#teologia del popolo
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Gutiérrez e l’erronea teologia della liberazione
Il 22 ottobre scorso è morto il “padre” della teologia della liberazione. Il cordoglio per la sua morte non può far dimenticare tutti gli errori di questa corrente teologica dai tratti marxisti, causa di tanti danni spirituali in America Latina. Continue reading Gutiérrez e l’erronea teologia della liberazione
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Giovanni Paolo II ai giovani: "non tacete la verità"
Giovanni Paolo II si recò in Cile quando – all’interno della Chiesa – c’erano non pochi dissensi CONTRO LA CHIESA a causa dell’affermarsi della Teologia della Liberazione quanto poi in quella trasformatasi in Teologia del Popolo… Dissensi creati ad arte da molti e guidati anche da una fetta di GESUITI MODERNISTI che misero a dura prova la pazienza del Pontefice… In questo Discorso, il Papa, cerca…
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"Il potere logora chi non ce l'ha"
1. disse Andreotti riprendendo un aforisma di Charles Maurice de Tayllerand. Mentre, com'è noto, "Sovrano (cioè l'effettivo titolare del potere) è colui che decide sullo stato di eccezione, nel senso che decide che sussiste lo stato di eccezione e, secondariamente, che decide cosa si debba fare per superarlo" (Karl Schmitt, Teologia politica). 2. Sempre Schmitt (ibidem): "lo Stato (oggi, precisamente, l'entità, non statuale ma "sovranazionale", che decide sullo stato di eccezione e come superarlo) precede logicamente e cronologicamente l'ordinamento giuridico, e se il diritto ha bisogno dell'autorità per venire ad esistenza, perché è la decisione dell'autorità che crea il diritto, l'autorità non ha bisogno del diritto per venire ad esistenza, perché l'autorità fonda la propria esistenza in se stessa, nella potenza del potere politico". 2.1. In sostanza: "l'autorità dimostra di non aver bisogno di diritto per creare diritto", cioè il diritto che viene effettivamente applicato è quello del "più forte". 3. Ora cosa sono le regol€ di bilancio dell'eurozona se non uno stato di eccezione a tempo indefinito e "a risoluzione impossibile", poiché esse stesse precludono l'unica soluzione di una crescita adeguata? Cosa sono, tali regol€, se non una pura riaffermazione della propria più forte autorità, in special modo, da quando le si considera implicitamente prevalenti sui principi fondamentali della Costituzione, proprio allorché si nega una gerarchia tra i "valori" della Costituzione, con la giustificazione schmittiana (!) di volerne evitare la (misteriosa)"tirannia"? Cosa altro possono essere, se si dimentica, in ogni ragionamento giuridico, (ma pure economico) che dalla Costituzione soltanto deriva l'adesione e il mantenimento in effetto dei trattati UE? 4. Quale autorità può ormai vantare la Costituzione, se viene "riletta" come una fonte che, di fatto (cioè per pura logica di incontestabile "forza", al di fuori di ogni cosciente richiamo alla gerarchia delle fonti), è abrogabile/disapplicabile ad opera di qualsiasi livello e fonte di diritto UE, in particolare rifiutando di porsi un problema di comprensione sia del paradigma politico-economico ordo-liberale dei trattati, sia del modello socio-economico della Costituzione? 5. E dunque, quale potere, autolegittimantesi sull'autorità effettiva, rimane alle istituzioni nazionali, una volta private della "forza" pre-giuridica costituita dall'agire del Potere Costituente del 1948 (sostituito dall'adesione a dei trattati ratificati con mera legge ordinaria)? 6. Questa realtà sociologica, di puri rapporti di forza, spiega "andreottianamente" (ovvero, a la Tayllerand) il costante e prevedibile logorio cui sono soggette le autorità politiche nazionali. 7. Queste, una volta private del potere di decidere sullo stato di eccezione - ciò che in effetti presuppone l'autorità effettiva, che si manifesta, prima di tutto nel potere di emettere moneta, di decidere sul livello del bilancio statale, di decidere su fini fondamentali del popolo, fondati sull'autorità della Costituzione -, accettano e subiscono, costantemente, lo stato di eccezione dichiarato dalle regole UE (il quale, in pratica, vige dal 1991). 8. Tale stato di eccezione, essenzialmente, è una conseguenza del modo in cui viene considerato, d'autorità (vincolo esterno dei trattati), il debito pubblico nazionale. La sua considerazione secondo un indice numerico del tutto arbitrario, rapportato al PIL annuale, unito, in modo coessenziale, al divieto di garanzia da parte di una banca centrale nazionale, è il fulcro dell'autorità dei trattati. 9. Tale "considerazione" costituisce infatti, in un modo inizialmente e, tutt'ora per lo più, non avvertito dal popolo italiano, il presupposto per un perenne stato di eccezione. E quindi per la ri-dislocazione, al di fuori dalla Nazione e dalle sue istituzioni costituzionali, della titolarità dell'autorità e della sovranità effettive.
-LucianoBarraCaraccio
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scambiamoci un segno di pace
Sappiamo qualcosa su Carpocrate e i suoi seguaci grazie alle altre opere di Clemente e a quelle del suo contemporaneo più anziano Ireneo, vescovo di Lione, e al più tardo Ippolito di Roma. I carpocraziani erano attaccati con particolare violenza da questi autori proto-ortodossi perché si credeva che nell’ambito dei loro servizi liturgici di adorazione indulgessero in sfrenate attività licenziose, nientemeno che orge sessuali condotte sotto il vessillo della religione. In un passo Clemente indica che i carpocraziani avevano inventato una teologia per giustificare la loro sozza condotta, proclamando che poiché Dio aveva creato tutte le cose, esse andavano tenute in comune tra il suo popolo; perciò nessuno doveva possedere alcuna proprietà o tenere qualcosa per sé, incluso il coniuge. Per celebrare la sovranità di Dio sul tutto, perciò, i carpocraziani esortavano a una specie di scambio di coppie liturgico, in cui chiunque poteva fare sesso con il coniuge di un altro come parte del servizio liturgico (Stromateis 3.2).
