#AlbertoChiarugi
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Famiglia Aldobrandini
Aldobrandini antica nobile famiglia fiorentina, trapiantata a Roma nel XVI secolo. In seguito, si chiamarono del Papa, quando Ippolito Aldobrandini da Fano, del ramo proveniente dalle Marche (dove suo padre Silvestro si trovava esiliato con sua moglie, per i suoi sentimenti antimedicei), venne eletto Pontefice nel 1592, con il nome di Clemente VIII. Nel medio Evo, questa famiglia si divise in tre rami: i Bellincioni furono molte volte eletti alle Magistrature della Repubblica Fiorentina. A Firenze ebbe notorietà con Aldobrandino (1388 - 1453, Magistrato dei Priori (1417), fu dei sedici Gonfalonieri di Compagnia dal 1422 al 1453 (Gonfaloniere di Compagnia porta bandiera della Milizia Urbana), dei Dodici Buonomini nel: 1429 – 1436 – 1436 – 1446, commissario a Montepulciano nel 1428, Gonfaloniere di Giustizia della Repubblica Fiorentina nel 1434. Ramo Aldobrandini di Lippo (forse derivati dai Bellincioni); gli Aldobrandini di Madonna dal quale discese Ippolito poi Papa Clemente VIII. La famiglia attiva in Firenze si arricchì con il commercio. Il mercante Benci Aldobrandini sposò Giovanna “Bugiazza” nata Altoviti, chiamata così per la sua bontà e la dedizione a fare carità (in queste opere pie si unì anche il marito), si guadagnò l’appellativo di “Madonna”. La coppia da sposati, visse nelle case della famiglia in campo Corbolini (l’attuale piazza Madonna degli Aldobrandini), chiamata familiarmente dai fiorentini “Piazza Madonna”. I due coniugi unirono le loro abitazioni e proprietà. Successivamente ampliate dai loro discendenti fino ad erigere nel XVIII secolo il Palazzo Aldobradini del Papa, ancora oggi esistente. Partigiano dei Medici, fu fra coloro che richiamarono dall’esilio Cosimo, mandatovi da Rinaldo degli Albizzi. Giovanni figlio di Aldobrandino (1422- 1481) tenne la carica di Gonfaloniere della Repubblica nel 1476, distaccatosi dall’appoggiare i Medici, fu costretto a ritirarsi dalla vita politica cittadina. Nel 1480 venne inviato come capitano alla città di Sarzana dove vi trovò la morte. Salvestro (1499 – 1558), studiò legge a Pisa, avversario dei Medici, fu fra coloro che cacciarono Ippolito e Alessandro nel 1527, dando vita all’ultima Repubblica. In quel periodo ricopri la carica di primo Cancelliere alle Riformagioni. Con la caduta della Repubblica e il ritorno dei Medici, nella persona di Alessandro primo Duca, venne arrestato e esiliato a Faenza, da lì nel 1533 venne trasferito a Bibbona, da dove riuscì a fuggire trasferendosi in un primo tempo a Rome in seguito a Napoli.
Papa Clemente VIII Ippolito Aldobrandini A Napoli nel 1536, si trovava Carlo V, ospite del Viceré Don Pedro di Toledo. Si unì ad altri fuorusciti fiorentini nell’ambasceria presso l’Imperatore, per perorare le sorti della loro patria. Ma l’intento dei fiorentini non ottenne il risultato sperato, e furono costretti ancora all’esilio. Salvestro passò a Fano, Bologna, e Ferrara. In seguito, Alessandro Farnese Paolo III lo chiamò a Roma, dove in seguito fu nominato avvocato concistoriale. Ippolito suo figlio venne creato cardinale. Con l’aiuto del Farnese poté dedicarsi agli studi universitari presso le città di Padova, Perugia e Bologna. Pio V dimostrò benevolenza verso la famiglia Aldobrandini, li prese sotto la sua ala protettrice. Ippolito ebbe i titoli di: Prefetto di Castel S. Angelo, avvocato concistoriale, uditore del Camerlengo, nel 1569 uditore di Rota al posto del fratello Giovanni nominato vescovo di Imola e poi Cardinale. La nipote del cardinale Ippolito, Olimpia nata a Roma nel 1567 unica erede dei beni dei genitori Pietro Aldobrandini e Flaminia Ferracci, inquanto suo fratello Pietro venne creato cardinale dallo zio Papa Clemente VIII. Nel 1587 sposò Giovanni Francesco Aldobrandini principe di Meldola e Sarsina. Da questo matrimonio nacquero otto figli: Silvestro diventato cardinale, Margherita sposò Ranuccio Farnese IV duca di Parma e Piacenza, Elena sposò Antonio Carafa della Stadera, Giorgio principe di Meldola e Sarsina (titoli ereditati dal padre), Caterina Lesa sposò Marino Caracciolo, Ippolito cardinale, Pietro duca di Carpineto, Maria sposò Giovanni Paolo Sforza. Poi nel 1467 Olimpia sposò Camillo Pamphili. Con l’estinzione dei Pamphili beni di Margherita, passarono definitivamente ai Borghese. Con l’elezione di Ippolito a Papa, gli Aldobrandini si trasferirono definitivamente a Roma, con il dichiarato nepotismo del Pontefice, ne beneficiarono con vari titoli ecclesiastici. Per riconoscenza aggiunsero al cognome l’appellativo del Papa.
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Carriera di Galileo Galilei 6° parte
1° parte 2° parte 3° parte 4° parte 5° parte Galileo arriva a Roma-divieto e sequestro del Dialogo
Nell'agosto 1623 morì Papa Gregorio XV. Al soglio di Pietro venne eletto il Cardinale fiorentino Maffeo Barberini, che assunse il nome di Urbano VIII, amico e estimatore da tempo di Galileo. L'elezione del fiorentino diede a lui la speranza confermata con le parole "risorge la speranza, quella speranza che era ormai quasi del tutto sepolta, siamo sul punto di assistere al ritorno del sapere dal lungo esilio a cui era costretto ". Nel Saggiatore parla della sua teoria errata sulla formazione delle comete dovute ai raggi solari. La formazione della loro chioma e della coda, sono dovute all'esposizione e dalla direzione delle radiazioni solari. Per tanto avevano ragione siamo Galileo sia il Grassi, il quale negando la teoria copernicana aveva vaga idea sui corpi celesti. Nel mese di aprile 1624 il Galilei giunse a Roma, per congratularsi con il Barberini per la sua elezione a Papa e per fare accogliere con benevolenza la sua teoria basata sul sistema copernicano. Nelle udienze avute con Urbano VIII, non ricevette da lui nessun impegno, riuscendo solamente a fare assegnare una pensione al figlio Vincenzo. Nei mesi seguenti rispose alla "disputato" di Francesco Ingoli presbitero giurista, professore di diritto civile e canonico, senza difendere quella teoria e senza rispondere alle argomentazioni teologiche.
Nella lettera di risposta per la prima volta, parla di quello che in avvenire verrà conosciuto come "il principio della relatività galileiana", risposta a coloro che sostenevano l'immobilità della Terra. Nello stesso anno Galileo diede iniziò alla scrittura del "Dialogo", nel quale tre personaggi, due realmente esistiti: Filippo Salviati (suo grande amico) e il veneziano Gianfrancesco Sagredo ricercatore scientifico, sperimentatore di ottica, termometria e magnetismo conosciuto quando insegnava a Padova. Il terzo colloquiatore è un personaggio inventato dal nome Simplicio, la disputa verbale si tiene nella casa del veneziano. Di fatto nella discussione, non viene presa in considerazione una terza quella promulgata da Tycho Brahe, escludendola dalla dotta discussione. I tre protagonisti hanno un ruolo ben definito. Simplicio espone e difende la teoria tolemaica, mentre il Salviati controbatte con l'esposizione della teoria copernicana. Il Sagredo funge da arbitro fra i due contendenti, tenendosi neutrale alle due teorie che si confrontano, ma alla fine parteggia apertamente per la copernicana. Questo Dialogo ebbe una nascita travagliata per ragione di salute dei familiari del redattore, prolungando la stesura dell'opera fino al 1630.
