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Famiglia Aldobrandini
Aldobrandini antica nobile famiglia fiorentina, trapiantata a Roma nel XVI secolo. In seguito, si chiamarono del Papa, quando Ippolito Aldobrandini da Fano, del ramo proveniente dalle Marche (dove suo padre Silvestro si trovava esiliato con sua moglie, per i suoi sentimenti antimedicei), venne eletto Pontefice nel 1592, con il nome di Clemente VIII. Nel medio Evo, questa famiglia si divise in tre rami: i Bellincioni furono molte volte eletti alle Magistrature della Repubblica Fiorentina. A Firenze ebbe notorietà con Aldobrandino (1388 - 1453, Magistrato dei Priori (1417), fu dei sedici Gonfalonieri di Compagnia dal 1422 al 1453 (Gonfaloniere di Compagnia porta bandiera della Milizia Urbana), dei Dodici Buonomini nel: 1429 – 1436 – 1436 – 1446, commissario a Montepulciano nel 1428, Gonfaloniere di Giustizia della Repubblica Fiorentina nel 1434. Ramo Aldobrandini di Lippo (forse derivati dai Bellincioni); gli Aldobrandini di Madonna dal quale discese Ippolito poi Papa Clemente VIII. La famiglia attiva in Firenze si arricchì con il commercio. Il mercante Benci Aldobrandini sposò Giovanna “Bugiazza” nata Altoviti, chiamata così per la sua bontà e la dedizione a fare carità (in queste opere pie si unì anche il marito), si guadagnò l’appellativo di “Madonna”. La coppia da sposati, visse nelle case della famiglia in campo Corbolini (l’attuale piazza Madonna degli Aldobrandini), chiamata familiarmente dai fiorentini “Piazza Madonna”. I due coniugi unirono le loro abitazioni e proprietà. Successivamente ampliate dai loro discendenti fino ad erigere nel XVIII secolo il Palazzo Aldobradini del Papa, ancora oggi esistente. Partigiano dei Medici, fu fra coloro che richiamarono dall’esilio Cosimo, mandatovi da Rinaldo degli Albizzi. Giovanni figlio di Aldobrandino (1422- 1481) tenne la carica di Gonfaloniere della Repubblica nel 1476, distaccatosi dall’appoggiare i Medici, fu costretto a ritirarsi dalla vita politica cittadina. Nel 1480 venne inviato come capitano alla città di Sarzana dove vi trovò la morte. Salvestro (1499 – 1558), studiò legge a Pisa, avversario dei Medici, fu fra coloro che cacciarono Ippolito e Alessandro nel 1527, dando vita all’ultima Repubblica. In quel periodo ricopri la carica di primo Cancelliere alle Riformagioni. Con la caduta della Repubblica e il ritorno dei Medici, nella persona di Alessandro primo Duca, venne arrestato e esiliato a Faenza, da lì nel 1533 venne trasferito a Bibbona, da dove riuscì a fuggire trasferendosi in un primo tempo a Rome in seguito a Napoli.
Papa Clemente VIII Ippolito Aldobrandini A Napoli nel 1536, si trovava Carlo V, ospite del Viceré Don Pedro di Toledo. Si unì ad altri fuorusciti fiorentini nell’ambasceria presso l’Imperatore, per perorare le sorti della loro patria. Ma l’intento dei fiorentini non ottenne il risultato sperato, e furono costretti ancora all’esilio. Salvestro passò a Fano, Bologna, e Ferrara. In seguito, Alessandro Farnese Paolo III lo chiamò a Roma, dove in seguito fu nominato avvocato concistoriale. Ippolito suo figlio venne creato cardinale. Con l’aiuto del Farnese poté dedicarsi agli studi universitari presso le città di Padova, Perugia e Bologna. Pio V dimostrò benevolenza verso la famiglia Aldobrandini, li prese sotto la sua ala protettrice. Ippolito ebbe i titoli di: Prefetto di Castel S. Angelo, avvocato concistoriale, uditore del Camerlengo, nel 1569 uditore di Rota al posto del fratello Giovanni nominato vescovo di Imola e poi Cardinale. La nipote del cardinale Ippolito, Olimpia nata a Roma nel 1567 unica erede dei beni dei genitori Pietro Aldobrandini e Flaminia Ferracci, inquanto suo fratello Pietro venne creato cardinale dallo zio Papa Clemente VIII. Nel 1587 sposò Giovanni Francesco Aldobrandini principe di Meldola e Sarsina. Da questo matrimonio nacquero otto figli: Silvestro diventato cardinale, Margherita sposò Ranuccio Farnese IV duca di Parma e Piacenza, Elena sposò Antonio Carafa della Stadera, Giorgio principe di Meldola e Sarsina (titoli ereditati dal padre), Caterina Lesa sposò Marino Caracciolo, Ippolito cardinale, Pietro duca di Carpineto, Maria sposò Giovanni Paolo Sforza. Poi nel 1467 Olimpia sposò Camillo Pamphili. Con l’estinzione dei Pamphili beni di Margherita, passarono definitivamente ai Borghese. Con l’elezione di Ippolito a Papa, gli Aldobrandini si trasferirono definitivamente a Roma, con il dichiarato nepotismo del Pontefice, ne beneficiarono con vari titoli ecclesiastici. Per riconoscenza aggiunsero al cognome l’appellativo del Papa.
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Carriera di Galileo Galilei 2° parte
1° parte 2° parte Mentre insegnava all'università di Pisa morì nel 1591 il padre Vincenzo, lasciando a lui l'onere di provvedere al mantenimento della famiglia. Per la dote dovuta per i matrimoni delle sorelle Virginia e Livia, contrasse debiti e altri ne farà in seguito per aiutare la famiglia del fratello Michelangelo liutaio, morto alla corte di Monaco di Baviera nel gennaio 1631 avanti alle feste dell'Epifania.
Scaduto il contratto con l'ateneo pisano Galileo, si rivolse nuovamente al matematico e filosofo Guidobaldo del Monte, per farsi raccomandare al prestigioso studio di Padova. La raccomandazione del conoscente andò a buon fine, il 16 settembre 1592 venne emanato il tanto bramato decreto per svolgere l'insegnamento. Il contratto doveva avere la durata di quattro anni rinnovabili. Rimase in quello Studio per diciotto anni, periodo da lui definito "il migliore della vita mia". Durante la sua permanenza a Padova ebbe l'occasione di avvicinarsi a personalità di orientamento filosofico e scientifico molto lontano dal suo. Questo confronto era relativo alla tolleranza religiosa che si respirava nella Repubblica di Venezia. Riuscì ad accedere a circoli colti e raffinati e ambienti dove si trovavano Senatori veneziani. divenne amico del nobile Giovanni Francesco Sagredo sperimentatore interessato alla fisica, incontrato al circolo intellettuale il "ridotto Morosini", diventato protagonista nel "dialogo sopra i massimi sistemi". Conobbe il frate servita Paolo Sarpi teologo, esperto in matematica e astronomo. Di questa conoscenza si trova notizia nella lettera al frate sulla formulazione della "caduta dei gravi". Oltre ad insegnare all'ateneo padovano, tenne lezioni di matematica tenendo conto delle "Questioni meccaniche" di Aristotele. Da queste lezioni trasse un libro pubblicato a Parigi "Trattato di meccaniche". Nell'abitazione padovana aveva un laboratorio, dove con l'aiuto di un conoscente un artigiano un certo Marcantonio Mazzoleni, teneva lezioni, compiva esperimenti e costruiva i nuovi strumenti, venduti per incrementare le entrate. Fabbricò una macchina per portare l'acqua ai piani alti delle case. Il senato della Serenissima gli assegnò un brevetto ventennale per l'utilità dell'invenzione. In oltre dava lezioni private ad allievi provenienti dalla nobiltà: Vincenzo Gonzaga, il principe d'Alsazia Giovanni Federico e i futuri Cardinali Guido Bentivoglio e Federico Cornaro.
Avvenne nel 1604 il passaggio di una nuova stella osservata dal religioso frate minore Ilario Altobelli, dopo averla studiata, ne parlò con Galileo. Nello stesso anno venne vista da Giovanni Keplero (Johannes Kepler) astronomo e astrologo tedesco, il quale dopo due anni pubblicò un libro con il risultato “De stella nuova in piede Serpentari” con i suoi studi sulla “Supernova” oggi chiamata “Supernova Keplero” Galileo, tenne tre lezioni sull’argomento nelle quali sosteneva che la stella dovesse essere inserita fra quelle fisse, andando contro il dogma della chiesa: nel cielo, il numero delle stelle era immutabile. Mentre la scoperta della stella rappresentava la mutabilità del cielo. Dopo aver scritto due trattati sulle opere di fortificazione: la breve introduzione alla Architettura militare e il Trattato di fortificazione sullo stesso argomento. Costruì un compasso spiegandone il funzionamento nel libretto: Le operazioni del compasso geometrico militare, pubblicato in Padova e dedicato a Cosimo de’ Medici. Per realizzazione di questo strumento , fu accusato di plagio da Baldassarre Capra, allievo dell’astronomo tedesco Simon Marius, il quale dichiarava di essere l’autore della invenzione da lui fatta tempo prima. Lo scienziato pisano controbatté alle accuse con una: Difesa contro le calunnie e le imposture di Baldassarren Capra milanese. Per la sua difesa ottenne dai riformatori dello Stato padovano che l’accusatore subisse una condanna per calunnia.