I Cristianesimi perduti - Bart D. Ehrman
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“Bisogna cambiare tutto per non cambiare niente”: così scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo celebre romanzo Il Gattopardo. Secondo il vaticanista Andrea Gagliarducci, nei seguenti articoli che pubblichiamo con una nostra traduzione, papa Francesco fa esattamente il contrario: non cambia nulla (dottrinalmente) per cambiare tutto (pastoralmente). Inoltre, guardando i prossimi appuntamenti di Francesco, è evidente che le sue priorità sono squisitamente politiche, secondo quella “pastorale vissuta” della teologia del popolo, per rendere irreversibili le sue riforme.
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Santo Ambrogio Vescovo: prima parte
Prima parte
Questo Vescovo non è nato a Firenze come altri personaggi e ha fatto, per un breve periodo, parte della storia della nostra città. Nacque ad Augusta Treverorum (oggi Treviri) Gallia Belgica - regione Renania Palatinato Germania, fra il 335 - 340, il padre Prefetto del pretorio dell'impero romano gli diede il nome di Aurelio Ambrogio (in latino Aurelius Ambrosius). È conosciuto come Ambrogio di Treviri o Ambrogio di Milano. Di quella città è il Santo Patrono come San Carlo Borromeo e San Galdino. Rimase molto presto orfano de padre, nel 354 la madre con Ambrogio e i suoi fratelli Satiro e Marcellina si trasferì a Roma sotto la protezione di Sesto Petronio Probo Prefetto del pretorio d'Italia e iniziò a studiare e a percorrere il Cursus honorum delle Magstrature.
Fu avvocato nella città serba di Sirinio. Dopo avervi esercitato per cinque anni, nel 370 l'imperatore romano Valentiniano lo incaricò come governatore dell'Italia Annonaria per la provincia Aemilia e Liguria con sede a Milano città preferita dall'Imperatore. Con la sua abilità oratoria e pacificatore di appianare i contrasti fra gli ariani e i cattolici, fu molto apprezzato dalle parti in lotta. Alla morte del Vescovo ariano Aussenzio di Milano, le due fazioni incominciarono la lotta per la nomina del successore. Ambrogio con tutto il carisma posseduto anche in quella occasione si distinte come pacificatore. Gli ariani tentarono con la forza di impossessarsi delle chiese milanesi, Ambrogio incitò il popolo cattolico ad entrare nei sacri ambienti per evitare agli avversari di entrarvi con la forza. Mentre Ambrogio spingeva i cattolici a resistere, nella grande confusione si alzò la voce di un bambino: Ambrogio Vescovo! A questo grido si unirono i presenti. Il santo uomo non si sentiva pronto per questo incarico, inoltre non era stato battezzato e non era un prete. E respinse l'offerta, ma fu convinto ad accettare la nomina, dopo poco tempo venne battezzato e prese gli ordini. Iniziò a studiare la teologia e le leggi della chiesa.
Alberto Chiarugi Read the full article
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Mentre la sinistra italiana si avvia al degrado, qualcun altro suona la musica del nostro Paese di Paolo Ercolani Si potrebbero impiegare pagine su pagine per ricostruire la crisi irreversibile che ha investito la sinistra italiana (e non solo) a partire dal 1989. L’anno in cui il mondo festeggiò la caduta del muro di Berlino, ignaro del fatto che proprio lì aveva inizio il macello sociale oggi sotto gli occhi di tutti. Sì, perché al contrario di quello che vollero farci credere, nel 1989 non crollò il comunismo, in realtà già bollito e irrilevante da tempo. Bensì si sfaldò quella forma di governo misto, di “matrimonio di convenienza” fra il socialismo democratico e il capitalismo, come lo definì lo storico Eric Hobsbawm, matrimonio che aveva condotto le democrazie occidentali a forme di benessere e di uguaglianza sociale mai raggiunte nella Storia. La sinistra aveva dato il suo contributo a quello scenario fondato su welfare state e giustizia sociale diffusi, ma dopo il 1989, con il tracollo dello scenario stesso, si scoprì priva di idee, incapace di una lettura profonda della realtà economica e sociale, come anche di un progetto per affrontare il mondo “terribilmente mutato”, secondo una celebre espressione di Antonio Gramsci. L’unico sentimento che sembrava pervaderla, riguardava l’irresistibile e per certi versi nobile anelito ad essere finalmente accettata al governo del Paese. Dal Partito Comunista Italiano al Partito Democratico della Sinistra, dai Democratici di Sinistra al Partito Democratico, passando per scissioni e lacerazioni di ogni tipo, in fondo di questo si è trattato: una lunga, indecorosa, perfino impolitica rincorsa per accreditarsi presso i poteri che contano, nella fattispecie quella “finanza” che ormai stava diventando l’unico soggetto in grado di dettare l’agenda politica e valoriale a tutta la frammentata e inconcludente galassia di partiti e partitini. Fra i quali spiccavano quelli abbastanza patetici di una sedicente sinistra inconcludente, irrilevante, incapace di elaborare un controcanto (e una contropolitica) rispetto alla narrazione dominante della teologia finanziaria. Ma arriviamo all’oggi, anche perché nel mezzo c’è ben poco di significante. Oggi che il segretario del Pd Nicola Zingaretti si è dimesso con apparente sorpresa di tutti, ma soprattutto dichiarando di vergognarsi di un partito (il suo) in cui, nel bel mezzo di una pandemia che sta distruggendo la società, non si pensa ad altro che alle poltrone. L’ennesimo punto, non certo il più basso, della gloriosa Storia della sinistra italiana che declina in maniera indecorosa. Si potrebbero scrivere pagine su