#scrittura e guarigione
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divulgatoriseriali · 4 days ago
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Blocchi emotivi e nodi interiori: strategie di scrittura terapeutica per sbloccarsi
Ci sono momenti nella vita in cui ci sentiamo bloccati, come se qualcosa dentro di noi si aggrovigliasse impedendoci di andare avanti. Sono quei nodi invisibili ma potenti, detti anche blocchi emotivi, fatti di emozioni non elaborate, parole mai dette e pensieri che continuano a tormentarci. Spesso, nemmeno ci rendiamo conto di quanto questi ostacoli interiori ci condizionino, trattenendoci in un…
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pier-carlo-universe · 12 days ago
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Il mio tetto felice – Abeera Mirza. Recensione di Alessandria today
"Il mio tetto felice" di Abeera Mirza è una poesia che esplora il senso di appartenenza e sicurezza all'interno della propria casa.
“Il mio tetto felice” di Abeera Mirza è una poesia che esplora il senso di appartenenza e sicurezza all’interno della propria casa. Attraverso versi semplici e profondi, l’autrice descrive la famiglia come un rifugio d’amore, un luogo che va oltre la grandezza fisica e si misura nella felicità che trasmette. La casa diventa il simbolo della protezione, del calore e della crescita emotiva,…
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susieporta · 3 months ago
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L’ora di greco - di Han Kang, Adelphi
Premessa: sono tra coloro che ritengono che il Nobel per la letteratura ad Han Kang si assolutamente meritato. Inutile proseguire la lettura se si è già convinti del contrario.
Probabilmente per me questo è il romanzo più bello tra quelli fin qui tradotti in italiano (o inglese). Molto breve ma denso, esplora temi profondi come la perdita, la solitudine, e la ricerca dell’identità. È del 2011 anche se qui da noi è arrivato appena l’anno scorso. Un viaggio introspettivo in cui due persone, apparentemente molto diverse, si incontrano e si comprendono attraverso la condivisione di un dolore nascosto e silenzioso.
Lei, Hanja, dopo aver vissuto un periodo di intensa sofferenza, ha trovato il silenzio come rifugio: non parlare, più che una scelta volontaria, è una reazione istintiva e fisiologica alla sua sofferenza. Le parole per lei si sono trasformate in strumenti di dolore, tanto che la voce stessa le sembra ormai qualcosa di estraneo. Dopo in matrimonio fallito e la perdita di custodia del figlio, persa anche la madre le sembra di aver ormai perso qualsiasi contatto con la propria identità e il mondo che la circonda. Come via di fuga da questo dolore, inizia a seguire lezioni di greco antico, una lingua che per lei diventa una sorta di “nuovo inizio”, poiché le consente di esprimere e riscoprire sé stessa senza le ferite che l’uso della lingua madre le provoca.
È così che la sua vita incrocia il suo insegnante di greco, un uomo non vedente che vive anche lui un’esistenza profondamente segnata dalla perdita. Per lui la cecità ha rappresentato un graduale distacco dal mondo, ma nonostante le difficoltà quotidiane ha imparato a navigare attraverso questo vuoto grazie all’amore per le parole e per la letteratura. Egli usa il greco come strumento per mantenere un legame con il mondo esterno e per dare un senso al proprio passato.
Attraverso questo incontro tra la donna e il suo insegnante, Han Kang esplora l’intimità della comunicazione e del linguaggio come mezzo di guarigione. Entrambi i protagonisti sono segnati da ferite invisibili e trovano nella lingua greca un terreno neutrale in cui potersi esprimere senza il peso delle loro storie personali. Il greco antico diventa simbolo di un viaggio interiore, che permette loro di riconoscere il proprio dolore e, in qualche modo, di riappropriarsi delle proprie vite.
Han Kang utilizza una prosa poetica e riflessiva per approfondire i sentimenti complessi dei protagonisti. La narrazione alterna i punti di vista della donna e dell’insegnante, e attraverso le loro prospettive frammentate il lettore è invitato a riflettere sul significato dell’empatia, della perdita, e della redenzione. I dialoghi sono ridotti al minimo, quasi come se l’autrice volesse rispettare il silenzio che i due protagonisti sembrano cercare.
In sostanza, un romanzo che parla di sopravvivenza emotiva. Attraverso la storia dei protagonisti, Han Kang esplora la possibilità di trovare una via d’uscita dal dolore e dalla perdita senza negare le proprie ferite. La lingua greca diventa metafora del processo di auto-ricostruzione, una lingua che, con le sue radici antiche, permette ai personaggi di esprimere sentimenti che sembravano impossibili da comunicare.
Un delicatissimo racconto di Han Kang, che con la sua scrittura minimalista invita alla riflessione sulla complessità dell’animo umano, sul ruolo del linguaggio, e sulla possibilità di una rinascita anche nei momenti più bui. Leggetelo solo se questi temi vi appassionano. Diversamente state andando incontro a una delusione.
