#AlbertoChiarugi
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jacopocioni · 2 years ago
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Le lapidi di Firenze: seconda parte
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Inferno di Botticelli LAPIDI DANTESCHE Nelle strade del centro di Firenze, si trovano sui muri di palazzi, chiese e case torri delle lapidi dantesche. Vi si leggono incise frasi relative alle tre cantiche della Divina Commedia: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ai primi del Novecento, il Comune di Firenze sentì il desiderio di rintracciare i personaggi e i luoghi descritti nella sua opera. Iniziò una accurata ricerca per trovare il luogo esatto dove apporre le lapidi. La ricerca fu lunga e accurata. Finalmente nel 1907 iniziò l’apposizione nei siti rintracciati: INFERNO - Filippo Argenti, via del Corso dove erano le case degli Adimari; - Guido Cavalcanti, via Calzaioli dove erano le case dei Cavalcanti; - Ponte Vecchio (loggia di Ponte Vecchio), in sul passo d’Arno; - Brunetto Latini, via dei Cerretani (tra il civico 39 rosso e la chiesa di S. Maria Maggiore; - Famiglia Gianfigliazzi, via de’ Tornabuoni (sopra la vetrina del civico 1 rosso); - Dedicata al Battistero di San Giovanni, Piazza San Giovanni (all’esterno del Battistero verso la via Martelli; - Dedicata alla nascita di Dante Alighieri, posta sulla sua casa; - Bocca degli Abati, il traditore di Montaperti, via dei Tavolini. PURGATORIO Citazione di persone del suo tempo, 2^ cantica.  Sono descritti la Basilica di San Miniato al Monte e il ponte Rubaconte, via di San Salvatore al Monte (inizio della scalinata che porta al Piazzale Michelangelo; Piazza Piave (nella torre della Zecca Vecchia), dedicata al fiume Arno; Versi dedicati a Forese Donati, via del Corso (sopra ai civici 13 – 33 rosso); Piazza di San Salvi, dedica a Corso Donati (nel punto dove sostò l’esercito di Arrigo VII; Dedica alla donna angelicata Beatrice Portinari, (sulla destra dell’ingresso del palazzo Portinari – Salviati). PARADISO Elenco delle lapidi tratte dalla 3^ cantica. Dedicati alla città natale del poeta, Via Dante Alighieri alla Badia Fiorentina (sul fianco sinistro della Badia Fiorentina e alla sinistra del civico 1); Dedicati a Bellincione Berti Ravignani, via del Corso (sopra le vetrine del negozio civici 1 e 3 rosso); In questi versi sono ricordati gli antenati del poeta, via degli Speziali (tra la vetrina del civico 11 rosso e il portone del civico 3); Dedicato alla famiglia Cerchi, via del Corso (sopra le arcate del negozio ai civici 4 rosso e 6 rosso); Dedicata alla famiglia dei Galigai, via dei Tavolini (torre dei Galigai vicino al civico 1 rosso); Sulla famiglia degli Uberti, Piazza della Signoria (nel primo cortile di Palazzo Vecchio); Sulla famiglia Lamberti, via di Lamberti (tra le finestre sopra il civico 18 rosso e 20 rosso); Dedicato ai Visdomini, via delle Oche (presso ciò che resta della Torre dei Visdomini, tra i civici 20 r0s e 18 rosso); Famiglia Adimari, via delle Oche, (tra gli archi delle vetrine ai civici 35 rosso 37 rosso); Famiglia Peruzzi col loro simbolo (le sei pere), Borgo dei Greci (a sinistra della porta al civico 29); Famiglia della Bella, via dei Cerchi (all'angolo di via dei Tavolini); Dedicati a Ugo il Grande, via del Proconsolo (sulla facciata della chiesa Santa Maria Assunta); Famiglia Amidei, via Por Santa Maria (presso la torre degli Amidei, sopra al civico 11 rosso); Dedicati a Buondelmonte Buondelmonti, via Borgo Santi Apostoli (Presso le case dei Buondelmonti, sopra le vetrine dinanzi al civico 6); Dedicati alla statua di Marte, causa degli scontri fra Guelfi e ghibellini, distrutta dall’alluvione del 1333. Ubicata dove si trovava la statua, Ponte Vecchio (angolo Piazza del Pesce); Dedicati alla Firenze antica, Piazza della Signoria (nel primo cortile di Palazzo Vecchio); Dedicati al battesimo, Piazza San Giovanni (nel Battistero verso il Duomo); Preghiera dedicata alla Vergine da San Bernardo, Piazza del Duomo.
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jacopocioni · 2 years ago
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Famiglia Aldobrandini
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Aldobrandini antica nobile famiglia fiorentina, trapiantata a Roma nel XVI secolo. In seguito, si chiamarono del Papa, quando Ippolito Aldobrandini da Fano, del ramo proveniente dalle Marche (dove suo padre Silvestro si trovava esiliato con sua moglie, per i suoi sentimenti antimedicei), venne eletto Pontefice nel 1592, con il nome di Clemente VIII. Nel medio Evo, questa famiglia si divise in tre rami: i Bellincioni furono molte volte eletti alle Magistrature della Repubblica Fiorentina. A Firenze ebbe notorietà con Aldobrandino (1388 - 1453, Magistrato dei Priori (1417), fu dei sedici Gonfalonieri di Compagnia dal 1422 al 1453 (Gonfaloniere di Compagnia porta bandiera della Milizia Urbana), dei Dodici Buonomini nel: 1429 – 1436 – 1436 – 1446, commissario a Montepulciano nel 1428, Gonfaloniere di Giustizia della Repubblica Fiorentina nel 1434. Ramo Aldobrandini di Lippo (forse derivati dai Bellincioni); gli Aldobrandini di Madonna dal quale discese Ippolito poi Papa Clemente VIII.  La famiglia attiva in Firenze si arricchì con il commercio. Il mercante Benci Aldobrandini sposò Giovanna “Bugiazza” nata Altoviti, chiamata così per la sua bontà e la dedizione a fare carità (in queste opere pie si unì anche il marito), si guadagnò l’appellativo di “Madonna”. La coppia da sposati, visse nelle case della famiglia in campo Corbolini (l’attuale piazza Madonna degli Aldobrandini), chiamata familiarmente dai fiorentini “Piazza Madonna”.  I due coniugi unirono le loro abitazioni e proprietà. Successivamente ampliate dai loro discendenti fino ad erigere nel XVIII secolo il Palazzo Aldobradini del Papa, ancora oggi esistente. Partigiano dei Medici, fu fra coloro che richiamarono dall’esilio Cosimo, mandatovi da Rinaldo degli Albizzi. Giovanni figlio di Aldobrandino (1422- 1481) tenne la carica di Gonfaloniere della Repubblica nel 1476, distaccatosi dall’appoggiare i Medici, fu costretto a ritirarsi dalla vita politica cittadina. Nel 1480 venne inviato come capitano alla città di Sarzana dove vi trovò la morte. Salvestro (1499 – 1558), studiò legge a Pisa, avversario dei Medici, fu fra coloro che cacciarono Ippolito e Alessandro nel 1527, dando vita all’ultima Repubblica. In quel periodo ricopri la carica di primo Cancelliere alle Riformagioni. Con la caduta della Repubblica e il ritorno dei Medici, nella persona di Alessandro primo Duca, venne arrestato e esiliato a Faenza, da lì nel 1533 venne trasferito a Bibbona, da dove riuscì a fuggire trasferendosi in un primo tempo a Rome in seguito a Napoli.
