#rompere il ghiaccio
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inadeguata · 3 months ago
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ti ho rivisto, ma tu non hai visto me.
ti ho scritto un messaggio per rompere il ghiaccio insultando la t shirt che avevi, che non mi è mai piaciuta, ma non hai risposto.
gli amici mi dicono che sei ancora innamorato di me e che lo sarai per sempre e che con lei non durerà,
ieri ti ho visto e volevo salutarti, ma anche se mi fossi sbracciata non mi avresti visto, potevo urlare ma la voce non è uscita.
ieri ti ho visto ed è stato come lasciarti andare una seconda volta, non ho fatto niente per farti guardare verso di me e tu hai continuato a guardare altrove
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scogito · 4 months ago
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Care donne,
che avete abituato gli uomini a non fare niente, a fare il primo passo voi, a rompere il ghiaccio voi, a incoraggiarli voi, a corteggiarli voi, a rassicurarli voi.
Poi vi trovate davanti bimbi minkia di 30 anni incapaci anche di dirvi ciao e restate male perché non sono temerari e coraggiosi!
Poi incontrate belle statuine convinte che "corteggiare" sia lanciarvi l'occhiata e mettersi in mostra, e vi lagnate perché sono indecifrabili e sfuggenti!
Poi avete a che fare con un vostro alter ego che vi batte pure in emotività, e vi disturba che sia instabile e in difesa!
Li avete creati voi nel momento in cui gli avete dato la pappa in bocca, nel momento in cui lui non si avvicinava e allora giù a inseguirlo! Nel momento in cui li avete trattati come bambini, e tutte le volte in cui il "femminismo" è diventato "prendere il posto loro".
E questa cosa vale molto per le nuove generazioni, perché si comportano già così ragazze di 12-13 anni.
Continuate, mi raccomando.
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vittimenonlosiamotutti · 2 months ago
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C'é qualcuno che legge dei post scritti anche bene, interessanti, arguti...ma quanto lo scrittore poi gli scrive in chat, gli cascano le palle.
Ma non hanno capito che è un altro registro? Quando scrivi un pensiero ti ci metti lí, lo curi, lo rileggi, lo rendi interessante da assimilare.
Quando sei in chat la butti anche in caciara. O fai l'ebete per rompere il ghiaccio, dici due cagate, oppure fai un complimento, attacchi bottone. Non puoi esprimerti da professorone come hai fatto nel post, dio che palle che saresti!
Eppure sta cosa ovvia in tanti non la capiscono. Viviamo in un mondo di stereotipi, e vediamo gli altri come stereotipi, piatti, monodimensionali. Non riusciamo piú a comprendere che uno può essere sia profondo sia far l'idiota? Che si possono fare riflessioni amorose, e amare le tette? Che si puó fare una battuta, e amare filosofia? Tempi. Esistono i tempi. Un tempo per ridere, uno per piangere, uno per godere, uno per scherzare, uno per giocare, uno per essere seri. Non è che siamo decerebrati, chi la pensa cosí lo è per primo! Chi pensa di riuscire ad inquadrare una persona con due parole, è la prima ad essere insulsa. Eddai su.
Siamo complessi, siamo un mondo che teniamo troppo spesso nascosto. Ma non siamo scemi, siamo "molteplici". Siamo tante cose. Siamo infiniti!
...cazzo! tette pipí popò!
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mucillo · 6 months ago
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"Un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi.”
(Franz Kafka)
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melanchonica · 1 year ago
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provano a rompere il ghiaccio con te, non sanno che tu sei l’Antartide.
oggi è il tuo compleanno, e stai diventando grande così velocemente da spaventarmi. ad ogni compleanno sembra così che tu mi raggiunga, e invece ho paura ad ognuno di loro tu vada solo un po’ più via da me. è che tu non lo sai quanto bene ti voglio, quello che sento quando ti guardo. e forse hai ragione a non saperlo, perché non te l’ho detto mai. sei la piccola grande ancora che mi ha tenuto qui, che mi ha tirato di nuovo a terra quando cercavo di volare verso l’alto. sei la ragione per cui sono qui. e mentre stasera ti cantiamo buon compleanno, io sento la voce della nostra mamma che canta con noi, quella voce dolce, calda, che intona un tanti auguri come ogni anno. chissà com’è contenta a guardarci. e proprio oggi ho così paura di andarmene troppo presto anche io, proprio come ha fatto lei, che ho cosi tante emozioni da non sapere dove metterle. e se quella pallina sul seno fosse quello che penso? e se fosse proprio quello? non è possibile, non può succedere, vero? io non posso andarmene adesso. neanche tra un anno, neanche tra due. voglio cantarti sempre tanti auguri. oggi, solo oggi, vorrei la vita fosse più dolce di così. buon compleanno sorellina mia, sei l’amore che non ho mai dichiarato.
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bicheco · 8 months ago
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Seriamente, io quando faccio l'amore con il mio uomo penso a te e ai tuoi post. Secondo te questo succede perché il mio uomo non è abbastanza bravo o è perché sei più bravo tu? (a scrivere, di persona non ti conosco, non ancora).
Se sì, tu per me saresti disposto a trasferirti in Groenlandia per conoscermi meglio?
💛🧡❤️❤️‍🔥
In Groenlandia, dove ho vissuto per dieci anni, non sono mai riuscito a conoscere nessuna ragazza perché mi risultava troppo difficile rompere il ghiaccio.
E dopo questa battuta dovresti essere tu a raggiungermi qui dove vivo: all'equatore, ma equatore centro, non periferia.
E prima di accoppiarci ci faremo una promessa solenne: durante il sesso penseremo a qualcosa di lontano e di neutrale. Tipo la Svizzera.
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umi-no-onnanoko · 2 years ago
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"Provan a rompere il ghiaccio con te [...], non sanno che tu sei l'Antartide."
