#relazioni madre-figlio
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Il Segreto di Helena: Un’intensa storia di amore e segreti nella splendida isola di Cipro. Recensione di Alessandria today
Lucinda Riley ci regala una nuova emozionante saga familiare, tra passato e presente, in uno scenario incantevole e ricco di mistero.
Lucinda Riley ci regala una nuova emozionante saga familiare, tra passato e presente, in uno scenario incantevole e ricco di mistero. Recensione: Con “Il Segreto di Helena”, Lucinda Riley ci trasporta nelle atmosfere calde e avvolgenti di Cipro, dove si dipana una storia che intreccia mistero, amore e segreti che riaffiorano dal passato. La protagonista, Helena, ritorna alla villa di famiglia,…
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Sindrome di Medea: analisi dei labirinti dell'Amore Distorto
L’esperienza stante al diventare genitori si rivela da sempre uno choc emotivo e psicologico. I poli dualistici di amore e odio generati da questo trauma si rivelano spesso compromettenti per la salute mentale dei genitori, specie per le madri. In questo articolo si analizzeranno i fattori scatenanti la così detta Sindrome di Medea, la malattia labirintica dell’amore distorto, e delle possibili…
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Mia madre non c'era più, c'era il suo vuoto. [...] Quando era morta, il dispiacere che avevo provato non era stato molto diverso da un fastidio. Soltanto quella notte sulla sua tomba mi ero reso conto che era davvero morta. Non avrei più visto il suo volto, né sentito i suoi passi leggeri che si aggiravano per casa. Non avrei potuto più abbracciarla né chiederle scusa, l'ultima immagine sarebbe rimasta per sempre quella di lei che si allontanava sull'autobus salutandomi con la mano aperta, l'abbraccio freddo e stupito che le avevo dato poco prima dell'addio. In fondo lei era stata l'unica persona con cui avevo avuto un minimo di comunione. Per un po' nella mia infanzia eravamo stati un'isola felice, noi due contro il mondo intero. Il mondo era mio padre. Io ero la sua consolazione, la sua gioia, lo ero stato per un tempo troppo breve. Se ne era andata e non le avevo detto addio.
Susanna Tamaro, "Anima mundi"
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Un sabato sera dai minuti contati questo.
Raggiunta casa di mia madre, entro in silenzio e come immaginavo lei è già a letto. Le chiudo la porta della camera per non disturbarla, mentre sistemo la spesa che le ho fatto, controllo nel frigorifero le confezioni di alimenti scadute. Le rimuovo buttando il contenuto negli organici.
Lei puntigliosa su queste cose, ora non le riesce più di controllarle.
Un rapido riassetto alla casa, ma non le metto a posto tutto. So quanto ci tenga a dimostrare di saperci ancora fare con le pulizie, diciamo che pulisco dove c'è da spostare o alzare qualcosa di pesante.
Mi giunge la telefonata di figlio 2 "Papà ci sono le pizze da infornare, sai che dopo devo uscire".
Mi avvio a casa, dopo aver avuto cura di sistemare le medicine dentro il porta pillole settimanale, in modo che mia madre non sbagli.
La frase di mio figlio "...sai che dopo devo uscire" era incompleta.
La verità è che lo dovrò accompagnare io. In auto raccogliendo tre suoi amici.
Le pizze sono uscite molto buone questa sera, forse la pioggia che insiste me le farebbe gustare meglio se Gabriele non uscisse. Se ancora per un sabato sera fosse il mio scricciolo a casa. Ma non sarebbe giusto per lui.
Appuntamento sotto lo stadio cittadino, poi seconda stella a destra, questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino, poi la strada la trovi da te, porta a una pensilina dove c'è un altro amico per voi tre. Anzi quattro, maledetta rima.
Li ascolto parlare, mi fanno sorridere e anche ridere. Non hanno nulla che non vada bene. Sono ventenni con la voglia di vivere e divertirsi. Lo ero anche io. Forse non sentendomi mai amico al pari degli altri.
Tipo strano "il Rino", sempre assorto e spesso assente.
Li lascio alla pensilina concordata dove il quinto amico li aspetta, e si fanno i nomi di altri che arriveranno più tardi. Forse.
Li saluto, Gabriele inaspettatamente mi saluta baciandomi. "Non ti preoccupare pa' sarò bravo e starò attento, come vuoi tu".
Non ho nulla da obiettare, riparto. Alla prima rotatoria inverto il senso di marcia, un'ultima occhiata a qui sorrisi, a quella complicità di amici che legano le proprie vite in un patto di sangue, di quelli indissolubili che se ben curate, come relazioni, potrebbero durare davvero a lungo.
Nel mio ritorno solitario penso alle mie amicizie perse, al fatto che mi sento solo ed estraneo anche in mezzo ad altre persone.
Ho sempre pensato che la mia vita non avesse un senso, ma un senso l'ho trovato. Sono i sorrisi dei miei figli, la gioia dei loro successi, gli occhi innamorati di chi sceglieranno come persone con cui condividere la vita.
Questo non me lo voglio perdere. Mi madre e mio padre queste cose non le hanno mai viste. Mai. Io le voglio assaporare.
E mentre alla radio passa il brano "I love my life" di Robbie Williams, le sue parole:
I love my life
I am wonderful
I am magical
I am me
I love my life
Mi squarciano il cuore, e la pioggia è come se battesse direttamente sui miei occhi, e non sul parabrezza.
Sono solo, ovvero mi sento solo, ma dovrò aspettare. Aspetterò i successi e le gioie dei miei figli, prima di mollare.
Piove, vedo centinaia di ragazzi che si avviano alla discoteca.
Poco dopo incontro le ragazze sfruttate per dare del sesso a pagamento sui bordi delle strade.
Vorrei fermarmi, dare loro una coperta che le ripari, qualcosa di caldo da bere e la possibilità di dire loro: vai, sei libera. Puoi fare altro nella tua vita, perché hai forza di volontà da vendere.
Solo durante questi pensieri mi accorgo che in radio passa Sweet Disposition un pezzo che trovo meraviglioso dei The Temper Trap
A moment, a love
A dream, aloud
A kiss, a cry
Our rights, our wrongs
A moment, a love
A dream, aloud
A moment, a love
A dream, aloud
Stay there
'Cause I'll be coming over
And while our blood's still young
It's so young, it runs
Won't stop 'til it's over
Won't stop to surrender
Avere la forza, di superare, di aspettare chi è un passo indietro.
Mi sento maledettamente solo, anche se non lo sono. Sto male.
Ma in questo sabato sera i miei figli, chi in un modo e chi nell'altro, si divertiranno. Questo conta. Ne basta uno anomalo in famiglia. E quello sono io.
