#roma e' sempre la stessa anche mi piace
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Davvero, per favore, qui, su X e ovunque, sforzatevi di analizzare la situazione Capodanno di Roma con un briciolo di obiettività e mente fredda. Sono 24 ore che leggo di tutto e di più perché ci sono voluti 2 secondi netti per infilare nel calderone la qualunque e spostare il focus dal discorso degli artisti.
Sforzatevi di capire di cosa stanno parlando davvero, perché nessuno ha difeso i testi di Tony Effe. Sono fuori tema anche loro? Probabile. Stanno usando il termine censura un po' a sproposito? Anche qui, probabile.
Ma da qui a dire che allora sono tutti misogini e che addirittura appoggiano la violenza sulle donne, ce ne passa. Mahmood ha letteralmente scritto che tutto può essere criticato, dove lo vedete l'appoggio ai testi? A me sembra chiaro che la presa di posizione sia perché l'esclusione da Roma, potenzialmente, è un gesto che può portare alla censura. Qui non lo è nel senso puro del termine ma appare tale per le dinamiche. Presta il fianco a una caccia alle streghe trasversale perché, se voglio, posso trovare qualcosa che non va ovunque, che sia una canzone che cita le dipendenze o fatti di cronaca, politica o rapporti tossici. E a quel punto posso pretendere che venga bloccata. Anche nelle canzoni di Ale eh, ad esempio quando cita le droghe o rapporti tossici, si potrebbe dire che sono temetiche che urtano la sensibilità e chiedere così che lui non si esibisca da nessuna parte. È esattamente questo che porta alla censura, nella musica, nei libri, ovunque. Poi si può discutere che su altri temi non ci sia stata la stessa presa di posizione ma anche qui io distinguo le cose, questo è comunque lavoro, in altro c'è una componente troppo personale che, per esempio, non credo Ale sarà mai a suo agio a condividere in modo palese (again, ma tramite la musica sì, quindi con la libertà di espressione di cui ha sempre parlato).
Ciò detto, per me l'errore è stato a monte, perché come fai a fare una line up per un evento del genere senza un'unità di intenti? È chiaro che il passo indietro di Roma è politico, il Sindaco ha chiaramente detto che non voleva che l'evento fosse divisivo, ergo ha scelto il quieto vivere. Tony Effe non andava invitato a prescindere, per me potrebbe non cantare mai più in vita sua e ne sarei contenta ma adesso non facciamo l'errore di condannare tutto questo discorso perché di mezzo c'è lui.
Anche perché poi, l'utente medio del social lo usa come pretesto per scagliarsi contro gli altri - Mahmood in primis - vomitandogli addosso le cose peggiori. Perché tutti bravissimi a riempirsi la bocca di belle parole per difendere le donne, salvo poi usare contro chi non piace il tono e il linguaggio che tanto disprezzano. Moralisti a convenienza, paladini della giustizia solo se si sta tutti dentro i paletti delle loro idee, tutti gli altri al rogo (e poi magari stannano personaggi discutibili tanto quanto quelli che criticano).
Detto ciò, mi pare altrettanto ovvio che i cantanti vivano la cosa diversamente dallo spettatore, nel senso che scindono la persona dall'opera che può essere eccessiva perché espressione artistica. Sarebbe un po' come dire che se uno scrittore scrive di omicidi allora è un delinquente. Non voglio dire che certi testi vadano giustificati perché, obiettivamente, fanno ribrezzo ma neanche credo che siano la condanna dei giovani. Se i ragazzi di oggi non hanno gli strumenti per discernere con la propria testa il bene dal male, una storia dalla realtà, una canzone da un esempio da imitare, vuol dire che gli educatori hanno fallito. E prima che si arrivi agli intrattenitori, ci dovrebbero essere la famiglia e gli insegnanti, senza parlare di chi ci governa.
Quindi, in sintesi, anche meno.
#mahmood#rant post#flusso di coscienza#mi pentirò del post? ovviamente#lo cancellerò? nah#da qualche parte dovevo dirlo e#twitter is a hellsite#tumblr is better
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Mi ritrovo a 25 anni e l’idea dell’amore come quella dei bambini.
Mi sono ritrovata a parlare con una bambina di amore.
È fidanzata, da un anno, con Francesco.
Prima di lui c’è stato un altro che però è stato rubato dalla sua migliore amica.
Penso che se questo le fosse successo alla mia età si sarebbero strappate i capelli a vicenda e lui ne sarebbe uscito illeso, come succede il 99,9% dei casi. Anche se la colpa non è mai da una sola parte.
Non so perché ora senta la necessità di scrivere quello che mi sta passando per la testa, forse perché ora scrivere a mano non mi basta di più, ho tanto da dire e poca voce per farlo.
Ho sempre preferito scrivere che parlare.
Continuo a scegliere le parole con la stessa accuratezza con cui le mie coetanee scelgono l’outfit (ora ci siamo tutti inglecizzati) che indosseranno per una serata in discoteca.
Io in discoteca non ci sono mai stata, non ho mai fumato una canna, fumo sporadicamente le sigarette, giusto per infliggermi un po’ di dolore.
Dicono che ogni sigaretta fumata accorci la vita di 7 minuti, sto sperimentando la veridicità di questa affermazione.
Non voglio morire.
Sia chiaro.
Quando ci penso ho onestamente paura.
Chiudi gli occhi e tutto finisce.
Non si pensa più.
Le connessioni tra neuroni si fermano.
Niente stimoli.
Niente input.
Niente output.
Tutto tace.
Eppure quante volte aspiriamo nella vita ad un po’ di silenzio?
Sono consapevole che per quanto voglia ciò è impossibile. Almeno da vivi.
Motivo per il quale mi sto quasi abituando all’idea che troverò la pace a cui aspiro una volta morta.
Il discorso sta prendendo decisamente una piega tetra.
Sono una persona abbastanza noiosa.
Non amo il casino.
Mi piacciono le pantofole calde, le coperte, le tisane e i libri.
Non mi piace andare a mangiare fuori, mi piace l’intimità delle mura di casa.
Ma sono consapevole che sono in rotta di collisione con il resto del mondo.
Questo mondo di oggi che deve ostentare tutto.
Ieri sono uscita e c’era un tramonto stupendo a Roma, il volerlo immortalare mi stava quasi distraendo che stavo dimenticando di vivermelo.
E invece l’ho vissuto.
Ho notato ogni piccola sfumatura presente. Nei minimi dettagli.
Io sono così, guardo i dettagli e cerco di leggerli tra le righe.
Sono sempre stata una che ha visto nel piccolo prima di vedere nel grande.
Questa società ci ha abituati ad avere tutto e subito. Pretendiamo di conoscere le persone con lo schiocco delle dita.
PRETENDIAMO.
Non penso ci sia niente di più brutto che pretendere un qualcosa da qualcuno.
È come se lo obbligassimo a fare qualcosa che non vuole per un tornaconto solo nostro.
Ne lede ogni libertà di scelta e di pensiero.
Lo stesso errore si commette quando parlando si dice “io al posto suo…”.
Al posto suo non ci sei.
Al posto suo c’è solo la persona.
Non tu.
Per fortuna o per sfortuna, dipende dai casi, ognuno ha una propria testa e ragiona come meglio crede.
Io ho sempre pensato di ragionare con la testa di una ragazza di 60 anni fa.
Non mi sono mai sentita a mio agio in questa società.
Come un pesce fuori dall’acqua che cerca di tornare al mare.
Non mi sono voluta adeguare alla massa.
Non mi sono mai voluta adeguare a qualcuno.
Per qualcuno.
Rimarrò sola? Non so.
Ho paura? Non so.
Perché le persone cercano di cambiarsi per andare bene a qualcuno?
Capisco lo smussare gli spigoli, ma perché cambiare rinnegando quello che si è?
Io non voglio rinnegare niente di quello che sono.
Qualcuno una volta mi ha detto che siamo la somma delle esperienze che ci sono capitate. Beh, non per vittimismo, ma potrei scrivere un libro per tutte le volte che sono caduta in tutte le maniere in cui una persona può cadere e con la sola forza delle mie braccia mi sia rialzata.
Non penso di avere una vita tragica, ma penso di avere una vita in cui il coraggio le ha fatto da padrona.
Sì, sono coraggiosa.
Questo me lo devo.
In fondo credo che un po’ io mi voglia un po’ di bene, per quanto a volte litighi con me stessa sul perché non riesca a cambiare alcune cose di me che davvero non mi piacciono.
Sono abituata a fare l’elenco dei miei difetti, e non riesco a trovare mai un pregio.
Ecco, coraggiosa è il primo pregio.
Ma tornando al discorso di prima…
Vanno a scuola insieme.
Non si sono visti e neanche sentiti per tutto il periodo dell’estate.
Le ho chiesto allora perché non gli avesse scritto per tutto il periodo e la sua risposta è stata: ��Avevo da fare con le amichette.”
Di risposta le ho chiesto se dopo tutto questo tempo lontani era sicura che anche da parte sua ci fosse lo stesso sentimento.
Penso di aver impiantato in lei il seme del dubbio.
Se magari prima ne era convinta, adesso non più.
Eppure 60 anni fa partivano per la guerra, passavano mesi senza vedersi e, se Dio voleva, riuscivano a mandarsi una cartolina ogni tot di tempo.
Ora il dubbio sorge non appena si ha un messaggio non visualizzato.
Maledette spunte blu.
Sorge il dubbio se non si risponde entro un tempo predefinito.
Ed ecco che la vipera del tradimento si insinua nelle nostre menti.
E distrugge tutto.
Con questo non voglio dire che prima non si tradiva, anzi forse era anche più facile tradire prima.
Senza Instagram, senza storie, senza localizzazione, senza messaggistica istantanea, senza chat segrete di Telegram (che ancora non so come funzionino).
Forse c’era una cosa che oggi è difficile trovare: il rispetto.
Ecco, forse ho trovato un altro mio pregio.
La mia famiglia mi ha insegnato a rispettare tutto e tutti.
Non so ammazzare neanche una mosca senza sentirmi in colpa.
Ho imparato il rispetto per ogni forma vivente: animali, piante, persone.
Ho imparato il rispetto per ogni forma non vivente.
Grazie mamma, grazie papà, grazie nonna e grazie zia.
Forse non gliel’ho mai detto.
Prima o poi lo farò.
Loro sono le colonne portanti della casa che sono.
E gliene sarò per sempre grata.
Mi hanno insegnato il senso di sacrificio. E rispettare chi ne fa.
Cerco di mantenere ogni promessa, di renderla reale.
Ma in un mondo che ti fa lo sgambetto più e più volte è difficile, ma continuo ad apprezzare la buona volontà di chi ci prova.
È un mondo malato che sta facendo ammalare anche le persone che ci vivono. Forse gli animali sono gli unici che ne restano illesi.
Quanto può essere cattivo l’essere umano?
Einstein diceva che l’uomo ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo inventerebbe mai una trappola per topi.
Siamo davvero così stupidi?
Perché soffriamo di queste manie di grandezza?
Perché questa necessità di prevalere sull’altro e di doverlo sventolare ai quattro venti?
Comunque, continuando il nostro viaggio nella mente di una bambina di 7 anni, dopo aver impiantato in lei il seme del dubbio ho cercato di sistemare la situazione, ormai già distrutta, affermando che in caso contrario avrebbe comunque potuto trovarne un altro. O anche due. Così da avere la riserva.
Lei ha fatto spallucce.
Non penso abbia apprezzato la mia affermazione.
In realtà non l’apprezzo neanche io.
Non nutro grande simpatia per coloro che decidono di intraprendere relazioni parallele. Anzi, direi che (sì, lo so che è brutto da dire), le schifo. E non poco.
