medicinali di base per un pronto soccorso.
-Romano Impero
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superfuji · 6 months ago
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Così, trovandomi in viaggio in Giappone, non ho potuto fare a meno di recarmi al Memoriale della Pace di Hiroshima. E’ un parco pubblico, molto essenziale nell’architettura, come a voler dare il senso dello spazio che si apre, a superare e trascendere quel trauma. Ma al contempo, in modalità perfettamente giapponese, dà estrema cura ai particolari, dalle aiuole ai simboli di pace, agli origami delle gru per Sadoku, piccole teche trasparenti dove si possono lasciare origami, ma anche messaggi. Io uno l’ho scritto e l’ho lasciato lì: MAI PIU’ BOMBE NUCLEARI, DISARMO E PACE, in italiano e in sardo. Forse un piccolo atto dal sapore rituale, ma sentivo di farlo. Sadoku è la bambina simbolo di Hiroshima che per salvarsi aveva giurato di fare gli origami di mille gru, per la pace nel mondo. Morì prima di completare la sua opera, ma tutte le persone possono ancora, stringendosi accanto al monumento per i bambini, esprimere un pensiero, o solo meditare in silenzio. Visitando il Museo del Memoriale della Pace di Hiroshima, si torna indietro nel tempo e ci si ritrova immersi in quell’immane tragedia. L’esplosione dell’atomica trasformò in pochi istanti la città in un vero e proprio inferno. Un inferno descritto dalle poche fotografie esistenti, dai disegni e dai dipinti dei testimoni oculari, dai racconti dei sopravvissuti. La temperatura al suolo divenne così alta da incendiare non solo gli alberi, le case e le strutture in legno e in cemento, ma da staccare la pelle delle persone, scioglier loro gli occhi, squagliare gli organi interni. I cavalli, che guidavano le carrozze nei viali, impazzirono e si tuffarono nei fiumi, per annegar lì. Anche molte persone si gettavano nel fiume, per spegnere le fiamme che le avevano avvolte, o cercare di trovare ristoro all’enorme calore. Chi non era morto sul colpo si trascinava ferito ed ustionato, con la pelle a brandelli, con le carni che bruciavano dentro, alla ricerca d’acqua per spegnere quel fuoco. Quell’acqua stessa, che ne avrebbe solo accelerato la morte. Così come la pioggia che cadde nei giorni successivi, descritta dai testimoni come “la pioggia nera”, altamente radioattiva. 
Ricordare Hiroshima per prevenire la catastrofe
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pier-carlo-universe · 13 days ago
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Crescita del Personale Sanitario in Italia: Dati e Sfide per il Futuro
Negli ultimi cinque anni, il personale sanitario in Italia ha registrato un aumento significativo, raggiungendo un totale di 709.029 unità nel 2022, con un incremento di 29.918 professionisti rispetto al 2017
italianewsmedia.com: Negli ultimi cinque anni, il personale sanitario in Italia ha registrato un aumento significativo, raggiungendo un totale di 709.029 unità nel 2022, con un incremento di 29.918 professionisti rispetto al 2017. Tuttavia, questo dato positivo si accompagna a una diminuzione preoccupante del numero di medici, soprattutto nelle strutture pubbliche. Questo trend riflette una…
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vintagebiker43 · 1 year ago
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"Nascere maschi rimane un privilegio, e lo si nota, evidente, nella quotidianità. Come nel film di Cortellesi C’è ancora domani, non conto gli episodi in cui, in molte case, ho visto le donne alzarsi da tavola per aggiungere, togliere, servire piatti, e gli uomini seduti, sempre. Entrando nei negozi di giocattoli, sperimento la stessa rigida distinzione a cui ero sottoposta da piccola: quelli di cura e di bellezza per le femmine, quelli di potere e di avventura per i maschi. Ovunque, il linguaggio ribadisce la stessa feroce suddivisione: il notaio, l’avvocato, l’ingegnere ricorrono al maschile (anche quando sono le donne a svolgere queste professioni); la maestra, la signora delle pulizie, la tata al femminile (anche se la cura è amore ed educazione, e non dovrebbe avere perimetri di genere). Il sottinteso resta: il palcoscenico del mondo ai maschi, le retrovie di casa alle femmine. Il ruolo dei maschi è da protagonisti, quello delle femmine ancillare. Una bambina oggi, come me, mia mamma, mia nonna, assorbe un non detto scandaloso: le femmine valgono meno.