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💔
"Si , i miei genitori mi picchiavano quando ero bambino e non sono poi così traumatizzato!" dice l'uomo che è stato denunciato dall'ex compagna per violenza fisica.
"Quando ero piccolo, i miei genitori mi lasciavano piangere fin’che mi addormentavo , e ci sarebbero volute ore, ma è così che ho imparato a essere indipendente", dice l'uomo che passa le notti sui social media, incapace di dormire.
"Sono stato punito duramente quando ero piccolo e sto bene", dice l'uomo che ogni volta che sbaglia si fa in tutti i modi, punendosi.
"Quando ero bambina mi menavano bene e adesso soffro di un 'trauma' chiamato 'educazione'", dice la donna che non capisce perché tutti i partner che ha finiscono per essere aggressivi con lei.
“Da bambina, quando ero pignola mio padre mi chiudeva in una stanza da sola a pensare a quello che facevo, e oggi lo apprezzo!” dice la donna che soffre di attacchi di panico e non capisce perché soffre di claustrofobia.
"Quando, da piccola, facevo i capricci in pubblico, i miei genitori mi dicevano che mi avrebbero lasciata o mi avrebbero data a uno sconosciuto e guarda, sono finita molto bene", racconta la donna che implorava amore in tutte le relazioni e perdonava infedeltà ripetute per non essere abbandonata.
"Quando i miei genitori mi guardavano stavo gelando, e guarda come sono diventata brava!", dice la donna che non riesce a mantenere il contatto visivo senza sentirsi intimidita.
"I miei genitori mi hanno costretto a scegliere una carriera in cui posso fare soldi, e guarda come sono finito bene!", dice l'uomo che attende ogni venerdì, disperato perché fa ciò che non gli piace ogni giorno.
“Quando ero piccola dovevo stare a tavola finché non finivo tutto il cibo nel piatto, anche per forza, non come fanno quei genitori permissivi!” dice la donna che non capisce perché ha sempre avuto problemi di alimentazione compulsiva .
«Mia madre mi ha insegnato cosa significa rispetto con la pantofola e mi ha fatto bene», racconta la donna che fuma un pacchetto di sigarette al giorno per tenere sotto controllo l'ansia.
"Ringrazio i miei genitori per ogni colpo e punizione, perché altrimenti chissà cosa avrebbero scelto per me", dice l'uomo che non ha mai avuto una relazione sana e il cui figlio gli mente sempre, per paura.
E così viviamo le nostre vite, circondati da tutte queste persone meravigliose e non traumatizzate, ma paradossalmente in una società piena di violenza e persone ferite.
La lezione non è giudicare i nostri genitori, anch'essi vittime a loro volta, ma capire che non andava bene, perdonare e lasciare un'altra eredità ai nostri figli.
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“Viviamo in un’epoca in cui si vuole che i preti si sposino e che le persone sposate divorzino.
Vogliono che gli eterosessuali abbiano relazioni senza impegno, ma vogliono che i gay si sposino in chiesa.
Vogliono che le donne si vestano da uomini e assumano ruoli maschili e che gli uomini diventino come le donne.
Un bambino di soli cinque o sei anni ha il diritto di decidere se sarà un uomo o una donna per il resto della sua vita, ma un bambino sotto i diciotto anni non può rispondere dei suoi crimini.
Non ci sono posti per i pazienti negli ospedali, ma ci sono incentivi e sponsorizzazioni per coloro che vogliono cambiare sesso.
C’è un sostegno psicologico gratuito per coloro che vogliono lasciare l’eterosessualità e vivere l’omosessualità, ma non c’è nessun sostegno per coloro che vogliono lasciare l’omosessualità e vivere la loro eterosessualità, e se cercano di farlo, è un crimine.
Oggi un rivoluzionario e' colui che si sposa e va alla messa la domenica, colui che accetta che il suo ruolo di maschio e' proteggere la maternita' e la vita e colei che accetta il suo ruolo di donna e difende la sua femminilita' e dolcezza e' una rivoluzionaria. Mentre gli altri cercano di convincerti che non esistono sessi, che il figlio non appartiene alla madre e che due maschi possono rubare il frutto del ventre altrui visto che non hanno l'utero, e che e' lecito usare un feto per l'industria farmaceutica...il tutto con un silenzio religioso assordante.
Se non è la fine dei tempi, deve essere la prova.”
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È stata Marguerite Gautier ne “La signora delle camelie” di Alexandre Dumas figlio, e Violetta Valery ne “La Traviata” di Giuseppe Verdi: tutti nomi che il mondo dell'arte le ha dato.
La storia però la ricorda come 𝗠𝗮𝗿𝗶𝗲 𝗗𝘂𝗽𝗹𝗲𝘀𝘀𝗶𝘀.
Ma in realtà neppure così si chiamava: alla nascita, il 15 gennaio del 1824, era Alphonsine Rose Plessis. Intorno ai sedici anni, quando si affacciò nel demi-monde parigino, volle cambiar nome: il Plessis venne “nobilitato” con il prefisso “du”, e i due nomi di battesimo furono sostituiti da Marie. Erano nomi da cameriera, racconterà più tardi a uno dei suoi amici, e poi Marie è più elegante.
Alphonsine fu fin da piccola affascinata dal demi-monde parigino, a metà tra la borghesia e l’ambiente aristocratico.
Nata a Nonant-le-Pin, un paese della Bassa Normandia, era figlia di Marin Plessis, un commerciante ambulante, violento, alcoolizzato e sempre a corto di soldi; ma anche un vizioso sempre in caccia di donne ammaliate dal suo rozzo fascino. Tra le vittime del suo discutibile fascino vi era stata la madre, Marie Deshayes: di origine nobile, essendo figlia di Anne du Mesnil d'Argentelle, ma la sua famiglia era da tempo decaduta. Per sfuggire alla brutalità del marito, affidò a una sorella le figlie Alphonsine e Dauphine, andò a servizio presso una nobildonna inglese e morì a Ginevra nel 1830.
Appena adolescente, Alphonsine trovò lavoro come cameriera d'albergo a Exmes, poi in una fabbrica di ombrelli a Gacé, sempre nelle vicinanze del paese d'origine. Decise però di andare a cercar fortuna a Parigi, dove inizialmente cercò di mantenersi con lavori umili. Forse ancora quattordicenne, divenne l'amante di un commerciante; iniziò così la vita da mantenuta, passando per vari altri uomini ammaliati da quella giovane donna dall’aspetto esile ma elegante, spontanea ma dotata di temperamento passionale.