Se una persona non ti fa stare bene, bisogna avere il coraggio di lasciarla andare.
Può essere doloroso, ma anche le ferite più dolorose guariscono.
E questo lo so bene, forse daranno un leggero fastidio ogni qualvolta il tempo cambierà.
Ogni qualvolta ti ci soffermerai a pensare.
Mamma dice sempre: “Le cose che non si fanno sono le migliori.”
Ma con quanti punti di domanda ci lasciano?
Quanti finali alternativi si alternano nella mente di una persona?
Sono una persona curiosa.
Ma non nel senso che sia impicciona, mi sono sempre fatta i fatti miei e continuerò a farlo visto che aspiro a campare 100 anni.
Sono spinta da curiosità costruttiva, non mi limito a sapere il fatto in sé, ma mi piace capire, scavare nel profondo. Forse la parola più corretta da usare sarebbe comprendere il perché di una scelta piuttosto che un’altra.
Mi astengo dal dare qualsiasi giudizio.
Mi limito a dare un consiglio, senza aspettarmi che la persona lo segua, anche perché chi è che segue i consigli?
Io sono la prima a non farlo.
Mi piace sbatterci di testa, di faccia, rompermi le ossa, il cuore e l’anima.
Si dice si impari meglio sbagliando e io voglio sbagliare nel modo giusto.
Voglio passare la vita imparando, crescendo, diventando sempre più saggia.
Avrei voluto dire a quella bambina che poi tanto male non è stare soli, conoscersi.
Capire quello che realmente vogliamo.
Quello di cui abbiamo realmente bisogno.
Avrei voluto dirle di non piangere alle ginocchia sbucciate perché il cuore sbucciato quando crescerà farà ancora più male.
Avrei voluto dirle di godersi ogni attimo della sua età.
Avrei voluto dirle di avvicinarsi al mondo dell’amore il più tardi possibile.
Avrei voluto dirle che ha fatto bene a godersi l’estate con le amichette piuttosto che pensare al fidanzato.
Avrei voluto dirle che l’amore se è vero supera ogni ostacolo, ogni distanza, ogni tempo.
Avrei voluto dirle che non deve mai dare nulla per scontato, perché nel momento in cui lo fai tutto perde di valore e non è più come prima.
Non aspettatevi che una persona vi stia accanto per sempre, che vi ami per sempre.
L’amore è un fuoco di paglia, di solito la passione brucia velocemente.
La vera scommessa è alimentarlo.
Vorrei essere brava in questo.
Invece credo che tra le mie mille mila cose da fare non riesca mai ad alimentarlo come si deve, e niente.
Fa la famosa vampa e si spegne.
Azzarderei a dire che quasi a volte l’acqua per spegnerlo sopra l’abbia messa io.
Perché l’amore si identifica con il cuore?
Un muscolo involontario.
Probabilmente perché così come non abbiamo la possibilità di controllare il suo battito non possiamo decidere di chi innamorarci.
Ed ecco lì che capita di innamorarsi di chi probabilmente non avremmo mai detto.
Nel mio caso penso che avrei messo la mano sul fuoco che non sarebbe mai successo, ed invece è successo.
Ho imparato il mai dire mai proprio in questo caso.
E chi l’avrebbe detto che avrei messo le armi per distruggermi in mano a qualcuno.
Mi meraviglio con quanta facilità l’essere umano sia capace di buttare giù tutto quello che costruisce senza nessuna pietà e rimpianto.
Mentre io mi sono ritrovata a dire addio ad una macchina e a dare il benvenuto ad un’altra.
Ho provato il senso di colpa nell’averla quasi tradita per qualcosa di nuovo.
Perché è questo quello che succede nella vita, buttiamo il vecchio per fare spazio al nuovo.
Io sono così legata al vecchio che provo dolore quando lo butto.
Ecco, forse questo invidio a quella bambina, la facilità con cui nel momento in cui il piccolo Francesco deciderà di lasciarla lei troverà qualcun altro e riuscirà a chiudere Francesco in un cassettino della sua memoria che probabilmente non riaprirà mai più.
Io i miei cassetti della memoria li apro e anche spesso.
Maledette domande che attanagliano la mia mente e non la lasciano riposare.
Forse se riuscissi a lasciarmi scivolare tutto addosso sarebbe più facile.
E invece il Padre Eterno ha deciso di farmi cocciuta, testarda e con la necessità di sapere come, quando, dove e perché.
Vorrei poter chiudere tutto a chiave, buttare la chiave in un qualsiasi posto e perderla così da non poter riaprire niente, anche volendo.
Sono masochista.
Non mi taglio, non mi infliggo dolore fisico perché mi basta il dolore dell’anima.
E se per i tagli questi cicatrizzano, non so come possa guarire un’anima mal concia.
Lana Del Rey canta: “Mi amerai lo stesso quando non avrò nient’altro che la mia anima dolorante?”
Mi chiedo se davvero esista qualcuno capace di amare una persona nonostante l’anima che non si regge in piedi.
Ci vuole tanto amore ad amare chi non ci ama.
E ci vuole grande forza di volontà a lasciare andare le persone.
Lasciare andare qualcuno è la più grande forma di generosità.
Come può un rapporto cambiare per “colpa” di una frase sbagliata?
Dicono che la lingua riesca a ferire più di un coltello.
E perché le permettiamo di ferirci?
Sento ancora quel formicolio al cuore quando ripenso ad alcune frasi, che siano belle o brutte.
Nella maggior parte dei casi sono tutte le parole che più mi hanno ferita.
Quelle che più mi hanno fatta sentire inadatta.
Ma non penso di essere inadatta per davvero.
Penso sinceramente che alcune situazioni non vadano con altre.
Ecco di nuovo quella sensazione.
La me di dentro urla, si sta spolmonando. E la me di fuori non riesce a tirare fuori niente.
A volte penso se possa essere liberatorio salire sulla prima montagna e urlare, fino a non avere più aria nei polmoni. Fino ad essere stremati per l’urlo e non per altro.
A volte vorrei farlo.
Poi penso che le persone mi prenderebbero per pazza.
Anche se è mio uso e costume credere che i pazzi stiano fuori e le persone mentalmente stabili siano chiuse nel primo reparto di psichiatria disponibile.
Forse in mezzo a loro troverei la mia pace, chissà.
Vorrei fare un appello a me stessa: smettila di provare a fidarti delle persone.
Sono destinate tutte ad andare via. E tu speri ancora nelle cose irreali.
Chiudi gli occhi e immagini cose che sai anche tu non succederanno mai. E ti addormenti con il cuore un po’ più leggero, perché quello ti da pace.
Perché sono così?
Cos’è che realmente voglio?
O sono solo lo specchio di quello che gli altri vogliono da me?
Vorrei bastare a me stessa.
Essere sicura di me, delle mie capacità, senza il bisogno che qualcuno mi ricordi quanto valga.
Amo stare da sola, e non capisco perché continuo a far entrare persone nella mia vita che la mettono sottosopra.
Inizio ad essere quasi certa di essere masochista.
Sto per prendere il treno.
L’ennesimo.
Quanti treni ho preso, e non ne ho mai perso uno.
Anche quando ero in ritardo.
Sono stata sempre brava a prenderli.
A farli coincidere con altri.
Ad aspettare il meno possibile alle coincidenze.
Non mi è mai piaciuto aspettare.
Non sono una che sta con le mani in mano aspettando che arrivi la manna dal cielo.
Mi sono sempre data da fare, ho organizzato la mia vita in ogni minimo dettaglio e la vita ci ha provato ripetutamente a far saltare ogni mio piano.
A volte ci è riuscita.
A volte no.
Mi chiedo dunque, perché se non riesco ad aspettare un treno che dovrebbe portarmi altrove dovrei riuscire ad aspettare una persona?
Beh, il treno prima o poi arriva e anche se in ritardo a destinazione ci porta.
Ma le persone?
Arrivano?
Tornano?
Riescono a portarti realmente dove vuoi che ti portino?
Non si può decidere dove queste ti porteranno. Bisogna lasciarsi guidare.
E io non sono brava in questo.
Sono stata abituata a guidare, e non riesco a far sì che le persone guidino me.
Eppure io vorrei qualcuno che mi portasse al mare.
Scorrendo la ricerca di Instagram in una di quelle pagine di frasi fatte e depresse ho letto trova qualcuno che ti faccia dimenticare di avere un telefono.
Chissà com’è prendere il treno della vita.
Quello che dicono passi solo una volta.
Quello del hic et nunc, del carpe diem.
Non penso di aver mai colto un’occasione, troppo presa ad organizzarmi la vita che probabilmente mi sono dimenticata di viverla.
Ho messo da parte tutti i sentimenti, cercando di reprimerli.
Li ho messi così schiacciati bene in un cassetto che pensavo di averli sistemati lì a vita.
E invece il cassetto è esploso, lasciando venire fuori tutto quello che credevo di non poter provare.
La depressione.
Se mi avessero detto che un giorno ne avrei sofferto sinceramente gli avrei riso in faccia.
E invece sono qui, a distanza di due anni, con questo mostro dietro le spalle che mi attacca all’improvviso, quando sono più vulnerabile.
E so da me che la spinta per “guarirne” devo darmela da sola, ma le persone che, intorno a me, si limitano a dire: “Dai, su. Muoviti. Se ti fermi è perché sei tu che vuoi stare male” mi istigano sempre di più ad isolarmi.
Mi piace stare sola.
Mi piace l’equilibrio che raggiungo.
Se sto male non devo dar conto a nessuno.
Se sto bene non devo dar conto a nessuno.
Solo a me stessa.
Chissà quale organo ne risente di più.
Il cuore?
Il cervello?
Penso che i miei siano andati entrambi in sovraccarico e il mio esplodere ne è stata semplicemente una conseguenza.
Come se nel cassetto avessi messo più di quanto avrei dovuto e ora non si riesce più a chiudere e tutti i sentimenti repressi siano usciti uno dietro l’altro, sovrapponendosi anche a volte.
Tocco un po’ anche di bipolarismo probabilmente.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che ho riso quando avrei voluto piangere.
Meriterei un oscar come migliore attrice per aver mentito sul mio stato di salute mentale a tutti, compresa la famiglia.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che mentre ridevo pensavo a come sarebbe stato buttarsi dal Canale di Mezzanotte.
Ci sono andata.
Mi sono seduta sul bordo del ponte.
Penso che più di una volta sia stata sul punto di farlo.
Perché non l’ho fatto?
Probabilmente perché io sono ancora qui e posso scegliere di vivere, lei non ha avuto scelta.
E se l’avesse avuta sicuramente avrebbe voluto vivere.
Per cui, mossa da un minimo di lucidità, sono scesa giù e sono tornata a casa, mettendo la maschera perfetta.
Ma non a tutti si può mentire.
E gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Non vedo i miei occhi brillare da un po’.
Chissà se ricapiterà.
E se la nostra vita fosse un libro scritto a penna?
Un cosiddetto manoscritto.
Senza bozza.
Senza margine di correzione, perché si sa, non si può cancellare con la gomma e riscrivere tutto.
Si può solo mettere una linea e andare avanti, fino alla fine del racconto. Fino alla fine del libro.
E lì, dove la penna inizia a incantarsi, arrivano le decisioni prese d’istinto.
Quegli scarabocchi che nessuno riuscirà mai a decifrare, neanche noi.
Perché quelle decisioni prese di pancia sembrano così sensate nel momento in cui le prendiamo mentre con il senno di poi si rivelano dei veri flop?
Perché, a volte, l’istinto prevale sulla ragione, perché autoinfliggersi dolore sperando in qualcosa che sicuramente non capiterà.
