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#Autodeterminazione emotiva
divulgatoriseriali · 5 months
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Il vuoto fertile: un processo creativo che nasce dal profondissimo vuoto interiore, fonte di guarigione dalle ferite esistenziali
Nel vasto e intricato paesaggio dell’esistenza umana, si celano intricati sentieri che conducono verso il vuoto fertile. Un’esperienza tanto misteriosa quanto universale, in cui ci si imbatte in dolori che sembrano torreggiare come imponenti montagne, radicati nel profondo della nostra psiche sin dall’infanzia. Sono ferite che, nonostante gli arditi tentativi di lenirle con balsami esterni,…
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maurobroccalifecoach · 9 months
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Rinasci dopo il #Tradimento: Un #Corso di #Guarigione e #Crescita Personale
Carissime #donne #forti e #coraggiose,
Sono qui perché comprendo il #dolore profondo di essere #tradite e #abbandonate. Voglio offrirvi un #percorso di #guarigione straordinario, un rifugio dove #trasformare il dolore in #forza, la #delusione in #determinazione. Vi presento "Rinasci dopo il Tradimento", un corso pensato appositamente per voi.
Se sentite che il tradimento vi ha privato della vostra luce interiore, sappiate che potete risorgere più forti che mai. Insieme, attraverseremo il buio e scopriremo la vostra potenza interiore.
Cosa vi aspetta:
🌈 Guarigione Emotiva Profonda: Affronteremo insieme le ferite dell'anima, creando uno spazio sicuro per esplorare il dolore e iniziare il percorso di guarigione.
💪 Forza e Resilienza: Vi guiderò attraverso esercizi pratici per riscoprire la vostra forza interiore. Insieme, impareremo a trasformare la vulnerabilità in una risorsa potente.
🌻 Autostima e Autodeterminazione: Valorizzeremo la vostra bellezza e autenticità, costruendo una base solida di autostima. Vi aiuterò a definire il vostro percorso, indipendentemente dal passato.
🤝 Supporto Comunitario: Creeremo una comunità di donne resilienti che si sostengono reciprocamente. Insieme, saremo una fonte di ispirazione e forza.
Perché scegliere questo corso:
Vi capisco, perché ho camminato nei vostri passi. La mia missione è guidarvi verso una rinascita piena di speranza e possibilità. Non siete sole, e la vostra storia non è finita.
Siate pronte a abbracciare la vostra nuova vita. Iscrivetevi oggi e iniziamo insieme questo incredibile viaggio di rinascita.
Con amore e sostegno, Mauro Brocca Coach di Guarigione e Crescita Personale
Emozionante, trasformativo, imperdibile! Il nostro corso è la chiave per sbloccare il potenziale nascosto dentro di te.
COSTO: €300,00 (10 LEZIONI INDIVIDUALI)
Non stai acquistando solo lezioni; stai investendo nel tuo benessere, nella tua crescita personale e nelle relazioni che rendono la vita straordinaria. Ogni lezione è un passo verso una versione più autentica e soddisfacente di te stessa.
MODALITÀ D'ISCRIZIONE:
Partecipare è facile! Il pagamento avviene tramite bonifico, con un processo senza stress. Riceverai l'IBAN al momento dell'iscrizione, insieme a istruzioni dettagliate per garantire che il tuo viaggio inizi senza intoppi.
Causale del pagamento: "Corso RDT" - Un segreto per il tuo cambiamento positivo!
CONTATTI:
Hai domande o hai bisogno di ulteriori informazioni? Siamo qui per te!
📞 Telefono: 3335309143 – Chiamaci per scoprire come questo corso può cambiare la tua vita.
📧 Email: [email protected] – Scrivici per approfondimenti, curiosità o prenotare il tuo posto!
Unisciti a noi in questa straordinaria avventura di autoscoperta!