-Pinguini Tattici Nucleari (Antartide)
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zheniakirsikkalove · 2 years ago
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02.03.2023 - Alcatraz, Milan, Italy
photos by Piero Paravidino (Metal Hammer Italy)
+ interview 23.02.2023
Ville Valo – Il ritorno del principe malinconico.
Abbiamo avuto l’occasione di raggiungere Ville Valo telefonicamente a qualche giorno dall’uscita del suo primo, nuovo, lavoro solista ‘Neon Noir’ (trovate la recensione qui) e dopo un breve scambio di battute per rompere il ghiaccio siamo entrati nel vivo dell’intervista…
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condividiamolavita · 1 year ago
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frasi per rompere il ghiaccio
"come sta il pitone?"
(dialogo con fratello di M che ha la passione per questi simpatici animaletti e simili)
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magicnightfall · 2 years ago
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A SOLO CELLO OUTSIDE A CHORUS
Una disquisizione sull’introversione alla luce delle festività natalizie appena passate, di una vita di risentimento nei confronti della tirannide estroversa, e di Mercoledì Addams.
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Quanto pesa un introverso? Non abbastanza da rompere il ghiaccio.
Oggi è il 2 gennaio e si celebra la giornata mondiale degli introversi. La data non è casuale: ci si è appena lasciati alle spalle i momenti di socialità forzata delle festività natalizie e l’evento più nefasto e inutile tra tutti gli eventi nefasti e inutili nella storia del mondo: l’ultimo dell’anno. Al tg si parla sempre delle vittime dei festeggiamenti per il capodanno, in genere sono quelli che hanno perso un occhio, un orecchio o dita in numero variabile, ma mai delle vere vittime di questa insensata ricorrenza — in realtà di tutte le ricorrenze, a partire dal proprio compleanno: gli introversi.
Perché?
Perché gli introversi sono una categoria di persone negletta, incompresa e oppressa, ancor più dei vegani a un barbecue.
Negletta, poiché in preda al delirio festivo tutti si dimenticano delle nostre antitetiche esigenze di tranquillità;
Incompresa, poiché la nostra necessità di starcene da soli rimane inintelligibile alla maggior parte delle persone;
Oppressa, poiché il nostro diritto alla solitudine è costantemente violato, tra cene, cenoni, aperitivi, compleanni, matrimoni, battesimi, comunioni, cresime, pizzate, raduni aziendali con colleghi che magari per quaranta ore a settimana sogni di tirar sotto con la macchina. Ecco, tutti eventi di cui faremmo volentieri a meno.
Il problema è che il mondo è dominato dalla lobby degli estroversi, i quali, esistendo in percentuale maggiore nella popolazione, prevaricano — tanto per numero quanto per energia — sulla riservata minoranza. Ed è ora di dire basta. Sarebbe da salire sulle barricate e rivendicare i nostri diritti umani e costituzionali, se valesse la pena uscire di casa e rinunciare a vedere un film.
Gli estro, per gli intro, costituiscono il loro unico, e letale, predatore. Se ne stanno lì, in agguato nell’ombra dei gruppi Whatsapp e all’improvviso ci aggrediscono con gli inviti più disparati e le proposte più improbabili: il nuovo ristorante che fa la pizza solo con le farine macinate nei giorni dispari dai monaci cistercensi di Scurcola Marsicana, che devono assolutamente provare; il vernissage dell’artista polacco minimalista morto suicida, quadri venduti due; la conferenza del filosofo che ha teorizzato l’essenza ontologica del fritto misto. E, a seconda del periodo dell’anno in cui ci si trova, con la precisione di un pesce arciere se ne escono con la più perniciosa e molesta delle domande nella storia dell’umanità: “Cosa facciamo a capodanno?” e “Cosa facciamo a ferragosto?”.
In effetti, si può tranquillamente affermare che introversi ed estroversi sono nemici per natura, come gli Inglesi e gli Scozzesi, o i Gallesi e gli Scozzesi, o i Giapponesi e gli Scozzesi o gli Scozzesi e altri Scozzesi! Dannati scozzesi, hanno distrutto la Scozia!
Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte, o se non vengo per niente?
È facile riconoscere un introverso a una festa: è quello che è rimasto a casa.
Seee, magari. Il più delle volte è quello che sperava di riuscire a rimanere a casa.
Esistono due motivi per cui l’introverso si convince, non senza strepiti e lamentele, ad abbandonare lo stato di quiete della materia per andare alla festa, alla cena, all’aperitivo: 1) senso di colpa (“Sono stati carini ad invitarmi, in fin dei conti mi dispiace dargli buca”); 2) un'effettiva esigenza di socialità. E non necessariamente la prima ragione è un motore più performante della seconda, solo ricorre statisticamente più spesso.
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E non dico che ci va e se ne pente (io, per esempio, non lo faccio), perché anche l’introverso è felice di passare del tempo con gli amici (sia messo a verbale!): soltanto, esaurito il momento conviviale, l’introverso deve (come un pesce deve stare nell’acqua) tornare a rintanarsi nel suo bozzolo per ricaricare le batterie mentali. Di solito anche per lunghi periodi di tempo, il problema è che per introversi ed estroversi il tempo scorre diversamente, come in Interstellar, ecco perché il successivo invito arriva sempre “troppo presto” per gli uni e “troppo tardi” per gli altri. La compagnia della sua ristretta e selezionata cerchia, a cui ovviamente vuol bene, all’introverso non è sgradevole (si verbalizzi anche questo), gli è soltanto — nel lungo periodo —psicologicamente dispendiosa.
The most interesting plants grow in the shades.
