#storia moda 900
Explore tagged Tumblr posts
fashionbooksmilano · 3 months ago
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Masters of Fashion
I protagonisti del sogno
Maria Luisa Tagariello
White Star, Milano ed.aggiornata 2024, 304 pagine, 26x29,5 cm, ISBN 978-88-540 5609-1
euro 35,00
email if you want to buy [email protected]
La vita di stilisti diventati icone in un volume fotografico che racconta la storia della moda.
Ventisei capitoli per ventisei storie che raccontano vite fuori dall'ordinario. Da Coco Chanel a Gianfranco Ferré, da Karl Lagerfeld a Gianni Versace. "Masters of Fashion I protagonisti del sogno" è un libro sulla moda che si costruisce attorno alle incredibili biografie di chi, armato di ago e filo, tenacia e creatività, è passato alla storia grazie al potere rivoluzionario dei propri abiti e delle proprie creazioni. Incredibili interpreti della propria epoca, le stiliste e gli stilisti raccontati in questo volume sono riusciti a cogliere l'essenza del proprio tempo, decodificandone lo spirito: ogni abito che è passato alla storia non è solo un vezzo estetico, ma una presa di posizione sociale e politica che diventa uno spartiacque tra il prima e il dopo.
16/10/24
11 notes · View notes
diceriadelluntore · 7 months ago
Text
Tumblr media
Storia Di Musica #333 - Elvis Costello & The Attractions, Get Happy!!, 1980
Quando, in una sera del 1976, gli venne l’idea di presentarsi con un nome d’arte omaggio alla sua nonna, pensava forse che sebbene volenteroso, il suo vero, Declan Patrick Aloysious McManus, sarebbe stato preso per uno scherzo. Quella sera si presenta come D.P. Costello, che cambierà nel definito Elvis Costello, come omaggio al Re del Rock’n’Roll. Occhialoni alla Buddy Holly, look che esibiva orgogliosamente il suo essere fuori moda, a metà degli anni ’70 Costello è un giovane arrabbiato che ha le carte in regole per dire la sua, in modo interessante, oltre il nichilismo furbetto del punk. Quando Nick Lowe, suo amico e collaboratore, gli trova un ingaggio per la Stiff Records, lui non essendo in totale fiducia decise di non abbandonare il proprio posto da operaio nella ditta di cosmetici Elizabeth Arden (a cui dedicherà una stupenda canzone, I’m Not Angry). In effetti non erano tempi da cantautori, ma bastano i primi guizzi di My Aim Is True (1977) per sgombrare il campo: l’offensiva antifascista di Less Than Zero unite a doti melodiche di alto livello (la mitica Alison, suo pezzo culto) presentano al pubblico un nuovo modo di raccontare musicalmente i tempi. La seconda prova è ancora meglio: This Year’s Model (1978) lo vede insieme ai The Attractions, il gruppo di Stevie Nieve (alle tastiere) e Bruce Thomas (basso) e Pete Thomas (batteria, i due non erano parenti), e in un disco multiforme, dai testi lunghissimi, sciorina la sua bravura in canzoni stupende come I Dont’ Want To Go To Chelsea, Pump It Up (altro inno di quegli anni), Little Triggers e Night Rally. È richiestissimo e parte per Tour in Europa e Stati Uniti. Nelle pause delle date, scrive sull’onda dell’entusiasmo altre canzoni, che compongono il terzo disco in tre anni, Armed Forces (1979): segnato dallo stress e dai primi, evidenti eccessi di vita, è un disco ansiogeno e un po’ frettoloso, che alle belle e ormai garantite belle canzoni aggiunge riempitivi. Sarebbe tutto normale, ma le cose stanno prendendo una brutta piega: le dipendenze da alcool e droga lo rendono nervoso e aggressivo e durante il tour americano, a Columbus, in Ohio, si incontrò con Stephen Stills nel bar dell’Holyday Inn. Qui in preda a deliri alcolici sbiascica pesantissimi insulti razzisti a James Brown e Ray Charles, litiga fino alle mani con la cantante Bonnie Bramlett (che era diventata famosa nel duo con il marito Delaney & Bonnie) e vede in un attimo disintegrarsi la sua reputazione negli Stati Uniti. Ci furono ulteriori polemiche poiché la vicenda fu quasi semi oscurata dai giornali britannici. Le successive scuse in una goffa conferenza stampa non servirono a nulla. Torna in patria e nel 1979 produce il primo, storico, album degli Specials, fa l’attore in Americathon (semisconosciuto film di Neil Israel, dove Costello si esibisce cantando Crawling In the USA). Durante la produzione del disco degli Specials, scrive e suona da solo tutti gli strumenti per del nuovo materiale nei piccoli studi di registrazione Archipelago (scritto così) di Pimlico, nei sobborghi londinesi. Costello ha la necessità di dare un taglio al suono precedente e per il nuovo si ispira alla musica afroamericana degli anni ’60, allo ska, e ha tantissime cose da dire.
Get Happy!! (che esce nel 1980) prende il titolo dalla canzone omonima composta da Harold Arlen, con i testi scritti da Ted Koehler, negli anni ’30 del ‘900, che riprendeva un testo di tipo evangelico. Fu portata al successo da Judy Garland e negli anni è divenuto uno standard per centinaia di artisti. Registrato tra Londra e i Paesi Bassi, a Hilversum, prodotto da Nick Lowe e Roger Béchirian, è un disco-mondo dove Costello mette 20 brani, molti dei quali brevissimi, meno di 2 minuti. È una prova di amore per quella musica, e anche di liberazione in un certo senso (nonostante anche durante le sessioni perdureranno i problemi con alcool e droghe). Ci sono due cover: I Can't Stand Up For Falling Down di Sam & Dave e I Stand Accused dei Merseybeats come omaggio al mai abbandonato amore per il suono di Liverpool. Per il resto, l’enormità (per l’epoca dove esistevano solo i vinili) dei 18 pezzi rimanenti passano dagli omaggi fin troppo sfacciati (Temptation è in pratica la Time Is Tight di Booker T & The MG’s con un testo diverso),a canzoni stupende come Love Me Tender (che apriva il disco), Possession, King Horse fino ai capolavori come New Amsterdam elegia sulla selvaggia New York, High Fidelity, doloroso e drammatico affresco sulle delusioni dell’amore e Riot Act, canzone scritta sui fatti di Columbus. L’omaggio alla musica r’n’b è evidente nella copertina: dalla grafica e dai colori cari alla Stax di Memphis, vedeva tre foto identiche di Costello sfalsate in colori acidi, e aveva una particolarità: l’effetto vissuto del cerchio bianco proprio al centro, a imitare il consumo dell’uso eccessivo. Tra l’altro le prime edizioni avevano la scaletta scritta al contrario, con Riot Act primo brano e Love Me Tender ultima, e valgono di più nel mercato dei collezionisti.
Il disco all’epoca fu accolto con grande favore dalla critica e dal pubblico: numero 2 in Gran Bretagna e un sorprendente numero 11 negli Stati Uniti. Negli anni il disco ha guadagnato ancora più favori, sottolineando la scelta niente affatto facile di Costello di distaccarsi sempre con intelligenza dai generi imperanti per la ricerca di una via personale alla sua necessità di musica. Scriverà un altro disco capolavoro, Imperial Bedroom (1982) che è una grande prova di pop d’autore, che aprirà le porte ad una nuova trasformazione verso un colto, raffinato, ma un po’ meno eccitante, modello di voce-pianoforte che diventerà il modulo classico della maturità costelliana. Ne ha fatta di strada in decenni quel tipo con gli occhialoni che prese in prestito dalla nonna il suo nome d’arte per la celebrità.
16 notes · View notes
thegianpieromennitipolis · 1 year ago
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
ARTE STORIA DELLO STILE
Roberto Longhi, piemontese di Alba, classe 1890, è stato uno dei più pregevoli critici d'arte italiani.
Per alcuni, il maggiore.
Non faccio classifiche.
Ricordo solamente il suo concetto del fare artistico:
«[...] l'arte non è imitazione della realtà, ma interpretazione individuale di essa [...] Mentre il poeta trasfigura per via di linguaggio l'essenza psicologica della realtà, il pittore ne trasfigura l'essenza visiva: il sentire per l'artista figurativo non è altro che il vedere e il suo stile, cioè l'arte sua, si costruisce tutto quanto sugli elementi lirici della sua visione.»
Così affermava nella sua "Breve ma veridica storia della pittura italiana", effetto di un compendio proposto da Longhi, tra il 1913 e il 1914, per i maturandi dei licei romani "Tasso" e "Visconti".
Era un giovane laureato.
Ma tenne quell'impostazione per tutta la vita: l'arte nasce dall'arte.
Ed è dunque storia dello stile, o meglio degli stili.
Difficile tenere quel modello concettuale entro solidi margini nella creatività caotica dell'arte contemporanea.
A maggior ragione per chi come me sostiene che l'atto lirico non sia individuale e originale libertà ma il riflesso di una cultura che fa traccia nel tempo facendo del corpo dell'artista il suo strumento espressivo.