E, se valgono meno, possono essere pagate meno, occuparsi da sole di altri – marito, figli, genitori – mai di loro stesse. Se sono meno, possono essere picchiate, violentate e uccise. Come si picchia, si violenta e si uccide qualcuno a cui non si riconosce dignità, che non si ascolta, non si guarda; figuriamoci se si ama.
I femminicidi non sono una questione sentimentale, ma di potere: un problema strutturale della nostra società. L’amore è il contrario del potere. Se ti amo, non voglio che tu mi appartenga. Se ti amo, non sopporto di vederti serva, muta, umiliata. Se ti amo, ti accompagno in questa vita, non ti soffoco. Per amare c’è una condizione di granito: la parità. Nella sottomissione si può solo ferire. [...] Allora serve una detonazione dei rapporti di forza e del linguaggio. Un mondo aperto: liberato. Dove i figli si crescono alla pari, gli anziani si curano alla pari, le carriere si percorrono alla pari: in cui si decide e si agisce alla pari. E nessuna è un meno. E tutte siamo persone: rispettate, libere, quindi amate."
Silvia Avallone, su 7Corriere - il 19 gennaio 2023
*Silvia Avallone - Fotografia di Luca Brunetti
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lunamagicablu · 1 year ago
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Non ho tempo per chi non ha tempo per me.
Non ho poi la voglia di dovermi sforzare nel trovare le parole perfette, per evitare d'essere fraintesa. È una fatica sterile ed estenuante. Posso passare ingiustamente per quella che ha sbagliato, fa niente: mi importa poco anche di doverne uscire bene. Ne esco e basta da quel che non mi dà importanza, da chi non mi vede, da chi non ha cura del mio buon cuore.
Ho smesso di fare quella che vuole sistemare a tutti i costi, che cerca il chiarimento. È proprio vero - sapete - che in alcuni casi non ne vale la pena.
Ed è invece ora che ne valga la gioia.
Ho imparato a farmene una ragione per tutto quel che passa e non ha l'amore di restare. Il mio cuore è aperto sia in entrata che in uscita.
Ho molto amore, e da che ho imparato a dirigerlo anche verso me stessa: non ho più tempo per chi non ha tempo per me.
(Gloria Momoli) art by ReinaChan ************************ I don't have time for those who don't have time for me.
I also don't feel like having to force myself to find the perfect words, to avoid being misunderstood. It is a sterile and exhausting effort. I can unfairly pass myself off as the one who made a mistake, it doesn't matter: I don't even care if I have to come out of it well. I just get out of what doesn't matter to me, of those who don't see me, of those who don't care about my good heart.
I've stopped doing the thing that wants to fix at all costs, that seeks clarification. It's really true - you know - that in some cases it's not worth it.
And it's time to make the joy worth it.
I've learned to make sense of everything that happens and doesn't have the love to stay. My heart is open both incoming and outgoing.
I have a lot of love, and since I have learned to direct it towards myself too: I no longer have time for those who don't have time for me.