Con l’apparizione della Supernova era aumentata la superstizione. Galileo approfittò di quella occasione facendo oroscopi personali al prezzo di 60 veneziane. Nell’anno 1604, un suo collaboratore lo denunciò all’inquisizione padovana, per aver compilato oroscopi e avere affermato che gli astri influivano le scelte dell’uomo. Ma il Senato veneziano ritenne di insabbiare la denuncia non facendola arrivare a Roma al Sant'Uffizio, anche perché lo scienziato, aveva fatto oroscopi natali e non personali, come sosteneva il denunciante. Nella polemica sul copernicanesimo, aveva espresso in privato allo scienziato tedesco il suo appoggio sull’Eliocentrismo. Keplero, aveva dato alle stampe lo scritto “Prodromus dissertationum cosmograficum, sul quale aveva scritto argomentazioni, e controbattuto a tesi avverse, affermando di temere di essere denunciato all’inquisizione. Pertanto ad esempio di quello che aveva fatto Copernico, il quale per non rispondere alle accuse dell’astronomo alchimista Ticho Brahe assertore del sistema Geocentrico, perplesso su tali affermazioni copernicane mancando una spiegzione fisica. Galileo non assumeva atteggiamenti rivoluzionari, né con la condotta della sua vita privata né con le sue opere, sempre sotto l’occhiuta attenzione dell’inquisizione. Diede alle stampe un com pendio con sette assunti il “De revoluzionibus, nel Nicolai Copernici de hippothesibus motum coelestum a se constitutitùs commentariolus”. Un libretto satirico anonimo in dialetto “pavan” (antico dialetto parlato nella provincia veneta) venne pibblicato a difesa della teoria dello scienziato dal titolo “Dialogo de Cecco di Ronchitti da Brusone, a proposito de la Stella Nuova” a difesa del metodo usato per scoprirla, Lo scritto non è stato attribuito a nessuno, qualcumo vi ha riconosciuto lo stile del Galilei, altri hanno individuato l’autore nell’allievo Girolamo Spinelli benedettino, ma non ci sono prove certe. Fine 2° parte
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Carriera di Galileo Galilei 1° parte
Questo scienziato anche se non fiorentino, con i suoi studi e le sue scoperte ha dato fama alla nostra città. Galileo, venne alla luce a Pisa nel 1564, era figlio di Vincenzo Galilei e di Giulia Ammannati. Suo padre Vincenzo era musicista e teorico della musica, commerciante per arricchire le entrate familiari. Giunto Galileo all'età scolare, il padre cercò di inserirlo nella lista dei giovani toscani accolti gratuitamente in un convitto pisano. Ma il tentativo non andò a buon fine. Venne ospitato senza spesa da un amico del padre tale Muzio Tebaldi doganiere in Pisa. Era tanto introdotto nella famiglia da farsene carico quando Vincenzo era via per lavoro. In casa Tebaldi il giovane Galileo conobbe una sua cugina Bartolomea Ammannati la quale si occupava della casa essendo Muzio rimasto vedovo. Malgrado la differenza di età nel 1578 Muzio e Bartolomea si sposarono per mettere fine alle dicerie che giravano sulla giovane cugina che creavano imbarazzo alla famiglia Galilei.
Il giovane iniziò i suoi studi a Firenze sotto la guida del padre, in seguito venne istruito da un maestro di didattica (metodo argomentativo della filosofia). Entrò nel convento di Santa Maria di Vallombrosana (abbazia Vallombrosana) vestendo fino a 14 anni l'abito di novizio.
Nel 1580 suo padre lo iscrisse all'università di Pisa alla facoltà di Medicina per prendere la laurea e diventare famoso come il suo antenato Galileo Bonaiuti, anche per guadagnare molti soldi e rimpinguare la cassa familiare. Ma il figlio ben presto fu attratto dalla matematica, sotto la giuda di Ostilio Ricci da Fermo conosciuto durante la permanenza a Firenze. Costui era un seguace della scuola di matematica di Niccolò Tartaglia, metodo usato per l'insegnamento della matematica presentandola come una scienza astratta ma un sistema per risolvere i problemi della meccanica e le tecniche ingegneristiche. Gli studi del duo Ricci - Tartaglia seguivano la tradizione degli studi del matematico siceliota Archimede. Il maestro insegnò a Galileo l'importanza dell'osservazione dei dati e la pragmaticità della ricerca scientifica. Sembra ma non ci sono prove che, durante gli studi pisani, abbia seguito le lezioni di fisica dell'aristotelico Francesco Buonamici. Dopo pochi anni il giovane cessò gli studi di medicina, si trasferì a Firenze, approfondendo gli studi di meccanica e idraulica. Nel 1586 risolse il problema della Corona di Gerione inventando uno strumento per la determinazione idrostatica del peso specifico dei corpi, scoprendo che la corona era un falso.
Gli insegnamenti del Ricci e gli studi di Archimede, gli servirono negli studi sul centro di gravità dei solidi. Durante l'insegnamento a Pisa fece una importante scoperta relativa all'oscillazione del pendolo.: l' "isocronismo" (dal greco isos - uguale + chronos = Tempo). La tradizione vuole che Galileo, mentre si trovava nel Duomo di Pisa ad assistere ad una messa, si mettesse ad osservare un lampadario oscillante. Con un metodo empireo, mise a confronto i battiti del cuore con le oscillazioni del lampadario, appurando che le oscillazioni avevano la stessa durata, anche quando diminuivano di ampiezza. Per avere regolari entrate economiche, cominciò a dare ripetizioni di matematica durante la sua permanenza a Firenze e a Siena. Si recò a Roma per farsi raccomandare per poter accedere allo Studio di Bologna dal famoso matematico del suo tempo Cristoph Clavius, ma malgrado questo appoggio, non venne scelto. La cattedra di matematica fu assegnata al padovano Giovanni Antonio Magini. Approfittando della conoscenza con l'influente matematico Guidobaldo del Monte e del fratello Cardinale Francesco Maria del Monte, venne presentato al Granduca Ferdinando 1° de Medici, il quale lo prese sotto la sua protezione. Grazie a lui ebbe un contratto triennale all'Università pisana, per la cattedra di matematica. Fine 1° parte
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: quarta parte
Prima parte Seconda parte Terza parte DA UN SUCCESSO ALL'ALTRO ANCHE SE OSTEGGIATO DAL GOVERNO ITALIANO QUARTA PARTE
Il Capitano dei Monument men Keller, ricevuta la confidenza del Generale Karl Wolf, avvisò il mio ufficio e ci mettemmo alla ricerca. Quando vedemmo tutti quei capolavori il capitano si commosse fino alle lacrime, davanti a noi avevamo i dipinti dei più grandi artisti del Rinascimento: Michelangelo, Tiziano, Botticelli, Caravaggio, Lorenzo Lotto, Cranach, Rembrandth e Tintoretto. Il maltolto fu riportato a Firenze alla Galleria degli Uffizi. Quando arrivai in Piazza della Signoria fui ricevuto dalle autorità e dal Sindaco Mario Fabiani sull'arengario di Palazzo Vecchio fra gli squilli delle chiarine della Famiglia di Palazzo. Questo grande ritrovamento fu un successo enorme, ebbe ripercussioni sulla sua carriera? Avevo tutti i requisiti per essere promosso Direttore di quarto grado , ma per la mia adesione al passato regime, tutto si bloccava. Il mio ufficio romano si trovava in via degli Astalli numero 3 in palazzo Venezia. Vi affluiva tutto quello che veniva recuperato, prima di essere riportate ai musei dove erano state sottratte. Confesso una mia vanità. Mi facevo fotografare davanti alle opere. la mia squadra era formata da poche persone fidate, fra le quali emergeva per le sue innate capacità il mio più fidato collaboratore Vincenzo Colella. Nel 1949 riuscii a recuperare trentanove capolavori ceduti ai tedeschi durante il regime. Tra loro si trovava il già citato discobolo Lancelotti e altre opere di inestimabile valore. Tutto questo accrebbe la mia popolarità malgrado l'ostracismo della politica. negli anni seguenti in Palazzo Venezia, allestii una mostra dei capolavori rientrati in Italia. In seguito venne replicata a Firenze in Palazzo Vecchio. Riuscì in seguito a far riconoscere il suo lavoro dal governo italiano?
