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Rimanere Incinta Dopo i 40 Anni: Rischi e Benefici
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Rimanere Incinta Dopo i 40 Anni: Rischi e Benefici
L’idea di diventare genitori dopo i 40 anni è diventata sempre più comune negli ultimi decenni. Questo cambiamento nelle dinamiche familiari è in parte dovuto a una serie di fattori socio-culturali, tra cui l’incremento delle opportunità di carriera per le donne e il desiderio di aspettare fino a quando si è pronti dal punto di vista finanziario ed emotivo. Tuttavia, rimanere incinta dopo i 40 anni comporta rischi e benefici unici, che è importante prendere in considerazione. In questo articolo, esploreremo i vari aspetti della maternità dopo i 40 anni, dai vantaggi e svantaggi ai consigli per un percorso di gravidanza sano e sicuro.
I Benefici di Rimanere Incinta Dopo i 40 Anni
1. Maturità Emotiva e Stabilità Finanziaria
Una delle principali ragioni per cui molte persone scelgono di rimanere incinte dopo i 40 anni è la maggiore maturità emotiva e stabilità finanziaria. A questa età, molte persone hanno avuto l’opportunità di stabilire le proprie carriere e risorse finanziarie, il che può contribuire a fornire un ambiente più stabile per il bambino.
2. Decisione Ben Ponderata
Aspettare fino ai 40 anni prima di avere un figlio è spesso il risultato di una decisione ben ponderata. Questo tempo permette ai futuri genitori di pensare attentamente al ruolo genitoriale e prepararsi in modo appropriato.
3. Supporto Sociale
A questa età, molte persone hanno stabilito una solida rete di supporto sociale, compresi amici e familiari. Questo può essere prezioso durante la gravidanza e nei primi anni di vita del bambino.
I Rischi di Rimanere Incinta Dopo i 40 Anni
1. Fertilità Ridotta
Uno dei principali ostacoli alla maternità dopo i 40 anni è la ridotta fertilità. La quantità e la qualità delle uova di una donna tendono a diminuire con l’età, rendendo più difficile rimanere incinte in modo naturale. Ciò può portare a un maggiore ricorso alla fecondazione in vitro o ad altre tecnologie riproduttive.
2. Aumento delle Complicazioni Gravidiche
Le donne di età superiore ai 40 anni sono più a rischio di sviluppare complicazioni durante la gravidanza, come ipertensione, diabete gestazionale, e preeclampsia. Questi fattori possono richiedere una maggiore supervisione medica e aumentare il rischio di parto prematuro o di taglio cesareo.
3. Rischi per la Salute del Bambino
I bambini nati da madri di età avanzata possono essere a rischio maggiore di alcune condizioni mediche, come il disturbo dello spettro autistico e il ritardo nello sviluppo. Inoltre, c’è un aumento del rischio di anomalie cromosomiche, come la sindrome di Down.
Consigli per una Gravidanza Sicura Dopo i 40 Anni
Se hai deciso di rimanere incinta dopo i 40 anni o stai pensando a questa possibilità, è importante prendere alcune misure per garantire una gravidanza sicura e un bambino sano:
1. Consulta un Professionista Medico
Il primo passo è consultare un medico o un ginecologo esperto in gravidanze a età avanzata. Sarà in grado di valutare la tua salute generale e darti consigli specifici per ottimizzare le tue possibilità di rimanere incinta e mantenere una gravidanza sana.
2. Mantieni uno Stile di Vita Sano
Una buona alimentazione, l’esercizio fisico moderato e la riduzione dello stress possono contribuire a una gravidanza più sana. Evita l’alcol, il fumo e altre sostanze dannose per te e il tuo bambino.
3. Monitora la Tua Salute
Le visite mediche regolari sono fondamentali. Il medico può monitorare la tua pressione sanguigna, il livello di zucchero nel sangue e altre metriche importanti per la tua salute e quella del bambino.
4. Valuta la Consulenza Genetica
Dato l’aumento del rischio di anomalie cromosomiche, la consulenza genetica può essere utile per valutare il rischio specifico per il tuo bambino e prendere decisioni informate.
5. Comprendi i Tuoi Diritti di Lavoro
In molte giurisdizioni, le leggi proteggono le donne in gravidanza e le madri lavoratrici. Assicurati di conoscere i tuoi diritti e considera le opzioni per il congedo di maternità e la flessibilità sul lavoro.
In conclusione, rimanere incinta dopo i 40 anni comporta una serie di rischi e benefici unici. È fondamentale consultare un professionista medico e prendere misure per mantenere una gravidanza sana. La decisione di diventare genitori a questa età dovrebbe essere basata su una profonda comprensione delle sfide e delle opportunità coinvolte, nonché sulla consapevolezza dei tuoi desideri personali e delle tue risorse. Con la giusta assistenza medica e un approccio oculato, molte donne di età avanzata possono godere di una gravidanza e di una maternità appagante.
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Questo lavoro scientifico oltre ad essere una review delle cause familiari di Minority Stress ed effetti sulla salute delle persone LGBTI spiega anche quanto sia efficace una Psicoterapia Affermativa ai Genitori di persone LGBTI:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC9325072/#!po=43.6709
In questo lavoro i padri sono quelli che hanno mostrato maggiore difficoltà ed ambivalenza nonostante l'accettazione arrivasse in 36 settimane di Psicoterapia Affermativa superare la Repulsione verso i propri figli LGBTI.
Nel caso delle madri, tutti i parametri migliorano nettamente dopo 36 settimane di Psicoterapia Affermativa con la caratteristica di mostrare nella fase centrale del percorso una maggiore Ansia da Separazione.
Il nostro meme vuole ricordare quanto sia grave il comportamento omo-transfobico dei genitori ma anche la varietà di possibili emozioni negative e positive, che possono anche essere presenti insieme nella coppia genitoriale ma anche nella stessa persona, madre o padre, perché sono comuni le contraddizioni emotive di fronte al Coming Out o alla scoperta di avere un/a figli@ LGBTI.
Bisogna anche ricordare che qualunque sia la reazione iniziale, negativa, positiva o mista, questa andrà incontro a contrattazione come accade per il lutto, soprattutto se corrisponde ad una delle fasi di negazione, rabbia o paura, tipiche del lutto.
Anche l'articolo spiega come i genitori di persone LGBTI debbano di fatto fare a loro volta Coming Out come Genitori di persone LGBTI con altri parenti, vicini, negozianti, amicizie, sul lavoro e perfino nei luoghi di culto. Questo è un ulteriore percorso da affrontare da soli o con il supporto di una Psicoterapia Affermativa.
