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Orlando: la visione di Andrea De Rosa al Teatro Astra di Torino. Un viaggio nell’identità ispirato al capolavoro di Virginia Woolf
Un classico che esplora il tema dell’identità
Un classico che esplora il tema dell’identitàDal 6 al 15 dicembre 2024, il TPE Teatro Astra di Torino presenta in prima nazionale lo spettacolo “Orlando”, un’interpretazione unica del capolavoro di Virginia Woolf firmata dal regista Andrea De Rosa. Lo spettacolo, che si inserisce nella stagione “Fantasmi”, approfondisce il tema dell’identità come entità fluida e mutevole, capace di attraversare…
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Padronanza e Linguaggio
La campagna di trasformazione dei miei pomodori e pomodorini quest'anno, complice la variabile meteorologica (inverno mite, primavera anticipata) è partita esattamente 40 giorni prima del 2023. Lo scrivo perchè mi ha un po' impedito di dedicarmi appieno al blog, soprattutto riguardo le mie ultime letture.
Vorrei segnalarvi, en passant, due libri tra le ultime letture: uno, magnifico, è la ristampa con nuova traduzione di un romanzo, Qui Il Sentiero Si Perde di Peskè Marty, che Adelphi ha pubblicato di recente: il nome dell'autore è uno pseudonimo di una coppia di scrittori francesi, Antoinette Peské e il marito Pierre Marie André Marty. Scritto negli anni '50, ambientato tra la Mongolia e la Siberia, il romanzo racconta le avventure leggendarie dello zar Alessandro I, vincitore di Napoleone, che nel 1825 avrebbe messo in scena la sua morte. Una diceria, quella della fuga dello zar e delle sue successive metamorfosi, che aveva intrigato anche Tolstoj, il quale vi dedicò un racconto (Memorie Postume dello Starets Fëdor Kuzmìč).
L'altra segnalazione è un piccolo saggio scritto da uno dei massimi esperti di Storia Della Musica Classica, Giorgio Pestelli, che ne Il Genio di Beethoven (Donzelli) percorre, attraverso l'analisi non solo tecnica ma anche emozionale, delle nove leggendarie sinfonie del maestro, un ritratto unico e profondo del grande compositore.
Ma approfitto per parlarvi anche dell'ultima, stranissima ma indimenticabile lettura che è questo libro:
Adam Thirlwell fa parte dell'ultima generazione di scrittori britannici, e per due volte è stato inserito nella Lista dei Migliori Autori Emergenti dalla prestigiosa rivista Granta, le cui segnalazioni negli anni mi hanno sempre fatto conoscere autori niente male (Tibor Fisher o Scarlett Thomas, i primi nomi che mi vengono in mente). In Il Futuro Futuro (Feltrinelli) Thirlwell immagina un mondo distopico, dove succedono in maniera non lineare avvenimenti storici che somigliano moltissimo a quelli avvenuti negli anni appena precedenti la Rivoluzione Francese. Qui Celine, Marta e Julia sono tre giovanissime ragazze che, in maniera misteriosa, sono vittima di anonimi pamphlet dove vengono descritte con pruriginosa minuzia di particolari le abitudini sessuali delle nostre giovani protagoniste. Celine, Marta e Julia si confrontano quindi con un problema: come si gestisce il rapporto tra linguaggio, arte e potere? e tra potere e genere? Per controbattere, hanno un'idea geniale: organizzano delle feste, a cui piano piano partecipano intellettuali, scrittori, impresari teatrali, miliardari, persino una potentissima Antoniette (che sappiamo a chi si riferisca). Diventano il momento più importante delle sere cittadine. I libri anonimi scompaiono, le ragazze si faranno nuovi nemici ma soprattutto rimangono in Celine e le sue amiche dubbi profondi sui massimi sistemi, in primis sul grande e a tratti inestricabile problema del linguaggio:
Si poteva immaginare un mondo senza linguaggio, o che il linguaggio diventasse una cosa intima e diversa. Era come se nelle conversazioni vere arrivasse sempre il momento in cui emergeva una voce che non era quella di nessuna delle persone che stavano parlando, ma era la voce della conversazione stessa, e quando accadeva era come se si accendesse una piccola lampada, inondando di luce calda un angolino. Altri se lo immaginavano come un dio che si manifestava o parlava attraverso un'altra persona, ma Celine la vedeva diversamente. Era la voce della conversazione, pensava lei, che apparteneva a tutti e a nessuno […] (p. 67-8)
Celine, Marta e Julia hanno anche un problema con il potere dei maschi: sebbene vivano una sessualità libera, sono spesso vittime del potere che è legato ai maschi. Un potere legato ai soldi e al sesso, che Celine tenta spesso di scardinare:
-Come è che uno crede di sapere qualcosa di qualcun altro? disse Celine
-Una volta ci andavo a letto, disse Lorenzo.
-E questo che cazzo vuol dire? fece Celine. - Vuol forse dire che Julia ti conosce, solo perchè sa quanto ti piaceva leccarle il buco del culo?
Lorenzo rimase ancora in silenzio, un silenzio stavolta più greve. Visto? disse Celine. - Tutti odiano sentir parlare di sè. Panico Puro (208).
Celine avrà una figlia, Saratoga, viaggerà, verrà costretta dalla Rivoluzione a scappare via in America. Lì farà degli incontri particolari. Ritornerà, nel modo più strambo, a ricongiungersi con la figlia, cercando di capire cosa sia il futuro:
Ogni volta che si incontravano, gli scrittori non facevano che discutere ossessivamente del futuro, chi avrebbe avuto ancora un pubblico di lettori o come sarebbe stato il futuro - ma non si rendevano conto di quanto fosse limitato il loro modo di pensarlo, il futuro. II vero futuro, diceva Saratoga, non era ciò che sarebbe accaduto di lì a un mese o a un anno, ma il futuro futuro: alieno e incomunicabile. Ma loro non lo vedevano, perché non erano capaci di scatenare il pensiero (150).
Un libro che attraverso una trama fantasiosa, una scrittura asciutta ma implacabile, una serie di eventi di natura fantasiosa ma forse con salti troppo giganti, con pochissimi particolari sui personaggi che non siano le loro conversazioni o i loro pensieri, spazia dal saggio filosofico al fantasy, dalla semiotica al pulp, senza dimenticare i numerosi incontri delle nostre protagoniste non solo con alcuni grandi della Storia, ma persino extraterrestri (non vi anticipo nulla). Un libro strano, pazzo ma che scalda il cuore, non solo per la sua originalità, ma anche per i temi che affronta, tra cui l'amicizia, i rapporti di potere, la comunicazione. Che stuzzica ed estremizza:
Era uno dei problemi di vivere fra la gente - si pensava di sapere un sacco di cose sui propri amici, ma quasi sempre ci voleva una catastrofe perchè le persone si parlassero a cuore aperto. La natura umana era terribile (100-101).