In poco tempo imparò a leggere e fu abile nell’assorbire la cultura che le servì a frequentare salotti bene, in cui conobbe Balzac, Thakeray, Dickens List e tanti altri maitre-à-penser.
Sessualmente disinvolta, Alphonsine era coinvolgente, spesso sfacciata, e riusciva a farsi notare a primo impatto, grazie al suo innato gusto per gli abiti eleganti ma senza sfarzo, che la rese modello di eleganza e savoir-faire.
Molti uomini dell’élite parigina erano ammaliati dalla sua fresca bellezza, dal suo spirito arguto e dalla sua vivacità. Riuscì ad introdursi sempre più spesso nei posti frequentati dalla migliore società, e si fece persino ritrarre dal pittore più alla moda: Édouard Vienot, il cui studio era frequentato dal bel mondo parigino.
Legandosi a uomini dell’aristocrazia, spesso si smise in urto con le loro famiglie, che non accettavano che i loro rampolli fossero soggiogati dal fascino di questa raffinata cortigiana. “Senza amanti – scrisse di lei Dumas – il tedio la uccideva”.
Delle tante relazioni di Marie, diede scandalo soprattutto quella con Agénor de Gramont duca di Guiche, rampollo di illustre famiglia che sarà un uomo politico di primo piano nella Francia di Napoleone III; tanto che la famiglia allontanò Agénor da Parigi per mettere un freno all’ondata di pettegolezzi che stava umiliando il casato, visto che lui esibiva Marie al suo fianco in tante pubbliche occasioni.
Frequentando uno dei salotti la Duplessis conobbe il già celebre scrittore Alessandro Dumas, il cui omonimo figlio si innamorò follemente di lei; la loro relazione durò un anno, dal settembre 1844 all'agosto 1845.
Alexandre e Marie vissero per un breve periodo insieme in campagna a Saint-Germain-en-Laye, piccolo comune dell'Ile de France a poca distanza da Parigi; con i ricordi di questo periodo Alexandre scriverà la sua opera più nota: “La signora delle camelie” (La Dame aux Camélias).
Le camelie: ormai baricentro del demi-monde parigino era proprio lei, Alphonsine Duplessis, nota a tutti come “La signora delle camelie” per il vezzo di presentarsi in società con alcune camelie intrecciate nella folta capigliatura bruna.
La relazione con lo scrittore finì quando lui la troncò con una lettera in cui le diceva che la loro vicenda così coinvolgente era divenuta per lui una sorta di tormento.
Ma non lo rimpianse a lungo: si gettò tra le braccia del compositore Franz Liszt, ma poi ammaliò il conte Édouard de Perrégaux suggellando la loro relazione con il matrimonio celebrato a Londra nel 1846. Aveva ventidue anni, Marie, e da piccola prostituta qual era stata al suo arrivo a Parigi circa sette anni prima, era diventata una contessa.
Presto però il matrimonio si rivelò un fallimento; Londra le parve luogo ostile, e decise di rientrare a Parigi gettandosi in una vita sempre più tumultuosa e disordinata, come se ogni giorno fosse l’ultimo della sua vita; la tisi che l’aveva colpita da qualche tempo avanzava inesorabile, minandola nel fisico e nello spirito.
Marie non era più in grado di frequentare salotti, con il petto scosso dagli attacchi di tosse. Il male la stava consumando, e si ritirò in un appartamento sul boulevard de la Madeleine. Era il 3 febbraio 1847 quando il suo tormento ebbe fine; dei suoi tanti ammiratori solo due le furono accanto nelle ultime ore: il conte svedese von Stakelberg e il marito conte de Perrégaux.
Ma ebbe ancora un po’ di celebrità: ai suoi funerali partecipò una gran folla di ex ammiratori e di curiosi.
Alla sua morte la signora delle camelie aveva lasciato una gran mole di debiti; per risarcire i numerosi creditori, fu stabilita una vendita all’asta di tutto ciò che fu trovato nella sua casa. Il manifesto che annunciava l’asta per il venerdì 27 febbraio 1847, ad appena ventiquattro giorni dalla sua morte, elencava mobili, gioielli, argenterie, un intero guardaroba con capi lussuosi, carrozza e cavalli.
Morbosamente attratti, i partecipanti fecero a gara per assicurarsi gli oggetti andati all'asta: la breve esaltante vita di Marie fu smembrata in una mattinata.
(testo di Dedo di Francesco)
#lasorgentedellemuse
Tutti i diritti riservati
🎨 Dipinto di Joseph-Désiré Court (non è un ritratto di Marie Duplessis)
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TRATTO DA “DIPENDENZE AFFETTIVE MALDAMORE” pagina FB.
Dobbiamo essere disposte a credere che nella vita non esistano coincidenze o incidenti..
Qualsiasi cosa ci capiti, è per una ragione..
E le persone che incontriamo, le incontriamo sempre per un motivo preciso..
Il legame karmico si forma tra le anime durante le vite precedenti quando profonde emozioni le uniscono insieme.
Un compagno/a d' anima karmico potrebbe essere stato il vostro innamorato, ma anche vostro fratello, vostra madre, vostro figlio, ma anche il vostro peggior nemico. Potreste esservi amati
reciprocamente. Uno di voi potrebbe aver amato e l'altro odiato.
Di una cosa siamo certe e cioè che quando la persona appare nella nostra vita occorre risolvere il karma o la lezione di vita precedente.
Ci sono due aspetti fondamentali che caratterizzano il primo incontro con un compagno d' anima karmico, lo sguardo e la familiarità.
Lo sguardo però non è luminoso o limpido, è al contrario spesso sfuggente, profondo, probabilmente a causa del bagaglio di esperienze passate che si attivano al momento dell' incontro.
In generale è capitato a tutte voi di essere catturate da uno sguardo, un sorriso, o anche una semplice stretta di mano, a volte però a questo si aggiunge la sensazione di un vero e proprio ricongiungimento.
Questo perchè le due esistenze si erano solo momentaneamente interrotte a causa del passaggio da una vita all' altra.
La familiarità è intesa come la magia del ritrovamento, il riconoscimento di chi abbiamo amato o odiato in una
o più vite passate. Proviamo subito una forte empatia. Una sensazione di unione e vicinanza. Quando siamo in presenza di questa persona entriamo in una sorta di incantesimo dal quale chi ci è accanto difficilmente riesce a staccarci.
Questo perchè si è riattivata un' antica emozione.
Quando appare un compagno/a d'anima nella vita presente l'incontro può avere spesso l' effetto di un uragano ma voi non potrete opporvi in alcun modo. Non si può in alcun modo evitare l' incontro con un compagno d' anima karmico perchè ognuna di noi al momento della presente incarnazione sceglie il proprio percorso esistenziale e di conseguenza anche i propri amori che servono al nostro cammino evolutivo.