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micro961 · 2 months ago
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Anna Vassallo presenta "Amare tra le onde": un racconto di rinascita e speranza
Il debutto letterario di Anna Vassallo offre una profonda esplorazione delle emozioni umane e delle seconde possibilità celebrando la capacità di rinascere attraverso una narrazione avvincente e intensa
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Anna Vassallo, scrittrice emergente e appassionata di storie a lieto fine, esordisce con "Amare tra le onde", un romanzo che promette di toccare le corde più intime dei lettori. Il libro racconta la storia di Lisa, una donna che, ancora affranta dalla perdita del marito, viene trascinata dalla sorella Sofia in una crociera. Inizialmente reticente e sopraffatta dal dolore, Lisa si trova immersa in un ambiente nuovo che sfida la sua percezione della felicità e della speranza.
In questo viaggio sul mare, Lisa incontra Spencer, un attore affascinante ma enigmatico, che porta con sé il peso di un passato non risolto. La loro interazione, fatta di scontri e momenti di tenerezza, diventa il catalizzatore per un processo di guarigione e crescita personale. La crociera, da semplice sfondo, si trasforma in un simbolo di viaggio interiore, dove l'acqua che li circonda rappresenta la fluidità delle emozioni e la possibilità di ricominciare.
"Amare tra le onde" è più di una semplice storia d'amore; è un inno alla resilienza umana e alla capacità di trovare luce dopo l'oscurità. Attraverso una prosa evocativa e personaggi ben delineati, Anna Vassallo esplora temi universali come il dolore, la speranza e la forza necessaria per aprirsi a nuove possibilità. Il romanzo invita i lettori a riflettere sul significato della felicità e sul coraggio di lasciare andare il passato per abbracciare un futuro incerto ma promettente.
Nonostante sia alla sua prima pubblicazione, la scrittrice dimostra una notevole abilità narrativa, costruendo un intreccio ricco di emozioni e profondità. La sua capacità di intrecciare storie personali con temi universali rende "Amare tra le onde" un'opera che risuona profondamente con chiunque abbia affrontato la perdita e la ricerca di una nuova direzione.
Acquista il libro
Anna Vassallo, 45 anni, divide la sua vita tra la famiglia, la lettura e varie espressioni artistiche. La scrittura è stata per lei un rifugio fin dalla giovane età, e la pubblicazione di questo libro segna l'inizio di un nuovo capitolo nel suo percorso creativo. La storia dietro la realizzazione di "Amare tra le onde" è essa stessa commovente: un gesto d'amore da parte dei suoi figli, che hanno deciso di pubblicare uno dei suoi racconti giovanili, ha riacceso in Anna la passione per la scrittura, spingendola a condividere il suo talento con il mondo.
Con "Amare tra le onde", Anna Vassallo invita i lettori a credere nel potere trasformativo delle seconde possibilità e nella bellezza che si cela dietro ogni rinascita, proprio come le onde del mare che, incessanti, continuano a infrangersi sulla riva, portando con sé nuove storie e speranze.
Instagram: https://www.instagram.com/anna_vassallo_writer/
Facebook: https://www.facebook.com/anna.vassallo.92
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paoloferrario · 3 months ago
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Dialogo con Sonia Scarpante, docente in scrittura terapeutica
Da semplice strumento di comunicazione la scrittura, attualmente, è divenuta una componente riconosciuta e rispettata nel campo della salute mentale.È utilizzata in una varietà di contesti, dai centri di consulenza alle scuole, dagli ospedali alle comunità online, come strumento per promuovere la guarigione, l’autoconsapevolezza e il benessere emotivo. …. per l’intervista vai al sito “C’è una…
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antennaweb · 7 months ago
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cinquecolonnemagazine · 1 year ago
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Il potere della scrittura in psicologia: le parole che guariscono
In psicologia, la scrittura svolge un ruolo cruciale nell'esplorazione della mente umana, nella terapia e nella comprensione di sé. La scrittura è una forma di espressione umana che risale a migliaia di anni fa. Ma nel contesto della psicologia, va ben oltre la semplice comunicazione. È diventata una potente forma di terapia che permette alle persone di esplorare e affrontare le sfide della mente e delle emozioni. Strumento di esplorazione personale e catarsi La scrittura terapeutica è una pratica che incoraggia le persone a esplorare i loro pensieri e le loro emozioni attraverso la scrittura. Questo processo può aiutare a comprendere meglio se stessi, a identificare i modelli di pensiero dannosi e a trovare soluzioni ai problemi emotivi. Scrivere consente di mettere in parole ciò che altrimenti potrebbe rimanere confinato nella mente, rendendo le emozioni e i pensieri più tangibili e accessibili. La scrittura terapeutica può anche fungere da forma di catarsi, consentendo alle persone di esprimere emozioni