In questo periodo Galileo si prese cura della sua famiglia e di quella numerosa del fratello Michelangelo. Intanto suo figlio Vincenzo si laureava in legge all'ateneo pisano, sposandosi in seguito nel 1629 con sestilia di Carlo Becherini, sorella di Geri Becherini, segretario del Granduca Ferdinando II de Medici. La figlia suor Maria Celeste (Virginia) chiese allo scienziato di stabilirsi vicino al suo monastero in Arcetri a Firenze e gli affittò il villino il " gioiello", dove Galileo abitò fino alla morte. Dopo molte vicissitudini, l'opera "il Dialogo", ebbe l'imprimatur ecclesiastico venendo pubblicata nel 1632. Lo scritto venne benevolmente accolto dal matematico Benedetto Castelli, Fulgenzio Micazio storico e erudito (collaboratore di Paolo Sarpi) e dal filosofo Tommaso Campanella. Mesi dopo il Maestro del Sacro Palazzo Niccolò Riccardi, scriveva all'inquisitore fiorentino Clemente Egidi: per ordine del Papa la proibizione del libro, non doveva più circolare e di rintracciare le copie vendute e sequestrarle. Fine 6° parte
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Carriera di Galileo Galilei 5° parte
1° parte 2° parte 3° parte 4° parte Primi contrasti con il Papa e il Sacro Collegio
La chiesa iniziava a sentire odore di eresia e si preparava alla difesa della teoria Geocentrica. Passava all’attacco incaricando il frate predicatore domenicano Tommaso Caccini di difendere le Sacre Scritture, dalle “concezioni copernicane dei matematici moderni e in particolare Galileo”, Nel marzo 1615 il Caccini giunse a Roma e denunciò al Sacro Collegio lo scienziato pisano quale sostenitore del sistema Eliocentrico con la terra girante intorno al sole. Il Cardinale Roberto Bellarmino, già giudice nel processo contro Giordano Bruno frate domenicano eretico, scrisse una risposta alla lettera inviata dal teologo carmelitano Paolo Antonio Foscarini, il quale voleva mettere a confronto i Pitagorici, Copernico, Galileo Keplero e gli accademici dei Lincei con le sacre scritture, cercando di far coincidere quello he affermava la Bibbia con la teoria copernicana in modo tale che non contraddiceva affatto tutto quello che fino allora era stato messo in discussione. Il Cardinale diceva che sarebbe stato possibile reinterpretare i passi contraddicenti l’Eliocentrismo solamente con una dimostrazione di quanto asserito non accettando gli argomenti portati da Galileo. Sosteneva di non aver ricevuto nessuna spiegazione in merito, in caso di dubbio faceva testo quanto era affermato dalle scritture, dove si parla di Giosuè che abbia ordinato al sole di fermarsi, per completare l’inseguimento dei nemici Amorrei esclamando “Sole fermati in Gàbaon e tu Luna, sulla valle di Aialon”, difendendo la teoria della terra al centro dell’universo con tutti i pianeti giranti intorno. Ma Galileo rifiutò l’invito di Bellarmino di sostituire la teoria tolemaica con quella copernicana, definendola una pura ipotesi matematica per salvare le apparenze.
Nel febbraio 1616 il Papa Paolo V ordinò al Cardinale Bellarmino di far arrivare a Roma il Galilei per ammonirlo e convincendolo ad abbandonare le sue opinioni sul sistema eliocentrico, in caso di mancata obbedienza “Il Padre Commissario davanti a un Notaio e testimoni , di fargli il precetto di abbandonare quella dottrina e non insegnarla non difenderla”. Nello stesso anno venne messo all’indice il “De Revolutionibus” di Copernico. Bellarmino volle dare una mano a Galileo con una dichiarazione in cui non c’erano abiure, confermando il divieto a sostenere le tesi copernicane. Questa dichiarazione, gli onori e la buona accoglienza, diedero a Galileo la falsa illusione che a lui fosse consentito quello che agli altri era vietato.
Nell’autunno del 1618 apparvero nel cielo tre comete, questo evento attirò l’attenzione degli astronomi di tutta l’Europa. Il gesuita Piero Grassi matematico del Collegio Romano, tenne una lezione con il titolo “Disputatio astronomica de tribus cometis anni MDCXVIII”, derivata dalle sue osservazioni, dichiarando che le comete fossero corpi situati “Oltre il cielo della luna”, sostenendo il modello di Tyco Brahe per il quale la terra è il centro dell’universo. Galileo rispose per difendere il modello Copernicano, con uno scritto del suo discepolo Mario Guiducci astronomo amico e confidente con “Il discorso sulle comete”. In questo scritto il relatore sosteneva erroneamente che le comete non erano oggetti celesti, ma ma effetti ottici della luce solare su vapori provenienti dalla terra. A queste argomentazioni il Grassi rispondeva con il falso nome di Lotario Sarsi, attaccando il Galilei e il copernicanesimo. Lo scienziato non rispose a questa lettera, lasciò passare del tempo preparando il trattato “Il Saggiatore”, approvato e pubblicato a Roma dalla Accademia dei Lincei. Fine 5° parte
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Carriera di Galileo Galilei 4° parte
1° parte 2° parte 3° parte Iniziano i contrasti con il Collegio Romano e i Gesuiti
A quei tempi nel Collegio Romano e i docenti Gesuiti erano le maggiore autorità scientifiche nel campo della nascente astronomia, a loro Galileo presentò le scoperte. In un primo tempo fu bene accolto a Roma dal Papa Paolo V, dai Cardinali Francesco Maria del Monte e Maffeo Barberini. Il Principe Federico Cesi lo ammise alla Accademia dei Lincei da lui fondata. Lo scienziato volle scrivere al segretario del Granduca Belisario Vinta della benevola accoglienza ricevuta alla corte papalina dai Gesuiti, delle loro continue informazioni sui nuovi satelliti di Giove dedicati ai Medici e considerando giuste le loro osservazioni. Nell’aprile del 1611, il Cardinale Roberto Bellarmino, chiese ai matematici vaticani di farli un resoconto sulle scoperte fatte da “un valente matematico per mezzo di uno strumento chiamato cannone ovvero cannocchiale e alla Congregazione del Santo Uffizio di informarsi se nella città di Padova, ci fosse aperto qualche provvedimento a carico dello scienziato. La Curia Romana iniziava a intravedere quali conseguenze avrebbe avuto quelle scoperte sui principi della Teologia allora conosciuta e considerata indiscutibile.
Nel 1612 Galileo scrisse “Discorso intorno alle cose che stanno sull’acqua, o che in quella si muovono”, descrivendo la teoria di Archimede che dimostrava contrariamente a quanto sosteneva Aristotele: “I corpi galleggiano o affondano nell’acqua per il loro peso specifico e non per la loro forma”. A questo scritto rispose polemicamente l’aristotelico fiorentino Lodovico delle Colombe con: “Discorso apologetico intorno al Discorso di Galileo Galilei”, spiegando che la nuova Stella apparsa nel 1604 nel segno del Sagittario “Non era né Cometa, né Stella generata, o creata di nuovo, né apparente, ma una di quelle che furono in cielo nel principio e ciò essere conforme alla vera Filosofia, Teologia e Astronomiche demostrazioni”. Nel mese di ottobre seguente, lo scienziato pisano, a palazzo Pitti, davanti al Granduca Ferdinando II, Cristina di Lorena sua moglie e il Cardinale Maffeo Barberini suo grande estimatore, con una pubblica dimostrazione sperimentale confutò quanto asserito dal delle Colombe.