L'incontro è perciò ineluttabile.
Le relazioni karmiche hanno tutte un potere rigenerante o degenerante ma trasformano la nostra Anima per sempre e danno sicuramente moltissimo in termini emotivi.
E' come se mangiassero la nostra vita, la dominano, la travolgono, la gestiscono al punto che non siamo più padrone dei nostri spazi ma soprattutto delle nostre emozioni e dei nostri pensieri.
Gli amori karmici hanno una forte attrattiva sulle persone, nonostante spesso portino con sé una dose di dolore, sofferenza e difficoltà.
Non dobbiamo però pensare che un rapporto d' amore soprattutto se doloroso ci porti solo sofferenza e rancore.
Ogni rapporto nel quale c'è un innamoramento ha in sé una portata evolutiva, è un percorso di vita che segna la nostra Anima. Ogni amore ha una sua dignità.
E con tale dignità va vissuto e considerato.
Per crescere abbiamo infatti bisogno di esperienze molto forti, travolgenti che ci risvegliano dal torpore emotivo e
spirituale in cui viviamo. L'esperienza della fine di un amore può risultare tra le più utili per ridisegnare la propria vita anche se la viviamo in modo molto doloroso.
Il dolore può essere un insegnante senza pari. Ci segnala quando qualcosa nella vostra vita non è al suo posto.
Sia che si tratti di dolore dell' anima o del corpo, esso aiuta a crescere.
L' Universo è benevolo con noi e ci offre sempre la possibilità di evolvere. Quando ci troviamo davanti a un karma molto pesante e abbiamo necessità di guarire vecchie ferite l' universo ci offre il dono di un amore intenso.
Un amore così potente che ci permette di conoscere noi stesse ad un livello molto più profondo e ci permette di scoprire
la potenza dell' amore incondizionato.
E così lui/lei entra nella nostra vita e noi nella sua per imparare e insegnare qualcosa come in uno scambio di lezioni. Percorrere un tratto di vita con questa persona, breve o lungo che sia, può rivelarsi un' esperienza di guarigione
straordinaria. Puoi apprendere le lezioni di cui la tua anima ha bisogno.
Così come non possiamo opporci all' incontro così non potremo opporci alle lezioni che il compagno d' anima ci porta.
E' possibile che non trascorrerai necessariamente con lei/lui il resto della tua vita, ma puoi anche separarti e poi ricongiungerti dopo anni. La maggior parte delle volte una relazione karmica non si trasforma in amore destinico quindi capita molto più spesso che un compagno d' anima si presenti per un breve periodo per poi allontanarsi dopo che le lezioni da imparare sono state apprese.
Un altro elemento importante è dato dal bisogno del contatto epidermico. Si fatica a non toccare, stringere, a sentire il
profumo dell' altro come familiare. E ogni volta che ci si lascia è uno strappo emotivo, una sensazione di malessere non solo emozionale ma che ci sembra quasi una ferita fisica che difficilmente si riesce a spiegare.
Questo amore ci rende in un certo modo “prigioniere”, la nostra mente ci dice che noi non dovremmo amare quella persona ma il nostro cuore continua ad amare.
L' amore c'è, non è una scelta consapevole, c'è e basta. Siamo persino in grado di osservare quell' amore che fluisce dal nostro cuore.
Potremmo non sapere mai con esattezza quale fu l' episodio di una nostra vita passata che ha creato quel debito karmico ma
solitamente riusciamo a capire cosa dobbiamo fare per equilibrarlo. Forse in una vita passata abbiamo avuto una relazione di odio e piena di dolore e allora dobbiamo avere per lui un riguardo particolare e il nostro amore guarirà quella ferita.
Come facciamo a sapere quando i nostri debiti sono stati ripagati con quella persona? Quando questo avviene avrete un
senso di compimento e di pace interiore. Allora non avvertirete più il legame con la stessa intensità.
Equilibrare il karma con l’amore significa aprire il cuore e dare saggiamente. Vuol dire non aver paura di versare più amore anche quando quell' amore può essere rifiutato. Perchè quell' amore non viene rifiutato dall ' Universo.
Il nostro amore non è mai sprecato, anche se le persone sembrano non accettarlo o non capirlo. Le persone hanno bisogno del nostro amore, ne hanno bisogno a qualche livello del loro essere, anche se ne sono inconsapevoli, ne hanno bisogno per guarire. Quando siamo addolorate perchè il nostro amore sembra rigettato possiamo chiedere all' Universo di benedire la
persona che abbiamo amato o che amiamo e di guarirci entrambi dalle ferite del passato..
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La mancanza di autoanalisi delle proprie azioni mi fa impazzire giuro,madonna oggi due discussioni su due con questo topic.
Le gestisco bene,approfondisco e chiarisco i miei errori a riguardo e poi:
Per amico 1:Sono sempre gli altri che si offendono,che sono permalosi,lui mica sbaglia perché scherza sempre,ed io secondo lui voglio passare per vittima solo perché gli faccio notare che mi da fastidio se si mette a fare trashtalking per passare tempo coinvolgendomi random, pure quando non rispondo ed ignoro(dopo n volte in cui ho sempre detto che mi da fastidio) e dopo 10 minuti di sta cringiata mollo e stacco la partita.(praticamente prenderebbe un silos nel retto piuttosto che ammettere di aver scazzato e rotto un po' il cazzo)
Per mia madre: eh ma io sono sola nessuno mi aiuta blabla solito,ma mai chiedersi PERCHÉ è sola. Ma il suo compagno bravo bravissimo solo a tenere due relazioni di cui una con un figlio,di preciso dov'è?ma agli altri rinfaccia tutte ste robe?o solo a me per qualche malato motivo dato che è lei che mi ha allontanato col suo atteggiamento del cazzo.
Boh io vorrei stare in pace,non disturbo nessuno ma evidentemente sta cosa infastidisce gli altri che devono venire per forza a rompermi l'anima.
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Margaretha Geertruida Zelle,
nome d’arte
Mata Hari (1876-1917).
In malese Mata Hari significa "giorno" o "occhio del sole". Foto: Robert Hunt.
Nelle prime ore del 15 ottobre 1917, Mata Hari, una delle spie più famose del 20° secolo, fu svegliata nella sua cella di prigione. Era giunta la sua ora. Su sua richiesta fu battezzata e, data una penna, inchiostro, carta e buste, Mata Hari fu autorizzata a scrivere due lettere, che la direzione del carcere non spedì mai. Scarabocchiò frettolosamente gli appunti prima di indossare le calze nere, i tacchi alti e un mantello di velluto bordato di pelliccia.