La legge di Murphy parla chiaro: se c'è una possibilità che varie cose vadano male, quella che causa il danno maggiore sarà la prima a farlo; Se si prevedono quattro possibili modi in cui qualcosa può andare male, e si prevengono, immediatamente se ne rivelerà un quinto; lasciate a sé stesse, le cose tendono ad andare di male in peggio.
E allora mi chiedo, perché si molla la presa in alcune situazioni?
Perché non siamo più così bravi da lottare per quello in cui crediamo?
Perché non mi fido più delle mie sensazioni?
Ho sempre viaggiato con il mio sesto senso.
A volte bene, altre male.
Penso faccia parte del gioco.
Non credo nemmeno si possa pretendere che la vita giri sempre bene, penso sia impossibile vivere una vita senza cadere.
Dovrebbero essere le imperfezioni a rendere le cose perfette.
Il sudore dei sacrifici rende tutto più bello.
Ma ai sacrifici bisogna essere abituati.
E come ci si abitua?
Come può una persona abituarsi alla sofferenza per avere cose belle.
Ma perché si deve soffrire per arrivare al bello?
Per apprezzarlo di più?
E perché non godere delle piccole cose, ma aspettarsi sempre cose plateali?
Perché non compiacersi dei gesti ripetuti, seppur piccoli, ogni giorno, ma riempirsi gli occhi e soprattutto la bocca per un qualcosa che accade una sola volta e per un tempo breve.
Ho rivisto la piccola Giada.
Le ho chiesto di aggiornarmi sulle sue vicende amorose.
Mi sono così appassionata a questa storia d’amore che mi sembra quasi di viverla in prima persona.
Ci siamo sedute a terra.
Ha trovato dietro la tenda del salotto i regoli.
È stato come tornare indietro di quasi 20 anni.
Ricordo l’emozione, quando arrivava il momento dei regoli alle elementari.
La felicità nell’aprire quella scatola che sembrava magica perché quei piccoli rettangoli avrebbero dovuto insegnarmi a contare.
Anche se, diciamocelo sinceramente, tutti li abbiamo usati per costruire la famosa torre.
Apprezzo dei bambini in genere lo stupore davanti alle piccole cose; il trovare il buono e il bello anche nelle piccole cose.
Quelle più insignificanti.
Poi com’è che si diventa così materialisti?
Qual è il preciso istante in cui le piccole cose, anche le più stupide, smettono di bastarci e iniziamo a volere e a pretendere sempre di più?
Ho sempre avuto paura di crescere, di perdere il mio contatto con l’innocenza della tenera età, non essere più considerata la bocca della verità, diventare agli occhi del resto degli adulti una persona che sputa veleno perché dice quello che pensa.
Io non credo di sputare veleno, non penso nemmeno di essere così vipera come mi dipingono. Credo che la verità tendenzialmente faccia paura, fa paura a tutti, anche a me che sembro così dura e tosta.
La verità quando ci viene detta, nuda e cruda, ci spoglia di ogni maschera e ci costringe a guardarci allo specchio, come se fossimo tanti vermi privati di un guscio protettivo.
L’adulto è viscido, e di questo ne sono sempre stata convinta.
Ha sempre secondi fini, non sa bastarsi a sé stesso, cerca perennemente il confronto con altri per sentirsi superiore, non sa competere in modo sano, è cattivo e diventa egoista, egocentrico, cercando di creare una storia in cui risulta essere il protagonista assoluto.
Per non parlare degli adulti nelle relazioni: è un continuo prevalere sull’altro nel 90% dei casi, non si sa più viaggiare l’uno accanto all’altra.
Ho quasi 25 anni e la voglia di provare gli stessi sentimenti di Giada, la voglia che qualcuno provi per me gli stessi sentimenti che prova Giada.
La purezza.
Non perché servo a qualcuno, non mi piace essere sfruttata.
Ho sempre fatto mio il detto: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”, ma puntualmente ricevo altro. Ricevo quello che probabilmente se fossi realmente stronza farei alle persone.
Non so sfogarmi, non so buttare giù quello che provo se non scrivendo.
Mi sento così bene quando scrivo.
Non saprei come fermarmi.
Ho tanto da dire, continuo ad avere sempre tanto.
E continuo ancora a meravigliarmi delle mie capacità paragonate a quelle di persone più grandi.
Perché continuo a sottovalutarmi?
Apriamo i regoli, con l’intenzione (ovviamente) di fare la Tour Eiffel.
Iniziamo a mettere da parte tutti i pezzi che ci servono e intanto penso che vorrei essere circondata una vita intera da bambini e animali, dalle anime pure, da chi non fa male a qualcun altro per il puro scopo di goderne; voglio essere circondata da chi se fa male a qualcuno sa chiedere scusa.
Arriva il momento della fatidica domanda, chiederle come fosse andato il ritrovo con Francesco.
Ne ho quasi timore, soprattutto dopo l’ultima chiacchierata, ma i bambini hanno quell’innocenza disarmante contro cui nulla vince.
Il sospiro di sollievo tirato dopo aver saputo che ancora ad oggi stanno insieme è stato rumoroso, tanto da scambiare uno sguardo complice con la mamma.
A distanza di circa un anno io e Giada ci siamo riviste.
Qualcosa è cambiato, io sono cambiata e anche lei.
Se lei è cresciuta in altezza, in bellezza e anche in intelligenza, io sono diventata più vecchia, scorbutica e meno paziente verso ogni genere umano.
Non vedo Giada da un anno e quanto vorrei poter parlarle ancora. Interfacciarmi con lei e con l’ingenuità con cui vede il mondo: senza malizia, senza cattiveria, senza alcun melodramma irrisolvibile.
Mi chiedono spesso perché sia così attirata dai bambini e dagli animali, probabilmente la risposta si trova in questo: non fanno melodrammi e se dovesse accadere la situazione si placa in un tempo così breve da non destare nessuna preoccupazione.
Quanto sarebbe bello tornare piccoli, dove le uniche preoccupazioni sono soltanto i giochi non comprati da mamma e papà, le merende e il pisolino pomeridiano fatto controvoglia.
A ventisette anni il pisolino pomeridiano è quasi diventato un default per me, senza il quale non saprei neanche sopravvivere alle persone che mi sono intorno.
Vorrei tanto sapere di Giada, dei suoi amori, se è riuscita a continuare la sua storia con Francesco, mi piacerebbe dirle che ho trovato probabilmente l’equilibrio a cui aspiravo, ma so che mi guarderebbe interrogativa perché: come lo spieghi l’equilibrio ad una bambina?
Ho paura a dirlo forte, non tutte le persone sono felici se lo sei anche tu, ma ho trovato quella sorta di pace interiore che sembrava non potesse arrivare per me.
Sto per iniziare a fare una cosa che mi piace. Non mi interessa della fatica. Ho scoperto che con le persone giuste accanto sono ancora più forte di quello che credevo. Ho capito chi sì e chi no. Chi mi fa fiorire e chi cerca di estirparmi come un’erbaccia.
Grazie delle delusioni, dei momenti no, dei momenti in piena sbronza, delle scelte sbagliate, dei viaggi in macchina, del mare che calma in inverno e abbronza l’estate. Grazie dell’amore, delle amicizie nate dal nulla, del cuore rotto, dello scudo contro le parole che fanno male. Grazie per le serate a guardare le stelle in balcone con la sigaretta accesa, i lividi addosso per l’equitazione che libera la mente, i lividi dello stress mentale. Grazie per gli addii e le riscoperte di alcune persone. Grazie per il mio essere leggera, saper capire quando essere pesante e quando no, quando farne melodramma e quando no. Grazie perché ho capito quanto valgo, ho capito che non mi accontento di tutti e che chi mi sta accanto lo fa per scelta, per amore e ha rubato un pezzetto del mio cuore e lo custodisce preziosamente. Grazie anche a chi il pezzetto del mio cuore lo ha preso a pugni, a cazzotti e ci ha ballato sopra con la speranza di vedermi a terra strisciare come magari fanno loro. Mari splende anche grazie a voi. Soprattutto grazie a voi.
L’ultima foto non poteva non essere il mio panorama sul mio golfo preferito.
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12) Parco
Un ricordo riguardo al parco:
Nel corso della mia vita i parchi hanno sempre avuto un ruolo importante per la quotidianità.
Quando abitavo in centro a Roma, ne avevamo uno accanto a casa che dopo la scuola ci vedeva giocare a qualsiasi gioco possibile.
Quando I miei si sono separati ed era il weekend che stavo con papà, lui spesso portava me e mia sorella ad un parco dove c'erano anche i gonfiabili.
Quando mia mamma voleva farci sfogare un po' andavamo ad un parco gigantesco in un paese vicino, che aveva anche uno stagno enorme con oche e tartarughe.
E poi crescendo, spesso sono stata io stessa a scegliere dei parchi in cui consolidare ricordi: se un'amica mi chiedeva una chiaccherata insieme, spesso optavo per una coperta nel parco sotto casa. E mentre eravamo sdraiate ci raccontavamo la vita.
Mi piace che ogni parco della mia vita lo associo a delle persone in particolare e potrei quindi tranquillamente chiamare quel parco con il loro nome.
Grazie del numerino
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Non ho più scritto nulla su questa pagina. Anni e anni di silenzio e di parole ingoiate, anni di cambiamenti, di risate e lacrime. La vita ha continuato a scorrere ed io con lei. E son diventata un'altra e ho incontrato altri mille volti, visto infiniti tramonti e solcato mari, abbracciato corpi, incrociato occhi. Ma non ho più scritto nulla qui.
Fino ad oggi.
Hosseini aveva ragione quando diceva che non si può scappare dal passato, o almeno non per sempre. E' buffo quando in due occhi castani ritrovi la vita che hai vissuto e tanto a lungo dimenticato. E' buffo come, alle volte, quello che pensavi di aver dimenticato era solo lì, in un cassetto del tuo cuore, pronto a riemergere. E' buffo pensare a come due persone che hanno condiviso una vita, un tempo, possano essere diventate estranee e quanta vita ci sia stata tra loro.
Mi sono resa conto che questa pagina, i miei pensieri, erano dedicati esclusivamente a lui. E tornare indietro nel tempo per dieci minuti, mi ha frantumato e riempito il cuore. Ho sorriso pensando a quante parole ci siamo detti, a quante promesse ci siamo fatti, quante lettere ci siamo scritti e quanti pensieri e canzoni ci siamo dedicati. Ho sospirato pensando a come eravamo giovani e immaturi, incapaci di gestire quello che eravamo, o, quantomeno, a quanto io fossi incapace di gestire quella che sono. Beh, quella parte non è cambiata.
Però è cambiato il resto... non siamo più ragazzini, ognuno ha continuato per la sua strada e fa incredibilmente sorridere come sia diventata la stessa strada. "Vorrei fare il dentista" mi diceva e ridevamo pensando che con me medico, saremmo stati, in qualche modo, colleghi. Non so se ridere o piangere al pensiero che tutti e due, probabilmente, diventeremo avvocati. E come le nostre vite abbiano viaggiato distanti, ma parallele. C'è qualcosa di poetico in questo. Guardandolo mi sono trovata a pensare: chissa chi è, chissà cosa gli piace ora, chissà cosa lo fa ridere o piangere, chissà se qualcuno lo ama o se si ricorda dei momenti passati... Un sacco di chissà, assolutamente inutili per la persona che sono adesso, ma che mi hanno ricordato quanto intensamente ho vissuto le emozioni con lui, senza che arrivassero da nessuna parte, ma ci sono state...e non si cancellano, per quanto si tenti di farlo.