rese inaccessibili dalla paura, dal dolore o dalla vergogna. Scrivere di esperienze traumatiche o difficili può essere un modo per iniziare il processo di guarigione. Questo tipo di scrittura può essere fatto in privato o sotto la guida di uno psicoterapeuta specializzato. Scrittura e psicologia: il diario personale Il diario personale è uno dei modi più comuni per praticare la scrittura terapeutica. Scrivere in un diario offre regolarmente un'opportunità per riflettere su eventi, pensieri ed emozioni personali. Questo processo può aiutare ad individuare schemi ricorrenti, identificare fonti di stress o ansia e persino tracciare il proprio progresso nel tempo. L'autoconsapevolezza è una componente fondamentale della salute mentale, e il diario personale offre uno spazio sicuro per esplorarla. Scrivendo i propri pensieri, si può ottenere una visione più chiara dei propri bisogni, obiettivi e desideri. L'Approccio della Scrittura Terapeutica in Psicoterapia Nel contesto della psicoterapia, la scrittura terapeutica può essere integrata in diverse modalità. Uno psicoterapeuta può incoraggiare i pazienti a scrivere tra le sedute come mezzo per esplorare i propri sentimenti e pensieri. Questi scritti possono poi essere discussi durante le sessioni per ottenere ulteriori insight e per sviluppare strategie di coping. In alcuni casi, la scrittura può essere utilizzata per specifiche terapie, come la terapia cognitivo-comportamentale (CBT). Qui, i pazienti possono essere invitati a tenere un registro dei loro pensieri automatici negativi o ad esplorare i loro schemi di pensiero distorti attraverso la scrittura. La scrittura creativa è un altro strumento utilizzato in psicologia. Questo può includere la poesia, la narrativa o altre forme d'arte verbale. Scrivere in modo creativo può consentire alle persone di esprimere emozioni in modo simbolico, fornendo un'uscita per sentimenti complessi. Può anche essere utilizzato come forma di espressione personale e di autoesplorazione. In copertina foto di StockSnap da Pixabay Read the full article
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volareinaltoversoilcielo · 2 years ago
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Ho provato. Ma ogni volta che ho tentato, ho sempre pianto.
E le tue parole sul parole sul mare e sulla scrittura, mi hanno fatto sentire meglio e meno sola. Grazie
non smettere di tentare, se hai pianto significa che la scrittura stava facendo il suo lavoro, ti stava facendo sfogare, ti stava indirizzando sulla via della guarigione. ti prego, non mollare. prova e riprova, arriverà il momento che continuerai senza piangere o se piangerai riuscirai comunque a continuare.
io spesso piango quando scrivo perché, penso tu lo sappia, la scrittura apre ferite così profonde e a volte dimenticate, che ci si ritrova con un dolore inspiegabile, una penna in mano, e un viso in lacrime. succede, ma è catartico. non smettere di tentare, te lo devi.
e mi fa piacere sapere che sono riuscita a farti stare un po' meglio, anche a me ha fatto bene sentirti vicina in questo momento. quando vorrai sono qui, per te anche in privato se vorrai
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amicidomenicani · 2 years ago
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Quesito Caro Padre Angelo,  Grazie per questo Suo Sacro Servizio, da tempo ho bisogno di capire come l'espiazione in terra per i propri peccati può essere abbreviata e soprattutto quando c'è un sincero e addolorato pentimento con relativa Confessione per gli errori fatti in passato e non con piena avvertenza o totale consapevolezza. I In sostanza ci sono pratiche sentite di preghiera (lacrime di pentimento) o opere che abbreviato la dovuta espiazione in terra? E Il desiderio continuo di lasciare questa vita terrena e Vedere Dio può considerarsi espiazione o cosa?... Grazie per la sua attesa risposta Gesù e Maria la Benedicano copiosamente. Adveniat Regnuum Tuum  Caterina Risposta del sacerdote Cara Caterina,  1. come tutte le azioni di Cristo hanno avuto carattere espiatorio e meritorio così avviene anche per noi che siamo innestati in Cristo con il battesimo. Tutte le nostre azioni compiute in grazia di Dio, e cioè nella carità e in maniera retta, sono nello stesso tempo espiatorie e meritorie. 2. Il problema nasce dal fatto che anche le nostre azioni compiute in grazia di Dio non sono sempre perfette. Ci sono tante piccole miserie che inquinano. 3. Per questo sentiamo il bisogno di abbandonarci alla divina misericordia che tutto purifica. Questo abbandono deve essere reale, perché solo così diventa efficace. 4. Allora il primo mezzo che il Signore stesso ci ha dato per espiare i nostri peccati è il santo sacrificio della Messa. Durante tale celebrazione il Signore si rende presente sull'altare con il suo sacrificio espiatorio. È tutto desideroso di donarci i suoi meriti espiatori. Nulla vale quanto la partecipazione quotidiana della Santa Messa per la nostra santificazione e per la nostra purificazione. 