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Le Poesie d'Amore più Celebri nella Storia della Letteratura
L'amore è un sentimento universale che ha ispirato poeti, scrittori e artisti di ogni epoca. La poesia d'amore, in particolare, ha una lunga e ricca storia, e molte poesie hanno lasciato un'impronta indelebile nella cultura e nella letteratura mondiale. In questo articolo, esploreremo alcune delle poesie d'amore più celebri nella storia. "Sonetto 18" - William Shakespeare Il nome di William Shakespeare è sinonimo di poesia d'amore. Il suo "Sonetto 18", con l'inizio "Shall I compare thee to a summer's day?", è uno dei più famosi sonetti d'amore mai scritti. Questa poesia celebra la bellezza eterna dell'amato, sottolineando che essa non sfiorirà mai come le stagioni. "Canzone di Solomon" - Salomone La "Canzone di Solomon" è un antico testo biblico che esprime l'amore appassionato tra il re Salomone e la sua sposa. Questa poesia, contenuta nel Cantico dei Cantici dell'Antico Testamento, è un inno all'amore e alla passione. "How Do I Love Thee?" - Elizabeth Barrett Browning Elizabeth Barrett Browning è famosa per il suo ciclo di sonetti d'amore scritti al marito Robert Browning. "How Do I Love Thee?" è uno dei sonetti più celebri, in cui l'autrice esprime il suo amore incondizionato e misura la sua affezione in modi infiniti. "Poesie di Rumi" - Rumi Il mistico e poeta persiano Rumi ha scritto molte poesie d'amore, spesso rivolte a Dio, ma intrise di una profonda passione. Le sue poesie esplorano i temi dell'amore divino e dell'estasi spirituale, con versi ricchi di bellezza e profondità. "Il Bacio" - Francesco Petrarca Francesco Petrarca, uno dei padri del movimento poetico italiano del Dolce Stil Novo, è celebre per le sue "Canzoni" dedicate all'amata Laura. "Il Bacio" è uno dei suoi componimenti più noti, in cui descrive il momento di un bacio rubato. "Annabel Lee" - Edgar Allan Poe L'oscuro poeta Edgar Allan Poe è noto per i suoi componimenti gotici e misteriosi, ma "Annabel Lee" è una poesia d'amore struggente che narra l'amore eterno tra il narratore e la sua amata Annabel Lee, anche dopo la sua morte. "She Walks in Beauty" - Lord Byron Lord Byron è uno dei grandi poeti romantici britannici, e "She Walks in Beauty" è un'ode alla bellezza e all'eleganza di una donna. La poesia esprime l'ammirazione del poeta per la grazia e l'armonia della sua amata. "I Carry Your Heart with Me" - E.E. Cummings E.E. Cummings è noto per la sua sperimentazione con la forma poetica, ma "I Carry Your Heart with Me" è una poesia d'amore classica. Questo componimento celebra l'intimità profonda tra amanti e l'idea di portare nel proprio cuore l'amato. Poesie d'amore attraverso i secoli Le poesie d'amore hanno attraversato secoli e culture diverse, catturando l'essenza dell'amore in tutte le sue sfumature. Ogni poesia rappresenta un diverso aspetto dell'esperienza amorosa, e queste opere rimangono delle testimonianze durature dell'eterno richiamo dell'amore nell'animo umano. Foto di Ben Kerckx da Pixabay Read the full article
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La Fattoria degli Animali è uno di quei libri che tutti dicono di aver letto, ma che alla prova dei fatti è meno conosciuto di quanto si pensa. Certo tutti conoscono più o meno la storia: gli animali che si ribellano all’uomo, con i maiali che guidano la rivoluzione e instaurano un nuovo governo che si rivela presto peggiore del precedente. Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri: questa frase ce la ricordiamo, e viene presa a ragione come sintesi del messaggio di fondo della storia.
Ma forse c’è qualcosa di più profondo e universale che George Orwell voleva dirci con La Fattoria degli Animali? Siamo abituati negli ultimi anni a vedere citato continuamente il suo 1984 perché siamo abbagliati dalla distopia, ma nel 2021 anche una rilettura della novella allegorica con gli animali parlanti potrebbe essere utile.
Allegoria contro distopia
George Orwell è stato uno degli scrittori più significativi della sua epoca, riconosciuto come un autore capace di trasmettere con le sue storieprecisi moniti sulla situazione e la possibile evoluzione della società. D’atra parte la pura letterarietà non è mai stata il fulcro della sua produzione, che ha sempre mostrato uno stile piuttosto funzionale, quasi giornalistico, per cui la potenza delle idee è la ragione principale per cui le sue opere vengono ricordate e tramandate. In questo senso si può considerare Orwell un autore “politico”, collocazione che gli ha permesso nella sua carriera di dedicarsi a generi diversi senza per questo venirne imbrigliato (anche se viene da chiedersi se oggi la sua fanbase protesterebbe dicendo “cosa c’entra la politica nei romanzi?”).
La fiaba allegorica con gli animali antropomorfizzati che parlano e ragionano come uomini infatti non è certo il genere di narrativa più avanguardista che ci si possa aspettare verso la metà del XX Secolo, eppure Orwell ha scelto di adottare questo modello per La Fattoria degli Animali, e col senno di poi la sua scelta si è rivelata azzeccata. Resta però il fatto che il pubblico di oggi può considerare questo romanzo poco più di un divertissement, il tentativo appunto di replicare i tropi della fiaba che abbiamo imparato tutti alle elementari. Per cui alla fine basta ricordarsi la morale per comprendere il significato dell’opera: tutti gli animali sono uguali, eccetera.
Anche perché La Fattoria degli Animali ha un fratello maggiore piuttosto ingombrante: 1984, la distopia delle distopie. 1984 è a sua volta un libro che tutti conoscono ma in pochi hanno davvero letto (spiace per Orwell che gli sia toccata più volte questa sciagura). Lo dimostra la quantità di citazioni che il romanzo riceve, in tutte quelle occasioni in cui i cittadini che si sono svegliaaaati!!! si accorgono che qualcosa nel mondo non funziona come si aspettavano. Negli ultimi anni poi, da quando la distopia è stata sdoganata ed è diventata un prodotto di largo consumo, l’accostamento a 1984 è diventato un evergreen che mette d’accordo complottisti e massoni. Il successo della MacDystopia però ha forse distolto l’attenzione da quello che La Fattoria degli Animali può dirci ancora oggi.
Non solo stalinismo
Sia chiaro che non diciamo niente di nuovo: La Fattoria degli Animali non è certo un libro sottovalutato né un classico dimenticato. C’è quasi un secolo di critica letteraria e culturale che ne ha parlato, analizzandolo da ogni angolazione. E il primo passo di queste analisi è, giustamente la contestualizzazione storica.
La Fattoria degli Animali usciva nel 1945 ed era stato scritto tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944, mentre l’Europa era in guerra e stava ricevendo l’aiuto dell’Unione Sovietica nella lotta contro l’Asse. Orwell dal canto suo era molto scettico sulla nobiltà d’intenzioni dei sovietici nonostante fossero alleati dei britannici, e per questo trovò inizialmente difficoltà nel far pubblicare la storia. Non si può infatti ignorare che tutto il racconto delle vicende della fattoria sia una satira della rivoluzione sovietica e dell’instaurazione del regime comunista in Russia.