La tua trasformazione inizia con un passo, e quel passo inizia con la tua iscrizione. Abbraccia il cambiamento, investi in te stessa e scopri il potenziale illimitato che risiede dentro di te. Sono pronto a guidarti attraverso questo viaggio emozionante. Iscriviti ora e preparati a scoprire chi sei veramente.
#maurobrocca #tradimento #corso #guarigione #donna #donne #abbandonata #crescita #autostima #lifecoach #mentalcoach
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nusta · 3 years
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discorsi caotici
In questi giorni ho fatto pensieri e ragionamenti e discussioni caotiche su varie questioni e questa sera, l’ennesima in cui non vado a correre per il caldo e per la mancanza di gente in circolazione, forse posso provare a mettere in fila qualche pezzo dei discorsi.
C’è il discorso della Guerra, che è un discorso enorme ed eterno, come la guerra stessa forse. Lo scorso weekend è capitato per caso a tavola con mia nipote e la settimana prima avevo fatto un giro tra le tombe dei soldati della prima guerra mondiale al cimitero e nel mezzo c’è stata la morte di Gino Strada e l’avvicendarsi di notizie sulla situazione in Afghanistan. E nei miei giorni ci sono stati pensieri per i soldati di allora e di oggi, a partire da mio nonno partigiano, di cui ci ha raccontato le vicissitudini lavorative mia mamma l’altro giorno dopo pranzo. Storie del nostro dopoguerra e della nostra povertà, come paese, delle occasioni che abbiamo avuto e che abbiamo perso, come persone, come gente, come nazione. E ora sembra tutto ancora più complicato o forse è solo più esplicito e mi chiedo quanto senso abbia parlare di autodeterminazione di un popolo, quanto ci si possa aspettare che “ci devono pensare da soli”, quando siamo tutti così legati all’economia globale, quando, anche al di là del concetto di Patria, il proprio spazio è il proprio mondo, e il territorio geografico stesso ha una sua peculiarità talvolta irrinunciabile, delle specificità a cui si ancorano sì grosse difficoltà ma anche grosse potenziali risorse e sopra a quella terra ci sono reti di conoscenze, parentele, amicizie, legami affettivi che non possono essere sciolti senza conseguenze, e pensare di andarsene o di restare non è affatto una scelta scontata, o addirittura possibile. Perchè per potersi “autodeterminare” ci dovrebbe essere un ventaglio di possibilità tra cui poter scegliere, mentre per molte persone non è così.
C’è il discorso del Lavoro, di quanto sia difficile per la mia generazione e per quelle ancora più giovani far capire ai nostri genitori la differenza tra la nostra situazione e la loro. A livello esistenziale, proprio. Ma siccome l’esistenza del mio quotidiano è riempita per 8 ore e oltre dal mio lavoro in ufficio, inevitabilmente spesso la frustrazione ruota intorno a questo profilo di intraducibilità. Mi trovo a confrontare le loro battaglie con quella che potrebbe essere definita arrendevolezza, da parte mia, se non fosse una strategia di difesa a protezione della mia pace mentale. Loro hanno affrontato altre sfide e loro due in particolare non sono nemmeno rappresentativi della loro generazione e se gli dici Voi nel senso di Quelli della Vostra Età fanno fatica ad accettare di essere parte di un gruppo che ha vissuto un’epoca diversa dal presente e ha avuto vantaggi così come svantaggi diversi da chi è “giovane” ora, un gruppo che forse non ha proprio gli strumenti concettuali necessari per comprendere la nostra esperienza, semplicemente perchè non li ha mai dovuti maturare. Così come noi non capiremo mai come possono essersi sentiti loro. Forse lo potremmo studiare, ma la distanza cognitiva tra fare un ragionamento a fronte di un’esperienza vissuta e a fronte di un’esperienza “studiata” è comunque notevole e forse troppo spesso trascurata quando si cerca di dialogare con chi ha avuto una storia diversa dalla nostra alle spalle. Per la cronaca, era la prima volta che i miei genitori sentivano parlare del concetto di “Boomer”.