Eppure, quando osservo i cosiddetti "illustratori", tra XIX e XX secolo (tra i quali è annoverato Toulouse-Lautrec) che per me sono artisti senza alcuna limitazione, mi sento additato dalle parole di Longhi come in un invalicabile atto d'accusa.
René Gruau, al secolo Renato Zavagli Ricciardelli delle Caminate, riminese dalla nascita avvenuta nel 1909, è tra quelli che più di altri mi mettono in crisi.
Ma che, paradossalmente, concorre a salvare la mia tesi.
Infatti, mentre la sorprendente sintesi stilistica dell'artista italiano attraversa il '900 in un raffinato allungarsi e diffondersi di figure dalla strepitosa e diafana eleganza, corroborando la sentenza longhiana sulla traccia lirica come epicentro dell'arte, quelle apparizioni affascinanti altro non sono che l'espressione dell'estetica del secolo, punto di convergenza delle necessarie concatenazioni causali capaci di rendere riconoscibile il gusto per modelli rappresentativi inequivocabili: rammentano la stampa quotidiana e periodica, la pubblicità, il cinema, la moda di quegli anni ruggenti e tragici, disseminati di straripante follia ed estro creativo.
L'arte emerge dalla vita concreta delle società e dalla grafia delle loro visioni culturali.
Nondimeno, sono un tuffo nel passato recente, con una proiezione nel presente e nel futuro: la linea di Longhi mai spezzata nel suo farsi storico.
Dal fondo, emerge l'essere umano, illuso della libertà e immemore del destino di finitezza assegnata ai confini invalicabili di tempo e di spazio.
Che costui disegna nel colore di un'agognata dimenticanza.
- Le immagini sono un'antologia di espressioni figurative di René Gruau sparse lungo tutto il XX secolo.
21 notes · View notes
enkeynetwork · 7 months ago
Link
0 notes
danadanyproject · 8 months ago
Text
Bauhaus e fashion design
Ecco come uno dei più rivoluzionari movimenti artistici del ‘900, il Bauhaus, ha ispirato il fashion design di ogni epoca con la sua estetica Bauhaus e fashion design:Paco Rabanne collezione “Twelve Importable Dresses In Contemporary Materials” 1966 La moda, nella storia del Novecento, è stata al centro di un dibattito che verteva sul suo essere o meno Arte, al pari di altre discipline come la…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
cinquecolonnemagazine · 9 months ago
Text
Donne del 900: Coco Chanel
Le donne del 900 hanno avuto un ruolo importante nella società. Dalla prima guerra mondiale che le ha costrette a sostituire gli uomini sui luoghi di lavoro non si sono più fermate. Hanno compreso il loro valore e le loro potenzialità e dato il loro contributo un po' in tutti i campi. Una delle donne simbolo del Novecento è senza ombra di dubbio Coco Chanel, la regina della moda. Donne del 900: chi era Coco Chanel Nata come Gabrielle Bonheur Chanel il 19 agosto 1883 a Saumur, in Francia, Chanel ha rivoluzionato l'industria della moda con la sua visione audace e il suo spirito innovativo. Il suo impatto non è stato solo nel mondo dell'abbigliamento, ma si è esteso anche alla società stessa, cambiando per sempre il modo in cui le donne si vestivano e si vedevano. Coco Chanel ha trascorso i primi anni della sua vita in un orfanotrofio, dove acquisì le abilità di sartoriale che avrebbero plasmato la sua carriera. Fu questo ambiente che la spinse a cercare l'eleganza e la semplicità nelle sue creazioni, rompendo gli schemi delle mode precedenti, caratterizzate spesso da corsetti stretti e accessori eccessivi. I simboli di Chanel Il suo ingresso nell'industria della moda avvenne negli anni '20, un'epoca di grande fermento culturale e sociale. Chanel colse l'occasione per introdurre un nuovo stile, uno che incarnava l'essenza della libertà e dell'indipendenza femminile. Le sue creazioni rivoluzionarie includevano abiti sartoriali, giacche dal taglio maschile, e soprattutto il celebre little black dress: il "piccolo vestito nero", ovvero il tubino nero, un capo iconico che sarebbe diventato un simbolo di eleganza senza tempo. Ma Chanel non si limitò alla moda; la sua influenza si estese anche al mondo della profumeria. Nel 1921, lanciò il profumo Chanel No. 5, un'essenza rivoluzionaria per il suo tempo, con una fragranza audace e un design minimalista. Ancora oggi, Chanel No. 5 rimane uno dei profumi più venduti al mondo, testimoniando la sua duratura eredità. Comprendere le donne del 900 Ciò che rendeva unica Coco Chanel era la sua capacità di anticipare i desideri e i bisogni delle donne moderne. Lei comprendeva che la moda doveva essere funzionale oltre che elegante, e le sue creazioni incarnavano questa filosofia. Le donne di tutto il mondo si identificarono con il suo stile senza tempo e con il suo messaggio di emancipazione femminile. Ma l'eredità di Chanel va oltre il mondo della moda. Fu una pioniera nell'ambito degli affari, costruendo un impero che sopravvisse anche a periodi di turbolenza economica e sociale. La sua determinazione e il suo spirito intraprendente la resero un esempio per le donne di tutto il mondo, dimostrando che con talento e lavoro duro si possono superare qualsiasi ostacolo. Nonostante il suo successo straordinario, Chanel rimase sempre una figura enigmatica. Era nota per la sua riservatezza e il suo atteggiamento distaccato, che la facevano apparire come un'individuo solitario anche quando era circondata da ammiratori e seguaci. Il suo stile di vita personale, contraddistinto da relazioni tumultuose e una serie di alti e bassi, aggiunse un alone di mistero alla sua figura già leggendaria. Tuttavia, nonostante le sfide personali, Chanel continuò a concentrarsi sulla sua arte, creando capolavori che avrebbero lasciato un'impronta indelebile sulla storia della moda. Anche dopo la sua morte nel 1971, l'influenza di Coco Chanel continua a risuonare nell'industria della moda. Le sue creazioni sono ancora celebrati per la loro eleganza senza tempo e la sua idea di femminilità continua a ispirare donne e designer di tutto il mondo. In copertina foto di Pexels da Pixabay Read the full article
0 notes
the-door-of-my-heart · 2 years ago
Text
TUTTO QUELLO CHE MI VIENE IN MENTE SU DI ME: P2
Confondo spesso la destra con la sinistra, ho bisogno di qualche momento per collegare e capire quale sia la destra e quale la sinistra
Conto con quasi sempre con le dita
Ci metto molto a leggere l’orologio con le lancette, l’ho odiato per moltissimo tempo e spesso lo odio ancora. Odio fare shopping e spendere soldi in abbigliamento anche se amo la moda
Quando so di dover uscire per andare a comprare qualcosa consulto il catalogo online e mi salvo gli articoli che mi interessano per essere sicura di non dimenticarmi niente e non stare troppo nei negozi.
Amo i detersivi per pulire al limone, il mio preferito è il Napisan, lo uso almeno una volta al giorno su tutte le superfici di camera e casa
Dormo in posizioni surreali Odio l’idea di fermare per strada persone conosciute per chiedere loro foto o autografi e non capisco chi lo fa, la trovo una situazione imbarazzante e irrispettosa 
Ho periodi in cui piango per anche le cose più ridicole e periodi in cui anche la peggiore della giornata non mi tocca, dove posso vedere video commoventi senza provare un minimo di empatia. (Piango per i si a Italy’s got talent) 
Non amo la carne in generale, anche se mi piace moltissimo la carne alla brace o stile roadhouse. Amo i ribs alla salsa barbecue del readhouse
Sono quel tipo di persona che per ogni ristorante o locale ha il suo primo, il suo secondo o il suo gelato. Sono un’abitudinaria prendo sempre se solite cose. 
Odio la gente che urla, che ha l’abitudine di insultare, dire la parolacce perché mi viene difficile instaurare una relazione o conversazione sana
Amo i gli abiti d’epoca anni 800 e 900
Le mie catene di ristoranti preferite sono: McDonald, roadhouse e old Wild West
Non amo il Burger King, non amo l’american dinner per il cibo anche se amo il locale e il servizio.
Amo i ristoranti e le catene di ristoranti giapponesi, sono stata poche volte in ristoranti cinesi o altri ristoranti etnici anche se mi piacerebbe molto provarli. 
Amo le macchine da scrivere antiche, amo la storia, amo conoscere il perché delle cose e il come 
Amo la Marvel e la Disney
Amo il Natale e tutte le feste in generale, amo i dolci 
Amo parlare dei tabù come il sesso,  sessualità, maternità, gender gap, politica, morte, religione. Mi aiuta a capire la persona che ho davanti e il modo in cui pormi. 
