#porta della carta
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Porta della Carta, Palazzo Ducale, Piazza San Marco, Venezia, ITALIA
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PALAZZO DUCALE, PUERTA DE LA CARTA
DUCAL PALACE, PAPER DOOR
PALAZZO DUCALE, PORTA DELLA CARTA
(Español / English / Italiano)
La entrada principal del Palacio Ducal recibe el nombre de Porta della Carta ('Puerta del Papel') porque en ella se exponían los decretos oficiales; es de estilo gótico flamígero y presenta en el tímpano un león de San Marcos( simbolo de la Serenissima Repubblica di Venezia) ante el que se arrodilla el dux Foscari
La Porta della Carta, proyecto de los arquitectos Giovanni Bon y Bartolomeo Bon (también autores de la Ca' d'Oro) fue terminado en 1442.
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The main entrance to the Doge's Palace is called Porta della Carta ('Paper Door') because it is where the official decrees were displayed; it is in the flamboyant Gothic style and has a lion of St Mark (symbol of the Serenissima Repubblica di Venezia) in the tympanum, before which the Doge Foscari kneels.
The Porta della Carta, designed by the architects Giovanni Bon and Bartolomeo Bon (also the authors of the Ca' d'Oro) was completed in 1442.
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L'ingresso principale di Palazzo Ducale è chiamato Porta della Carta perché vi si esponevano i decreti ufficiali; è in stile gotico fiorito e presenta nel timpano il leone di San Marco (simbolo della Serenissima Repubblica di Venezia), davanti al quale si inginocchia il Doge Foscari.
La Porta della Carta, progettata dagli architetti Giovanni Bon e Bartolomeo Bon (autori anche della Ca' d'Oro), fu completata nel 1442.
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Antonietta Brandeis - Porta della carta (1886)
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"Stasera, per un attimo”
(Dipinto di Edgar Degas)
Stasera, per un attimo,
sul palcoscenico aperto
hai danzato per me.
Tra le povere scene di carta,
sotto le luci false,
nel frastuono di note e nel respiro
della folla piegata,
s’è fatta per un attimo
una pausa altissima,
un brivido di estatica purezza,
e hai sfiorato i tappeti
in un cielo d’aurora.
Sei stata per me, un attimo,
la raffica di musica
che da una porta schiusa
si riversa in un turbine
nella strada notturna.
Per un attimo solo,
in una luce splendida,
poi sei tornata nuda.
(Cesare Pavese)
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Bellissima … Da leggere tutta
Il grande segreto di tutte le donne rispetto ai bagni è che da bambina tua mamma ti portava in bagno, puliva la tavolozza, ne ricopriva il perimetro con la carta igienica e poi ti spiegava: “MAI, mai appoggiarsi sul gabinetto!”, e poi ti mostrava “la posizione”, che consiste nel bilanciarsi sulla tazza facendo come per sedersi, ma senza che il corpo venisse a contatto con la tavoletta. “La posizione” è una delle prime lezioni di vita di quando sei ancora una bambina, importantissima e necessaria, dovrà accompagnarti per il resto della vita. Ma ancora oggi, ora che sei diventata adulta, “la posizione” è terribilmente difficile da mantenere quando hai la vescica che sta per esplodere. Quando “devi andare” in un bagno pubblico, ti ritrovi con una coda di donne che ti fa pensare che dentro ci sia Brad Pitt. Allora ti metti buona ad aspettare, sorridendo amabilmente alle altre che aspettano anche loro con le gambe e le braccia incrociate (è la posizione ufficiale da “me la sto facendo addosso”). Finalmente tocca a te, ma arriva sempre la mamma con la figlioletta piccola “che non può più trattenersi”, e ne approfittano per passarti davanti tutte e due!