Le sue osservazioni sulle macchie solari quando era ancora a Padova, furono in seguito pubblicate a cura dell’Accademia dei Lincei con il titolo “L’istoria e dimostrazione intorno alle macchie solari e i loro accidenti”. Questa era una risposta per i dubbi sollevati dal Gesuita tedesco Christofh Scheiner, il quale asseriva che le macchie solari altre non erano sciami di astri rotanti intorno al sole. Galileo invece le considerava materia fluida della superficie solare. Osservando le macchie solari Galileo scoprì la rotazione dell’astro solare e si rivolgesse “In se stesso in un mese lunare come gli altri astri”. L’asserzione della rotazione del sole e degli altri pianeti era molto importante. Inoltre scoprendo le fasi dei pianeti Venere e Mercurio, dimostrò l’incompatibilità del sistema geocentrico di Tolomeo, ma verosimilmente il sistema eliocentrico copernicano dell’astronomo danese Tycho Brahe. Nel Gennaio del 1611 scrisse all’Arcivescovo Giuliano de Medici, affermando che “Venere e Mercurio si volgono intorno al sole e tutti gli altri pianeti, cosa creduta da tutti i pitagorici, Copernico, Keplero e me, ma non sensatamente provata come era in Venere e Mercurio”. Negli anni seguenti lo scienziato difese il modello eliocentrico spiegando quello che aveva visto con il suo cannocchiale. Scrisse quattro “lettere copernicane” dirette al padre Benedetto Castelli matematico e fisico, due al Monsignor Pietro Dini membro dell’Accademia della Crusca e due alla Granduchessa madre Cristina di Lorena. Fine 4° parte
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Carriera di Galileo Galilei 3° parte
1° parte 2° parte Le modifiche al cannocchiale
I timori degli scienziati svanirono quando, nel 1609 Galileo apportò modifiche al cannocchiale fino a l’ora usato. In Olanda nei prmi anni del 1600 furono costruiti i primi cannocchiali, con un piccolo tubo di ottone o di piombo. Ad una estremità era inserita una lente convergente, come quella usata negli occhiali da presbite detta lente “oggettiva”, mentre all’altra estremità era inserita una lente divergente, come quella usata per gli occhiali da miope detta “oculare”. Questi strumenti ingrandivano gli oggetti lontani osservati appena due o tre volte. Galileo, in un tubo di piombo principale a due sezioni minori, ne inserì una per l’obiettivo l’altra per l’oculare, una con faccia piena e l’altra sfericamente concava. Per riuscire a migliorare questo dispositivo combinò più lenti fino ad ottenere 30 ingrandimenti. Provando questo nuovo strumento, si accorse di vedere gli oggetti lontani più vicini e più grandi, visti con i suoi occhi. Presentò questa novità al governo di Venezia che si dimostrò molto interessato, tanto da raddoppiarli lo stipendio e un nuovo contratto per l’insegnamento. Puntando verso il cielo questo nuovo cannocchiale, scoprì più stelle di quelle che si potevano osservare ad occhio nudo. Con queste osservazioni poté vedere per la prima volta la grandezza dell’universo. Dimostrò inoltre che non c’era differenza fra la Terra e la Luna, provando che il nostro satellite non era liscio e levigato come si era creduto fino ad allora ma roccioso e con protuberanze. Smentì la visione aristotelica e tolemaica afferenti il contrario, dimostrando il movimento del nostro satellite intorno alla Terra e questa intorno al Sole.
La sua bravura nello stilare oroscopi era riconosciuta e apprezzata dai richiedenti, tanto da fargli avere sostanziose somme da Cardinali, Principi e patrizi, fra i quali annoverava il Cardinale Giovan Francesco Sagredo, suo corrispondente nelle lettere che si scambiavano reciprocamente e il Cardinale Gianfrancesco Morosini. Tenne una corrispondenza epistolare con l’astrologo di corte del Granduca di Toscana Cosimo II: Raffaello Gualterotti. Fra gli oroscopi natali calcolati e interpretati da Galileo spiccano quelli delle sue figlie Livia e Virginia, avute dalla sua convivente Marina Gamba conosciuta durante la sua permanenza a Padova. La chiesa era, ed è contraria agli oroscopi, queste arti sono in contraddizione con ciò che professa il cristianesimo con rispetto e timore verso Dio. Con le osservazioni del cielo con il nuovo cannocchiale, scopre i satelliti di Giove, da lui chiamate stelle medicee in onore del Granduca Cosimo II de Medici. Nel 1610 pubblica un libro con le sue scoperte con il titolo: “Sidereus Nuncius”, e per guadagnarsi la stima della casa regnante in Toscana, ne invia una copia al Granduca, accompagnato da un esemplare del cannocchiale e la dedica dei quattro satelliti scoperti battezzati “Cosmica Sidera” in seguito chiamati “Medicea Sidera”. Fine 3° parte
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Carriera di Galileo Galilei 2° parte
1° parte 2° parte Mentre insegnava all'università di Pisa morì nel 1591 il padre Vincenzo, lasciando a lui l'onere di provvedere al mantenimento della famiglia. Per la dote dovuta per i matrimoni delle sorelle Virginia e Livia, contrasse debiti e altri ne farà in seguito per aiutare la famiglia del fratello Michelangelo liutaio, morto alla corte di Monaco di Baviera nel gennaio 1631 avanti alle feste dell'Epifania.
Scaduto il contratto con l'ateneo pisano Galileo, si rivolse nuovamente al matematico e filosofo Guidobaldo del Monte, per farsi raccomandare al prestigioso studio di Padova. La raccomandazione del conoscente andò a buon fine, il 16 settembre 1592 venne emanato il tanto bramato decreto per svolgere l'insegnamento. Il contratto doveva avere la durata di quattro anni rinnovabili. Rimase in quello Studio per diciotto anni, periodo da lui definito "il migliore della vita mia". Durante la sua permanenza a Padova ebbe l'occasione di avvicinarsi a personalità di orientamento filosofico e scientifico molto lontano dal suo. Questo confronto era relativo alla tolleranza religiosa che si respirava nella Repubblica di Venezia. Riuscì ad accedere a circoli colti e raffinati e ambienti dove si trovavano Senatori veneziani. divenne amico del nobile Giovanni Francesco Sagredo sperimentatore interessato alla fisica, incontrato al circolo intellettuale il "ridotto Morosini", diventato protagonista nel "dialogo sopra i massimi sistemi". Conobbe il frate servita Paolo Sarpi teologo, esperto in matematica e astronomo. Di questa conoscenza si trova notizia nella lettera al frate sulla formulazione della "caduta dei gravi". Oltre ad insegnare all'ateneo padovano, tenne lezioni di matematica tenendo conto delle "Questioni meccaniche" di Aristotele. Da queste lezioni trasse un libro pubblicato a Parigi "Trattato di meccaniche". Nell'abitazione padovana aveva un laboratorio, dove con l'aiuto di un conoscente un artigiano un certo Marcantonio Mazzoleni, teneva lezioni, compiva esperimenti e costruiva i nuovi strumenti, venduti per incrementare le entrate. Fabbricò una macchina per portare l'acqua ai piani alti delle case. Il senato della Serenissima gli assegnò un brevetto ventennale per l'utilità dell'invenzione. In oltre dava lezioni private ad allievi provenienti dalla nobiltà: Vincenzo Gonzaga, il principe d'Alsazia Giovanni Federico e i futuri Cardinali Guido Bentivoglio e Federico Cornaro.
Avvenne nel 1604 il passaggio di una nuova stella osservata dal religioso frate minore Ilario Altobelli, dopo averla studiata, ne parlò con Galileo. Nello stesso anno venne vista da Giovanni Keplero (Johannes Kepler) astronomo e astrologo tedesco, il quale dopo due anni pubblicò un libro con il risultato “De stella nuova in piede Serpentari” con i suoi studi sulla “Supernova” oggi chiamata “Supernova Keplero” Galileo, tenne tre lezioni sull’argomento nelle quali sosteneva che la stella dovesse essere inserita fra quelle fisse, andando contro il dogma della chiesa: nel cielo, il numero delle stelle era immutabile. Mentre la scoperta della stella rappresentava la mutabilità del cielo. Dopo aver scritto due trattati sulle opere di fortificazione: la breve introduzione alla Architettura militare e il Trattato di fortificazione sullo stesso argomento. Costruì un compasso spiegandone il funzionamento nel libretto: Le operazioni del compasso geometrico militare, pubblicato in Padova e dedicato a Cosimo de’ Medici. Per realizzazione di questo strumento , fu accusato di plagio da Baldassarre Capra, allievo dell’astronomo tedesco Simon Marius, il quale dichiarava di essere l’autore della invenzione da lui fatta tempo prima. Lo scienziato pisano controbatté alle accuse con una: Difesa contro le calunnie e le imposture di Baldassarren Capra milanese. Per la sua difesa ottenne dai riformatori dello Stato padovano che l’accusatore subisse una condanna per calunnia.