Amo i picnic
Amo il bungee jumping
Amo l’amore e tutto ciò che lo rappresenta, amo verona, parigi, san Valentino, i musei dell’amore,  le lettere d’amore, i regali come cioccolatini e peluche e in realtà tutte le feste perché nel natale, nella pasqua, nelle feste dei nonni, festa della mamma, festa del papà c’è sempre l’amore 
Amo i murales e i graffiti che hanno lo scopo di valorizzare un posto, una zona o un edificio. Odio i murales/graffiti che non hanno questo scopo o che ne hanno quello opposto.
Tra baci e abbracci preferisco gli abbracci, li amo ci starei ore 
Amo le coccole, soprattutto quelle a voce sussurate all’orecchio
Odio i litigi di qualsiasi tipo, anche quelli costruttivi vorrei fossero limitati al niente per dare spazio a delle discussioni civili
Amo il mare, le onde, l’odore del male e camminare sulla sabbia
Amo le luci a led 
Amo i ritratti, tutti i tipi di ritratti, da quelli realistici a quelli fumettistici o più simpatici
Mi piace molto ballare e cantare anche se sono stonatissima e inguardabile 
La materia più temuta a scuola era la matematica 
Amo stare sveglia la notte, potessi trasformerei la notte in giorno 
Mi piacerebbe vivere due volte il giorno del mio compleanno facendo quei viaggi tra fusi orari diversi, esperienza divertente 
Se potessi avere un superpoteri vorrei il teletrasporto, non mi interessa lettere la mente, l’invisibilità, volare, mi teletrasporterei in giro per il mondo
Non mi piacciono Pio e Amedeo
Amo Roberto Benigni e i suoi monologhi
Sono a favore dello ius soli, ius scholae, del matrimonio equalitario, dell’eutanasia, dell’autonomia energetica, dell’aborto
Vorrei leggi più severe e controlli più severi per quanto riguarda lo sfruttamento e la violenza sugli animali, sul femminicidio o violenze di genere, violenze sui minori e in generale sui figli o più indifesi, sull’hate speech, cyberbullismo, bullismo, catcalling e molestie di qualsiasi genere 
Amo le lettere scritte a mano e il lettering
Amo l’arte e i musei
Amo il make-up, la Skin care e hair care
Sono pro agli interventi chirurgici
Non ho paura di morire 
Mi piace moltissimo camminare, nella maggior parte dei casi non è un’attività che mi stanca ma che mi da carica 
Amo l’Interior design, i miei stili preferiti sono industriale, etnico e contemporaneo quello che vorrei in casa mia è in misto tra questi in chiave minimal
Sono stitica da tutta la vita, non so cosa voglia dire andare di corpo una o due volte al giorno. Mi capita se va bene una volta ogni una o due settimane. 
Amo la montagna, gli chalet, la neve e mi piacerebbe molto passare un natale in montagna con la ciocolata calda, il plaid, con la neve, il pupazzo di neve, i mercatini di natale e i film delle feste.
Amo il natale, gli addobbi natalizi, lo spirito natalizio
Non guido la macchina per paura di far male 
Amo le fattorie e gli allevamenti in cui gli animali vengono trattati con rispetto e amore
Amo le uniformi e divise, ho un debole per le uniformi Trenitalia, Alitalia, Qatar Airways,  Vietnam airlines e in assoluto le mie preferite Emirates e Hainan air.
Odio il disordine e lo sporco
Odio i negozi tipo primark perché c’è troppa roba, troppa gente, troppo disordine e non so dove guardare e dove trovare le cose. Ci sto 5 minuti di numero in cui fingo di sapere cosa sto facendo e esco subito per non avere attacchi di claustrofobia. 
Amo la Coca-Cola Zero 
Amo le tecniche di autodifesa o l’autodifesa come kongfu 
Amo la discoteca e i concerti 
Amo tutti i generi di film, amo i film horror ma non riesco a guardare film come La notte del giudizio o Truth or dare, mi danno fastidio 
Non mi piacciono i film che promuovono modelli tossici
Vorrei fare da volontaria in qualche canile, andare con plastic free o sea shepherd. 
Mi fanno paura le persone a cui non si vede bene la faccia che hanno una maschera di qualsiasi tipo o il casco oscurato.
Amo le maratone di film e non trovo mai nessuno che le faccia con me.
Amo i documentari e i monologhi
Non amo la classica comicità, non mi fanno ridere programmi come Zelig, Colorado o LOL.
Non mi piacciono i film con Cecco Zalone, Aldo Giovanni e Giacomo o i soliti idioti. 
Mi fa molto ridere Angelo Duro e mi piace Crozza e la satira politica. 
Amo studiare in compagnia.
Per studiare utilizzo le flash card
Mentre preparo gli appunti e gli schemi delle lezioni sono molto lenta e mi distraggo facilmente
La mia vita è un procrastinare
Non ho il desiderio di diventare mamma e non penso di avere l'istinto materno.
Ho paura di tutto ciò che è in mio controllo, affiderei la mia vita a chiunque probabilmente e sarei in grado di fidarmi. Quando si tratta di me faccio molta difficoltà.
Ho sempre i dolori alle ginocchia, caviglie e polsi. A volte il dolore alle ginocchia non mi fa camminare, ma quello ai polsi è quello più frequente e fastidioso.
Mi sarebbe piaciuto lavorare nel settore estetico come parrucchiere, estetista, make-up artist, nail artist o figure di questo genere.
Non so usare programmi come excel anche se ho poco più di vent'anni.
Ho fatto due corsi di primo soccorso, al secondo durante la prova di rianimazione cardiopolmonare non riuscivo (nonostante ci andassi sopra con tutto il peso) a rianimare il manichino. Scusate, mi allenerò e sarò più forte per tutti voi.
1 note · View note
raffaeleitlodeo · 2 years ago
Text
Mio nonno, l'esperanto e "Slava Ukraïni"!
Mio nonno, che era un socialista finito pure al confino per le sue idee antifasciste e contrarie alla guerra, quando ero piccolo mi diceva che non c'è inno nazionale che non abbia dentro connotati e parole di superiorità, gloria, onore, guerra, battaglie, armi, vittoria, confini: tutte cose che da socialista internazionalista e pacifista lui aborriva - e che mi ha insegnato ad aborrire.
Non so se è vero che proprio tutti gli inni nazionali sono così. A me quello francese ad esempio non dispiace, anche se si parla anche lì di "gloria" e di "patria", e a me il concetto stesso di patria invece fa sbuffare, sarà colpa del nonno che si definiva "cittadino del mondo" e sognava un pianeta senza confini dove si parlasse esperanto.
Ma nulla è più fuori moda delle idee di mio nonno, e mie, in questa fase della storia carica di sovranismi e patriottismi e mitizzazione dei confini che a volte diventano muri, reazione forse inevitabile a una globalizzazione che ha corso troppo in fretta e non ci ha fatto diventare cittadini del mondo ma solo consumatori globali, con un'élite che tutto o quasi decide, alla democrazia resta più o meno  dove mettere i semafori.
A tutto questo (in cauda venenum, sì) pensavo leggendo i diffusi "Slava Ukraïni!" di persone di sinistra che vorrebbero così salutare la liberazione di Cherson, la sconfitta dell'autocrate invasore. Fatto, quest'ultimo, che è doppiamente benvenuto: primo perché l'autocrate invasore è stato almeno po' ricacciato da dove non lo volevano e - secondo - perché se Dio vuole apre uno spiraglio per sospendere, almeno, la mattanza. Eppure, compagne e compagni, restano i fondamentali - almeno per chi considera le nazioni dei residui ottocenteschi: duole dirvelo, ma anche "Slava Ukraïni" è nazionalismo, confini, onore, gloria e tutta la paccottiglia culturalmente di destra dell'800 e del 900. E, prima che si alzi su un pinocchietto ad accusarmi di putinismo, sia chiaro che  il più acceso e folle nazionalista - "ontologico", "spiritualista" - è proprio Putin e il suo giro di fascistoidi, da Medvedev a Cirillo.
E quindi sì, è ovvio che ora possa esserci sbandamento ideologico e culturale da parte di chi i nazionalismi li avversa, e prende quindi la scorciatoia facile di opporsi al nazionalismo di chi è in torto e aggressore con il nazionalismo di chi ha ragione ed è aggredito - quindi cade con tutti i piedi nella trappola. Anche perché ora c'è l'onda collettiva di simpatia per l'invaso che ha resistito e in parte vinto.
Ma poi l'onda passerà, e sarebbe una sconfitta culturale epocale se, una volta passata, restassimo orfani - noi di sinistra - anche del sogno di un mondo senza confini, se finissimo imbevuti anche noi di patria, gloria, onore, armi, e "nazione": la parola che infatti tanto piace alla nostra - anzi al nostro - presidente del consiglio.