Rodolfo Siviero Con la mia abilità diplomatica, feci raggiungere un accordo fra l'Italia e la Germania per la restituzione dei capolavori asportati e ancora nelle loro mani. L'accordao fu firmato dal Canceliere Konrad Adenauer e il Presidente del Consiglio del governo italiano Alcide de Gasperi a Palazzo Chigi. Finalmente venne riconosciuto tutto quello che avervo fatto per l'arte italiana. Ebbi la nomina a Ministro Plenipotenziario e il mio ufficio passò dal Ministero dell'Istruzione a quello degli Affari Esteri. Purtroppo il Senato che doveva emanare il decreto per il finanziamento delle mie imprese bloccò tutto rinviando tutto per due anni, fermando di fatto l'attività del mio ufficio. Intanto le trattativie per la restituzione andarono avanti per sette anni. Purtroppo questa operazione rischiò di saltare per i miei atteggiamenti verso i tedeschi. Scientemente evitai di invitarli ad una mostra di capolavori recuperati ed esposti a Palazzo Borghese. Con questo ostracismo verso i tedeschi rischiai di far saltare l'accordo raggiunto anni prima. Cosa fece continuare con la loro collaborazione? Mi diedi una calmata e con l'accordo stipulato nel 1953, riuscii a riportare in Italia 40 opere. Ne mancavano ancora alcune centinaia fra le quali spiccavano autori come: Michelangelo, Mario Ricci, Tiziano, Raffaello e Canaletto, varie sculture greche romane, violini di Stradivari, mobili e manoscritti. Pertanto continuai le mie spedizioni nella Germania Democratica e in Russia. Ma riuscii a rintracciare solo alcune opere, così decisi di tornare nella Germania comunista. Andare nella Repubblica Democratica Tedesca era diventato complicato. era stato costruito un muro di confine, per reiterate fughe dei berlinesi all'ovest. Il muro sarebbe rimasto in piedi fino al 1989, quando fu distrutto da una folla festante. Oltre tutto venivo sorvegliato per tutto il mio soggiorno dalla polizia Stasi.
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: terza parte
Prima parte Seconda parte
Rodolfo Siviero TRAFUGAMENTO DA PARTE DEI NAZISTI DEI NOSTRI TESORI MUSEALI. Come si organizzò per recuperare le opere d'arte? Ero riuscito a formare un gruppo di partigiani addestrandoli a seguire le tracce delle sparizioni dai musei e collezioni private insegnando loro la Storia dell'Arte italiana in modo che potessero riconoscerli a prima vista. Travestiti da Ufficiali Repubblichini, riuscirono ad evitare che gli invasori si impossessassero dei quadri del pittore Giorgio De Chirico. In accordo con la Soprintendenza riuscirono a salvare l'Annunciazione del Beato Angelico dal Monastero di San Giovanni Val d'Arno, sulla quale aveva posto gli occhi niente meno che Herman Goering, voleva portarla in Germania per salvarla, quando si sapeva che sarebbe finita nella sua collezione privata. Tutto quello da portare via veniva deciso dalla Wermacht, con la scusa di salvare le nostre opere dai bombardamenti degli alleati, invece quello che veniva razziato veniva trasportato in Germania o in altri luoghi segreti. Mi dica come faceva ad organizzarsi per giungere prima dei nazisti e portare in salvo quello che volevano portare via. Oltre ai partigiani da me addestrati partecipavo di persona specialmente nelle missioni più difficili. Nella mia abitazione raccoglievo tutte le informazioni utili provenienti da ogni parte, specialmente quando e dove si tenevano le aste pubbliche e private. Tutte queste notizie sono state da me archiviate e si trovano in questa casa. Nel mentre i nazisti svuotavano i magazzini dei musei dove venivano conservati dipinti, statue e altre opere. Intanto l'intelligence americana stava all'erta per sapere, e vi riuscivano, il trafugato, il tutto veniva girato a me. Quando lei venne liberato dalle grinfie della Banda Carità, riuscì a raggiungere gli americani?
Dopo varie vicissitudini, giunsi sul Monte Amiata, fui aiutato dai partigiani a raggiungere gli alleati a Roma ed entrare in contatto con i Monument Men. Rientrai a Firenze nell'agosto del 1944, con la città liberata dai nazifascisti, tornai in questa abitazione a riprendere la mia attività clandestina. Mi racconti dei trafugamenti più consistenti, e il loro recupero. La Divisione Herman Goering nell'ottobre del 1938, venne a conoscenza del trasporto dei capolavori dei musei napoletani all'Abbazia di Monte Cassino, per portarli in seguito nei Musei Vaticani dove sarebbero stati al sicuro. Riuscirono ad infiltrassi e ad organizzarne il trasporto. All'arrivo dei camion caricati a Napoli, ne mancavano due, gli alleati scoprono tramite i loro informatori che erano stati inviati in Germania. Io stesso partecipai al recupero del mal tolto. Venne mai osteggiato nella sua attività di recupero?
Ero riuscito a collaborare con il servizio d'informazione degli alleati presenti in Firenze, ricevendo da loro una tessera di riconoscimento, ma per essere stato in gioventù fascista ero visto con sospetto. Gli americani fecero su di me una investigazione segreta, per sapere se ancora condividevo le idee del fascismo. Come era visto dagli antifascisti italiani? Anche loro mi guardavano con sospetto. Per via del mio carattere scontroso ero inviso a molti. Il più accanito era Carlo Ludovico Ragghianti, mio avversario durante la lotta partigiana. Con insistenza andava chiedendo la chiusura dell'Ufficio Reuiperi aperto il primo di aprile 1946, di cui ero il Capo Ufficio. Mi parli dei suoi recuperi più clamorosi. Venni a conoscenza dei nascondigli in Alto Adige, luogo ritenuto ospitale e sicuro anche per la vicinanza alla Svizzera, dove i tedeschi avevano ammassato i tesori ai Musei degli Uffizi. Erano nascosti a Bolzano precisamente a San Leonardo e Campo Tures, nell'ex palazzo di giustizia del castello. La soffiata era stata fatta nientemeno da Karl Wolf Generale delle SS e proconsole in Italia del dittatore tedesco, con questa confessione trattava con gli americani per salvarsi. Queste opere erano state portate via da Firenze con la scusa di salvarle dai bombardamenti, erano li in attesa di essere trasportate in Germania, per finire nelle collezioni private di Hadolf Hitler e Herman Goering.
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: seconda parte
Da spione a spiato - Inizio collaborazione con antifascisti Come mai era diventato un sovversivo da tenere sotto controllo, spiato e pedinato dal regime? La colpa maggiore per il partito fascista, era la mia amicizia con il collezionista e critico dell'arte di origine ebrea Giorgio Castelfranco, questo non era visto di buon occhio. Oltretutto durante le mie frequentazioni alla sua abitazione ebbi la fortuna di incontrare Giorgio de' Chirico e Pietro Annigoni anche loro considerati vicino agli anti fascisti.. Queste amicizie fecero nascere in me la voglia di collezionare opere d'arte. Intanto in Germania era iniziata la soluzione finale, ovvero lo stermino degli ebrei e la confisca dei loro averi. Il genocidio di questo popolo conobbe il suo culmine nel 1942 alla famigerata conferenza di Wannsee e in Italia? Dopo l'alleanza con i tedeschi Mussolini, per entrare nelle grazie di Adolf Hitler, emanò le famigerate Leggi Raziali, firmate dal re Vittorio Emanuele II. La politica antiebraica del dittatore nazista del 1938, inizio ad espandersi in Italia con la conseguenze note. Il Castelfranco venne costretto a lasciare il lavoro e in seguito nel 1942 ad espatriare. in quel triste frangente mi vendette questa abitazione, ne feci la centrale del mio nucleo operativo Come iniziò la sua carriera di recupero dell'arte trafugata? L'armistizio firmato con gli alleati Anglo Americani a Cassibile in Sicilia, colse tutti di sorpresa con le conseguenze che sappiamo. Fu allora che decisi apertamente di schierarmi con gli antifascisti. Iniziai a monitorare l'attività del corpo militare tedesco con il nome di copertura Kunstchutz, nato per salvaguardare la nostra arte, in realtà con il permesso dei funzionari del Ministero, depauperavano apertamente il nostro patrimonio culturale portavano i nostri capolavori in Germania, per musei e collezioni private.