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Papa Clemente VIII Ippolito Aldobrandini A Napoli nel 1536, si trovava Carlo V, ospite del Viceré Don Pedro di Toledo. Si unì ad altri fuorusciti fiorentini nell’ambasceria presso l’Imperatore, per perorare le sorti della loro patria. Ma l’intento dei fiorentini non ottenne il risultato sperato, e furono costretti ancora all’esilio. Salvestro passò a Fano, Bologna, e Ferrara. In seguito, Alessandro Farnese Paolo III lo chiamò a Roma, dove in seguito fu nominato avvocato concistoriale. Ippolito suo figlio venne creato cardinale. Con l’aiuto del Farnese poté dedicarsi agli studi universitari presso le città di Padova, Perugia e Bologna. Pio V dimostrò benevolenza verso la famiglia Aldobrandini, li prese sotto la sua ala protettrice. Ippolito ebbe i titoli di: Prefetto di Castel S. Angelo, avvocato concistoriale, uditore del Camerlengo, nel 1569 uditore di Rota al posto del fratello Giovanni nominato vescovo di Imola e poi Cardinale. La nipote del cardinale Ippolito, Olimpia nata a Roma nel 1567 unica erede dei beni dei genitori Pietro Aldobrandini e Flaminia Ferracci, inquanto suo fratello Pietro venne creato cardinale dallo zio Papa Clemente VIII. Nel 1587 sposò Giovanni Francesco Aldobrandini principe di Meldola e Sarsina. Da questo matrimonio nacquero otto figli: Silvestro diventato cardinale, Margherita sposò Ranuccio Farnese IV duca di Parma e Piacenza, Elena sposò Antonio Carafa della Stadera, Giorgio principe di Meldola e Sarsina (titoli ereditati dal padre), Caterina Lesa sposò Marino Caracciolo, Ippolito cardinale, Pietro duca di Carpineto, Maria sposò Giovanni Paolo Sforza. Poi nel 1467 Olimpia sposò Camillo Pamphili. Con l’estinzione dei Pamphili beni di Margherita, passarono definitivamente ai Borghese. Con l’elezione di Ippolito a Papa, gli Aldobrandini si trasferirono definitivamente a Roma, con il dichiarato nepotismo del Pontefice, ne beneficiarono con vari titoli ecclesiastici. Per riconoscenza aggiunsero al cognome l’appellativo del Papa.
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jacopocioni · 6 days ago
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Famiglia Alfani
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Gli Alfani debbono la loro fortuna alla loro attività di banchieri, nel periodo di tempo che va dal XII al XIV secolo, prestarono denari senza distinzione alcuna a papi e imperatori. Nel secolo XII ebbero dal Papa Eugenio III° l’incarico di riscuotere le decime dagli agricoltori e allevatori della Chiesa. Anche l’allora Vicario Imperiale in Toscana chiese al loro banco un prestito di 3400 fiorini d’oro, dando in garanzia i beni dell’Impero. Questa somma non venne mai restituita, gli Alfani rimasero proprietari dei terreni rivieraschi di San Miniato, Fucecchio e della Valle di Nievole. Durante il regno del Duca Alberto d’Austria, Vermiglio degli Alfani , fu nominato “familiare e tesoriere”, perché con l’aiuto finanziario ricevuto dal banco voleva riuscire a risollevare le sorti dell’Impero nella guerra di successione contro Adolfo di Nassau e essere incoronato re. Il Nassau era già stato da lui sconfitto nella battaglia di Gollheim, rimanendo ucciso nello scontro. Ma le speranze di essere intronato cessarono quando fu scelto Enrico VI°. Il banco di cambio aveva filiali in Ungheria, Polonia, Slovenia e Germania. ciò aumentava la potenza degli Alfani. L’Imperatore era molto in familiarità con Vermiglio tanto da chiamarlo “Vermilio fideli et creditori suo”. L’amicizia con il re tedesco insospettì il comune Guelfo di Firenze. Vermiglio venne obbligato a fare un prestito forzoso di 10000 fiorini, ma questi non tradì! La famiglia era Guelfa da molto tempo, la loro affiliazione alla fazione risaliva a dopo la battaglia di Montaperti, quando con l’avvento dei ghibellini vennero costretti ad andare in esilio. Dopo la morte dell’Imperatore, il banco continuò la sua attività, anche se non ebbe più incarichi pubblici in Firenze.
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Nella famiglia Alfani ci furono sei Priori e due Gonfalonieri. In città curavano gli interessi di molti conventi toscani, tanto che Corso Donati, si rivolse al loro banco per contrasti con un monastero femminile. Al tempo della lotta fra le fazioni dei Bianchi di Vieri dè Cerchi e i Neri di Corso Donati, si schierarono con i primi. Quando i Neri nel 1302 risultarono vincitori, tutti gli appartenenti alla fazione dei Bianchi furono esclusi dalla politica cittadina. Vermiglio, come il poeta Dante Alighieri, dovette andare in esilio. A loro si unì il poeta stilnovista Gianni Alfani, autore della “Ballatella dolente”, dove descrive la nostalgia della Patria lasciata e il dolore di aver abbandonato la donna amata.
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Nel 1315 Lapo degli Alfani, dopo la cacciata dei maggiori esponenti della famiglia dichiarati ribelli dall’Imperatore Enrico VII di Lussemburgo, vendette una casa agli Adimari in seguito questa abitazione venne venduta dagli stessi ai monaci Camaldolesi. Ancora nel 1347, Bartolomeo e Gianni Alfani, vendettero agli stessi monaci le rimanenti case ancora in loro possesso, i quali vi eressero il Monastero di Santa Maria degli Angeli. Negli anni seguenti, a onore di questa famiglia, è stata intitolata la strada dove si trova il monastero. In principio è stata chiamata via di Cafaggiolo, in seguito via dei Leoni, via del Ciliegio, via degli Agnoli, fino a prendersi l’attuale nome: degli Alfani. Le case della famiglia si trovavano nella località chiamata Cafaggiolo. Il cronista Giovanni Villani spiega che il nome deriva da “campo del faggio”, in affinità con il nome di Cafaggio con il quale era indicato il terreno per il pascolo, nome derivato dal latino medievale “Cafagium” di origine longobarda. L’ultimo discendente di Vermiglio Alfani, Pier Forese, si spense in Firenze nel 1694.
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jacopocioni · 9 days ago
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Carriera di Galileo Galilei 8° parte
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1° parte 2° parte 3° parte 4° parte 5° parte 6° parte 7° parte 8° e ultima parte
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Epilogo – Morte di Galileo Galilei La prigionia consistette nel soggiorno coatto con la durata di cinque mesi presso la residenza romana dell’ambasciatore del Granduca di Toscana, Pietro Niccolini, a Trinità dei Monti, passando in seguito nel palazzo del Arcivescovo Ascanio Piccolomini a Siena. Ottenne dagli inquisitori romani il permesso di far recitare i salmi penitenziali dalla figlia monaca di clausura suor Maria Celeste. Nella abitazione del Piccolomini ebbe la libertà di incontrare i personaggi più in vista della città. Questa libertà finì quando una lettera anonima giunse agli inquisitori romani del Santo Uffizio. Fu minacciato di essere incarcerato. Galileo rivolse a loro la richiesta di essere confinato nella sua villa isolata il “Gioiello” ad Arcetri Firenze. Sua Santità Urbano VIII accolse favorevolmente la richiesta, stabilì che lo scienziato dovesse rimanere solo senza ricevere alcuna visita accudito dalla figlia suora, per il tempo deciso a suo arbitrio. Stabilì la possibilità di ricevere i familiari, i quali dovevano preventivamente annunciare il loro arrivo, per poter avere l’autorizzazione alla visita. Virginia (suor Maria Celeste) ebbe con il padre una fitta corrispondenza, confortandolo nel suo isolamento, durante il quale nel 1634 ricevette la notizia della sua scomparsa, era il 12 aprile.
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Gli ultimi problemi nella sua vita travagliata gli vennero dal Figlio Vincenzio. Il quale, dopo il matrimonio con Sestilia Bocchineri, non riusciva a mantenere la sua nuova famiglia non avendo un lavoro stabile. Si scontrò piu volte con il padre che lo incitava a trovarsi un lavoro. Fin quando nel 1633 venne assunto presso la Cancelleria di Poppi in Casentino, ma rischiò di perderlo per la mancata presenza in ufficio, dedicando più attenzione ad una sua invenzione che al lavoro in Cancelleria. Finalmente Vincenzio ebbe un lavoro stabile venendo assunto come Cancelliere per l’Arte Maggiore dei Mercanti e della Zecca fiorentina, mantenedo l’incarico fino alla morte. Ritrovata la stabilità lavorativa si pacificò con Galileo rimanendo con lui in buoni rapporti. Venendo nominato nel testamento del padre amministratore del beni ed erede universale.