Alessandro Gilioli - Facebook
6 notes · View notes
marcoservida · 3 years ago
Photo
Tumblr media
𝗟𝗘 𝗟𝗔𝗩𝗢𝗥𝗔𝗧𝗥𝗜𝗖𝗜 𝗗𝗜𝗠𝗘𝗡𝗧𝗜𝗖𝗔𝗧𝗘 𝗗𝗜 𝗠𝗜𝗟𝗔𝗡𝗢 In occasione della festa dei lavoratori vi racconto la storia di alcune lavoratrici dimenticate. Parlo delle piscinine: bambine (6 - 13 anni) che a Milano erano apprendiste nelle sartorie alla moda di inizio '900. Sottoposte a orari di lavoro massacranti in cambio di pochi soldi, oltre a cucire avevano compiti pesanti come quello di consegnare i pesanti abiti da signora per tutta Milano: pacchi da 10 kg che portavano a piedi! Nel giugno 1902 una piscinina di 14 anni, Giovannina Lombardi, organizza uno sciopero. Obiettivo: migliorare le condizioni di lavoro delle ragazze. Alla protesta parteciparono 400 bambine al grido di "voéurem 50 ghei al dì!" Le piscinine ottengono la riduzione del peso dei pacchi, un'ora di riposo al giorno e un salario piu' alto. Ricordiamo queste piccole e coraggiose lavoratrici, ormai dimenticate da tutti (ma non da noi!) by Paola –Milano on tour https://www.instagram.com/p/CdAjVIHsmVf/?igshid=NGJjMDIxMWI=
5 notes · View notes
corallorosso · 3 years ago
Photo
Tumblr media
Questo ragazzo per me è più di un amico, è un fratello. Lo conosco da dieci anni, l'ho visto crescere giorno per giorno. Michele, si chiama. Qui lo vedete fuori alla fabbrica dove lavorava come operaio. Siamo nell'hinterland di Napoli, in un'azienda a conduzione familiare con decine di dipendenti. Le condizioni: 900€ al mese, 9 ore di lavoro al giorno, testa bassa, nemmeno il tempo di prendere una bottiglietta d'acqua fuori dalla pausa pranzo. Per evadere il fisco il padrone carica sulla carta dei dipendenti più soldi del dovuto - ma si fa restituire l'avanzo in contanti. Così paga la parte di stipendio in nero ad altri dipendenti. Eppure i soldi non mancano, fanno borse per una grande marca di alta moda: 150 borse al giorno a 4.000€ l'una. Un giorno Michele sta lavorando con altri due operai. Uno dei due fa una battuta, si mettono a ridere. Li vede il figlio del padrone, 26 anni, gli si fa sotto, li sgrida. Gli altri due abbassano la testa. Michele pensa che è ingiusto, gli dice "ma a te non ti è mai capitato di ridere sul lavoro?". Il figlio del padrone risponde che a lui no, non è mai successo... poi ci pensa su: "ti faccio avere un richiamo disciplinare". Pochi minuti dopo arriva suo padre, il padrone della fabbrica, porta fuori Michele. "C'amma salutà, domani non venire". E lo licenzia così. Ma la storia non finisce così, come tante che abbiamo sentito. Perché Michele non è come tanti che abbiamo sentito. E si toglie una bella soddisfazione, quella di andare a trovare il padrone fuori alla fabbrica e di dirgli in faccia cosa pensa di lui - il video lo trovate qui: https://www.facebook.com/michele.maddaluno.7/posts/4532408150113538 Una cosa che dovremmo iniziare a fare tutti. Perché fa stare bene, e non siamo noi a dovere stare male... La faccia che fa il tipo sa davvero di riscatto collettivo. Ma forse la soddisfazione più grande è che tutta questa rabbia l'ha messa anche in un pezzo. In un racconto, in un messaggio ad altri come lui, l'ha trasformata in un progetto: "Quando sarò in alto vorrà dire che nessuno guarderà più in basso" Se vi va, ascoltate qui: https://www.youtube.com/watch?v=jDpF4aiF8xM https://spoti.fi/3z5g4F9 Salvatore Prinzi
10 notes · View notes
fashionbooksmilano · 4 years ago
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Il colore dell’Aurora
La rivoluzione cromatica della chimica moderna
Luigi Giavini
Nomos Edizioni, Busto Arsizio 2010, 160 pagine, ISBN  978-8888145440
euro 44,00
email if you want to buy [email protected]
Con la scoperta del colore dell’Aurora, inizia la rivoluzione nella chimica moderna e dei coloranti sintetici. Luigi Giavini racconta la storia di questa svolta epocale, che ebbe grandi ripercussioni sia sul mondo dell’economia che su quello della moda: il passaggio dai coloranti naturali a quelli sintetici segnò infatti l’inizio di un nuovo modo di tingere il tessuto, più economico e duraturo. Attraverso lo studio degli straordinari campionari dell’epoca tra 1850 e i primi del ‘900, si scopre il nuovo arcobaleno di colori reso possibile dal progresso scientifico: dai colori primari alle loro infinite combinazioni. Il passaggio ai coloranti sintetici, con la storia della scoperta e della creazione di alcune delle tinte principali il colore dell'aurora appunto - segna la possibilità di una produzione più regolare ed economica dei colori in tutti gli usi tessili, quindi anche nell'abbigliamento, con enormi ripercussioni nel campo della moda e del costume. Un nuovo capitolo della ricerca di Giavini: un libro sulla storia dell’industria tessile, un libro sul colore. Un vero e proprio arcobaleno di colori ricostruisce l'intero spettro cromatico della produzione tessile dell'epoca. Con una prefazione di Ermanno Barni Professore Ordinario di Chimica Organica nell'Università di Torino.
29/09/20
orders to:     [email protected]
ordini a:        [email protected]
twitter:@fashionbooksmi
instagram:         fashionbooksmilano, designbooksmilano tumblr:                fashionbooksmilano, designbooksmilano 
20 notes · View notes
levysoft · 4 years ago
Link
Il cielo sopra il porto era del colore di uno schermo televisivo sintonizzato su un canale morto. Con questa frase divenuta storia della letteratura inizia Neuromante, romanzo del 1984 considerato ancora oggi il manifesto della cultura cyberpunk. L’autore era un giovane scrittore che in breve divenne il simbolo di questa corrente della fantascienza letteraria: William  Gibson. La nascita di Neuromante è parte di una vita incredibile, iniziata il 17 marzo 1948 e che ha portato Gibson a confrontarsi in modo diretto con l’anima profonda degli States della seconda metà del ‘900.
Parlare della narrativa di William Gibson non significa disquisire solamente di cyberpunk. Pur essendo quest’ultimo una parte centrale nella sua carriera autoriale, si tratta di una tappa della vita del romanziere americano, che è arrivato alla definizione di questo genere grazie al suo vissuto personale. Può sembrare un’affermazione scontata, ma quando parliamo di cybperunk dobbiamo andare oltre la pura estetica per analizzare i tratti essenziali di questa sci-fi sociale, che sono presenti nelle opere di Gibson in modo evidente proprio grazie alle esperienze formative dello scrittore.
I primi anni di William Gibson
Nato a Conway, nella Carolina del Sud, William Gibson apparteneva a una famiglia della media borghesia, che viveva tra Conway e Wytheville, in Virginia, città natale dei genitori. Per via del lavoro del padre, Gibson ebbe un’infanzia movimentata, che trovò una prima stabilità quando in seguito alla morte accidentale del capofamiglia i Gibson si trasferirono definitivamente a Wytheville. Nei ricordi di Gibson, questa cittadina è uno spaccato dell’America del periodo:
“Un luogo in cui la modernità era arrivata in qualche modo, ma era ancora profondamente malvista”
In questo luogo, Gibson trova la propria evasione nella lettura di opere di fantascienza. Di carattere schivo e poco socievole, il futuro scrittore vede in queste avventure future una propria via di fuga, maturando la decisione di volere diventare scrittore. Gli studi, però, non sono particolarmente buoni, considerato che la maggior del tempo Gibson lo passa tra l’ascolto di musica e la lettura, avvicinandosi anche ai grandi maestri della Beat Generation, come Ginsberg, Kerouac e Burroughs.
Queste lettura sono una via di fuga per un ambiente che lo stesso Gibson definì chiuso e problematico, in cui non riusciva pienamente a integrarsi, lottando spesso con la madre, poco soddisfatta dai suoi risultati scolastici. Una situazione che si protrasse sino alla morte della madre di Gibson avvenuta nel 1966, in seguito alla quale abbandonò definitivamente gli studi e decise di girare il mondo, avvicinandosi sempre di più agli ambienti della controcultura, vagando per l’America e arrivando anche in Europa. Ma come ogni giovane americano del periodo dovette affrontare un momento di svolta: la chiamata alle armi per la Guerra del Vietnam.
Tumblr media
L’età adulta e la scoperta del mondo
Durante il colloquio con i reclutatori, William Gibson cercò di evitare di prestare servizio sostenendo che il suo unisco scopo nella vita fosse quello di provare qualunque sostanza di alterazione mentale esistente. Senza attendere il risultato del colloquio, Gibson prese un pullman per il Canada, in modo da sfuggire alla leva obbligatoria. Alla base della sua decisione non c’erano motivi di natura morale, ma la voglia, come disse lui stesso nel documentario biografico No Map for These Territories, di provare l’esperienza delle comuni hippie e di consumare erba.