#Genitori #LGBTI #comingout #amigay #Psicoterapia #psicologi #psicanalisi
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Uno dei momenti più emozionanti e sorprendenti che si possano vivere: quello in cui si ha la notizia che presto si diventerà genitori! Un insieme di forti emozioni che travolgono, che sorprendono, che aprono le porte a una nuova vita, a nuovi sentimenti, che sappiamo essere il preludio ad un inevitabile cambiamento nella nostra vita e in quella di coppia, che ci fanno sentire completamente nuovi e diversi e che ci mettono anche di fronte a nuovi ruoli, a nuovi pensieri e a nuove e importanti responsabilità. Diventare genitori è un percorso complesso, fatto di momenti di immensa felicità e di amore, ma anche di momenti altrettanto critici e delicati, di esperienze inaspettate, mai provate fino a quel momento, ricche di emozioni completamente nuove, che portano a nuovi assetti di vita personale e di coppia e che necessitano di grande consapevolezza e senso di responsabilità verso il proprio bambino ma anche verso la propria coppia e se stessi. Un momento che ci fa mettere in dubbio se si sia davvero pronti a gestire un cambiamento così importante nella propria vita e in grado di affrontare una serie di responsabilità e di adattamenti inevitabili dal momento in cui nostro figlio verrà alla luce, soprattutto nel caso in cui ci si trovi ad affrontare un ruolo genitoriale da soli, senza il sostegno di un compagno al proprio fianco. I cambiamenti, dopo la nascita di un bambino, soprattutto se poi si tratta del primo figlio, sono davvero molti. Cambiamenti nelle proprie abitudini, minor tempo da poter dedicare a se stessi, maggiori spese economiche ed anche un carico diverso di intense emozioni che, quando si annuncia una nascita, ci chiediamo se sapremo affrontare e gestire in modo sereno ed efficace. Affrontare il ruolo genitoriale, soprattutto se si è single, non è facile. Per una donna, gestire da sola una gravidanza, in special modo se non si può contare su un appoggio concreto e fidato di persone care, può già rappresentare un momento davvero delicato. Non poter condividere né la propria gioia né le proprie ansie, dubbi e timori con un compagno che ci sostiene, come ad esempio nel momento in cui si avesse la necessità, durante la gestazione, di avvalersi di un servizio di pediatria prenatale per accertarsi dello stato di salute del nascituro, possono causare uno stress davvero notevole in una futura mamma e rendere poco sereno ed appagante un momento così ricco di significato come quello della gravidanza. Oggi la genitorialità, se vissuta in coppia, fortunatamente non coinvolge più soltanto le donne come in passato. La tendenza, infatti, è quella di una partecipazione attiva anche dei papà e non soltanto a partire dal momento della nascita del bambino, ma anche durante il periodo della gravidanza. Un ruolo, quello genitoriale, che oggi viene condiviso e che vede l’uomo coinvolto nella nascita del proprio figlio e successivamente nella sua cura e nella sua educazione tanto quanto la futura mamma. Se infatti è indubbio che il legame naturale che esiste tra la mamma e il bambino che porta in grembo è unico e speciale, oggi ai padri non è delegato unicamente come in passato il ruolo di sostentamento economico della famiglia, ma anche quello di sostenere la genitorialità unitamente alla mamma. Una presenza fondamentale, quella del papà, di grande sostegno e di partecipazione per la donna durante la gravidanza, il parto e nella gestione di momenti delicati come ad esempio quello immediatamente successivo al parto, quando i nuovi ritmi, le nuove dinamiche, le nuove responsabilità, i timori e le preoccupazioni possono portare la neomamma a dover affrontare periodi difficoltosi, i quali, se affrontati insieme da entrambi i genitori, con coinvolgimento e comprensione, potranno essere superati con molta più facilità e serenità. Oggi i papà partecipano ai corsi di accompagnamento al parto assieme alle proprie compagne, si informano su come potranno prendersi cura del piccolo allo stesso modo in cui lo fanno le mamme,
cercano di essere presenti alle ecografie e agli accertamenti di routine, condividono con le loro compagne ogni momento di gioia ed anche di ansia che potrebbe precedere il momento della nascita, anche quando si rendano necessarie visite specialistiche e consulenze di pediatria prenatale, seguono il momento del travaglio, entrano in sala parto, accolgono assieme alla mamma il piccolo appena venuto alla luce... Un ruolo diverso e davvero importante, quello dei papà, che gli ultimi studi hanno evidenziato sia fondamentale anche per il benessere e la serenità del neonato e che dà la possibilità ad un padre di vivere ed esprimere emozioni come fino a non molto tempo fa non faceva, in quanto non considerate adeguate ad un ruolo tipicamente maschile. Un compito senza dubbio arduo, quello di diventare genitore e quello di fare il genitore, che non si esaurisce, né per il papà né per la mamma, con i primi anni di vita del bambino e che non andrebbe mai preso alla leggera, che comporta davvero un grande cambiamento e forti responsabilità. Una scelta che, sia si sia giovani sia si decida di affrontare l’evento in età più adulta (al momento, infatti, l’età media in cui si ha il primo figlio è statisticamente aumentata: se fino a qualche anno fa erano più le neomamme tra i venti e i venticinque anni, oggi vediamo molte donne partorire per la prima volta a più di trenta), sicuramente rappresenta un importante passaggio ad una fase diversa, tutta nuova, della propria vita, che soltanto se vissuta in piena consapevolezza e responsabilità ci permetterà di affrontare tutti quei piccoli e grandi momenti faticosi che, come sa bene chi ne ha già avuta l’esperienza, senza dubbio accompagneranno la nostra vita da genitore, ma che allo stesso tempo ci permetteranno di vivere le occasioni più gioiose della nostra vita.
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Ed eccoci qui, di nuovo, con un aggiornamento su tutta la situazione. Devo iniziare nuovamente a guardare alle cose positive, perché in questo periodo mi stanno riassaltando quelle negative in massa. Prima di tutto:Il cambio di casa. Sapevamo che, quest’anno, ci sarebbe scaduto il contratto d’affitto. Ma, con la situazione covid e tutto quanto, avevamo pensato che tutto ciò sarebbe slittato e che il padrone di casa ci avrebbe fatto rimanere. Spoiler, non è stato così. Con un preavviso di 5 mesi e qualche giorno, ha mandato una raccomandata (ci abita di sotto,poteva avvisarci di persona) dove ci chiedeva di liberare casa entro luglio (termine del contratto). Non vi dico neanche la fatica di trovare casa in relativamente così poco tempo, per 5 persone, ad un prezzo decente per la mia famiglia e che potesse accontentare le aspettative di tutti i membri. (Mia madre, suo marito, il figlio del marito di mia madre, mia sorella minore e me). L’abbiamo trovata,si, ma anche con tutte le raccomandazioni del mondo che ho provato a fare a mia madre (ovvero di non decidere per il panico della fretta o cose) purtroppo credo proprio avremmo potuto trovare soluzioni migliori. Andremo ad abitare più in periferia e questo ci debiliterà molto di più che il resto. Prima di tutto,il mio lavoro principale. Sarò molto più incapacitata come animatrice e, per quanto abbia provato a farlo capire, non vengo mai ascoltata. Qualsiasi spostamento sarà più difficoltoso. Spero almeno che la linea internet vada a migliorare e non a peggiorare, di modo da potermi focussare un po’ su twitch se per colpa della posizione il mio lavoro dovesse calare. Tutto il disagio (anche nella ricerca della casa) è stato amplificato dal fatto che la casa dove siamo ora ha rappresentato tanti cambiamenti nella mia vita, oltre che i ricordi in bene o male che mi ci legano. Sarà un duro colpo da digerire, una dura separazione e dura abituarsi nuovamente a tutto. Purtroppo,però, non si può fare altrimenti. Secondo:La NON ripresa del mio lavoro La situazione del covid ha lasciato un sacco persone in pieno disagio sul lavoro, chi più chi meno. A settembre avevo riniziato un po’ a lavorare, ed ero soddisfatta e un pochino più tranquilla. Fino a che non hanno richiuso tutto. E allora lì è tornato tutto un disagio. Mi manca lavorare. Mi faceva sentire utile e staccare un po’ la mente dai pensieri, di modo da concentrami totalmente sul lavorare bene. Ed invece non ho né lo stacco del cervello né il modo di guadagnarmi da vivere. Questa cosa mi spaventa e mi rattrista. Terzo:Il non poter vedere i miei amici. Ho amici che sono per la maggior parte fuori dal mio comune o dalla mia regione. La mia migliore amica,ad esempio, vive in toscana. Purtroppo con tutto ciò che è successo non ho potuto fare la solita “capatina ristoratrice” che