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Durante la prigionia mantenne corrispondenza epistolare con amici e estimatori in Italia e all’estero. A Elia Diodati scrisse delle sue sventure, dell’invidia e la malignità “che mi hanno mandato contro” con la considerazione che “l’infamia ricade sopra i traditori e costituiti nel sublime grado dell’ignoranza”. Gli giunse la notizia che a Strasburgo, Mathias Bernegge, stava traducendo “Il Dialogo”. Venne a conoscenza di un certo Antonio Rocco filosofo e scrittore, il quale all’oscuro di matematica e astronomia, andava scrivendo “mordacità e contumelie contro di lui nelle Esercitazioni filosofiche, dedicate a Papa Urbano VIII. In questo scambio epistolare si dimostra quanto Galileo avesse abiurato le sue convinzioni difendendole a spada tratta definendo il Rocco “ignorantissimo”, “balordone”, “animalaccio” e “pezzo di bue. Negli anni seguenti Galileo, intraprese una corrispondenza epistolare con Alessandra Bocchineri sorella della Sestilia andata sposa al figlio Vincenzio. L’ultima lettera per Alessandra fu da lui scritta nel dicembre 1641. con il sopraggiungere della cecità fu costretto a rifiutare gli inviti spiegando “non solo per le note indisposizioni che mi tengono appresso in questa mia gravissima età, ma perché sono ritenuto ancora in carcere per quelle cause che benissimo son note” Lo scienziato morì nel gennaio del 1642, assistito dai suoi aiutanti Vincenzo Viviani e Evangelista Torricelli. Fine
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jacopocioni · 18 days ago
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Carriera di Galileo Galilei 7° parte
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1° parte 2° parte 3° parte 4° parte 5° parte 6° parte Galileo va a processo per eresia e condanna
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L'ambasciatore fiorentino presso il Vaticano raccontò al Granduca che il Papa era molto arrabbiato con Galileo, accusandolo di aver raggirato lui stesso e i suoi ministri nel "Dialogo" fra il Salviati e Simplicio dicendo che difende "una saldissima dottrina, che già da persona dottissima ed eminentissima appresi" e alla quale è forza acquietarsi (chiaro riferimento a Urbano VIII). Egli sosteneva che solo Dio poteva provocare le maree una diversa dall'altra, non potendo essere certi che il modello sostenuto dal Salviati fosse corretto. Il Salviati chiamato in causa rispose ironicamente definendo la teoria di Simplicio "una mirabile angelica dottrina". L'opera si chiudeva con l'affermazione "si concede di disputare intorno alla costituzione del mondo" a patto di "non rinnovare l'opera fabbricata da Dio". Il Papa sosteneva che la conclusione dell'opera non fosse altro che un espediente per ingannare la censura e farla pubblicare. Nel settembre del 1632 ordinò all'inquisizione romana di intervenire presso l'inquisitore fiorentino; che si attivasse contro lo scienziato e lo obbligasse a partire per Roma entro il mese di ottobre, per apparire davanti al Commissario Generale del Santo Uffizio per difendersi dalla accusa di eresia.
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Ma Galileo non poté' partire perché ammalato e sperava in cuor suo che tutto finisse per il meglio. Dopo molte minacce ricevute dal Sant'Uffizio Romano, nel mese di gennaio del 1633, benché allettato su una lettiga, partì per Roma. Il processo contro di lui iniziò in aprile con il suo interrogatorio da parte del Commissario inquisitore il domenicano Cardinale Vincenzo Maculano. Confermò all'accusatore di non aver ricevuto il "Precetto" inviatoli nel 1616 dal Cardinale Bellarmino. Nell'interrogatorio l'inquisitore insisteva a dire che nel famoso Precetto c'erano le parole "quovis modo" (in ogni modo) e "nec docere" (non insegnare), mentre Galileo dichiarava di non aver detto"cosa alcuna del suddetto Precetto", sostenendo che: nel detto libro il "Dialogo" il contrario di detta opinione del Copernico, e che le ragioni di esso Copernico sono invalide e non concludenti. Finito l'interrogatorio Galileo, venne trattenuto"pur sotto strettissima sorveglianza" presso il palazzo dell'inquisitore, "con ampia e libera facoltà di passeggiare".
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Dopo l'ultimo interrogatorio nel mese di giugno, tenuto nella sala capitolare del convento di Santa Maria sopra Minerva, Galileo fu fatto inginocchiare davanti ai Cardinali: il capo dell'Inquisizione romana Guido Bentivoglio, il Cardinale Felice Centini, il Cardinale domenicano Desiderio Scaglia, il Gran Priore dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme Antonio Barberini, il Cardinale Fabrizio Verospi e l'uditore Marzio Ginetti, per ascoltare la sentenza emessa dagli "inquisitori generali contro l'eretica pravita'". Veniva descritta la lunga vicenda che aveva portato al contrasto fra lo scienziato Galileo Galilei e la chiesa, iniziato nel lontano 1615 con la descrizione delle macchie solari, la teoria copernicana malgrado l'opposizione dei teologi che difendevano la teoria tolemaica con il conforto delle Sacre Scritture. Questa contrapposizione aveva avuto da parte della autorità ecclesiastica della emissione di una ammonizione a lui diretta con il divieto di difendere o insegnare quella inaccettabile teoria.
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Allora scienziato venne chiesta l'abiura con "cuore sincero e fede non finta" e proibire il libro "il Dialogo". Inoltre, gli venne imposto il "carcere formale ad arbitrio nostro" e alla "pena salutare" la recita settimanale dei sette salmi penitenziali per un periodo di tre anni, rimaneva la facoltà dell'inquisizione di "moderare, mutare e levare in tutto o in parte" le pene e le penitenze. A conferma della sua convinzione nella teoria copernicana è nata una leggenda. Dopo la sentenza di condanna con l'abiura della teoria copernicana, sembra abbia esclamato: eppur sì muove! Fine 7° parte
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jacopocioni · 1 month ago
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Carriera di Galileo Galilei 6° parte
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1° parte 2° parte 3° parte 4° parte 5° parte Galileo arriva a Roma-divieto e sequestro del Dialogo
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Nell'agosto 1623 morì Papa Gregorio XV. Al soglio di Pietro venne eletto il Cardinale fiorentino Maffeo Barberini, che assunse il nome di Urbano VIII, amico e estimatore da tempo di Galileo. L'elezione del fiorentino diede a lui la speranza confermata con le parole "risorge la speranza, quella speranza che era ormai quasi del tutto sepolta, siamo sul punto di assistere al ritorno del sapere dal lungo esilio a cui era costretto ". Nel Saggiatore parla della sua teoria errata sulla formazione delle comete dovute ai raggi solari. La formazione della loro chioma e della coda, sono dovute all'esposizione e dalla direzione delle radiazioni solari. Per tanto avevano ragione siamo Galileo sia il Grassi, il quale negando la teoria copernicana aveva vaga idea sui corpi celesti. Nel mese di aprile 1624 il Galilei giunse a Roma, per congratularsi con il Barberini per la sua elezione a Papa e per fare accogliere con benevolenza la sua teoria basata sul sistema copernicano. Nelle udienze avute con Urbano VIII, non ricevette da lui nessun impegno, riuscendo solamente a fare assegnare una pensione al figlio Vincenzo. Nei mesi seguenti rispose alla "disputato" di Francesco Ingoli presbitero giurista, professore di diritto civile e canonico, senza difendere quella teoria e senza rispondere alle argomentazioni teologiche.
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Nella lettera di risposta per la prima volta, parla di quello che in avvenire verrà conosciuto come "il principio della relatività galileiana", risposta a coloro che sostenevano l'immobilità della Terra. Nello stesso anno Galileo diede iniziò alla scrittura del "Dialogo", nel quale tre personaggi, due realmente esistiti: Filippo Salviati (suo grande amico) e il veneziano Gianfrancesco Sagredo ricercatore scientifico, sperimentatore di ottica, termometria e magnetismo conosciuto quando insegnava a Padova. Il terzo colloquiatore è un personaggio inventato dal nome Simplicio, la disputa verbale si tiene nella casa del veneziano. Di fatto nella discussione, non viene presa in considerazione una terza quella promulgata da Tycho Brahe, escludendola dalla dotta discussione. I tre protagonisti hanno un ruolo ben definito. Simplicio espone e difende la teoria tolemaica, mentre il Salviati controbatte con l'esposizione della teoria copernicana. Il Sagredo funge da arbitro fra i due contendenti, tenendosi neutrale alle due teorie che si confrontano, ma alla fine parteggia apertamente per la copernicana. Questo Dialogo ebbe una nascita travagliata per ragione di salute dei familiari del redattore, prolungando la stesura dell'opera fino al 1630.