(Gloria Momoli) art by ReinaChan 
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gregor-samsung · 6 months ago
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" Di fronte a noi abitava la Lola, una delle prime persone transgender della città, con grave scandalo dei benpensanti del circondario. Una volta la incontrammo dal macellaio e mia madre la salutò dicendole: «Ciao Antonio», scatenando l’incredulità della nostra beata innocenza. Lei, comprendendo la situazione dal mio sguardo confuso, le rispose: «Lucia, per favore, davanti ai tuoi figli chiamami Lola». Le cose cambiano e oggi Lola si fa chiamare Frate Antonio, veste un saio e si è ritirato a vita spirituale da decenni, una storia che farebbe la gioia di gente come il generale Vannacci e Simone Pillon, per cui per favore non andate a raccontargliela, grazie. Al campetto di via Compagnoni oggi non ci sono più i ragazzini, le strade dove giocavamo gliele hanno rubate ormai da tempo immemore. Nelle case sopravvissute alle recenti demolizioni restano gli anziani e i nuovi inquilini di antichi assegnatari poi diventati proprietari e infine locatori. Ogni volta che passo da via della Canalina in macchina guardo da lontano il mio balcone, immagino mia madre che mi chiama e sento che se sono diventato quello che sono è perché ho potuto vivere in quel luogo e in quel contesto, perché quel luogo e quel contesto insegnavano, anche senza l’uso di strumenti complessi, il materialismo storico, la politica, la società, la socialità, la solidarietà, la povertà, la dignità. In breve: la coscienza di classe. In quel luogo diventavi antifascista prima ancora di imparare a leggere e a scrivere. "
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Brano tratto da:
Storie di antifascismo senza retorica, a cura di Arturo Bertoldi e Max Collini, prefazione di Francesco Filippi, People editore, Busto Arsizio (VA), 2024¹, pp. 57-58.
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luigidelia · 5 months ago
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ABBI CURA DELLE STELLE Ho smesso di essere ragazzo a Torre Guaceto, in Puglia, e nelle campagne intorno. Allora non sapevo che insieme a me stava crescendo qualcosa che aveva a che fare con le storie. Era una stagione libera di conversazioni con gente della terra, di passeggiate notturne tra i filari di pomodori. Li raccoglievamo al buio strada facendo per andare a cucinarli con le orecchiette a casa di Juan, un direttore d’orchestra che aveva trovato rifugio da quelle parti. Ci guidava Tonino che ha un alimentari di campagna dove ci passa il mondo. Crescevamo con i suoi ricordi di Berlino e le massime del suo libro dell’ I Ching. Avevamo grandi pene d’amore. Lui ci faceva sentire uomini navigati. Tutto era odore, salsedine e racconti.
Succedeva poi che qualcuno ci chiamava di fretta per fare una serata e accompagnare il cibo con le storie e io scrivevo di getto, poi rileggevo a Pinuccio, uno dei custodi del luogo, lui aggiungeva nomi, luoghi, soprannomi, ricordi. Rideva tanto anche lui. Passavamo pomeriggi interi sulla panca di pietra dietro al forno della sua casa bianca. La panca che dava sui campi. In quel periodo, senza saperlo, del raccontare ne stavo imparando anche il mestiere. Senza nessuna scuola se non quello che mi accadeva lì. Fuori da lì era tutto così inadeguato per me. Le prime orticarie per i pensieri, per i soldi, per la paura di non farcela ora che c’erano le figlie le ho avute lì. Il giorno che quasi prendevo un pugno in faccia ho camminato per un giorno intero senza fermarmi da Serranova, giù per gli ulivi fino ad Apani e poi lungo il mare, la torre, la spiaggia di Penna Grossa. Ricordo che una settimana dopo cominciammo a organizzare spettacoli nelle case dei contadini lì intorno. Quei primi spettacoli organizzati nelle