Che sia per leggere un libro, guardare un film o una serie, giocare ai videogiochi, fare una passeggiata nella natura o anche solo starsene immobile a contemplare gli oscuri recessi dell’animo umano, la solitudine è un presupposto fondamentale del benessere psico-fisico della persona introversa, è qualcosa di fertile e nutriente. Perché se l’estroverso trae la sua energia dallo stare con gli altri, l’introverso al contrario la trae proprio dall’isolamento. Il che non significa — checché ne dica il linguaggio violento e offensivo dell’egemonia estroversa — essere disadattati, completamente asociali, scorbutici, privi di autostima e di sicurezza, incapaci di rapportarsi con gli altri o di stringere relazioni significative.
La lobby estroversa, con la sua visione compagnona e schiamazzante della vita, ha plasmato il mondo a sua immagine e somiglianza, un mondo in cui gli espansivi vengono incentivati e i riservati additati, fin dalla scuola. Com’è che nel linguaggio dei media il serial killer è sempre un “lupo solitario” e la vittima il pilastro portante della comunità? Mo’ mi volete dire che non è mai esistito un serial killer estroverso? Esigo di parlare col mio criminologo.
Ciò si riflette anche nell’arte: i film e le serie sono pieni di protagonisti che frequentano i più variegati ritrovi sociali, che escono e fraternizzano tutto il tempo, in cui la loro casa è un porto di mare di cui tutti hanno le chiavi (i danni che ha fatto Friends in questo senso sono incalcolabili); il personaggio timido invece è sempre quello sfigato che deve superare il suo “problema” e imparare a essere espansivo, perché la propaganda estroversa votata al dominio mondiale (e sicuramente collusa con la lobby dei baristi), cerca da sempre di convincere le persone che la vera felicità risieda nella socialità. Un sofisma bell’e buono.
Great job, everyone. The reception will be held in each of our individual houses, alone.
Andando a ritroso dalla recente serie Netflix Wednesday, devo arrivare fino a Parks & Recreation (terminata nel 2015), per trovare un personaggio introverso appagato e felice, che non sente il bisogno di cambiare, né cercano di convincerlo a doverlo fare, perché essere introversi non equivale a essere difettosi.
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Prima di Mercoledì (che non sostituisce ma si aggiunge), Ron Swanson è stato il mio faro, il mio mentore: tutto ciò che so sul farmi i fatti miei l’ho imparato da lui.
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I do like stabbing. The social part, not so much.
Nel gustoso libro Introfada di Hamja Ahsan (ADD Editore, 2019, trad. Piernicola D’Ortona), Mercoledì Addams è inserita, insieme a Rosa Parks, Emily Dickinson, Blaise Pascal e Lisa Simpson, tra gli “antesignani dei Militanti Introversi che sono ormai icone della resistenza”.
Mercoledì è un personaggio sovversivo (Ahsan direbbe “introvversivo”): ribalta, nel suo micromondo, l’ordine costituito dalla lobby estroversa; rende nota fin da subito la sua esigenza di solitudine e fa sì che gli altri si adeguino, anziché viceversa. Il che è abbastanza rivoluzionario. Il suo arco di trasformazione (che culmina nell’abbraccio a Enid nel season finale, dopo essersene sempre sottratta) nulla ha a che vedere con la sua introversione intesa come tratto (sano) della personalità (che, appunto, non va cambiato perché non è un difetto), quanto piuttosto con la sua ostinazione a voler tenere fuori gli altri dalla propria vita, con la convinzione di bastare a se stessa in tutto e per tutto, e che le emozioni equivalgano a debolezza.
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Questo tipo di solitudine, infatti, va ben oltre il legittimo desiderio di svicolare dai raduni sociali e lo stare bene per conto proprio: quando Enid la costringe a confrontarcisi, ecco che Mercoledì capisce per la prima volta che si tratta di due situazioni diverse, di cui una dannosa, perfino per lei.
You want to be alone, Wednesday? Be alone.
È innegabile, infatti, che a Mercoledì, come a tutti gli introversi, piaccia stare da sola — di più: abbia bisogno di stare da sola. Quello che invece non le piace, e prima di conoscere Enid non aveva mai avuto modo di rendersene conto, è il sentirsi sola. Che è tutta un’altra storia. Di base, è la differenza che corre tra “alone” e “lonely”. Il primo termine rappresenta la condizione, neutra (positiva per l’introverso), di trovarsi da soli senza gente intorno, ma nel momento in cui quella neutralità si corrompe, ecco allora che si è “lonely”, parola che descrive il sentimento negativo di infelicità e sofferenza che si prova a causa della mancanza, nella propria vita, di amicizie o persone importanti.
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Listen, people like me and you, we’re different. We’re original thinkers, intrepid outliers in this vast cesspool of adolescence. We don’t need these inane rites of passage to validate who we are.
Per quanto abbia stretto legami significativi (Enid ed Eugene, così come Mano, e a modo suo è protettiva verso il fratello Pugsley), per quanto partecipi ad attività di gruppo (la Coppa Poe, sebbene mossa unicamente dal desiderio di umiliare Bianca, la studentessa che si stava delineando come sua nemesi, e non da quello di socializzazione; il Rave’n, anche se solo a seguito dell’inganno di Mano), per quanto interagisca con una varietà di persone e figure istituzionali (gli altri studenti, la preside, i professori, il sindaco, lo sceriffo, la psicologa) e per quanto abbia perfino partecipato al ballo studentesco, in ogni caso i bisogni di Mercoledì e la sua visione del mondo sono quelli di una persona introversa, e lei riesce sempre a essere fedele a se stessa.
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In che modo? Innanzitutto, come a suo tempo Ron Swanson, con l’essere trasparente e onesta (verso lei e verso gli altri) al riguardo. Già per questo, Mercoledì dovrebbe essere assunta a guru spirituale di tutti gli introversi del mondo che si lasciano aggrovigliare le viscere dal senso di colpa derivante unicamente dall’idea di inadeguatezza di essere se stessi inculcata dalla lobby estroversa.