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In questo periodo Galileo si prese cura della sua famiglia e di quella numerosa del fratello Michelangelo. Intanto suo figlio Vincenzo si laureava in legge all'ateneo pisano, sposandosi in seguito nel 1629 con sestilia di Carlo Becherini, sorella di Geri Becherini, segretario del Granduca Ferdinando II de Medici. La figlia suor Maria Celeste (Virginia) chiese allo scienziato di stabilirsi vicino al suo monastero in Arcetri a Firenze e gli affittò il villino il " gioiello", dove Galileo abitò fino alla morte. Dopo molte vicissitudini, l'opera "il Dialogo", ebbe l'imprimatur ecclesiastico venendo pubblicata nel 1632. Lo scritto venne benevolmente accolto dal matematico Benedetto Castelli, Fulgenzio Micazio storico e erudito (collaboratore di Paolo Sarpi) e dal filosofo Tommaso Campanella. Mesi dopo il Maestro del Sacro Palazzo Niccolò Riccardi, scriveva all'inquisitore fiorentino Clemente Egidi: per ordine del Papa la proibizione del libro, non doveva più circolare e di rintracciare le copie vendute e sequestrarle. Fine 6° parte
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jacopocioni · 2 months ago
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Carriera di Galileo Galilei 5° parte
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1° parte 2° parte 3° parte 4° parte Primi contrasti con il Papa e il Sacro Collegio
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La chiesa iniziava a sentire odore di eresia e si preparava alla difesa della teoria Geocentrica. Passava all’attacco incaricando il frate predicatore domenicano Tommaso Caccini di difendere le Sacre Scritture, dalle “concezioni copernicane dei matematici moderni e in particolare Galileo”, Nel marzo 1615 il Caccini giunse a Roma e denunciò al Sacro Collegio lo scienziato pisano quale sostenitore del sistema Eliocentrico con la terra girante intorno al sole. Il Cardinale Roberto Bellarmino, già giudice nel processo contro Giordano Bruno frate domenicano eretico, scrisse una risposta alla lettera inviata dal teologo carmelitano Paolo Antonio Foscarini, il quale voleva mettere a confronto i Pitagorici, Copernico, Galileo Keplero e gli accademici dei Lincei con le sacre scritture, cercando di far coincidere quello he affermava la Bibbia con la teoria copernicana in modo tale che non contraddiceva affatto tutto quello che fino allora era stato messo in discussione. Il Cardinale diceva che sarebbe stato possibile reinterpretare i passi contraddicenti l’Eliocentrismo solamente con una dimostrazione di quanto asserito non accettando gli argomenti portati da Galileo. Sosteneva di non aver ricevuto nessuna spiegazione in merito, in caso di dubbio faceva testo quanto era affermato dalle scritture, dove si parla di Giosuè che abbia ordinato al sole di fermarsi, per completare l’inseguimento dei nemici Amorrei esclamando “Sole fermati in Gàbaon e tu Luna, sulla valle di Aialon”, difendendo la teoria della terra al centro dell’universo con tutti i pianeti giranti intorno. Ma Galileo rifiutò l’invito di Bellarmino di sostituire la teoria tolemaica con quella copernicana, definendola una pura ipotesi matematica per salvare le apparenze.
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Nel febbraio 1616 il Papa Paolo V ordinò al Cardinale Bellarmino di far arrivare a Roma il Galilei per ammonirlo e convincendolo ad abbandonare le sue opinioni sul sistema eliocentrico, in caso di mancata obbedienza “Il Padre Commissario davanti a un Notaio e testimoni , di fargli il precetto di abbandonare quella dottrina e non insegnarla non difenderla”. Nello stesso anno venne messo all’indice il “De Revolutionibus” di Copernico. Bellarmino volle dare una mano a Galileo con una dichiarazione in cui non c’erano abiure, confermando il divieto a sostenere le tesi copernicane. Questa dichiarazione, gli onori e la buona accoglienza, diedero a Galileo la falsa illusione che a lui fosse consentito quello che agli altri era vietato.
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Nell’autunno del 1618 apparvero nel cielo tre comete, questo evento attirò l’attenzione degli astronomi di tutta l’Europa. Il gesuita Piero Grassi matematico del Collegio Romano, tenne una lezione con il titolo “Disputatio astronomica de tribus cometis anni MDCXVIII”, derivata dalle sue osservazioni, dichiarando che le comete fossero corpi situati “Oltre il cielo della luna”, sostenendo il modello di Tyco Brahe per il quale la terra è il centro dell’universo. Galileo rispose per difendere il modello Copernicano, con uno scritto del suo discepolo Mario Guiducci astronomo amico e confidente con “Il discorso sulle comete”. In questo scritto il relatore sosteneva erroneamente che le comete non erano oggetti celesti, ma ma effetti ottici della luce solare su vapori provenienti dalla terra. A queste argomentazioni il Grassi rispondeva con il falso nome di Lotario Sarsi, attaccando il Galilei e il copernicanesimo. Lo scienziato non rispose a questa lettera, lasciò passare del tempo preparando il trattato “Il Saggiatore”, approvato e pubblicato a Roma dalla Accademia dei Lincei. Fine 5° parte
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jacopocioni · 2 months ago
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Carriera di Galileo Galilei 4° parte
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1° parte 2° parte 3° parte Iniziano i contrasti con il Collegio Romano e i Gesuiti
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A quei tempi nel Collegio Romano e i docenti Gesuiti erano le maggiore autorità scientifiche nel campo della nascente astronomia, a loro Galileo presentò le scoperte. In un primo tempo fu bene accolto a Roma dal Papa Paolo V, dai Cardinali Francesco Maria del Monte e Maffeo Barberini. Il Principe Federico Cesi lo ammise alla Accademia dei Lincei da lui fondata. Lo scienziato volle scrivere al segretario del Granduca Belisario Vinta della benevola accoglienza ricevuta alla corte papalina dai Gesuiti, delle loro continue informazioni sui nuovi satelliti di Giove dedicati ai Medici e considerando giuste le loro osservazioni. Nell’aprile del 1611, il Cardinale Roberto Bellarmino, chiese ai matematici vaticani di farli un resoconto sulle scoperte fatte da “un valente matematico per mezzo di uno strumento chiamato cannone ovvero cannocchiale e alla Congregazione del Santo Uffizio di informarsi se nella città di Padova, ci fosse aperto qualche provvedimento a carico dello scienziato. La Curia Romana iniziava a intravedere quali conseguenze avrebbe avuto quelle scoperte sui principi della Teologia allora conosciuta e considerata indiscutibile.
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Nel 1612 Galileo scrisse “Discorso intorno alle cose che stanno sull’acqua, o che in quella si muovono”, descrivendo la teoria di Archimede che dimostrava contrariamente a quanto sosteneva Aristotele: “I corpi galleggiano o affondano nell’acqua per il loro peso specifico e non per la loro forma”. A questo scritto rispose polemicamente l’aristotelico fiorentino Lodovico delle Colombe con: “Discorso apologetico intorno al Discorso di Galileo Galilei”, spiegando che la nuova Stella apparsa nel 1604 nel segno del Sagittario “Non era né Cometa, né Stella generata, o creata di nuovo, né apparente, ma una di quelle che furono in cielo nel principio e ciò essere conforme alla vera Filosofia, Teologia e Astronomiche demostrazioni”. Nel mese di ottobre seguente, lo scienziato pisano, a palazzo Pitti, davanti al Granduca Ferdinando II, Cristina di Lorena sua moglie e il Cardinale Maffeo Barberini suo grande estimatore, con una pubblica dimostrazione sperimentale confutò quanto asserito dal delle Colombe.