5. Dopo il sacrificio della Messa per espiare sempre più a fondo i nostri peccati il Signore ci ha dato il sacramento della penitenza, la confessione. È il sacramento della guarigione cristiana. Giovanni Paolo II in Reconciliatio et paenitentia dice che le penitenze imposte dal sacerdote confessore "ricordano anche che dopo l’assoluzione rimane nel cristiano una zona d’ombra, dovuta alle ferite del peccato, all’imperfezione dell’amore nel pentimento, all’indebolimento delle facoltà spirituali, in cui opera ancora un focolaio infettivo di peccato, che bisogna sempre combattere con la mortificazione e la penitenza. Tale è il significato dell’umile, ma sincera soddisfazione” (RP 31,III). 6. Abbiamo inoltre le indulgenze, soprattutto quelle plenarie, che raggiungono il loro effetto solo se da parte nostra c'è il distacco assoluto da ogni peccato, anche veniale. 7. All'espiazione dei nostri peccati giovano anche alcune preghiere, come i sette salmi penitenziali. Non si richiedono lacrime particolari. Più che il dolore sensibile, che non può essere procurato semplicemente con un comando della nostra volontà, è necessario il dolore spirituale, che porta alla detestazione dei peccati commessi col proposito di non farli mai più. Tra le varie preghiere giova pure il Santo Rosario detto proprio con questa precisa intenzione: per espiare i propri peccati. Infatti come può essere detto anche in suffragio dei defunti, così può essere recitato in espiazione dei nostri peccati. 8. Infine giovano le elemosine. La Sacra Scrittura dice che “come l’acqua spegne il fuoco, così l’elemosina espia i peccati” (Sir 3,29). 9. Non so se il desiderio continuo di lasciare questa terra e di vedere Dio possa essere espiatorio dei peccati. So invece che la Chiesa presenta una preghiera che il sacerdote può recitare prima della celebrazione della Messa: “Il Signore onnipotente e misericordioso ci conceda la gioia e la pace, l’emendazione della vita, il tempo per una vera penitenza, la grazia e la consolazione dello Spirito Santo, la perseveranza nelle buone opere”. 10. Il desiderio di vedere Dio può rientrare tra quelle buone azioni che sono nello stesso tempo espiator
ie e meritorie. Ma soprattutto giova la conformità della nostra vita alla volontà di Dio soprattutto quando siamo chiamati a vivere i misteri dolorosi della nostra esistenza. Contraccambiando il graditissimo augurio, ti benedico e ti ricordo nella preghiera. Padre Angelo
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divulgatoriseriali · 6 months ago
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Scrittura terapeutica per adolescenti: esprimere le emozioni in Un Rifugio Sicuro
La scrittura terapeutica per adolescenti rappresenta un potente strumento di espressione e guarigione, capace di trasformare i sentimenti interiori in parole scritte e di alleviare ansie e paure. L’atto di trasferire i nostri sentimenti dall’intimità del pensiero alla parola scritta risponde a un bisogno profondo di esternare, di aprirci, di far sentire la nostra voce. Questo processo dà vita…
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pier-carlo-universe · 4 months ago
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Le Lettere di Esther di Cécile Pivot: Un Romanzo di Condivisione e Guarigione attraverso la Scrittura. Recensione di Alessandria today
Un viaggio emotivo e terapeutico nel potere delle parole, dove la protagonista Esther guida un gruppo di sconosciuti a riscoprire sé stessi.
Un viaggio emotivo e terapeutico nel potere delle parole, dove la protagonista Esther guida un gruppo di sconosciuti a riscoprire sé stessi. Le Lettere di Esther di Cécile Pivot è un romanzo intimo e commovente che esplora il potere della scrittura come mezzo di guarigione e connessione. La storia segue Esther, una libraia francese che, per affrontare la solitudine e il dolore della perdita,…
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schizografia · 3 years ago
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Per me scrivere è un’attività estremamente dolce, felpata. Quando scrivo, ho come la sensazione di un velluto. Per me l’idea di una scrittura vellutata è come un tema familiare, al limite tra l’affettivo e il percettivo, che continua a ossessionare il mio progetto di scrivere, a guidare la mia scrittura mentre sto scrivendo, che mi permette in ogni momento di scegliere le espressioni che voglio utilizzare. Per la mia scrittura il vellutato è una sorta d’impressione normativa. Rimango perciò molto stupito quando vedo che gli altri riconoscono in me piuttosto la scrittura secca e mordace. Pensandoci bene, credo che siano gli altri ad avere ragione. Immagino che nel mio pennino ci sia una vecchia eredità del bisturi. E in fin dei conti non è vero forse che sul bianco della carta traccio quegli stessi segni aggressivi che mio padre tracciava nel corpo degli altri quando operava? Ho trasformato il bisturi in pennino. Sono passato dall’efficacia della guarigione all’inefficacia del libero discorso; ho sostituito alle cicatrici sul corpo i graffiti sulla carta; ho sostituito all’incancellabile della cicatrice il segno perfettamente cancellabile della scrittura. Forse dovrei andare ancora oltre. Forse il foglio di carta è per me il corpo degli altri.