case della gente che si prendeva così tanta cura degli oggetti, delle pareti di calce, dell’accoglienza erano un elogio della cura per me. Erano una cura per me. Abbi cura delle stelle, immaginavo che mi avesse detto mio nonno. Luigi è nato sotto le canne della palude, diceva Gianfranco. Non ricordo più chi mi ha raccontato tutto. Tutti i particolari. Il racconto di ‘ngiulina è misterioso anche a me. Il limite di questo mondo era la casa di Titina e Lino. Ricordo quando Lino mi faceva il movimento della scolopendra per farmi vedere come ballavano quelli che venivano pizzicati nella palude. Ho avuto molti doni. Sono pieno di gratitudine. Quando Titina e Lino sono volati via per altri mondi avevo già lasciato tutto questo. Una sera organizzammo uno spettacolo davanti all’alimentari di Tonino. Era di passaggio Antonio Catalano quei giorni. Un caro amico e artista. Dopo lo spettacolo ci regalò una canzone delle sue. Io lasciai il palco e andai a sedermi tra il pubblico. Lui cominciò a cantare. Io guardavo tutto quello che avevo intorno. Tutti i volti, gli alberi di quel giardino, i muri, la gente, i colleghi, le persone care, guardavo piano tutti. Arrivò una nostalgia. Era come se li guardassi dal futuro, da quella Memoria del futuro di cui parla Luis Ansa. Lì guardavo da quel giorno che ero già andato via. Lo realizzai in quel momento che stavo per andare via. Questi cinque racconti di fine estate, per me, arrivano da quel momento. Luigi D’Elia Bari, 20 ottobre 2020 ---- Luigi D’Elia voce narrante Stefano Delvecchio fisarmonica bitonica Davide Castiglia violino Giampiero Cignani clarinetto Simonetta Dellomonaco regia
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intotheclash · 2 years ago
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Erano appena le tre e le si era liberata la giornata. Non aveva voglia di ritornare nel suo appartamento, in un anonimo palazzone della sterminata periferia romana. Aveva bisogno d'aria e di camminare per rammendare le idee. Puntò decisa verso Villa Borghese. Quel polmone verde, che dava respiro a tutto quel cemento che lo circondava, le ricordava vagamente la campagna dove era nata. Scelse con cura una panchina e si sedette a fumare e riflettere. Riavvolse il nastro della sua vita, con particolare attenzione a quell'ultimo anno. non le sembrava di avere davanti un bilancio troppo positivo. La linea spezzettata sul grafico, anche se non cadeva a picco, scendeva inesorabilmente verso il segno meno. Solo il lavoro faceva eccezione. Era un'agente immobiliare, vendere case le piaceva e con la gente ci sapeva fare. Aveva chiuso diversi contratti, alcuni molto travagliati e al limite del possibile; ciò le aveva permesso di guadagnare bene, oltre che in vile moneta, anche nella stima dei suoi colleghi. Ci sapeva davvero fare. Ma, tolto il lavoro, cosa le restava? Tolto il lavoro si poteva tranquillamente parlare di disastro. Disastroso il  rapporto con i suoi genitori, disastroso il rapporto con gli amici, disastroso il rapporto con gli uomini. Già, gli uomini…ma che razza di bestie erano? Aveva trentaquattro anni, era una bella donna, lo sapeva e ne riceveva conferma ogni giorno. Ancora catturava occhi e sorrisi. Allora come mai si ritrovava da sola? Che fosse colpa sua? Certo, era finita da un pezzo l'epoca dei vent'anni. Col passare del tempo, era diventata molto più esigente ed insofferente. Non aveva voglia di accontentarsi, si rifiutava di accettare ciò che non riusciva a digerire. non voleva saperne degli altrui difetti, quelli che, come tutti dicono, poi impari ad amare. Se ne fotteva. E, soprattutto, non era disposta a cambiare, a cambiarsi. Non poteva condividere i sogni con chi, in ultima analisi, era incapace di sognare. O tutto, o niente. Forse davvero era colpa sua! Era diventata insofferente.