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Le sue osservazioni sulle macchie solari quando era ancora a Padova, furono in seguito pubblicate a cura dell’Accademia dei Lincei con il titolo “L’istoria e dimostrazione intorno alle macchie solari e i loro accidenti”. Questa era una risposta per i dubbi sollevati dal Gesuita tedesco Christofh Scheiner, il quale asseriva che le macchie solari altre non erano sciami di astri rotanti intorno al sole. Galileo invece le considerava materia fluida della superficie solare. Osservando le macchie solari Galileo scoprì la rotazione dell’astro solare e si rivolgesse “In se stesso in un mese lunare come gli altri astri”. L’asserzione della rotazione del sole e degli altri pianeti era molto importante. Inoltre scoprendo le fasi dei pianeti Venere e Mercurio, dimostrò l’incompatibilità del sistema geocentrico di Tolomeo, ma verosimilmente il sistema eliocentrico copernicano dell’astronomo danese Tycho Brahe. Nel Gennaio del 1611 scrisse all’Arcivescovo Giuliano de Medici, affermando che “Venere e Mercurio si volgono intorno al sole e tutti gli altri pianeti, cosa creduta da tutti i pitagorici, Copernico, Keplero e me, ma non sensatamente provata come era in Venere e Mercurio”. Negli anni seguenti lo scienziato difese il modello eliocentrico spiegando quello che aveva visto con il suo cannocchiale. Scrisse quattro “lettere copernicane” dirette al padre Benedetto Castelli matematico e fisico, due al Monsignor Pietro Dini membro dell’Accademia della Crusca e due alla Granduchessa madre Cristina di Lorena. Fine 4° parte
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jacopocioni · 3 months ago
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Carriera di Galileo Galilei 3° parte
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1° parte 2° parte Le modifiche al cannocchiale
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I timori degli scienziati svanirono quando, nel 1609 Galileo apportò modifiche al cannocchiale fino a l’ora usato. In Olanda nei prmi anni del 1600 furono costruiti i primi cannocchiali, con un piccolo tubo di ottone o di piombo. Ad una estremità era inserita una lente convergente, come quella usata negli occhiali da presbite detta lente “oggettiva”, mentre all’altra estremità era inserita una lente divergente, come quella usata per gli occhiali da miope detta “oculare”. Questi strumenti ingrandivano gli oggetti lontani osservati appena due o tre volte. Galileo, in un tubo di piombo principale a due sezioni minori, ne inserì una per l’obiettivo l’altra per l’oculare, una con faccia piena e l’altra sfericamente concava. Per riuscire a migliorare questo dispositivo combinò più lenti fino ad ottenere 30 ingrandimenti. Provando questo nuovo strumento, si accorse di vedere gli oggetti lontani più vicini e più grandi, visti con i suoi occhi. Presentò questa novità al governo di Venezia che si dimostrò molto interessato, tanto da raddoppiarli lo stipendio e un nuovo contratto per l’insegnamento. Puntando verso il cielo questo nuovo cannocchiale, scoprì più stelle di quelle che si potevano osservare ad occhio nudo. Con queste osservazioni poté vedere per la prima volta la grandezza dell’universo. Dimostrò inoltre che non c’era differenza fra la Terra e la Luna, provando che il nostro satellite non era liscio e levigato come si era creduto fino ad allora ma roccioso e con protuberanze. Smentì la visione aristotelica e tolemaica afferenti il contrario, dimostrando il movimento del nostro satellite intorno alla Terra e questa intorno al Sole.
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La sua bravura nello stilare oroscopi era riconosciuta e apprezzata dai richiedenti, tanto da fargli avere sostanziose somme da Cardinali, Principi e patrizi, fra i quali annoverava il Cardinale Giovan Francesco Sagredo, suo corrispondente nelle lettere che si scambiavano reciprocamente e il Cardinale Gianfrancesco Morosini. Tenne una corrispondenza epistolare con l’astrologo di corte del Granduca di Toscana Cosimo II: Raffaello Gualterotti. Fra gli oroscopi natali calcolati e interpretati da Galileo spiccano quelli delle sue figlie Livia e Virginia, avute dalla sua convivente Marina Gamba conosciuta durante la sua permanenza a Padova. La chiesa era, ed è contraria agli oroscopi, queste arti sono in contraddizione con ciò che professa il cristianesimo con rispetto e timore verso Dio. Con le osservazioni del cielo con il nuovo cannocchiale, scopre i satelliti di Giove, da lui chiamate stelle medicee in onore del Granduca Cosimo II de Medici. Nel 1610 pubblica un libro con le sue scoperte con il titolo: “Sidereus Nuncius”, e per guadagnarsi la stima della casa regnante in Toscana, ne invia una copia al Granduca, accompagnato da un esemplare del cannocchiale e la dedica dei quattro satelliti scoperti battezzati “Cosmica Sidera” in seguito chiamati “Medicea Sidera”. Fine 3° parte
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jacopocioni · 3 months ago
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Carriera di Galileo Galilei 2° parte
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1° parte 2° parte Mentre insegnava all'università di Pisa morì nel 1591 il padre Vincenzo, lasciando a lui l'onere di provvedere al mantenimento della famiglia. Per la dote dovuta per i matrimoni delle sorelle Virginia e Livia, contrasse debiti e altri ne farà in seguito per aiutare la famiglia del fratello Michelangelo liutaio, morto alla corte di Monaco di Baviera nel gennaio 1631 avanti alle feste dell'Epifania.
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Scaduto il contratto con l'ateneo pisano Galileo, si rivolse nuovamente al matematico e filosofo Guidobaldo del Monte, per farsi raccomandare al prestigioso studio di Padova. La raccomandazione del conoscente andò a buon fine, il 16 settembre 1592 venne emanato il tanto bramato decreto per svolgere l'insegnamento. Il contratto doveva avere la durata di quattro anni rinnovabili. Rimase in quello Studio per diciotto anni, periodo da lui definito "il migliore della vita mia". Durante la sua permanenza a Padova ebbe l'occasione di avvicinarsi a personalità di orientamento filosofico e scientifico molto lontano dal suo. Questo confronto era relativo alla tolleranza religiosa che si respirava nella Repubblica di Venezia. Riuscì ad accedere a circoli colti e raffinati e ambienti dove si trovavano Senatori veneziani. divenne amico del nobile Giovanni Francesco Sagredo sperimentatore interessato alla fisica, incontrato al circolo intellettuale il "ridotto Morosini", diventato protagonista nel "dialogo sopra i massimi sistemi". Conobbe il frate servita Paolo Sarpi teologo, esperto in matematica e astronomo. Di  questa conoscenza si trova notizia nella lettera al frate sulla formulazione della "caduta dei gravi". Oltre ad insegnare all'ateneo padovano, tenne lezioni di matematica tenendo conto delle "Questioni meccaniche" di Aristotele. Da queste lezioni trasse un libro pubblicato a Parigi "Trattato di meccaniche". Nell'abitazione padovana aveva un laboratorio, dove con l'aiuto di un conoscente un artigiano un certo Marcantonio Mazzoleni, teneva lezioni, compiva esperimenti e costruiva i nuovi strumenti, venduti per incrementare le entrate. Fabbricò una macchina per portare l'acqua ai piani alti delle case. Il senato della Serenissima gli assegnò un brevetto ventennale per l'utilità dell'invenzione. In oltre dava lezioni private ad allievi provenienti dalla nobiltà: Vincenzo Gonzaga, il principe d'Alsazia Giovanni Federico e i futuri Cardinali Guido Bentivoglio e Federico Cornaro.
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Avvenne nel 1604 il passaggio di una nuova stella osservata dal religioso frate minore Ilario Altobelli, dopo averla studiata, ne parlò con Galileo. Nello stesso anno venne vista da Giovanni Keplero (Johannes Kepler) astronomo e astrologo tedesco, il quale dopo due anni pubblicò un libro con il risultato “De stella nuova in piede Serpentari” con i suoi studi sulla “Supernova” oggi chiamata “Supernova Keplero” Galileo, tenne tre lezioni sull’argomento nelle quali sosteneva che la stella dovesse essere inserita fra quelle fisse, andando contro il dogma della chiesa: nel cielo, il numero delle stelle era immutabile. Mentre la scoperta della stella rappresentava la mutabilità del cielo. Dopo aver scritto due trattati sulle opere di fortificazione: la breve introduzione alla Architettura militare e il Trattato di fortificazione sullo stesso argomento. Costruì un compasso spiegandone il funzionamento nel libretto: Le operazioni del compasso geometrico militare, pubblicato in Padova e dedicato a Cosimo de’ Medici. Per realizzazione di questo strumento , fu accusato di plagio da Baldassarre Capra, allievo dell’astronomo tedesco Simon Marius, il quale dichiarava di essere l’autore della invenzione da lui fatta tempo prima. Lo scienziato pisano controbatté alle accuse con una: Difesa contro le calunnie e le imposture di Baldassarren Capra milanese. Per la sua difesa ottenne dai riformatori dello Stato padovano che l’accusatore subisse una condanna per calunnia.