Con l’apparizione della Supernova era aumentata la superstizione. Galileo approfittò di quella occasione facendo oroscopi personali al prezzo di 60 veneziane. Nell’anno 1604, un suo collaboratore lo denunciò all’inquisizione padovana, per aver compilato oroscopi e avere affermato che gli astri influivano le scelte dell’uomo. Ma il Senato veneziano ritenne di insabbiare la denuncia non facendola arrivare a Roma al Sant'Uffizio, anche perché lo scienziato, aveva fatto oroscopi natali e non personali, come sosteneva il denunciante. Nella polemica sul copernicanesimo, aveva espresso in privato allo scienziato tedesco il suo appoggio sull’Eliocentrismo. Keplero, aveva dato alle stampe lo scritto “Prodromus dissertationum cosmograficum, sul quale aveva scritto argomentazioni, e controbattuto a tesi avverse, affermando di temere di essere denunciato all’inquisizione. Pertanto ad esempio di quello che aveva fatto Copernico, il quale per non rispondere alle accuse dell’astronomo alchimista Ticho Brahe assertore del sistema Geocentrico, perplesso su tali affermazioni copernicane mancando una spiegzione fisica. Galileo non assumeva atteggiamenti rivoluzionari, né con la condotta della sua vita privata né con le sue opere, sempre sotto l’occhiuta attenzione dell’inquisizione. Diede alle stampe un com pendio con sette assunti il “De revoluzionibus, nel Nicolai Copernici de hippothesibus motum coelestum a se constitutitùs commentariolus”. Un libretto satirico anonimo in dialetto “pavan” (antico dialetto parlato nella provincia veneta) venne pibblicato a difesa della teoria dello scienziato dal titolo “Dialogo de Cecco di Ronchitti da Brusone, a proposito de la Stella Nuova” a difesa del metodo usato per scoprirla, Lo scritto non è stato attribuito a nessuno, qualcumo vi ha riconosciuto lo stile del Galilei, altri hanno individuato l’autore nell’allievo Girolamo Spinelli benedettino, ma non ci sono prove certe. Fine 2° parte
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Carriera di Galileo Galilei 1° parte
Questo scienziato anche se non fiorentino, con i suoi studi e le sue scoperte ha dato fama alla nostra città. Galileo, venne alla luce a Pisa nel 1564, era figlio di Vincenzo Galilei e di Giulia Ammannati. Suo padre Vincenzo era musicista e teorico della musica, commerciante per arricchire le entrate familiari. Giunto Galileo all'età scolare, il padre cercò di inserirlo nella lista dei giovani toscani accolti gratuitamente in un convitto pisano. Ma il tentativo non andò a buon fine. Venne ospitato senza spesa da un amico del padre tale Muzio Tebaldi doganiere in Pisa. Era tanto introdotto nella famiglia da farsene carico quando Vincenzo era via per lavoro. In casa Tebaldi il giovane Galileo conobbe una sua cugina Bartolomea Ammannati la quale si occupava della casa essendo Muzio rimasto vedovo. Malgrado la differenza di età nel 1578 Muzio e Bartolomea si sposarono per mettere fine alle dicerie che giravano sulla giovane cugina che creavano imbarazzo alla famiglia Galilei.
Il giovane iniziò i suoi studi a Firenze sotto la guida del padre, in seguito venne istruito da un maestro di didattica (metodo argomentativo della filosofia). Entrò nel convento di Santa Maria di Vallombrosana (abbazia Vallombrosana) vestendo fino a 14 anni l'abito di novizio.
Nel 1580 suo padre lo iscrisse all'università di Pisa alla facoltà di Medicina per prendere la laurea e diventare famoso come il suo antenato Galileo Bonaiuti, anche per guadagnare molti soldi e rimpinguare la cassa familiare. Ma il figlio ben presto fu attratto dalla matematica, sotto la giuda di Ostilio Ricci da Fermo conosciuto durante la permanenza a Firenze. Costui era un seguace della scuola di matematica di Niccolò Tartaglia, metodo usato per l'insegnamento della matematica presentandola come una scienza astratta ma un sistema per risolvere i problemi della meccanica e le tecniche ingegneristiche. Gli studi del duo Ricci - Tartaglia seguivano la tradizione degli studi del matematico siceliota Archimede. Il maestro insegnò a Galileo l'importanza dell'osservazione dei dati e la pragmaticità della ricerca scientifica. Sembra ma non ci sono prove che, durante gli studi pisani, abbia seguito le lezioni di fisica dell'aristotelico Francesco Buonamici. Dopo pochi anni il giovane cessò gli studi di medicina, si trasferì a Firenze, approfondendo gli studi di meccanica e idraulica. Nel 1586 risolse il problema della Corona di Gerione inventando uno strumento per la determinazione idrostatica del peso specifico dei corpi, scoprendo che la corona era un falso.
Gli insegnamenti del Ricci e gli studi di Archimede, gli servirono negli studi sul centro di gravità dei solidi. Durante l'insegnamento a Pisa fece una importante scoperta relativa all'oscillazione del pendolo.: l' "isocronismo" (dal greco isos - uguale + chronos = Tempo). La tradizione vuole che Galileo, mentre si trovava nel Duomo di Pisa ad assistere ad una messa, si mettesse ad osservare un lampadario oscillante. Con un metodo empireo, mise a confronto i battiti del cuore con le oscillazioni del lampadario, appurando che le oscillazioni avevano la stessa durata, anche quando diminuivano di ampiezza. Per avere regolari entrate economiche, cominciò a dare ripetizioni di matematica durante la sua permanenza a Firenze e a Siena. Si recò a Roma per farsi raccomandare per poter accedere allo Studio di Bologna dal famoso matematico del suo tempo Cristoph Clavius, ma malgrado questo appoggio, non venne scelto. La cattedra di matematica fu assegnata al padovano Giovanni Antonio Magini. Approfittando della conoscenza con l'influente matematico Guidobaldo del Monte e del fratello Cardinale Francesco Maria del Monte, venne presentato al Granduca Ferdinando 1° de Medici, il quale lo prese sotto la sua protezione. Grazie a lui ebbe un contratto triennale all'Università pisana, per la cattedra di matematica. Fine 1° parte
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: quarta parte
Prima parte Seconda parte Terza parte DA UN SUCCESSO ALL'ALTRO ANCHE SE OSTEGGIATO DAL GOVERNO ITALIANO QUARTA PARTE
Il Capitano dei Monument men Keller, ricevuta la confidenza del Generale Karl Wolf, avvisò il mio ufficio e ci mettemmo alla ricerca. Quando vedemmo tutti quei capolavori il capitano si commosse fino alle lacrime, davanti a noi avevamo i dipinti dei più grandi artisti del Rinascimento: Michelangelo, Tiziano, Botticelli, Caravaggio, Lorenzo Lotto, Cranach, Rembrandth e Tintoretto. Il maltolto fu riportato a Firenze alla Galleria degli Uffizi. Quando arrivai in Piazza della Signoria fui ricevuto dalle autorità e dal Sindaco Mario Fabiani sull'arengario di Palazzo Vecchio fra gli squilli delle chiarine della Famiglia di Palazzo. Questo grande ritrovamento fu un successo enorme, ebbe ripercussioni sulla sua carriera? Avevo tutti i requisiti per essere promosso Direttore di quarto grado , ma per la mia adesione al passato regime, tutto si bloccava. Il mio ufficio romano si trovava in via degli Astalli numero 3 in palazzo Venezia. Vi affluiva tutto quello che veniva recuperato, prima di essere riportate ai musei dove erano state sottratte. Confesso una mia vanità. Mi facevo fotografare davanti alle opere. la mia squadra era formata da poche persone fidate, fra le quali emergeva per le sue innate capacità il mio più fidato collaboratore Vincenzo Colella. Nel 1949 riuscii a recuperare trentanove capolavori ceduti ai tedeschi durante il regime. Tra loro si trovava il già citato discobolo Lancelotti e altre opere di inestimabile valore. Tutto questo accrebbe la mia popolarità malgrado l'ostracismo della politica. negli anni seguenti in Palazzo Venezia, allestii una mostra dei capolavori rientrati in Italia. In seguito venne replicata a Firenze in Palazzo Vecchio. Riuscì in seguito a far riconoscere il suo lavoro dal governo italiano?