pagine, dicevo, ma non ce n’è bisogno. Basta un solo esempio per fotografare con cinica efficacia lo stato di degrado raggiunto da questa parte politica. Mentre le altissime intellettualità della sedicente “sinistra” si arrovellavano sulle desinenze maschili o femminili dei direttori d’orchestra, sull’altissimo valore simbolico e perfino culturale (sic) delle esibizioni gender-fluid messe in campo da un Festival di Sanremo che su questo tema “dirimente” ha puntato parecchio in generale, il “generale” Mario Draghi sceglieva con cura i propri colonnelli. Eh sì, mentre la società dello spettacolo distraeva le masse col solito giochino del panem et circenses (litigate pura sul nulla, che al tutto ci pensiamo noi, potremmo tradurre oggi questa espressione), i partiti della sedicente sinistra (non soltanto il Pd, sia chiaro), si trovavano (e si trovano) ad appoggiare un governo capitanato dal massimo esponente del liberismo italiano. Un signore che, dall’alto della sua indiscussa autorevolezza (altro problema della politica italiana, perlopiù e scientificamente ridotta a nani e ballerine), si circondava di collaboratori fedeli al fondamentalismo liberista (Francesco Giavazzi su tutti, ma anche Serena Sileoni, vicedirettrice del think tank ultraliberista “Bruno Leoni”), assegnava la gestione del Recovery Plan alla McKinsey (società di consulenza privata e non proprio rappresentante del capitalismo dal volto umano) e in generale programmava una politica di lacrime e sangue per il popolo di cui ci accorgeremo ben presto. Ecco, a fronte di tutto questo, adesso noi dovremmo credere che la sinistra italiana è in crisi perché non ha sciolto il dubbio amletico (“direttore” o “direttora” d’orchestra?) e perché i “cancri” renziani ancora debilitano un partito, per il resto con le idee chiare rispetto alla difesa dei diritti e della giustizia sociale. Volendo sintetizzare, a me pare che le cose stiano piuttosto così: mentre la sinistra si arrovella sul “direttore” o la “direttora” d’orchestra, qualcun altro meno sofisticato suona davvero la musica del nostro Paese. E sono note dolenti.
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Stato di eccezione e stato di emergenza
Un giurista di cui un tempo avevo qualche stima, in un articolo appena pubblicato su un giornale allineato, cerca di giustificare con argomenti che vorrebbero essere giuridici lo stato di eccezione per l’ennesima volta dichiarato dal governo. Riprendendo senza confessarlo la distinzione schmittiana fra dittatura commissaria, che ha lo scopo di conservare o restaurare la costituzione vigente, e dittatura sovrana che mira invece a istaurare un nuovo ordine, il giurista distingue fra emergenza e eccezione (o, come sarebbe più preciso, fra stato di emergenza e stato di eccezione). L’argomentazione in realtà non ha alcuna base nel diritto, dal momento che nessuna costituzione può prevedere il suo legittimo sovvertimento. Per questo a ragione nel suo scritto sulla Teologia politica, che contiene la famosa definizione del sovrano come colui «che decide sullo stato di eccezione», Schmitt parla semplicemente di Ausnahmezustand, «stato di eccezione», che nella dottrina tedesca e anche fuori di questa si è imposto come termine tecnico per definire questa terra di nessuno fra l’ordine giuridico e il fatto politico e fra la legge e la sua sospensione.
Ricalcando la prima distinzione schmittiana, il giurista afferma che l’emergenza è conservativa, mentre l’eccezione è innovativa. «All’emergenza si ricorre per rientrare quanto più presto è possibile nella normalità, all’eccezione si ricorre invece per infrangere la regola e imporre un nuovo ordine». Lo stato di emergenza «presuppone la stabilità di un sistema», «l’eccezione, al contrario, il suo disfacimento che apre la strada a un sistema diverso».
La distinzione è, secondo ogni evidenza, politica e sociologica e rimanda a un giudizio di valutazione personale sullo stato di fatto del sistema in questione, sulla sua stabilità o sul suo disfacimento e sulle intenzioni di coloro che hanno il potere di decretare una sospensione della legge che, dal punto di vista giuridico, è sostanzialmente identica, perché si risolve nei due casi nella pura e semplice sospensione delle garanzie costituzionali. Quali che siano i suoi scopi, che nessuno può pretendere di valutare con certezza, lo stato di eccezione è uno solo e, una volta dichiarato, non si prevede alcuna istanza che abbia il potere di verificare la realtà o la gravità delle condizioni che lo hanno determinato. Non è un caso che il giurista debba scrivere a un certo punto: «Che oggi si sia di fronte a un’emergenza sanitaria a me pare indubitabile». Un giudizio soggettivo, emanato curiosamente da qualcuno che non può rivendicare alcuna autorità medica, e al quale è possibile opporne altri certamente più autorevoli, tanto più che egli ammette che «dalla comunità scientifica provengono voci discordanti», e che quindi a deciderne è in ultima istanza chi ha il potere di decretare l’emergenza. Lo stato di emergenza, egli prosegue, a differenza da quello di eccezione, che comprende poteri indeterminati, «include soltanto i poteri finalizzati allo scopo predeterminato di rientrare nella normalità» e tuttavia, concede subito dopo, tali poteri «non possono essere specificati preventivamente». Non è necessaria una grande cultura giuridica per rendersi conto che, dal punto di vista della sospensione delle garanzie costituzionali, che dovrebbe essere l’unico rilevante, fra i due stati non vi è alcuna differenza.