In particolare a essere oggetto della satira non sono tanto i principi del socialismo, che per come vengono espressi inizialmente da parte del Vecchio Sindaco appaiono del tutto ragionevoli: gli animali sono oppressi e sfruttati dal padrone, per questo la nascita di un movimento che li liberi dalla schiavitù è auspicabile. L’animalismo (termine che oggi però ha assunto un’altra valenza) è un’ideologia giusta, sulle cui basi viene creato però un sistema di sfruttamento nuovo e anche peggiore da parte degli stessi liberatori della prima ora. Ma è proprio questo secondo passaggio a essere contestato da Orwell, quindi la critica è rivolta allo stalinismo, regime oppressivo basato su un culto della personalitàtotalmente estraneo all’ideologia che afferma di propagare.
I riferimenti non così velati ai fatti storici che hanno portato alla nascita dell’Unione Sovietica abbondano, dalla diffusione dei canti della rivoluzione alle prime gloriose battaglie, dalle lotte interne tra le diverse correnti ai tempi duri sopportati dalla popolazione, per arrivare al revisionismo e alla parificazione con i padroni precedenti. Questo livello di lettura che si trova appena sotto la superficie però può portare a limitare la portata dell’allegoria, che può invece trovare riscontro ben oltre il caso specifico dello stalinismo.
I porci siamo noi
Ci siamo concentrati così tanto sull’Unione Sovietica che spesso ci sfugge come La Fattoria degli Animali sia capace di parlare anche al di fuori del suo contesto storico. Anzi a guardare bene ci si può accorgere che molte delle dinamiche espresse nella fiaba sono tanto più vere e realizzabili oggi, grazie alla rapidità con cui le informazioni si diffondono e possono essere controllate.
In 1984 abbiamo il Ministero della Verità che opera un’accurata selezione delle informazioni da far arrivare alla cittadinanza, censurando e alterando dove necessario in modo che la verità storica non venga mai accertata. Ma nella Fattoria questo processo è ancora più sfacciato, perché non si serve di complicati apparati che devono “giustificare” la loro manipolazione della storia: è sufficiente che i leader affermino una cosa, anche in aperta contraddizione con quello che tutti ricordano, perché questa nuova verità sia accettata. Si tratta di un meccanismo molto più affine a ciò che vediamo oggi nella diffusione delle fake news, in cui non c’è bisogno di documentazione a sostegno delle affermazioni. E anzi, più la sparata è grossa e contraddittoria, più fa presa, perché i maiali non si potrebbero mai inventare una cosa così assurda, no? E infatti, abbiamo QAnon.
Leggendo La Fattoria degli Animali ci si trova a provare un certo distacco dalle vicende: non ci sentiamo affini né ai maiali doppiogiochisti, né ai cani asserviti al potere o alle galline sprovvedute, e men che mai alle pecore belanti. Noi siamo persone ragionevoli che non cadrebbero mai in trappole del genere! Staremmo sempre in guardia e qualora dovesse verificarsi una rivoluzione di questo livello non ne saremmo certo le vittime. Abbiamo i nostri principi di giustizia e libertà ai quali rimarremo sempre saldi, al limite con qualche piccolo compromesso in caso le difficili circostanze ci richiedessero di adattarci… proprio come i maiali.
In un mondo che esaspera sempre di più le contrapposizioni, in cui ci scegliamo da soli la bolla di cui far parte, stiamo alimentando continuamente questo senso di appartenenza che si nutre di autoconfermazione, tanto da arrivare a giustificare qualsiasi posizione contraddittoria con gli stessi valori a cui siamo convinti di ispirarci: tutti gli ideali sono uguali, ma i miei sono più uguali degli altri. Forse è questa la lezione che La Fattoria degli Animali può aiutarci a comprendere oggi, al di là della sua particolare connotazione storica. Perché le rivoluzioni vanno e vengono, ma i porci sono sempre qui, e sono indistinguibili da noi stessi.
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Hanno vinto le balle: essere bene informati ormai non conta più
di Ines Tabusso Hanno vinto le balle: inutile segnalarle, confrontarle con i fatti, indicarne le contraddizioni, esporre la realtà. Fatica inutile. Neppure l’articolo 656 del Codice penale italiano, che punisce il reato di “pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico”... potrebbe rivelarsi utile. Il punto è che il diritto di essere informati correttamente pare non interessare agli elettori italiani, né agli americani né ai britannici, come dimostrato ieri con chiarezza indiscutibile dai risultati delle elezioni nel Regno Unito. Un elettore deluso, preoccupato, impoverito, disperato cerca un colpevole, un capro espiatorio e la strada più veloce per recuperare le posizioni perdute. Non trovandola nella realtà, che è complicata e non è rosea, comincia a sognare e a cercarla altrove, anche nelle fantasie, se trova qualcuno abbastanza cinico da inventarsene di semplici e risolutive, spacciate per uovo di Colombo e ripetute ovunque in campagne elettorali permanenti. Ha scritto William Davies sul Guardian che nel Regno Unito si sta assistendo ad una specie di “berlusconificazione” della vita pubblica, dove le distinzioni fra politica, media e affari hanno perso ogni credibilità a favore della nascita di un unico centro di potere in cui i protagonisti si spostano disinvoltamente da un campo all’altro, interpretando ruoli diversi, un giorno politici, un altro giornalisti, il tutto a scapito dell’indipendenza e della competenza. È sempre utile, ma non più indispensabile, possedere e controllare giornali, riviste, reti tv: il nuovo ecosistema dell’informazione, grazie a Facebook e Twitter, ha dato origine ad un nuovo tipo di figura pubblica che non appartiene a nessuna delle vecchie categorie ma che, per conquistarsi il consenso, può essere contemporaneamente un attore, un intrattenitore, un politico e un giornalista. Vince chi mente nel modo più convincente, chi non si vergogna di ingannare il prossimo e, se contestato, rilancia con la “faccia di tolla” più seducente, dichiarando di volere quello che il popolo vuole, un popolo ormai acritico e riplasmato da chi sostiene di essere dalla sua parte. A questo punto si può ancora considerare un paradosso la domanda di Brecht nella poesia scritta dopo la rivolta del 17 giugno 1953 in Germania Est? Il segretario dell’Unione degli scrittori aveva fatto distribuire dei volantini spiegando che il popolo aveva perso la fiducia del governo e avrebbe potuto riconquistarsela solo lavorando ancora più duramente. “In quel caso non sarebbe stato più semplice per il governo sciogliere il popolo ed eleggerne un altro?” chiedeva Brecht. Ecco: ormai ci siamo arrivati.
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[ARTICOLO] I compositori raccontano del loro lavoro per l’album dei BTS “Love Yourself: Answer”
Questo è stato, indiscutibilmente, l’anno dei BTS, e nulla più che raggiungere i vertici della classifica Billboard 200 con non uno, ma ben due degli album della trilogia “Love Yourself” può essere considerato il simbolo dell’ascesa del gruppo nel panorama della più alta nobiltà del pop.