Non avevo mai pensato che a questa persona ho lasciato di me più di quanto abbia mai avuto il coraggio di ammettere. Forse l'ho avuto oggi, questo coraggio; il coraggio di dirmi, dal profondo del cuore che lui per me è stato importante, anche se sembra la storia di un film visto un milione di anni fa.
Vederci così, diversi, cresciuti, mi ha reso fiera di noi, anche se separati. Mi ha fatto sussurrare: "quanta strada abbiamo fatto". E mi ha fatto sperare che quei ragazzi che eravamo, siano ancora vivi da qualche parte dentro di noi. Mi ha fatto sperare che lui sia amato e che realizzi i suoi sogni, che torni a Roma se è quello che vuole ancora e che abbia il cuore pieno di risate e di buon vino, che possa vedere il mondo con gli occhi di chi lo vede per la prima volta, che sia in grado di stupirsi delle piccole cose...ma mi ha fatto anche segretamente desiderare che nessuna, mai, riceva una lettera come quella che ha scritto a me.
E se fossimo quelli che eravamo allora mi guarderebbe e mi direbbe, sospirando sconsolato: “sei proprio un’idiota”. E io ridendo risponderei: “sono proprio un’idiota.”
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Chicca: arriva "BABYBOY"
Dal 12 gennaio 2024 sarà disponibile sulle piattaforme digitali di streaming e in rotazione radiofonica "BABYBOY", il nuovo singolo di Chicca.
"Babyboy" è un brano che toglie dalla lista dei tabù un argomento scomodo da trattare, il tradimento, o meglio ancora l'attimo che lo precede. Ed il tema scotta di più se il punto di vista non è quello della vittima. Cedere alla tentazione, la fragilità dell'essere umano, la perdizione, "Babyboy" racconta della confusione e della perdita di lucidità che si avvertono nel gioco di seduzione tra amanti, dell'impotenza che si avverte di fronte al desiderio, e della consapevolezza che si sta per commettere un errore. Tra giochi di parole e battute pungenti, CHICCA ci regala uno scenario intimo e seduttivo, e la produzione di Matteo Liotta dona alle sonorità pop-reggaeton del brano la sensualità perfetta per il tema trattato.
Commenta l'artista a proposito del suo progetto musicale: "Un giorno preciso di qualche anno fa ero di turno al lavoro e mi sono chiesta cosa stessi facendo della mia vita, e soprattutto perché non stessi facendo ciò che da sempre desideravo fare: scrivere, cantare, fare musica. Poi un giorno preciso di qualche anno dopo ho raccolto tutto il mio coraggio, ho mollato la mia vecchia vita e ho iniziato a lavorare sodo, ma stavolta per qualcosa in cui credevo. Ho scritto e pubblicato il mio primo singolo così, di impulso, senza sapere cosa fosse un'armonia, una scala, un palco, figuriamoci una società di collecting. Sapevo solo scrivere e cantare, ma avevo l'urgenza di liberarmi, di essere me stessa, di far sapere a tutti quello che avevo da dire. Oggi, dopo aver iniziato a studiare, a conoscere, dopo essere cresciuta ed essermi analizzata a fondo, sorrido della ragazzina impulsiva di qualche anno fa che rincorreva un sogno, e ho imparato a gustare la bellezza del processo e del percorso più che la fine. Ma il motivo per cui continuo a fare musica resta sempre lo stesso: liberarmi, essere me stessa, e far sapere a tutti quello che ho da dire. I miei due ultimi singoli "You & Me" e "Babyboy" sono il frutto di questa riconnessione con me stessa e l'emblema della CHICCA senza filtri, che ama ciò che fa e si diverte a farlo"
Biografia
All'anagrafe Nicole Marini De Filippi, CHICCA è una cantautrice romana classe '94 che si muove tra Roma, Napoli e Milano per curare il suo progetto musicale.
Musicalmente attiva dal 2020, è a partire dal 2022 che l'artista inizia a raccogliere i frutti del suo lavoro, con la finale del TMF 2022, la vittoria del Lunatika Contest 2022 e il Premio della Critica IVISIONATICI Music Festival 2023. Nello stesso anno si trasferisce a Napoli per studiare produzione musicale e lasciarsi contaminare dalle magnetiche atmosfere partenopee; da qui la svolta del suo progetto con la pubblicazione dei suoi singoli "You & Me" e "Babyboy", brani dalle sonorità pop con contaminazioni dance e reggaeton. D'altronde CHICCA cresce tra gli anni '90 e gli anni '00 ascoltando per lo più dischi pop di artiste statunitensi che la influenzeranno sia artisticamente che stilisticamente.
Sagittario ascendente Vergine, impulsiva e perfezionista, eccentrica e colorata, amante dell'arte e della moda. "La ragazza con la valigia", la chiamano scherzosamente. Con gli studi in lingue orientali, CHICCA ha viaggiato spesso tra Asia, Europa e America, nutrendo così il suo desiderio di conoscere quante più culture esistenti al mondo.
I suoi testi parlano sempre di esperienze vissute che racconta attraverso immagini vivide e giochi di parole, come se mettendo in play una sua traccia volesse ricreare un film nell'immaginario dell'ascoltatore, da guardare ad occhi chiusi. Le piace l'idea che anche solo una persona al mondo ascoltando i suoi brani possa rivedersi nelle sue parole, e sentirsi speciale.
"Babyboy" è il nuovo singolo di Chicca disponibile sulle piattaforme digitali di streaming e in rotazione radiofonica dal 12 gennaio 2024.
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Chicca: arriva "BABYBOY"
Dal 12 gennaio 2024 sarà disponibile sulle piattaforme digitali di streaming e in rotazione radiofonica "BABYBOY", il nuovo singolo di Chicca.
"Babyboy" è un brano che toglie dalla lista dei tabù un argomento scomodo da trattare, il tradimento, o meglio ancora l'attimo che lo precede. Ed il tema scotta di più se il punto di vista non è quello della vittima. Cedere alla tentazione, la fragilità dell'essere umano, la perdizione, "Babyboy" racconta della confusione e della perdita di lucidità che si avvertono nel gioco di seduzione tra amanti, dell'impotenza che si avverte di fronte al desiderio, e della consapevolezza che si sta per commettere un errore. Tra giochi di parole e battute pungenti, CHICCA ci regala uno scenario intimo e seduttivo, e la produzione di Matteo Liotta dona alle sonorità pop-reggaeton del brano la sensualità perfetta per il tema trattato.
Commenta l'artista a proposito del suo progetto musicale: "Un giorno preciso di qualche anno fa ero di turno al lavoro e mi sono chiesta cosa stessi facendo della mia vita, e soprattutto perché non stessi facendo ciò che da sempre desideravo fare: scrivere, cantare, fare musica. Poi un giorno preciso di qualche anno dopo ho raccolto tutto il mio coraggio, ho mollato la mia vecchia vita e ho iniziato a lavorare sodo, ma stavolta per qualcosa in cui credevo. Ho scritto e pubblicato il mio primo singolo così, di impulso, senza sapere cosa fosse un'armonia, una scala, un palco, figuriamoci una società di collecting. Sapevo solo scrivere e cantare, ma avevo l'urgenza di liberarmi, di essere me stessa, di far sapere a tutti quello che avevo da dire. Oggi, dopo aver iniziato a studiare, a conoscere, dopo essere cresciuta ed essermi analizzata a fondo, sorrido della ragazzina impulsiva di qualche anno fa che rincorreva un sogno, e ho imparato a gustare la bellezza del processo e del percorso più che la fine. Ma il motivo per cui continuo a fare musica resta sempre lo stesso: liberarmi, essere me stessa, e far sapere a tutti quello che ho da dire. I miei due ultimi singoli "You & Me" e "Babyboy" sono il frutto di questa riconnessione con me stessa e l'emblema della CHICCA senza filtri, che ama ciò che fa e si diverte a farlo"
Biografia
All'anagrafe Nicole Marini De Filippi, CHICCA è una cantautrice romana classe '94 che si muove tra Roma, Napoli e Milano per curare il suo progetto musicale.
Musicalmente attiva dal 2020, è a partire dal 2022 che l'artista inizia a raccogliere i frutti del suo lavoro, con la finale del TMF 2022, la vittoria del Lunatika Contest 2022 e il Premio della Critica IVISIONATICI Music Festival 2023. Nello stesso anno si trasferisce a Napoli per studiare produzione musicale e lasciarsi contaminare dalle magnetiche atmosfere partenopee; da qui la svolta del suo progetto con la pubblicazione dei suoi singoli "You & Me" e "Babyboy", brani dalle sonorità pop con contaminazioni dance e reggaeton. D'altronde CHICCA cresce tra gli anni '90 e gli anni '00 ascoltando per lo più dischi pop di artiste statunitensi che la influenzeranno sia artisticamente che stilisticamente.
Sagittario ascendente Vergine, impulsiva e perfezionista, eccentrica e colorata, amante dell'arte e della moda. "La ragazza con la valigia", la chiamano scherzosamente. Con gli studi in lingue orientali, CHICCA ha viaggiato spesso tra Asia, Europa e America, nutrendo così il suo desiderio di conoscere quante più culture esistenti al mondo.
I suoi testi parlano sempre di esperienze vissute che racconta attraverso immagini vivide e giochi di parole, come se mettendo in play una sua traccia volesse ricreare un film nell'immaginario dell'ascoltatore, da guardare ad occhi chiusi. Le piace l'idea che anche solo una persona al mondo ascoltando i suoi brani possa rivedersi nelle sue parole, e sentirsi speciale.
"Babyboy" è il nuovo singolo di Chicca disponibile sulle piattaforme digitali di streaming e in rotazione radiofonica dal 12 gennaio 2024.
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Andrea Lambiase: gli abiti sono arte della sperimentazione indossabile
Andrea Lambiase crea performing couture: lievi strutture d’architettura sartoriale che vestono il corpo, che nascono dalla seduzione dell’innovazione nei campi più inaspettati a chi si aspetta solo la moda, e dalle mani che dove non arrivano a costruire chiamano in sinergia la tecnologia. Quello che ci apprestiamo a fare dentro il suo giovane mondo creativo è dunque un viaggio immaginifico, a tratti visionario, ricco di suggestione, come quando ci si inoltra tra le pagine o nelle pellicole di racconti che imbrigliano la fantasia in scenari futuristici, abitati da personaggi che mantengono il vivo fascino carnale dentro gusci di creature macchinose e artificiali.
Il tutto decantato dall’umiltà gentile e appassionata lo caratterizzano, mischiati alla caparbietà di tracciarsi una strada che col coraggio della coerenza rifiuta la tentazione al facile consumismo, per prediligere una visione che ad oggi può suonare tanto rischiosa quanto ribelle: credere profondamente nel valore dell’arte che allacciata alla moda si rivela uno strumento d’espressione sincero, una fonte di scoperte d’avanguardia, una via di rivoluzione della visione e fruizione della moda stessa.
Avanguardia da indossare, o da contemplare: non ci sono regole né intellettualismi nella sua moda, c’è solo l’invito a comprendere con rispetto il valore delle creazioni, e a godersele come e quando si vuole, senza diktat o restrizioni di stagionalità e styling. Andrea Lambiase è una bella mischia esplosiva nelle idee, che sublimano nelle creazioni. Sin dall’infanzia in un paesino in provincia di Avellino, in Irpinia, quando dentro la sartoria industriale dei genitori se la prendeva con le macchine da cucire e le smontava, per capire i meccanismi e indagare i funzionamenti, poi le rimontava. La sua è una curiosità sempre affamata di nuove lavorazioni, nuovi meccanismi, nuovi materiali, nuove costruzioni: per saziarla frequenta l’istituto per geometri, dove mentre salda la passione per l’architettura assorbe la formazione tecnica che lo supporta quando poi, all’Accademia Italiana di Roma, la mancanza di un background di tecniche di disegno e modellistica della moda lui la risolve con i teoremi delle costruzioni geometriche degli angoli e delle forme. E con la determinazione fortissima a migliorarsi: obiettivo che raggiunge appieno.