C’è appunto il discorso delle Generazioni, che è una generalizzazione utile e inutile al tempo stesso, come tutte le generalizzazioni. Però ora che ho due rappresentanti di quella più recente a stretto contatto e la più grande mi comincia a porre Grandi Domande, mi devo chiedere come ragionare con lei e con Loro. Oggi ho visto un bel video di Rowan Ellis sull’attivismo e sull’importanza di non liquidare le domande altrui con un “cerca su google”. L’altro giorno ho letto un post in cui si parlava dell’importanza di tenere presente la relativa “novità” di tutte queste risorse per imparare qualcosa, per educarsi e comprendere meglio il mondo. E se penso al Grande Pericolo della Disinformazione e alla enorme barriera d’accesso posta da tutto ciò che serve per “visitare” un sito web, e prima ancora a costruirlo e a tenerlo in piedi, mi chiedo quanto sia particolare la mia, di generazione, l’ultima che ha fatto le scuole medie senza computer e telefonini e però ha cominciato a vederli in giro prima di arrivare al diploma delle superiori. Molti appunti dell’esame di maturità li ho scritti a macchina e il primo pc l’ho comprato di seconda mano solo l’anno dopo, dal mio fidanzato, che ha avuto l’occasione di montarsene uno nuovo. Ricordo che mi salvavo le pagine web per leggere con calma e non occupare la linea telefonica di casa. Mi chiedo se e quanto la nostra prospettiva sia diversa da quella di chi è arrivato online solo quando si è trovato lo smartphone in tasca, perchè un pc non ha mai pensato fosse necessario, e magari ora si trova alle prese con lo Spid e i troll nei commenti su Facebook e non ha idea di cosa sia la netiquette. E da quella di chi sa far partire un video su youtube o fare una videochiamata su whatsapp prima ancora di aver imparato a scrivere. Mi chiedo quanta distanza cognitiva ci sia, quanto sia incolmabile e quanto invece potremo comprenderci, nelle nostre diverse paure e perplessità nei confronti di questo universo di informazioni apparentemente a disposizione. Quanta autorevolezza dovremo mostrare per essere convincenti, quando arriveranno all’età della sfida, e quanta umiltà saremo in grado di mostrare quando arriveranno all’età della maturità. Perchè le loro battaglie saranno diverse dalle nostre, le loro esigenze, i loro pericoli, saranno nuovi e inediti e allo stesso tempo sembreranno simili a quelli che abbiamo affrontato noi e sicuramente in qualcosa lo saranno davvero. Sicuramente alcune battaglie le combatteremo insieme, perchè nessuno sarà ancora riuscito a vincerle definitivamente, purtroppo.
C’è infine il discorso della Serenità, che è una delle mie priorità costanti ed è a volte estremamente difficile da conservare. Perchè ci sono pensieri pesanti  e scadenze impellenti e parole sgarbate e caldo opprimente e desideri irrealizzabili. E mantenere a fuoco la prospettiva giusta, allargare l’obiettivo in modo da comprendere ciò che vale la pena di mettere in evidenza, non è facile. E in questi giorni ho visto alcuni video sui fenomeni come cottagecore e dark academia, in cui si parlava anche del fatto che il recente successo di queste “estetiche” stia anche nella possibilità di offrire una via di fuga dalla realtà, quando questa non te ne mette a disposizione molte altre, una valvola di sfogo per la vena creativa che spesso viene frenata o soffocata dalle esigenze della routine quotidiana scandita dagli orari e dai ritmi imposti da attività organizzate da qualcun altro. E però è proprio questa vena creativa che ci rende umani e per quanto possiamo andare avanti in questo modo? E lo so che non sono da sola in questa difficoltà emotiva, a ritagliare e costruire gli spazi e i modi per cercare di Stare Bene. E lo so pure che io stessa pretendo troppo da me stessa. Perchè alla fine in un giorno ci sono 24 ore e poi è l’indomani. E una volta che uno lo sa, si regola di conseguenza, dico sempre. Anche lasciando spazio a una buona dose di caos. E comunque la prossima settimana, caldo o non caldo, gente o non gente, torno a correre.