Michel Foucault, Il bel rischio. Conversazione con Claude Bonnefoy
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micro961 · 9 months ago
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Yaya - Il singolo “Avremo giorni migliori”
Il brano della cantautrice sugli stores digitali e dal 10 maggio nelle radio
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“Avremo giorni migliori” è il singolo della poliedrica artista e cantautrice Yaya, pubblicata il 9 giugno 2023 e rilanciata nelle radio italiane dal 10 maggio in promozione nazionale. Produzione impeccabile dagli arrangiamenti ben strutturati e curati. Melodie vincenti che rimangono in testa sin dal primo ascolto, su cui scivola la voce dell’artista con una interpretazione autentica e sincera che dona al tutto un forte impatto emotivo. Il brano è l'inno di chi ha attraversato la notte più oscura e ha trovato la luce all'alba. Nata da un bisogno viscerale di espressione durante una fase di profonda introspezione, questa canzone è il risultato di un viaggio interiore, un percorso di guarigione che ha preso vita attraverso la musica.
“In un momento in cui il silenzio pesava come piombo e la solitudine era l'unica compagna, ho trovato conforto nell'abbraccio delle melodie. La musica è diventata il mio faro, guidandomi attraverso le tempeste emotive verso un porto sicuro. Mentre le note fluivano, così facevano le lacrime, liberando il dolore che avevo custodito dentro. È stata una catarsi, un rito di passaggio che mi ha permesso di trasformare la sofferenza in speranza.” Yaya
Le influenze musicali sono tante, e riportano all’infanzia dell’artista: John Frusciante, Jeff Buckley ma tutto torna all'esperienza. L'esperienza che ognuno di noi vive al proprio interno e che, se non canalizzata fuori, in qualsiasi modo, ci fa sentire incompleti. Questa canzone è stata registrata anche con il produttore con accordatura a frequenze curative. Questo perché il corpo reagisca al messaggio stesso che Yaya vuole donare. Non si vede ma c'è sempre qualcosa che, magari non riusciamo a vedere in periodi lunghi di depressione maggiore, ci porta fuori, può essere una persona, può essere una canzone. Ecco questo è lo scopo della cantautrice: confortare le anime simili alle sue.
“A mia sorella, che ha condiviso con me i momenti più bui, dedico ogni verso di questa canzone. Le sue parole, ripetute come un mantra nei momenti di disperazione, sono diventate il cuore pulsante del testo. È un messaggio che abbiamo vissuto insieme, un promemoria che non importa quanto profonda sia la notte, l'alba è sempre all'orizzonte. Queste parole sono un faro di speranza, un inno alla resilienza che ci ha unite e sostenute, diventando la frase chiave che risuona in ogni nota del brano.” Yaya
Storia dell’artista
Melania Camardella in arte Yaya è una musicista indipendente che porta avanti la propria visione artistica attraverso la musica e le arti visive. Fin da giovane, Melania, ha dimostrato un interesse profondo per la musica. Nonostante sia cresciuta in Italia, è stata influenzata da molti generi musicali esteri, da cui ha tratto ispirazione per sviluppare il proprio stile. Inizia a suonare la chitarra a 15 anni, dandole spazio per creare sin da subito melodie, spianando la strada per la scrittura dei suoi testi, in cui inizialmente sceglie di scrivere in inglese. Lascia l'Italia a 19 anni per portare avanti il suo sogno di artista, nonostante gli studi, la sera continua a comporre traendo la propria ispirazione dalle sue esperienze. A Londra, si esibisce in molte serate, sia come chitarrista che come cantautrice, creando con il suo pubblico connessioni profonde. Tornata in Italia, si esibisce con il suo primo inedito in italiano “Prendimi da bere”, che le porta a vincere il premio di miglior canzone al Forte Festival. Melania continua a perseguire i propri obiettivi musicali con determinazione e passione. Oltre a creare ed esibirsi, si impegna anche a ispirare e connettersi con gli altri attraverso la sua musica. Con una visione di trasformare le esperienze personali in arte condivisibile, Melania combatte nei suoi testi non solo con le sue paure ma anche con i suoi limiti, cercando l'onestà e ad ispirare gli altri con messaggi di speranza e amore. Attualmente sta finendo il suo EP che uscirà a giugno 2024.