In quel frangente la mia attività di recupero ebbe un grave colpo. Nella primavera del 1944 fui arrestato dai componenti della famigerata banda di torturatori fascisti guidata dal temutissimo Mario Carità. Per mia fortuna la voce della mia cattura arrivo agli orecchi di alcuni alti ufficiali della Repubblica di Salò, anche loro in contatto con gli alleati, riuscirono a togliermi dalle mani di quegli assassini. Una bella fortuna l'amicizia con quegli alti ufficiali che si era fatto in precedenza e dalle quali non era stato abbandonato. La prego continui, la sua avventurosa vita mi affascina! Con la liberazione del Sud Italia dagli alleati, ci fu il ritorno a Roma del re, fuggito a Bari, i Ministeri ripresero il loro lavoro, anche per il il ritorno di molti funzionari espatriati o imprigionati essendo anti fascisti. Anche lo storico dell'arte Giorgio Castefranco poté rientrare alla sovraintendenza medioevale e moderna della Toscana nel 1946. Sotto la mia direzione collaborò alla Missione Italiana con l'aiuto dei Mount Men americani al recupero delle nostre opere d'arte vendute e regalate in Germania, Come detto in precedenza con il tacito assenso del gerarchi Fascisti, Malgrado le leggi di tutela dal Ministro Fascista Giuseppe Bottai. Riuscii a riportare in Italia insieme ad altre opere trafugate la statua detta Discobolo "Lancelotti", copia dell'originale greco del Discobolo di Mirone scultore greco.
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: prima parte
Rodolfo Siviero Intervista impossibile a Rodolfo Siviero, figura molto discussa, ricordato per aver revuperato e riportato in Italia opere d'arte trafugate dai Nazisti, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Tempo fa ho deciso di andare a visitare il museo dello 007 dell'arte Rodolfo Siviero. Nel Lungarno Serristori si trova un villino il cui proprietario collezionista e storico dell'arte ebreo Giorgio Castellano vi abitava insieme alla moglie Matilde Forti e il figlio Paolo. Questa abitazione venne acquistata dal Siviero dal figlio Paolo, dopo le leggi raziali emanate dal governo italiano. Ne fece la base di partenza per i suoi viaggi per il mondo a recuperare le opere d'arte portate via o acquistate dai Nazisti per le collezioni private di Hadolf Hitler e Herman Goering. Vi abitò fino alla morte facendone un museo lasciato per disposizione testamentaria alla Regione Toscana affinchè lo mantenesse e lo aprisse al pubblico per le visite. Mentre giravo per le stanze del piccolo museo, mi sono imbattuto in un elegante signore di circa 72 anni seduto ad una scrivania, mentre guardava con una lente di ingrandimento un quadro disteso sul piano. Mi sono fermato a guardare il suo lavoro. L'uomo sentendosi osservato , ha interrotto il suo lavoro e mi ha apostrofato: Desidera? Sono rimasto impietrito e ho farfugliato: Bu buon giorno, sta restaurando quel quadro? No sono il padrone di casa e di tutto quello che c'è dentro. Mi chiamo Rodolfo Siviero, e lei? Piacere, mi chiamo Alberto Chiarugi, sono venuto vedere la sua collezione di quadri e statue e se lei permette vorrei farle alcune domande sulla sua vita e l'attività di recupero. Una amichevole intervista da pubblicare sulla Rivista Fiorentina FlorenceCity. Va bene acconsento, le racconterò la mia avventurosa vita. Prego, inizi pure.
Mi chiamo Rodolfo Siviero, sono nato nel paese di Guardistallo nella Maremma pisana la viglilia del Natale del 1911, sono figlio di un sottufficiale dei Reali Carabinieri e della senese Caterina Bulgherini. Ho anche una sorella Imelde detta Rina più piccola. Giunsi con la mia famiglia a Firenze nel 1924, dove mio padre era stato trasferito. La mia carriera scolastica non era molto brillante, non ho mai preso un diploma. iniziai anni dopo a seguire corsi umanisti universitari. All'epoca mi consideravo un Don Giovanni, mi iscrissi come tanti italiani al Partito Fascista. Ero un grande idealista, amante dell'arte e poeta. Ho collaborato al giornale del Partito Fascista. Anni dopo sono entrato in contatto con gli intellettuali frequentanti il bar delle Giubbe Rosse, grazie a queste conoscenze iniziai a lavorare per alcune testate giornalistiche come critico artistico e letterario. Nel 1936 sono riuscito a pubblicare dall'editore Le Monnier una raccolta di liriche da me scritte dal titolo "La Selva Oscura". Così lei aveva realizzato il sogno di diventare poeta. Continui, la sua vita incomincia ad interessarmi. Conoscevo e parlavo correntemente diverse lingue straniere, riuscii ad entrare in contatto con alte cariche del Partito. Era mia intenzione di fare la carriera diplomatica o entrare a far parte di istituti di cultura italiani. Dopo un anno, il Servizio Investigativo Militare, mi fece avere una borsa di studio universitaria in storia dell'arte in Germania. In realtà si trattava di una copertura per un incarico di informatore. La missione si svolse nella città di Erfurt dalla fine del 1937 al 1938. L'incarico mi venne assegnato dal Generale Alberto Pariani, sottosegretario alla guerra, responsabile delle azioni segrete. Tutto per raccogliere informazioni sull'annessione dell'Austria al Terzo Reich. La missione in Germania ebbe fine nel dicembre del 1938, fui espulso come persona non gradita. Credevo che il ritorno a Firenze mi avrebbe riservato una accoglienza migliore. Purtroppo veni messo sotto controllo . Il servizio segreto dei fascisti, avevano scoperto che, durante la permanenza in Germania mi ero avvicinato agli alleati e in Italia ai movimenti antifascisti. Fine prima parte
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Provincie e Compartimenti, Distretti e comunità: 2° parte
Segue dalla prima parte
In questa fase vennero soppressi alcuni Comuni, mentre altri furono aggregati a Firenze, i seguenti Comuni: Pellegrino di Careggi. Il nome a questo Comune venne dato quando nella chiesa di Santa Maria del Suffragio nel 1810 si stabilirono i Monaci Ospedalieri di Altopascio, i quali aprirono una magione (magione-magiòne dal latino mansio - soggiorno, dimora, abitazione) per viandanti e pellegrini. Questo Comune venne soppresso nel 1865, passando parte al comune di Firenze, parte ai Comuni di Sesto Fiorentino e Fiesole; i suoi confini erano le mura dall'Arno fino alle Cascine, alla Porta al Prato, Porta San Gallo, percorrendo la via Bolognese dal Ponte Rosso fino al cimitero di Trespiano, includeva l'agglomerato di Canonica di Cercina, la chiesa di San Silvestro, la Quiete fino al torrente Serpiolle. Giungeva a via delle Gore, delle Panche e il Terzolle. Via delle Gore comprendeva le Panche, le tre Pietre, via dell'Olmatello giungendo vicino Peretola e al Mugnone. Il confine del comune di Rovezzano rasentava le mura fiorentine sfiorando la Porta a Pinti proseguiva fino alla Porta alla Croce, arrivando fino all'Arno. Proseguiva fino al Girone giungeva al Poggio alla Croce, poi al torrente Mensola, la via del Guarlone tornando alla Porta a Pinti. Questo Comune nel 1865 venne suddiviso fra i Comuni di Firenze e Fiesole.
Il Comune di Legnaia confinava con le mura cittadine dalla Porta Romana al Ponte Sospeso, seguiva il percorso dell'Arno fino ad incontrare la Greve, dove iniziava il Comune di Casellina e Torri. Costeggiava la Greve fino al Ponte a Greve e da li arrivava a Mosciano, passava sulla via Volterrana andando avanti ancora per un tratto. Superava Giogoli arrivava al Ponte all'Asse, imboccava via delle Campora fino a trornare alla Porta Romana. Questo Comune fu capoluogo dal 1808 al 1865 quando venne diviso fra i Comuni di Firenze, il Galluzzo e Casellina e Torri. LE ULTIME AGGREGAZIONI A FIRENZE
Con le aggregazione del 1865 dei Comuni succitati, il territorio fiorentino rimase invariato fino al 1911, quando venne aggregata una parte del territorio fiesolano. Venivano inglobati i territori da Coverciano alla sinistra di via Faentina arrivando fino al cimitero di Trespiano; una parte del Galluzzo dalle Due Strade elle Cinque Vie, una porzione del Comune di Bagno a Ripoli con la zona di San Miniato fino al Bandino. Rimanevano fuori dal territorio fiorentino il Comune di Brozzi, aggregato che con Regio Decreto del 9 novembre 1891 era entrato a far parte del Mandamento di Sesto Fiorentino insieme ad una parte del Galluzzo, di Casellina e Torri e di Bagno a Ripoli. L'ultimo ampliamento del Comune Fiorentino avvenne, quando il 1° dicembre 1928 sulla "Gazzetta Ufficiale" del Regno d'Italia, con il Regio Decreto-Legge del 1° novembre 1928 n. 2562, si unirono al comune di Firenze alcune frazione dei Comuni limitrofi: Bagno a Ripoli, Casellina e Torri (una parte andò al Comune di Scandicci), Sesto Fiorentino, che perse la zona di Novoli, di Quarto, di Castello, Brozzi e il Galluzzo.