L’argomentazione del giurista è doppiamente capziosa, perché non soltanto introduce come giuridica una distinzione che non è tale, ma, per giustificare a ogni costo lo stato di eccezione decretato dal governo, è costretto a ricorrere a argomentazioni fattuali e opinabili che esulano dalle sue competenze. E questo è tanto più sorprendente, dal momento che dovrebbe sapere che, in quello che è per lui soltanto uno stato di emergenza, sono stati sospesi e violati diritti e garanzie costituzionali che non erano mai stati messi in questione, neppure durante le due guerre mondiali e il fascismo; e che non si tratti di una situazione temporanea è affermato con forza dagli stessi governanti, che non si stancano di ripetere che il virus non solo non è scomparso, ma può riapparire a ogni momento.
È, forse, per un residuo di onestà intellettuale, che, alla fine dell’articolo, il giurista menziona l’opinione di chi «non senza buoni argomenti, sostiene che, a prescindere dal virus, il mondo intero vive comunque più o meno stabilmente in uno stato d’eccezione» e che «il sistema economico-sociale del capitalismo» non è in grado di affrontare le sue crisi con l’apparato dello stato di diritto. In questa prospettiva, egli concede che «l’infezione pandemica del virus che tiene in scacco società intere sia una coincidenza e un’opportunità imprevista, da cogliere per tenere sotto controllo il popolo dei sottomessi». Ci sia lecito invitarlo a riflettere con più attenzione allo stato della società in cui vive e a ricordarsi che i giuristi non sono soltanto, come sono purtroppo ormai da tempo, dei burocrati a cui incombe soltanto l’onere di giustificare il sistema in cui vivono.
30 luglio 2020
Giorgio Agamben
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“Anche se lo scrittore scrive la verità, la si considera una finzione. Questa circostanza renderà del tutto incredibili parecchie delle mie esperienze”. Friedrich Dürrenmatt in America
Certo, c’erano le opere a catalogo Adelphi, roba come La morte della Pizia, Il giudice e il suo boia e poi Giustizia, presa in traduzione di peso da Marcos y Marcos. Oltre a questi brividi da giallista arrivato dopo tutti i gialli, avevi le sue opere teatrali, monumentali & ingombranti, nascoste in un angolo della biblioteca di facoltà che andava bene per le cotte estive; finale comico e fatale, queste opere teatrali divennero un regalo di nozze. C’era, in definitiva, il mito di Friedrich Dürrenmatt, espresso da Sordi nel film ricavato da La panne. Se dopo tutto questo rimane spazio per lo stupore, tra le pagine scollate di un Garzanti anni Sessanta come Greco cerca Greca, vuol dire che Dürrenmatt ha ancora molto da dirci.
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All’inizio mi parve ostico: moda da giuristi, da lettori dell’ultimo Sciascia. Poi pian piano ci si adatta a quel modo cervellotico di scansare le ipocrisie, a quel giro di frasi irto di abbellimenti consequenziali, come un Tacito obeso e ubriaco che non risparmia nulla.
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In effetti, il dubbio viene leggendo i racconti di Dürrenmatt giovane, petardi di due pagine senza un fine, senza l’estro della parabola in dodicesimo. Guardate ad esempio l’attacco del racconto Notizie sullo stato dell’informazione nella civiltà della pietra: “Mi è ancora viva nella memoria quella buia notte di Capodanno dell’anno un milione avanti Cristo quando ebbe inizio il cenozoico. I miei presentimenti trovavano conferma. Vedevo già passare i primi mammut giganti, miserabili nani in confronto dei sauri, incapaci di mettere davvero a repentaglio l’umanità e di renderla in tal modo più forte. L’invenzione della posta non mi disorientò. L’invenzione dello scudo di pietra mi diede ragione, le speranze che avevamo riposto nella clava e nelle sassaiole si dissolsero, la guerra era ridiventata teoricamente possibile e ben presto fu rimessa in pratica. E la causa della guerra fu l’invenzione dello Stato, che avvenne nel medio terziario. La guerra non fu tuttavia la sola conseguenza di quella fatale e infelice invenzione, ad essa va ricondotta anche l’estinzione dei giornali. I quali giornali potevano vivere solo in quanto istituzioni internazionali al servizio di tutta l’umanità; lo Stato li degradò a fogli locali, per i cui minimi compiti risultarono troppo pesanti. Un giornale dopo l’altro cessò le pubblicazioni, e l’ultimo giornale dell’età della pietra, l’Organo per la creta e l’argilla, aveva già cessato d’esistere ai tempi del pliocene”. Kafka avrebbe gongolato davanti a questa roba giovanile di Dürrenmatt più che davanti al bordello milanese nominato Eden.
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Il nostro ha avuto il fegato di scrivere anche lui sul minotauro nel Novecento. Sarò banale: tiriamo Dürrenmatt fuori dal suo labirinto. Insomma, tocca andare agli inediti in italiano. Ecco alcune riflessioni dal suo Sentenze dall’America del 1970. (Andrea Bianchi)
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Friedrich Dürrenmatt, Sentenze dall’America
Dal mio punto di vista le Pantere Nere commettono un errore applicando la tattica della lotta di classe alla lotta tra razze. Certo un popolo può essere soggiogato costantemente dal terrore dell’incombente comunismo, ma nessun genere di terrore può trasformare un bianco in un nero: la radicalità delle Pantere Nere sta radicalizzando i bianchi. Si diffonde la sensazione che non vi sia soluzione possibile da entrambi i lati, ed entrambi i contendenti sono armati.