Se le viene chiesto di partecipare a qualche attività sociale, Mercoledì non accampa scuse farlocche adducendo altri precedenti, ma fantomatici, impegni improrogabili. Questo perché Mercoledì sa che il suo bisogno di restare per conto suo a fare i fatti suoi, qualsiasi essi siano, è dignitoso tanto quanto il bisogno dell'estroverso di stare in compagnia. Tanto quanto. Non di più, è ovvio, ma certamente neanche di meno.
Di solito, l’introverso ha difficoltà a dire no secco quando quel no secco origina dal suo bisogno di solitudine, e per questo si inventa giustificazioni che l’estroverso possa comprendere (qualcosa per cui a parti invertite anche lui si comporterebbe alla stessa maniera): "No, ho appuntamento in banca"; "No, devo studiare che fra tre giorni ho l'esame"; "No, ho già una cena"; "No, mi hanno cambiato il turno". Teme, l'introverso, che se dicesse di voler restare a casa per conto suo a fare le cose sue — leggere, vedere una serie o, nel caso mio e anche di Mercoledì — a scrivere, la verità verrebbe percepita dall’estroverso che ha esteso l’invito come una mancanza di rispetto (dopotutto, pensa l'estroverso, si tratta di attività che saranno sempre lì ad attenderlo, le può fare un'altra volta) (è ovvio che siano tutte cose che possono essere fatte un’altra volta, il punto è un altro: che l’introverso aveva necessità di farle proprio in quel momento). E l’introverso, che non vuole ferire l’altro, delegittima il suo bisogno di solitudine e ingiustamente lo fa recedere dinnanzi a quello di socialità degli altri, che la società stessa considera e impone come preminente.
Non voleva mancare di rispetto, ma alla fine — inventando scuse e conseguentemente togliendo dignità ai suoi bisogni — ne manca a se stesso.
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Perché di base, la paura dell’introverso è la possibilità che l’alone si corrompa in lonely, vedere gli amici fare i bagagli, e ritrovarsi come Mercoledì in posizione fetale a rimuginare su quanto quella solitudine lì faccia, in effetti, molto molto schifo.
You are the reason I understand how imperative it is that I never lose sight of myself.
Come ogni introverso che sia mai esistito e che aveva stabilito dei piani per fare le cose sue e poi se li è visti stravolgere dalla tirannide della socialità, anche Mercoledì, incastrata col Rave’n, deve rinunciare ad appostarsi nella grotta per beccare il mostro a cui sta dando la caccia. Ma la sequenza più memorabile di tutta la serie (ormai il computo del tempo si divide in prima e dopo il suo ballo sulle note di Goo Goo Muck dei Cramps) è anche un proclama potentissimo di individualità espresso nella cornice di assoluto conformismo delineata dall’ordine costituito dell’estroversonormatività.
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Il dress code prevede bianco, lei è vestita di nero; il suo ballo è strano, originale e dissonante rispetto al solito dimenarsi (come se ti scappasse la pipì e il bagno è occupato) di tutti gli altri. La personalità estroversa, infatti, tende maggiormente a uniformarsi al gruppo e a adattarsi alle circostanze rispetto a quella introversa, che invece, distanziandosi dal mondo esterno e ripiegandosi su se stessa, è molto più in sintonia con la propria singolarità.
Anytime I grow nauseous at the sight of a rainbow or hear a pop song that makes my ears bleed, I’ll think of you.
Ora, come Ron Swanson ha a che fare con Leslie Knope, un concentrato di ottimismo, iniziative, stimoli e attività di gruppo, così Mercoledì ha Enid Sinclair, che di Leslie è la versione licantropa.
Mercoledì ed Enid, nuvola di tempesta una e raggio di sole l’altra, non potrebbero essere più antitetiche: sempre in nero la prima, coloratissima la seconda; l’una con una visione assolutamente cinica e disillusa del mondo e uno spiccato gusto per il macabro, l’altra ottimista, spensierata ed euforica. E, ovviamente, Mercoledì campionessa di introversione come Enid lo è di estroversione.
Because we work. We shouldn’t, but we do. It’s like some sort of weird, friendship anomaly.
E però funzionano. Funzionano perché entrambe comprendono le loro rispettive esigenze.
Enid rispetta il desiderio di Mercoledì di non essere abbracciata; non questiona la risposta di Mercoledì di voler passare il tempo a scrivere anziché andare alla pizzata (se invece avesse detto “Eddai, su, scriverai un’altra volta” sarebbe finita sul libro nero della compagna di stanza per direttissima, e a ragione); al tifo indiavolato sugli spalti le propone l’alternativa più coerente del “lanciare occhiatacce angoscianti”; la sciarpa-cappuccio che le regala è nera e non rosa come la sua; quando le estende l’invito delle altre del dormitorio a passare un po’ di tempo insieme alla luce della vittoria della Coppa Poe, non l’assilla per farla venire e le lascia la facoltà di decidere in autonomia in base a ciò che è meglio per lei. L’abbraccio ricambiato del season finale è espressione della volontà non coartata di Mercoledì, e nasce proprio, tra le altre cose, anche da questo atteggiamento di non imposizione.
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Dal canto suo, Mercoledì sposta la bacheca con le foto dei delitti del mostro dalla loro camera al capanno delle api, perché Enid si sentiva a disagio a vedere arti smembrati e organi sparsi; quando Enid si ritrasferisce nella loro stanza dopo il litigio, Mercoledì non le fa usare il nastro adesivo per dividere a metà le loro rispettive zone, così rendendo meno netti i confini tra la socialità dell’amica e la sua riservatezza; all’invito per i festeggiamenti non le spara un no secco ma un conciliante “Ci penserò” (e vi assicuro che è roba grossa).