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Provincie e Compartimenti, Distretti e comunità: 1° parte
PROVINCIE Durante il Granducato Lorenese, al tempo, di Leopoldo II° il Governo della Toscana decretò di dividere il territorio granducale, in Compartimenti e Distretti. In un primo momento furono create tre Province: Fiorentina, Pisana e Senese. Successivamente con Motu proprio del Granduca, il I° novembre 1825, venne creta una nuova suddivisione con il nome di Compartimenti: Compartimento di Firenze composto dalle città di; Firenze, Fiesole, Pescia, Pistoia, Prato, San Miniato e Volterra. Compartimento di Pisa: Pisa, Livorno, Pontremoli, Piombino e Portoferraio. Compartimento di Siena: Siena, Colle Val d'Esa, Montalcino, Pienza. Compartimento di Arezzo: Arezzo, Chiusi, Cortona, Montepulciano e Sansepolcro. Compartimento di Grosseto: Grosseto, Massa Marittima,, Orbetello e Sovana. Con legge del 2 agosto 1838 venne varata una nuova suddivisione del territorio granducale, suddividendolo in cinque "Governi": Firenze, Livorno, Pisa, Siena, Isola d'Elba. Un'altra modifica si ebbe quando Carlo Ludovico figlio di Maria Luigia di Borbone Parma, cedette al Granduca Leopoldo 2° il ducato di Lucca. Con legge del 9 marzo 1848, furono riesumati i vecchi Compartimenti: Firenze, Pisa, Siena, Grosseto, Arezzo, Pistoia e la nuova acquisizione Lucca. DISTRETTI Per l'amministrazione e per le lezioni, i Compartimenti furono sostituiti dai Distretti formati dalle Comunità. (Nel medio Evo, il Distretto era la circoscrizione territoriale sulla quale il signore fondiario e poi feudale aveva facoltà di coazione su i suoi vassalli e su coloro che vi abitarono e gli erano soggetti. Nel Rinascimento il Distretto era sottoposto all'autorità dei Comuni e delle Signorie. Nel Corteo della Repubblica Fiorentina, vi è rappresentato il Capitano di Guardia del Contado e del Distretto). Mentre agli effetti Governativi e giudiziari furono costituiti i Circondari comprendenti varie Prefetture. Nei Compartimenti vi risedeva un Prefetto, nel Circondario un sotto Prefetto. Il Compartimento fiorentino nel 1848, ai fini governativi e giudiziari comprendeva tre Circondari con 35 Preture. Mentre per il profilo amministrativo e elettorale era suddiviso nei Distretti di: Borgo San Lorenzo, Empoli, San Miniato, Fiesole, Firenze, Figline, Campi Bisenzio, Prato, Rocca San Casciano e San Casciano.
LE COMUNITÀ Nel 1849 Firenze faceva Distretto a se. I confini di allora corrispondevano a quelli attuali. C'erano Altre Comunità non facenti parte del Distretto fiorentino Cioè: Rovezzano appartenente al distretto di Fiesole; Pellegrino appartenente al Distretto di Fiesole; Galluzzo appartenente al Distretto di Fiesole; Brozzi appartenente al Distretto di Campi. Questo assetto amministrativo rimase invariato dal 27 aprile 1859, abdicazione di Leopoldo II°, non subendo modifiche fino al 1865, anno in cui Firenze divenne la capitale provvisoria del Regno d'Italia. Nello stesso anno nel mese di aprile il giorno 27, veniva promulgata una legge con la quale il Comune fiorentino poteva ampliare i suoi confini oltre le mura cittadine inglobando le pendici di Montughi, della Pietra, di Coverciano, verso Varlungo, il Galluzzo, la piana di Legnaia. Segue seconda parte
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Andrea del Castagno, pittore
Andrea del Castagno è stato un grande pittore italiano, nacque nel 1419 in Toscana nell'Alto Mugello nel paese chiamato Castagno Comune di San Godenzo, di cui in seguito lo userà come cognome, facendosi conoscere come Andrea del Castagno. Era figlio di Bartolo di Simone di Bargilla e di Lagia. La famiglia viveva del loro lavoro di contadino. In quel tempo vi furono le guerre fra Firenze e Milano, per l'egemonia del Nord Italia. Nel 1423 Firenze si alleò con la Repubblica di Venezia contro il Ducato di Milano per contrastare l'espansionismo dei Visconti. In seguito si unì con Francesco Sforza contro la crescente minaccia di Venezia. Il pittore per non subire le scorrerie degli eserciti in lotta deve lasciare la sua terra trasferendosi nella fortezza di Belforte. Poterono ritornarci dopo la pace effimera del 1427. E' stato uno dei protagonisti della pittura fiorentina del XV° secolo. Si trova annoverato insieme ad altri artisti presenti in quel tempo a Firenze: Giovanni da Fiesole detto "il Beato Angelico", Filippo Lippi, Domenico Veneziano e Paolo di Dono detto "Paolo Uccello". Il suo stile subì l'influenza di altri due grandi artisti Tommaso di Mone di Antonio Cassai detto "Masaccio" e Donato di Betto Bardi detto "Donatello". Da loro sviluppò la resa prospettica, il chiaroscuro, drammatizzato nei personaggi rappresentati. Andrea arrivò a Firenze nel 1440 sotto la protezione di Bernardetto dè Medci esponente del ramo cadetto della famiglia Medici di Ottajano. E' conosciuto con il soprannome di Andrea degli impiccati, gli fu dato quando ebbe l'incarico di dipingere sulla facciata del Palazzo del Podestà l'immagine dei fuggiaschi Rinaldo degli Albizi e Ridolfo Peruzzi condannati per aver ordito una congiura contro Cosimo "il Vecchio" dè Medici.
Lavorò con Domenico Veneziano insieme a Piero della Francesca e altri assistenti, alla realizzazione degli affreschi andati perduti delle Storie della Vergine, che si trovavano nella chiesa di Sant'Egidio. Per lo Spedale di Santa Maria Nuova realizza una crocifissione e santi, dove nella sua opera si nota un influenza masaccesca. Trasferitosi a Venezia realizza insieme a Francesco da Faenza nell'abside della cappella di San Tarasio, nella chiesa di San Zaccariali affreschi con Dio Padre, Santi e i quattro Evangelisti. Lavora anche nella Basilica di San Marco realizzando i cartoni per i mosaici con le storie della Vergine (Visitazione e morte della Vergine) negli anni 1442/1443. Rientrato a Firenze lavora nel convento delle benedettine di Sant'Apollonia, fra (forse) il 1445 e il 1450, alle scene della passione di Cristo, la Crocifissione, la Deposizione dopo la morte, la resurrezione e l'Ultima Cena. Alcuni di questi affreschi sono stati staccati e conservati nel Museo a lui dedicato nel paese di Castagno Comune di San Godenzo. Gli affreschi rimasti nel luogo in cui sono stati realizzati, sono molto rovinati ma ancora leggibili.
Per la villa del Gonfaloniere di Giustizia Filippo Carducci, dipinge ritratti di uomin e donne illustri. Molti sono stati staccati e conservati al Museo degli Uffizi, mentre altri sono rimasti alla villa. I ritratti sono: Madonna con Bambino Angeli e Adamo ed Eva, un altro di Eva, Davide con ai piedi la testa del gigante Golia e di Pippo Spano. Agli Uffizi è conservato un affresco rappresentante il Vate Dante Alighieri e la Madonna di casa Pazzi facente parte della collezione Contini Bonacossi.
Nel 1455 torna a lavorare per i frati Serviti, alla Basilica della Santissima Annunziata, dipinge degli affreschi con la Trinità, San Girolamo Due Sante San Giuliano e i Redentore. Nella Loggia dei Servi di Maria dove si trova l'Oratorio di San Francesco Poverino, per la confraternita di San Girolamo e San Francesco Poverino in San Filippo Benizi. Per la compagnia del Santo Benizi, realizza una statua in terracotta rappresentante San Girolamo. Per i Duomo di Santa Maria del Fiore, dipinge un monumento equestre dedicato al Capitano della Repubblica nel 1432 durante la battaglia di San Romano Niccolò Mauruzi da Tolentino, accanto a quello dedicato al Capitano John Hawkwood detto "Giovanni Acuto" di Paolo Uccello. Andrea del Castagno morì giovanissimo di peste il 19 agosto 1457 e sepolto nella Basilica della Santissima Annunziata. Il Vasari nel suo capolavoro "Vite" scrisse che Andrea del Castagno aveva ucciso il suo amico e maestro Domenico Veneziano in un impeto di gelosia, ma erano solo chiacchiere raccolte qua e la, con le quali screditò Andrea già morto quando nel 1461 morì Domenico. L'errore che smontò la falsa accusa venne scoperto tempo dopo, quando dai registri mortuari furono trovati un altro Andrea e un altro Domenico, protagonisti di quel delitto di cui era stato accusato l'Andrea pittore.
