#chiedo umilmente perdono per il dialetto improvvisato spero di aver azzeccato qualcosa
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e quindi... @cinqueotto, signorə e signorə, dato che forse in questi giorni tristini la tenerezza di questi due è l'unica cosa che ci può salvare, io ci ho provato✨
I fidanzatini, è così che hanno cominciato a chiamarli tutti, anni fa, a Fidene, quando ancora erano solo due ragazzini che si volevano un bene dell’anima e che faticavano a stare lontani. Città dopo città, squadra dopo squadra, quel soprannome gli è rimasto appiccicato addosso e a nessuno dei due è mai dispiaciuto, anzi, ogni volta ridevano, “Glie piacerebbe” diceva a turno uno e “No per carità, me faccio er segno da’a croce” rispondeva l’altro. Davide ci ha messo qualche anno a confessare a se stesso che gli sarebbe piaciuto per davvero, ma per tanto tempo sì è fatto bastare quello che aveva già, che poi non è mai stato poco, manco pe’ niente: Gianluca che nei weekend di pausa a Roma, quando capitava che andasse a giocare a tennis, voleva sempre fermarsi a guardarlo, come da regazzini, Gianluca che – “pe’ pijallo in giro” insisteva, ma poi sorrideva convinto – diceva che era bello come er sole, Gianluca che sosteneva di odiare quando Davide diventava appiccicoso, “è che je piglia la vena rompicoglioni, un giorno de questi me farà uscì de testa”, ma poi, così, a buffo, a volte in spogliatoio se lo tirava sulle gambe e ridendo affondava il viso sulla sua spalla, Gianluca che “certo che il tuo cane russa ‘na cifra eh” ma poi se ne stava ore intere a coccolarlo sul divano, Gianluca, Gianluca e basta.
“Finché non mi seppelliscono sto con te… Voglio viver sempre il brivido di star con te… di star con te” in macchina, mentre col dito indica Gianluca, Davide canta a squarciagola, leggero e contento, nonostante il traffico che lui odia e in cui sa che rimarranno bloccati per almeno un’ora prima di raggiungere il supermercato, è comunque contento perché può girarsi a guardarlo e poi allungarsi a dargli un bacio. È contento, sono contenti, perché stanno andando a fare la spesa, una cosa così semplice che sembrerebbe assurdo esserne entusiasti – e infatti entrambi si annoiano, nemmeno sanno perché la fanno visto che poi mangiano pasta al pesto tre giorni su cinque – ma è anche una di quelle cose che sa di famiglia e quotidianità, perciò alla fine a loro piace da morire solo per questo, perché fra le corsie del pane e della frutta possono sentirsi due fidanzatini qualunque.
Non si è mai permesso di credere che potesse ricambiare sul serio, nonostante per la sua confidente speciale, quella che li aveva visti crescere insieme, che il sabato sera preparava per loro la pizza migliore di tutta Roma (ma anche di tutta Italia, se lo chiede lei) e che, ogni tanto, nelle belle giornate, li portava in giro a fare la spesa e poi a prendere il gelato, per lei ogni occasione era buona per ricordargli di provarci, che poi le cose sarebbero andate bene, “fidate de’ nonna tua”, la stessa che, quando poi sono diventati fidanzatini a tutti gli effetti, a una cena in famiglia – allargata, come una sola, da sempre – li ha guardati con gli occhi colmi di lacrime mentre Gianluca gli passava un braccio intorno alle spalle per stringerselo addosso, “Io e nonno c’avemo sempre creduto, in tutt’e due” e quasi gli è venuto un po’ da piangere insieme a lei, di gioia, forte, perché invece a lui ogni tanto ancora gli capita di incantarsi a guardarlo come se non ci credesse, che questa fortuna è tutta sua.
Non c’ha creduto nemmeno quella sera, quando, dopo che si era presentato a casa sua all’improvviso, gli aveva raccontato di aver lasciato la sua ragazza e che gli dispiaceva, ma non era giusto lasciarla fantasticare sul loro futuro insieme, i cani, il matrimonio, quando invece, se lui pensava al suo, di futuro, “l’unica persona che ce riesco a vedé sei te”. Gli era già capitato in altre occasioni, quando Gianluca se ne usciva all’improvviso con quelle che suonavano praticamente come dichiarazioni d’amore, di sentire una spinta quasi fisica verso di lui, immaginava di stringerlo, accarezzarlo e baciarlo fino a consumarsi le mani e le labbra, ma poi, come tutte le altre volte, la spinta si era arrestata di colpo e il terrore di rovinare tutto aveva schiacciato ogni possibile scenario a lieto fine, quindi le uniche parole che era riuscito a pronunciare mentre da lontano batteva il pugno contro il suo erano state quelle della loro canzone, di quella promessa fatta dal giorno zero, per sempre: “Finché non mi seppelliscono, no?”.