“Quando iniziai a scrivere, mi vantai di avere evitato la leva quando non avrei dovuto. Fuggì in Canada con la vaga idea di sottrarmi alla leva, ma non era stato arruolato quindi non ricevetti mai la chiamata. Non so cosa avrei fatto se mi avessero chiamato, non ero totalmente in me all’epoca, ma se mi avessero arruolato, probabilmente avrei pianto e sarei partito. Anche se ovviamente non mi sarebbe piaciuto”
La sua esperienza canadese, comunque, fu traumatica. Gibson entrò in contatto con la comunità dei fuggiaschi americani, riscontrando una dilagante depressione, consumo di droghe e un alto tasso di suicidi. Nuovamente insoddisfatto, William Gibson si mise in viaggio con un’amica, Deborah Jean Thompson, con cui girò l’Europa, prima di tornare a Vancouver nel 1972 e mettere su famiglia con la Thompson.
Con l’arrivo del primo figlio, a badare alle spese fu la Thompson grazie a uno stipendio da insegnante, mentre Gibson cercava di contribuire con piccoli lavoretti, alternandoli allo studio presso la University of British Columbia, laureandosi in Letteratura Inglese. In questo periodo ricomparve la sua vecchia passione:
“Nel 1977, affrontando per la prima volta la paternità e una totale assenza di entusiasmo per qualunque cosa fosse ‘carriera’, mi ritrovai a rispolverare la mia vecchia passione per la fantascienza. Allo stesso tempo, arrivavano da New York e Londra delle nuove sonorità. Il Punk per me fu come l’esplosione di un proiettile a lento rilascio sepolto in profondità nel fianco della società da almeno un decennio, e lo presi come un segno. Così inizia a scrivere”
Il cyberpunk si stava iniziando a manifestare.
Sprawl, zaibatsu e iperconnessione
I primi lavori di Gibson erano ambientati in un futuro prossimo, i cui elementi principali erano la cibernetica e il cyberspazio. Ad animare le idee di Gibson era la coscienza maturata con la lettura dei grandi nomi della Beat Generation, cui si unì la percezione della vita economica e sociale americana. Come disse Bruce Sterling, altro nome celebre del cyberpunk, con Neuromente Gibson aveva compiuto un passo fondamentale nel definire l’anima del genere:
“Il suo stupefacente primo romanzo, Neuromante, che ha vinto tutti i premi del settore nel 1985 ha dimostrato la sua impareggiabile capacità di localizzare con precisione i punti nevralgici della società. L’effetto è stato quello di una scossa elettrica, che ha contribuito a svegliare la science fiction dal suo letargo dogmatico. Uscita dall’ibernazione, sta sbucando dalla sua caverna nella viva luce solare del moderno spirito dei tempi”
Il mondo futuro di Gibson comprendeva uno strapotere economico stratificato, in cui la tecnologia era divenuta un elemento di ulteriore divisione per la popolazione. Un fondamento della dialettica di Gibson, che lo stesso autore identificò in un principio:
“Il futuro è già arrivato. Solamente non è ancora stato uniformemente distribuito”
L’estetica cyberpunk definita da WilliamGibson e dai suoi sodali californiani, come Sterling, nasceva proprio da questo elemento. Figli della controcultura, gli autori cyberpunk dipinsero un mondo in cui le debolezze del presente darebbero divenute le basi di un futuro cinico e iniquo fatto di neon, zaibatsu e iperconnessione. Una definizione del domani che non era presente solamente in Neuromante, ma era comparsa già nei primi lavori di Gibson e rimase fedele a se stessa anche in altre opere, da Mona Lisa Cyberpunk a La notta che bruciammo Chrome.
Tumblr media
Attorno a questo ritratto del futuro, si sedettero anche altri autori che seguendo il sentiero tracciato da Gibson diedero vita a un movimento letterario visto come una rivoluzione della sci-fi non solo letteraria, ma anche cinematografica. Basandosi sugli scritti di Gibson modellò un nuovo immaginario visivo, come accaduto con Blade Runner.
Si discute spesso su chi sia il vero padre del cyberpunk, a chi si possa attribuire la paternità di questa profonda spaccatura in seno alla fantascienza tradizionale, e sebbene Gibson non sia l’inventore del termine, coniato nel 1983 da Bruce Bethke, è universalmente riconosciuta la sua fondamentale opera di definizione dei canoni del genere, come ricorda Sterling:
“Con Gibson sentiamo parlare un decennio che ha finalmente trovato la sua voce. Non è un rivoluzionario che batte i pugni sul tavolo, ma un rinnovatore dotato di spirito pratico. Sta aprendo i corridoi stagnanti della letteratura fantascientifica per farvi entrare l’aria fresca delle nuove conoscenze: la cultura degli anni ‘80, one la sua bizzarra e crescente integrazione di moda e tecnologia”
Nelle parole di Sterling si evidenza il dono di sintesi della prosa di Gibson, che trova un perfetto equilibrio tra l’immaginario e il possibile, anticipando alcune delle dinamiche socio-evolutive attuali, identificandole con quarant’anni di anticipo, grazie a un acuto senso del proprio tempo e osservando con occhio attento i fenomeni suoi contemporanei.
L’evoluzione del cyberpunk di Gibson
Una caratteristica che lo ha portato anche a evolvere il proprio concetto di cyberpunk. Il futuro ritratto nella Trilogia dello Sprawl non è rimasto un’entità monolitica, ma è mutato all’interno della narrativa di William Gibson, che nella Trilogia del Ponte e nel Ciclo di Bigend si emancipa da una visione iper-violenza e asservita alle dipendenza per assumere un tono più umanistico, perdendo anche il tratto tipico di iper-connettività in favore di un accesso alla rete più vicino a quello odierno.
Tumblr media
La valenza narrativa di William Gibson non rimase vincolata solo all’ambito letterario. Se uno dei suoi primi racconti, Johnny Mnemonic (1981), divenne la miglior rappresentazione del cyberpunk cinematografico nel film omonimo, non meno ambita era la verve narrativa del romanziere americano, considerato un innovatore. Al punto che anche una saga cinematografica del calibro di Alienaveva visto in lui un possibile rinnovatore, ma fu lo stesso Gibson a riconoscere un limite in questa potenziale collaborazione:
“Ho letto in seguito che i produttori mi avevano scelto non tanto con l’intento di ottenere da me una sceneggiatura efficace, quanto di ricavare dal mio lavoro una certa suggestione cyberpunk che potesse poi essere integrata nelle vera sceneggiatura scritta da qualcun altro.”
Un riconoscimento, se vogliamo, alla capacità analitica e di convergenza narrativa dello scrittore americano. William Gibson oggi si trova a vivere parzialmente in quel mondo da lui immaginato quarant’anni fa, che non ha smesso di osservare con sguardo attento:
“Io per primo ero sempre a dir poco perplesso per l’assenza negli anni Novanta di scenari men che meno ottimistici sullo sviluppo della rete. La parola ‘disruption’ era sulla bocca di tutti, la distruzione del mondo come lo conoscevamo era una prospettiva di cui tutti sembravano ben lieti. C’era una cera compiaciuta fiducia che questo cambiamento fosse una cosa buona di per sé. Mi colpiva – e mi lasciava ancora più perplesso – anche notare come le persone che più sostenevano queste opinioni fossero anche fan dei miei romanzi. Eppure, io ho sempre fatto di tutto per descrivere i risultati complessi e problematici di quelle tecnologie che hanno finito per assomigliare a internet”
Potete avventurarvi nel cyberpunk leggendo Cyberpunk: Antologia Assoluta, antologia che contiene anche Neuromante.
1 note · View note
enkeynetwork · 1 year ago
Link
0 notes
Text
L’arte dei tableaux vivants. Luigi Ontani e il kitsch che diventa sublime.
Tenere un blog aperto in questi giorni è diventata cosa difficile. Dopo l’euforia dei primi quindici giorni, non so cosa sia successo... Probabilmente, quella che doveva essere una settimana di relax è diventato un mese di inferno. Lontani da tutto e da tutti, l’unico contatto con il mondo esterno è dato dai social network. I cari vecchi social, luogo di ingegno e di tuttologia. Tra una lite e l’altra, teorie complottiste e generi diversi di argomenti, ho notato, però una cosa molto particolare. Sono in molti quelli che si adoperano nella pratica dei tableaux vivants. Sono certo che molti si staranno chiedendo, “che diavolo fanno questi sui social? Quale pratica oscura e malsana sarà mai questa?” In realtà con il termine francese tableaux vivants si indicano i “quadri viventi”, o, in arte, descrive uno o più attori o modelli d'artista opportunamente mascherati a rappresentare una scena come in un quadro vivente.Per tutta la durata della "visione", le persone non parlano e non si muovono. L'approccio si sposa così con le forme d'arte del palcoscenico con quelli di pittura o della fotografia. Il più recente periodo di massimo splendore del tableau vivant è stato il XIX secolo. Insomma è l’arte visiva che si fa spettacolo. 
Tumblr media
Quella che oggi è diventata una sorta di moda che è esplosa sui social e che coinvolge tutti, anche solo per un momento di svago, in realtà è stata una delle massime forme espressive di uno dei più grandi artisti del ‘900, vale a dire quel mostro sacro di Luigi Ontani. 