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Andrea del Sarto, pittore
Andrea Vannucci detto del "Sarto" d'Agnolo, meglio conosciuto come Andrea del Sarto mestiere esercitato dal padre. Non c'è sicurezza sul cognome. A volte si trova scritto Vannucci altre con Vannucchi, ma forse il suo cognome è Lanfranchi, come è scritto in un documento riguardante suo fratello. Vi è scitto: Francesco detto "Spillo" Lanfranchi pittore. Nacque a Firenze nel 1486. Al tempo in cui iniziò il suo periodo di apprendistato come narra nelle "Vite" il Vasari presso una bottega di orafo, presto in quell'ambiente manifestò la sua inclinazione per il disegno. Venne mandato a formarsi nella bottega del pittore Gian Barile. Ma questo dopo poco tempo si accorse di non essere all'altezza delle capacità di Andrea e lo convinse ad andare dal pittore Piero di Cosimo. All'inizio del XVI° secolo nella nostra città si trovavano artisti del calibro di Leonardo e Michelangelo, ai quali si affiancò superandoli in poco tempo. Fu influenzato dal Perugino, Raffaello, Fra Bartolmeo e Mariotto Albertinelli. Abitando in Santa Maria Novella fece amicizia con un altro pittore Francesco di Cristofano detto "Franciabigio". I due giovani nel 1516 aprirono una bottega in piazza del Grano, dopo poco tempo si trasferirono vicino alla Basilica della Santissima Annunziata e come tutti i pittori, per poter lavorare dovette iscriversi all'Arte Maggiore dei Medici e Spezali.
I frati Serviti nel 1509 lo incaricarono di affrescare il Chiostrino dei Voti con le storie di San Filippo Benizzi. Iniziò con i frati un rapporto di lavoro distinato a protarsi nel tempo. Ebbe rapporti di committenza con gli Eremitani Agostiniani di San Gallo e i Benedettini Vallombrosani dove già lavorava il "Franciabigio". Nella loro bottega aprirono la "scuola dell'Annunziata" dove ebbero come discepoli Jacopo Carucci detto "Il Pontormo" e Giovan Battista di Jacopo di Gaspare detto "Il Rosso Fiorentino". Nel 1515 insieme al "Franciabigio" inizia a dipingere un ciclo decorativo delle Storie del Battista al Chiostro dello "Scalzo" nella chiesa della Compagnia dei Disciplinati di San Giovanni Battista detta dello "Scalzo" (durante le processioni il portatore della croce sfilava a piedi nudi), il lavoro venne terminato nel 1526.
Per la chiesa di San Francesco dei Macci, dipinge la Madonna delle Arpie (oggi conservata agli Uffizi), sposa Lucrezia di Bartolomeo del Fede, divenuta in breve tempo la modella delle sue opere. Realizza i dipinti per la camera nunziale Borgherini; Le Storie di San Giuseppe; l'Infanzia, Giuseppe interpreta i sogni del Faraone. Per Francesco I° in Francia realizza molte opere quasi tutte andate perdute, rimane solo "la Carità" conservata nel Museo del Louvre. tornato a Firenze riprende a dipingere al Chiostro dello "Scalzo".
Per la villa Medicea di Poggio a Caiano inizia l'affresco "Il Tributo di Cesare", rimasto incompiuto e finito da Alessandro Allori. Dipinge per i Convento di San Salvi "Il Cenacolo" iniziato nel 1519 e terminato dopo dieci anni nel 1529. Su questo bellissimo affresco c'è un aneddoto che racconta: durate l'assedio di Firenze con l'approssimarsi delle truppe dell'Imperatore Carlo V°, venne deciso di abbattere il convento di San Salvi come era stato fatto con San Gallo e San Giusto. Ma i guastatori incaricati della demolizione, si rifiutarono di abbatterlo colpiti dalla bellezza dei suoi colori. Andrea è ricordato per essere come il più bravo fra i grandi artisti dei suoi tempi. Il Vasari nelle "Vite" lo ricorda cone il "Pittore senza errori", le sue figure erano di somma perfezione, per la capacità di creare composizioni formalmente ineccepibili armoniose e ben bilanciate. Fu un eccellente decoratore di affreschi e autore di bellissime Pale d'Altare e ritratti. Morì di peste causata dall'assedio il 29 settebre 1530, solo e abbandonato dalla moglie.
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Santo Ambrogio Vescovo: seconda parte
Prima parte Seconda parte
Durante il suo episcopato Ambrogio, combatte' l'eresie in special modo quella del monaco teologo Ario. Questo personaggio non negava la Santissima Trinità formata dal Padre dal Figlio e dallo Spirito Santo, ma sminuiva la figura del Figlio subordinandolo al Padre. Il Vescovo confutò con tutte le sue forze questa teoria che poteva minare la credibilità della chiesa. Scrisse molte opere a difesa dei dogmi stessi. Con l'Imperatore Teodosio ebbe molti contrasti nei quali dimostrò la superiorità della dottrina callolica sull'eresia pagana. Il suo prestigio aumentò quando riuscì a convertire alla religione cattolica Santa Agostino, di fede manichea, giunto a Milano per insegnare retorica. Un altro episodio della vita del Santo, nel quale dimostra tutto il suo carisma in uno acceso scontro con Teodosio. Nella città di Callinico un gruppo di cristiani, avevano assalito e distrutto una sinagoga aizzati dal Vescovo locale. L'Imperatore venuto a conoscenza di questo misfatto, obbligò il prelato a ricostruire quanto era stato distrutto con i soldi in suo possesso. Ambrogio venuto a conoscenza di tale ordine, si arrabbiò con Teodosio e lo minacciò se non avesse revocato tale provvedimento, di sospendere ogni attività religiosa. Con questa prospettiva Teodosio, si affrettò a rimangiarsi quanto aveva disposto.
Nell'anno 390 Ambrogio si scontrò nuovamente con l'Imperatore, reo di aver ordinato il massacro della popolazione di Tessalonica, accusata di aver trucidato il comandante del presidio romano. Ambrogio seppe di questa strage e chiese a Teodosio di pentirsi pubblicamente, pena il divieto di ingresso in chiesa per assistere alle funzioni religiose. Ma il reprobo non volle sentir ragione. Resistete sulla sua posizione fino al Natale di quell'anno, quando pentito di quanto aveva fatto, si umiliò davanti al Vescovo chiedendo perdono. Al tempo dell'Imperatore Eugenio usurpatore dell'impero romano.
Alla morte di Valentiniano si era impossessato del trono. Ambrogio sostenitore di Teodosio, prese la decisione di allontanarsi da Milano per no incontrarsi con l'usurpatore. Passò da Bologna e giunse a Firenze, dove convinse i fiorentini ad avere una vita più cristiana. Abitò fuori dalla cinta muraria vicino alla croce ricordante il martirio di San Miniato. Questa croce era posta vicino ad un ansa del fiume Arno, che dava il nome a tutta la zona: Croce al gorgo. Durante la permanenza a Firenze consacrò la chiesa di San Lorenzo è fondò un monastero femminile. Accanto si trova una chiesa che porta il suo nome. In quel luogo sacro, nel 1250, sarebbe avvenuto il miracolo del sangue incarnato. Dopo la battaglia del fiume Frigido fra gli eserciti di Flavio Eugenio e di Teodosio, vi trovò la morte del l'usurpatore e la sconfitta del suo esercito, Ambrogio lasciò Firenze per tornare a Milano dove visse fino alla morte avvenuta avvenuta il 14 aprile 397. Fu sepolto nella Basilica che porta il suo nome. Nel dicembre dello stesso anno venne dichiarato Santo e dottore della chiesa. A ricordo della sua permanenza nella nostra città, il quartiere di Santa Croce, all'incrocio fra Borgo la Croce e via dei Nacci, La Potenza festeggiante della città rossa, vi appose un tabernacoli robbiano, dove il Santo Vescovo è rappresentato benedicente.
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Santo Ambrogio Vescovo: prima parte
Prima parte
Questo Vescovo non è nato a Firenze come altri personaggi e ha fatto, per un breve periodo, parte della storia della nostra città. Nacque ad Augusta Treverorum (oggi Treviri) Gallia Belgica - regione Renania Palatinato Germania, fra il 335 - 340, il padre Prefetto del pretorio dell'impero romano gli diede il nome di Aurelio Ambrogio (in latino Aurelius Ambrosius). È conosciuto come Ambrogio di Treviri o Ambrogio di Milano. Di quella città è il Santo Patrono come San Carlo Borromeo e San Galdino. Rimase molto presto orfano de padre, nel 354 la madre con Ambrogio e i suoi fratelli Satiro e Marcellina si trasferì a Roma sotto la protezione di Sesto Petronio Probo Prefetto del pretorio d'Italia e iniziò a studiare e a percorrere il Cursus honorum delle Magstrature.