Il secondo dei due, “Love Yourself: Answer”, dalla data del suo rilascio lo scorso agosto ha trascorso in classifica ben 16 settimane, superando il record di 15 detenuto precedentemente da “Love Yourself: Tear”, uscito invece a maggio.
“Answer”, il finale della serie “Love Yourself” cominciata nel settembre 2017 con “Love Yourself: Her”, è un album compilation composto da due CD di musica sia vecchia che inedita che accompagna l’ascoltatore in un filosofico viaggio pop alla volta dell’amore per sé stessi traendo ispirazione da una moltitudine di generi globali.
Oltre ai membri stessi del gruppo, circa altri venti compositori, fra questi molti nordamericani e britannici, hanno preso parte alla realizzazione dell’album e in questi mesi, Billboard ne ha intervistati alcuni chiedendo loro di raccontare la propria esperienza nel lavorare alle canzoni per il primo dei due dischi di cui l’album si compone.
Di seguito le loro opinioni in base all’ordine con cui sono state organizzate le tracce nella tracklist:
Melanie Fontana su “Euphoria” di Jungkook: “Ho scritto il ritornello della canzone, alcune parti del bridge e alcune strofe. Alla fine abbiamo fatto diversi cambiamenti. [DJ Swivel] mi ha contattata quando ormai la canzone era in parte finita e aveva solo bisogno di un po’ di aiuto, e mancando un vero e proprio ritornello, ho accettato di lavorare con lui. Quando ho ascoltato la prima bozza della canzone, ho pensato che avrebbe potuto avere un qualcosa di più esplosivo e il ritornello ricordare quasi un canto marinaresco che da far intonare non solo ai ragazzi del gruppo, ma anche al pubblico. Ho fatto in modo che la canzone crei un’atmosfera che faccia venir voglia di cantare tutti insieme. Quando ho ascoltato quello che ha fatto il paroliere coreano mi sono subito detta: “Wow, questa canzone è stata fatta proprio per questi ragazzi”. Conosco Jungkook, sono una sua grande fan, ma non avrei mai pensato che poi sarebbe stato lui a cantarla. Per quel che mi riguarda, non avrei mai immaginato che la canzone avrebbe ottenuto questo successo, e adoro il fatto che ognuno dei membri abbia la sua occasione per brillare [nell’album]. ”
DJ Swivel (Jordan Young) su “Euphoria”: “Per quanto mi riguarda, fra le tracce che abbiamo creato, “Euphoria” è quella che preferisco. Essendo stata la prima canzone che ho mandato loro e che ha quindi dato inizio al nostro rapporto professionale, ha un forte valore personale e sentimentale, per me. Me ne sono subito innamorato quando ho sentito la chitarra e il piano [in una versione precedentemente scritta dalla sua collaboratrice Candace Nicole Sosa], ha una melodia così emozionante, e ho sempre amato questo genere di corde e melodie. C’era questa vena molto nostalgica che mi è piaciuta subito. Essendo il titolo “Euphoria”, volevo che il drop desse la sensazione di essere leggero, luminoso, colorato. La canzone va incontro ad un vasto range di emozioni nel suo progredire”.
Ray Michael Djan Jr. e Ashton Foster su “Serendipity”, il solo di Jimin prima rilasciato come intro di “Love Yourself: Her” e poi nella sua versione intera in “Love Yourself: Answer” :
Djan: “Avevamo scritto altre canzoni [per “Her”]: “Serendipity”, “Best of Me”, un’altra, ma non sapevamo che “Serendipity” in quell’occasione sarebbe stata utilizzata come intro. Noi avevamo solo scritto un’unica canzone, perciò ci siamo sorpresi quando ci hanno contattati nuovamente dicendo “Ehi, ragazzi, vorremmo che la faceste diventare una canzone intera”. Tutto questo è stato eccitante”.
Foster: “Loro già avevano il titolo della canzone. Come hanno fatto in molte altre occasioni, ci hanno mandato una significativa e profonda spiegazione sul contenuto della traccia, quando ce l’hanno inviata. Mi ricordo che era davvero tutto molto approfondito, anche il significato della parola stessa. L’idea era già lì, bisognava soltanto creare una melodia molto forte ed è quello di cui ci preoccupiamo maggiormente io e Ray ogni volta, visto che non sappiamo se il testo in inglese renderà, una volta tradotto [in coreano]. Ci focalizziamo tanto sulla melodia e facciamo in modo che sia la prima cosa a funzionare, poi pensiamo al resto”.
Matthew Tishler riguardo a 'Dimple’, rilasciata con 'Love Yourself: Her’: Ricordo di aver buttato giù un sacco di idee nel 2016 con la mia amica e collaboratrice Alison Kaplan. Diciamo che abbiamo iniziato a comporre molte tracce, melodie e concetti per la canzone e abbiamo inviato queste prime bozze con il titolo di 'Illegal’. RM è poi subentrato e ha partecipato scrivendo il testo. Stavamo lavorando nello stesso momento sulla traccia ma ognuno per conto proprio, diciamo che si può parlare di una collaborazione in cui l'occidente incontra l'oriente che ha avuto luogo a distanza senza nemmeno incontrarci di persona. I ragazzi hanno cambiato il titolo ma sono riusciti a mantenere la parola 'illegale’ nella canzone.
Stavamo cercando di produrre qualcosa che risultasse a metà strada tra il K-pop e il pop americano. Volevamo che questa collaborazione fosse percepita come veramente globale per cui abbiamo usato molti suoni dalla Top 40 americana. Non sono sicuro che gli accordi usati siano tipici del K-pop. Sapete che il K-pop è molto complesso a livello armonico e ci sono tantissimi giri armonici complessi in stile R&B un po’ jazzato. Penso che questa canzone sia abbastanza semplice da un punto di vista armonico e per questo si può considerare più americana. Stavamo cercando di pensare in grande per andare oltre gli USA e la Corea. Stavamo anche cercando di pensare cosa avrebbe potuto fare questa band che fosse d'impatto per i loro ascoltatori provenienti da ogni parte del globo.
Charlie J. Perry riguardo al brano solista di V, 'Singularity’: mi hanno consegnato queste fantastiche istruzioni, chiamiamole così, su cosa volevano. Sembrava una poesia. Mi hanno inviato una poesia di cosa volevano che la canzone trasmettesse. Ho letto e mi è venuto quasi naturale comporre perché ero veramente toccato. A loro piace Daniel Caesar e volevano qualcosa di simile al neo-soul. Personalmente, io sono un grande fan di D'Angelo. Penso il suono da ballad sia molto popolare al momento e le persone ne sono attratte. Quando mi hanno detto cosa volevano, ho pensato che questo è esattamente il genere di musica che mi piaceva scrivere e ascoltare. Mi sono semplicemente seduto, ho considerato qualche idea, ho provato a trasmettere l'emozione fondamentale per una canzone del genere. Volevo infondervi qualcosa di particolarmente emotivo.