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strichinina · 5 years
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A provenire da un mondo senza domande e con risposte già impacchettate fuori da ogni riflessione, si esce prigionieri incravattati o ribelli capaci di percepire ogni sfumatura.
“I maschi non piangono, le ragazze vestono bene, Dio ha detto così, perché sono tuo padre, no è no, l'onore e il rispetto, bisogna essere umili, i genitori vanno onorati, è così e basta, prima Adamo poi Eva, questo è giusto e questo è sbagliato, questo è contro natura anche se la natura non so cosa sia, se non fai la brava finisci all'inferno, ai maschi il bicchiere di vetro, il piatto più grande al patriarca, smettila di essere così emotiva, non toccarti i capelli in pubblico...”
Io da sempre ho voluto solamente urlare a più non posso che no, non mi stava bene soffocare me stessa e ostacolare la mia autodeterminazione. Lo facevo scappando il più lontano possibile dalle tradizioni, dai paraocchi piccolo-borghesi, dai parenti scomodi che di me conoscevano solamente l'involucro sgualcito e senza firme riconoscibili e circondandomi invece dei reietti della società e cioè delle anime sensibili e squisitamente vere e spontanee che hanno reso la mia vita ricca e meravigliosa, quelle che la famiglia naturale su cui vengono iscritte pratiche di dominio maschiliste non accetterà o comprenderà mai. Volevo capire, e per farlo divoravo ogni libro o articolo mi capitasse sott'occhio, mi immergevo in ogni documentario o pellicola d'autore con il fine di imparare a vedere il mondo con nuovi occhi, con occhi che fossero miei e miei soltanto invece di leggere la realtà con l'ausilio di categorie precostituite e deterministiche. Mi rivedevo nei cineforum e nei teatri occupati, nelle parole delle poche Professoresse del liceo capaci di trattarti da essere umano e non da un qualsiasi numero anonimo da trascrivere sul registro di classe. E più andavo avanti e meno capivo il mondo chiuso in se stesso da cui provenivo, meno volevo farne parte. I messaggi erano impliciti, e uno fra tutti recitava che le femmine sono una sottospecie umana creata per abbassare la testa e sottostare al volere dell'uomo. Di essere la pecora nera della famiglia, ormai poco m'importa. Di essere diventata con le mie sole forze una donna fiera e combattiva invece, ne faccio vanto e orgoglio.
Grazie madre e padre, per avermi fatto conoscere un mondo a cui ribellarmi rimanendo salda.
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Chiunque passi più di 5-10 minuti al giorno a scrivere di calcio sui social network senza essere un addetto ai lavori, quindi un giornalista o un dirigente o altro, dovrebbe riflettere seriamente sulle sue priorità in questo splendido ma troppo breve arco temporale chiamato vita. L’essere monotematico non è mai un complimento ma quando coincide con la passione calcistica diventa ancor più biasimevole. Poniamo delle basi concettuali su cui poggiare saldamente questa affermazione che a molti potrebbe sembrare pretenziosa, presuntuosa e radical chic. Punto numero io, io sono un tifoso piuttosto accanito. Sono juventino fino al midollo e già questo per circa il 60% degli italiani è motivo di odio, a priori, senza giudicare chi io sia, cosa faccia nella vita, se io sia o meno una brava persona. Non importa. Quel che è condizione necessaria e sufficiente per meritare l’odio altrui è che tu supporti i destini sportivi della squadra avversaria. Questo non è però uno status quo precipuo del contesto calcistico. Avviene anche in tutti gli altri ambiti della nostra esistenza in cui si presuppone una presa di posizione che includa la scelta tra due o più opzioni: politica, lavoro, studio, persino la scelta della pizza può generare discussioni più o meno accese. Il problema del calcio, per quanto