E quando Mercoledì ne ricambia l’abbraccio, quel gesto contemporaneamente piccolo ed enorme al tempo stesso (consente, ma non ricambia, nemmeno quelli di Pugsley — e Morticia stessa, conoscendo e rispettando i confini posti dalla figlia, si limita a sfiorarla appena) è la sintesi di un processo dialettico innescato dalla loro prima scena nell’episodio pilota: così come Enid ha sempre rinunciato al proprio bisogno di contatto fisico per rispettare l’opposta esigenza di Mercoledì, così Mercoledì rinuncia al proprio bisogno di mantenere una materiale distanza tra le persone per soddisfare la necessità emotiva dell’altra.
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Nella serie, Mercoledì è costantemente spinta al di fuori della sua comfort zone. Tuttavia Enid, nei limiti di quanto le è possibile, cerca sempre di fare in modo che resti a suo agio in una situazione che, di base, per Mercoledì è di disagio.
Being your friend should come with a warning label.
Maneggiare un introverso è complicato: siamo proiettati all’interno, siamo riflessivi, preferiamo la comunicazione scritta a quella parlata (io, giuro, non ho mai inviato un vocale in vita mia) perché ci consente una maggiore ponderazione, e abbiamo bisogno dei nostri tempi per processare le istanze di socialità che vengono da fuori. A volte acconsentiamo, altre volte no (con tutti i dubbi, i dilemmi e i tormenti che ne conseguono: sia che diciamo la verità — capiranno le nostre esigenze?, sia che inventiamo una balla — e se ci sgamano?, è una situazione in cui davvero non si vince). E quello che spesso è percepito come egoismo, in realtà è solo autoconservazione.
Il modo migliore per trattare un estroverso è di non stargli addosso e di lasciargli spazio di manovra: perché ancor prima che l'estroverso finisca di formulare una proposta social, anche fosse un’apparentemente innocua serata di giochi da tavolo (che innocua non è mai: comporta comunque un notevole dispendio di energie mentali e forse proprio in quel momento l'introverso sta viaggiando con la spia della riserva accesa), il nostro cervello avrà già elaborato almeno otto diversi piani di fuga che neanche Matteo Messina Denaro, e scuse che neanche Berlusconi quando si avvicina la data di un’udienza in tribunale. Poi, oh, se poco poco Jenna Ortega per questo ruolo vince davvero il Golden Globe e mi dicono di andare in piazza con le vuvuzelas a festeggiare come un molesto (ed estroverso, direi molesto perché estroverso) tifoso del pallone qualsiasi, allora il tempo di mettermi le scarpe e arrivo, ma questo è proprio un caso limite.
Subito dopo i piani di fuga, il cervello dell’introverso elaborerà tutti i pro (in genere pochi, ma per onestà intellettuale li valuta comunque) e i contro (di solito molti di più) che quell’occasione di socialità gli comporterebbe, e infine gli passeranno davanti fracchi di scenari apocalittici innescati dall’eventualità di un suo “no”: dall’incrinatura irrimediabile dell’amicizia fino a una possibile strafexpedition di un commando armato (ma moriremmo contenti di aver dimostrato che esistono i sociopatici anche tra le file degli estroversi, checché ne dicano i giornalisti).
Ora, va detto che il più delle volte questi scenari tragici sono solo nella nostra testa, ma l’introverso, per la sua natura rimuginatoria tendente a ingigantire ogni questione, quasi sempre difetta degli strumenti per comprenderlo. L’unica sua speranza di campare abbastanza sereno è di essere fortunato abbastanza da avere delle Enid tra le sue amicizie.
Io, per fortuna, ce le ho. E in questo mondo estroversonormativo poco non è.
E intanto che mi godo la meritata calma dopo la tempesta natalizia, sperando che duri almeno fino a Pasqua ferragosto Natale prossimo, introversi di tutto il mondo, uniamoci!
Ognuno a casa sua.
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scrittricesenzatalento · 1 year ago
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15 giugno 2023
È da mesi che parliamo in una chat di gruppo eppure stasera dal nulla mi hai detto "scrivimi dopo" e io orgogliosa come sono ti ho detto di farlo tu se ci tenevi tanto.
Non avevo aspettative, so solo che i minuti passano e un pochino ci inizio a sperare; poi vibra il telefono, leggo il tuo nome e riesco quasi a sentire una vocina nella mia testa che mi dice che non finirà bene. Probabilmente ha ragione ma solo per stasera non la voglio ascoltare.
Parliamo del più e del meno, d'altronde non ci conosciamo nemmeno, sono più che altro battute per rompere il ghiaccio ma la sensazione che non riesco ad ignorare è quella di aver appena dato inizio a qualcosa che non mi farà dormire la notte. Questa sensazione la sento dal primo istante, quasi come se qualcuno volesse dirmi che questo è solo l'incipit di lunghe giornate al telefono tra parole e pensieri disordinati.
Per stasera la vocina non la voglio ascoltare.
Per stasera il pensiero di svegliarmi domani con un buongiorno nuovo mi fa sorridere.
Per stasera mi va bene così.
-@scrittricesenzatalento
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voidcore-italia · 2 years ago
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in your opinion, what color is objectively the best one?
(secondo te, quale colore è oggettivamente il migliore?)
. il colore migliore? ottima domanda! bisogna pulire la frutta prima di mangiarla. è importante lavare bene e accuratamente la frutta, se si mangia con la buccia. se la buccia non si mangia non c'è bisogno di lavarla accuratamente. se la frutta non si mangia non c'è bisogno di lavarla affatto. se la frutta è brutta si butta tutta.
. il colore migliore? ottima domanda! mi ha stretto la mano una volta? non lo so. e poi mi ha chiesto di fare qualcosa, così ho iniziato a disegnare frattali (figure a dimensione frazionaria.) non lo so. ho dovuto cercare la dimensione di quel frattale che parte da un segmento per poi dissolversi in una polvere infinitamente piccola, perché non la sapevo. è stata una bella serata.