Classe 1943, Ontani è un artista assolutamente poliedrico, (viene infatti classificato come pittore, scultore e fotografo), nonché uno dei massimi esponenti della body art italiana. 
Tumblr media
Dopo aver studiato all'Accademia di belle arti di Bologna inizia la carriera artistica negli anni settanta, cominciando a farsi notare per i suoi "tableaux vivants". In pratica delle performance filmate e fotografate, in cui Ontani si presenta mascherato in vari modi: da Pinocchio a Dante, da San Sebastiano a Bacco. È una pratica di azionismo che sfiora il kitsch, e mette il narcisismo personale ad un livello superiore. Nel corso della sua lunga attività Ontani ha espresso la sua creatività e poetica attraverso l'uso di molte tecniche assai eterogenee tra loro: dagli oggetti pleonastici (1965-69) elementi in scagliola alla "stanza delle similitudini" costituita da elementi ritagliati in cartone ondulato. Ha spesso anticipato l'uso di tecniche in seguito adottate da altri artisti, i primi video super 8 in bianco e nero sono stati girati dal 1969 al 1972. Con l'opera "Ange Infidele" del 1968 Ontani inizia il suo approccio con la fotografia. Fin dall'inizio le opere fotografiche si contraddistinguono per alcuni elementi caratteristici: il soggetto è sempre l'artista che ricorre al proprio corpo e al proprio volto per impersonificare temi storici, mitologici, letterari e popolari; il formato scelto solitamente è quello della miniatura o della gigantografia, e ogni opera è considerata unica. dalla fine degli anni sessanta si susseguono "Teofania" 1969, "Fantome", "San Sebastiano nel bosco di calvenzano, d'apres Guido Reni", "Tentazione", "Meditazione, d'apres de la Tour", "Bacchino" (1970) tell il giovane, "Raffaello" "Dante" "Pinocchio" (1972), Lapsus Lupus e il dittico "EvAdamo" (1973) "Leda e il Cigno" (1974), i grilli e i tappeti volanti cui seguiranno altri apres, il primo ciclo indiano "En route vers l'Inde, d'apres Pierre Loti". Le prime opere fotografiche anticipano un fenomeno che vedrà diffusione a partire dagli anni ottanta. Contemporaneamente alle prime opere fotografiche Ontani comincia ad eseguire i primi "Tableaux vivant"; al 1969 al 1989 l'artista ha realizzato circa 30 tableaux vivant anche in questo caso anticipando le cosiddette installazioni multimediali, molto diffuse a partire dagli anni novanta, che si basano sulla commistione di varie tecnologie. 
Tumblr media
Con lo stesso atteggiamento ha realizzato opere di cartapesta, vetro, il legno (numerosissime le maschere realizzate soprattutto a Bali in legno di Pule), più raramente è ricorso al bronzo, al marmo e alla stoffa mentre molto cospicua è la sua opera in ceramica frutto del sodalizio soprattutto con la Bottega Gatti di Faenza e con Venera Finocchiaro a Roma e il laboratorio terraviva di Vietri, particolarmente rinomate le maschere pineali, le "Ermestetiche" e le ultime grandi opere quali "GaneshaMusa", "NapoleonCentaurOntano". Molto interessante la sperimentazione con la tecnica del mosaico elaborata con il mosaicista Costantino Buccolieri nell'esecuzione del grande pannello musivo presso la Stazione Materdei della Metropolitana di Napoli. In tutte queste circostanze Ontani ricorre alla tecnica non come un fine in sé, ma in quanto occasione per sperimentare nuove possibilità e formulare nuove variazioni sui temi e i soggetti che più gli interessano: il proprio viaggio "transtorico" attraverso il mito, la maschera, il simbolo e la rappresentazione iconografica. Ha esposto nei principali musei e gallerie del mondo dal Guggenheim al Centre Pompidou, dal Frankfurt Kustverein al Reina Sofia,ha partecipato ad un numero impressionante di biennali da Venezia a Sidney a Lione. Recentemente ha avuto due retrospettive al Ps1/MoMA di New York (2001) e allo SMAK di Ghent (2003-2004). Numerosissimi i libri d'artista e le monografie tra cui "Luigi Ontani. OntanElegia" Allemandi 2004 a cura di Alessandra Galasso e Giulio di Gropello. Nel 2018, la Galleria Giovanni Bonelli di Pietrasanta, in Toscana, presenta una retrospettiva di 30 opere dell’artista di Vergato. 
Tumblr media
Ontani ha prestato un volto e un corpo (i suoi) a personaggi che spesso appartengono al mito, alle favole, al folklore. Sono figure senza tempo, senza luogo e senza fisionomia e a volte anche senza sesso. Ontani ne ha indossato la maschera, ne ha ripercorso la storia, ha conferito loro sostanza e, quando è stato necessario, ha dato unità agli opposti sovrapponendoli o compenetrandoli. 
Gladioli tentazioni (1972) è uno dei primi tableau vivant realizzato dall’artista, una stampa fotografica a colori a grandezza naturale. Sono gli anni in cui Ontani inizia il suo viaggio metaforico all’interno di tutte le identità possibili, confrontandosi principalmente con una serie di referenti cari alla mitologia e alla storia dell’arte, come i famosi d’après da Guido Reni (San Sebastiano, Ippomeneo, San Giovannino). Il titolo dell’opera, gioca con la simbologia legata al gladiolo, fiore il cui nome deriva dal latino gladiolum, “piccola spada”, per la morfologia delle sue foglie, sottili e allungate, somigliante all’arma utilizzata dai legionari romani: il “gladio”. È probabilmente per assonanza con l’etimologia, che regalare fiori di gladiolo equivale a dichiarare di essere stati colpiti, sebbene in maniera ambivalente: feriti oppure trafitti al cuore da un’insopprimibile infatuazione. Ed è a quest’ultima accezione che l’artista sembra voler ironicamente alludere, emergendo dall’oscurità, bloccato in una posizione di contrappunto, le pudenda occultate da un fascio di gladioli, pronto ad essere brandito, per mostrare l’artista, finalmente, in tutta la sua eroica nudità. L’opera è la prima di Ontani con cui sono entrato in contatto ed è presente nella collezione del museo MADRE di Napoli. 
Tumblr media
Altra opera che ho avuto modo di vedere più volte al MUSMA di Matera, che però non fa parte dei tableaux vivants ma di fortissimo impatto, ovvero IndiSiam OrientAle, del 2007. L’opera rientra nel ciclo degli oggetti pleonastici. Un paio di scarpette in ceramica policroma con oro zecchino tipico della produzione artistica di Luigi Ontani. Come si evince dal titolo si tratta di un paio di scarpette di foggia orientale abbondantemente dorate e con riportato il volto di Ontani sul gambetto. 
Tumblr media
Il genio di Luigi Ontani, in conclusione, si è rivelato utilissimo come passatempo per questa quarantena. Credo sia doveroso affermare, anche in questo caso, che siamo tutti un po ontani, e nello stesso tempo tutti in debito con lui. 
Valerio Vitale
9 notes · View notes
arucchi · 4 years ago
Text
Mi sono ascoltata tutta la puntata di Morgana su Pearl de Vere perché evidentemente mi piace farmi male approfondendo cose che so già odierò, ma almeno così non dovrete ascoltare pure voi perché vi presento "Everything Wrong, Morgana edition" aka commenti a caldo presi sull'app delle note per sclerare come si deve durante future conversazioni sul tema. Mi scuso in anticipo per eventuali errori, sono davvero appunti presi a caso per la noia (e ho iniziato circa dopo una decina di minuti dall'avvio del podcast, ad onor del vero).
Tumblr media
-"Si ingrazia le forze dell'ordine, fa loro godere dei favori del bordello a buon mercato". È la prima frase che appunto e già non c'è manco bisogno di commento.
-Si parla con ironia e quasi scherno delle mogli dei clienti ("il capo della polizia la lascia lavorare a dispetto delle mogli per bene, che mal tollerano la pretesa delle prostituite di comprarsi gli abiti negli stessi negozi in cui fanno shopping le signore dalla vita irreprensibile"). Sul serio? Sul serio vogliamo lasciar intendere che le donne sono infastidite dalla prostituzione perché vogliono essere le uniche benestanti e alla moda? Misoginia ne abbiamo?
-Guarda caso proprio Pearl stessa dopo che ha aperto il bordello preferisce "lasciare il corpo, se le va, alle gioie dell'amore scelto" e smettere di prostituirsi facendo, invece, "i soldi col cervello"... Serve aggiungere altro?
-"Sembra che nulla possa più andare storto nella vita di Pearl e delle sue ragazze", sì, certo. Le sue ragazze che fa violentare ogni giorno da ricchi misogini. Una vita meravigliosa in cui nulla può andare storto.
-Una citazione a Bocca di Rosa poteva mica mancare, eh?