A proposito, perché la moda? “Ho deciso di studiare moda perché mi piaceva l’idea che potevo partire da una visione astratta per farla indossare: mi piace intendere la moda come arte indossabile, quello che realizzo non è uno strumento commerciale privo di contenuto, ma quando vesti una mia creazione ti stai mettendo addosso una visione, un modo di pensare, un’idea”. Per effetto delle affinità elettive, la formazione prosegue con la realizzazione di un sogno, l’esperienza da Iris Van Herpen, che incarna e potenzia le sue ispirazioni e aspirazioni: “ero all’interno di un’atmosfera surreale, in atelier a lavorare con lei, e ho imparato tantissimo. Soprattutto a intendere la moda in un modo diverso, come ragionare per trovare nuove soluzioni e nuove tecniche e arrivare a realizzare una collezione: che non c’è sempre uno schema da seguire, cioè partendo dal disegno, facendo i cartamodelli e poi realizzando l’abito, ma si può iniziare anche da un punto intermedio. Io già lo facevo prima e lo faccio anche ora: l’ispirazione mi viene da una lavorazione, un tessuto o un materiale, ed è inutile cominciare dal disegno perché quello che ho in mente lo vedo soltanto facendo la creazione e mettendola sul manichino, solo così riesco a passare direttamente da un modo di pensare ad una cosa concreta e materiale”.
Come farebbe un artista: “che non per forza fa prima il disegno, perché la cosa artistica non ha schemi, è d’impatto. Appena hai l’ispirazione trovi subito il canale più veloce e più preciso che può rendere meglio la tua idea.” Andrea Lambiase nel 2018 fonda il brand che porta il suo nome, perché è la realizzazione della sua natura nutrita dalla passione, agganciata ad un’ampia visione: “mi piace utilizzare la tecnologia nella moda, dove il braccio umano ha dei limiti e non riesce ad arrivare: amo applicare fisica, chimica, architettura, ingegneria meccanica, mixare campi scientifici da cui sono molto attratto per ottenere risultati interessanti. Per realizzare le mie collezioni studio e collaboro con ingegneri e professionisti: sono sempre alla ricerca di nuove forme e materiali” perciò, laddove già non esistono è lui stesso a crearseli, sperimentando con taglio laser, stampa e modellazione 3d, per ottenere texture inedite ed effetti sorprendenti.
La sua moda è frutto di un approccio da inventore e di una pratica da alchimista, esercitata con l’aspirazione alla perfezione fin nel minuscolo dettaglio, per arrivare a smuovere non solo la mente ma anche le emozioni: “per le prossime presentazioni mi piacerebbe fare qualcosa che non dovrà essere chiamata sfilata, ma vorrei che il pubblico si trovasse all’interno di uno spettacolo e interagisse con gli abiti, con le modelle, con delle installazioni fatte in collaborazione con artisti. Vorrei creare connessioni: una performance di moda, un’esplosione di emozioni. Potrebbe essere in un museo, in una galleria d’arte, in un contesto dove le interazioni possano accadere”. Non a caso nel suo immaginario convivono Iris Van Herpen e Alexander McQueen, Marina Abramović maestra del far interagire le persone con il corpo e con l’opera d’arte, il Duchamp dei Ready Made.
La collezione “Parametric Power” è dimostrazione tangibile ed emozionante della couture performante di Andrea Lambiase: vere sculture di femminilità e tecnologia nate da un’ispirazione assai originale, ça va sans dire: “ho immaginato di trovarmi in un mondo con assenza di gravità dove tutti i materiali avessero perso le proprietà, rigidità, flessibilità, elasticità, e sarei stato io a ridistribuirle ma non in modo naturale, bensì secondo una mia visione, in modo calcolato”. Nasce così l’abito plasmato da un lurex su una base di organza che è un finto plissé, un materiale a cui Andrea ha ricreato il movimento a pieghe rimpiazzando il movimento naturale con degli angoli calcolati da lui con appositi strumenti di misurazione. Allo stesso modo, l’abito che sembra cosparso di squame bianche nasce da un tessuto mesh a cui Andrea ha dato le proprietà del plissé costruendo il movimento in un modo da lui calcolato, grazie ad un software di modellazione 3d, il taglio laser e la pressa industriale, montando poi le tessere di vinile così da dare una graduale rigidità al materiale.
Non c’è palette colorata. Ci sono solo il bianco assoluto che è luce, il nero che è il pozzo profondo in cui si raccolgono gli altri colori: “ricordano anche il mio carattere, che quando ho in mente una cosa deve essere o al 100% o niente, o bianco o nero”. Però c’è anche la loro unione, la conciliazione degli opposti, come quando la sua precisione si scontra col caos: “ma credo anche che il caos, a volte, scontrandosi con la precisione crei qualcosa di molto interessante: un risultato a sorpresa che non immaginavi di ottenere”. E noi, di certo, continueremo a sorprenderci con le sue sperimentazioni indossabili!
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
#Andrea Lambiase#Iris Van Herpen#performing couture#storiedaindossare#modaearte#modaetecnologia#modaindipendente#modaescienza#fashion writing#webelieveinstyle#couture
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Gli aforismi di Guillermo Busutil in Papiroflessia
Gli aforismi di Guillermo Busutil in Papiroflessia Papiroflessia di Guillermo Busutil edito da graphe.it è una lettura forse inusuale per il pubblico comune. L’autore, però, ci libera subito dall’impasse e ci spiega (anche attraverso i suoi aforismi) che questi non sono affatto riservati esclusivamente ad un pubblico di nicchia. La lettura è scoperta, “per essere un buon lettore bisogna aprirsi” ci dice con un suo aforisma Guillermo Busutil. Al caffè letterario Horafelix a Roma nel corso della presentazione del suo libro (11 ottobre), l’autore ci ha ammaliati con il potere dei suoi aforismi. Le parole sono magiche, danno voce e forma alla realtà e all’immaginazione. E il titolo non è stato scelto a caso. La papiroflessia, infatti, è l’arte di piegare la carta per ottenere forme tridimensionali ci spiega Guillermo Busutil. La stessa cosa accade con le parole. Quando sappiamo manipolarle diamo corpo ai pensieri. Immaginiamo delle forbici che tagliano la carta e danno vita a tante forme. Così fa la parola, che apre il nostro immaginario a nuovi mondi. Ed è questa l’idea alla base degli aforismi di Guillermo Busutil. Alla presentazione presso il caffè letterario Horafelix sono intervenuti il direttore dell’Istituto Cervantes, Ignacio Peyró Jiménez, l’aforista giurata del premio Torino in sintesi Silvana Baroni, Natale Fioretto, Università per stranieri Perugia, le lettrici Laura De Luca e Patricia Ynestroza, l’interprete Francesco Saina e Roberto Russo, editoredi graphe.it e traduttore del volume di Papiroflessia di Guillermo Busutil. Il dibattito è stato ricco di interventi e spunti che hanno stimolato nel pubblico riflessioni sulla natura dell’aforisma, sull’energia della parola e sul potere generativo della lettura. “La lettura ti lascia sempre essere protagonista” “Sottolineare una frase è un tentativo di abbracciarne l'eco e impedire che sfugga” “Ci sono più lettrici perché più donne osano” “I libri sono uno scenario per leggere dietro le quinte” Questi sono solo alcuni degli aforismi che riempiono le pagine di Papiroflessia e su cui ci si è ispirati per fare una serie di domande all’autore non solo sul suo testo, ma anche, in generale, sulla scrittura, la lettura e i libri. Di seguito ve ne riportiamo alcune. Domande all’autore Silvana Baroni: Perché ha scelto questo quadro per la copertina che, forse, è il più drammatico tra quelli realizzati da Jane Lewis? Il contenuto del suo libro è vivo, allegro, spensierato. L’immagine ci dà quasi la sensazione di una ghigliottina che separa la mente, che genera aforismi ,da tutto il resto del corpo. La copertina a me piace molto perché più che drammatica la definirei poetica , perché credo che offra proprio una lettura grafica, estetica, della leggerezza dell’aforisma che deve essere sì profondo ma non pesante, altrimenti risulterebbe al pari di una filosofia estremamente condensata. L’immagine scelta invece riflette questa leggerezza che si trova nel verso poetico ma anche nei piccoli poemi chiusi che ho voluto realizzare con alcuni degli aforismi che raccontano delle piccole storie molto concentrate. Credo che questa immagine rifletta la tridimensionalità che è nello spirito di questo libro. Silvana Baroni: Mi richiamo a un suo aforisma per farle la domanda? “Dimmi la verità, per chi leggi?” Questa è proprio la domanda centrale. Per chi si legge? Si legge per se stessi, si legge per una tradizione familiare di cui si è eredi, si legge per la persona che si vuole essere e ancora non si è o si legge per la persona anziana che si è diventati per vedere se si è realizzato il percorso che si era pensato? si legge come scrittori? come traduttori? Questo per me è un punto centrale. Natale Fioretto: Che ruolo ha l’aforisma? Ha collegamenti con la poesia? In uno dei miei aforismi che si trova all’inizio del libro dico che “nei libri bisogna entrarci con libertà”. Questa è la stessa libertà che ho scelto io per entrare in questo genere, per creare dei pensieri che fossero dei corridoi, per ripensare l’aforisma in chiave classica, filosofica, come piccolo racconto, come aforismi di bambini. Ce n’è uno che mi piace molto e che dice “la notte mi piace ascoltare i miei libri che camminano scalzi per i corridoi” e mi ricorda le letture che facevo da bambino, sognando. Da piccolo chiedevo a mia madre perché alcune parole avessero un peso mentre altre sfuggissero più facilmente fra le dita come acqua, vento, sabbia ed è proprio questa sensazione che ho cercato di riprodurre con i miei aforismi. Nel corso del dibattito inoltre, si è affrontato il tema della complessità della traduzione. Roberto Russo, editore di graphe.it e traduttore degli aforismi Busutil ha raccontato al pubblico in sala le ragioni di alcune scelte editoriali particolari, la tipologia un po’ più complessa di certi aforismi che si trovano nel libro e l’esigenza di cambiare il riferimento di Busutil ad autori spagnoli poco noti al pubblico italiano. Tra le varie scelte editoriali di Roberto Russo c’è l’inserimento delle postille a fine testo di Antonio Castronuovo e Massimo Gatta proprio per non condizionare il lettore, come bene sottolinea un aforisma di Busutil: “nei libri bisogna entrare con la massima libertà possibile”. Papiroflessia di Guillermo Busutil edito da graphe.it è un’occasione per aggiungere alla nostra biblioteca o sul comodino (“i libri da comodino sono un faro”) un genere nuovo e scoprire quanto la potenza della parola ci faccia volare con l’immaginazione, ci apra a nuove prospettive e ci avvicini al pensiero poetico. Read the full article
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Forse rimaniamo per sempre piccoli.
Forse scrivere su Tumblr anche se sono una manager da xxk secondo CCNL a 27 anni che vive da sola al centro di Roma e' proprio il disagio adolescenziale che non e' mai passato.
E la verita' e' che non passa a nessuno quel malessere, non passa a nessuno il primo amore, non passa a nessuno il genitore tossico, le sintetiche quando le provi, i cuori spezzati, le notti in giro, le ubriacature e tutte quelle cose brutte che passi nella tua adolescenza non passano mai. Non passa quel mancato rinnovo del contratto dell'azienda che sognavi da piccola, ne' il manager malsano di quando hai 20 anni.