. il colore migliore? ottima domanda! almeno tre volte nella mia vita, forse di più. due volte cadendo dall'altalena al parco giochi! prima succedeva più spesso, ma è da un po' che non vado al parco giochi perché ho sempre impegni e non ce n'è tanti qua vicino. l'altra volta è stata mentre stavo correndo troppo velocemente per non perdere un autobus (alla fine l'ho perso), morale della favola non indossare i sandali quando vai di fretta.
. il colore migliore? ottima domanda! sinceramente non l'ho trovato troppo interessante? cioè l'ho guardato più che altro perchè ne parlavano tutti ed era un modo per rompere il ghiaccio, ma in sé non mi è piaciuto particolarmente. non dico che è un brutto film ma non fa per me. alcuni personaggi erano interessanti però, e la parte con gli orologi era carina.
. il colore migliore? ottima domanda! praticamente il personaggio principale era una fata magica che volava sulle nuvole, e aveva sempre una bisaccia di polvere magica, e le nuvole erano tutte rosa e sapevano di zucchero filato. poi non l'ho mai scritta però mi piaceva immaginare come sarebbe stato stare lontano dalla terra, oltre le nuvole!
. il colore migliore? ottima domanda! nel 2004, prima che si diffondessero gli smartphone a livello di massa. a quei tempi c'era skype con tutte quelle emoji animate carine, io le adoro, specie quella con gli occhiali scuri e quella che balla!! e poi il bibup delle chiamate di skype è troppo carino.
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michiaman0mrorange · 2 years ago
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per rompere il ghiaccio
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fabianocolucci · 7 days ago
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Capitolo 6: Nomi
Le fronde sopra di loro si piegavano dolcemente al soffio di un vento leggero, come in un sussurro che accompagnava la conversazione tra Sergio e Aberfa. Seduti all’ombra di un albero possente, lontani dal brusio della piazza e dalla chiacchierata di Talulah e Vana, i due si studiavano con curiosità, come se ciascuno rappresentasse un enigma da decifrare.
Aberfa inclinò leggermente la testa, osservandolo con un sorriso intrigato. «E così, Sergio, tu sei un mercante che proviene da terre lontane, e ti sei ritrovato a stanziarti a Folach» disse, la sua voce morbida, quasi sognante. Sergio annuì, e nei suoi occhi si riflessero brevemente immagini di città lontane e strade polverose che solo lui aveva percorso. «Esatto, Aberfa,» rispose, facendo un piccolo cenno col capo, come per confermare la sua identità. «Ho visitato i vari angoli del Continente, alcuni luoghi più e più volte, altri soltanto di sfuggita, domandandomi se li avrei mai potuti rivedere. Sono il tipo di persona a cui non piace restare per molto tempo nello stesso luogo.»
L’espressione di Aberfa divenne pensierosa, e un’ombra le attraversò gli occhi. «Questo spiega come mai io non ti conoscessi, prima di vederti far cadere quei vasi, stamane,» disse, un sorriso malizioso che ammorbidì le sue parole.
Sergio rise, uno di quei suoni profondi e brevi, quasi un abbozzo di riso che trasmetteva una sincerità impacciata. «Ammetto di essere stato sia sbadato sia sorpreso, in quel momento,» confessò, con un leggero imbarazzo che sfumava rapidamente in un tono affettuoso. «Non vedevo la mia amica da un po'.»
Aberfa lo osservò per un attimo, in silenzio, come se cercasse di leggere il significato dietro alle sue parole. Poi chiese, con un tono curioso e quasi dolce: «Ma…»
Sergio abbassò lo sguardo, e il suo volto assunse un’espressione più seria. «Vana ha avuto un ruolo importante nella mia vita,» disse, la voce che tradiva una sfumatura di affetto e gratitudine. «Ci tenevo a salutarla. Probabilmente, non sarei quello che sono adesso, senza di lei.»
Aberfa lo fissò con uno sguardo che pareva leggere a fondo ogni parola, un leggero sorriso appena accennato sulle labbra. «Avere amicizie a cui teniamo con tutto il nostro cuore è qualcosa di meraviglioso,» disse dolcemente, come se rivelasse una parte nascosta di sé. «Una delle ragioni per cui ho iniziato a guidare le persone in giro per la città è proprio perché desidero poter avere quanti più amici possibili.»
Sergio annuì, appoggiandosi contro il tronco dell’albero. «Spero che tu ci stia riuscendo, in tal caso,» disse, la sua voce più calda, quasi divertita. «Mi sembri alquanto carismatica… e curiosa.»
Aberfa incrociò le braccia, inclinando il capo verso di lui. «Lo sembro soltanto, oppure lo sono?» chiese con un sorriso che celava una sfida, gli occhi che brillavano con una luce maliziosa.
Sergio le restituì lo sguardo, un sorriso accennato che tradiva divertimento. «Tranquilla, so che il tuo era un complimento, e ti ringrazio. Sai rompere il ghiaccio proprio come rompi la tua merce.»
Aberfa scoppiò in una risata, scuotendo il capo e facendo svolazzare i capelli nella brezza. «Guarda che non si è rotto nulla!» rispose in tono scherzoso, dondolando leggermente il piede nell’erba.
Seduti sotto l'albero, Sergio e Aberfa gettarono uno sguardo verso Vana e Talulah, che chiacchieravano poco distanti, immerse in una conversazione dai toni calorosi. La ragazza sembrava sorridere in continuazione, e Vana le aveva appoggiato una mano sulla spalla, con un gesto naturale e affettuoso che tradiva un’intimità inaspettata.