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Introversi e pazienti, i discendenti dei Maya sembrano in attesa di un nuovo significato. E l’archeologia rivela l’assurdità della storia. L’archeologia ricostruisce quel che la storia ha distrutto. Mentre in Yucatan le cattedrali coloniali spagnole si ergono come rovine distrutte per fantasmi, gli scienziati stanno scavando le antiche città maya tra le giungle dove si dà la caccia al giaguaro e alla pantera. Un’impresa colossale. Ma una volta che la si sia compiuta e che le città siano state portate alla luce, gli archeologi dovranno ripartire da capo ricostruendo le cattedrali spagnole.
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Assurdi i tentativi dei cattocomunisti sul genere del mio compatriota Konrad Farner in Teologia del comunismo. Con quella sua fede incrollabile nella grande speranza che l’uomo possa con lo sguardo interiore arrivare a diventare quel che deve essere. Il mio incorreggibile pessimismo mi dice che l’uomo, se non intende perire, solo per urgente necessità diventerà quel che dovrebbe essere.
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Di giorno mia moglie nuota in piscina e io scrivo sotto una palma alta quindici piedi. Le noci di cocco sopra di me arrivano a pesare cinque chili. La sera andiamo al bar. Presunti nativi dei Caraibi suonano presunta musica caraibica. Neri ben piazzati con orologi dorati si appoggiano al bancone del bar con finta casualità per ore, immobili, con la pazienza delle pecore, tenendo davanti una cocacola al whisky che non toccano mai in attesa di esser abbordati da anziane donne degli Stati Uniti. La maggior parte delle quali sono strafatte. Il tipetto incaricato di questi affari è un gentiluomo dignitoso, alto, slanciato, coi capelli bianchi, la faccia da profondo intellettuale: di giorno, quando lo si incontra in piscina, indossa un abito prémaman, lo stesso tipo indossato dalle donne in gravidanza. A quel punto io e mia moglie ci siamo sentiti toccati nel profondo della nostra curiosità criminologica e abbiamo cambiato nel corso del viaggio la prenotazione dell’hotel successivo, a San Juan in Portorico. Volevamo vedere se anche in quell’altro Sheraton c’era la stessa situazione di Kingston. E dire che quell’anziano ebreo a Merida ce li aveva sconsigliati…
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Dal momento che la professione di scrittore consiste nell’inventare storie, le celebri cinque difficoltà nello scrivere la verità di cui diceva Brecht sono sormontate dalla difficoltà di farsi credere dalla gente. Anche se lo scrittore scrive la verità, la si considera una finzione. Questa circostanza renderà del tutto incredibili parecchie delle mie esperienze americane.
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Stessa situazione all’hotel di san Juan. Stavo concludendo Il pensionato e mia moglie si accorge che le hanno rubato orologio, denaro e chiave della cassaforte. Io nella storia avevo appena fatto dire dal commissario al ladruncolo che una sola cosa contraddistingue il vero professionista dal dilettante – semplicità e rapidità di esecuzione. E come scrittore esperto nel genere criminale avevo capito la dinamica del furto in una ventina di minuti. Ma la cassaforte era stata ormai ripulita. Il manager dello Sheraton che parlava tedesco risolse la situazione con aplomb: la dichiarò impossibile.
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Quando dissi al manager che lui ci considerava al pari dei criminali e noi di conseguenza lo vedevamo come un truffatore, si mise a ridere. Arrivarono alla fine i poliziotti e risero anche loro.
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Pochi giorni dopo il manager dell’hotel si suicidò e in giro si diceva che non era riuscito a gestire le rivendicazioni sindacali per gli stipendi ai suoi dipendenti. Smisi di scrivere: non tanto per paura quanto per la tremenda sensazione che è veramente difficile non dire la verità.
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E giacché i soldi che ci furono rubati erano quelli della Temple University che dovevano bastare per il ritorno a Philadelphia, posso dire in buona coscienza che non solo mi sono guadagnato il dottorato honoris causa, ma che ho pagato per averlo.
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Gli Stati Uniti sono una formazione instabile. Non la si può paragonare alla piramide dei maya o dei sovietici. È come un paesaggio reso convulso da eruzioni e coperto da torrenti di lava. Vicino al cratere principale, esplodono coni vulcanici facendo aprire crateri secondari. Tutto scivola sopra tutto e dentro tutto.
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Negli Stati Uniti, lo stato ha attratto la società verso la guerra in Vietnam e la società ha attratto lo stato nel caos.
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Evidenza clinica per l’URSS: arteriosclerosi. Per gli USA: tumore.
* Certo è una prognosi all’umor nero. Comunque in entrambi gli imperi vi sono raggi di luce. In URSS la gente è stata istruita e magari un giorno spezzeranno le loro catene dogmatiche. La tendenza all’autocritica è netta anche negli USA: intellettuali in allarme, giovani che incominciano a usare la testa, omicidi politici che hanno scosso la nazione – tutto sfortunatamente così in superficie.
Friedrich Dürrenmatt
*traduzione di Andrea Bianchi
**In copertina: Friedrich Dürrenmatt in piscina, 1979
L'articolo “Anche se lo scrittore scrive la verità, la si considera una finzione. Questa circostanza renderà del tutto incredibili parecchie delle mie esperienze”. Friedrich Dürrenmatt in America proviene da Pangea.