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Con l’apparizione della Supernova era aumentata la superstizione. Galileo approfittò di quella occasione facendo oroscopi personali al prezzo di 60 veneziane. Nell’anno 1604, un suo collaboratore lo denunciò all’inquisizione padovana, per aver compilato oroscopi e avere affermato che gli astri influivano le scelte dell’uomo. Ma il Senato veneziano ritenne di insabbiare la denuncia non facendola arrivare a Roma al Sant'Uffizio, anche perché lo scienziato, aveva fatto oroscopi natali e non personali, come sosteneva il denunciante. Nella polemica sul copernicanesimo, aveva espresso in privato allo scienziato tedesco il suo appoggio sull’Eliocentrismo. Keplero, aveva dato alle stampe lo scritto “Prodromus dissertationum cosmograficum, sul quale aveva scritto argomentazioni, e controbattuto a tesi avverse, affermando di temere di essere denunciato all’inquisizione. Pertanto ad esempio di quello che aveva fatto Copernico, il quale per non rispondere alle accuse dell’astronomo alchimista Ticho Brahe assertore del sistema Geocentrico, perplesso su tali affermazioni copernicane mancando una spiegzione fisica. Galileo non assumeva atteggiamenti rivoluzionari, né con la condotta della sua vita  privata né con le sue opere, sempre sotto l’occhiuta attenzione dell’inquisizione. Diede alle stampe un com pendio con sette assunti il “De revoluzionibus, nel Nicolai Copernici de hippothesibus motum coelestum a se constitutitùs commentariolus”. Un libretto satirico anonimo in dialetto “pavan” (antico dialetto parlato nella provincia veneta) venne pibblicato a difesa della teoria dello scienziato dal titolo “Dialogo de Cecco di Ronchitti da Brusone, a proposito de la Stella Nuova” a difesa del metodo usato per scoprirla, Lo scritto non è stato attribuito a nessuno, qualcumo vi ha riconosciuto lo stile del Galilei, altri hanno individuato l’autore nell’allievo Girolamo Spinelli benedettino, ma non ci sono prove certe. Fine 2° parte
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jacopocioni · 4 months ago
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Carriera di Galileo Galilei 1° parte
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Questo scienziato anche se non fiorentino, con i suoi studi e le sue scoperte ha dato fama alla nostra città. Galileo, venne alla luce a Pisa nel 1564, era figlio di Vincenzo Galilei e di Giulia Ammannati. Suo padre Vincenzo era musicista e teorico della musica, commerciante per arricchire le entrate familiari. Giunto Galileo all'età scolare, il padre cercò di inserirlo nella lista dei giovani toscani accolti gratuitamente in un convitto pisano. Ma il tentativo non andò a buon fine. Venne ospitato senza spesa da un amico del padre tale Muzio Tebaldi doganiere in Pisa. Era tanto introdotto nella famiglia da farsene carico quando Vincenzo era via per lavoro. In casa Tebaldi il giovane Galileo conobbe una sua cugina Bartolomea Ammannati la quale si occupava della casa essendo Muzio rimasto vedovo. Malgrado la differenza di età nel 1578 Muzio e Bartolomea si sposarono per mettere fine alle dicerie che giravano sulla giovane cugina che creavano imbarazzo alla famiglia Galilei.
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Il giovane iniziò i suoi studi a Firenze sotto la guida del padre, in seguito venne istruito da un maestro di didattica (metodo argomentativo della filosofia). Entrò nel convento di Santa Maria di Vallombrosana (abbazia Vallombrosana) vestendo fino a 14 anni l'abito di novizio.
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Nel 1580 suo padre lo iscrisse all'università di Pisa alla facoltà di Medicina per prendere la laurea e diventare famoso come il suo antenato Galileo Bonaiuti, anche per guadagnare molti soldi e rimpinguare la cassa familiare. Ma il figlio ben presto fu attratto dalla matematica, sotto la giuda di Ostilio Ricci da Fermo conosciuto durante la permanenza a Firenze. Costui era un seguace della scuola di matematica di Niccolò Tartaglia, metodo usato per l'insegnamento della matematica presentandola come una scienza astratta ma un sistema per risolvere i problemi della meccanica e le tecniche ingegneristiche. Gli studi del duo Ricci - Tartaglia seguivano la tradizione degli studi del matematico siceliota Archimede. Il maestro insegnò a Galileo l'importanza dell'osservazione dei dati e la pragmaticità della  ricerca scientifica. Sembra ma non ci sono prove che, durante gli studi pisani, abbia seguito le lezioni di fisica dell'aristotelico Francesco Buonamici. Dopo pochi anni il giovane cessò gli studi di medicina, si trasferì a Firenze, approfondendo gli studi di meccanica e idraulica. Nel 1586  risolse il problema della Corona di Gerione inventando uno strumento per la determinazione idrostatica del peso specifico dei corpi, scoprendo che la corona era un falso.
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Gli insegnamenti del Ricci e gli studi di Archimede, gli servirono negli studi sul centro di gravità dei solidi. Durante l'insegnamento a Pisa fece una importante scoperta relativa all'oscillazione del pendolo.: l' "isocronismo" (dal greco isos - uguale + chronos = Tempo). La tradizione vuole che Galileo, mentre si trovava nel Duomo di Pisa ad assistere ad una messa, si mettesse ad osservare un lampadario oscillante. Con un metodo empireo, mise a confronto i battiti del cuore con le oscillazioni del lampadario, appurando che le oscillazioni avevano la stessa durata, anche quando diminuivano di ampiezza. Per avere regolari entrate economiche, cominciò a dare ripetizioni di matematica durante la sua permanenza a Firenze e a Siena. Si recò a Roma per farsi raccomandare per poter accedere allo Studio di Bologna dal famoso matematico del suo tempo Cristoph Clavius, ma malgrado questo appoggio, non venne scelto. La  cattedra di matematica fu assegnata al padovano Giovanni Antonio Magini. Approfittando della conoscenza con l'influente matematico Guidobaldo del Monte e del fratello Cardinale Francesco Maria del Monte, venne presentato al Granduca Ferdinando 1° de Medici, il quale lo prese sotto la sua protezione. Grazie a lui ebbe un contratto triennale all'Università pisana, per la cattedra di matematica. Fine 1° parte
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jacopocioni · 7 months ago
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: quarta parte
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Prima parte Seconda parte Terza parte DA UN SUCCESSO ALL'ALTRO ANCHE SE OSTEGGIATO DAL GOVERNO ITALIANO QUARTA PARTE
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Il Capitano dei Monument men Keller, ricevuta la confidenza del Generale Karl Wolf, avvisò il mio ufficio e ci mettemmo alla ricerca. Quando vedemmo tutti quei capolavori il capitano si commosse fino alle lacrime, davanti a noi avevamo i dipinti dei più grandi artisti del Rinascimento: Michelangelo, Tiziano, Botticelli, Caravaggio, Lorenzo Lotto, Cranach, Rembrandth e Tintoretto. Il maltolto fu riportato a Firenze alla Galleria degli Uffizi. Quando arrivai in Piazza della Signoria fui ricevuto dalle autorità e dal Sindaco Mario Fabiani sull'arengario di Palazzo Vecchio fra gli squilli delle chiarine della Famiglia di Palazzo. Questo grande ritrovamento fu un successo enorme, ebbe ripercussioni  sulla sua carriera? Avevo tutti i requisiti per essere promosso Direttore di quarto grado , ma per la mia adesione al passato regime, tutto si bloccava. Il mio ufficio romano si trovava in via degli Astalli numero 3 in palazzo Venezia. Vi affluiva tutto quello che veniva recuperato, prima di essere riportate ai musei dove erano state sottratte. Confesso una mia vanità. Mi facevo fotografare davanti alle opere. la mia squadra era formata da poche persone fidate, fra le quali emergeva per le sue innate capacità il mio più fidato collaboratore Vincenzo Colella. Nel 1949 riuscii a recuperare trentanove capolavori ceduti ai tedeschi durante il regime. Tra loro si trovava il già citato discobolo Lancelotti e altre opere di inestimabile valore. Tutto questo accrebbe la mia popolarità malgrado l'ostracismo della politica. negli anni seguenti in Palazzo Venezia, allestii una mostra dei capolavori rientrati in Italia. In seguito venne replicata a Firenze in Palazzo Vecchio. Riuscì in seguito a far riconoscere il suo lavoro dal governo italiano?