Rodolfo Siviero Con la mia abilità diplomatica, feci raggiungere un accordo fra l'Italia e la Germania per la restituzione dei capolavori asportati e ancora nelle loro mani. L'accordao fu firmato dal Canceliere Konrad Adenauer e il Presidente del Consiglio del governo italiano Alcide de Gasperi a Palazzo Chigi. Finalmente venne riconosciuto tutto quello che avervo fatto per l'arte italiana. Ebbi la nomina a Ministro Plenipotenziario e il mio ufficio passò dal Ministero dell'Istruzione a quello degli Affari Esteri. Purtroppo il Senato che doveva emanare il decreto per il finanziamento delle mie imprese bloccò tutto rinviando tutto per due anni, fermando di fatto l'attività del mio ufficio. Intanto le trattativie per la restituzione andarono avanti per sette anni. Purtroppo questa operazione rischiò di saltare per i miei atteggiamenti verso i tedeschi. Scientemente evitai di invitarli ad una mostra di capolavori recuperati ed esposti a Palazzo Borghese. Con questo ostracismo verso i tedeschi rischiai di far saltare l'accordo raggiunto anni prima. Cosa fece continuare con la loro collaborazione? Mi diedi una calmata e con l'accordo stipulato nel 1953, riuscii a riportare in Italia 40 opere. Ne mancavano ancora alcune centinaia fra le quali spiccavano autori come: Michelangelo, Mario Ricci, Tiziano, Raffaello e Canaletto, varie sculture greche romane, violini di Stradivari, mobili e manoscritti. Pertanto continuai le mie spedizioni nella Germania Democratica e in Russia. Ma riuscii a rintracciare solo alcune opere, così decisi di tornare nella Germania comunista. Andare nella Repubblica Democratica Tedesca era diventato complicato. era stato costruito un muro di confine, per reiterate fughe dei berlinesi all'ovest. Il muro sarebbe rimasto in piedi fino al 1989, quando fu distrutto da una folla festante. Oltre tutto venivo sorvegliato per tutto il mio soggiorno dalla polizia Stasi.
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: terza parte
Prima parte Seconda parte
Rodolfo Siviero TRAFUGAMENTO DA PARTE DEI NAZISTI DEI NOSTRI TESORI MUSEALI. Come si organizzò per recuperare le opere d'arte? Ero riuscito a formare un gruppo di partigiani addestrandoli a seguire le tracce delle sparizioni dai musei e collezioni private insegnando loro la Storia dell'Arte italiana in modo che potessero riconoscerli a prima vista. Travestiti da Ufficiali Repubblichini, riuscirono ad evitare che gli invasori si impossessassero dei quadri del pittore Giorgio De Chirico. In accordo con la Soprintendenza riuscirono a salvare l'Annunciazione del Beato Angelico dal Monastero di San Giovanni Val d'Arno, sulla quale aveva posto gli occhi niente meno che Herman Goering, voleva portarla in Germania per salvarla, quando si sapeva che sarebbe finita nella sua collezione privata. Tutto quello da portare via veniva deciso dalla Wermacht, con la scusa di salvare le nostre opere dai bombardamenti degli alleati, invece quello che veniva razziato veniva trasportato in Germania o in altri luoghi segreti. Mi dica come faceva ad organizzarsi per giungere prima dei nazisti e portare in salvo quello che volevano portare via. Oltre ai partigiani da me addestrati partecipavo di persona specialmente nelle missioni più difficili. Nella mia abitazione raccoglievo tutte le informazioni utili provenienti da ogni parte, specialmente quando e dove si tenevano le aste pubbliche e private. Tutte queste notizie sono state da me archiviate e si trovano in questa casa. Nel mentre i nazisti svuotavano i magazzini dei musei dove venivano conservati dipinti, statue e altre opere. Intanto l'intelligence americana stava all'erta per sapere, e vi riuscivano, il trafugato, il tutto veniva girato a me. Quando lei venne liberato dalle grinfie della Banda Carità, riuscì a raggiungere gli americani?
Dopo varie vicissitudini, giunsi sul Monte Amiata, fui aiutato dai partigiani a raggiungere gli alleati a Roma ed entrare in contatto con i Monument Men. Rientrai a Firenze nell'agosto del 1944, con la città liberata dai nazifascisti, tornai in questa abitazione a riprendere la mia attività clandestina. Mi racconti dei trafugamenti più consistenti, e il loro recupero. La Divisione Herman Goering nell'ottobre del 1938, venne a conoscenza del trasporto dei capolavori dei musei napoletani all'Abbazia di Monte Cassino, per portarli in seguito nei Musei Vaticani dove sarebbero stati al sicuro. Riuscirono ad infiltrassi e ad organizzarne il trasporto. All'arrivo dei camion caricati a Napoli, ne mancavano due, gli alleati scoprono tramite i loro informatori che erano stati inviati in Germania. Io stesso partecipai al recupero del mal tolto. Venne mai osteggiato nella sua attività di recupero?
Ero riuscito a collaborare con il servizio d'informazione degli alleati presenti in Firenze, ricevendo da loro una tessera di riconoscimento, ma per essere stato in gioventù fascista ero visto con sospetto. Gli americani fecero su di me una investigazione segreta, per sapere se ancora condividevo le idee del fascismo. Come era visto dagli antifascisti italiani? Anche loro mi guardavano con sospetto. Per via del mio carattere scontroso ero inviso a molti. Il più accanito era Carlo Ludovico Ragghianti, mio avversario durante la lotta partigiana. Con insistenza andava chiedendo la chiusura dell'Ufficio Reuiperi aperto il primo di aprile 1946, di cui ero il Capo Ufficio. Mi parli dei suoi recuperi più clamorosi. Venni a conoscenza dei nascondigli in Alto Adige, luogo ritenuto ospitale e sicuro anche per la vicinanza alla Svizzera, dove i tedeschi avevano ammassato i tesori ai Musei degli Uffizi. Erano nascosti a Bolzano precisamente a San Leonardo e Campo Tures, nell'ex palazzo di giustizia del castello. La soffiata era stata fatta nientemeno da Karl Wolf Generale delle SS e proconsole in Italia del dittatore tedesco, con questa confessione trattava con gli americani per salvarsi. Queste opere erano state portate via da Firenze con la scusa di salvarle dai bombardamenti, erano li in attesa di essere trasportate in Germania, per finire nelle collezioni private di Hadolf Hitler e Herman Goering.
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: seconda parte
Da spione a spiato - Inizio collaborazione con antifascisti Come mai era diventato un sovversivo da tenere sotto controllo, spiato e pedinato dal regime? La colpa maggiore per il partito fascista, era la mia amicizia con il collezionista e critico dell'arte di origine ebrea Giorgio Castelfranco, questo non era visto di buon occhio. Oltretutto durante le mie frequentazioni alla sua abitazione ebbi la fortuna di incontrare Giorgio de' Chirico e Pietro Annigoni anche loro considerati vicino agli anti fascisti.. Queste amicizie fecero nascere in me la voglia di collezionare opere d'arte. Intanto in Germania era iniziata la soluzione finale, ovvero lo stermino degli ebrei e la confisca dei loro averi. Il genocidio di questo popolo conobbe il suo culmine nel 1942 alla famigerata conferenza di Wannsee e in Italia? Dopo l'alleanza con i tedeschi Mussolini, per entrare nelle grazie di Adolf Hitler, emanò le famigerate Leggi Raziali, firmate dal re Vittorio Emanuele II. La politica antiebraica del dittatore nazista del 1938, inizio ad espandersi in Italia con la conseguenze note. Il Castelfranco venne costretto a lasciare il lavoro e in seguito nel 1942 ad espatriare. in quel triste frangente mi vendette questa abitazione, ne feci la centrale del mio nucleo operativo Come iniziò la sua carriera di recupero dell'arte trafugata? L'armistizio firmato con gli alleati Anglo Americani a Cassibile in Sicilia, colse tutti di sorpresa con le conseguenze che sappiamo. Fu allora che decisi apertamente di schierarmi con gli antifascisti. Iniziai a monitorare l'attività del corpo militare tedesco con il nome di copertura Kunstchutz, nato per salvaguardare la nostra arte, in realtà con il permesso dei funzionari del Ministero, depauperavano apertamente il nostro patrimonio culturale portavano i nostri capolavori in Germania, per musei e collezioni private.
In quel frangente la mia attività di recupero ebbe un grave colpo. Nella primavera del 1944 fui arrestato dai componenti della famigerata banda di torturatori fascisti guidata dal temutissimo Mario Carità. Per mia fortuna la voce della mia cattura arrivo agli orecchi di alcuni alti ufficiali della Repubblica di Salò, anche loro in contatto con gli alleati, riuscirono a togliermi dalle mani di quegli assassini. Una bella fortuna l'amicizia con quegli alti ufficiali che si era fatto in precedenza e dalle quali non era stato abbandonato. La prego continui, la sua avventurosa vita mi affascina! Con la liberazione del Sud Italia dagli alleati, ci fu il ritorno a Roma del re, fuggito a Bari, i Ministeri ripresero il loro lavoro, anche per il il ritorno di molti funzionari espatriati o imprigionati essendo anti fascisti. Anche lo storico dell'arte Giorgio Castefranco poté rientrare alla sovraintendenza medioevale e moderna della Toscana nel 1946. Sotto la mia direzione collaborò alla Missione Italiana con l'aiuto dei Mount Men americani al recupero delle nostre opere d'arte vendute e regalate in Germania, Come detto in precedenza con il tacito assenso del gerarchi Fascisti, Malgrado le leggi di tutela dal Ministro Fascista Giuseppe Bottai. Riuscii a riportare in Italia insieme ad altre opere trafugate la statua detta Discobolo "Lancelotti", copia dell'originale greco del Discobolo di Mirone scultore greco.