La prima volta che ci ha creduto davvero è stata qualche sera dopo quella, ma solo perché non avrebbe potuto fare altrimenti, non con la bocca di Gianluca premuta sulla sua. La loro convivenza era iniziata solo da qualche giorno, ma procedeva già benissimo, tanto che persino le cose nuove, che in passato non gli era capitato spesso di fare insieme, sembravano abitudini ormai consolidate, una su tutte, la sua preferita, cucinare insieme – se fa pe’ dì: Davide preparava la pasta mentre Gianluca prima andava a disturbarlo e poi “provava” ad apparecchiare. Stava appunto girando il sugo quando gli aveva strappato il cucchiaio dalle mani e se l’era portato alla bocca.
“’Mazza che bono oh! Pare che c’hai messo lo zucchero ar posto der sale” aveva scherzato, fingendo di essere disgustato e “Se nun ce credi assaggia, tiè” aveva aggiunto, avvicinando il mestolo colmo alla bocca di Davide, sporcandolo – intenzionalmente, avrebbe capito dopo qualche istante – un po’ ovunque.
“Ma che stai a dì oh? È bono pe’ davero, io l’ho sempre saputo che so’ no chef mancato” aveva risposto teatralmente, il tono permaloso che non faticava a uscire.
“Va be’ mo’ però nun me ‘mbruttì, stavo a scherzà” lo prendeva in giro, ma quasi sembrava intenerito.
“Nun me ‘nteressa, la prossima volta te ne vai a cena fori” si era girato di scatto dall’altro lato, facendo il finto offeso, finché Gianluca non gli aveva preso il viso tra le mani guardandolo come se lo stesse ispezionando, e lui se n’era stato fermo e zitto, non intuendo cosa volesse fare.
“Guarda che sei sporco qua” aveva detto all’improvviso accarezzandolo all’angolo della bocca, non lasciandogli il tempo per rispondere prima di allungarsi a lasciargli un bacio, facendo sparire la macchia di pesto e comparire un’espressione a dir poco sorpresa.
“Che è? Se aspettavo a te facevamo notte” aveva sorriso con un ghigno furbo, a sfidarlo bonariamente.
“Ma te che ne sai scusa? Magari stavo a’ aspetta’ un momento meno scontato, al contrario tuo”
“Si va be’ secondo me invece non c’hai capito niente, che te serviva de più? L’altra sera me so’ dichiarato e tu fermo immobile”
Nella voce giocosamente infastidita non era riuscito a camuffare la gioia pensando che allora non è che sembrava una dichiarazione d’amore, lo era veramente, “Ao’ ma n’ho capito che tattica c’hai? Pe’ fatte bacià di nuovo me dici che so’ stupido?”
Non gli aveva nemmeno risposto, avvicinandosi ancora per lasciargli un altro bacio e poi un altro e un altro ancora, prima di fermarsi solo per puntualizzare, con una faccia soddisfatta: “E intanto vedi che sta a funzionà?” ricominciando subito dopo, ma bloccandosi poi nuovamente perché “Mo’ basta però, che ‘sta pasta è n‘attimo che diventa colla”
“Guarda che mo’ questo può solo diventà il tuo piatto preferito, to’o farò magna fino allo sfinimento”
“Finché non mi seppelliscono?” e Davide avrebbe davvero dovuto girare quella pasta per un ultimo, disperato, tentativo di salvarla dal finire direttamente nel cestino, ma non aveva resistito e l’aveva tirato nell’ennesimo bacio, annuendo.
“Sì ma se nun te dai ‘na mossa me seppelliscono direttamente stasera, la stai a fà diventà veleno”
E quella sera, mentre lo guardava mangiare con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia i rigatoni al pesto più scotti della storia, Davide ci ha creduto per davvero, finalmente.
#chiedo umilmente perdono per il dialetto improvvisato spero di aver azzeccato qualcosa#scamattesi fic#fics
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