Aberfa seguì la scena, le sopracciglia appena sollevate per la curiosità. Dopo un momento di silenzio, chiese, «Di cosa credi che stiano parlando loro due?»
Sergio si sfiorò il mento pensieroso, osservando i gesti e le espressioni di Vana con uno sguardo attento, quasi protettivo. «Mah…» iniziò, una parola che si lasciò sfuggire come un respiro. Sembrava esitare, come se stesse scegliendo accuratamente ogni parola. «Conoscendo Vana… direi che una ragazza come Talulah l’affascinerebbe tantissimo. Lei ha due sorelle minori, a cui tiene tantissimo. Probabilmente, una parte di lei sta legando con Talulah proprio perché vede loro due in lei.»
Aberfa lo ascoltava con attenzione, il capo leggermente inclinato, e un sorriso enigmatico le aleggiava sulle labbra. «Sai,» mormorò, «è curioso che, quando parli di Vana, le tue frasi tendano a iniziare con “ma”!»
Sergio alzò un sopracciglio, colto alla sprovvista da quell’osservazione. Si lasciò sfuggire un breve sorriso imbarazzato, allungando le gambe nell’erba. «Lascia stare, è una cosa mia,» ammise con una risata soffocata, vagamente imbarazzata. «A volte, inizio a parlare prima ancora di sapere cos’è che dirò, ritrovandomi a blaterare robe a caso.»
Aberfa gli lanciò un’occhiata divertita, gli occhi che luccicavano di un’ironia giocosa. «Non vedo l’ora di sapere di più su di te, Sergio,» disse, con una sincerità nascosta sotto il suo tono scherzoso. Sergio la guardò per un lungo momento, come per misurare quella curiosità sincera che scorgeva nei suoi occhi. «Lo stesso vale per me, Aberfa,» disse piano, come se si stesse aprendo un po’ di più, senza fretta. In quel momento, un lampo di rosso riflesso al sole attirò la sua attenzione: era un ricciolo dei capelli di Vana che brillava alla luce. Sergio scosse la testa, tornando alla conversazione. «Comunque, sarò sincero: se Talulah avesse avuto i capelli rossi, l’avrei potuta scambiare davvero per una sorella di Vana,» mormorò, con un tono pensieroso e quasi affettuoso. «Lei avrebbe potuto dirmi di avere sempre avuto tre sorelle, anziché due, e le avrei creduto.»
Aberfa ridacchiò piano. «Sembra che tu tenga anche a loro due, da come ci pensi,» disse, un’osservazione che veniva dal cuore.
Sergio abbassò lo sguardo, un’espressione tenera sul viso. «Le ho praticamente viste crescere,» rispose, la sua voce più bassa, come se stesse rivelando un segreto. «Io stesso ho fratelli e sorelle, nella mia terra, ed è sempre stato come se loro due facessero parte di quel gruppo.»
Aberfa gli rivolse uno sguardo più profondo, quasi toccata da quel lato così delicato e intimo di Sergio. Non aggiunse nulla, lasciando che il silenzio accarezzasse le parole che lui aveva appena sussurrato, come se anch’esse meritassero il loro spazio nel fruscio delle foglie e nel profumo quieto della sera. Seduti sotto il vecchio albero, loro due avevano lasciato vagare lo sguardo su Talulah e Vana, osservandone i movimenti e i cenni. La loro conversazione, però, stava prendendo una piega più personale, con Aberfa che sembrava nutrire una certa familiarità con Vana, come se ne conoscesse dettagli che andavano oltre una semplice guida.
«Non temere, Sergio. Sono sicura che Dorena e Minù stiano bene, ovunque si trovino in questo istante.»
Sergio annuì distrattamente, lasciando che il suono familiare di quei nomi gli scorresse nella mente, come le onde tranquille di un fiume. Le sue labbra si incresparono in un sorriso affettuoso, come se potesse immaginarle proprio lì, di fronte a lui, prese dai loro guai e dalle loro piccole avventure. «Me lo auguro, per il bene di quelle due. Chissà in quali guai si…» Si fermò di colpo, come se il significato di quelle parole avesse colpito una nota stonata nella sua mente.
La sua espressione cambiò, e lo sguardo che prima vagava nell’aria si fissò dritto negli occhi di Aberfa. «Come conosci i loro nomi?»
Aberfa sorrise appena, senza mostrare il minimo imbarazzo. Si limitò a inclinare leggermente il capo, guardandolo con un misto di sfida e un’ironia che brillava nei suoi occhi. «Pensi davvero che io guidi due donne in giro per la città e non comunichi con loro?» Il suo tono era leggero, quasi scherzoso, ma non lasciava dubbi sul fatto che avesse ascoltato più di quanto Sergio avesse intuito.
Sergio si ritrasse appena, sorpreso, ancora con l’eco di quella rivelazione nelle orecchie. Aberfa continuò, con una voce più bassa, avvolgente, quasi sussurrata: «So anche dirti che Talulah viene da Cryneach, su a nord. Praticamente ogni volta che apre bocca per parlare di Folach, la paragona alla sua città.» Il suo sguardo sembrava riflettere qualcosa di enigmatico, come se stesse giocando con un segreto che solo lei conosceva.
La risposta di Sergio arrivò più rapida di quanto pensasse. «Dovresti fare attenzione quando riveli qualcosa in mia presenza.»
Aberfa trattenne una risata, gli occhi che brillavano di malizia. La sua espressione sembrava calcolata per apparire misteriosa e, forse, un po’ provocante. «Vedi, io ho una buona memoria, e tendo sempre ad assimilare una nozione, quando la condividono con me.» Si chinò appena verso di lui, come per dare maggior peso a quelle parole, quasi volesse suggerire che sapeva molto di più di quanto non rivelasse.