faccio ogni anno (durante il lucca comics). Ovvero prendermi una settimanella con lei e guardare cose stupide assieme, staccando un po’ la mente da tutto ciò, sia per me che per lei. Ormai è un anno che non la vedo, e questa cosa mi pesa assai. Idem per tanti altri miei amici, che magari sento ogni giorno su discord, ma il desiderio di un abbraccio quando sono triste, o di ridere insieme per la qualsiasi, o semplicemente di uscire per fare qualcosa...purtroppo è tutto limitato. Anche una delle mie poche amiche di roma non sto riuscendo a beccarla... E’ avvilente. Quarto:Il palese odio del marito di mia madre. Vivo con il costante rifiuto della mia persona in casa da sempre, certo. Ma quando cerchi di migliorare il rapporto con l’unica figura genitoriale, e si mette un uomo in mezzo a fare da scudo, mi cadono proprio le braccia. Purtroppo a questa persona non va mai bene quel che faccio. Si definisce un artista, ma quando mostro i miei risultati con i cosplay o qualsiasi altra cosa li categorizza come inutili. Si definisce aperto di mente, ma appena venuto a sapere del mio canale twitch mi ha preso a parole, dicendomi che stavo facendo una cosa sbagliata e che “dovevo andare a zappare la terra.” Qualsiasi cosa io faccia, non va bene. Non andrà mai bene... E mi fa vivere col costante stress di non poter dire nulla, anche una stupidata su come va il twitch o robe, perché certi argomenti sono diventati tabù. Ogni cosa che faccio è diventata un tabù. Quinto:Il non potermi curare in modo decente. Ho vari problemi col sangue. Ovvero:Sono microcitemica, anemica ed ho un problema con il ciclo mestruale che sto cercando da ANNI di risolvere. Mi avevano dato varie diagnosi per l’ultimo, di cui una addirittura un cancro alle ovaie (mia nonna l’aveva, quindi erano sicuri al 90%). Fatto sta che mi porta ad essere debole e a sentirmi male per quasi 14 giorni al mese, e ci sono stati negli ultimi mesi casi in cui mi tornava più volte, rendendomi un vegetale. Col covid tutto si è bloccato. Per fare altri test per capire cos’ho dovrei stare quasi 24 h in un ospedale, facendo prelievi a distanza 1 ora dall’altro. Ma non si può,eh eh. Quindi per ora rimango ancora così, con tutti i disagi che comporta. Inoltre dovevo fare dei controlli, migliorare in caso la terapia per la depressione che mi avevano dato di prova. Invece sono bloccata anche lì, perché con tutto il trambusto e l’emergenza chi cazzo ha avuto il tempo di andare dal medico? Ce ne sarebbero anche altri di punti, ma questi sono quelli principali e meno sciocche (come il fatto che m’infatuo sempre di teste di cavolo. YE). Le uniche cose che posso dire che vanno bene sono: -I miei amici, che fortunatamente ho sempre accanto e mi supportano nel bene e nel male -Le campagne di dnd, che mi fanno respirare quando penso di affogare -Twitch, che mi salva dall’apatia e mi aiuta a dire “Ok,devo alzare il culo, vestirmi, truccarmi e andare live. Perché si,devo”. e mi aiuta a mantenere un attimo di self control, oltre che farmi passare qualche ora concentrandomi solo su quello. Spero che per voi vada tutto bene sul fronte occidentale. Spero che la vostra vita sia in miglioramento. Egoisticamente, spero che viri su quella direzione anche la mia. Non so chi lo leggerà, non so nemmeno se interessa a qualcuno. Io lo faccio per buttare fuori i pensieri. Potranno sembrare alcune cose stupide, ma per me sono importanti. Vi prego di non commentare con odio, questo è il mio piccolo angolo dove cerco di fare un backup mentale. Un bacio stellare.
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Abbracci, coccole e carezze: nutrimento per una crescita sana
I bambini hanno un cervello estremamente plastico, ragion per cui le reazioni emotive attivate dalle coccole ricevute hanno un effetto duraturo sul loro sviluppo
L’antropologo Ashley Montagu diceva: «Un essere umano può trascorrere la vita cieco e sordo o completamente privo dei sensi dell’olfatto e del gusto, ma non può sopravvivere senza le funzioni proprie della pelle». Un abbraccio di pochi secondi è in grado di scatenare nel nostro cervello una serie di reazioni chimiche che si traducono in una cascata di effetti benefici: dona una percezione di benessere e sicurezza, diminuisce i livelli d’ansia, fortifica il sistema immunitario, rafforza la fiducia negli altri e l’autostima (soprattutto nei bambini).
Un effetto così potente attraverso un un gesto così semplice
Il tatto è il primo senso a svilupparsi nell’utero materno. Già dalla 7° settimana si attiva la prima forma di sensibilità cutanea attorno all’area della bocca, mentre alla 15° è estesa a tutto il corpo. Nello specifico, la pelle ha origine dall’ectoderma, il più esterno dei tre foglietti germinativi dai quali si svilupperà il feto; è interessante notare come si tratti della stessa base cellulare dalla quale nascerà il sistema nervoso. Il fatto che arrossiamo quando proviamo vergogna o impallidiamo dopo un gran spavento ci conferma il profondo legame esistente tra il cervello, sede delle emozioni, e la parte più esterna del corpo, che è la nostra interfaccia con il mondo.
Il tocco affettivo
La pelle è l’organo più esteso dell’organismo. Essa è cosparsa, in misura diversa, di un gran numero di recettori sensoriali che inviano al cervello informazioni inerenti il caldo, il freddo, la pressione, il tatto e il dolore. Sono messaggi che viaggiano velocemente e ci permettono di reagire prontamente, mettendoci al riparo dai pericoli. Di recente, i ricercatori hanno individuato delle particolari fibre nervose (fibre C-tattili), che si attivano solo con un movimento che oscilla tra 1 e 10 centimetri al secondo: più o meno la velocità delle carezze. Questo tipo di informazione arriva in altre zone del cervello, facendoci percepire una sensazione di piacevolezza e attivando risposte emotive che promuovono il comportamento affiliativo, fondamentale all’inizio della vita per il rapporto tra madre e figlio e poi da adulti per tutte le relazioni sociali.
Il “contatto buono”, i gesti affettuosi, sono un bisogno essenziale che ci accompagna per l’intero arco dell’esistenza. Esiste, tuttavia, una finestra temporale, quella dell’infanzia, in cui la loro importanza è ancora più grande. In questo periodo il cervello è estremamente plastico, è in grado cioè di cambiare strutturalmente e funzionalmente in base alle esperienze vissute. Questo significa che il modo in cui ci prendiamo cura del nostro piccolo influenza direttamente il suo sviluppo. Per esempio la pratica del massaggio fin dai primi mesi aiuta i bambini non solo a percepire gradualmente il proprio corpo nella sua interezza, ma stimola anche la crescita dei vari sistemi: circolatorio, respiratorio, digerente, nervoso, immunitario, ormonale, linfatico e vestibolare, oltre a influire positivamente sulla relazione.
Dal “curare” al “prendersi cura”
I benefici derivanti dal contatto affettuoso sono ancora più importanti per i bambini prematuri, costretti a lunghi periodi di degenza nelle unità di Terapia Intensiva Neonatale (TIN). Stare vicino ai propri piccoli in queste situazioni di forte stress fisico ed emotivo porta cambiamenti significativi dei loro parametri vitali, tra cui: aumento di peso, miglioramento dello sviluppo neuromotorio, del battito cardiaco e dei livelli di ossigenazione sanguigna.
Da qualche anno stanno diffondendosi, anche in Italia, modalità innovative per l’assistenza dei neonati pretermine che mettono al centro proprio il coinvolgimento attivo della famiglia, che diventa parte integrante del team di cura. Sono modalità che derivano dai concetti del modello NIDCAP (Newborn Individualized Developmental Care and Assessment Program), nato negli USA negli anni ’80 grazie alla dottoressa Heidelise Als, neuropsicologa e ricercatrice. Apertura della Tin 24 ore su 24, percorsi di accoglienza, tocco dolce, metodo marsupio (Kangaroo Mother Care), sostegno all’allattamento e assistenza guidata da un’attenta osservazione del comportamento del neonato sono solo alcuni dei punti di forza di questo approccio.
Cosa fare dunque?
Un proverbio africano dice che per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio; questo per significare che i genitori hanno un bisogno fisiologico di ricevere sostegno, consigli, indicazioni, specialmente nei primi mesi successivi alla nascita dei loro piccoli. Un tempo era la famiglia allargata ad assolvere questo compito, oggi invece è la società che tenta di occuparsene. Tuttavia, nonostante le evidenze scientifiche, le informazioni che si ricevono da educatori, esperti e consulenti vari sono talvolta in contraddizione tra loro, soprattutto in tema di cure prossimali (tenere in braccio i piccoli per molto tempo, sonno condiviso, allattamento a richiesta e prolungato…), creando così confusione e disorientamento.