me ne pare, è che esso non è un modello culturale ricco. Sebbene cerchino di spacciarlo per tale, non è così. Il calcio non presenta, se non per minima parte, quella pienezza culturale assicurata da tante altre passioni nella vita e vi assicuro che non mi voglio limitare solo alla lettura, sarebbe come voler fare un gol a porta vuota dopo aver fatto il tunnel al portiere. Chi vi scrive, fino all’età di 14-15 anni pianse un fiume di lacrime ad ogni eliminazione della Juventus nelle competizioni europee. Una sera, dopo una sconfitta molto pesante, mio padre fu costretto a consolarmi per ore dopo che mi ero rintanato a letto a piangere e singhiozzare. Erano tempi duri, quelli del dopo Platini e prima di Del Piero. Come state supponendo, giustamente, queste ultime righe sono piene di passione genuina, di trasporto e di ricordi, belli o brutti che siano, segnanti. E tale è il calcio: emozione; e la vita presuppone le emozioni. Il problema nasce quando ne facciamo motivo portante di socializzazione, di elaborazione ideologia e - cosa più temibile di tutte - rivalsa ed affermazione sociale. Avete mai ascoltato una intervista post-partita? Sicuramente si, è successo pure a mia madre che, donna di infinita bontà, in ambito calcistico al massimo riesce a proferire frasi del tipo “abbiamo segnato? Oh ma chi è quello vestito di giallo che ha fischiato? Sembra un evidenziatore”. In una intervista calcistica se ci fate caso esistono solo tre modelli di sceneggiatura, un topoi - si me la sto tirando ma esiste google in caso vi fosse venuta voglia di sapere cosa significa - così male assortito in quanto a varietà che persino i tre gusti di M&M’s che si ostinano a commercializzare in Italia, a dispetto delle decine che circolano nel mondo, sembrano un assortimento degno del catalogo IKEA. In sintesi:
- Devo lavorare duro per mettere in difficoltà il mister
- Da ora in poi sono tutte finali
- Abbiamo creato tanto ma finalizzato poco
State certi che non sentirete mai niente di molto diverso da questo. Il calcio non arricchisce il vostro lessico, non arricchisce le vostre capacità riflessive, non vi mette nelle condizioni di elaborare alcunché eccetto il fuorigioco millimetrico con cui la vostra squadra del cuore ha perso la partita e grazie a cui passerete il resto della settimana a riversare bile ed odio sui social network verso qualunque sostenitore dei colori a voi avversi. Quest’ultimo aspetto è un’aggravante inaccettabile ed insopportabile. Il giuoco del calcio toglie energie impiegabili negli ambiti più disparati e le concentra su un unico singolo oggetto del contendere. Ciò genera alienazione, ossessione, livore. Qualcuno dirà: eh ma io parlo di calcio come quello che gioca sempre ai videogiochi o quello che legge sempre i fumetti. Eh no! Andate a controllare i forum ed i social dove esprimono la loro opinione videogiocatori ed otaku di vario genere e resterete stupefatti nel vedere:
- gente che sa scrivere correttamente in italiano a dispetto delle orde di analfabeti che brulicano in ogni angolo di calciolandia
- nessun insulto verso nessuno, niente razzismo, niente ostentazione di bandiere e bandieruole
- pacata voglia di sapere tutto del proprio hobby senza rompere l’apparato riproduttivo del prossimo
Il pallone purtroppo preclude ogni cenno di utilità per la materia grigia. Si limita ad una mera opera tassonomica fatta di formazioni, generalità dei calciatori, nome, cognome, altezza, numero di scarpe e gol fatti in carriera. Qual è l’utilità di tutto questo? (qual senza apostrofo, come al contrario trovi un post si e l’altro pure un po’ ovunque). Nessuna, come nullo è l’apporto alla crescita della società di tutto quel sottobosco di protoculture da stadio che si arrogano dignità di autodeterminazione. Parlo degli Ultras. Io sono una persona piuttosto, per non dire