Attingendo alle mie esperienze passate e a quei casi in cui una relazione non si sviluppa proprio come ci si aspetta, quindi su situazioni molto emotive, sono riuscito a creare qualcosa che a livello melodico arriverà proprio dritto al cuore. Penso che la semplicità della base sia sempre un modo per far risaltare la voce, perché alla fin fine è quello che si ascolta: il cantante, la connessione umana con la canzone. Ho cercato di mantenere gli accordi semplici, creare molti spazi all'interno per far arrivare la voce e accentuare certe armonie. Ero davvero sbalordito [dal risultato finale della canzone].
V è veramente entrato in connessione con la canzone. È stata una cosa davvero bella perché non ci siamo mai effettivamente incontrati di persona. Mandare il proprio lavoro dall'altra parte del mondo a qualcuno che lo interpreta con così tanta passione ed emozione è stata essa stessa un'esperienza incredibile. Lui ha sicuramente il carattere adatto per questa canzone. Jake Torrey riguardo alla sorpresa di ‘The Truth Untold’, inclusa in 'Love Yourself: Tear’: Ho scritto questa canzone con Roland Spreckley, Annika Wells e Noah Conrad. Se non sbaglio quel giorno stavamo cercando di comporre per Flume, ma ovviamente non è quello che è poi successo. Avevamo iniziato a provare alcune melodie. Conrad è un pianista fantastico e aveva tutti gli accordi che gli servivano. Ogni tanto la melodia era dello stile di una ballad di Sam Smith. Il testo originale è totalmente diverso da quello finale. Uno dei versi recitava: “V--- a tutti i miei amici se lo vuoi ma io voglio te”. Naturalmente molto, molto diverso da quello che poi è diventato! Comunque stavamo solamente cercando di buttare giù qualcosa per un altro artista e siamo finiti a fare tutt'altro.
In seguito, stavo lavorando su FaceTime con un altro artista K-pop, Eric Nam, per terminare una delle canzoni per il suo EP e lui era tipo “Oh, devo scappare ma congratulazioni per quella cosa con i BTS” ed io ero tipo “Quale cosa con i BTS?”. Lui ha detto “Ero con uno dei ragazzi e mi ha fatto sentire questa canzone che sicuramente eri tu a cantare” ed io ero tipo “Non ho idea di cosa tu stia parlando”. Ho chiesto in giro ai miei editori e manager, ma tutti erano tipo “No, non penso abbiamo mandato quella ai BTS”, ma alla fine era successo per caso che l'editore di Spreckley l'aveva inviata e loro avevano voluto utilizzarla, per cui è stata una sorpresa per tutti noi. Quando l'album è arrivato al primo posto, noi eravamo tipo “Cosa!”.
Ray Michael Djan Jr. su “I'm Fine”: Ovviamente, Foster ed io abbiamo scritto (il singolo dei BTS del 2016) “Save Me”, per cui una volta aver realizzato fosse in risposta a questa, abbiamo avuto un'idea di cosa volevamo dire nella canzone. Ma è sempre uno sforzo collettivo lavorare con i loro scrittori, per assicurarsi venga tradotta perfettamente in coreano e significhi qualcosa per i ragazzi. Abbiamo preso molte influenze dalla batteria, dal basso e dalla sensazione che dà quel genere di canzoni in termini di energia. E poi era anche importante assicurarsi che, seppur fosse un pezzo tipo R&B, la melodia in particolare sembrasse pop. Perché è questo che credo sia il nocciolo di ciò che sono quei ragazzi. Amano cimentarsi con l’R&B, l'hip-hop ed altre cose, ma deve necessariamente sembrare pop. Era praticamente una miscela di molti sound diversi tra loro, in termini di melodia, per far sì che i ragazzi avessero quella specie di momento di apertura. Soprattutto nel ritornello, quando si apre e cantano “I'm feeling just fine, fine, fine”, era così importante che quella ripetizione avvenisse in quel punto. Era veramente fondamentale per noi.
Ci siamo sempre domandati se potessimo usare nuovamente “Save Me”, perché l'abbiamo creata nel 2016, ma da allora i ragazzi sono diventati molto più grandi, perciò ero sempre tipo ‘Ah, cavolo, magari potessimo ri-rilasciare quella canzone’. Fu un grande singolo per loro, ma funzionerebbe benissimo anche ora. Per cui sono stato felice quando, parlando con uno dello staff, lui era tipo “Stavamo pensando di fare di nuovo qualcosa con ‘Save Me’”.
Ali Tamposi & Roman Campolo sul singolo ‘Idol’:
Tamposi: La loro rappresentante ci ha dato direttive secondo cui voleva le melodie fossero un po’ più intense (rispetto alla traccia “Airplane Pt. 2” di Love Yourself: Tear). Ci ha inviato un po’ di riferimenti interessanti. Per “Airplane pt. 2” aveva voluto la direzione di “Havana” di Camila Cabello (a cui Tamposi ha lavorato) e cose del genere, qualcosa in quell'area, ma per questa (aveva detto di) esagerare il più possibile.
Campana: Ma ha una melodia simile ad un'altra canzone che Ali ha scritto (*canticchia un po’ di Havana). Quando l'abbiamo sentita, sembrava un complimento diretto ad Ali.
Tamposi: Abbiamo fatto alcune melodie, ma le hanno tagliuzzate con lavori di altri compositori, perciò sentirete qualcosa nel secondo verso, una sezione nel ritornello.
Campolo: L'intero bridge, quella è la parte più grande nella canzone completamente nostra.
Tamposi: Questa è la cosa figa che li riguarda, sono capaci di tagliare parti delle tue melodie e posizionarle strategicamente nel corso di una canzone. Ed ho pensato a questo. Non tornano da te con un paio di note che vogliono cambiare per provare di nuovo, semplicemente prendono le migliori parti di ciò che dai loro.
Conor Maynard su “Answer: Love Myself”: Per me è stato davvero, davvero casuale. Un mio amico, il cui nome è Ray Michael Djan Jr., è un produttore con cui ho lavorato molto per il mio primo album. Lui ed io lavoriamo insieme tutto il tempo e scriviamo insieme. È stato lui ad interessarsi, è riuscito ad avere canzoni sul loro album precedente. Ha praticamente costruito un rapporto con il loro staff. Ero nello studio un giorno e lui era tipo “Oh, mi è stata mandata una nuova base dallo staff dei BTS. Vuoi scriverci sopra?”, ed ero tipo “Sì”. Questo è successo proprio alla fine di una sessione. Praticamente ho scritto il ritornello della canzone. Era solamente una base, non c'era voce sopra. L'abbiamo fatto in tipo 15 minuti, in quanto sapevamo il testo non sarebbe stato così importante, considerato che sarebbe stato tradotto in qualunque caso in ciò che volevano dire. Per cui abbiamo creato una melodia e cose del genere. Ho completamente dimenticato l'avessimo persino fatta e poi un paio di settimane dopo mi ha chiamato ed era tipo “Oh sì, mi hanno risposto. Piace davvero tanto e vorrebbero utilizzarla”. Alle volte le agenzie dicono “Sì, vogliamo usarla” e in realtà non accade mai nulla, per cui me ne sono nuovamente dimenticato. La volta successiva in cui ne ho sentito parlare è stato quando i loro fan hanno trovato i ringraziamenti (dell'album) e li hanno rilasciati su Twitter o qualcosa del genere. Il mio nome era su una delle loro canzoni. Quindici minuti, ho semplicemente buttato giù qualche idea e gliel'ho mandata. È fantastico. Ero tipo “Wow, dovrei scrivere tutte le mie canzoni per loro ora!”.