Parte di queste incertezze potrebbe risolversi lasciandosi guidare dalle proprie emozioni e dal proprio istinto, senza necessariamente rincorrere la “cosa giusta”, tra l’altro mai assoluta, e recuperando inoltre la propria capacità critica. Consideriamo anche che cercare la vicinanza dei propri figli, abbracciarli, coccolarli, vezzeggiarli, non è un atteggiamento universale, dunque non aderire a questo stile non pregiudica e non mette in discussione automaticamente le capacità di accudimento. Un carattere introverso o rigoroso, scelte educative orientate a non “viziare”, culture a “basso contatto”, creano ad esempio minori occasioni di contiguità. In conclusione, la cosa importante è cercare di vivere il proprio ruolo genitoriale in maniera “sufficientemente buona”: forti delle proprie certezze e tolleranti con le proprie fragilità, ricordando, come diceva Montagu, che si impara ad amare non perché ce lo insegnano, ma per il fatto stesso di essere amati.
Stefania Netti, psicologa
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Amelia: avviato il servizio di supporto psicologico e legale per le famiglie
Amelia: avviato il servizio di supporto psicologico e legale per le famiglie
Si chiamano “Family Host”: si tratta di una serie di aiuti alle persone riguardanti mediazione coniugale, mediazione familiare, coordinazione genitoriale, mediazione penale e penale minorile, empowerment coaching, scarico stress post emozionale e post traumatico, consulenza legale e psicologica. Sono stati avviiati dal Comune di Amelia con il Gruppo supporto gestione crisi (Gsgc). L’iniziativa è…
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“Lo sport italiano muore da piccolo, nelle periferie in cui nessuno sembra essere capace di mettere in gioco valori positivi, in cui non si riesce a relazionarsi senza faide e intimidazioni”: lettera aperta di un genitore deluso
Sarà che ho avuto un’infanzia stramba, solitaria. Sono sempre stato competitivo. A me la vita, come dice Leopardi, non “è male”: per me la vita è lotta. E nella lotta vince il più forte, il più intelligente, il più furbo. Da ragazzo, ecco, mi importava vincere. Durante i Mondiali del ’94, sedotto dalle magie di Roberto Baggio, mi venne il pallino del calcio. Solo un cretino può fissarsi con il calcio a 15 anni, quando di solito i ragazzi scalpitano per diventare campioni – Francesco Totti esordisce in Serie A sedicenne… Il mio orgoglio è che ho iniziato con le scarpe da ginnastica, non avevo neanche le scarpe coi tacchetti, mi davano del frocetto, facevo il secondo portiere. Dopo tre mesi il primo gol, in un torneo di periferia; dopo quattro mesi il primo gol in campionato, entrando dalla panchina; in capo a due anni ero il capitano della squadra, giocavo anche con la ‘prima’, che militava in categorie dove al secondo dribbling ti spaccano gli stinchi. Ho fatto tanti sport, senza eccellere in nessuno, perché già allora preferivo il mondo immaginario della letteratura a quello reale: ero un buon velocista dilettante – buoni risultati, in campo regionale, in salto in lungo e in alto, ottimi nella staffetta – un discreto cestista – ripetute finali nazionali con la squadra del liceo, a Torino – un modesto calciatore. Avevo la voglia e la corsa, ecco, correvo veloce, eccellevo nell’arte della fuga. Non mi dispiaceva spadroneggiare. Ora. A uno come me la vita ha dato in sorte un figlio che ha la competitività di un bradipo sul divano. Per anni ha praticato il nuoto, in forma agonistica. I genitori degli altri con il cronometro in mano. Io in macchina, nel parcheggio della piscina di turno, a scrivere. Mio figlio non mi vuole a bordo vasca o in platea. Spesso arrivava ultimo, ogni tanto tra i primi nella sua batteria e sotto il trentesimo posto in assoluto. Però si fa il fisico, mi dicevo, e si allena alla fatica. Giusto. Solo che, poveretto, neanche una gratificazione. Il nuoto, di per sé, è una noia – avvilenti allenamenti avanti-indietro su una vasca – e i coach, secondo l’idiozia comune, nonostante le buone parole, insistevano in sorrisi e complimenti soltanto con quelli che arrivavano primi. Gli altri erano ranocchi degni di bollire per ore in vasca. Mi è capitato di assistere a una patetica cena di fine stagione agonistica con la responsabile del settore che si collega via Skype, su grande schermo, con la figlia, ovviamente la nuotatrice più brava del reame. Questo è sport o frustrazione genitoriale male applicata? Per la cronaca, ora mio figlio gioca a pallanuoto, perde tutte le partite, come la squadra di baseball di Charlie Brown, ma gli va bene così, ha gli amici, contento lui. Quando mi arriva l’articolo di Daniele Mingucci detto ‘Dacco’, però, mi dico, qui c’è un problema. Che valore ha lo sport per i nostri figli? Come bisogna insegnarlo? Inculcando quali ideali? Il problema, ripeto, è enorme. Anche perché, rispettosamente parlando, non mi pare che i risultati dello sport italiano siano eccellenti. Più che crescere campioni ideali, forse, è meglio forgiare uomini. (d.b.)
*
Approcciandomi da papà allo sport giovanile, in meno di dieci anni ho visto di tutto. Fino all’apoteosi di ieri, quando un carabattolo di un metro e mezzo autoproclamatosi profeta dello sport giovanile qui dove vivo io, mi ha aggredito per quasi un’ora con minacce non troppo velate, calunnie e intimidazioni di vario genere. Sperava di farmi saltare i nervi e non ci è riuscito perché, a sua insaputa, stavo vivendo un momento catartico, uno di quelli in cui tanti pensieri confusi piano piano si connettono e improvvisamente – è successo a tarda sera – prendono una forma sensata. I puntini si sono uniti.
L’argomento era lo sport giovanile: tre quarti della squadra dei miei figli smette sul più bello. La spiegazione di noi genitori è che c’è troppa pressione; quella degli allenatori è che i ragazzi “devono” tirar fuori gli attributi. Non è una cosa nuova e chi sta nello sport lo sa bene: a 15 anni circa i ragazzini spesso, spessissimo, mollano. Si può fare qualcosa? “Devono” tirar fuori gli attributi. Ma polisportive, allenatori, genitori, amici, nonni… qualcuno può dare un contributo di qualche genere? No, perché “devono” farlo loro. Al netto della simpatia, la discussione è finita così.
I ragazzi crescono e – giustamente – gli allenatori pretendono di più, di più, di più. Sono le regole dell’agonismo, si dice, e i ragazzi si “devono” adeguare. Solo che i ragazzi di quell’inferno di stress, pressione, rabbia repressa, rimbrotti, mica hanno voglia – tre ore al giorno cinque o sei giorni a settimana. E mollano. Noi genitori, almeno io, li dobbiamo mandare a scuola, far studiare, tener lontani da cattive frequentazioni, dargli degli orari eccetera. Dobbiamo anche forzarli a fare sport? Certo, lo sport è importante, ma non dovrebbe essere anche svago? Insomma, quando hanno un’età e cominciano a esserci anche altri impegni se decidono di mollare, mollano.
Con gli allenatori non c’è margine di trattativa: i ragazzi “devono”, sennò – espresso con parole più o meno gentili – a noi non servono. Se sali di un piano e ti rivolgi ai dirigenti c’è un senso esperto di impotenza: le cose stanno così, gli allenatori non possono fare di più, ci mettono impegno, dedizione eccetera eccetera e se i ragazzi non reggono è un peccato ma… Insomma non c’è niente da fare! Non ci sono valori che si possono mettere in campo, non si può dialogare, mediare: mi sono preso inutilmente un’ora di insulti perché non si può fare altro che fallire!