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: prima parte
Rodolfo Siviero Intervista impossibile a Rodolfo Siviero, figura molto discussa, ricordato per aver revuperato e riportato in Italia opere d'arte trafugate dai Nazisti, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Tempo fa ho deciso di andare a visitare il museo dello 007 dell'arte Rodolfo Siviero. Nel Lungarno Serristori si trova un villino il cui proprietario collezionista e storico dell'arte ebreo Giorgio Castellano vi abitava insieme alla moglie Matilde Forti e il figlio Paolo. Questa abitazione venne acquistata dal Siviero dal figlio Paolo, dopo le leggi raziali emanate dal governo italiano. Ne fece la base di partenza per i suoi viaggi per il mondo a recuperare le opere d'arte portate via o acquistate dai Nazisti per le collezioni private di Hadolf Hitler e Herman Goering. Vi abitò fino alla morte facendone un museo lasciato per disposizione testamentaria alla Regione Toscana affinchè lo mantenesse e lo aprisse al pubblico per le visite. Mentre giravo per le stanze del piccolo museo, mi sono imbattuto in un elegante signore di circa 72 anni seduto ad una scrivania, mentre guardava con una lente di ingrandimento un quadro disteso sul piano. Mi sono fermato a guardare il suo lavoro. L'uomo sentendosi osservato , ha interrotto il suo lavoro e mi ha apostrofato: Desidera? Sono rimasto impietrito e ho farfugliato: Bu buon giorno, sta restaurando quel quadro? No sono il padrone di casa e di tutto quello che c'è dentro. Mi chiamo Rodolfo Siviero, e lei? Piacere, mi chiamo Alberto Chiarugi, sono venuto vedere la sua collezione di quadri e statue e se lei permette vorrei farle alcune domande sulla sua vita e l'attività di recupero. Una amichevole intervista da pubblicare sulla Rivista Fiorentina FlorenceCity. Va bene acconsento, le racconterò la mia avventurosa vita. Prego, inizi pure.
Mi chiamo Rodolfo Siviero, sono nato nel paese di Guardistallo nella Maremma pisana la viglilia del Natale del 1911, sono figlio di un sottufficiale dei Reali Carabinieri e della senese Caterina Bulgherini. Ho anche una sorella Imelde detta Rina più piccola. Giunsi con la mia famiglia a Firenze nel 1924, dove mio padre era stato trasferito. La mia carriera scolastica non era molto brillante, non ho mai preso un diploma. iniziai anni dopo a seguire corsi umanisti universitari. All'epoca mi consideravo un Don Giovanni, mi iscrissi come tanti italiani al Partito Fascista. Ero un grande idealista, amante dell'arte e poeta. Ho collaborato al giornale del Partito Fascista. Anni dopo sono entrato in contatto con gli intellettuali frequentanti il bar delle Giubbe Rosse, grazie a queste conoscenze iniziai a lavorare per alcune testate giornalistiche come critico artistico e letterario. Nel 1936 sono riuscito a pubblicare dall'editore Le Monnier una raccolta di liriche da me scritte dal titolo "La Selva Oscura". Così lei aveva realizzato il sogno di diventare poeta. Continui, la sua vita incomincia ad interessarmi. Conoscevo e parlavo correntemente diverse lingue straniere, riuscii ad entrare in contatto con alte cariche del Partito. Era mia intenzione di fare la carriera diplomatica o entrare a far parte di istituti di cultura italiani. Dopo un anno, il Servizio Investigativo Militare, mi fece avere una borsa di studio universitaria in storia dell'arte in Germania. In realtà si trattava di una copertura per un incarico di informatore. La missione si svolse nella città di Erfurt dalla fine del 1937 al 1938. L'incarico mi venne assegnato dal Generale Alberto Pariani, sottosegretario alla guerra, responsabile delle azioni segrete. Tutto per raccogliere informazioni sull'annessione dell'Austria al Terzo Reich. La missione in Germania ebbe fine nel dicembre del 1938, fui espulso come persona non gradita. Credevo che il ritorno a Firenze mi avrebbe riservato una accoglienza migliore. Purtroppo veni messo sotto controllo . Il servizio segreto dei fascisti, avevano scoperto che, durante la permanenza in Germania mi ero avvicinato agli alleati e in Italia ai movimenti antifascisti. Fine prima parte
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Provincie e Compartimenti, Distretti e comunità: 2° parte
Segue dalla prima parte
In questa fase vennero soppressi alcuni Comuni, mentre altri furono aggregati a Firenze, i seguenti Comuni: Pellegrino di Careggi. Il nome a questo Comune venne dato quando nella chiesa di Santa Maria del Suffragio nel 1810 si stabilirono i Monaci Ospedalieri di Altopascio, i quali aprirono una magione (magione-magiòne dal latino mansio - soggiorno, dimora, abitazione) per viandanti e pellegrini. Questo Comune venne soppresso nel 1865, passando parte al comune di Firenze, parte ai Comuni di Sesto Fiorentino e Fiesole; i suoi confini erano le mura dall'Arno fino alle Cascine, alla Porta al Prato, Porta San Gallo, percorrendo la via Bolognese dal Ponte Rosso fino al cimitero di Trespiano, includeva l'agglomerato di Canonica di Cercina, la chiesa di San Silvestro, la Quiete fino al torrente Serpiolle. Giungeva a via delle Gore, delle Panche e il Terzolle. Via delle Gore comprendeva le Panche, le tre Pietre, via dell'Olmatello giungendo vicino Peretola e al Mugnone. Il confine del comune di Rovezzano rasentava le mura fiorentine sfiorando la Porta a Pinti proseguiva fino alla Porta alla Croce, arrivando fino all'Arno. Proseguiva fino al Girone giungeva al Poggio alla Croce, poi al torrente Mensola, la via del Guarlone tornando alla Porta a Pinti. Questo Comune nel 1865 venne suddiviso fra i Comuni di Firenze e Fiesole.
Il Comune di Legnaia confinava con le mura cittadine dalla Porta Romana al Ponte Sospeso, seguiva il percorso dell'Arno fino ad incontrare la Greve, dove iniziava il Comune di Casellina e Torri. Costeggiava la Greve fino al Ponte a Greve e da li arrivava a Mosciano, passava sulla via Volterrana andando avanti ancora per un tratto. Superava Giogoli arrivava al Ponte all'Asse, imboccava via delle Campora fino a trornare alla Porta Romana. Questo Comune fu capoluogo dal 1808 al 1865 quando venne diviso fra i Comuni di Firenze, il Galluzzo e Casellina e Torri. LE ULTIME AGGREGAZIONI A FIRENZE
Con le aggregazione del 1865 dei Comuni succitati, il territorio fiorentino rimase invariato fino al 1911, quando venne aggregata una parte del territorio fiesolano. Venivano inglobati i territori da Coverciano alla sinistra di via Faentina arrivando fino al cimitero di Trespiano; una parte del Galluzzo dalle Due Strade elle Cinque Vie, una porzione del Comune di Bagno a Ripoli con la zona di San Miniato fino al Bandino. Rimanevano fuori dal territorio fiorentino il Comune di Brozzi, aggregato che con Regio Decreto del 9 novembre 1891 era entrato a far parte del Mandamento di Sesto Fiorentino insieme ad una parte del Galluzzo, di Casellina e Torri e di Bagno a Ripoli. L'ultimo ampliamento del Comune Fiorentino avvenne, quando il 1° dicembre 1928 sulla "Gazzetta Ufficiale" del Regno d'Italia, con il Regio Decreto-Legge del 1° novembre 1928 n. 2562, si unirono al comune di Firenze alcune frazione dei Comuni limitrofi: Bagno a Ripoli, Casellina e Torri (una parte andò al Comune di Scandicci), Sesto Fiorentino, che perse la zona di Novoli, di Quarto, di Castello, Brozzi e il Galluzzo.