-Il capitale diventa borghese e molarista nel 900 dopo l'epoca dell'oro, perché il selvaggio West era na pacchia con tutti amiconi e solo "idee pioneristiche" fatte con etica e spirito d'avventura bonario. . .
-"Le comunità, nate dagli scavi spregiudicati dell'oro e dei suoi traffici, si consolidano intorno a economie meno spudorate diventando pian piano borghesi e moraliste. Non c'è più posto per i bordelli e la loro idea di splendore sensuale. Pochi anni dopo verranno dichiarati illegali, gettando la prostituzione in un ambito molto più degradato e nascosto dove le ragazze saranno senza tutela e nessuna di loro potrà più sperare di affermarsi e diventare autonoma economicamente usando in proprio lo strumento estremo del corpo" di nuovo cazzate, come se prima fosse stata una pacchia per le prostitute! ! ! Ma de che parlamo? Ma avete la più pallida idea di cosa comportasse, e comporti ancora oggi, prostituirsi? Avete idea delle ripercussioni psicologiche? Avete minimamente presente il tema di cui state parlando?
-"Non solo è libera ma addirittura liberante perché consente ad altre donne, attraverso lo stesso lavoro che ha fatto lei da ragazza [la prostituta ndr], di guadagnare quella solidità economica che permette loro di vivere a un livello di agiatezza superiore persino agli uomini che pagano il loro corpo". Le statistiche ti contraddicono, la storia di Pearl (morta in maniera piuttosto misteriosa senza manco i soldi per farsi seppellire, è stato detto tipo cinque minuti fa!) ti contraddice.
-"Paradossalmente le uniche che potevano guadagnare e rimanere padrone dei loro guadagni erano le prostitute che grazie alle loro entrate, se sapevano gestirle saggiamente come fece Pearl de Vere, potevano diventare delle imprenditrici prospere e anche dare la prosperità delle donne che lavoravano per loro". Come sopra. E se fosse così bello e tanto remunerativo perché ci finiscono solo le disperate?
-"Molte donne oggi ti direbbero: in un mondo perfetto, nessuna si prostituirebbe. Io non sono sicura che sia proprio così. Ho delle idee un po' confuse sulla legittimità e sul potere emancipatorio della prostituzione" Eppure si direbbe di no, anzi, si direbbe che vai a nozze coi papponi e i clienti a sentirti parlare, cara Michela "Certamente, immagino che dopo che per un sacco di tempo gli uomini hanno fatto del nostro corpo quello che volevano, sarebbe assurdo dire che le donne non possono fare quello che vogliono del loro corpo". Complimenti per il ricatto emotivo e l'accostamento di cose solo apparentemente simili. L'onestà intellettuale la conservi per quando vorrai smettere di fingere di non essere di parte o proprio ne sei sprovvista per natura?
-"Per me, il problema della prostituzione è la reciprocità, nel senso che fin'ora è stato un mercato a servizio delle esigenze degli uomini mentre ora che anche le donne possono pagare sarebbe bello che ci fosse alla luce del sole una possibilità di acquistare servizi di compagnia o sessuali anche per le donne". Lia Celi, se tu fai schifo e ti sta bene che la gente venga acquistata come fosse merce e stuprata per du spicci cazzi tua. Però, ti invito a constatare i danni della prostituzione, a pensare al fatto che due soldi non li risolvono e, soprattutto, a interrogarti sul motivo per cui le prostitute (quasi tutte vittime di tratta, ci tengo a sottolineare) siano quasi tutte donne e anche i prostituti abbiano quasi esclusivamente clienti maschi.
-Bello dire che se fosse stato un mestiere maschile ci sarebbero stati corsi universitari e sarebbe ritenuto onorevole ma è ritenuto invece un lavoro miserevole solo perché femminile. Ignoriamo ancora una volta i dati e le realtà sulla prostituzione, distorciamo ancora una volta le analisi e i pensieri femministi per adattarli al servizio del capitale e del patriarcato. Lia, Michela, voi e il vostro "femminismo" contro le donne mi disgustate.
Smettetela di passare idee tossiche alle giovani donne, smettetela di chiamare femminismo la misoginia, smettetela di definire una forma di schiavitù e violenza verso le donne un "lavoro come un altro".
Il lavoro come un altro che, però, rende chi lo esercita 40 volte più a rischio di omicidio; che mette più di qualsiasi altro mestiere a rischio di malattie; che porta le prostituite a indicibili sofferenza fisiche e mentale; che costringe a sottostare a ogni umiliazione, tortura e ricatto; il lavoro che consiste letteralmente nel farsi stuprare (perché questo è il rapporto con chi non si desidera); che porta chi lo pratica a soffrire di depressione, all'abuso di sostanze, a tentare il suicidio; il lavoro come un altro in cui, differentemente da ogni altro ambito, se non hai la minima esperienza e sei giovane vali molto di più: il lavoro come un altro che si procura la forza lavoro con minacce, violenze, ricatti, tratta di esseri umani... Potrei andare avanti a lungo ma spero di aver reso l'idea: non c'è niente del "lavoro come un altro" nella prostituzione. La prostituzione è quell'inferno in cui tutte lottano per non finire, è quel destino tragico e terribile che tutte le donne -ma soprattutto le più deboli, le più instabili, le vittime di abusi, le meno scolarizzate, le cresciute in condizioni di disagio sociale, le reiette, le povere, le straniere e tutte quelle donne con meno possibilità- temono e schivano con ogni forza, conscie di poterci finire se le cose si mettono male.
Da notare anche com'è stata scelta non una semplice prostituta ma una donna che ha aperto un bordello. Amaramente ironico, in quest'ottica, l'accostamento col titolo di questa serie di dialoghi: "Sono io l'uomo ricco". Sembra una beffa. Sembra voler dire "Ora ho soldi e potere e sfrutterò le donne più deboli come gli uomini oppressori hanno sempre fatto con me". È uno schiaffo in faccia alle donne.
Questo che se ne frega della maggioranza delle donne e vende tanto, questo che fa di tutto per piacere alla massa non è femminismo. Il femminismo liberale è solo liberalismo goffamente travestito e ricoperto di glitter rosa. Sostenere la prostituzione non difende né aiuta nessuno, così come buona parte delle altre battaglie di questo presunto femminismo che tanto piace alla società attuale.
1 note · View note
phylingo · 5 years ago
Text
Kurt Gödel, è stato definito forse il più grande logico dopo Aristotele. Figura nota più nell’ambiente che al pubblico degli appassionati di scienza,  è senza nessun dubbio  l’uomo che più di tutti ha influenzato il pensiero scientifico matematico e logico (e quindi anche quello della scienza dei computer), negli ultimi 100 anni, cambiandolo probabilmente per sempre. Nel 1931 ha enunciato  due teoremi di incompletezza che si dice abbiano scardinato i fondamenti stessi della matematica. Ma da dove nasce questa idea?  Nei primi del ‘900 era opinione diffusa tra i fisici e i matematici e gli uomini di pensiero, che la scienza umana fosse dimostrativamente illimitata, precisa e perfetta in ogni sua parte. Questo era chiaro, secondo loro, anche dalle mille conquiste del secolo, cioè di tutto il 1800:  questa fiducia incrollabile, questa idea che tutto è possibile e scienticamente spiegabile e tecnologicamente controllabile dall’uomo, ha  anche un nome nel campo della storia della filosofia, positivismo.
Ma il termine è forse anche più incisivo di così, ha un doppio significato: uno filosofico-cosmico, ovvero l’idea che esista nella realtà solo ciò che è positivo, quindi materialmente dimostrabile, concreto, toccabile. E uno  morale, piscologico-storico, che tutto è alla portata della scienza moderna, tutto è nella potestà dell’uomo. Dato che esiste solo ciò che è materiale e la scienza studia la materia, l’uomo controlla indirettamente con la scienza e la tecnologia, tutto. Questo pensiero dominava allora, e domina tuttora anche la nostra società. Quando chiediamo alla medicina di guarire tutti, o diciamo che un giorno ogni malattia sarà sconfitta, siamo positivisti, anche se non lo sappiamo o non ne siamo perfettamente coscienti.
E d’altro lato siccome Dio non lo si vede nè nelle provette, nè nei telescopi,ne nelle teorie della Fisica, evidentemente non ha verità “materiale” , noi diciamo cn termini moderni che è “evidente” che Dio non esiste.  Non per caso viviamo in una società materialista, e fondamentalmente atea. E forse vuota sul piano spirituale.