Instagram: https://www.instagram.com/yayasongwriter
Spotify: https://open.spotify.com/intl-it/artist/1KuAIYmbmkY6TEoun1ELNj
YouTube: https://www.youtube.com/channel/UC0PHXJU-0gnCArUN3Ws-YHQ
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paoloferrario · 2 years ago
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Rupi Kaur, Guarire con le parole, tre60 editore, 2023
vai a una scheda https://www.illibraio.it/libri/rupi-kaur-guarire-con-le-parole-9788867027682/ Rupi Kaur, autrice del fenomeno letterario mondiale milk and honey, propone in questo libro una raccolta di esercizi di scrittura ideati e guidati da lei stessa per ispirare creatività e guarigione. Questi esercizi aiuteranno a esplorare traumi di natura psicologica, emotiva o sentimentale, e a…
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3nding · 4 years ago
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In tanti mi hanno chiesto di raccontare la mia esperienza con il Covid-19. Molti avranno già letto queste parole (non sentite perché ancora non riesco a parlare correttamente), ma magari servirà per sensibilizzare coloro che ancora si ostinano a portare la mascherina sotto al naso e fare le cene con gli amici. Ovviamente i termini medici e le terapie sono riportate da me, che non ho nessuno studio a riguardo e potrei tranquillamente commettere qualche errore. Inoltre sto scrivendo di getto da un letto di ospedale quindi non anche lo stile di scrittura non sarà dei migliori.
Il 19 ottobre sono dovuto andare al Pronto Soccorso oculistico dell'ospedale di Arezzo per una lesione alla cornea. C'erano moltissimi pazienti in attesa, tutti forniti di mascherina e gel igienizzante. Ma purtroppo in qualche modo il virus, o grazie alle difese immunitarie abbassate o per il fatto che inconsciamente mi toccavo spesso l'occhio, è riuscito a passare.
Dopo 5 giorni, mentre ero in ufficio, è arrivato un leggero mal di testa e quando sono arrivato a casa avevo la febbre a 37.3. Automaticamente mi sono isolato.
La mattina successiva sono andato, privatamente, a fare il test seriologico che è risultato negativo. Ma una volta a casa, la febbre era salita a 38.5.
Non avevo altri sintomi; ne raffreddore ne tosse, sentivo odori, sapori e tutto il resto. Ma la febbre continuava a salire nonostante le 4 tachipirina 1000 che prendevo al giorno. Poteva benissimo essere una semplice influenza, come qualcosa di più grave.
Passati altri tre giorni, il mio medico mi ha fatto la richiesta per il tampone, purtroppo in tutta la provincia non c'era un posto disponibile ed ho dovuto aspettare altre 24 ore.
Non volendo coinvolgere nessuno della famiglia, ho preso la macchina e sono andato da solo a fare il tampone al drive-thru ma già sentivo che qualcosa era cambiato, avevo il fiato corto e cominciavo a far fatica a parlare.
Una volta tornato, mio babbo mi ha fatto trovare il saturimetro che avevo preso su Amazon qualche giorno prima.. La mia saturazione era a 91 con una frequenza a riposo di 109. Troppo poco ossigeno con troppi battiti.
Il mio medico non si sentiva tranquillo ed preferito allertare l'USCA. Purtroppo anche loro erano pieni di pazienti da visitare ed io ancora non avevo il risultato del tampone, quindi non avrebbero saputo se ricoverarmi per in un ospedale Covid o normale.
Quando il giorno successivo l'USCA è arrivata, non riuscivo già più a parlare. Dalla camera al bagno il fiatone si faceva sentire. Respirare era difficile e mi sentivo come un pesce appena pescato.. Boccheggiavo.
Mi hanno subito portato al San Donato di Arezzo. Ho passato 50 minuti in attesa fuori dal pronto soccorso, perché seppur fossero le 22:30, c'erano altre cinque ambulanze davanti a me. Dopo la visita ed il tampone mi hanno portato in malattie infettive.
Con l'RX torace si sono accorti che il polmone destro era praticamente collassato, ed anche il sinistro era messo male.
Mi hanno messo il casco per respirare (CPAP, che ho tenuto per 11 lunghissimi giorni), ossigeno sparato à 60lt/minuto, un rumore assordante e continuo che mi impediva di sentire quello che mi dicevano i medici.
Ed io non potevo esprimermi che a gesti perché non avevo fiato e potevo solo concentrarmi sul respiro dato che non mi bastava l'aria.
A quel punto mi hanno portato in terapia intensiva.. Ed è cominciato l'incubo.
Tra catetere arterioso, catetere venoso, accessi periferici, catetere vescicale, sonde, tubi.. Ero limitatissimo nei movimenti e non potevo muovere bene le braccia per scrivere ai miei cari per cercare un conforto. Ero isolato.
Nudo in un letto con medici e infermieri che si aggiravano per la stanza, somministrandomi terapie e azioni per far ripartire i polmoni. Hanno provato a rincuorarmi, ma psicologicamente era veramente dura.
Poi il mio compagno di stanza (in realtà una sala operatoria riadattata) è morto.. Ed anche se non lo conoscevo, era lì accanto a me da tre giorni. A quel punto sono crollato.