molto, tollerante eppure gli ULTRAS mobilitano ogni singola stilla di rabbia e sdegno che alberga nel mio organismo. Queste sottospecie di controfigure umane si appellano a nobili valori quali onore, fedeltà e abnegazione per mascherare la meschina attitudine alla violenza ed alla prevaricazione che contraddistingue il loro operato. Sono il degno specchio della società odierna ma vi uniscono un inspiegabile senso di impunità che apparentemente viene concesso loro senza motivo alcuno. Sono quanto di più basso è stato generato dopo il fascismo e perpetrano quell’insieme di valori che non vorrei mai che i miei figli sperimentassero anche solo occasionalmente. Dopo tutto cosa puoi aspettarti da protomorfi che anziché andare a lavorare vanno ad accogliere il nuovo acquisto di turno, che alla faccia loro guadagna milioni, in aeroporto magari il quindici di agosto? Si può essere così idioti e nullafacenti (e fessi) allo stesso tempo? Io penso di no eppure l’Ultras medio eccelle in queste pratiche alquanto distanti dalla medicina molecolare, dall’astrofisica, dall’ingegneria fotonica ma anche solo dal buon senso. Il calcio è una valvola di sfogo emotiva, che deve essere tutelata perché necessaria ma non è nulla altro. Non un gioco, non un passatempo, non uno spettacolo, o meglio si, è tutte queste cose ma non è motivo sufficiente; questo meraviglioso sport è un modo indispensabile per chi ne è appassionato di scaricare quintali e quintali di adrenalina e ricavarne piacere (in realtà esistono pratiche ben più appaganti da questo punto di vista, ma de gustibus…) ma non va oltre questa soglia di arcaica forma di diletto. Tentare di deificare il dio pallone è impresa di audace incoscienza, ed è da biasimare senza se e senza ma.
Ho finito vostro onore, per fortuna non siamo tutti ULTRAS.
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/09/10/domanda-eterna-cosa-significa-educare/
Una domanda eterna: che cosa significa educare?
da freepik
  di Pierpaolo Tarsi
Prima o poi un insegnante o un genitore devono tentare di darsi una risposta delle tante possibili a questa domanda eterna: che cosa significa educare? Prendo spunto per dipanare il discorso da una bellissima frase di don Giussani riportata sulla sua bacheca da uno stimato concittadino, il prof. Luigi Marcelli, uno dei pochi che osa ancora usare facebook per stimolare il pensiero e che ringrazio per avermi offerto lo spunto. “L’educazione è introduzione alla realtà” recita quella frase.
Assolutamente condivisibile, per me, però, prima che introduzione alla realtà, l’educazione è qualcosa di più comprensivo, è introduzione alla libertà.
E’ infatti l’idea complessa di libertà che sta a mio avviso a fondamento di tutto il discorso educativo e pedagogico, come sviluppato nella nostra tradizione filosofica: “libertà da, libertà di, libertà per”.
Educarsi (ex-dux-azione), da questo punto di vista, vuol dire proprio imparare a condursi autonomamente, divenire guida (dux) di se stessi per godere di una buona e virtuosa vita, appropriandosi della propria libertà in tre sensi almeno.
Il primo senso è quello negativo e per certi versi più immediato che possiamo immaginare come il rompere delle catene: qui essere liberi vuol dire non soccombere a vincoli e istinti come quelli che spingono alla violenza con l’altro, non lasciarsi imprigionare da catene come quelle delle dipendenze, ecc. Il secondo senso è quello positivo e ulteriore di “libertà di”, quello per cui non è si solo liberi per sottrazione da qualche limite ma si è liberi di procedere oltre e camminare senza quelle catene, liberi cioè di fare, agire, essere, determinarsi, esprimersi, in breve di attuare delle possibilità che il mondo, la realtà e la società dispiegano di fronte ad ogni persona che va formandosi e va progettando e proiettandosi in un proprio percorso di vita.