Ma torniamo agli inizi del ‘900.  Per gli scienziati dell’epoca, come per l’uomo comune di oggi, la scienza era ed è in grado di realizzare ogni promessa, prima o poi, ed è positiva, ovvero cristallina e chiara in ogni parte, manipolabile, cioè controllabile in modo trasparente e in tutte le sue componenti, e in particolare lo era e lo è - cosi si pensava - anche la matematica che è la regina di tutte le science e il fondamento delle scienze fisiche, statistiche, chimiche, tecnologiche, etc. Era  una pura questione di buonsenso, si pensava, allora come ora;  si doveva solo dimostrarlo. Tutto è conoscibile. E certamente lo si sarebbe dimostrato. Il campione di questa posizione tra i matematici divenne David Hilbert, eminente e rispettato matematico operante a cavallo dei secoli XIX e XX. In particolare, nel 1900, a Parigi, Hilbert  a trentotto anni - all’alba di un nuovo luminoso secolo, nella città considerata la punta di diamante della scienza e della tecnolgia di allora - espone la sua teoria, la sua promessa di uomo positivista:
Non esistono problemi insolubili in matematica, tutti possono essere risolti con la sola forza dell’intelletto
Hilbert, va detto, è uno dei padri dell’algebra moderna, un matematico raffinato e di grandissimo talento. E’ una delle più grandi menti della matematica di tutti i òtempi, non è un ingenuo sprovveduto o un improvvisato divulgatore. La sua opinione conta. A rinforzo di questa sua visione, al primo Congresso internazionale dei matematici, nel 1900 sempre a Parigi, David Hilbert  propone quasi "pretende”, con una certa enfasi,  dalla comunità scientifica matematica di rispondere -  a tre domande chiave che consentano quindi di stabilire quello che  gli scienziati consideravano la verità fondante e assoluta, quella verità assoluta che aspettava solo di essere dimostrata a gloria del pensiero umano, elevato e potente come quello di un dio -  propone e “pretende”, dicevo, di rispondere a questi tre quesiti fondamentali:
La matematica è completa? È in grado di dimostrare o refutare un qualsiasi enunciato all’interno del suo medesimo sistema di regole?
La matematica è coerente? È in grado di evitare che attraverso una serie di dimostrazioni tutte interne al suo sistema di regole si giunga a un enunciato falso del tipo 2+2=5?
La matematica è decidibile? Esiste un metodo universale e ben definito per desiderare a priori se un qualsiasi problema è solubile o meno? (oggi diremmo, e diciamo: si può scrivere un programma per computer per decidere se un qualsiasi problema è solubile o meno? Ovvero si può  far decidere un programma da un altro programma, cioè automatizzare il pensiero?)
... Come dire, ecco qua la strada: l’uomo moderno non è più dominato dai bisogni materiali grazie alla scienza, cioè grazie a noi, i semidei di questa nuova “religione”.   L’uomo può tutto e quel che non può ora lo potrà domani, grazie alle scoperte  future della scienza, destinata a progredire al’linfinito. Tutto è alla portata della ragione quindi. Dobbiamo solo dimostrare, ora, noi matematici, sul nostro lato, questi tre importanti e fondamentali concetti e la gloria dell’uomo sarà imperitura e un nuovo  secolo dell’oro si aprirà di fronte a noi, perchè abbiamo dimostrato che niente è impossibile ai mezzi umani, che niente è precluso all’uomo. Che la scienza capisce tutto e quindi può tutto.
Trent’anni dopo, un giovanissimo ricercatore e studioso Viennese, risponde alle pretese tre domande di Hilbert, ma lo fa in modo sorprendente.
A Königsberg, il 7 settembre 1930, a un convegno di filosofia della scienza, Kurt Gödel prende parola. Ha solo 24 anni, e afferma di aver trovato la risposta a uno dei tre fondamentali quesiti di Hilbert posti trent’anni prima. “La matematica è completa?”
Kurt, a differenza di quanto credeva e voleva tutta la comunità di matematici e filosofi del periodo, risponde chiaramente e senza tergiversare: “no”. Risponde dimostrandolo.
Questa risposta  distruggerà l’ambizioso programma di Hilbert, e cambierà radicalmente e per sempre la visione della matematica moderna, della logica e della scienza moderna in generle, dando origine a una visione della scienza del tutto nuova. Nessuno aveva mai pensato, in millenni, che anche la matematica, la scienza esatta per definizione, esatta perchè inventata dalla ragione umana, nessuno aveva mai pensato che avesse dei limiti intrinseci, in ogni sua possibile formulazione.
Gödel pubblicò il suo risultato nel 1931, l’anno successivo, quando lavorava presso l'Università di Vienna. Il lavoro conteneva i famosi due teoremi di incompletezza che da lui presero il nome, secondo i quali ogni sistema assiomatico consistente e in grado di descrivere l'aritmetica dei numeri interi è dotato di proposizioni che non possono essere nè dimostrate né confutate sulla base degli assiomi di partenza. Notate che dice nè dimostrate nè confutate contemporaneamente. Parafrasando: se un sistema formale S è consistente (privo di contraddizioni), allora è possibile sempre costruire una formula F sintatticamente corretta, ma indimostrabile in S, sistema che quindi risulta “incompleto”. Godel dice, se un sistema formale è logicamente coerente, la sua non contraddittorietà non può essere dimostrata stando all'interno di quel sistema logico. In altre parole, si entra in un loop fatale: se il sistema è rigoroso genera proposizioni che sfuggono la teoria che le ha generate, e se non lo è... be’ non e’ scienza. E’  una vera e propria bomba sul piano filosofico e pratico, paragonabile negli effetti a quello che fu la teoria della relatività in fisica, uno slittamento che colpisce le basi stesse della matematica. E non colpisce solo la matematica già nota, ma anche quella non ancora nota e tutta quella ancora da inventare, qui e in tutti gli universi possibili. Ka-boom! Gödel ha solo raso al suolo il positivismo e tutto il pensiero umano dal 1500 a oggi. Illuminismo incluso. E ha detto, la matematica, al contorno, non sa che dice.
I teoremi di Gödel nascevano in relazione alle ricerche volte a realizzare il programma di Hilbert, che chiedeva di trovare un linguaggio matematico che potesse provare da solo la propria consistenza o coerenza. Gödel dimostrò che la coerenza di un sistema è tale proprio perché non può essere dimostrata. La ragione pura ha dei limiti invalicabili, e Goedel l’aveva dimostrato nero su bianco e per sempre. Oggi e nel futuro. Molti non compresero le affermazioni di Gödel dapprincipio. ritenevano che il suo teorema minasse ogni possibilità di giungere ad una assoluta certezza nella matematica. Che smacco per i matematici. Gödel era convinto, invece, di non avere affatto dissolto la consistenza dei sistemi logici, da lui sempre considerati come funzioni reali dotati di valore ontologico, e che anzi il suo stesso teorema di incompletezza avesse una valenza di oggettività logica. Oltretutto, spiegava Gödel, la presenza di un enunciato che affermi di essere indimostrabile all'interno di un sistema formale significa appunto che esso è vero, dato che non può essere effettivamente dimostrato. Lo so, non è banale capire o parlare di questi punti, e non è facile addentrarsi in dimostrazioni che richiederebbero una conoscenza specialistica. Posso dire che nessuno ha mai messo in dubbio il teorema di incompletezza. E’ la scienza che si è adeguata a Goedel ed è cambiata, dopo, a causa di Gödel. Avete mai sentito parlare, ad es,  di Teoria del Caos, o di effetto farfalla? I modelli matematici caotici, oda qriginano da questo rovesciamento filosofico, di cosa è dimostrabile, e prevedibile, in una teoria. Per dire. Probabilmente senza Goedel, non esisterebbe neanche l’artificial intelligence instance based. Quella che va di moda oggi, per capirci. S.Tommaso D’Aquino con un’argomentazione identica, aveva affermato una cosa molto simile, nel 1260, nel contesto dei suoi studi di Teologia. Questa realtà indimostrabile che è vera proprio perchè non può essere dimostrata, è nel sistema di D’Aquino,  Dio. Dio esiste perchè è un indimostrabile by design. Incircumscriptibilis, dice Tommaso. Tommaso dice che Dio va dimostrato perchè la sua esistenza non è evidente, ma anche che Dio ha una natura infinita  e quindi inafferrabile alla mente umana, ovvero che Dio è “la formula corretta, ma indimostrabile nel sistema”, che in questo caso è la teologia, o la filosofia.  E quindi, seguendo il pensiero di Gödel a posteriori, e di Tommaso a priori e all’epoca, proprio perchè Dio è indimostrabile nel sistema, significa che la ragione è coerente, e che Dio è vero essendo un inafferrabile. Contemporaneamente. Dio esiste perchè indimostrabile. Sottile e intelligente. Aristotele, D’Aquino e Gödel parlano di cose non banali, della natura finale delle cose, e delll’umoo, dei fondamenti del reciproco pensiero, raggiungendo complesse e raffinate vette del pensiero umano, e influenzando la storia della scienza e della filosofia (e della teologia) in modo definitivo. Siamo fortunati a non essere nati prima, ma dopo Gödel perchè grazie a lui, la scienza di oggi è molto più interessante, invece che fondata su una monolitica, assiomatica, turrea e statica verità, è una cagiante e sfuggente descrizione del pensiero umano, che a volte mostra colori imprevedibili e affascinanti e i bagliori di nuove verità impossibili, forse apparentemente contradditorie ma certo innovative, e foriere di nuove avventure all’orizzonte. Tutto sta nell’afferrarle. https://www.youtube.com/watch?v=w6e14vcmwKY
10 notes · View notes