Durante le notti infinite, ho avuto delle incontrollabili crisi di pianto. Un pianto di disperazione che non mi sarei mai aspettato da me, sempre cinico e razionale.
Il quarto giorno hanno chiamato i miei per dirgli che mi avrebbero intubato.. Non stavo migliorando ed era l'unica via percorribile. Entrambi i miei genitori in quel momento sono invecchiati. Mia mamma ha passato la notte a piangere e vomitare.
Quella notte, il medico della rianimazione ha provato a farmi stare a pancia sotto, che tra casco e tutto il resto era una situazione allucinante, ma per fortuna ero sedato. Miracolosamente gli alveoli hanno cominciato a riaprirsi.
Da lì è cominciata la lenta ripresa.
Mi hanno riportato in malattie infettive con il casco, e da quel momento sto facendo una sorta di svezzamento da ossigeno.. I polmoni sono ripartiti grazie ai volumi altissimi di ossigeno ed ora devo reimparare a respirare normalmente.
Nel frattempo ho avuto delle complicazioni dovute alla degenza, e voglio puntualizzare NON alla negligenza di chi mi ha assistito e salvato la vita, semplicemente sono cose che possono succedere in queste situazioni.
In terapia intensiva provavo a dire che mi faceva male il catetere vescicale.. Ma mi rispondevano che non ero abituato ed era un fastidio e che non avrei avuto lo stimolo della pipì perché la vescica si sarebbe automaticamente svuotata nel tubicino. Io invece avevo lo stimolo e mi venivano dei crampi fortissimi.. Dopodiché mi trovavo tutto bagnato..
Quando mi hanno tolto il catetere si son resi conto di avermi lesionato la vescica. Molto dolore e sangue nella pipì.
Poi per non farsi mancare nulla.. Le due dosi di eparina al giorno per evitare la trombosi polmonare hanno fluidificato molto il sangue. Questo mi ha causato ho fortissime emorragie dal lato B.
Una sera mi sono perfino impaurito perché non sapevo come fare a fermare il sangue ed alla fine ho dovuto anche pulire il pavimento del bagno perché mi vergognavo. 🤦🏻‍♂️
Rispetto ai polmoni collassati sono cazzatine.. Ma dopo tutti questi giorni, ogni intoppo pesa sul morale come un macigno.
Piano piano sto migliorando, la saturazione sale, l'EGA migliora ed anche io mi sento meglio. Certo, se tolgo l'ossigeno per andare in bagno o mangiare dopo qualche minuto mi torna la tosse e l'affanno, ma sto meglio e sono sulla strada della guarigione.
Come si vede dalla foto, sono tutto barba e capelli perché con il casco non si mangia, ed avrò perso circa 10/12kg. 😅
Se siete arrivati fino qui con la lettura (cosa per la quale vi ringrazio), avrete capito che è stata un'esperienza terribile.
Io ho 35 anni, vado in palestra e sono in ottima forma fisica, non ho patologie pregresse godo (godevo) di ottima salute. Sono sempre stato molto attento a disinfettare correttamente le mani ed ho sempre tenuto la mascherina; eppure il virus è riuscito a passare.
Penso al ragazzo di 39 anni di Livorno che è morto per un ritardo, penso al mio compagno di stanza, a tutti quelli che pur lottando non ce l'hanno fatta.
Bisogna prevenire il virus a tutti i costi, fare sensibilizzazione e convincere gli scettici. Perché anche loro se ne renderanno conto quando una persona vicina è in fin di vita, ma sarà già tardi.
Lorenzo Stocchi, fb
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meandworld · 4 years ago
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«In tanti mi hanno chiesto di raccontare la mia esperienza con il Covid-19 - scrive - Molti avranno già letto queste parole (non sentite perché ancora non riesco a parlare correttamente), ma magari servirà per sensibilizzare coloro che ancora si ostinano a portare la mascherina sotto al naso e fare le cene con gli amici. Ovviamente i termini medici e le terapie sono riportate da me, che non ho nessuno studio a riguardo e potrei tranquillamente commettere qualche errore. Inoltre sto scrivendo di getto da un letto di ospedale quindi anche lo stile di scrittura non sarà dei migliori. Il 19 ottobre sono dovuto andare al Pronto Soccorso oculistico dell’ospedale di Arezzo per una lesione alla cornea. C’erano moltissimi pazienti in attesa, tutti forniti di mascherina e gel igienizzante. Ma purtroppo in qualche modo il virus, o grazie alle difese immunitarie abbassate o per il fatto che inconsciamente mi toccavo spesso l’occhio, è riuscito a passare».