Sergio le lanciò un’occhiata attenta, cercando di scorgere cosa ci fosse di vero dietro quella posa studiata. «Stai cercando di sembrare pericolosa e provocante?» mormorò, una nota di sfida nella voce.
Aberfa sorrise, sciogliendo quella tensione con un lampo di schietta dolcezza. «Perché hai un viso troppo grazioso e adorabile,» disse ridendo piano. «Guardarti mi fa venire voglia di accarezzare i tuoi capelli.»
Sergio si lasciò andare a una risata sincera, scuotendo il capo mentre sentiva la tensione scivolare via dalle sue spalle. «Mi hai smascherato, Aberfa,» ammise, trattenendo un sorriso.
Sotto l’albero, il silenzio si era appena trasformato in un mormorio amichevole tra Sergio e Aberfa, ma una voce chiamò Sergio, interrompendo il loro dialogo con un tono dolce ma deciso.
«Sergio, mi auguro di non star interrompendo un bel momento, ma ho bisogno del tuo aiuto.»
Vana si avvicinava con passo rapido, i suoi occhi brillanti che puntavano dritti su di lui, e un sorriso che sembrava voler ammorbidire la richiesta di aiuto. Aberfa, colta di sorpresa, alzò lo sguardo e inclinò la testa in modo ironico. «Tranquilla: io e lui stavamo solo facendo conoscenza, ma…» fece un cenno con la mano, incoraggiandolo a seguire Vana.
«Parlaci pure,» scherzò Aberfa, lanciando uno sguardo malizioso verso Sergio, «lo so che hai a che fare con faccende importanti. Poi, Sergio tornerà qui a parlare del mio viso grazioso.»
Lui rise, con un cenno di ringraziamento verso Aberfa. «A dopo, Aberfa.» Mentre si allontanava con Vana, le ultime parole dell’amica le aleggiavano intorno, leggere ma piene di mistero.
Rimasta sola sotto l’albero, Aberfa chiuse gli occhi per un attimo, godendosi il silenzio della sera che avanzava. Ma il suo sguardo venne presto attratto da qualcosa. Non lontano da lei, una figura si muoveva furtiva, cercando forse di confondersi tra le ombre del giardino accanto alla strada principale. Aberfa strizzò gli occhi, come per mettere meglio a fuoco: l'uomo indossava un mantello scuro, e, gettando occhiate sospettose intorno a sé, si allontanava lentamente, quasi come temesse di essere visto.
La sua figura era fugace, ma familiare; un pensiero inquietante la colse, rammentandole i recenti misteri e le sparizioni che avevano turbato Folach nelle ultime settimane. Le sue dita giocherellavano nervose con un anello che portava al dito, il metallo freddo tra le mani quasi un conforto mentre il dubbio e la curiosità crescevano in lei. Poi, qualcosa di ancora più strano la distolse da quell'ombra fuggevole.
In lontananza, oltre la folla e gli alberi, Aberfa notò un’altra figura, solitaria e immobile, la pelle pallida come il marmo, e le folte chiome argentate. La riconobbe all’istante. Un sorriso appena accennato le sfiorò le labbra, insieme a un misto di nostalgia e sorpresa. «Mi stavo domandando per quale motivo Lynn non fosse ancora arrivata» sussurrò il suo nome, quasi incredula.
Tale figura si voltò appena, e i loro occhi si incontrarono per un breve, intenso istante, prima che la donna svanisse lentamente tra le ombre che si allungavano.
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io-confesso · 16 days ago
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Da uomo convinto per anni di averlo sotto misura, salvo poi capire che non era così, vorrei fare un po' di domande all'anonimo con la sindrome auto-diagnosticata del pene piccolo:
1. A riposo o da eretto? A riposo serve solo a pisciare e le donne riescono a farlo anche senza...
2. Lo pensi guardandolo dall'alto o allo specchio, magari anche di profilo? Spoiler: una donna ti guarda da davanti, il tuo punto di vista è solo tuo.
3. Dici che sei fissato con la forma fisica, quindi non ti chiedo della massa grassa. Però, anche i muscoli sono grossi: magari la tua sensazione di inadeguatezza dipende dal confronto con una muscolatura molto sviluppata?
4. Se la tua convinzione dipende da una misurazione a pene eretto, hai considerato che ci sono tanti modi per fare godere una donna senza usare il pene? Hai preso in considerazione l'ipotesi di usare sex toys, finanche uno strap-on, per compensare?
5. Dici non essere mai stato con una donna, allora come fai a sapere che verrai trattato con derisione o disprezzo? Se non sei mai stato con una donna a 38 anni, probabilmente ti ritroverai a fare sesso con una donna della tua età decisamente esperta e alla quale avrai parlato dei tuoi problemi: perché non pensi che potresti trovare una donna amorevole e paziente che scelga consapevolmente di venire con te? Io farei una prova, male che va continui a non fare sesso, ma se non provi mai a cercarla...
6. Vista la tua inesperienza, hai pensato ad una escort alla stregua di ogni altro specialista a cui ti rivolgi per risolvere un problema? Potresti pagarla per fare esperienza, per farti insegnare alcuni trucchi, per sciogliere quel nodo di ansia e di paura che ti stringe il collo, per rompere il ghiaccio, insomma. Poi ti potrai relazionare con le altre donne con più sicurezza, sapendo a cosa vai incontro e come comportarti...
7. Per finire, hai pensato di leggere racconti erotici, anziché vedere i porno? Nei racconti non si parla mai di dimensioni...
Ah, io da uno psicologo ci andrei, ma anche da un andrologo: le diagnosi facciamole fare a chi ha speso dieci anni a studiare la materia e la esercita quotidianamente. 😉
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byebyebombay · 2 months ago
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rompere il ghiaccio con una ragazza che incroci ogni mattina mentre vai in ufficio dicendole che somiglia parecchio a charlotte sartre è una buona mossa? chiedo per un collega
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