Le violenze psicologiche in famiglia non passano mai, i traumi da relazione, gli antidepressivi.
Non c'e' nulla che passa, al piu' li correggiamo alla bene e meglio, diventiamo un pochino migliori, anche se poi alla fine diventiamo un gigante coping mechanism.
Sai che ti dico? Ancora una volta, ancora una volta non mi piace stare qua.
Forse ti dico che sono anche molto giovane per il mio ruolo, ma non per questo non capace.
Anzi, ti direi bene perche' se i 30 sono come i 20 con i soldi se non hai figli, beh allora ben vengano i prossimi anni.
Vuol dire che parto ben avvantaggiata.
Domani sara' tosta, ma perche' dovro' mettermi una super corazza addosso per non sentire i colpi che arriveranno.
"Vai, candidati, prova a essere felice".
Facciamo del nostro meglio alla fine, viviamo nel migliore dei mondi possibili.
Pero' sono stanca, diciamo anche che come tutto in qualche modo insegna e ok, non c'e' stata mai un'esperienza che non mi abbia portata al livello successivo o che in qualche modo mi abbia aiutata!
Non per questo e' meno stancante.
Poi mi manca Gabriele, siamo al 13 Settembre e mi sembra la meta' del mese. Mi manca proprio, voglio vederlo e abbracciarlo, baciarlo.
Mi manca tantissimo. Parlarci. Stretti.
Alla fine pero' pensandoci se non avessi avuto quello non sarei stata qui e cosi'.
Non passero' la vita qua ovviamente, ne' in 23mq di Borgo Pio ne' in un corner.
Pero' a 27 anni mi sembra un ottimo inizio.
Gia', ancora 27. So di essere giovane e so di avere tante possibilita' ancora davanti.
Il discorso della laurea lo sto vergognosamente abbandonando vabbe.
Cazzo manca un esame e la tesi cristo ma quando vuoi metterci.
Pero' nulla, non sento proprio essere il momento ora.
Pero' sarebbe bello laurearsi per marzo, quindi sarebbe bello iniziare a muoversi...
Sarebbe un bel passo avanti, una bella presa di posizione nei confronti di me stessa.
Sara' che piu' mi avvicino piu' non sento di volercela fare, come mettere uno spazio fra me e la mia felicita'.
Non voglio dire che mi fa cagare dove sto comunque ora mi fa cagare.
Non sono per nulla appassionata, mi stanno facendo passare la voglia sempre di piu'.
Ho bisogno di essere felice.
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e quindi... @cinqueotto, signorə e signorə, dato che forse in questi giorni tristini la tenerezza di questi due è l'unica cosa che ci può salvare, io ci ho provato✨
I fidanzatini, è così che hanno cominciato a chiamarli tutti, anni fa, a Fidene, quando ancora erano solo due ragazzini che si volevano un bene dell’anima e che faticavano a stare lontani. Città dopo città, squadra dopo squadra, quel soprannome gli è rimasto appiccicato addosso e a nessuno dei due è mai dispiaciuto, anzi, ogni volta ridevano, “Glie piacerebbe” diceva a turno uno e “No per carità, me faccio er segno da’a croce” rispondeva l’altro. Davide ci ha messo qualche anno a confessare a se stesso che gli sarebbe piaciuto per davvero, ma per tanto tempo sì è fatto bastare quello che aveva già, che poi non è mai stato poco, manco pe’ niente: Gianluca che nei weekend di pausa a Roma, quando capitava che andasse a giocare a tennis, voleva sempre fermarsi a guardarlo, come da regazzini, Gianluca che – “pe’ pijallo in giro” insisteva, ma poi sorrideva convinto – diceva che era bello come er sole, Gianluca che sosteneva di odiare quando Davide diventava appiccicoso, “è che je piglia la vena rompicoglioni, un giorno de questi me farà uscì de testa”, ma poi, così, a buffo, a volte in spogliatoio se lo tirava sulle gambe e ridendo affondava il viso sulla sua spalla, Gianluca che “certo che il tuo cane russa ‘na cifra eh” ma poi se ne stava ore intere a coccolarlo sul divano, Gianluca, Gianluca e basta.
“Finché non mi seppelliscono sto con te… Voglio viver sempre il brivido di star con te… di star con te” in macchina, mentre col dito indica Gianluca, Davide canta a squarciagola, leggero e contento, nonostante il traffico che lui odia e in cui sa che rimarranno bloccati per almeno un’ora prima di raggiungere il supermercato, è comunque contento perché può girarsi a guardarlo e poi allungarsi a dargli un bacio. È contento, sono contenti, perché stanno andando a fare la spesa, una cosa così semplice che sembrerebbe assurdo esserne entusiasti – e infatti entrambi si annoiano, nemmeno sanno perché la fanno visto che poi mangiano pasta al pesto tre giorni su cinque – ma è anche una di quelle cose che sa di famiglia e quotidianità, perciò alla fine a loro piace da morire solo per questo, perché fra le corsie del pane e della frutta possono sentirsi due fidanzatini qualunque.
Non si è mai permesso di credere che potesse ricambiare sul serio, nonostante per la sua confidente speciale, quella che li aveva visti crescere insieme, che il sabato sera preparava per loro la pizza migliore di tutta Roma (ma anche di tutta Italia, se lo chiede lei) e che, ogni tanto, nelle belle giornate, li portava in giro a fare la spesa e poi a prendere il gelato, per lei ogni occasione era buona per ricordargli di provarci, che poi le cose sarebbero andate bene, “fidate de’ nonna tua”, la stessa che, quando poi sono diventati fidanzatini a tutti gli effetti, a una cena in famiglia – allargata, come una sola, da sempre – li ha guardati con gli occhi colmi di lacrime mentre Gianluca gli passava un braccio intorno alle spalle per stringerselo addosso, “Io e nonno c’avemo sempre creduto, in tutt’e due” e quasi gli è venuto un po’ da piangere insieme a lei, di gioia, forte, perché invece a lui ogni tanto ancora gli capita di incantarsi a guardarlo come se non ci credesse, che questa fortuna è tutta sua.
Non c��ha creduto nemmeno quella sera, quando, dopo che si era presentato a casa sua all’improvviso, gli aveva raccontato di aver lasciato la sua ragazza e che gli dispiaceva, ma non era giusto lasciarla fantasticare sul loro futuro insieme, i cani, il matrimonio, quando invece, se lui pensava al suo, di futuro, “l’unica persona che ce riesco a vedé sei te”. Gli era già capitato in altre occasioni, quando Gianluca se ne usciva all’improvviso con quelle che suonavano praticamente come dichiarazioni d’amore, di sentire una spinta quasi fisica verso di lui, immaginava di stringerlo, accarezzarlo e baciarlo fino a consumarsi le mani e le labbra, ma poi, come tutte le altre volte, la spinta si era arrestata di colpo e il terrore di rovinare tutto aveva schiacciato ogni possibile scenario a lieto fine, quindi le uniche parole che era riuscito a pronunciare mentre da lontano batteva il pugno contro il suo erano state quelle della loro canzone, di quella promessa fatta dal giorno zero, per sempre: “Finché non mi seppelliscono, no?”.
La prima volta che ci ha creduto davvero è stata qualche sera dopo quella, ma solo perché non avrebbe potuto fare altrimenti, non con la bocca di Gianluca premuta sulla sua. La loro convivenza era iniziata solo da qualche giorno, ma procedeva già benissimo, tanto che persino le cose nuove, che in passato non gli era capitato spesso di fare insieme, sembravano abitudini ormai consolidate, una su tutte, la sua preferita, cucinare insieme – se fa pe’ dì: Davide preparava la pasta mentre Gianluca prima andava a disturbarlo e poi “provava” ad apparecchiare. Stava appunto girando il sugo quando gli aveva strappato il cucchiaio dalle mani e se l’era portato alla bocca.
“’Mazza che bono oh! Pare che c’hai messo lo zucchero ar posto der sale” aveva scherzato, fingendo di essere disgustato e “Se nun ce credi assaggia, tiè” aveva aggiunto, avvicinando il mestolo colmo alla bocca di Davide, sporcandolo – intenzionalmente, avrebbe capito dopo qualche istante – un po’ ovunque.
“Ma che stai a dì oh? È bono pe’ davero, io l’ho sempre saputo che so’ no chef mancato” aveva risposto teatralmente, il tono permaloso che non faticava a uscire.
“Va be’ mo’ però nun me ‘mbruttì, stavo a scherzà” lo prendeva in giro, ma quasi sembrava intenerito.
“Nun me ‘nteressa, la prossima volta te ne vai a cena fori” si era girato di scatto dall’altro lato, facendo il finto offeso, finché Gianluca non gli aveva preso il viso tra le mani guardandolo come se lo stesse ispezionando, e lui se n’era stato fermo e zitto, non intuendo cosa volesse fare.
“Guarda che sei sporco qua” aveva detto all’improvviso accarezzandolo all’angolo della bocca, non lasciandogli il tempo per rispondere prima di allungarsi a lasciargli un bacio, facendo sparire la macchia di pesto e comparire un’espressione a dir poco sorpresa.
“Che è? Se aspettavo a te facevamo notte” aveva sorriso con un ghigno furbo, a sfidarlo bonariamente.
“Ma te che ne sai scusa? Magari stavo a’ aspetta’ un momento meno scontato, al contrario tuo”
“Si va be’ secondo me invece non c’hai capito niente, che te serviva de più? L’altra sera me so’ dichiarato e tu fermo immobile”
Nella voce giocosamente infastidita non era riuscito a camuffare la gioia pensando che allora non è che sembrava una dichiarazione d’amore, lo era veramente, “Ao’ ma n’ho capito che tattica c’hai? Pe’ fatte bacià di nuovo me dici che so’ stupido?”
Non gli aveva nemmeno risposto, avvicinandosi ancora per lasciargli un altro bacio e poi un altro e un altro ancora, prima di fermarsi solo per puntualizzare, con una faccia soddisfatta: “E intanto vedi che sta a funzionà?” ricominciando subito dopo, ma bloccandosi poi nuovamente perché “Mo’ basta però, che ‘sta pasta è n‘attimo che diventa colla”
“Guarda che mo’ questo può solo diventà il tuo piatto preferito, to’o farò magna fino allo sfinimento”
“Finché non mi seppelliscono?” e Davide avrebbe davvero dovuto girare quella pasta per un ultimo, disperato, tentativo di salvarla dal finire direttamente nel cestino, ma non aveva resistito e l’aveva tirato nell’ennesimo bacio, annuendo.
“Sì ma se nun te dai ‘na mossa me seppelliscono direttamente stasera, la stai a fà diventà veleno”
E quella sera, mentre lo guardava mangiare con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia i rigatoni al pesto più scotti della storia, Davide ci ha creduto per davvero, finalmente.