Lo sport è per i piccoli e per pochi sparuti superstiti (quelli che hanno genitori migliori di me e di chi permette ai figli di mollare).
Ma davvero va bene così? In pratica, il pallino viene lasciato totalmente in mano ai ragazzi e alla loro voglia insicura. Sì, è un modo di far selezione, ma è una selezione talmente ampia che qualche dubbio lo fa venire. Qui dove vivo io, ad esempio, nonostante i migliori impianti forse d’Europa sembra ci sia una tagliola a cui non sopravvivono gli over 15: fino a un certo punto si arriva a livelli regionali e anche più, poi ogni due tre anni si azzera tutto e ci si accontenta della mediocrità. Allenatori e dirigenti hanno davvero la coscienza a posto? Davvero non si può fare di più? Noi genitori (inesperti, per carità) meritiamo davvero di essere aggrediti da nanerottoli morali?
Lo sport italiano muore da piccolo, muore nei paesini e nelle periferie in cui nessuno sembra essere capace di mettere in gioco valori positivi, in cui non si riesce a relazionarsi senza faide minacce calunnie intimidazioni, in cui le piccole aspirazioni di chi è alla guida rendono piccole anche le persone: il grande potenziale dei nostri ragazzi viene disinnescato prima che possa esprimersi. Forse perché si spera nel campione con una tale ansia da prestazione che non si riesce a dare il tempo di crescere a nessuno, forse si buttano in campo frustrazioni adulte da cui i giovani stanno volentieri alla larga, forse si lavora semplicemente male, senza considerare le persone – grandi e piccole – nella loro interezza e ci si accontenta di contare i partecipanti senza curarsi di chi siano. E si perde, entusiasmo e persone, mica solo le partite…
È una pentola in cui non sta bollendo niente, suona a vuoto e i nostri ragazzi se ne vanno – giustamente – altrove. I mezzi uomini, anche se trovano un contesto per sbraitare e comandare, restano mezzi uomini in un mondo mediocre. Peccato!
Daniele Mingucci
L'articolo “Lo sport italiano muore da piccolo, nelle periferie in cui nessuno sembra essere capace di mettere in gioco valori positivi, in cui non si riesce a relazionarsi senza faide e intimidazioni”: lettera aperta di un genitore deluso proviene da Pangea.
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Rispetto al passato, i giovani iniziano più tardi a lavorare o a impegnarsi in relazioni stabili. Per questo motivo si ritrovano a essere più indipendenti e responsabili degli adolescenti, ma spesso economicamente ed emotivamente ancora dipendenti dai genitori. . Si sono create così nuove dinamiche familiari, in cui è frequente che i genitori controllino i figli, senza rendersi conto però di ostacolarli. . Uno studio¹ ha rilevato che il controllo genitoriale tende a danneggiare i risultati scolastici dei figli, soprattutto in ambito universitario, aumentando la paura del fallimento, e compromettendo una sana motivazione allo studio. . Questo fenomeno si riscontra allo stesso modo in maschi e femmine. Nelle femmine è noto per es. che il controllo genitoriale tenda a trasmettere un perfezionismo che, come la paura del fallimento, può assumere forme disadattive. . . 📄¹ Deneault, A. A., Gareau, A., Bureau, J. F., Gaudreau, P., & Lafontaine, M. F. (2020). Fear of failure mediates the relation between parental psychological control and academic outcomes: A latent mediated-moderation model of parents’ and children’s genders. Journal of Youth and Adolescence, 1-16. . . ℹ️ Per aggiornamenti, informazioni scientifiche, video informativi, contenuti, memi e altro è possibile seguirmi sui social: IG 📷 @federicorussopsi FB 👥 @federicorussopsicologo Sito: 🌍 psicologofedericorusso.it Per appuntamenti (anche online) e info, anche via WhatsApp:📱 327 1582852 o via mail: 📧 [email protected] 📍Via G. Pappacoda, 2, #Manduria (TA) . . #università #scuola #stress #ansia #psicoterapiaonline #psicoterapia (presso Dott. Federico Russo - Psicologo) https://www.instagram.com/p/CCnzDf8gRPy/?igshid=1l4kndzvfsgbs
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Questo spiega tante cose
La scorsa notte, in preda ad una digestione a mano armata imputabile ad una cena consumata ad orario da giovine di LucignoloBellaVita che fa la movida sgallettato a Barcellona da un ormai finto giovane consumato dal gioioso stress genitoriale, ho sognato che veniva a farmi visita Tony Polpetta, lo spirito degli avanzi del pranzo di Natale futuro. Gli ho promesso di andarci piano con gli antipasti, poi ho deciso che fosse giunto il momento di raccontare a qualcuno uno degli episodi che più hanno segnato in negativo la mia infanzia rendendomi la brutta persona che sono oggi e fermando la mia crescita (son effettivamente alto come un bambino di 6 anni che bara alzandosi sulle punte mentre lo misurano): inverno 1986, ero un alunno di prima elementare. La Mariella, la nostra maestra intrisa di spirito natalizio, decise che io e gli altri nani della classe fossimo pronti per essere i soggetti cavia di un tremendo esperimento sociale (un po' come la Cuba castrista). La maestra ci trasformò in piccoli Renato Mannheimer bonsai e ci fece intervistare tutti gli alunni della scuola per domandare loro "Babbo Natale esiste?". Bene, anzi male, non ricordo la percentuale dei Sì, dei No e dei Non sa/non risponde/maestra mi scappa la cacca, ma i decisi "No, non esiste, minchia se sei un babbo di minchia oh!" degli studenti di quinta bastarono a rompere l'inantesimo. Mariella, hai ucciso Babbo Natale, così, a sfregio. Mariella avevamo solo 6 anni. Mariella, avevamo davanti anni di letterine, attesa, sorpresa, gioia. Mariella, hai creato una classe di futuri adulti che non avrebbero mai risposto sinceramente ai sondaggi. Mariella se questo paese è in malora è anche un po' colpa tua. Mariella, brutta Mariella! Non si fa! No, no, no!
Oh, ora mi sento meglio. Anzi, no:
MARIELLA, VAFFANCUORE!
#Xmas #backinthedays
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Storia.