Traduzione a cura di Bangtan Italian Channel Subs (©jimindipityR, Cam, Clara) | ©Billboard
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Le più brutte scene di sesso della letteratura contemporanea… In UK spopola il “Bad Sex Award” (lo ha vinto anche De Luca), da noi c’è il “glande” di Missiroli (ha fatto scuola) e “la pelle ancora incrostata di sale” della Gamberale
Tutto, anche in letteratura, finisce in vacca. Intendo: quando gli scrittori devono raccontare il sesso, di solito svaccano, non lo sanno fare (ciò non significa che non sappiano fare sesso, sia chiaro). La cosa mi ha sempre stupito: il gesto più naturale dell’uomo conserva un enigma così potente che quando lo racconti cadi nel grottesco, ti si rizza la penna e ti casca il pennino. O si scia nel pornografico. Il sesso, di solito, si suggerisce senza descriverlo – il linguaggio serpentino di Lolita, ad esempio, dove le perverse unioni tra HH e la sua ‘ninfetta’ sono lasciate alla nostra ninfomaniaca testa – per accenni difettosi – quel grande genio di Tanizaki – oppure lo si disfa, all’eccesso – Ryu Murakami, certe pagine di Isaac B. Singer e di Philip Roth. Di norma, resta gergale tabù, la sessualità.
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Gli scrittori, spudorati quanto a fatti di psiche, tutta testa e poca minchia, sono sovrani nella vergogna se si scrive di carne. Prendo i romanzi più venduti delle ultime settimane: il “glande” di Marco Missiroli fa ridere, ha fatto scuola (“Il glande rigonfio, la bocca forzata per contenerlo, schiudere le gambe e pulsare nell’attesa di godere”), ciò che eccita la Gamberale, d’altronde (“Di la spinge dolcemente sul letto, lei sente un vago profumo di limone, lui riprende a baciarla, i polsi la fronte il collo, eccolo il mio sogno, le dice, sei tu, ha la pelle ancora incrostata di sale, sa di mare, sa di sabbia, sa di buono”), fa rivoltare un lettore di Harmony. Tranquilli: se Marco Corona scopa come lo racconta (“Oggi il Cialis cammina con me, e col Cialis scopo da Dio, chiedete a tutte quelle che mi sono fatto in questo periodo, non ce n’è una che sia rimasta scontenta”) è lo scempio della virilità, ma va detto che anche Alberto Angela, efficace divulgatore in tivù, s’è lasciato alla lascivia kitsch, la scena di sesso tra Marco Aurelio e Cleopatra è da kolossal del grottesco (“In una rovente storia di passione e sesso, i due si cercano, i loro corpi si avvinghiano, le loro bocche si uniscono e i loro sensi si fondono”). Potrei continuare per pagine.
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Di solito si riveste il nudo con qualche straccio retorico – eppure, il compito della scrittura dovrebbe essere spogliare, rimuovere gli orpelli alla morale.
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In Inghilterra sono bacchettoni, ma si divertono. La Literary Review storico magazine londinese che quest’anno compie 40 anni – vi hanno scritto e vi scrivono Martin Amis, John Banville, Julian Barnes, A.S. Byatt, tra i tanti – da 25 edizioni assegna il “Bad Sex in Fiction Award”. “Onoriamo uno scrittore che ha descritto una brutta scena di sesso in un romanzo altrimenti buono”, dicono loro. Giustificandosi: “Lo scopo del premio è focalizzare l’attenzione su brani scritti in modo assurdo, ridondante, superficiale che riguardano la descrizione del sesso nella narrativa recente. Il premio non contempla la letteratura erotica o pornografica”.
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L’ultima edizione del premio è andata a Katerina di James Frey – autore americano pubblicato in Italia da Tea, Editrice Nord e Guanda. La scena di sesso deprecabile e sputtanata con il “Bad Sex Award” è questa: “Sono duro e dentro di lei, in profondità, mentre la scopo sul lavandino del bagno, ancora stretta nel suo piccolo vestito nero, il perizoma sul pavimento, i miei pantaloni alle ginocchia, i nostri occhi chiusi, i nostri cuori e le anime e i corpi serrati. Vieni dentro di me. Vieni dentro di me. Respiro accecante, dio bianco travolgente, gli sbatto il mio cazzo palpitante dentro, stiamo gemendo, occhi, cuori, anime, corpi, in uno. Uno. Bianco. Dio. Vengo. Vengo. Vengo. Vengo. Chiudo gli occhi, il respiro va. Vengo”. L’autore, ricevendo il premio, ha ammesso, “Sono profondamente onorato e umiliato nel ricevere tale prestigioso riconoscimento”.
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Tra chi ha conteso a James Frey la palma di scrittore della peggiore scena di sesso dell’anno c’era anche Haruki Murakami con l’ultimo romanzo, L’assassinio del commendatore. La frase che citano, in effetti, pare il sesso nell’era del gambero: “Le ho fatto scivolare dentro il mio pene eretto. O meglio, da un altro angolo, quella parte di lei ha ingoiato il mio pene, immergendolo in ciò che sembrava burro caldo”. Noi mediterranei favoriamo l’olio, please.
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Tra i vincitori del “Bad Sex Award” spiccano fior di scrittori, da Tom Wolfe – per Io sono Charlotte Simmons –, il macho Norman Mailer (Il castello nella foresta), Jonathan Littell, Philip Kerr, Ben Okri, Morrissey. Nel 2016 il premio è andato a Erri De Luca, con Il giorno prima della felicità. Dovrebbe esserne orgoglioso: è la prima volta che il premio è andato a uno scrittore che non orbita nella lingua anglofona (altrimenti, è capitato a qualche angloindiano).
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In ogni caso, un articolo di Catherine Brown pubblicato su Iai News, Literary Bad Sex, inverte l’ordine delle risate e rilancia. “Fin dagli anni Sessanta gli editori britannici hanno stressato i propri autori per scrivere scene di sesso, così da incrementare le vendite: una decisione che segue l’inatteso successo, dopo il processo per oscenità, de L’amante di Lady Chatterley”, scrive l’autrice, che insegna letteratura inglese al New College of the Humanities di Londra. Perfezionando così il pensiero: “Il premio è figlio di una ipocrisia implicita: ha dato grande rilievo alla rivista che lo organizza dimostrando ciò che stigmatizza, cioè che il sesso vende… Poi c’è l’ambiguità dell’aggettivo. Cosa si intende per cattivo? Esteticamente povero? Una scena di stupro non viene, per comune senso della delicatezza, definita sesso cattivo mentre sesso cattivo, di solito, si riconduce alla descrizione di un momento di buon sesso”. La Brown ha tra le mani – ogni allusione voluttuosa non è voluta ma implicita: il linguaggio nasce per dire il sesso, la sessualità, i corpi, sacrificati o viziati, e per velare l’osceno – la risposta. Vorrebbe un premio per la miglior scena di sesso in letteratura, i “Good Sex Awards”. Sarebbero un servizio migliore alla letteratura – ma un po’ meno al giornalismo, che gode nel ludibrio e nello schianto di risa. La Brown vorrebbe intitolare il premio – che ovvietà – a D.H. Lawrence. In Italia, chi è il massimo scrittore di sesso? D’Annunzio? Vitaliano Brancati? Pasolini (ancora lui)? Giovanni Testori? Sandro Penna?