Dalla prigione di Saint-Lazare fu trasferita al castello di Vincenne, alla periferia di Parigi. Erano appena passate le 5:30 quando affrontò il plotone di esecuzione composto da 12 fucilieri. Le venne offerto una benda per gli occhi, ma lei rifiutò: la leggenda narra che mentre gli ufficiali prendevano la mira, Mata Hari mandò loro un bacio. Dei dodici colpi, solo quattro la colpirono. Nessuno reclamò il corpo, il quale fu trasportato all'Istituto di medicina legale di Parigi, sezionato e in seguito sepolto in una fossa comune.
Nata nel 1876 nei Paesi Bassi, Margaretha era stava svezzata nell'agio, ma si trovò presto a dover fare i conti con l'indigenza dopo il tracollo finanziario della sua famiglia. Nel1890 il padre l’abbandonò e la madre morì l’anno dopo. Lasciata la casa natale il padrino la mandò in un collegio per future maestre, ma le eccessive attenzioni del direttore la costrinsero ad abbandonare la scuola .
A 19 anni Margaretha , quattro mesi dopo aver risposto a un annuncio di cuori solitari, si ritrovò sposata con Rudolph "John" MacLeod, un ufficiale alcolizzato dell’esercito delle indie orientali che aveva quasi il doppio della sua età. Il matrimonio non fu dei più felici. Il marito aveva pochi soldi e molti debiti e un buon numero di relazioni extraconiugali.
Nel 1897, in viaggio verso Sumatra con il figlio Norman-John e il marito, Margaretha scoprì che quest’ultimo le aveva trasmesso la sifilide.
Nel 1898, la coppia ebbe una bambina, Louise Jeanne, ma la loro relazione non migliorò.
La famiglia venne sconvolta dalla tragedia della perdita del piccolo Norman, che morì l’anno dopo, probabilmente avvelenato (forse a causa di medicinali o per vendetta). Nonostante gli sforzi per riprendersi dal grave lutto, la vita continuò a essere insopportabile per la giovane madre, che arrivò a sfiorare la follia.
Nel 1902, Margaretha e il marito si separarono definitivamente; lui ottenne la custodia della bambina, mentre lei si trasferì a Parigi per tentare la fortuna.
Consacrata, il 18 agosto 1905, dopo l'esibizione al teatro dell'Olympia, come l’«artista sublime», Mata Hari iniziò una tournée che fu un vero e proprio trionfo, venendo incontro alla fantasia, ingenua e torbida e al fascino proibito dell'erotismo. Alla fine del 1911 raggiunse il vertice del riconoscimento artistico al Teatro alla Scala di Milano.
Mata Hari era considerata la donna più affascinante e desiderabile di Parigi: frequentava uomini altolocati che la riempivano di regali costosi solo per godere della sua compagnia.
Nel 1914 si recò a Berlino per un nuovo spettacolo, ma quello spettacolo non ebbe mai luogo: con l'assassinio del principe ereditario austriaco, finì la Belle Epoque ed ebbe inizio la Prima guerra mondiale.
Mata Hari viaggiava molto e, per questo, catturò l’attenzione del mondo del controspionaggio. Nell’autunno del 1915, la danzatrice ricevette una cospicua somma di denaro dai tedeschi per svolgere attività spionistica a favore della Germania. Mata Hari accettò e così venne arruolata nelle file segrete del Kaiser; agente H21 fu il nome in codice che le venne assegnato.
Tuttavia, giunta in Francia, la danzatrice pensa di poter guadagnare ancor di più arruolandosi anche per i servizi segreti francesi.
Inizia la doppia vita dell’agente Mata Hari costretta a tenere i rapporti con due nazioni avversarie, a muoversi in due paesi lavorando per entrambi.
Su di lei sono puntati gli occhi dei servizi segreti di tre paesi: i Deuxième Bureau di Parigi, i primi a insospettirsi e a pedinarla, gli Abteilung IIIb di Berlino e infine i Secret Intelligence Service di Londra. I tedeschi sono i primi ad avere le prove del suo tradimento e vogliono che anche i francesi la scoprano per poterla così eliminare.
L'ipotesi che i tedeschi avessero deciso di disfarsi di Mata Hari - rivelandola al controspionaggio francese come spia tedesca - poggia sull'utilizzo da loro fatto in quell'occasione di un vecchio codice di trasmissione, già abbandonato perché decifrato dai francesi, nel quale Mata Hari veniva ancora identificata con la sigla H21. In tal modo, i messaggi tedeschi furono facilmente decifrati dalla centrale parigina di ascolto radio della Torre Eiffel.
Il 2 gennaio 1917 Mata Hari rientrò a Parigi e la mattina del 13 febbraio venne arrestata nella sua camera dell'albergo Elysée Palace e rinchiusa nel carcere di Saint-Lazare.
Durante il processo, i tanti ufficiali francesi dei quali fu amante, interrogati, la difesero, dichiarando di non averla mai considerata una spia.
Fu giustiziata nelle prime ore del 15 ottobre 1917. Aveva 41 anni.
Immagine: Mata Hari posa con un vestito di pizzo agli inizi del XX secolo
Fonti:
enciclopediadelledonne di Ludovica Midalizzi
Wikipedia
storicang matahari, di Pat Shipman
i
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Non c’è un’accezione amabile della patria, e se c’è è forse proprio quella che dovremmo temere di più. La terra dei padri, questo significa patria, è un concetto letterario le cui ambiguità è utile tenere ancora presenti, se non altro perché dimenticarle ci ha dato lezioni amare per tutto il ’900. La prima ambiguità è nelle parole stesse: la patria non è una terra, ma una percezione di appartenenza, un concetto astratto, tutto culturale, che si impara dentro alle relazioni sociali in cui si nasce e dentro alle quali, riconosciuti, ci si riconosce. In un mondo dove i rapporti di confine tra le terre sono cambiati mille volte e le culture si sono altrettanto intrecciate, dire “la mia patria” riferendosi a una terra significa creare di sé un falso logico, oltreché geologico.
La seconda ambiguità è in quel plurale monogenitoriale, quel categorico “padri” che solleva simbolicamente dalle loro tombe un’infinita schiera di vecchi maschi dal cipiglio accusatorio rivolto alla generazione presente. Le madri nella parola patria non ci sono, benché per definizione siano sempre certe, né generano appartenenza, nonostante ce ne sia una sola per ognuno di noi. Non possono esserci perché nell’idea del patriottismo è innestata la convinzione profonda che la donna sia natura e l’uomo cultura, cioè che la madre generi perché è il suo destino e l’uomo riconosca la sua generazione per volontà e autorità, riordinando col suo nome il caso biologico di cui la donna è portatrice.