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Rodolfo Siviero Con la mia abilità diplomatica, feci raggiungere un accordo fra l'Italia e la Germania per la restituzione dei capolavori asportati e ancora nelle loro mani. L'accordao fu firmato dal Canceliere Konrad Adenauer e il Presidente del Consiglio del governo italiano Alcide de Gasperi a Palazzo Chigi. Finalmente venne riconosciuto tutto quello che avervo fatto per l'arte italiana. Ebbi la nomina a Ministro Plenipotenziario e il mio ufficio passò dal Ministero dell'Istruzione a quello degli Affari Esteri. Purtroppo il Senato che doveva emanare il decreto per il finanziamento delle mie imprese bloccò tutto rinviando tutto per due anni, fermando di fatto l'attività del mio ufficio. Intanto le trattativie per la restituzione andarono avanti per sette anni. Purtroppo questa operazione rischiò di saltare per i miei atteggiamenti verso i tedeschi. Scientemente evitai di invitarli ad una mostra di capolavori recuperati ed esposti a Palazzo Borghese. Con questo ostracismo verso i tedeschi rischiai di far saltare l'accordo raggiunto anni prima. Cosa fece continuare con la loro collaborazione? Mi diedi una calmata e con l'accordo stipulato nel 1953, riuscii a riportare in Italia 40 opere. Ne mancavano ancora alcune centinaia fra le quali spiccavano autori come: Michelangelo, Mario Ricci, Tiziano, Raffaello e Canaletto, varie sculture greche romane, violini di Stradivari, mobili e manoscritti. Pertanto continuai le mie spedizioni nella Germania Democratica e in Russia. Ma riuscii a rintracciare solo alcune opere, così decisi di tornare nella Germania comunista. Andare nella Repubblica Democratica Tedesca era diventato complicato. era stato costruito un muro di confine, per reiterate fughe dei berlinesi all'ovest. Il muro sarebbe rimasto in piedi fino al 1989, quando fu distrutto da una folla festante. Oltre tutto venivo sorvegliato per tutto il mio soggiorno dalla polizia Stasi.
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jacopocioni · 7 months ago
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: terza parte
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Prima parte Seconda parte
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Rodolfo Siviero TRAFUGAMENTO DA PARTE DEI NAZISTI DEI NOSTRI TESORI MUSEALI. Come si organizzò per recuperare le opere d'arte? Ero riuscito a formare un gruppo di partigiani addestrandoli a seguire le tracce delle sparizioni dai musei e collezioni private insegnando loro la Storia dell'Arte italiana in modo che potessero riconoscerli a prima vista. Travestiti da Ufficiali Repubblichini, riuscirono ad evitare che gli invasori si impossessassero dei quadri del pittore Giorgio De Chirico. In accordo con la Soprintendenza riuscirono a salvare l'Annunciazione del Beato Angelico dal Monastero di San Giovanni Val d'Arno, sulla quale aveva posto gli occhi niente meno che Herman Goering, voleva portarla in Germania per salvarla, quando si sapeva che sarebbe finita nella sua collezione privata. Tutto quello da portare via veniva deciso dalla Wermacht, con la scusa di salvare le nostre opere dai bombardamenti degli alleati, invece quello che veniva razziato veniva trasportato in Germania o in altri luoghi segreti. Mi dica come faceva ad organizzarsi per giungere prima dei nazisti e portare in salvo quello che volevano portare via. Oltre ai partigiani da me addestrati partecipavo di persona specialmente nelle missioni più difficili. Nella mia abitazione raccoglievo tutte le informazioni utili provenienti da ogni parte, specialmente quando e dove si tenevano le aste pubbliche e private. Tutte queste notizie sono state da me archiviate e si trovano in questa casa. Nel mentre i nazisti svuotavano i magazzini dei musei dove venivano conservati dipinti, statue e altre opere. Intanto l'intelligence americana stava all'erta per sapere, e vi riuscivano, il trafugato, il tutto veniva girato a me. Quando lei venne liberato dalle grinfie della Banda Carità, riuscì a raggiungere gli americani?
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Dopo varie vicissitudini, giunsi sul Monte Amiata, fui aiutato dai partigiani a raggiungere gli alleati a Roma ed entrare in contatto con i Monument Men. Rientrai a Firenze nell'agosto del 1944, con la città liberata dai nazifascisti, tornai in questa abitazione a riprendere la mia attività clandestina. Mi racconti dei trafugamenti più consistenti, e il loro recupero. La Divisione Herman Goering nell'ottobre del 1938, venne a conoscenza del trasporto dei capolavori dei musei napoletani all'Abbazia di Monte Cassino, per portarli in seguito nei Musei Vaticani dove sarebbero stati al sicuro. Riuscirono ad infiltrassi e ad organizzarne il trasporto. All'arrivo dei camion caricati a Napoli, ne mancavano due, gli alleati scoprono tramite i loro informatori che erano stati inviati in Germania. Io stesso partecipai al recupero del mal tolto. Venne mai osteggiato nella sua attività di recupero?
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Ero riuscito a collaborare con il servizio d'informazione degli alleati presenti in Firenze, ricevendo da loro una  tessera di riconoscimento, ma per essere stato in gioventù fascista ero visto con sospetto. Gli americani fecero su di me una investigazione segreta, per sapere se ancora condividevo le idee del fascismo. Come era visto dagli antifascisti italiani? Anche loro mi guardavano con sospetto. Per via del mio carattere scontroso ero inviso a molti. Il più accanito era Carlo Ludovico Ragghianti, mio avversario durante la lotta partigiana. Con insistenza andava chiedendo la chiusura dell'Ufficio Reuiperi aperto il primo di aprile 1946, di cui ero il Capo Ufficio. Mi parli dei suoi recuperi più clamorosi. Venni a conoscenza dei nascondigli in Alto Adige, luogo ritenuto ospitale e sicuro anche per la vicinanza alla Svizzera, dove i tedeschi avevano ammassato i tesori ai Musei degli Uffizi. Erano nascosti a Bolzano precisamente a San Leonardo e Campo Tures, nell'ex palazzo di giustizia del castello. La soffiata era stata fatta nientemeno da Karl Wolf Generale delle SS e proconsole in Italia del dittatore tedesco, con questa confessione trattava con gli americani per salvarsi. Queste opere erano state portate via da Firenze con la scusa di salvarle dai bombardamenti, erano li in attesa di essere trasportate in Germania, per finire nelle collezioni private di Hadolf Hitler  e Herman Goering.
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jacopocioni · 7 months ago
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: seconda parte
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Da spione a spiato - Inizio collaborazione con antifascisti Come mai era diventato un sovversivo da tenere sotto controllo, spiato e pedinato dal regime? La colpa maggiore per il partito fascista, era la mia amicizia con il collezionista e critico dell'arte di origine ebrea Giorgio Castelfranco, questo non era visto di buon occhio. Oltretutto durante le mie frequentazioni alla sua abitazione ebbi la fortuna di incontrare Giorgio de' Chirico e Pietro Annigoni anche loro considerati vicino agli anti fascisti.. Queste amicizie fecero nascere in me la voglia di collezionare opere d'arte. Intanto in Germania era iniziata la soluzione finale, ovvero lo stermino degli ebrei e la confisca dei loro averi. Il genocidio di questo popolo conobbe il suo culmine nel 1942 alla famigerata conferenza di Wannsee e in Italia? Dopo l'alleanza con i tedeschi Mussolini, per entrare nelle grazie di Adolf Hitler, emanò le famigerate Leggi Raziali, firmate dal re Vittorio Emanuele II. La politica antiebraica del dittatore nazista del 1938, inizio ad espandersi in Italia con la conseguenze note. Il Castelfranco venne costretto a lasciare il lavoro e in seguito nel 1942 ad espatriare. in quel triste frangente mi vendette questa abitazione, ne feci la centrale del mio nucleo operativo Come iniziò la sua carriera di recupero dell'arte trafugata? L'armistizio firmato con gli alleati Anglo Americani a Cassibile in Sicilia, colse tutti di sorpresa con le conseguenze che sappiamo. Fu allora che decisi apertamente di schierarmi con gli antifascisti. Iniziai a monitorare l'attività del corpo militare tedesco con il nome di copertura Kunstchutz, nato per salvaguardare la nostra arte, in realtà con il permesso dei funzionari del Ministero, depauperavano apertamente il nostro patrimonio culturale portavano i nostri capolavori in Germania, per musei e collezioni private.
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In quel frangente la mia attività di recupero ebbe un grave colpo. Nella primavera del 1944 fui arrestato dai componenti della famigerata banda di torturatori fascisti guidata dal temutissimo Mario Carità. Per mia fortuna la voce della mia cattura arrivo agli orecchi di alcuni alti ufficiali della Repubblica di Salò, anche loro in contatto con gli alleati, riuscirono a togliermi dalle mani di quegli assassini. Una bella fortuna l'amicizia con quegli alti ufficiali che si era fatto in precedenza e dalle quali non era stato abbandonato. La prego continui, la sua avventurosa vita mi affascina! Con la liberazione del Sud Italia dagli alleati, ci fu il ritorno a Roma del re, fuggito a Bari, i Ministeri ripresero il loro lavoro, anche per il il ritorno di molti funzionari espatriati o imprigionati essendo anti fascisti. Anche lo storico dell'arte Giorgio Castefranco poté rientrare alla sovraintendenza medioevale e moderna della Toscana nel 1946. Sotto la mia direzione collaborò alla Missione Italiana con l'aiuto dei Mount Men americani al recupero delle nostre opere d'arte vendute e regalate in Germania, Come detto in precedenza con il tacito assenso del gerarchi Fascisti, Malgrado le  leggi di tutela dal Ministro Fascista Giuseppe Bottai. Riuscii a riportare in Italia insieme ad altre opere trafugate la statua detta Discobolo "Lancelotti", copia dell'originale greco del Discobolo di Mirone scultore greco.