Anche gli uomini, però, ci mettevano del loro. E ne avevano da metterci! Anche quell'Umberto, per esempio, non era male…era un bell'uomo, elegante, curato, pulito, in sporadici casi, anche brillante, ma, come tipico della sua “razza”, demandava troppo spesso il compito di ragionare al suo fratellino più piccolo. Quanto piccolo sarà stato poi? Tale riflessione la fece ridere come una scema, ma riprese subito il controllo, sbirciando in giro a sincerarsi che nessuno se ne fosse accorto. Le venne in mente un brano di Davide Van De Sfroos, La ballata del Genesio, dove cantava: ho dato retta al cuore e qualche volta all'uccello. Centro. Era ciò di cui aveva bisogno: qualcuno che sapesse dar retta al cuore e all'uccello contemporaneamente. Non le sembrava chiedere troppo!
Accese un'altra sigaretta, guardò l'orologio: le cinque e trenta del pomeriggio. Alzò il viso e, solo allora, si avvide dell'uomo che, non più distante di una quindicina di metri, stava puntando dritto verso di lei. Lo soppesò con lo sguardo e decise che non c'era da preoccuparsi. Era decisamente attraente, si muoveva con estrema leggerezza, sembrava scivolare sul terreno come l’acqua; certo che era vestito in maniera del tutto anonima e pensò che fosse un vero peccato. E peccato anche che l'avesse puntata. Voleva starsene da sola e in silenzio. Niente mosconi a ronzarle intorno. Non oggi.
“Mi perdoni, ma avrei bisogno di accendere.” Disse l'uomo senza inflessioni dialettali nella sua voce, sbollando un pacchetto di Pall Mall.
La donna sbuffò infastidita e col tono del “con me non attacca, bello!”, rispose:“ E’ un po’ vecchiotta, forse ti conviene provare altrove.”
“Non importa che sia vecchia, non a me, comunque. L'importante è che abbia ancora voglia di accendersi e di accendere. Mi creda, non desidero altro.”
Lo fissò dritto negli occhi, occhi in moto perpetuo, non inebetiti sulle sue tette. Forse… ma no, l'approccio era stato di una banalità disarmante, così: “Mi dispiace, non ho da accendere” Soffiò fuori in fretta.
“Fa niente, andrò a cercare miglior fortuna altrove. Ma capita anche che le cose siano esattamente come sembrano. Mi perdoni l'intrusione. Le auguro che la sua giornata migliori.” Le disse con un accenno di sorriso e guardandola, per la prima volta negli occhi.
Fu sinceramente colpita da quella sorta di congedo. Lo seguì con lo sguardo e lo vide avvicinarsi ad una coppia di anziani, ottenendo, ormai era evidente, quello che stava cercando. Si era comportata come un qualsiasi idiota. Si era dimostrata prevenuta e scortese, Non le piacque affatto il suo comportamento di poc'anzi e tentò di rimediare.
“Ehi!” Gridò, agitando la mano per richiamare l'attenzione dell'uomo. Lui si voltò, le mostrò la sigaretta accesa, sorrise apertamente e tornò a voltarsi per la sua strada.
“Aspettami!” Disse ad alta voce, alzandosi dalla panchina per raggiungerlo. Non lo avrebbe lasciato andare portandosi via un'immagine di lei così odiosa.
“Non serve che si giustifichi, una brutta giornata capita a tutti.” La anticipò.
Fu di nuovo colta di sorpresa, le parole stentarono ad uscire, ma parlare era parte del suo mestiere, la parte che le riusciva meglio e se lo ricordò appena in tempo.
“Toccata! Mi sono comportata come una stupida. Ti avevo cucito addosso un bel giudizio precotto. Scusami di nuovo e, credimi, di solito non succede.”
“Sono felice per te. Perché, al contrario, di solito, è esattamente quel che succede. Affibbiare etichette sembra essere lo sport nazionale. Altro che il calcio. Forse è come con i cani, che hanno bisogno di marcare il territorio. Allo stesso modo, gli uomini devono orinare sui propri simili per avere l'illusione di saperli riconoscere.���
“Posso farti una domanda?” Non capiva cosa le fosse preso, ma ormai era andata.