È difficile scrivere sui propri genitori , su ciò che un figlio conosce di loro come persone e di loro come coppia. Mio padre e mia madre son state due persone - da quanto mi è stato detto o fatto capire - sfortunate nella vita. Mio padre aveva una famiglia in cui era considerato quello sfigato, la cui famiglia gli ha sempre mostrato , abbastanza chiaramente favoritismi verso la sorella: il tutto palesato quando sua madre, nel testamento, lasciò parte dei beni e contro ogni legge, alla primogenita. Mia madre, invece, - sempre da quanto mi dicono - ha girato l'italia per inseminazioni artificiali andate sempre peggio per poi trovarsi nello stomaco solo buchi di punture, lividi e nausee continue. Nel 1997 arriva una svolta: decidono di adottare dalla Bulgaria un ragazzo di "appena" sette anni: me. I primi anni, malgrado fossi già grandicello e malgrado delle ovvie difficoltà , son trascorsi abbastanza serenamente con a monte tutta una serie di aspettative accumulate dopo anni e tanti kilomemtri a vuoto di queste sue persone. Le criticità non hanno mai avuto modo di essere presenti sebbene agissero già indisturbate tra mio padre e me, tra me e mia madre e tra loro due. Arriva poi la scoperta della mia omosessualità che, ancora più subdolamente, mi pone dei dubbi che tento disperatamente di riporre in luoghi privi di accesso ai miei genitori fino al punto in cui, senza ovviamente la lucidità con cui lo scrivo adesso, non decisi di fidanzarmi con una ragazza. Quel primo bacio, all'età di 18 anni, fu squallido, brutto e direi vergognoso. Dopo qualche mese, dove non avemmo nessun tipo di contatto fisico, decidemmo di lasciarci con tutto uno strascico di rancori che provai con molto più trasporto sentimentale di quando non stemmo insieme. Mi diplomo, faccio una tesina sul suicidio e senza nemmeno pensare lucidamente decisi di scappare dai miei genitori, dalle loro aspettative, da ciò che sentivo bloccarmi lo sviluppo mentale, sessuale e fisico. All'università, malgrado la timidezza, malgrado la scarsità delle mie capacità relazionali e socioaffettive decido di buttarmi nella mischia del mondo omosessuale, delle chat, degli incontri con altri uomini. Ho paura, mi guardo sempre le spalle (scusate l'ambiguità) fin quando non frequento il primo ragazzo al quale chiedo scusa delle mie continue erezioni quando lo tocco, quando lo guardo, quando lo bacio, quando gli palpo il culo, il cazzo. Comincio a sdoppiarmi, a venire a casa dai miei genitori e chiudermi in silenzi protettivi, volti a preservare il peso dei loro progetti su me, tesi a proteggerli. Ho vergogna ancora di me, delle mie emozioni e della delusione, di parlare. Poi però gli occhi azzurri di un ragazzo mi convincono a sciogliere il trucco e a togliere i baldacchini in scena. Sulla cresta dell'onda e su invito esasperato di mia madre a raccontarmi di più, le dico che sono gay. Mi vedo però costretto, su insulti di mio padre, a rimontare quei baldacchini che stavo provando a distruggere dalla scena. Vivo la mia prima storia d'amore destinata a concludersi dopo quasi un anno nel modo più terrificante possibile e dando vita a questo blog. Il dolore dalla disumanità sconcertante, a casa, mia madre lo fa passare agli occhi di mio padre come se fosse "stress per gli esami universitari" ridicolizzandomi e sbeffeggiandomi. Mi laureo alla triennale di psicologia e il mio secondo fidanzato, su bolla genitoriale, non può essere invitato. Alla laurea magistrale, prepotentemente, contro cugini, zii, e amici, lui si siede accanto a me. Viaggio di laurea a Budapest 2014: solo la "direttrice" dal nome di mamma sa che vado col mio fidanzato. Fa credere a chiunque chieda in proposito che ci vado con amici. Viaggio di capodanno a Copenaghen 2017: stessa, medesima, dissacrante storia. Marzo 2017 febbre a 41. Vengo assistito sempre dal mio fidanzato, giorno e notte, senza sosta. La "direttrice" dice a mio padre che sono assisitito dai miei coinquilini. Agosto 2017, a casa coi miei, senza più nessuno accanto a me. La "direttrice" insiste su i motivi della rottura, vuole aiutare, vuole farmi bene. Riceve solo silenzio e silenzi, di quelli che ho imparato a regalare a chi non fa il mio bene.
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Covis-19 e salute mentale: le regioni d'Italia più "vulnerabili"
Dopo un anno di pandemia è innegabile che il «trauma collettivo da Covid-19» abbia creato un reale impatto sulla salute mentale collettiva. A pagarne il prezzo più alto sono stati i più fragili, a cominciare da bambini/e e adolescenti che, a causa di un maggiore componente stressogena all’interno del proprio nucleo famigliare, sono esposti a maggiore rischio di maltrattamento. È questo il quadro allarmante che emerge dalla IV edizione dell’Indice regionale sul maltrattamento all'infanzia in Italia curato da Fondazione Cesvi: in una situazione di sofferenza generalizzata, la futura generazione è messa gravemente a rischio ed è necessario adottare, quanto prima, un intervento multidimensionale di medio e lungo termine per le politiche di prevenzione e contrasto al maltrattamento, oltre a quelle di cura della salute mentale per evitare che il trauma da Covid-19 accresca il fenomeno. La lettura di dati numerici del fenomeno del maltrattamento non può non tener conto di questi elementi: solo tenendo in considerazione anche questi fattori è possibile restituire una fotografia chiara del rischio al quale sono esposti migliaia di bambini e adolescenti nel nostro Paese dopo un anno di pandemia. Presentato oggi in occasione di un incontro online moderato da Cristina Parodi, ambasciatrice della Fondazione, con la partecipazione della Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, l’Indice - redatto dalle ricercatrici Giovanna Badalassi e Federica Gentile - analizza la vulnerabilità al maltrattamento dei bambini nelle singole regioni italiane, attraverso l’analisi dei fattori di rischio presenti sul territorio e della capacità delle amministrazioni locali di prevenire e contrastare il fenomeno tramite i servizi offerti. Il risultato è una graduatoria basata su 64 indicatori classificati rispetto a sei diverse capacità che rappresentano la struttura portante dell’Indice: capacità di cura di sé e degli altri, di vivere una vita sana, di vivere una vita sicura, di acquisire conoscenza e sapere, di lavorare e di accesso a risorse e servizi. L’edizione 2021 dell’Indice dedica un importante e approfondito focus all’impatto che la pandemia ha prodotto sulla salute mentale grazie al contributo di testimoni privilegiati esperti ed esperte dei servizi territoriali”. Il prolungarsi della pandemia ha reso cronica e strutturale l'emergenza della prima ondata, logorando lentamente la capacità di resilienza e resistenza psicologica e sociale. Dalla ricerca, infatti, emerge l'opinione condivisa sull’esistenza di uno specifico «trauma collettivo da Covid-19» che ha agito da detonatore di disagio grave, in special modo tra le persone e le famiglie già fragili o con traumi pregressi. Nelle famiglie più fragili è infatti aumentata in modo preoccupante la conflittualità, la violenza contro le donne e la violenza assistita e subita dai minori. Se si considera che la casa rappresenta il luogo più pericoloso (tra il 60/70% dei bambini/e tra i 2 e i 14 anni di età ha vissuto episodi di violenza emotiva da parte dei propri caregiver) è facile intuire come i periodi di lockdown abbiano costituito una aggravante della problematicità.Nell’ultimo anno abbiamo assistito anche a un forte stress negativo sullo stato di salute mentale di genitori e bambini/e legato a fattori quali la paura di ammalarsi, i minori contatti sociali, le preoccupazioni economiche e l’insegnamento online, contribuendo all’aumento del burnout genitoriale, situazione in cui è stato dimostrato essere più probabile che i bambini e le bambine vengano maltrattati anche in presenza di fattori protettivi quali, ad esempio, il livello di reddito o di istruzione, dal momento che si tratta di un fenomeno che colpisce potenzialmente tutti i tipi di famiglie. Il 43% degli italiani e delle italiane, inoltre, ha riportato un peggioramento della loro salute mentale nell’ultimo anno; il Covid-19 rappresenta dunque un potente fattore di rischio per il maltrattamento all’infanzia: un quadro tanto più preoccupante se si considera che il fenomeno emergerà in tutta la sua portata solo quando la pandemia sarà conclusa. Ad aggravare il quadro complessivo della situazione di bambini e adolescenti in Italia il dato riportato dall’Indice che riguarda l’impatto del Covid-19 sulla loro salute mentale: in generale c’è stato un aumento nelle richieste di aiuto psicologico per bambini/e e ragazzi/e e si è registrato un aumento dei tentativi di suicidio di ragazzi/e, specie durante la seconda ondata della pandemia: dall’ottobre del 2020 fino ad oggi sono aumentati del 30% i tentativi di autolesionismo e di suicidio da parte degli