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Provincie e Compartimenti, Distretti e comunità: 1° parte
PROVINCIE Durante il Granducato Lorenese, al tempo, di Leopoldo II° il Governo della Toscana decretò di dividere il territorio granducale, in Compartimenti e Distretti. In un primo momento furono create tre Province: Fiorentina, Pisana e Senese. Successivamente con Motu proprio del Granduca, il I° novembre 1825, venne creta una nuova suddivisione con il nome di Compartimenti: Compartimento di Firenze composto dalle città di; Firenze, Fiesole, Pescia, Pistoia, Prato, San Miniato e Volterra. Compartimento di Pisa: Pisa, Livorno, Pontremoli, Piombino e Portoferraio. Compartimento di Siena: Siena, Colle Val d'Esa, Montalcino, Pienza. Compartimento di Arezzo: Arezzo, Chiusi, Cortona, Montepulciano e Sansepolcro. Compartimento di Grosseto: Grosseto, Massa Marittima,, Orbetello e Sovana. Con legge del 2 agosto 1838 venne varata una nuova suddivisione del territorio granducale, suddividendolo in cinque "Governi": Firenze, Livorno, Pisa, Siena, Isola d'Elba. Un'altra modifica si ebbe quando Carlo Ludovico figlio di Maria Luigia di Borbone Parma, cedette al Granduca Leopoldo 2° il ducato di Lucca. Con legge del 9 marzo 1848, furono riesumati i vecchi Compartimenti: Firenze, Pisa, Siena, Grosseto, Arezzo, Pistoia e la nuova acquisizione Lucca. DISTRETTI Per l'amministrazione e per le lezioni, i Compartimenti furono sostituiti dai Distretti formati dalle Comunità. (Nel medio Evo, il Distretto era la circoscrizione territoriale sulla quale il signore fondiario e poi feudale aveva facoltà di coazione su i suoi vassalli e su coloro che vi abitarono e gli erano soggetti. Nel Rinascimento il Distretto era sottoposto all'autorità dei Comuni e delle Signorie. Nel Corteo della Repubblica Fiorentina, vi è rappresentato il Capitano di Guardia del Contado e del Distretto). Mentre agli effetti Governativi e giudiziari furono costituiti i Circondari comprendenti varie Prefetture. Nei Compartimenti vi risedeva un Prefetto, nel Circondario un sotto Prefetto. Il Compartimento fiorentino nel 1848, ai fini governativi e giudiziari comprendeva tre Circondari con 35 Preture. Mentre per il profilo amministrativo e elettorale era suddiviso nei Distretti di: Borgo San Lorenzo, Empoli, San Miniato, Fiesole, Firenze, Figline, Campi Bisenzio, Prato, Rocca San Casciano e San Casciano.
LE COMUNITÀ Nel 1849 Firenze faceva Distretto a se. I confini di allora corrispondevano a quelli attuali. C'erano Altre Comunità non facenti parte del Distretto fiorentino Cioè: Rovezzano appartenente al distretto di Fiesole; Pellegrino appartenente al Distretto di Fiesole; Galluzzo appartenente al Distretto di Fiesole; Brozzi appartenente al Distretto di Campi. Questo assetto amministrativo rimase invariato dal 27 aprile 1859, abdicazione di Leopoldo II°, non subendo modifiche fino al 1865, anno in cui Firenze divenne la capitale provvisoria del Regno d'Italia. Nello stesso anno nel mese di aprile il giorno 27, veniva promulgata una legge con la quale il Comune fiorentino poteva ampliare i suoi confini oltre le mura cittadine inglobando le pendici di Montughi, della Pietra, di Coverciano, verso Varlungo, il Galluzzo, la piana di Legnaia. Segue seconda parte
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Andrea del Castagno, pittore
Andrea del Castagno è stato un grande pittore italiano, nacque nel 1419 in Toscana nell'Alto Mugello nel paese chiamato Castagno Comune di San Godenzo, di cui in seguito lo userà come cognome, facendosi conoscere come Andrea del Castagno. Era figlio di Bartolo di Simone di Bargilla e di Lagia. La famiglia viveva del loro lavoro di contadino. In quel tempo vi furono le guerre fra Firenze e Milano, per l'egemonia del Nord Italia. Nel 1423 Firenze si alleò con la Repubblica di Venezia contro il Ducato di Milano per contrastare l'espansionismo dei Visconti. In seguito si unì con Francesco Sforza contro la crescente minaccia di Venezia. Il pittore per non subire le scorrerie degli eserciti in lotta deve lasciare la sua terra trasferendosi nella fortezza di Belforte. Poterono ritornarci dopo la pace effimera del 1427. E' stato uno dei protagonisti della pittura fiorentina del XV° secolo. Si trova annoverato insieme ad altri artisti presenti in quel tempo a Firenze: Giovanni da Fiesole detto "il Beato Angelico", Filippo Lippi, Domenico Veneziano e Paolo di Dono detto "Paolo Uccello". Il suo stile subì l'influenza di altri due grandi artisti Tommaso di Mone di Antonio Cassai detto "Masaccio" e Donato di Betto Bardi detto "Donatello". Da loro sviluppò la resa prospettica, il chiaroscuro, drammatizzato nei personaggi rappresentati. Andrea arrivò a Firenze nel 1440 sotto la protezione di Bernardetto dè Medci esponente del ramo cadetto della famiglia Medici di Ottajano. E' conosciuto con il soprannome di Andrea degli impiccati, gli fu dato quando ebbe l'incarico di dipingere sulla facciata del Palazzo del Podestà l'immagine dei fuggiaschi Rinaldo degli Albizi e Ridolfo Peruzzi condannati per aver ordito una congiura contro Cosimo "il Vecchio" dè Medici.
Lavorò con Domenico Veneziano insieme a Piero della Francesca e altri assistenti, alla realizzazione degli affreschi andati perduti delle Storie della Vergine, che si trovavano nella chiesa di Sant'Egidio. Per lo Spedale di Santa Maria Nuova realizza una crocifissione e santi, dove nella sua opera si nota un influenza masaccesca. Trasferitosi a Venezia realizza insieme a Francesco da Faenza nell'abside della cappella di San Tarasio, nella chiesa di San Zaccariali affreschi con Dio Padre, Santi e i quattro Evangelisti. Lavora anche nella Basilica di San Marco realizzando i cartoni per i mosaici con le storie della Vergine (Visitazione e morte della Vergine) negli anni 1442/1443. Rientrato a Firenze lavora nel convento delle benedettine di Sant'Apollonia, fra (forse) il 1445 e il 1450, alle scene della passione di Cristo, la Crocifissione, la Deposizione dopo la morte, la resurrezione e l'Ultima Cena. Alcuni di questi affreschi sono stati staccati e conservati nel Museo a lui dedicato nel paese di Castagno Comune di San Godenzo. Gli affreschi rimasti nel luogo in cui sono stati realizzati, sono molto rovinati ma ancora leggibili.
Per la villa del Gonfaloniere di Giustizia Filippo Carducci, dipinge ritratti di uomin e donne illustri. Molti sono stati staccati e conservati al Museo degli Uffizi, mentre altri sono rimasti alla villa. I ritratti sono: Madonna con Bambino Angeli e Adamo ed Eva, un altro di Eva, Davide con ai piedi la testa del gigante Golia e di Pippo Spano. Agli Uffizi è conservato un affresco rappresentante il Vate Dante Alighieri e la Madonna di casa Pazzi facente parte della collezione Contini Bonacossi.
Nel 1455 torna a lavorare per i frati Serviti, alla Basilica della Santissima Annunziata, dipinge degli affreschi con la Trinità, San Girolamo Due Sante San Giuliano e i Redentore. Nella Loggia dei Servi di Maria dove si trova l'Oratorio di San Francesco Poverino, per la confraternita di San Girolamo e San Francesco Poverino in San Filippo Benizi. Per la compagnia del Santo Benizi, realizza una statua in terracotta rappresentante San Girolamo. Per i Duomo di Santa Maria del Fiore, dipinge un monumento equestre dedicato al Capitano della Repubblica nel 1432 durante la battaglia di San Romano Niccolò Mauruzi da Tolentino, accanto a quello dedicato al Capitano John Hawkwood detto "Giovanni Acuto" di Paolo Uccello. Andrea del Castagno morì giovanissimo di peste il 19 agosto 1457 e sepolto nella Basilica della Santissima Annunziata. Il Vasari nel suo capolavoro "Vite" scrisse che Andrea del Castagno aveva ucciso il suo amico e maestro Domenico Veneziano in un impeto di gelosia, ma erano solo chiacchiere raccolte qua e la, con le quali screditò Andrea già morto quando nel 1461 morì Domenico. L'errore che smontò la falsa accusa venne scoperto tempo dopo, quando dai registri mortuari furono trovati un altro Andrea e un altro Domenico, protagonisti di quel delitto di cui era stato accusato l'Andrea pittore.