In questa seconda accezione positiva di libertà, in cui educazione può essere intesa come introduzione alla realtà (come dice Giussani) e alle possibilità che questa introduzione permette, anche l’idea del limite va ricompresa e riformulata in un altro senso: laddove prima il limite si manifestava nella sua accezione negativa delle catene da rompere, ora il limite è la condizione positiva e abilitante, il vincolo che apre la possibilità stessa, ciò che rende capaci di manifestarsi in qualche dimensione come esseri liberi.
I vincoli quindi sono qui qualcosa di imprescindibile e utile (quello che le pedagogie sessantottine non hanno mai compreso!), non prigioni ma opportunità da introiettare nel processo formativo e fare nostre per imparare ad agire virtuosamente e costruire nel mondo e con gli altri! Per riprendere ancora l’immagine delle catene, qui dovremmo dire che per camminare non ci basta rompere quei lacci ma ci occorre ora saper sfruttare i vincoli che ci pone la realtà, in metafora la gravità e l’anatomia umana per esempio, usando i vincoli delle forze fisiche entro cui siamo inviluppati per muoverci secondo volontà, liberamente!
Può valere qui quanto Kant, proprio per farci comprendere il valore abilitante del vincolo, scriveva in un celebre passo della Critica della Ragion Pura a proposito del volo di una colomba, un’immagine che possiamo far nostra per evidenziare il senso costruttivo e non più negativo del limite. Se una colomba vola non è solo perché non ha vincoli o catene che le impediscano di spiccare il volo ma è anche perché quella si sa servire di altri vincoli reali- la resistenza dell’aria – per innalzarsi in cielo! Privata di questo limite la colomba non solo non volerebbe meglio ma non potrebbe farlo affatto! Allo stesso modo, per esprimermi non ho solo bisogno che determinati vincoli non mi imprigionino – la censura per esempio – ma ho bisogno di altri vincoli che la realtà e la cultura mi offrono a supporto formandomi: le regole del linguaggio per parlare e manifestare le mie opinioni e i miei pensieri ad esempio, o le tecniche elaborate dalla tradizione artistica se voglio dipingere, le norme della società per relazionarmi in certi contesti agli altri ecc.
È in vista di questo seconda accezione di libertà che a scuola trasmettiamo saperi e cerchiamo di far sviluppare competenze, ossia forniamo alle nuove generazioni gli strumenti, le pratiche, le conoscenze affinché ognuno si formi, si dia cioè una propria forma delimitante unica e irripetibile, si abiliti (o si renda capace) in altri termini alla manifestazione della propria libertà in qualche ambito dell’esistenza in cui il soggetto in formazione sia divenuto autonomamente capace.
La terza accezione di libertà, “libertà per”, “per me”, “per te”, “per questo valore, fine, scopo”, può essere infine invocata per richiamare il contesto sociale in cui la libertà dell’uomo, essere relazionale per definizione, può unicamente manifestarsi. È solo stando in società, con gli altri, che posso aprirmi a me stesso e far mie le varie possibilità che offre una cultura: i suoi valori, le sue conoscenze, le sue tecniche e i suoi strumenti in senso lato. Queste strutture culturali che scopro unicamente con gli altri e attraverso gli altri mi permettono di definirmi e concepirmi nel processo riflessivo dell’autocoscienza come essere capace e libero in rapporto con delle alterità nelle quali riconosco altri esseri liberi, individui come me ma separati da me, il cui dominio di libertà non posso calpestare (un altro limite che la realtà, umana in questo caso, mi pone!) nella reciprocità della relazione intersoggettiva compiuta. Ancora una volta incontriamo qui il senso abilitante, costruttivo e non banalmente coercitivo o annichilente del limite, il quale si concretizza e si incarna in questo caso nel volto dell’altro! Questo punto è particolarmente importante.