Fu avvocato nella città serba di Sirinio. Dopo avervi esercitato per cinque anni, nel 370 l'imperatore romano Valentiniano lo incaricò come governatore dell'Italia Annonaria per la provincia Aemilia e Liguria con sede a Milano città preferita dall'Imperatore. Con la sua abilità oratoria e pacificatore di appianare i contrasti fra gli ariani e i cattolici, fu molto apprezzato dalle parti in lotta. Alla morte del Vescovo ariano Aussenzio di Milano, le due fazioni incominciarono la lotta per la nomina del successore. Ambrogio con tutto il carisma posseduto anche in quella occasione si distinte come pacificatore. Gli ariani tentarono con la forza di impossessarsi delle chiese milanesi, Ambrogio incitò il popolo cattolico ad entrare nei sacri ambienti per evitare agli avversari di entrarvi con la forza. Mentre Ambrogio spingeva i cattolici a resistere, nella grande confusione si alzò la voce di un bambino: Ambrogio Vescovo! A questo grido si unirono i presenti. Il santo uomo non si sentiva pronto per questo incarico, inoltre non era stato battezzato e non era un prete. E respinse l'offerta, ma fu convinto ad accettare la nomina, dopo poco tempo venne battezzato e prese gli ordini. Iniziò a studiare la teologia e le leggi della chiesa.
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Gonfaloni di Compagnia: Quartiere di San Giovanni
PARTE SECONDA PARTE PRIMA: Quartiere Santo Spirito PARTE SECONDA: Quartiere di Santa Croce PARTE TERZA: Quartiere di Santa Maria Novella Suddivisione degli antichi Quartieri fiorentini
Nel Medio Evo, le città erano divise sia per effetti amministrativi sia per quelli militari: in Sestieri, Quartieri, Terzieri e in suddivisioni minori. Queste in Toscana, avevano nomi diversi. A Siena, Montepulciano e in altri luoghi si chiamavano Contrade, nella città di Pisa avevano il nome di Cappelle, a Prato si riconoscevano dal nome delle porte cittadine ad esempio: Porta al Serraglio. In Firenze si chiamavano Gonfaloni. Al tempo della Contessa Matilde di Canossa, nel 1078, essendo la città cresciuta enormemente di popolazione, fu deciso la nuova costruzione di mura al posto delle preesistenti costruite dai Bizantini, per inglobare i nuovi insediamenti. Vennero chiamate “Matildine” o “Antica Cerchia di Cacciaguida”. Si procedette alla divisione in Sestieri assumendo il nome di: Oltrarno, San Piero Scheraggio, Borgo, San Pancrazio, Duomo, San Piero, divisi in seguito in venti Gonfaloni. Quando tra gli anni 1282 e il 1333, venne una nuova cerchia muraria con il nome di “Arnolfiana” dal nome del costruttore Arnolfo di Cambio, la città venne divisa in Quartieri, prendendo il nome delle quattro porte principali: Porta al Vescovo o del Duomo, Porta Santa Maria, Porta San Piero e Porta San Pancrazio o Brancazio. Dopo la cacciata del Duca di Atene, nell’anno 1343 fu deciso di tornare alla vecchia divisione della città; in quattro Quartieri: Santo Spirito, Santa Croce, Santa Maria Novella, San Giovanni dal nome delle quattro chiese principali. Ognuno venne a sua volta diviso in quattro Gonfaloni, ciascuno possedeva un suo territorio, in determinate parti della città, separato dagli altri da un muro, dal fiume Arno e da strade principali. Ogni divisione, aveva carattere amministrativo e militare. Erano tenute ad eleggere un Gonfaloniere o Capitano assumente il titolo di “Compagnia”. Quartiere di San Giovanni
Gonfalone Chiavi – Dalle mura cittadine presso la Porta alla Croce, il confine era delimitato dalle Vie dell’Agnolo e Via dei Pandolfini. Per Via del Proconsolo entrava in Borgo Albizzi, passava fra le case dietro Santa Maria in Campo, traversava Via dell’Oriuolo, e giungeva allo Spedale di Santa Maria Nuova e per Via della Pergola e Via di Pinti tornava alle mura. Le parrocchie alle quali appartenevano le case di questo territorio erano: Sant’Ambrogio, San Pier Maggiore, San Procolo, e Santa Maria in Campo;
Gonfalone Drago San Giovanni – Dalla Croce al Trebbio per Via del Giglio fino a Piazza Madonna degli Aldobrandini, Via della Forca, Via Cerretani, Piazza del Duomo, Via dei Martelli e Via Larga (Via Cavour), fino alle mura. Da lì per Via San Sebastiano, Via della Sapienza, Via del Cocomero (Via Ricasoli), di nuovo a Piazza del Duomo, da San Cristofano degli Adimari, il Ghetto Piazza degli Agli, e da lì attraverso le case e per Via del Trebbio fino alla Croce al Trebbio. Comprendeva le parrocchie di: Santa Maria Maggiore, San Lorenzo, San Marco, San Cristofano degli Adimari, San Tommaso, San Leo, San Michele Berteldi;
Gonfalone Lion d’Oro - Da Piazza del Duomo per via de’ Martelli e Via Larga fino alle mura per arrivare al confine del Gonfalone Lion Bianco. Poi per via de’ Cenni, Via del Giglio, Via della Forca di Campo Corbolini e via de’ Cerretani tornava in Piazza del Duomo. Il territorio apparteneva alle parrocchie del Duomo, San Lorenzo, Santa Maria Novella, Santa Maria Maggiore;
Gonfalone Vaio – Da Orsanmichele, Piazza di Mercato Vecchio, Piazza di San Cristofano Adimari, Piazza del Duomo, fino a Via de’ Servi, le mura, Via della Pergola, Via Folco Portinari, dietro Santa Maria in Campo, Via del Proconsolo, Via Dante Alighieri fino a Orsanmichele. Parrocchie del territorio: San Michele in Orto, San Tommaso, San Cristofano Adimari, Duomo, San Pier Celorum, Santa Margherita, San Martino, San Michele Visdomini, SS Annunziata, Santa Maria in Campo, San Benedetto e Santa Maria Alberighi: Nel Corteo della Repubblica Fiorentina, sfilano con il Quartiere di San Giovanni dopo il nobile Commissario il Bandieraio con la bandiera con l’insegna del Quartiere: D’azzurro al Battistero d’oro affiancato da due chiavi (una per parte) in palo legate con un cordone dello stesso colore. Sono presenti i quattro Gonfalonieri di Compagnia, con i quattro bandierai che portano l’insegna del Gonfalone.