“Certo, basta che non implichi il dovere di una risposta.”
“Ho smesso da un bel pezzo di pretendere.”
“Allora puoi andare con la domanda.”
“Di che colore sono i miei occhi?”
“Domanda a doppio taglio. Non è così facile come potrebbe sembrare…”
“Lo sapevo, peccato.” Pensò la donna, ma, ancora una volta, era giunta a conclusioni affrettate.
“Oggi, con questo sole abbagliante, di un bel celeste trasparente, ma direi che il più delle volte potrebbero essere sul verde, con tendenze al grigio nelle giornate di pioggia.” Sentenziò l'uomo, dopo una profonda boccata di sigaretta.
Partì anche la seconda domanda. Partì prima del pensiero, prima che la vergogna per averla fatta le incendiasse il viso:“E le mie tette come sono?”
Lui non si scompose e, senza distogliere lo sguardo da quello di lei rispose: “Dovresti fare più attenzione. Perché, a volte, potrebbe capitare che rubino il palcoscenico agli occhi.”
“Posso offrirti un caffè? Per rimediare!”
L'uomo la trapassò con la vista come una freccia di balestra e trapassò anche tutto quello che c'era dietro di lei, per finire dove nessuno sapeva dove. “Rimediare è un verbo privo di significato.” Disse “Non c'è possibilità di rimediare al passato; per quanto prossimo. Possiamo solo comportarci diversamente.”
“Sarebbe un no?”
“Al contrario, sarebbe un si. Non so se tu ti aspettassi un'altra risposta, nell'eventualità, mi dispiace. Ma io non rifiuto mai un buon caffè.” E sorrise.
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fridagentileschi · 1 year ago
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Odio il cappotto termico nelle case.
Per me devono respirare. Punto.
Ma ecco cosa dice un esperto muratore.
"Il vostro appartamento sarà una raccolta di umidità, tra muro esterno e pannelli di polistirene (scarto derivato dalla lavorazione del petrolio, materia prima in mano alla multinazionale americana 3M).
Più o meno come mettersi un sacchetto della spesa in testa, provate a respirare.....
certamente non entrerà il freddo, non entrerà il caldo, ma di sicuro quello che produce dentro casa:
docce, cucina, panni stesi, il semplice sudare e respirare di notte, rimarrà tutto dentro casa.
Quindi a traspirabilità già eravate scarsini, ora siete a zero.
Quel che è dentro, sta dentro. Umidità di risalita inclusa.
Poi forse vi sfugge, ma siete giustificati perchè non fate il mio mestiere, ma quei pannelli, chiamati polistirene espanso (espanso con un gas), quando avranno esaurito la loro tenuta o durata del gas che li rende leggeri e apparentemente traspiranti, sarà nociva come oggi vengono classificati alcuni materiali come le guaine bituminose, il cartongesso, le resine e tanti bei materiali che, guarda caso, le discariche/stazioni ecologiche, non accettano più.
L'amianto/eternit in tempi non lontani era il materiale del futuro, dimenticate?
Quindi sappiate che tra "tot" anni, appena lor signori dovranno vendere altro (tipo elettrico al posto della benzina), anche i vostri cappotti dovranno essere smaltiti come l'eternit oggi. Obbligatorio.
Sempre che chi li ha montati oggi si sia ricordato di risanare prima i muri, eliminare le parti cedevoli di pittura e di intonaco (altrimenti a cosa si attaccano?).... ripristinare il livello, dare un primer, un rasante di presa, applicare a regolari "patacche" della colla specifica i pannelli e assicurarli con cura con funghi a battere o tasselli particolari e verificarne la tenuta uno ad uno. Poi rasante, rete, ancora rasante, tonachino colorato a finire. Ai prezzi che vedo in giro dubito, quindi auguratevi anche che resti attaccato".
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