Riflessivamente, attraverso la richiesta dell’altro di cui non mi è dato disporre in totale arbitrio, mi approprio gradualmente della possibilità di tornare a me stesso e vedermi o affermarmi a mia volta come essere libero, come soggetto cioè che può reclamare per se stesso il medesimo spazio di autodeterminazione e il medesimo rispetto che mi domanda l’altro. Nella relazione intersoggettiva e sociale comprendo inoltre che posso conservarmi in questo dominio personale di libertà solo in funzione e in relazione al rispetto che mi impone al contempo lo spazio di libertà altrui: comprendo cioè che la mia libertà sussiste solo nella misura in cui partecipo e non mi sottraggo a questa dinamica di reciproco riconoscimento di autodeterminazione e di reciproca inviolabilità, di reciproca donazione di libertà, accettando, restando e rinnovando continuamente questo movimento dialettico per cui la mia libertà dipende necessariamente da quella dell’alter. Qui incontriamo la regola aurea che attraversa non a caso tutte le culture, non solo quella cristiana nella formula del “non fare all’altro ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso”. L’incontro autentico con l’altro e il limite che il suo sguardo mi pone è allora il punto di snodo e passaggio dall’arbitrio cieco e inconsapevole della bestia all’autentica e autocosciente libertà umana, quel limite abilitante che mi apre e mi disvela tanto la possibilità quanto i confini reali e tangibili della mia stessa libertà. Confini questi che scopro non poter varcare – ad esempio negando o tentando di sopprimere la libertà dell’altro – senza interrompere così la dinamica del riconoscimento reciproco, mettendo di conseguenza a repentaglio la mia stessa libertà, ad esempio esponendola alla possibilità dell’annientamento da parte dell’alter cui potrei soggiacere.
La mia sfera individuale di libertà e la consapevolezza stessa della mia libertà non devono essere allora concepiti come tratti naturali di un essere isolato e dall’arbitrio illimitato ma come conquista relazionale, effetto e portato di una dinamica sociale perennemente vincolante e riattivata. Non come soggetto isolato e astratto ma solo come essere in società e condizionato dagli altri posso unicamente riconoscere e appropriarmi riflessivamente del mio dominio di libertà personale, posso allora pretenderlo, reclamarlo per me e infine tutelarlo ed estenderlo, a condizione che al contempo lo riconosca, lo tuteli e lo ampli per chi ho di fronte. Tutto ciò, in parte oscurandone il complesso movimento genealogico e intersoggettivo visto, è quanto in genere sintetizziamo dicendo che la libertà di ognuno termina (ossia incontra un felice, salvifico e costruttivo limite) esattamente dove inizia quella dell’altro.
Queste tre declinazioni del concetto di libertà (libertà da, libertà di, libertà per) esplicitano il senso complesso della libertà che i saperi filosofici e pedagogici mettono in evidenza e pongono al centro della formazione della persona intesa nella sua interezza e totalità, ossia tanto negli aspetti cognitivi quanto in quelli affettivo-emozionali, relazionali e volitivi.
Praticare (e non solo pensare) una buona vita non vuol dire altro che aprirsi individualmente, nella totalità emotiva, razionale e volitiva che ogni persona è, alla virtù, educarsi e impratichirsi alla libertà in tutte le accezioni o sensi declinati sopra, nel coinvolgimento pieno di tutte le dimensioni psicologiche ed esistenziali della soggettività immersa nella relazione sociale. Per queste ragioni proprio della libertà faccio il perno centrale dell’educazione, un perno che ricomprende l’idea di educazione come introduzione alla realtà, il punto che sussume tutti i percorsi e le esperienze attivate per educare i cittadini di domani ad una vita virtuosa.
Nell’Emilio, capolavoro della letteratura pedagogica di tutti i tempi, evocando peraltro la riflessione etica di altri giganti del pensiero come Aristotele, così scriveva Rousseau per esplicitare questo profondo nesso tra una vita virtuosa e la libertà: “Che cosa è dunque l’uomo virtuoso? È quello che sa vincere i vincoli dei propri affetti […] D’ora in poi sii libero sul serio; impara a diventare padrone di te stesso; comanda al tuo cuore, oh Emilio, e sarai virtuoso”
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