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Andrea del Sarto, pittore
Andrea Vannucci detto del "Sarto" d'Agnolo, meglio conosciuto come Andrea del Sarto mestiere esercitato dal padre. Non c'è sicurezza sul cognome. A volte si trova scritto Vannucci altre con Vannucchi, ma forse il suo cognome è Lanfranchi, come è scritto in un documento riguardante suo fratello. Vi è scitto: Francesco detto "Spillo" Lanfranchi pittore. Nacque a Firenze nel 1486. Al tempo in cui iniziò il suo periodo di apprendistato come narra nelle "Vite" il Vasari presso una bottega di orafo, presto in quell'ambiente manifestò la sua inclinazione per il disegno. Venne mandato a formarsi nella bottega del pittore Gian Barile. Ma questo dopo poco tempo si accorse di non essere all'altezza delle capacità di Andrea e lo convinse ad andare dal pittore Piero di Cosimo. All'inizio del XVI° secolo nella nostra città si trovavano artisti del calibro di Leonardo e Michelangelo, ai quali si affiancò superandoli in poco tempo. Fu influenzato dal Perugino, Raffaello, Fra Bartolmeo e Mariotto Albertinelli. Abitando in Santa Maria Novella fece amicizia con un altro pittore Francesco di Cristofano detto "Franciabigio". I due giovani nel 1516 aprirono una bottega in piazza del Grano, dopo poco tempo si trasferirono vicino alla Basilica della Santissima Annunziata e come tutti i pittori, per poter lavorare dovette iscriversi all'Arte Maggiore dei Medici e Spezali.
I frati Serviti nel 1509 lo incaricarono di affrescare il Chiostrino dei Voti con le storie di San Filippo Benizzi. Iniziò con i frati un rapporto di lavoro distinato a protarsi nel tempo. Ebbe rapporti di committenza con gli Eremitani Agostiniani di San Gallo e i Benedettini Vallombrosani dove già lavorava il "Franciabigio". Nella loro bottega aprirono la "scuola dell'Annunziata" dove ebbero come discepoli Jacopo Carucci detto "Il Pontormo" e Giovan Battista di Jacopo di Gaspare detto "Il Rosso Fiorentino". Nel 1515 insieme al "Franciabigio" inizia a dipingere un ciclo decorativo delle Storie del Battista al Chiostro dello "Scalzo" nella chiesa della Compagnia dei Disciplinati di San Giovanni Battista detta dello "Scalzo" (durante le processioni il portatore della croce sfilava a piedi nudi), il lavoro venne terminato nel 1526.
Per la chiesa di San Francesco dei Macci, dipinge la Madonna delle Arpie (oggi conservata agli Uffizi), sposa Lucrezia di Bartolomeo del Fede, divenuta in breve tempo la modella delle sue opere. Realizza i dipinti per la camera nunziale Borgherini; Le Storie di San Giuseppe; l'Infanzia, Giuseppe interpreta i sogni del Faraone. Per Francesco I° in Francia realizza molte opere quasi tutte andate perdute, rimane solo "la Carità" conservata nel Museo del Louvre. tornato a Firenze riprende a dipingere al Chiostro dello "Scalzo".
Per la villa Medicea di Poggio a Caiano inizia l'affresco "Il Tributo di Cesare", rimasto incompiuto e finito da Alessandro Allori. Dipinge per i Convento di San Salvi "Il Cenacolo" iniziato nel 1519 e terminato dopo dieci anni nel 1529. Su questo bellissimo affresco c'è un aneddoto che racconta: durate l'assedio di Firenze con l'approssimarsi delle truppe dell'Imperatore Carlo V°, venne deciso di abbattere il convento di San Salvi come era stato fatto con San Gallo e San Giusto. Ma i guastatori incaricati della demolizione, si rifiutarono di abbatterlo colpiti dalla bellezza dei suoi colori. Andrea è ricordato per essere come il più bravo fra i grandi artisti dei suoi tempi. Il Vasari nelle "Vite" lo ricorda cone il "Pittore senza errori", le sue figure erano di somma perfezione, per la capacità di creare composizioni formalmente ineccepibili armoniose e ben bilanciate. Fu un eccellente decoratore di affreschi e autore di bellissime Pale d'Altare e ritratti. Morì di peste causata dall'assedio il 29 settebre 1530, solo e abbandonato dalla moglie.
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Santo Ambrogio Vescovo: seconda parte
Prima parte Seconda parte
Durante il suo episcopato Ambrogio, combatte' l'eresie in special modo quella del monaco teologo Ario. Questo personaggio non negava la Santissima Trinità formata dal Padre dal Figlio e dallo Spirito Santo, ma sminuiva la figura del Figlio subordinandolo al Padre. Il Vescovo confutò con tutte le sue forze questa teoria che poteva minare la credibilità della chiesa. Scrisse molte opere a difesa dei dogmi stessi. Con l'Imperatore Teodosio ebbe molti contrasti nei quali dimostrò la superiorità della dottrina callolica sull'eresia pagana. Il suo prestigio aumentò quando riuscì a convertire alla religione cattolica Santa Agostino, di fede manichea, giunto a Milano per insegnare retorica. Un altro episodio della vita del Santo, nel quale dimostra tutto il suo carisma in uno acceso scontro con Teodosio. Nella città di Callinico un gruppo di cristiani, avevano assalito e distrutto una sinagoga aizzati dal Vescovo locale. L'Imperatore venuto a conoscenza di questo misfatto, obbligò il prelato a ricostruire quanto era stato distrutto con i soldi in suo possesso. Ambrogio venuto a conoscenza di tale ordine, si arrabbiò con Teodosio e lo minacciò se non avesse revocato tale provvedimento, di sospendere ogni attività religiosa. Con questa prospettiva Teodosio, si affrettò a rimangiarsi quanto aveva disposto.
Nell'anno 390 Ambrogio si scontrò nuovamente con l'Imperatore, reo di aver ordinato il massacro della popolazione di Tessalonica, accusata di aver trucidato il comandante del presidio romano. Ambrogio seppe di questa strage e chiese a Teodosio di pentirsi pubblicamente, pena il divieto di ingresso in chiesa per assistere alle funzioni religiose. Ma il reprobo non volle sentir ragione. Resistete sulla sua posizione fino al Natale di quell'anno, quando pentito di quanto aveva fatto, si umiliò davanti al Vescovo chiedendo perdono. Al tempo dell'Imperatore Eugenio usurpatore dell'impero romano.
Alla morte di Valentiniano si era impossessato del trono. Ambrogio sostenitore di Teodosio, prese la decisione di allontanarsi da Milano per no incontrarsi con l'usurpatore. Passò da Bologna e giunse a Firenze, dove convinse i fiorentini ad avere una vita più cristiana. Abitò fuori dalla cinta muraria vicino alla croce ricordante il martirio di San Miniato. Questa croce era posta vicino ad un ansa del fiume Arno, che dava il nome a tutta la zona: Croce al gorgo. Durante la permanenza a Firenze consacrò la chiesa di San Lorenzo è fondò un monastero femminile. Accanto si trova una chiesa che porta il suo nome. In quel luogo sacro, nel 1250, sarebbe avvenuto il miracolo del sangue incarnato. Dopo la battaglia del fiume Frigido fra gli eserciti di Flavio Eugenio e di Teodosio, vi trovò la morte del l'usurpatore e la sconfitta del suo esercito, Ambrogio lasciò Firenze per tornare a Milano dove visse fino alla morte avvenuta avvenuta il 14 aprile 397. Fu sepolto nella Basilica che porta il suo nome. Nel dicembre dello stesso anno venne dichiarato Santo e dottore della chiesa. A ricordo della sua permanenza nella nostra città, il quartiere di Santa Croce, all'incrocio fra Borgo la Croce e via dei Nacci, La Potenza festeggiante della città rossa, vi appose un tabernacoli robbiano, dove il Santo Vescovo è rappresentato benedicente.
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