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La scrittura vela il sesso – o lo castra; castiga o sventra. (d.b.)
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Diario di una Scrittrice di Virginia Woolf. Uno sguardo intimo nella mente di una delle autrici più influenti del XX secolo. Recensione di Alessandria today
Virginia Woolf, figura iconica della letteratura modernista, ci regala con Diario di una Scrittrice un’opera che va oltre il semplice resoconto autobiografico
Virginia Woolf, figura iconica della letteratura modernista, ci regala con Diario di una Scrittrice un’opera che va oltre il semplice resoconto autobiografico. Questo diario offre al lettore un accesso privilegiato ai pensieri, alle emozioni e alle riflessioni di una mente brillante e complessa, rivelando i meccanismi creativi, le insicurezze e le gioie che accompagnano il mestiere dello…
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La dura vita della trincea: in un libro le storie quotidiane della Prima Guerra Mondiale
Di Pietro Nigro Di prossima pubblicazione "La dura vita della trincea", ultimo libro di Luigi, Elisa ed Eleonora Damiano che racconta le storie di chi ha vissuto la Prima Guerra Mondiale. La dura vita della trincea: in un libro le storie quotidiane della Prima Guerra Mondiale Sarà dato alle stampe la prossima primavera ma sta già facendo parlare di sé. Si tratta di “La dura vita in trincea. Silenzi e grida nella Grande Guerra”, libro scritto a sei mani da Luigi Damiano, Elisa Damiano ed Eleonora Damiano. Una storia che parte dalla Prima Guerra Mondiale ma che non parla strettamente di guerra. Una storia in cui non si racconta di tattiche, Armate, Divisioni, Brigate o Reggimenti, Battaglioni o Compagnie, ma in cui si narra di vita quotidiana al fronte ponendo in evidenza le fatiche a cui soldati di tutte le età venivano sottoposti. Una storia che mette in risalto il coraggio misto alla paura di quegli uomini, evidenziando quindi l’aspetto umano ed esistenziale di coloro che dovettero subire il dramma della guerra. Il libro racconta del ruolo avuto sia dal personale in uniforme che dalla popolazione civile, evidenziando anche l’apporto dato dalle donne rimaste a casa mentre gli uomini combattevano al fronte, dall’aiuto nei campi all’industria bellica, agli ospedali civili e da campo. “Con l’entrata in guerra l’Italia mobilitò milioni di uomini che dovettero fare i conti con una diversa idea di Patria, separandosi dai propri affetti e luoghi, alterandone lo stile di vita quotidiano e di conseguenza la salute mentale; essi andavano a combattere un nemico per la maggior parte di loro sconosciuto sottostando ad ordini assurdi e confidando in una veloce risoluzione del conflitto – spiegano gli autori - Il campo di battaglia divenne luogo di condivisione di dialetti, lingue ed usi e costumi diversi. Nonostante l’orrore della guerra, la nostra fortuna è stata quella di poter accedere a fonti orali e scritte come racconti dei sopravvissuti o diari ed epistole, sebbene filtrati dalla censura”. E questa storia spiega anche la nascita del concetto di ‘milite ignoto’: i campi di battaglia erano popolati da un’infinità di corpi di soldati uccisi ai quali non veniva data immediata sepoltura e spesso succedeva di non poter neppure riconoscere il caduto e quindi di dargli un nome. “Il libro – proseguono gli autori - racconta fatti e vissuti riguardanti paesi e popoli diversi, tra cui quello britannico, come ad esempio i bombardamenti degli Zeppelin sui cieli di Londra e Edimburgo e di alcune V.A.D. come Vera Brittain, Agatha Christie, Agnes Warner ed altre crocerossine, come pure di scrittori e poeti britannici come Alan Seeger, Isac Rosemberg, Joe McCrae, solo per citarne alcuni, per terminare con i Monumenti e i Sacrari, anche questi non solo quelli dedicati agli italiani. Al termine di tutti i capitoli sono inserite le trascrizioni di lettere o racconti di soldati o di civili”. Insomma, un vademecum che ha il sapore di testimonianza, per non dimenticare ciò che è stato e che ha cambiato per sempre i destini delle generazioni successive. Venti capitoli di storia del primo conflitto bellico di portata mondiale: dalla Bella Epoque a Caporetto, al ruolo delle donne, all’influenza spagnola, ai canti dei soldati, al trattato di pace, ai mutilati, i reduci e i sacrari (solo per citarne alcuni). E, vista la narrazione che coinvolge anche gli eventi bellici avvenuti in territorio britannico, l’obiettivo degli autori, all’indomani della pubblicazione, è quello di riuscire ad organizzare una presentazione del volume proprio a Londra, entro il 2024, possibilmente nel mese di Novembre, perchè cadrebbe nella ricorrenza dei 110 anni dall’ingresso in guerra del Regno Unito. Gli Autori di La dura vita della trincea Luigi Damiano, Comandante di Stazione dell’Arma dei Carabinieri (già autore in precedenza dei volumi “1915-1918. Aneddoti, scritti ed immagini dal fronte” e “1914-1918. Un mondo in subbuglio. Curiosità, Orrori e Idiozie nella Grande Guerra”). Pilota civile e paracadutista civile con licenza di paracadutismo con tecnica di caduta libera (e partecipazione a manifestazioni di specialità quali l’apertura per la pattuglia acrobatica delle Frecce Tricolore). Elisa Damiano, psicologa clinica e consulente educativa e scolastica, abilitata al servizio di psicologia in farmacia. Specialista in psicoterapia psicoanalitica dell’infanzia e dell’adolescenza, pratica sia in Italia che all’estero (a livello internazionale e intercontinentale). Eleonora Damiano, insegnante di canto e musicoterapeuta, vocal coach, cantante di formazione classica appassionata di rock e metal. Presta la propria voce a diversi progetti power e symphonic metal. ... Continua a leggere su Read the full article
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CURIOSITA'
CURIOSITA’
I 2 grandi scrittori britannici Aldous Huxley e Clive Staples Lewis hanno in comune, oltre alla straordinaria carriera letteraria, un giorno particolare: entrambi, infatti, morirono il 22 novembre 1963. La loro dipartita, tuttavia, passò praticamente inosservata al resto del mondo poichè quel giorno il pianeta intero pianse la scomparsa del presidente americano John Fitzgerald Kennedy,…
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Storia delle nostre Pagine. Pagine della nostra storia. (14 luglio 2014)