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jacopocioni · 8 months ago
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Intervista impossibile a Rodolfo Siviero: prima parte
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Rodolfo Siviero Intervista impossibile a Rodolfo Siviero, figura molto discussa, ricordato per aver revuperato e riportato in Italia opere d'arte trafugate dai Nazisti, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Tempo fa ho deciso di andare a visitare  il museo dello 007 dell'arte Rodolfo Siviero. Nel Lungarno Serristori si trova un villino il cui proprietario collezionista e storico dell'arte ebreo Giorgio Castellano vi abitava insieme alla moglie Matilde Forti e il figlio Paolo. Questa abitazione venne acquistata dal Siviero dal figlio Paolo, dopo le leggi raziali emanate dal governo italiano. Ne fece la base di partenza per i suoi viaggi per il mondo  a recuperare le opere d'arte portate via o acquistate dai Nazisti per  le collezioni private di Hadolf Hitler e Herman Goering. Vi abitò fino alla morte facendone un museo lasciato per disposizione testamentaria alla Regione Toscana affinchè lo mantenesse e lo aprisse al pubblico per le visite. Mentre giravo per le stanze del piccolo museo, mi sono imbattuto in un elegante signore di circa 72 anni seduto ad una scrivania, mentre guardava con una lente di ingrandimento un quadro disteso sul piano.  Mi sono fermato a guardare il suo lavoro. L'uomo sentendosi osservato , ha interrotto il suo lavoro e mi ha apostrofato: Desidera? Sono rimasto impietrito e ho farfugliato: Bu buon giorno, sta restaurando quel quadro? No sono il padrone di casa e di tutto quello che c'è dentro. Mi chiamo Rodolfo Siviero, e lei? Piacere, mi chiamo Alberto Chiarugi, sono venuto vedere la sua collezione di quadri e statue e se lei  permette vorrei farle alcune domande sulla sua vita e l'attività di recupero. Una amichevole intervista da pubblicare sulla Rivista Fiorentina FlorenceCity. Va bene acconsento, le racconterò la mia avventurosa vita. Prego, inizi pure.
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Mi chiamo Rodolfo Siviero, sono nato nel paese di Guardistallo nella Maremma pisana la viglilia del Natale del 1911, sono figlio di un sottufficiale dei Reali Carabinieri e della senese Caterina Bulgherini. Ho anche una sorella Imelde detta Rina più piccola. Giunsi con la mia famiglia a Firenze nel 1924, dove mio padre era stato trasferito. La mia carriera scolastica non era molto brillante, non ho mai preso un diploma. iniziai anni dopo a seguire corsi umanisti universitari. All'epoca mi consideravo un Don Giovanni, mi iscrissi come tanti italiani al Partito Fascista. Ero un grande idealista, amante dell'arte e poeta. Ho collaborato al giornale del Partito Fascista. Anni dopo sono entrato in contatto con gli intellettuali frequentanti il bar delle Giubbe Rosse, grazie a queste conoscenze iniziai a lavorare per alcune testate giornalistiche come critico artistico e letterario. Nel 1936 sono riuscito a pubblicare dall'editore Le Monnier  una raccolta di liriche da me scritte dal titolo "La Selva Oscura". Così lei aveva realizzato il sogno di diventare poeta. Continui, la sua vita incomincia ad interessarmi. Conoscevo e parlavo correntemente diverse lingue straniere, riuscii ad entrare in contatto con alte cariche del Partito. Era mia intenzione di fare la carriera diplomatica o entrare a far parte di istituti di cultura italiani. Dopo un anno, il Servizio Investigativo Militare, mi fece avere una borsa di studio universitaria in storia dell'arte in Germania. In realtà si trattava di una copertura per un incarico di informatore. La missione si svolse nella città di Erfurt dalla fine del 1937 al 1938. L'incarico mi venne assegnato dal Generale Alberto Pariani, sottosegretario alla guerra, responsabile delle azioni segrete. Tutto per raccogliere informazioni sull'annessione dell'Austria al Terzo Reich. La missione in Germania ebbe fine nel dicembre del 1938, fui espulso come persona non gradita. Credevo che il ritorno a Firenze mi avrebbe riservato una accoglienza migliore. Purtroppo veni messo sotto controllo . Il servizio segreto dei fascisti, avevano scoperto che, durante la permanenza in Germania mi ero avvicinato agli alleati e in Italia ai movimenti antifascisti. Fine prima parte
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jacopocioni · 8 months ago
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Provincie e Compartimenti, Distretti e comunità: 2° parte
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Segue dalla prima parte
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In questa fase vennero soppressi alcuni Comuni, mentre altri furono aggregati a Firenze, i seguenti Comuni: Pellegrino di Careggi. Il nome a questo Comune venne dato quando nella chiesa di Santa Maria del Suffragio nel 1810 si stabilirono i Monaci Ospedalieri di Altopascio, i quali aprirono una magione (magione-magiòne dal latino mansio - soggiorno, dimora, abitazione) per viandanti e pellegrini. Questo Comune venne soppresso nel 1865, passando parte al comune di Firenze, parte ai Comuni di Sesto Fiorentino e Fiesole; i suoi confini erano le mura dall'Arno fino alle Cascine, alla Porta al Prato, Porta San Gallo, percorrendo la via Bolognese dal Ponte  Rosso fino al cimitero di Trespiano, includeva l'agglomerato di Canonica di Cercina, la chiesa di San Silvestro, la Quiete fino al torrente Serpiolle. Giungeva a via delle Gore, delle Panche e il Terzolle. Via delle Gore comprendeva le Panche, le tre Pietre, via dell'Olmatello giungendo vicino Peretola e al Mugnone. Il confine del comune di Rovezzano rasentava le mura fiorentine sfiorando la Porta a Pinti proseguiva fino alla Porta alla Croce, arrivando fino all'Arno. Proseguiva fino al Girone giungeva al Poggio alla Croce, poi al torrente Mensola, la via del Guarlone tornando alla Porta a Pinti. Questo Comune nel 1865 venne suddiviso fra i Comuni di Firenze e Fiesole.
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Il Comune di Legnaia confinava con le mura cittadine dalla Porta Romana al Ponte Sospeso, seguiva il percorso dell'Arno fino ad incontrare la Greve, dove iniziava il Comune di Casellina e Torri. Costeggiava la Greve fino al Ponte a Greve e da li arrivava a Mosciano, passava sulla via Volterrana andando avanti ancora per un tratto. Superava Giogoli arrivava al Ponte all'Asse, imboccava via delle Campora fino a trornare alla Porta Romana. Questo Comune fu capoluogo dal 1808 al 1865 quando venne diviso fra i Comuni di Firenze, il Galluzzo e Casellina e Torri. LE ULTIME AGGREGAZIONI A FIRENZE
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Con le aggregazione del 1865 dei Comuni succitati, il territorio fiorentino rimase invariato fino al 1911, quando venne aggregata una parte del territorio fiesolano. Venivano inglobati i territori da Coverciano alla sinistra di via Faentina arrivando fino al cimitero di Trespiano; una parte del Galluzzo dalle Due Strade elle Cinque Vie, una porzione del Comune di Bagno a Ripoli con la zona di San Miniato fino al Bandino. Rimanevano fuori dal territorio fiorentino il Comune di Brozzi, aggregato che con Regio Decreto del 9 novembre 1891 era entrato a far parte del Mandamento di Sesto Fiorentino insieme ad una parte del Galluzzo, di Casellina e Torri e di Bagno a Ripoli. L'ultimo ampliamento del Comune Fiorentino avvenne, quando il 1° dicembre 1928 sulla "Gazzetta Ufficiale" del Regno d'Italia, con il Regio Decreto-Legge del 1° novembre 1928 n. 2562, si unirono al comune di Firenze alcune frazione dei Comuni limitrofi: Bagno a Ripoli, Casellina e Torri (una parte andò al Comune di Scandicci), Sesto Fiorentino, che perse la zona di Novoli, di  Quarto, di Castello, Brozzi e il Galluzzo.
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Alberto Chiarugi Read the full article
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