«Dopo 5 giorni, mentre ero in ufficio, è arrivato un leggero mal di testa e quando sono arrivato a casa avevo la febbre a 37.3. Automaticamente mi sono isolato. La mattina successiva sono andato, privatamente, a fare il test seriologico che è risultato negativo. Ma una volta a casa, la febbre era salita a 38.5. Non avevo altri sintomi; né raffreddore né tosse, sentivo odori, sapori e tutto il resto. Ma la febbre continuava a salire nonostante le quattro tachipirine 1000 che prendevo al giorno. Poteva benissimo essere una semplice influenza, come qualcosa di più grave. Passati altri tre giorni, il mio medico mi ha fatto la richiesta per il tampone, purtroppo in tutta la provincia non c’era un posto disponibile ed ho dovuto aspettare altre 24 ore. Non volendo coinvolgere nessuno della famiglia, ho preso la macchina e sono andato da solo a fare il tampone al drive-thru ma già sentivo che qualcosa era cambiato, avevo il fiato corto e cominciavo a far fatica a parlare. Una volta tornato, mio babbo mi ha fatto trovare il saturimetro che avevo preso su Amazon qualche giorno prima. La mia saturazione era a 91 con una frequenza a riposo di 109. Troppo poco ossigeno con troppi battiti. Il mio medico non si sentiva tranquillo ed preferito allertare l’USCA. Purtroppo anche loro erano pieni di pazienti da visitare ed io ancora non avevo il risultato del tampone, quindi non avrebbero saputo se ricoverarmi per in un ospedale Covid o normale».
«Quando il giorno successivo l’USCA è arrivata, non riuscivo già più a parlare. Dalla camera al bagno il fiatone si faceva sentire. Respirare era difficile e mi sentivo come un pesce appena pescato... Boccheggiavo. Mi hanno subito portato al San Donato di Arezzo. Ho passato 50 minuti in attesa fuori dal pronto soccorso, perché seppur fossero le 22:30, c’erano altre cinque ambulanze davanti a me. Dopo la visita e il tampone mi hanno portato in malattie infettive. Con l’RX torace si sono accorti che il polmone destro era praticamente collassato, e anche il sinistro era messo male».
«Mi hanno messo il casco per respirare (CPAP, che ho tenuto per 11 lunghissimi giorni), ossigeno sparato à 60lt/minuto, un rumore assordante e continuo che mi impediva di sentire quello che mi dicevano i medici. Ed io non potevo esprimermi che a gesti perché non avevo fiato e potevo solo concentrarmi sul respiro dato che non mi bastava l’aria. A quel punto mi hanno portato in terapia intensiva. Ed è cominciato l’incubo. Tra catetere arterioso, catetere venoso, accessi periferici, catetere vescicale, sonde, tubi... ero limitatissimo nei movimenti e non potevo muovere bene le braccia per scrivere ai miei cari per cercare un conforto. Ero isolato.»
«Nudo in un letto con medici e infermieri che si aggiravano per la stanza, somministrandomi terapie e azioni per far ripartire i polmoni. Hanno provato a rincuorarmi, ma psicologicamente era veramente dura. Poi il mio compagno di stanza (in realtà una sala operatoria riadattata) è morto. Ed anche se non lo conoscevo, era lì accanto a me da tre giorni. A quel punto sono crollato. Il quarto giorno hanno chiamato i miei per dirgli che mi avrebbero intubato. Non stavo migliorando ed era l’unica via percorribile. Entrambi i miei genitori in quel momento sono invecchiati. Quella notte, il medico della rianimazione ha provato a farmi stare a pancia sotto, che tra casco e tutto il resto era una situazione allucinante, ma per fortuna ero sedato. Miracolosamente gli alveoli hanno cominciato a riaprirsi».
«Da lì è cominciata la lenta ripresa. Mi hanno riportato in malattie infettive con il casco, e da quel momento sto facendo una sorta di svezzamento da ossigeno. I polmoni sono ripartiti grazie ai volumi altissimi di ossigeno ed ora devo reimparare a respirare normalmente».
«Piano piano sto migliorando, la saturazione sale, l’EGA migliora ed anche io mi sento meglio. Certo, se tolgo l’ossigeno per andare in bagno o mangiare dopo qualche minuto mi torna la tosse e l’affanno, ma sto meglio e sono sulla strada della guarigione. Come si vede dalla foto, sono tutto barba e capelli perché con il casco non si mangia, ed avrò perso circa 10/12kg».
«Io ho 35 anni, vado in palestra e sono in ottima forma fisica, non ho patologie pregresse, godo (godevo) di ottima salute. Sono sempre stato molto attento a disinfettare correttamente le mani e ho sempre tenuto la mascherina; eppure il virus è riuscito a passare. Penso al ragazzo di 39 anni di Livorno che è morto per un ritardo, penso al mio compagno di stanza, a tutti quelli che pur lottando non ce l’hanno fatta. Bisogna prevenire il virus a tutti i costi, fare sensibilizzazione e convincere gli scettici. Perché anche loro se ne renderanno conto quando una persona vicina è in fin di vita, ma sarà già tardi».
(Lorenzo, 35 anni, Ospedale di Arezzo via Corriere.it)
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