"Paperino e il Fantasma di Golden City", Arnoldo Mondadori Editore, prima edizione gennaio 1977. Adesso lo chiameremmo libro pop-up. Ma questo non era un semplice pop-up, c'era scritto chiaramente in copertina: "un bilibro animato". Un bilibro animato è un libro pop-up che, una volta che si è arrivati in fondo, si ruota di 180° e continua la storia nel retro delle pagine che avete appena letto. Una cosa fighissima. Così mi pareva nei miei tre anni questo ritrovato di ingegneria narrativa per bambini. Infatti ne avevo due, di bilibri animati, perché i miei avevano intuito il loro potenziale attrattivo. L'altro però non me lo cagavo di striscio, perché nel titolo non si parlava di fantasmi ma di tesori sommersi. E poi c'era Topolino che in quel periodo, niente, non c'era verso di farmelo piacere. Se qualcuno volesse rubarmi l'anima dovrebbe portarmi via questo libro (non dite che non vi voglio bene, creature del male, vi consegno il mio segreto così, sul vassojo dell'aperitivo). Dentro queste pagine c'è tutto. C'è soprattutto la voce di mia nonna, che ogni sera mi accompagnava davanti alla libreria, mi faceva scegliere tre libri (uno era sempre Il Fantasma di Golden City) e me li leggeva per farmi addormentare. Io a tre anni sapevo leggere già da sola e quando la nonna andava via lo facevo anche per i fatti miei. Ma vuoi mettere il piacere di qualcuno che legge una storia per te? Io mi farei leggere le storie a letto anche adesso e qualche volta lo faccio pure. Il Fantasma di Golden City era sempre in finale (il meglio per ultimo, è sempre stata la mia filosofia). Mia nonna leggeva il titolo, diceva Golden Citì, io ridevo, le dicevo "noooo, non si dice così!" e poi recitavo il testo a memoria insieme a lei che sfogliava le pagine, muovevo tutti gli sportelli e le levette nascoste, facevo uscire il fantasma e mi divertivo come una pazza. Non era una storia paurosissima, c'era una vecchia miniera comprata da Zio Paperone (eh), un vecchio albergo vicino alla miniera, gestito da Nonna Papera che però si chiamava Nonna Mallarda e un fantasma che spaventava tutti. Alla fine si scopriva che il fantasma era un tizio in carne ed ossa in cerca di facili ricchezze e dopo un rutilante inseguimento su un carrello ferroviario, di quelli che esistono solo in America, finiva tutto a tarallucci e vino. Ma dietro quei misteri paperi da due cent si nascondeva il seme di tutto quello che sarebbe arrivato dopo. Prima di tutto il senso della morte, che solo una manciata di anni più tardi mi avrebbe portato via quella voce e mi avrebbe lasciato una casa piena di fantasmi, ma senza lenzuolo. E poi una libreria da esplorare da sola, dove avrei trovato misteri della camera chiusa e racconti per le ore piccole, fantasmi veri e imbrogli da baraccone. La conferma che le storie, quelle belle, non nascondono quasi mai una soluzione rassicurante. Quello che cercavo io. Quella libreria, negli anni, avrei contribuito a riempirla di libri gotici, romanzi di King, libri di M.R.James, Bradbury, Le Fanu, Du Maurier, Hodgson, Dahl, scrittori britannici, americani, italiani, decine di voci e di racconti tutti appesi allo stesso filo che continuo ad arrotolare in un gomitolo che ormai è diventato imponente. Il filo sottile e solleticante della paura e del mistero. Che parte da quel lazo (in vero filo bianco!) che nella penultima pagina di questo libro viene lanciato per catturare il fantasma fuggitivo sul suo sgangherato carrello ferroviario...
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BLOODY SUNDAY. LE REAZIONI AI COMMENTI DI BORIS JOHNSON
BLOODY SUNDAY. LE REAZIONI AI COMMENTI DI BORIS JOHNSON
Le reazioni di rabbia della gente di Derry e di altre parti dell’Irlanda ai commenti di alcuni politici britannici alla notizia che 4 soldati britannici responsabili della morte di 13 persone alla Bloody Sunday potrebbero essere accusati di omicidio
Il Derry Journalha raccolto una serie di testimonianze di politici, scrittori, personaggi noti, gente comune e di un ex ufficiale della polizia,…
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[Recensione] Slam - Tutto per una ragazza, di Andrea Molaioli : un salto negli imprevisti della vita
[Recensione] Slam – Tutto per una ragazza, di Andrea Molaioli : un salto negli imprevisti della vita
Nick Hornby é tra gli scrittori britannici più amati, alcuni dei suoi romanzi come “Alta fedeltà” e “About a boy” hanno trovato una nuova vita sul grande schermo, e per la prima volta un regista italiano Andrea Molaioli si cimenta con l’adattamento di una sua storia “Tutto per una ragazza”. Da Londra la storia si sposta a Roma, con ulteriori modifiche per adattare la narrazione al pubblico…
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#Andrea Molaioli#Indigo Film#Jasmine Trinca#Luca Marinelli#Ludovico Tersigni#Rai Cinema#Slam - Tutto per una Ragazza#Torino Film Festival#Universal Pictures Italia
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“Nessuno è inutile in questo mondo se è capace di alleggerire i pesi di un altro uomo.”
Il #9giugno 1870 moriva Charles Dickens, uno degli scrittori britannici più importanti di tutti i tempi, padre del romanzo sociale.
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La moglie di George Orwell voleva che facesse sesso con una ex due volte l’anno: lo rivela una lettera Di Giovanni Macchi (...) Come riportato dal Times, infatti, una serie di circa trenta lettere è stata scoperta e acquistata dal figlio adottivo di Orwell, Richard Horatio Blair, che ha deciso di donarle a un archivio di Londra. George Orwell, autore di 1984 e La fattoria degli animali, è uno dei maggiori scrittori britannici del ventesimo secolo. Le lettere recentemente scoperte contengono uno scambio epistolare tra lo scrittore e Brenda Salkeld, con cui lo scrittore aveva avuto una relazione sentimentale. Orwell – è emerso – scrisse a Brenda il giorno successivo al suo primo matrimonio, contratto nel 1936 con Eileen O’Shaughness. In una delle lettere inviate alla sua vecchia fiamma, Orwell le propone di incontrarsi due volte l’anno per avere rapporti sessuali, aggiungendo che la moglie comprende i suoi bisogni e che approva il fatto che il marito vada a letto con lei. “Vuole che io venga a letto con te un paio di volte l’anno, giusto per mantenermi felice”, si legge nella lettera, che è stata scritta circa quattro anni dopo il matrimonio con Eileen. Lo scrittore continuò a scrivere a Brenda Salkeld fino al 1949 (ben dopo la fine del matrimonio con Eileen, morta nel 1945) e nelle lettere sviscerava per lei le proprie idee. Nelle missive precedenti, Orwell rivelava alla donna i propri sentimenti. Le lettere erano molto personali e suggerivano che i due avessero avuto sporadicamente “contatti fisici”, come ha spiegato Richard Horatio Blair. Orwell inviò un’ultima lettera a Salkeld a settembre 1949, annunciandole il suo secondo matrimonio con Sonia Brownell. Lo scrittore morì poche settimane dopo le sue seconde nozze, a gennaio del 1950.
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