#chiedo umilmente perdono per il dialetto improvvisato spero di aver azzeccato qualcosa#scamattesi fic#fics
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“ Mia madre è la forza e la tempesta, ma anche la bellezza, la curiosità per il mondo, l’apripista sulla strada verso il futuro, che mi dice di non aver mai paura di niente e di nessuno. Combatte contro tutti, i fornitori e i cattivi clienti del suo negozio, i canali di scolo ostruiti della nostra via e lorsignori che tenteranno sempre di schiacciarci. Si porta in scia un uomo dolce e trasognato, dalla parlata pacata, con la tendenza a rabbuiarsi per giorni alla minima contrarietà, ma che conosce un’infinità di barzellette e di indovinelli, qual è il contrario di melodia, cosa fa un chicco di caffè sul treno, e canzoni che mi insegna mentre lui si occupa del giardino e io raccolgo vermi da gettare nel recinto delle galline: mio padre. Dentro di me non faccio distinzioni tra i due, semplicemente sono la bambolina di pezza di lei, il tacchino di lui, per entrambi sono il frutto del ripensamento, ed è a lei che devo assomigliare perché sono una bambina, e come lei anch’io un giorno avrò il seno, farò la permanente, indosserò calze di nylon. La mattina, in classe, papà-va-al-lavoro, mamma-resta-a-casa, sbriga-le-faccende, prepara-un-pranzetto-coi-fiocchi, io farfuglio, ripeto insieme alle altre senza stare lì a questionare. Ancora non mi vergogno di non avere dei genitori normali. Il mio, di padre, la mattina non esce, e se è per questo nemmeno il pomeriggio. Resta a casa. Sta al bancone del caffè-drogheria, lava i piatti, cucina, sbuccia le verdure. Lui e mia madre gestiscono la stessa attività, con il viavai di uomini dalla parte del bar, di donne e bambini dalla parte dell’alimentari, le persone che costituiscono tutto il mio mondo. I miei genitori condividono le competenze, le preoccupazioni, il registratore di cassa che lui svuota ogni sera, mentre lei lo osserva contare. Dicono, lui o lei, «giornata magra», altre volte, «oggi bene, dai». L’indomani uno dei due andrà a depositare il denaro sul conto in posta. Non svolgevano esattamente le stesse mansioni, esisteva pur sempre una divisione di ruoli, ma non aveva nulla di tradizionale, eccezion fatta per i panni, da lavare e da stirare, di cui si incaricava mia madre, e la manutenzione dell’orto, compito di mio padre. Tutto il resto sembrava essere dettato dai gusti e dalle inclinazioni di ciascuno. Lei si occupava soprattutto della drogheria, lui del caffè. Da una parte la ressa di mezzogiorno, i minuti contati, alle clienti non piace aspettare, vieni che c’è gente, e con richieste d’ogni tipo, una bottiglia di birra, un pacchetto di forcine, una folla di donne diffidenti, da rassicurare in continuazione, vedrà che questa marca è la migliore, parola mia. Arte della persuasione, lingua sciolta. Mia madre era esausta e appagata, usciva raggiante da una giornata in negozio. Dall’altra parte i bicchieri di vino tirati in lungo per ore, uomini placidamente seduti al tavolino, un tempo sospeso, senza orologio. Nessun motivo di correre, di tessere le lodi dei prodotti né di fare conversazione, bastavano già gli avventori a chiacchierare per due. Fa al caso suo, lunatico com’è, così dice mia madre. E poi i clienti del bar gli lasciano il tempo per un mucchio di altre attività. “
Annie Ernaux, La donna gelata, traduzione di Lorenzo Flabbi, Roma, L'Orma editore (collana Kreuzville Aleph), 2021¹; pp. 15-17.
[1ª Edizione originale: La Femme gelée, Paris, Éditions Gallimard, 1981]
#Annie Ernaux#La donna gelata#letture#leggere#positività#letteratura francese contemporanea#autobiografie#XX secolo#Annie Thérèse Blanche Ernaux#Annie Duchesne#femminismo#letteratura europea del '900#citazioni letterarie#scrittrici#libri#racconto di formazione#anticonformismo#genitori#bambini#famiglie non convenzionali#ricordi d'infanzia#Francia#lavoro#Premio Nobel per la Letteratura#famiglia#matrimonio#vita#romanzi autobiografici#monologo interiore#passato
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SQUILLA IL TELEFONO
- Pronto?
- Si buongiorno sono Veronica e la chiamo dalla Agganauei Interprise S.p.A. Ltd Wtf
- Cosa desidera?
- Ci risulta da delle sue ricerche su internet che si è interessato di investimenti immobiliari.
- Vi risulta? Come fate a farvelo risultare?
- Ci risulta perché risalta nella sua cronologia.
- Mi scusi...
- Prego dica...
- Ma se risalta allora lei avrebbe dovuto dire "ci risalta dalla sua cronologia". Non le pare?
- Si, se le fa piacere userò questo termine ci risalta dalla sua cronologia.
- Bene, aspetti che controllo allora perché sono giusto davanti al computer.
- Mi scusi, cosa controlla?
- La mia cronologia, voglio comprendere quali investimenti immobiliari io abbia cercato.
- No guardi, quelli che ha cercato a me...
- PornHub
- ...non interessano, perché...
- PornTube
- ...le devo proporre quello che abbiamo noi...
- Cognate bagnate.
- ...nel nostro portafoglio...
- Porno casalingue.
- ...di clienti selez...
- Poppe al vento.
- ...mi scusi, ma che sta dicendo?
- Sto leggendo la mia cronologia.
- Quindi?
- Quindi a meno che lei non mi voglia proporre sex toys come "Ulla la bambola che ti trastulla", io investimenti immobiliari mica li ho cercati sa?
- Sicuro?
- Sicurissimo, sto guardando la cronologia di un'intera settimana appena trascorsa.
- Ma lei guarda solo siti porno, mi scusi.
- No, cerco anche di imparare molte cose.
- Meno male, mi stavo preoccupando di aver chiamato un maniaco sessuale.
- Ma no, si impara di tutto sul web dalle cose semplici a quelle più complesse. Per esempio lo sa che il leone ruggisce, la mucca muggisce e la pecora nitrisce?
- No guardi, semmai la pecora bela.
- Se avesse dietro un cavallo le assicuro che nitrisce.
- Senta signore, io devo fare il mio lavoro e parlarle della Agganauei Interprise S.p.A. Ltd Wtf LoL per quanta riguarda gli investimenti immobiliari.
- Anche LoL? prima non l'aveva detto.
- Cambia qualcosa?
- No tranquilla.
- Lei è molto attento.
- Insomma, abbastanza.
- Le faccio una proposta.
- Mi dica.
- Appartamenti.
- Dove?
- Roma?
- Ai romani.- Anzio?
- Agli anziani.
- Lecco?
- Chi mi piace.
- Asti?
- Cazz1!
- Chieti?
- E ti sarà tato.
- Ha finito.
- Mi sto divertendo.
- Io non mollo.
- Manco io.
- Sono una con gli attributi sa?
- Io cerco una con i contributi.
- Per stare inpsieme?
- Aaah, vede che anche lei è spiritosa?
- Mi sta facendo una dichiarazione?
- Si, dei redditi.
- Guardi, sono molto agguerrita. L'avverto, questa mattina mi è scappato un pensiero a voce alta davanti allo specchio nel bagno. Non le dico il litigio con me stessa che n'è scaturito.
- Lei ha trovato pane per i suoi denti, sono uno dalla querela facile. Il mio avvocato è sempre sotto pressione con me.
- Civilista o penalista?
- Da quando sono suo cliente è alcolista.
- Un uomo tosto.
- No, sordo. Uso un amplificatore per l'udito.
- Davvero?
- Si, una volta in aereo lo spensi. Vidi una persona davanti a me che stava urlando e mi misi a urlare anche io, pensavo che stessimo precipitando.
- Com'è andata a finire?
- Niente, stava solo sbadigliando. Però l'ho denunciato per tentato terrore.
- Una domanda, visto che lei impara tanto dal web. Vedo che spesso mi rispondono sui social mettendo come firma - cit. Ma chi è cit? Un poeta? Uno scrittore?
- Ma no tranquilla, finché si tratta di -cit. va tutto bene, io mi preoccuperei se le scrivessero qualcosa citando -Rip.
- Ok, visto che siamo in vena di confessioni le dico in confidenza che io sono una donna molto temeraria.
- Ah si? Tipo? Cosa ha fatto di temerario?
- Si tenga forte, so mettermi il mascara senza aprire la bocca davanti allo specchio.
- Urca, tosta questa cosa. Io so far cadere le fette biscottate imburrate con la marmellata sul lato farcito. Oh, non sbaglio un colpo.
- Cavoli, lei si che è macho. Qual è il suo cantante preferito?
- Vasco Rossi.- Piace anche a me, mi canta un ritornello della canzone che preferisce?
- Certo: "Tu e assoreta dentro la stanza, e chittemurto fuoriiiii".- Qual è il suo cognome?
- Fumo, il suo?
- Erba.
- Di cosa ha più paura?
- Del "ti devo parlare” detto da una donna.
- Lei?
- "La sua taglia è finita"
- Terribile.
- Si, allora posso parlarle di investimenti?
- Mio zio ha avuto una brutta esperienza con un investimento.- Investimento sbagliato?
- No giusto, lo centrarono in pieno. Sbam! Finì al pronto soccorso.
- Mi è simpatico. Posso farle una domanda intima?
- Certo Veronika.
- Veronica, con la "c" e non la "k".
- Ah, mi scusi. Ma come ha fatto a capirlo?
- Ma questo è un dialogo scritto da un minchione, non lo sta leggendo?
- Ah si, vero. Mi faccia la domanda intima.
- Cosa non le piace dopo aver fatto sesso?
- Dover sgonfiarla e riporla in un cassetto.
- Capisco.
- Lei invece quale posizione preferisce per fare all'amore?
- Mmmmh, credo quella seduta su una sedia.
- E lui?
- Lui chi?
- No niente.
- Ora che facciamo?
- Vuole fare investimenti immobiliari con la Agganauei Interprise S.p.A. Ltd Wtf LoL Milf?
- No, mi dispiace. Le creerà un problema?
- Dovrò riferire questa cosa a chi sta sopra di me, ma ci sono abituata.
- Come si chiama chi sta sopra di lei?
- Testicoli.
- Il signor Testicoli?!
- No, sono due.
- Due Testicoli?
- Si, sono fratelli.
- Tutto torna. Magari il capo di voi tutti e il signor Cappella.
- Lo conosce?
- Lasci perdere.
- Lasciamo perdere. La saluto.
- Grazie buona continuazione.
- A lei.
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Buono, ... Molto buono...