È in quanto estensione del maschile genitoriale che la patria è divenuta fonte del diritto di identità, perché è il riconoscimento di paternità che per secoli ci ha resi figli legittimi, né è un caso che le rivoluzioni culturali post psicanalisi si definissero anche come “uccisioni dei padri”. Gli apolidi dentro questa cornice si portano inevitabilmente addosso l’aura del figlio bastardo, gli espatriati per volontà sono sempre traditori della patria e gli emigrati economici hanno il dovere morale di coltivare e manifestare a chi è rimasto a casa un desiderio di ritorno, pena il passare per rinnegati.
E se per una volta - solo una, giusto per vedere l’effetto che fa - provassimo a uscire dalla linea di significati creata dal concetto di patria? Averlo caro del resto non ha alcuna attualità; appartiene a un mondo dove il diritto di sopraffazione e la disuguaglianza sociale ed economica erano voci non solo agenti, ma indiscutibilmente cogenti: per metterle in crisi ci sono volute rivoluzioni di pensiero prima ancora che di piazza, e quelle rivoluzioni ci hanno lasciato in eredità il dovere di fare un atto creativo nei confronti di tutte le categorie che non bastano più a raccontare la complessità in cui siamo. E se proprio non è possibile uscire dalla percezione genitoriale dell’appartenenza collettiva - padre, ma anche l’ossimoro madre patria - potrebbe essere interessante cominciare a parlare di Matria.
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David Manson (28 aprile 1990) è un serial killer e cantante statunitense, figlio del serial killer satanista e neo nazista Charles Manson e della prostituta Katie Donovan.
Breve biografia
David Manson nasce il 28 aprile 1990 da una relazione tra Charles Manson e Katie Donovan nella città di Cincinnati in Ohio negli Stati Uniti.
David fu educato sin da piccolo nella religione satanista e veniva abusato spesso da suo padre Charles sia picchiato e sia sessualmente, da adulto all'età di 19 anni invece iniziò a lavorare come cantante e aderisce al gruppo neo nazista Proud Boys e sin dall'infanzia ha avuto una mentalità danneggiata e rovinata a causa degli abusi paterni.
All'età di 23 anni, David iniziò ad uccidere uomini e donne per motivi satanisti e perché adorava Satana, aveva ucciso anche un attrice e distrutto la casa di quest'ultima.
All'età di 25 anni adotta un lupo nero cucciolo da un regalo di un suo amico d'infanzia.
Nel 2023, David si trasferisce a Berlino praticando ancora la religione satanista e attende e guarda attentamente quali bambini rapire e abusare ma non trovò nessuno in particolare, non fu interessato ai figli dei terroristi salafiti come Ibrahim al-Badri e Amir al-Mawli per non subire attentati.
Significato del nome:
David è un nome di origini ebraiche in riferimento al re Davide di Israele e significa "Dio ama" "Dio ha amato"
Personalità:
I due segni, entrambi dominati da Venere, esprimono una personalità fine, dal buon senso estetico, esigente in fatto di comodità e di comfort, sensibile al buon cibo e alle lusinghe d’amore. Il Toro con ascendente Bilancia inoltre è più riflessivo, equilibrato e gentile. Dal partner cerca soprattutto affetto e sicurezza, anche se poi le relazioni tendono a essere passionali, venate di gelosia o di grande sensualità. I problemi di salute più comuni sono legati alla vescica e alle vie urinarie.
Informazioni:
Data di nascita: 28 aprile 1990
Luogo di nascita: Cincinnati, Ohio,Stati Uniti
Professione: Cantante
Segno zodiacale: Toro
Fratellastri: 4
Animale: Mark (lupo nero)
Genitori: Charles Manson e Katie Donovan
Religione: Satanismo
Vittime: 20
Crimini: Serial killer
Orientamento sessuale: Eterosessuale e pedofilo
Hobby: Droghe,alcool,azzardo e musica
Orientamento politico: Neo nazista
Nazionalità: Statunitense
Parenti:
Charles Manson (padre,deceduto)
Katie Donovan (madre)
Charles Manson Jr (fratellastro da parte del padre)
Charles Luther Manson (fratellastro da parte del padre)
Valentine Michael Manson (fratellastro da parte del padre)
John Brown (fratellastro da parte della madre)
Prestavolto:
Joss Mooney
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Gay picchiato dai genitori
"Vuoi sposarti con un uomo? Allora tirati giù i pantaloni che ti…”. Sono solo alcune delle parole che un uomo ha rivolto al figlio di 15 anni dopo che questo gli aveva detto di essere gay. Il ragazzino è stato insultato e picchiato dai suoi genitori di origine egiziana. La sua è una di quelle storie di discriminazione e violenza che purtroppo ancora oggi esistono e che dimostrano quanta strada ancora ci sia da fare. Fortunatamente ad aiutare il quindicenne è stato il tribunale di Milano che ha condannato i suoi genitori: il padre è stato condannato a due anni di carcere per lesioni personali mentre la madre a un anno per omissione di soccorso e concorso omissivo nelle lesioni.
A entrambi è stata riconosciuta 'aggravante di aver agito con fini di discriminazione per motivi di orientamento sessuale o di identità di genere. Come raccontato dal quotidiano "Il Corriere della Sera", a scuola il ragazzino era vittima di alcuni bulli.
Un pomeriggio ha deciso di rivelare ai genitori il proprio orientamento sessuale: ha creato un gruppo su WhatsApp e ha condiviso un video su un ragazzo arabo omosessuale.
Aveva poi scritto: "Anche io sono gay". Tornato a casa, la madre lo ha rimproverato. Gli avrebbe detto che "nessun musulmano si sarebbe comportato così" sostenendo che il Corano vieterebbe di avere relazioni con persone dello stesso sesso.
Qualche ora dopo, il padre lo ha schiaffeggiato, buttato giù dalla sedia, preso a calci in faccia e insultato. E mentre l'adolescente veniva picchiato violentemente, la madre invece di aiutarlo e salvarlo dalla furia del marito, gli ha riempito una valigia con i libri di scuola che sarebbero dovuti essere buttati tra i rifiuti.
Il giudice Luca Milani ha sentenziato che la contestazione dell'aggravante della discriminazione legata all'orientamento sessuale, è fondata: "L'aggressione perpetrata dal padre è stata nitidamente ispirata da sentimenti di odio verso l'autonomia manifestata dal minore sulle proprie scelte di genere", La madre "aveva l'obbligo giuridico di impedire le lesioni" e invece non ha fatto nulla per evitarlo: "Ha omesso anche di prestarali le cure necessarie".