adolescenti. Già da oggi è quindi evidente l'urgenza di un intervento sul sistema dei servizi alla famiglia e ai minori: «Le istituzioni devono agire subito. Dopo anni di mancati investimenti, il nostro Paese si è presentato chiaramente impreparato alla prova della pandemia. È dunque indispensabile un rafforzamento dei servizi territoriali per renderli all'altezza della sfida che ci attende. Il rischio di maltrattamento per i nostri bambini e le nostre bambine crescerà in modo esponenziale e con esso il bisogno di cure mentali. È arrivato il tempo della cura e non possiamo più permetterci di essere indifferenti a questo tema», commenta Gloria Zavatta, Presidente di Fondazione Cesvi. «Per fornire una risposta concreta a questa vera emergenza sociale Fondazione Cesvi si è attivata per rinforzare i propri interventi - prosegue Zavatta - Va anche ricordato che il fenomeno è ampliamente sottostimato: per ogni caso denunciato ce ne sono nove sommersi». IL QUADRO NAZIONALE. L’edizione di quest’anno dell’Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia evidenzia, infatti, importanti criticità. Dallo studio emerge l’immagine di un’Italia a due velocità: al Sud il rischio legato al maltrattamento è più alto e l’offerta di servizi sul territorio è generalmente carente o di basso livello. Le otto regioni del nord Italia sono tutte al di sopra della media nazionale, mentre nel Mezzogiorno si riscontra un’elevata criticità: le ultime quattro posizioni dell’Indice sono occupate da Campania (20°) Sicilia (19°), Calabria (18°) e Puglia (17°). La regione con maggior capacità di fronteggiare il fenomeno del maltrattamento all’infanzia è il Trentino-Alto Adige che quest’anno per la prima volta supera l’Emilia-Romagna, grazie ad un netto distacco dalla media nazionale rispetto ai fattori di rischio. L’Emilia-Romagna, pur confermandosi la regione con il sistema più impegnato nella prevenzione e cura del maltrattamento all’infanzia, perde la prima posizione dopo tre anni sul podio, a causa di un peggioramento dei fattori di rischio. Seguono Friuli-Venezia Giulia (3°), Veneto (4°) e Umbria (5°). Quest’anno, nessuna regione nel cluster delle regioni “reattive”, ovvero che rispondono alle elevate criticità nei fattori di rischio con servizi al di sopra della media nazionale: la Sardegna è arretrata sulla media nazionale per i servizi, mentre l’Umbria ha registrato un miglioramento nei fattori di rischio che l’ha collocata al di sopra della media nazionale. Tra le regioni “virtuose” - con bassi fattori di rischio e un buon livello di servizi sul territorio– oltre all’Umbria, troviamo sei delle sette regioni della precedente edizione dell’Indice (Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Toscana) insieme alla Valle d’Aosta e al Piemonte. Tra le regioni “stabili” si trova solo la Lombardia. LA SITUAZIONE IN CAMPANIA. La Campania, in particolare, stabile in 20esima posizione sin dalla prima edizione dell’Indice, registra il peggior livello tra tutte le regioni italiane in ben cinque capacità delle sei prese in esame dall’Indice: la capacità di cura di sé e degli altri, di vivere una vita sana, di vivere una vita sicura, di lavorare ed accedere a risorse. La regione, rispetto agli anni precedenti, riscontra un peggioramento nella capacità di vivere una vita sicura (19° posto nell’edizione 2020), stabile invece la capacità di acquisire conoscenza e sapere (al 18° posto). La Campania si conferma, quindi, una regione a “elevata criticità” che combina una situazione territoriale particolarmente difficile sia per i fattori di rischio che per l’offerta di servizi. Cesvi è attiva in Campania dal 2017 per prevenire e contrastare i fenomeni di trascuratezza e maltrattamento infantile operando nella periferia di Napoli, quartiere di San Pietro a Patierno, insieme alla cooperativa locale Il Grillo Parlante. Lo scenario descritto dall’organizzazione è allarmante: il 39% dei minori, ovvero circa 2.000 bambini e adolescenti, risultano vittime di maltrattamenti, spesso all’interno della famiglia. Gli interventi di Cesvi agiscono in due direzioni, da un lato rafforzando le risorse a disposizione dei bambini e delle famiglie, dall’altro impattando positivamente sull’ambiente e la comunità circostante. L’emergenza sanitaria e il conseguente lockdown hanno peggiorato i problemi economici e sociali delle famiglie più fragili: sono nate nuove problematiche e quelle preesistenti si sono “drasticamente rafforzate”. «Questa quarta edizione dell’Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia – aggiunge Gloria Zavatta – offre una lettura del fenomeno sia strutturale, relativa alla situazione pre-pandemica, sia emergenziale rispetto al considerevole impatto che la pandemia sta producendo e produrrà in futuro. Per tale motivo, se alcune considerazioni di carattere sistemico, come la necessità di disporre di dati più puntuali sull’entità del maltrattamento all’infanzia nel nostro Paese e ridurre il divario sociale ed economico delle regioni del Mezzogiorno tramite l’attuazione pratica dei LIVEAS (Livelli Essenziali di Assistenza Socioassistenziale), mantengono comunque la loro validità, altre di natura emergenziale rispetto al trauma da Covid-19 inducono a proporre iniziative specifiche di protezione della salute mentale delle persone e, quindi, anche del benessere e della sicurezza dei bambini/e». È in questa direzione che Fondazione Cesvi ha incrementato i suoi interventi progettuali anche in Italia per fornire una risposta concreta all’infanzia maltrattata e a rischio maltrattamento con progettualità che mutuano l’esperienza maturata in 35 anni di interventi all’estero attraverso la metodologia sviluppata nelle CASE DEL SORRISO, luogo di cura per bambini/e e adolescenti vittime di maltrattamento. Il maltrattamento all’infanzia rimane un problema particolarmente grave e pervasivo nella nostra società che produce conseguenze drammatiche sulla salute dei maltrattati dal breve al lungo termine, sul loro equilibrio psico-fisico e, più in generale, su tutta la società. Sono molteplici e complessi i danni provocati da maltrattamento e trascuratezza: - a livello fisico, come ferite e fratture; - a livello psicologico come ansia, depressione, sbalzi di umore; - a livello cerebrale con possibili ricadute a livello cognitivo, linguistico e mentale. Per sostenere i progetti legati all'infanzia a rischio, la Fondazione Cesvi ha lanciato la campagna sms solidale "Quando sarò grande”, attiva dal 2 al 22 maggio. Per aiutare i bambini a vivere un'infanzia serena e a diventare gli adulti che sognano di essere, basta inviare un sms o chiamare da rete fissa al numero solidale 45580. Terre des Hommes, CISMAI, Università Bocconi (2013) Le interviste sono state condotte con: Pietro Ferrara (Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, ), Petra Filistrucchi (Centro Antiviolenza Artemisia, Firenze), Grazia Foschino Barbaro (Policlinico – Bari); Giancarla Pellecchia (ASL Frosinone), Luigi Raciti (ASP – Catania); Gloriana Rangone (Centro di Terapia dell’Adolescenza - Lombardia); Mariacarla Sbolci (Centro Psitoterapico Integrato Schema Therapy, Genova), Luca Milani (Università Cattolica di Milano), Gloria Soavi (Cismai), Simonetta Spada (Centro per il bambino e la famiglia di Bergamo). Si tratta di una condizione dovuta allo squilibrio tra i numerosi compiti collegati all’essere genitori, soprattutto durante una pandemia, e le risorse a disposizione dei genitori per poter assolvere ai propri obblighi genitoriali. Ricerca AXA (2020) condotta in sette Paesi europei. Dati OMS. Read the full article
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I figli di Socrate
La notizia: dopo decenni di studi gli scienziati avrebbero scoperto che essere genitori rende infelici.
Partiamo innanzitutto da tre assunti (sintetizzati da un editoriale su BigThink):
i luoghi comuni danno per certo che l’avere figli sia la chiave della felicità coniugale e della realizzazione. I ‘ senza figli’ sarebbero gente triste e trista, laddove nella realtà emersa dagli studi sono questi i più sereni;
la differenza tra luogo comune e realtà è più accentuata in Paesi privi di politiche pro familia. Laddove le famiglie vengono sostenute, il livello di allegria dei genitori eguaglia i coniugi senza prole;
le scoperte degli scienziati suggeriscono, quindi, che i luoghi comuni sono sbagliati ed irritanti.
I figli sono, in ogni caso, fattori di limitazione della libertà individuale e di coppia. Il gap più vistoso si riscontra negli States, notoriamente un posto non adatto alle madri. Gli studi, ahimè, non comprendono l’Italia, Paese non solo privo di reali tutele per le madri (dimissioni in bianco, penalizzazioni economiche, scarsità di asili nido pubblici, sperequazioni salariali), ma per giunta ostile ai bambini (niente tempo prolungato, niente campi estivi) dei ceti medi e medio-bassi, tanto che da decenni siamo tra i campioni della denatalità.