“Ecco vede – fece l’Uomo-sicuro-di-se mostrando il cellulare – ho chiamato alle 13:00 poi alle 13:15 e infine si è degnato di rispondermi alle 13:30 e mi ha prenotato per stasera alle 20:00! Guardi, guardi l’ora e il numero” E l’Uomo-sicuro-di-se mostrò con orgoglio il cellulare con grande approvazione della comitiva per cui aveva prenotata, costituita da lui, tre uomini molto particolari nel vestire e nell’aspetto, due donne dalle forme generose e due bambine che da grandi sarebbero state delle brave casalinghe altolocate. Il cameriere, che con le sue movenze alla Nino Manfredi ed il volto allungato con occhiali rondi e capelli dritti sparati verso l’alto come il suonatore cieco di Amarcord, osservò il telefono preoccupato dall’idea di aver detto di si a quella comitiva che avrebbe oltremodo riempito la piccola trattoria già al completo che gestiva con la moglie. Guardò con attenzione poi senza dire una parola prese da un tavolo vicino una tovaglietta di carta dove oltre che al menù era riportato il numero di telefono della trattoria. “Guardi pero che il suo numero non è il mio, il numero della trattoria è diverso” L’uomo-sicuro-di-sé guardò i due numeri sul cellulare e sulla tovaglietta e impallidì. Incominciò a muovere le dita sul telefonino fino a che alzò lo sguardo e disse alla comitiva “Soccia ragà ho chiamato la trattoria con lo stesso nome di questa a duecento chilometri da qua” “Soccia se partiamo adesso arriviamo per quando chiude” Disse quello della comitiva con la faccia meno sveglia Vuoi dire che non hai prenotato?” Chiese la donna con la faccia più cattiva “Mamma ho fame!” fece la bambina con la faccia più sveglia “Non ci può far mangiare qualcosa di veloce?” Chiese la donna con la faccia da madre Il cameriere li guardò con il suo sguardo tra lo stralunato ed il geniale “Vado a chiedere alla Franzesca” E scomparve saltellando dentro la trattoria lasciando gli otto sullo stretto marciapiede occupato dai piccoli tavoli del locale. “Meno male che hai prenotato” Mi disse compiaciuta La Moglie seduta accanto a me su uno dei tavolini posti sul marciapiede. Mentre l’uomo-sicuro-di-se telefonava al ristorante posto duecento chilometri più in là per disdire la prenotazione e sfuggire così al linciaggio, per ora morale, del resto della comitiva. Il cameriere uscì saltellando “La Franzesca ha detto che potete restare, ma vi dovete accontentare di quello che c’è….” Il gruppo acconsentì con entusiasmo ed incominciò ad unire i piccoli tavoli. Il cameriere saltellò fino a noi e chiese “allora siete pronti ad ordinare? Posso dirvi..” “veramente sappiamo già cosa chiedere” Feci mostrando il telefonino con la stessa coglionesca superiorità che aveva mostrato prima l’Uomo-sicuro-di-se. “ah va bene – fece con un po' di delusione il testimonial di Amarcord – però volevo dirvi che la Franzesca ha fatto i fusilli freschi e li serviamo con un sugo rosso che poi è un sugo allo scoglio…” Visioni celestiali apparvero improvvisamente come miraggi di cascate nel mezzo del deserto. “ Va bene, allora antipasto al tagliere e i fusilli freschi per me, per mia moglie … cosa vuoi?” “No, pasta no, prendo la bistecca di tonno” La guardai stupito. Noi siciliani abbiamo la presunzione che solo nella nostra isola si sappia cucinare il tonno o il pescespada e che fuori dall’ isola si spacci per tonno o pescespada del miserrimo pesce da taglio qualsiasi. “Va bhe” faccio scettico e rassegnato alle prossime critiche. Mentre aspettiamo appare improvvisa la cuoca che con fare leggero, malgrado le sue forme tonde, appoggia sul tavolo un sacchetto pieno di Piada Ci guarda sorridendo con il suo volto di luna piena “Un po' di Piada calda” ci fa sorridendo con un sussurro che sa di vento della primavera e scompare, lasciando un profumo caldo e una Piada a pezzi soffice e tenera, tiepida come la guancia di una bimba. La Moglie parte spedita e divorando le prime fette commenta “Buona, molto buona!” D’improvviso appare il cameriere portando un tagliere enorme “C’è il salame che facciamo noi, quello di cinghiale, la mortadella, il prosiutto – noi osserviamo stupiti come bambini di fronte ai regali sotto l’albero di Natale – C’è il Museruolo (?) che facciamo noi, i crostini con la cipolla di Tropea, quella dolce e l’aglio..” “Scusi ma l’aglio… non è pesante?” “No stia tranquillo, è una ricetta tradizionale, non le darà fastidio e non le rovinerà l’alito” Ci lascia e mentre scatto le foto, la moglie assaggia il salame di cinghiale. “Buono … molto buono!” e parte all’attacco prendendo ancora salame, poi prosciutto, cipolla e spalmando squacquerone sulla Piada tiepida” Recupero terreno afferrando la mortadella e avvolgendone la Piada e ingoiandola con lasciva voluttà! La sensualità della mortadella è sempre incredibile! Quella poi era perfettamente rosea come le cosce interne di una donna, era morbida come le sue labbra, grassa come il piacere che poteva dare a stringerla e lo squacquerone era la bianca morbida alcova in cui amarla. Mentre io amoreggiavo con la passionale motadellona, La Moglie spazzolava il salame al cinghiale, divorava il prosciutto, decimava il salame di casa e quello strano grasso Museruolo che non sapevamo cosa fosse, ma che trasudava peccaminoso grasso e colava piacere in ogni sua piccola parte. Presto l’ultima rosea fetta di mortadella e di profumato salame casalingo sparirono e restò l’aglio a guardarci nel suo bagno di puro olio e peperoncino “Proviamolo” Dissi fiducioso e ne assaggiare uno spicchio seguito falla moglie “Lo spicchio scrocchio in buca senza rilasciare il suo terribile gusto aglioso. “Buono” Feci contento “Molto buono” Fece la moglie stupita, e via a riempirsi il piatto di quelle perle scrocchiantose e delicate. Intanto l’uomo-sicuro-di-se e il resto della compagnia attendevano fiduciosi seduti come bravi scolaretti ai piccoli tavoli della trattoria. Arrivò il cameriere e depose di fronte alla moglie una delicata fetta di tonno mostrandomi un piatto colmi di gnocchi ricoperti da un traslucido velo fatto con il sangiovese e piccole isole di salsiccia arrossata dal vino disposte a caso tra le onde formate dalle rotondità della pasta di patate: un capolavoro. Ero tentato di prenderlo ma esitando osai dire “Veramente ho ordinato i fusilli” L’omino spalancò gli occhi terrorizzato per lo sbaglio fatto. Scomparve saltando via La moglie osservò la bistecca. La studiò poi con la punta della forchetta ne prese un piccolo pezzo portandolo alla bocca. Mi osservò stupita. L’osservai anch’io stupito e timoroso di una sua reazione negativa. “È buono?” “È buono – fece lei stupita – molto buono” E zac via una fetta di tonno. L’osservo speranzoso che la dividesse con me, invece via, ingoiata e subito una morbida fetta di Piada a cancellare i residui di olio e tonno rimasti nel piatto. Arrivò il piatto di fusilli che era un’apoteosi di profumi di mare. Presi un fusillo e dopo averlo avvolto nella forchetta lo mangiai. Era delicatissimo, come la pasta che mia madre faceva in casa la domenica, che quasi si scioglieva in bocca. Non esitai più! Immersi la forchetta nel groviglio di pasta e ne tirai su una forchettata degna di quella di Alberto Sordi in ‘Un americano a Roma’ “Wuofff” Fece in quel momento Dino, il nostro barboncino che destato dal profumo mi osservava seduto dal mio lato con fare serio e determinato “ Ma come – mi stava dicendo – e a me niente” “Ah fame – disse La Moglie che è l’avvocato di Dino – guarda come ti guarda, non ti fa pena? Dagliene un po'” E prendendo la ciotola portabile di silicone l’aprì e me la porse perché la riempissi. Misi un po' di pasta e spostai verso di me il piatto come a difenderlo. “Guarda come mangia gli piace“ Fece contenta la moglie “ dagliene ancora” e zac si ruba un'altra forchettata di pasta divina e dolcissima, immersa in quel sugo di cozze e vongole che avrebbe fatto resuscitare anche Fellini. Finii velocemente pulendo il piatto con la Piada e la bocca con un bicchiere di bianco frizzante. Pagammo e ci avviammo mentre sui tavoli della comitiva si adagiava un enorme pastiera colma di fusilli casarecci, di cozze, vongole e scampi. “Mamma è buona …” Fece una bambina che aveva afferrato un lungo fusillo divorandolo. La seconda bambina fece la stessa cosa e aggiunse “Molto buona….” “Wuofff” Aggiunse Dino a confermare l’entusiasmo infantile che la pasta aveva suscitato.
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Ieri sono stata dalla parrucchiera con la mia capa e ok è stata molto carina e molto "mamma" nei miei confronti, come lo è quando parliamo di cose non inerenti all'azienda, però mi è sembrato tantissimo di stare a lavoro. Passo più tempo con lei che con mio padre, e passarlo anche il sabato è stato stranissimo. Sarà che non sono abituata ai rapporti sociali.
Oggi ho recuperato un po' la mia calma persa ieri e ho letto al sole, ho visto una biscia sotto la finestra del mio bagno e per poco non mi mettevo a piangere -chissà se dormirò stanotte, ho fatto skincare e ho ordinato dei prodotti online. Ho cambiato le lenzuola e ora mi sembra di stare su una caramella (ma sono io la caramella!), ho ripreso un'agendina che non ho usato per un mese, ho assistito a un combattimento tra i due gatti che credevo si stessero corteggiando da giorni, ho sistemato la mia camera e non vedo l'ora che sia di nuovo sabato.
Sono stata con me stessa, come sempre, un po' tranquilla e un po' in ansia perché domani sarà di nuovo lunedì. Vorrei staccare per due giorni, ma potrei solo andare a milàn da pepe e 5 ore di treno non mi vanno. Vorrei fare una camminata in montagna, ma da sola non mi piace. Vorrei andare al mare, ma il sabato e la domenica c'è troppa gente e mi sento male. Vorrei andare a Roma city, ma non posso far mica il terzo incomodo -di nuovo- tra la mia collega e il suo "tipo". A volte mi sento come se avessi perso la curiosità di cui sono sempre stata fiera.
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mi sento come quando a tre anni non volevo andare all’asilo. la cosa buffa e strana è che riesco esattamente a richiamare in me la stessa atmosfera e le stesse sensazioni precise che vivevo. l’odore dell’ingresso della scuola, un po’ dolce, un po’ di chiuso e un po’ di plastilina modellabile. e vivo l’angoscia di separazione da mia madre, la sensazione di vuoto e di sentirmi sperduta in un posto dove non avevo nessuno. la gentilezza delle bidelle che mi consolavano quando piangevo, la premura della maestra enza nel mettermi accanto a lei e darmi dei fogli per disegnare. la maestra gaetana che mi anticipava tutte le tappe della giornata nel dettaglio per placare la mia ansia, riuscendo effettivamente a farmi sembrare quelle otto ore molto più veloci e tollerabili e ad affievolire la paura della separazione, anche se lei era una stronza. poi tornare a casa e mettermi a giocare per tutto il pomeriggio con mia sorella piccolina e mia madre che stirava, l’autunno, le mew mew in televisione, il cd con le sigle dei cartoni animati. che bella la mia vecchia casa, mi manca sempre tantissimo, la collego solo a momenti belli, per la solita tendenza umana di romanticizzare il passato e ricordarselo sempre e comunque meglio del presente. mi piacerebbe tornarci un giorno, per vedere come è ora e come l’hanno arredata i nuovi inquilini. sono davvero tanti anni che siamo qui, credo una quindicina, chissà quanti proprietari ci sono passati, magari tre o magari sono sempre gli stessi a cui l’abbiamo venduta. mi piace sempre tanto sprofondare nei ricordi belli, mi dà un senso di sicurezza, di malinconia positiva. mi ricordo quando tutte le domeniche andavamo da mia nonna a Roma, un rituale durato una decina di anni. prepararsi la mattina, farsi la nomentana pensando a quale pranzo delizioso ci avrebbe cucinato, poi tornare la sera con la strada illuminata e osservare tutto dal finestrino. ormai la so a memoria, ogni traversa, ogni palazzo, ogni balcone illuminato ogni albero e ogni foglia ingiallita. tutte le sere poi da piccola chiamavo mia zia e stavamo un'oretta al telefono, chissà di cosa parlavamo, non mi ricordo proprio. ricordo solo che una volta le chiesi se baciava il suo fidanzato con la lingua e lei mi disse di sì e rise tantissimo per la mia reazione scandalizzata. chissà nella mia testa cosa facevano le coppie di quarantenni. ora con mia zia parlo una volta l'anno, quando mi fa gli auguri di compleanno su whatsapp e quando glieli faccio io. è tutto cambiato. la domenica pranzo a casa, non ascolto più le colonne sonore dei cartoni, mia madre non stira più, mia sorella è grande e ha le sue cose da fare, però io ancora non voglio andare all'asilo.
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