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Sinodo: pubblicata la "Lettera al popolo di Dio"
Dal “grande silenzio” sinodale esce il messaggio-testimonianza dei partecipanti. Per sapere qualcosa in più sui temi dovremo attendere il documento di sintesi. Continue reading Untitled
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Raffaello Sanzio
Raffaello fu un pittore e architetto nato ad Urbino nel 1483. Probabile allievo del padre Giovanni Santi e in seguito del Perugino, si affermò ben presto come uno degli artisti più rinomati, nonostante la sua giovane età. In quel periodo ad Urbino c'era una vera e propria scuola pittorica che influenzò il pittore profondamente, tanto che si può dire porterà sempre con sè le tracce dell'atmosfera creatasi in quel luogo. Alla fine del 1504 Raffaello si reca a Firenze con l'intento dichiarato di studiare le opere di Leonardo Da Vinci, Michelangelo e fra Bartolomeo. L'ultimo dipinto eseguito a Firenze, la "Madonna del baldacchino", rimase incompiuto a causa della partenza dell'artista per Roma. Qui gli viene affidato l'incarico di affrescare alcune pareti della Stanza della Segnatura, sul soffitto dipinge in tondi ed in scomparti rettangolari alternati la Teologia, il Peccato originale, la Giustizia, Il giudizio di Salomone, la Filosofia, la Contemplazione dell'Universo, la Poesia, Apollo e Marsia. Nel 1514 dopo la morte del Bramante, che aveva già progettato San Pietro, il Papa lo nomina responsabile della cura dei lavori per la costruzione di San Pietro, lavorando inoltre alla realizzazione delle logge del palazzo Vaticano nel cortile di San Damasco. Non solo, infatti, ha realizzato la cappella Chigi in Santa Maria del Popolo ma ha anche studiato la facciata di San Lorenzo e del palazzo Pandolfini a Firenze. Muore a Roma il 6 Aprile 1520, a soli 36 anni, all'apice della gloria. Le sue spoglie furono sepolte al Pantheon monumento da lui profondamente amato.
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Dughin e Putin non possono certo usare Tolstoj.
Anche Tolstoj aveva una specie di culto e ammirazione per il “popolo russo”, di poveri, sapienti, umiliati, da liberare e affermare, a cui insegnava e da cui imparava. Basti la figura di Platòn Karataiev, in Guerra e Pace (1), un sapiente del popolo.
Ma altrettanto aborriva la potenza economica e militare e violenta dei nobili e dello zar, e la guerra imperiale. Ritrovò la fede praticando la religione del popolo, ma poi criticò il formalismo ecclesiastico (Risurrezione, Parte Prima, XL) e la teologia ufficiale, scegliendo una sua teologia aperta a tutto lo spirituale, e lottando contro la violenza del potere politico. Tutto il ricavato di Risurrezione lo destinò agli obiettori di coscienza.
E. Peyretti
del resto, cosa cacchio ne sa la gente.....;-)
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Libertatis conscientia: Il cristiano è chiamato ad agire secondo la verità
Libertatis conscientia: Il cristiano è chiamato ad agire secondo la verità
“Uno dei principali errori, che ha pesantemente gravato, fin dall’età dell’Illuminismo, sul processo di liberazione, dipende dalla convinzione, largamente condivisa, secondo cui i progressi realizzati nel campo delle scienze, della tecnica e dell’economia, dovrebbero servire da fondamento alla conquista della libertà. In tal modo si misconosceva la profonda dimensione di questa libertà e delle…
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#collettivismo#congregazione dottrina fede#conversione#Donum Vitae#dottrina sociale della chiesa#Giovanni Paolo II#ideologie#individualismo#Libertatis conscientia#Magnificat#politica#ratzinger#redenzione#schiavitù#teologia del popolo#Teologia della liberazione
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Martedì 19 marzo uscirà l’autobiografia di Papa Francesco, scritta col vaticanista Fabio Marchese Ragona. Dalle anticipazioni del CorSera e di Vatican News non trapela niente che già non sapessimo del primo papa gesuita della storia: abbiamo semai l’ennesima conferma della sua adesione mentale alla teologia del popolo marxisteggiante. Ciò che conta non è salvare le anime, ma liberare gli “oppressi” dall’esclusione: con l’Amoris laetitia ha liberato i divorziati-risposati, con la Fiducia Supplicans sta cercando di liberare gli omosessuali. Comunque sia, come ha notato il giornalista Nico Spuntoni in un articolo che pubblichiamo di seguito, dalle anticipazioni emerge che, per Francesco, la coabitazione in Vaticano col predecessore vivente, Benedetto XVI, non è stata sempre facile.
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Filippo Neri un fiorentino santo a Roma
Filippo Neri è il secondogenito di Francesco Neri e di Lucrezia da Mosciano, nato a Firenze il 21 luglio 1515 nel popolo di San Pier Gattolini. La famiglia Neri arriva a Firenze dalla valle sopra l'Arno nel sec. XV, più precisamente da Castelfranco Valdarno, e si affermarono come notai. Nel 1520 la madre morì ed il padre si sposò con Alessandra di Michele Lensi, una donna tenera e capace di amare i figli del della precedente moglie come fossero i suoi. In particolare rivolse un affetto speciale a Filippo. Questi aveva un carattere docile ed amabile, era pacifico e allegro, ma nascondeva una certa vanità che si esprimeva soprattutto nella ricercatezza nel vestire. Filippo frequentò le scuole pubbliche, ma in lui attecchì soprattutto una formazione spirituale che si sviluppò tra le stanze e i chiostri del convento domenicano di San Marco. Firenze gli rimase nel cuore e sovente affermava che tutto ciò che di buono era in lui l'aveva appreso dai Frati di San Marco.