I figli costano molto ed in tempi e per Paesi in crisi economica irrisolta sono i primi a soffrire assieme con la serenità mentale dei loro genitori. Senza dire, poi, della scelta radicale di non averne proprio, di prole, per non mettere al mondo futuri giovani mortificati nello studio e nel lavoro, se non disoccupati a lungo termine, per poi finire pensionati morti di fame. Il tracciato in Italia è purtroppo questo e continuiamo a cincischiarci con Quota 100.
Gli studi internazionali effettuati hanno anche appurato che tra i genitori sono i padri tra i 50 ed i 70 anni gli individui che riacquistano serenità e gioia di vivere se e quando la prole esce dal nido, avendo trovato l’indipendenza economica.
Un’altra fonte di tristezza ed ansia è rappresentata dalla pressione sociale nei confronti dei genitori circa l’educazione dei figli. Ogni piccolo e grande fallimento ascritto aggrava lo stato di angoscia genitoriale.
Il converso - la ggente è davvero terribile - è che in molte società la scelta deliberata e consapevole di non procreare è socialmente sanzionata ed è parimenti fonte di stress. Chi non ha figli viene additato di crudeltà, sospettato di malattie e financo di perversioni (ah, le derive cattoliche sono implacabili!).
Se vivere senza progenie può sembrare un inutile vivere, diventare genitori, tuttavia, può rovinarci psicologicamente (e talvolta economicamente).
Dunque, che fare?
Questo dilemma appartenne anche a Socrate, allorquando gli venne chiesto se ci si dovesse o no sposare. Socrate - il quale si ammogliò in tarda età, fu bigamo ed ebbe tre figli - rispose che qualunque fosse stata la scelta, ce ne saremmo comunque pentiti.
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Ma sono davvero scomparsi i vecchi sistemi educativi? Focus sui maltrattamenti nell’infanzia
Psico.it: approfondire le questioni psicologiche legate all’infanzia Come sappiamo, il mestiere di genitore è forse il mestiere più difficile, che non può essere insegnato e che probabilmente nessuno di noi riesce a svolgere senza commettere almeno qualche errore. Comprendere ed essere consapevoli che come genitori abbiamo sempre tanto da imparare è spesso difficile da accettare e spesso potrebbe esserci utile informarci e tenere in considerazione i consigli che gli esperti nel settore possono darci. Consigli che, oltre a poterci chiarire le idee su molte questioni e dubbi, possono anche offrirci buoni spunti per riflettere su alcuni comportamenti che mettiamo in atto con i nostri figli ritenendoli “giusti” ed educativi quando invece potrebbero esser loro causa di disagio non soltanto nell’immediato, ma anche durante la loro crescita e in età adulta. In questo senso, Occhidibimbo ritiene molto interessanti i tanti approfondimenti proposti dal sito psico.it, il portale di psicologia, psicoterapia e benessere che vede in redazione un team di esperti sempre pronto ad affrontare moltissimi argomenti anche relativi alla psicologia e alla psicoterapia nell’infanzia, nonché argomenti di attualità legati al benessere psicofisico e a temi che possono aiutarci a vivere in salute e con più serenità la nostra vita e la nostra quotidianità. Sempre in considerazione al difficile mestiere di genitore, è infatti importante potersi confrontare con specialisti del settore e poter ricevere consigli e informazioni su come affrontare nel modo più efficace possibile le tante questioni legate al nostro ruolo genitoriale. I maltrattamenti nell’infanzia e le ESI – Esperienze Sfavorevoli Infantili La nostra cultura attuale ci ha portato a riconsiderare e valutare alcuni sistemi educativi che sono stati perpetuati nel tempo senza valutarne gli effetti negativi. Tra questi, le punizioni fisiche, che benché ormai si sia appurato non risultino essere utili per educare i propri figli, da recenti studi sono state anzi identificate come portatrici di molte e negative conseguenze anche nell’età adulta. Se fino a pochi decenni fa, infatti, sembrava del tutto “normale” per un genitore ricorrere alle punizioni fisiche per educare a certe regole i propri figli, oggi è risaputo che agire in questo modo non soltanto non porta all’effetto desiderato ma anzi crea nel bambino disagi che possono tradursi in ostacoli al suo sviluppo sia emotivo che intellettuale e che possono esser causa di molti disturbi in età adulta. Benché questo sia ormai un assunto di cui non si dovrebbero più avere dubbi, purtroppo a tutt’oggi i casi di bambini che vengono “educati” con maltrattamenti fisici fra le mura domestiche continuano a persistere. Con molta probabilità, anzi, i maltrattamenti fisici in famiglia che coinvolgono i bambini sono molti più frequenti di quelli che, più eclatanti e violenti, emergono dalle cronache. In Italia i dati più recenti, relativi alla sesta edizione del Dossier della campagna Indifesa di Terre des Hommes, riportano risultati allarmanti: il numero delle vittime minori di abuso di mezzi di correzione o disciplina, ovvero percosse, sfociate nella necessità di cure ospedaliere o in una denuncia, sono infatti aumentate notevolmente da un anno all’altro, con un incremento soprattutto per quanto riguarda le bambine. Secondo gli attuali studi, il maltrattamento in età infantile da parte dei genitori rappresenta un terreno fertile per conseguenze negative che il bambino maltrattato, una volta adulto, continuerà a portarsi dietro e che anzi possono favorire comportamenti, stili di vita e reazioni che potrebbero rendere la sua vita da adulto problematica e poco felice. Le ripercussioni negative dei maltrattamenti hanno un riscontro immediato sulla vita emotiva del bambino, il quale vivrà situazioni di disagio, con conflitti sempre più accentuati, sentimenti crescenti di rabbia, paura, sfiducia negli adulti e frustrazione, nonché perdita di autostima, senso di colpa e tendenza e rispondere ai problemi riproducendo gli stessi comportamenti di violenza subiti. Le ricerche hanno confermato una relazione significativa tra maltrattamento infantile e depressione, disturbi d’ansia, disturbi alimentari, disfunzioni sessuali, disturbi dissociativi, disturbi della personalità, disturbi post-traumatici e abuso di sostanze stupefacenti. Recentemente vari studi scientifici hanno evidenziato il problema e portato a far rientrare i maltrattamenti fisici nella classificazione delle cosiddette ESI - Esperienze Sfavorevoli Infantili, espressione con la quale vengono attualmente raggruppati nello stesso insieme bambini abusati sessualmente e bambini vittime di qualsiasi altro tipo di violenza, fisica, psicologica ed anche causata da trascuratezza. Gli studi hanno infatti accertato che uomini e donne che hanno subito violenza durante l’infanzia, da adulti risultano avere simili storie di vita e vari tratti in comune e risultano essere potenzialmente esposti alle medesime conseguenze post-traumatiche, tanto che nell’ultima edizione del DSM tale tematica è stata inserita tra i disturbi da stress post-traumatico. Argomento, questo, che ultimamente ha interessato molti studi di psicologia, con interventi di specialisti nel settore, tra i quali in Italia spicca la dr.ssa Marinella Malacrea, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta della famiglia, attualmente responsabile diagnosi e terapia del Centro Tiama – Tutela Infanzia e Adolescenza Maltrattata di Milano. La dr.ssa Malacrea si interessa all’argomento da diversi anni ed ha pubblicato diversi suoi studi, tra i quali, con Alessandro Vassalli, Segreti di famiglia (Cortina 1990) e, con Silvia Lorenzini, Bambini abusati, Linee guida nel dibattito internazionale (Cortina 2002). Il tema delle Esi – Esperienze Sfavorevoli Infantili è stato anche affrontato presentando al pubblico a partire dal 2015 lo spettacolo La Donna Gufo, ideato dalla scrittrice Alessandra Buschi, con la collaborazione di Sibilla Montanari, portando in scena l’esperienza dell’autrice in quanto vittima di maltrattamenti fisici durante l’infanzia. Read the full article
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