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Gonfaloni di Compagnia: Quartiere Santa Croce
PARTE SECONDA PARTE PRIMA: Quartiere Santo Spirito Suddivisione degli antichi Quartieri fiorentini
Nel Medio Evo, le città erano divise sia per effetti amministrativi sia per quelli militari: in Sestieri, Quartieri, Terzieri e in suddivisioni minori. Queste in Toscana, avevano nomi diversi. A Siena, Montepulciano e in altri luoghi si chiamavano Contrade, nella città di Pisa avevano il nome di Cappelle, a Prato si riconoscevano dal nome delle porte cittadine ad esempio: Porta al Serraglio. In Firenze si chiamavano Gonfaloni. Al tempo della Contessa Matilde di Canossa, nel 1078, essendo la città cresciuta enormemente di popolazione, fu deciso la nuova costruzione di mura al posto delle preesistenti costruite dai Bizantini, per inglobare i nuovi insediamenti. Vennero chiamate “Matildine” o “Antica Cerchia di Cacciaguida”. Si procedette alla divisione in Sestieri assumendo il nome di: Oltrarno, San Piero Scheraggio, Borgo, San Pancrazio, Duomo, San Piero, divisi in seguito in venti Gonfaloni. Quando tra gli anni 1282 e il 1333, venne una nuova cerchia muraria con il nome di “Arnolfiana” dal nome del costruttore Arnolfo di Cambio, la città venne divisa in Quartieri, prendendo il nome delle quattro porte principali: Porta al Vescovo o del Duomo, Porta Santa Maria, Porta San Piero e Porta San Pancrazio o Brancazio. Dopo la cacciata del Duca di Atene, nell’anno 1343 fu deciso di tornare alla vecchia divisione della città; in quattro Quartieri: Santo Spirito, Santa Croce, Santa Maria Novella, San Giovanni dal nome delle quattro chiese principali. Ognuno venne a sua volta diviso in quattro Gonfaloni, ciascuno possedeva un suo territorio, in determinate parti della città, separato dagli altri da un muro, dal fiume Arno e da strade principali. Ogni divisione, aveva carattere amministrativo e militare. Erano tenute ad eleggere un Gonfaloniere o Capitano assumente il titolo di “Compagnia”. La nomina durava quattro mesi. Ad esempio: dal I° di aprile al 31 luglio. Inoltre, aveva il compito di radunare una compagnia di Milizia cittadina, formata dai residenti nel Gonfalone destinati alla difesa del Palazzo dei Signori e della libertà popolare. Tutti e sedici erano una specie di Consiglio, insieme al Gonfaloniere di Giustizia e i Priori di Libertà discutevano gli interessi della Repubblica. In ogni Quartiere i quattro Gonfaloni possedevano un nome di emblema o segni araldici che apparivano nella loro bandiera. Quartiere Santa Croce
Gonfalone Carro – Dal Ponte Vecchio, lungo il lato orientale di Via Por Santa Maria, giungeva alla Piazza del Mercato Nuovo e per Calimala girava al lato di Orsanmichele percorrendo poi via dei Cimatori fino all’angolo di Via dei Cerchi. Continuando per questa via entrava in Via della Condotta, passava di fianco a Palazzo Uguccioni, entrava in Piazza della Signoria, percorreva la via de’ Gondi proseguiva per Borgo de’ Greci fino alla stradella oggi chiamata Via del Parlascio; poi traversando le case e la odierna Via de’ Neri, seguiva la linea della Via del Castello d’Altafronte fino all’Arno tornando al Ponte Vecchio. Comprendeva parte delle parrocchie di: Santo Stefano al Ponte, Santa Cecilia, Orsanmichele, San Romolo, San Firenze;
Gonfalone Lion Nero – Dalla Piazza d’Altafronte l’odierna Piazza dei Giudici, risaliva fino alle mura della città, discendeva via delle Torricelle e Corso dei Tintori fino al convento di Santa Croce. Costeggiando le case del lato orientale della Piazza Santa Croce, proseguiva per Borgo dei Greci arrivando al confine con il Gonfalone Carro. Le case di questo territorio appartenevano alle parrocchie di: San Piero Scheraggio, San Remigio, San Iacopo tra’ Fossi, e San Firenze;
Gonfalone Bue - Seguendo il confine del Lion Nero, dalle mura della città proseguiva verso Piazza della Signoria passando per Borgo de’ Greci rasentava il fianco del Palazzo Uguccioni, traversava Via della Condotta fino alla Piazzetta de’ Cerchi, tagliava il convento della Badia, e sboccava in Via del Proconsolo, comprendeva le case di Via del Palagio, (ora Via Ghibellina). Proseguiva per questa strada giungendo a Via della Fogna, Via da Verrazzano e tagliando parallelamente fra via Ghibellina e via dei Malcontenti, tornava alle mura. Nel territorio vi si trovavano in tutto o in parte le parrocchie di: S. Simone, S, Apollinare (chiamata dai fiorentini S. Pulinari), S. Remigio e la Badia Fiorentina;
Gonfalone Ruote - Dalle mura scendeva lungo il confine del Gonfalone Bue da un lato e dall'altro da via dell'Agnolo, via dei Pandolfini, la via oggi chiamata Dante Alighieri, Piazza dei Tavolini, via dei Cerchi, ritrovava il confine del Gonfalone Bue. comprendeva in parte le parrocchie di: S. Giuseppe, S. Ambrogio, S. Simone, S. Procolo, Badia Fiorentina, S. Martino, S, Apollinare e S. Romolo; Nel Corteo della Repubblica Fiorentina, sfilano con il Quartiere di Santa Croce, dopo il nobile Commissario il Bandieraio con la bandiera con l’insegna del Quartiere: Croce gialla in campo azzurro. Sono presenti i quattro Gonfalonieri di Compagnia, con i quattro bandierai che portano l’insegna del Gonfalone.
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Famiglia Boccadibue
Un’altra famiglia di Notai fiorentini come i Sapiti abitanti nel quartiere di Oltrarno come loro ebbero fama e fortuna con la loro attività. Del primo capostipite dal quale discende il nome non si hanno notizie. È noto che risiedeva nel popolo della chiesa di Santa Lucia dei Magnoli (il nome dei Magnoli deriva da un certo Magnolo della Pressa che la fece edificare, oggi si trova nella odierna via dei Bardi). Di Boccadibue si viene a sapere che nel 1231 era morto. Suo figlio Galgano ne prese il posto. Dell'attività notarile del figlio, risulta dal Diplomatico Olivetani conservato all’Archivio dello Stato di Firenze, dove risulta che è morto anteriormente al 1256. Bongianni figlio di Galgano, di lui si trovano notizie in atti da lui rogati con il titolo di “Tabellio pubblico” (Notaio pubblico). Nella pace fra le città di Firenze e Pisa del 1256 vi figura il fratello Gianni nel gruppo del “consigliarii”, stipulata nella Cattedrale di Santa Reparata a Firenze.
Battaglia di Montaperti Nella battaglia contro Siena nel campo di Montaperti, vi compaiono i fratelli Gianni e Buono Boccadibue. Anni dopo si trovano nella lista dei “Ghibellini suspecti”, a cui veniva concesso “ad praesens” di vivere in città. Nel 1269 Gianni viene confinato nel contado. Dai documenti risulta non essere il figlio di Galgano, ma sembra trattarsi del figlio di Galgano di Bongianni rogante nel periodo 1290/91. Il Gianni suddetto e suo fratello Salvi sono presenti negli atti rogati dal figlio e nipote Biagio come testimoni. Gianni è presente in due atti rogati nei mesi mi marzo e giugno 1299 fra i “Rectores societatis beate Marie Virginis civitatis Florentia. Gianni viene a mancare in data anteriore al novembre 1311. L’anno seguente Biagio davanti al Notaio Ser Chiarozzo di Balduccio rinuncia all’eredità paterna, con la seguente formula “potis dampnosam quam utilem”. Atto conservato all’Archivio di Stato di Firenze. Nello stesso archivio sono conservati tre volumi di imbreviature redatti da Biagio in un periodo di tempo che va dal 1297 stile fiorentino al 1308. I primi due volumi e l’ultimo dal 1311 al 1314 ci sono scritti tutti gli atti della sua famiglia e della Compagnia dei Bardi. Con loro aveva un rapporto stabile risultante dai “libri segreti”, in cui compare con il titolo di “fattore” dal 1310 al 1338 quando morì. La sua paga come risulta era una somma ragguardevole di 145 libbre annue. Di Biagio si conosce che dal luglio 1299 al febbraio 1300 era a Foligno insieme a Corso di Forese Adimari, chiamato a ricoprire la carica di Podestà. Ancora si allontanò da Firenze per un periodo dal marzo 1303 a metà novembre 1304 nella Marca di Ancona in Valtopino “Ubi steteram....pro ecclesia romana”. Dall’anno 1301 è affiancato nell’attività notarile da suo figlio Miniato detto “Borghino”, nome con il quale rogava degli atti. Dal Diplomatico Archivio delle Riformagioni si viene a sapere che il 31 maggio 1322 Minato e i fratelli Gano e Bartolo avuti dalla defunta moglie Toschetta, quest’atto si trova nel protocollo di Ser Chiarozzo, inoltre ci sono atti rogati negli anni 1310/1315, altri riguardanti Biagio e il fratello Riccardo Notaio, suo zio Salvi di Galgano e di altri membri della famiglia.
Biagio si risposò con Bartola di Valore Orlandi, se ne trova traccia in un atto del 1308. Convolò a nozze per la terza volta con Monna Tessa, viene nominata nel testamento di Biagio del dicembre 1336 fra gli esecutori. Nel testamento è nominato il figlio Galgano, aveva intrapreso la carriera ecclesiastica entrando a far parte dei frati minori diventando nel 1330 Vescovo della città francese di Aleria fino al 1342 quando lo divenne di Cefalonia. Un altro figlio, Andrea fu in servizio presso la Compagnia dei Bardi dal 1328 al 1335 continuando il rapporto di lavoro fino all’anno 1344. Il figlio Miniato (Borghino) ebbe anche lui rapporti con la Compagnia dei Bardi. Lo stipendio che ricevette nel periodo della collaborazione nel periodo 1333/1338 quando si licenziò ammontava a 40 libbre. Esiste un registro di Imbreviature per atti rogati per Gianni di Bartolo di Messer Iacopo dei Bardi dal 1322 (3 novembre) al 1336 (22 maggio). Il suo protocollo e quelli del padre sono stati studiati, per la storia economica fiorentina e in particolare quella della Compagnia dei Bardi.
Alberto Chiarugi Read the full article
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