All'età di 18 anni fu inviato dal padre presso suo fratello Bartolomeo Romolo Neri a Montecassino. Lo scopo era addestrare Filippo all'arte del commercio. Filippo era però restio a questa attività come anche a quella notarile del padre. Pur non coltivando una vera vocazione Filippo amava isolarsi e pregare e spesso lo faceva su un monte, a picco sul mare, chiamato “Montagna Spaccata”. Fu cosi che dopo 2 anni di vita presso lo zio decise di seguire Cristo. Lasciò quindi Montecassino e senza denaro si incamminò in direzione di Roma.
Giunto alla capitale fu un altro fiorentino a dargli alloggio e lavoro, tal Galeotto Caccia. L'incarico affidatogli era prendersi cura dei figli come precettore. Lo stipendio percepito nell'educare Michele e Ippolito consisteva in vitto alloggio ed sacco di grano. Nel tempo libero approfondiva gli studi di filosofia all'Università della Sapienza e di teologia al Sant’Agostino. Rimaneva comunque un solitario atto alla contemplazione era spesso fatta in chiese semivuote o presso i cunicoli di san Sebastiano.
Proprio all'interno di queste catacombe, nel 1544, durante la preghiera, successe che un globo di fuoco penetrò nel petto di Filippo. Fu un evento che cambiò la sua vita, anche in senso fisico dato che questo fenomeno determino una tale dilatazione del cuore da rompergli due coste, cosa di cui Filippo, in vita, mai si rese conto. Decise di lasciare la casa di Galeotto Caccia iniziando una vita da eremita, aggirandosi tra le strade di Roma dormendo sotto i ponti o i portici di una chiesa e cibandosi attraverso l'elemosina che riusciva ad ottenere. In lui il concetto di carità si affermava ogni giorno di più ed infatti si recava spesso a visitare i malati negli 'spedali, allo stesso tempo esercitava una costante e ripetuta visita di sette chiese: San Pietro, San Paolo fuori le Mura, San Sebastiano, San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme, San Lorenzo fuori le Mura ed in fine Santa Maria Maggiore.
Filippo Neri progressivamente cambiò il suo modo di vivere, da eremita distaccato cominciò a colloquiale con la gente, sempre con un sorriso disarmante ed anche con un vocabolario romanesco. Spesso deriso dai giovani di strada coglieva l'occasione, anche attraverso l'autoironia, per conquistare la simpatia proprio di quei giovani sbandati. Talvolta sembrava un predicatore sortendosene con frasi del tipo: "Fratelli, state allegri, ridete pure, scherzate finché volete, ma non fate peccato!". Il suo sorriso e la bonarietà con cui affrontava i giovani fece si che svariati di loro cominciarono a seguirlo. Si trattava di giovani sbandati che trovarono in Filippo una guida e quindi un rifugio. così nacque l'oratorio.
Fu nella Chiesa di San Girolamo il primo oratorio, anche grazie a due figure fondamentali nella vita di Francesco Neri; Persiano Rosa e Buonsignore Cacciaguerra. Soprattutto il primo, che possedeva le stesse idee caritatevoli di Filippo, indusse e determinò la decisione del Neri di ordinarsi presbitero il 23 maggio 1551. Parlare di Dio e radunare i ragazzi divenne una missione tanto che Filippo, dopo la lettura comune della parola di Dio, spesso raccoglieva molte ragazzi nella sua camera per continuare a parlare delle cose di Dio. I ragazzi che lo seguivano cominciarono a diventare troppi e fu necessario spostare queste "riunioni" nel granaio della Confraternita della Carità della chiesa di San Girolamo. Questa sua iniziativa fece s che la Confraternita accogliesse ogni sorta di pellegrino. Una moltitudine fu nell’anno del Giubileo del 1550,
Uno dei discepoli di Filippo, Cesare Baronio, abbracciò lo stesso cammino spirituale di Filippo e sotto la sua guida scrisse delle catechesi per raccontare, all'interno dell'oratorio, la storia della Chiesa. La raccolta di questi scritti determino la nascita dei famosi Annali, i primi libri della Storia della Chiesa. La parola di Filippo diventò molto richiesta e i cittadini e mercanti fiorentini abitanti a Roma chiedevano spesso Filippo come rettore della loro chiesa di san Giovanni in via Giulia. L'impegno divenne talmente pressante che a Filippo fu richiesto di spostare la vita presso San Giovanni, ma questi assolse il compito solo a condizione di rimanere a san Girolamo. La comunità crebbe cosi tanto che fu necessario scrivere alcune costituzioni per la vita in comune. In queste Filippo impose la sua praticità e spiritualità caritatevole. La formazione derivante era di preti per l'oratorio uniti da pochi vincoli e obblighi affermandosi in prevalenza una comunità familiare che viveva nella semplicità.
La comunità crebbe cosi tanto che il Papa Gregorio XIII decise di assegnarli in perpetuo la chiesa di Santa Maria in Vallicella definendo anche una nuova congregazione denominata "dell’Oratorio". Filippo fu uno degli ultimi a trasferirsi presso Santa Maria sia perchè non voleva essere considerato il fondatore della nuova comunità, sia perchè non voleva assumere incarichi superiori. Rimase a San Girolamo sino a che nel 1583, per ordine del Papa si trasferì. Nel tempo l'oratorio di Santa Maria in Vallicella fu famosa in tutta Roma e divenne punto di riferimento spirituale per tantissime persone. Il 25 maggio Filippo Neri confessò e celebrò l'Eucaristia poi spossato decise di sdraiarsi a letto e li disse: “bisogna finalmente morire”. All'alba del 26 maggio 1595 morì. La Vita e le opere di Filippo Neri hanno ispirato anche due opere cinematografiche, la prima è "State buoni se potete" un film italiano del 1983 diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli e Philippe Leroy, il secondo è "Preferisco il Paradiso" una miniserie televisiva italiana in due puntate andata in onda su Rai 1 il 20 e il 21 settembre 2010. La miniserie era diretta da Giacomo Campiotti e come interprete principale c'era Gigi Proietti nel ruolo di Filippo Neri. Cliccando i due link potete vedere il film e la serie TV.