Cosa pensate di sta storia?
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Dicembre
Sembra un gesto strano riappropriarsi di questa tazza che mi accompagna da quasi dieci anni. In questa casa manca il the verde, ho lasciato a casa gialla pacchetti sottovuoto presi in giappone e cina. Non mangio tofu dal 15 ottobre e dall'inizio della scuola ho messo la camicia una sola volta. L'anno scorso ero vestito come un personaggio dei cartoni, camicia bianca e jeans, tutto l'anno, non la stessa camicia. Ho abbandonato la cattedra, ma forse sono ancora cattedratico, mi rendo conto dell'importanza di un pasto caldo a casa e non seduto in un'aula professori affollata. Il gatto si mette sempre alla mia destra quando dormo, anche se ormai occupo la destra del letto io. Aderisce tra me e il bordo letto in maniera invidiabile, ma non graffia ne usa artigli per reggersi. Quando leggo ad alta voce è uno dei pochi momenti che lo sento calmo. Oggi ho fatto le decorazioni di natale con la creta, dovevo farle vedere a V. assente tanti giorni, ma non glielo dite che ne avevo bisogno io di usare queste mani. A. mi dice che sono una persona precisa: l'ho visto dai disegni che fai, da come lavori il legno, quando intrecci i mandala, quando suoni, quando mi tocchi. Ieri al compleanno di R. c'era la sua polecola. Era molto bello vederli tutti insieme. Le relazioni sono attraversate dalle convivialità del pasto e da alcuni piatti. Con S. è sempre risotto e birra. Con R. ci scambiamo colazioni, piccoli cornetti, biscotti. con mio padre, sempre pasta in bianca con l'olio non ne è ancora uscito. Torno a casa madre per Natale, di nuovo un'attraversata. Vado in nave, per sentire questo ritorno, con un piercing in più e nove anni in meno. Non mangerò la pasta in bianco con mio padre. Non sono suo figlio dice, non sono buono nemmeno ad averne uno.
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Flusso di emozioni.
Sin dalla tenera età di sei anni ho considerato la lettura uno dei miei passatempi preferiti oltre che una parte integrante del mio essere: amavo divorare libri senza soluzione di continuità. Oggi ho capito che più che una passione per la lettura, la mia era (e tuttora è) l’incessante ricerca di qualcosa che potesse riempire un vuoto. Insomma, sono arrivata alla conclusione che non sono capace di colmare le mie mancanze autonomamente, non sono capace di trovare esternamente qualcosa che mi renda meno angosciata.
Quindi il mio approccio con le parole di altri ha un fine binario.
In prima battuta quello di ricercare pezzi di me nelle espressioni degli altri: la soddisfazione che provo nel rileggermi in citazioni di altri è impagabile. La passione per la lettura era un’incessante possibilità di interfacciarmi con persone, cose, situazioni, fatti che mi erano assimilabili. Ciò non significa che al termine di questa ricerca io mi senta appagata, eppure per qualche secondo sento un’effimera e ritrovata leggerezza.
La seconda ragione è senza dubbio che l’essere umano, innatamente, riesce ad alleggerire il peso dei propri dolori quando vede che questi sono condivisi da altri. Insomma, un po’ come se tirassi un sospiro di sollievo al pensiero di non essere l’unica destinataria di quella tipologia di sofferenza. Cercare nelle parole degli altri l’espressione di un malessere in atto, riesce verosimilmente a renderci meno soli e più consci della probabile evoluzione di questa malinconia.
Non sono una persona particolarmente tollerante da tanti punti di vista. Quando soffro, lo sono ancora meno. Ho la necessità di cercare instancabilmente una via alternativa, una scorciatoia fugace allo stato d’animo che mi sta avvolgendo.
Questo comporta non solo un maggiore dispendio di energie, ma anche e soprattutto un aggravio delle mie patie dato dall’infruttifera ricerca di un’uscita di emergenza. Sono perfettamente consapevole di quanto sia importante affrontare il proprio dolore e attraversarlo per potersene liberare. Eppure la mia più grande caratteristica è proprio quella di vivere in bilico tra una perfetta consapevolezza del ‘giusto’ (se così lo vogliamo considerare) e la mia voglia spropositata di perseguire l’esatto opposto.
Mia madre mi dice che sono masochista, che mi sento completa solo nel momento in cui soffro. Ed è per questa ragione che sono una maestra dell’auto sabotaggio.
E forse, dopo anni di terapia discontinua, queste sono state le parole che più mi hanno fatto male. La realizzazione di andare alla continua ricerca dell’INfelicità è una condanna che non so se sono capace di sostenere.
Questo mi fa ragionare su quanto sia importante la figura genitoriale nei primi (almeno) sedici anni di vita del figlio. I traumi che, consciamente o meno, si vivono fino all’adolescenza inoltrata creano dei danni irreparabili. O almeno così è stato con me.
Forse per questo l’idea di un figlio mi fa così tanta paura, per lo stesso motivo per cui ho paura delle relazioni: non condannerei mai un altro essere umano a ciò che ho vissuto. Non vorrei mai che fosse così intelligente da cercare nella terapia e nell’introspezione i motivi della sua instabilità emotiva, della sua insoddisfazione nei confronti di se stesso e del mondo, del suo costante senso di inadeguatezza. Finirebbe per odiarmi, per maledire il giorno in cui i suoi genitori, che si sono poi rivelati incompatibili, hanno deciso di farlo nascere decretando la sua sentenza in modo inequivocabile.
Non so se sia possibile curare queste ferite, o almeno imparare a conviverci allentando il ruolo che ricoprono nella mia quotidianità e nei miei rapporti interpersonali. Ma non sono neanche nella condizione di cercare aiuto, di riprendere la terapia. Sempre per lo stesso bisogno di auto sabotaggio. Alla vista di un possibile spiraglio di luce mi ritraggo spaventata per paura che il dolore che mi caratterizza possa abbandonarmi.
La mia fobia dell’abbandono forse si è aggrappata all’unica costante nella vita di ogni uomo: la sofferenza. E’ come se fosse una certezza incrollabile a cui non sono pronta a rinunciare. Tutti passano, tutto ha una fine ma il dolore no.
Questo meccanismo così tanto malato e distruttivo governa la mia esistenza.
Provo inutilmente a creare dei diversivi per convincermi che alla fine non sia questo il mio destino, che sono capace di crearmi dei momenti felici come chiunque altro. E in fondo in fondo ci riesco, ma il tempo che posso dedicare a tale serenità d’animo è severamente centellinato. Sento la mia ‘pancia’ (come dice la mia dottoressa) che dopo un periodo di tempo ben definito mi richiama alla base, mi ricorda che quella non sono io.