Jacopo Cioni Read the full article
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Tanto per continuare il mio piccolo discorso interiore sul perché la destra non è di destra, consideriamo la radice di tutti i mali: la cultura occidentale è infestata fin dai tempi di Aristotele da un feticcio che si chiama natura. Solo al singolare, però: l’animismo rivolto alle singole manifestazioni del mondo naturale, divenute a tutti gli effetti persone, pone questioni del tutto differenti, e non pone nessuna questione un approccio descrittivo dei singoli fenomeni. Il problema sorge quando si pensa la natura come un ordine prescrittivo.
Vi siete mai chiesti perché la dottrina cattolica non ha senso? Ad esempio, perché fare figli è incoraggiato e al tempo stesso i preti non si possono sposare? Non ha senso perché c’è Aristotele di mezzo, filtrato attraverso la Scolastica. Le eresie di matrice gnostica e neoplatonica sono, in effetti, immuni da incoerenze del genere. Aristotele idolatra la natura: non si limita a registrarla, la interroga come l’unica fonte di verità. E, ovviamente, nel momento in cui si pone alla natura l’antichissima domanda come dobbiamo vivere, la risposta sarà inumana.
La chiesa cattolica è un esempio chiarissimo di istituzione spirituale (e quindi di destra) precipitata in questo materialismo etico. Leggendo teologia, dai Padri alle moderne encicliche, sorprende quante volte la natura, persino nel costrutto delirante della ragione naturale, sia citata come autorità. Lungi dall’essere una polverosa questione di storia della filosofia, le conseguenze di questo delirio sono state devastanti, e continuano ad esserlo, specie adesso che la destra-non-destra è in piena ascesa politica. In almeno quattro modi:
1) L’idea che la differenza genitale fra uomo e donna debba significare una differenza essenziale. Questa è la matrice di tutte le discriminazioni sessuali. Affrontato dal femminismo dell’uguaglianza, per quanto in maniera fondamentalmente difettosa, questo male intellettuale è tornato a emergere nel femminismo della differenza e si è ovviamente risolto, nonostante gli intenti meno difettosi, in utile idiozia al servizio del patriarcato, con cui condivide sul fondo l’immagine di una relazione fra i sessi stabilita attraverso il corpo, piuttosto che lontano dal corpo.
2) Il culto della maternità/paternità/famiglia e la conseguente condanna della sessualità non procreativa e omosessuale. Il cortocircuito qui è quasi comico: la procreazione è uno dei due cardini - l’altro è la morte - di una fisicità irredimibile, gravata dal dolore, dal limite e dal dolore del limite, della quale la sessualità è solo una delle molteplici, inessenziali manifestazioni. Non è pensabile un’etica antimaterialista senza una negazione radicale della procreazione. E un’etica antimaterialista è l’unica in cui la censura del corporeo nelle sue manifestazioni, fra le quali la sessualità, abbia senso. La generazione del corporeo è il ruolo naturale della madre: finché non liberiamo la donna dalla madre qualsiasi prescrizione sull’uso del corpo è futile esercizio legalistico.
3) Il biologismo e l’esaltazione della discendenza di sangue. L’idea si ritrova, chiarissima, in tutte le forme di razzismo biologico degli ultimi due secoli. Anche qui, l’errore sta nel considerare la dimensione genetica come essenziale all’umano. Del resto, credo che concetti come popolo e patria, mantenuti unicamente come archeologia culturale, siano debolissimi e possano essere tranquillamente abbandonati. Anche declinarli, come fa Evola, nelle forme del razzismo spirituale è inutilmente fumoso e incline a equivoci infiniti. Popolo, patria, razza, persino specie - categoria, quest’ultima, responsabile dell’orrore che infliggiamo da sempre agli animali - sono categorie materialiste che non hanno alcun posto nel pensiero di destra. Peccato che siano state, e continuino ad essere, spacciate come pensiero di destra.
4) L’idea che le differenze fra gli esseri umani siano determinanti nella costruzione del loro ruolo sociale. Le forme più odiose assunte da questo principio sono quelle del darwinismo sociale e dell’oggettivismo, ma si ritrova in praticamente tutte le difese del capitalismo e della tecnocrazia. Sul fondo, si tratta comunque di accettare l’esistenza di una gerarchia, che sia prescritta dalle differenze o emergente da quelle stesse differenze. Ma tutte le gerarchie si fondano sulla forza: fisica, intellettuale, sociale. La povertà e la ricchezza, l’autorità e l’obbedienza sono inevitabilmente generate dalla forza, e come tali espressioni della materia, che è il regno della forza. Di conseguenza, scegliere lo spirito significa rifiutare qualsiasi manifestazione esteriore delle differenze materiali. E anche tutti gli ambiti in cui possono manifestarsi: il mercato, la famiglia, lo stato. Rimane emblematica, qui, la figura di Cristo uomo dello spirito, che scaccia i mercanti dal tempio, pretende l’abbandono della famiglia e dei beni, svilisce il lavoro produttivo, svuota di significato le leggi - ancor più che violarle - in nome di una verità oltre la ragione giuridica.
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