Non so bene come definire questo mio flusso di coscienza. Probabilmente non c’è bisogno che sia definito proprio perchè è un flusso. Quello che so è che ho sempre ritenuto che le più grandi opere letterarie siano sempre state frutto di un senso di incompletezza.
Nei momenti gioiosi l’unico obiettivo è quello di viverli a pieno, di provare a tenerli impressi con la vana idea che possano essere d’aiuto nello sconforto. E’ in questi ultimi che nasce la poesia.
La letteratura, quindi, a mio parere è frutto del tormento. Quando sono particolarmente angosciata sento questa necessità di esprimermi (non che abbia la presunzione che questa possa essere letteratura).
Magari per la ragione di cui parlavo all’inizio di questa mia storia. Siamo animali sociali, e anche se non per forza dal vivo, ricerchiamo quel senso di condivisione, di appartenenza ad una categoria che ci possa rappresentare. Che poi è lo stesso criterio di selezione della musica che ascolto. Non ho un genere che vada per la maggiore nelle mie preferenze, eppure se la canzone non ha qualcosa che parli di me, non riesce a rapirmi.
Il marasma di elementi che ho voluto concentrare in queste righe mi porta ad affrontare la principale motivazione per cui, ad oggi, verso in questo stato di perenne insoddisfazione.
Dopo i suddetti anni di incostante terapia, sono arrivata alla realizzazione che nonostante io voglia una relazione con tutte le mie forze, inconsciamente ne sono spaventata. Quindi sono capace di attrarre solo persone emotivamente indisponibili.
Non c’è niente di più coerente con il mio masochismo che questa ennesima sfaccettatura del mio carattere. E’ proprio grazie alla mia fame di infelicità che non sarò capace di amare qualcuno che possa ricambiare, che possa darmi cosa sto apparentemente cercando. Insomma, l’unica caratteristica positiva che sicuramente posso riconoscermi è quella della coerenza di pensiero e azioni.
Sono attratta da persone che non possono o non vogliono impegnarsi, e l’affetto nei loro confronti è così tanto coinvolgente da essere perfettamente proporzionale al dolore che provo nel momento della realizzazione della loro indisponibilità. C’è sempre un momento ‘x’ in cui la realtà mi cade addosso, sorda alle mie grida di aiuto e alla mia parziale incredulità.
C’è sempre il momento in cui tutti i tasselli del puzzle combaciano per dare vita ad una scena già vissuta, già affrontata, già familiare. Non c’è scampo a questa situazione. Anche le persone che a primo impatto sembrano discostarsi da questo prototipo, in realtà mascheratamente ricadono nella stessa categoria.
Anche qui vivo nella dicotomia tra la ricerca di un partner (su cui ripongo false speranze al pensiero che possa riempire il vuoto che mi trascino dietro) e l’infelice realizzazione che è solo stando da sola che posso essere parzialmente serena.
Forse è giusto perseguire il minore dei mali che, calato nella situazione, è la solitudine.
Alla fine di questo monologo posso riassumere in pochi punti, cercando un fil rouge che non sono certa di aver chiaramente offerto a causa dei miei voli pindarici:
- mi piacciono particolarmente le citazioni, ne vado alla ricerca costante per sentirmi meno sola, per ritrovarmi anche se per pochi fuggevoli secondi
- ho bisogno di essere infelice per stare bene
- la mia paura dell’abbandono si è ancorata saldamente alla mia infelicità
- di conseguenza, finchè non sarò capace di superare questa impasse, non troverò una persona con cui poter condividere un percorso sano e maturo dato che andrebbe a minare l’unica certezza che conosco.
- devo capire che forse è il momento di vivere la mia vita da persona giovane e libera. Non è ancora il momento di un vincolo.
Mi hanno detto che forse il motivo per cui sto così è perchè ‘sono troppo filosofa’, perchè nei miei pensieri c’è un turbinio di idee e ragionamenti che si susseguono.
Forse è così: certamente chi non è abituato a ragionare o a studiarsi vive un’esistenza più leggera. Ma a mio parere anche più effimera, più superficiale.
Nell’apparente negatività che un probabile lettore potrà riscontrare in queste parole (che io ritengo più amara consapevolezza), voglio dare un piccolo spiraglio di speranza.
So che tutto nella vita accade per una ragione, tutte le persone che incontriamo devono lasciare un segno nel bene o nel male, tutte le gioie e i dolori che siamo destinati ad affrontare nel nostro percorso sono una tappa che non possiamo bypassare. Prima o poi capiremo il motivo della nostra sofferenza e allora non sarà stato vano.
Se per l’ennesima volta c’è stata la necessità di sottoporsi a tutto questo marasma di emozioni negative, ne capirò in futuro il perché.
L’unico augurio che posso farmi è che, nel mezzo di queste ‘sfide’ che mi attendono, sia sempre capace di non perdere di vista la mia realizzazione lavorativa e personale, la mia voglia di viaggiare il mondo e scoprire altre culture.
Perchè anche viaggiare è un modo per cercare se stessi.
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"Soffriamo perché le avevamo immaginate diversamente". Proprio così, vale per qualsiasi relazione, amorosa, d'amicizia, con i parenti vari, con i figli. Sono le aspettative che ci fanno soffrire. In un mondo perfetto sarebbe bello non aspettarsi niente da nessuno, vivere le relazioni senza ansie e film mentali. E invece no.
Anche da genitore pecchiamo di "aspettativismo", chi più chi meno:
"Mio figlio/a da grande farà l'avvocato come suo padre"; "Mio figlio/a andrà all'università più prestigiosa e sarà il/la più bravo/a"
Devo fare mea culpa anch'io, mi aspettavo di avere a che fare con una figlia adolescente in preda agli ormoni dell'età, come succede al 90% degli adolescenti. E invece mi sono ritrovata a gestire un'adolescente con le sue fragilità tipiche solo di lei (o almeno così credevo), trovandomi in totale smarrimento, incolpandomi ogni giorno di essere una madre rammollita che non riesce neanche a capire la propria figlia e gestire i suoi momenti di rabbia e aggressività nei miei confronti. Non riuscivo a farle capire che quello che pensa riguardo il mondo non è vero, che uscire fuori è stimolante e ne abbiamo bisogno, non possiamo vivere isolati dal mondo.
In quel momento ho capito di dover chiedere aiuto, io che nella vita ho sempre cercato di fare tutto da sola, io ho deciso di chiedere aiuto. Ed è stata la decisione più giusta che io abbia mai preso.
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