A quel punto controlli sotto le porte per vedere se ci sono gambe. Sono tutti occupati. Finalmente se ne apre uno e ti butti addosso alla persona che esce. Entri e ti accorgi che non c’è la chiave (non c’è mai!); pensi: Non importa… Appendi la borsa a un gancio sulla porta e, se il gancio non c’è (non c’è mai!), ispezioni la zona: il pavimento è pieno di liquidi non ben definiti e non osi poggiarla lì, per cui te la appendi al collo ed è pesantissima, piena com’è di cose che ci hai messo dentro, la maggior parte delle quali non usi ma le tieni perché “non si sa mai’. Tornando alla porta, dato che non c’è la chiave devi tenerla con una mano, mentre con l’altra ti abbassi i pantaloni e assumi “la posizione”… Aaaaahhhhhh… finalmente… A questo punto cominciano a tremarti le gambe perché sei sospesa in aria, con le ginocchia piegate, i pantaloni abbassati che ti bloccano la circolazione, il braccio teso che fa forza contro la porta e una borsa di cinque chili appesa al collo. Vorresti sederti, ma non hai avuto il tempo di pulire la tazza né di coprirla con la carta, dentro di te pensi che non succederebbe nulla ma la voce di tua madre ti risuona in testa: “non sederti MAI su un gabinetto pubblico!”. Così rimani nella “posizione”, ma per un errore di calcolo un piccolo zampillo ti schizza sulle calze!!! Sei fortunata se non ti bagni le scarpe. Mantenere “la posizione” richiede grande concentrazione: per allontanare dalla mente questa disgrazia, cerchi il rotolo di carta igienica maaa, cavolo, non ce n’é!!! (Mai) Allora preghi il cielo che tra quei cinque chili di cianfrusaglie che hai in borsa ci sia un misero kleenex, ma per cercarlo devi lasciare andare la porta: ci pensi su un attimo, ma non hai scelta. E non appena lasci la porta, qualcuno la spinge e devi frenarla con un movimento brusco, altrimenti tutti ti vedranno semiseduta in aria con i pantaloni abbassati… NO!!! Allora urli: ‘O-CCU-PA-TOOO!!!’, continuando a spingere la porta con la mano libera, e a quel punto dai per scontato
che tutte quelle che aspettano fuori abbiano sentito e adesso puoi lasciare la porta senza paura, nessuno oserà aprirla di nuovo (in questo noi donne ci rispettiamo molto) e ti rimetti a cercare il kleenex, vorresti usarne un paio ma sai quanto possono tornare utili in casi come questi e ti accontenti di uno, non si sa mai. In quel preciso momento si spegne la luce automatica, ma in un cubicolo così minuscolo non sarà tanto difficile trovare l’interruttore! Riaccendi la luce con la mano del kleenex, perché l’altra sostiene i pantaloni, conti i secondi che ti restano per uscire di lì, sudando perché hai su il cappotto che non sapevi dove appendere e perché in questi posti fa sempre un caldo terribile. Senza contare il bernoccolo causato dal colpo di porta, il dolore al collo per la borsa, il sudore che ti scorre sulla fronte, lo schizzo sulle calze… Il ricordo di tua mamma che sarebbe piena di vergogna se ti vedesse così, perché il suo … non ha mai toccato la tavoletta di un bagno pubblico, perché davvero “non sai quante malattie potresti prenderti qui”. Ma la tortura non è finita… Sei esausta, quando ti metti in piedi non senti più le gambe, ti rivesti velocemente e soprattutto tiri lo sciacquone! Se non funziona preferiresti non
uscire più da quel bagno, che vergogna! Finalmente vai al lavandino: è tutto pieno di acqua e non puoi appoggiare la borsa, te la appendi alla spalla, non capisci come funziona il rubinetto con i sensori automatici e tocchi tutto finché riesci finalmente a lavarti le mani in una posizione da Gobbo di Notre Dame, per non far cadere la borsa nel lavandino. L’asciugamani è così scarso che finisci per asciugarti le mani nei pantaloni, perché non vuoi sprecare un altro kleenex per questo! Esci passando accanto a tutte le altre donne che ancora aspettano con le gambe incrociate e in quei momenti non riesci a sorridere spontaneamente, cosciente del fatto che hai passato un’eternità là dentro. Sei fortunata se non esci con un pezzo di carta igienica attaccato alla scarpa, o peggio ancora con la cerniera abbassata! A me è capitato una volta , e non sono l’unica a quanto ne so! Esci e vedi il tuo uomo che è già uscito dal bagno da un pezzo, e gli è rimasto perfino il tempo di leggere “Guerra e pace” mentre ti aspettava. “Perché ci hai messo tanto?”, ti chiede irritato. ‘C’era molta coda’, ti limiti a rispondere. E questo è il motivo per cui noi donne andiamo in bagno in gruppo, per solidarietà, perché una ti tiene la borsa e il cappotto, l’altra ti tiene la porta e l’altra ti passa il kleenex da sotto la porta; così è molto più semplice e veloce, perché tu devi concentrarti solo nel mantenere “la posizione” (e la dignità). Questo scritto è dedicato alle donne di tutto il mondo che hanno usato un bagno pubblico e a voi uomini… perché capiate come mai ci stiamo tanto dentro.
~(web)~
Art. dal web
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On the Piazza San Marco in Venice in front of the Porta della Carta
By Giuliano Zasso
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Una professoressa di inglese, di Roma, conosciuta on line. È stata l’unica che mi ha fatto venire al telefono, solo con la voce, le parole, i suoi gemiti ed i suoi orgasmi. Tutto utilizzando solo il senso dell’udito, all’epoca c’erano i cellulari ma non ancora quelli con i quali fare videochiamate. Una cosa che non avrei mai creduto possibile. È successo più volte, prima di incontrarci davvero. La prima volta ero in auto, poi a casa. Ricordo che se succedeva (non sempre), durante la chiamata mi denudavo completamente, mi mettevo in piedi con la schiena contro la porta d’ingresso, mettevo una fila di fogli di giornale a terra e mi masturbavo lentamente mentre le ordinavo cosa fare. Poi, quando l’eccitazione di entrambi era al culmine, venivamo abbastanza rumorosamente e ricordo il crepitio della carta di giornale investita dai lunghi e densi fiotti schizzati dal mio cazzo.
Non è più successo con nessun altra e penso che non sarebbe successo neanche con lei se avessimo fatto delle videochiamate.
La mente e la sua capacità di immaginare ha una forza superiore a qualsiasi realtà.
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Io sono del centro, quindi non credo di poter capire cosa significa Geolier nel vissuto di gente del Sud e di Napoli, però non sono convinta che sia solo un sentimento discriminatorio nei confronti della sua napoletanità ad aver pilotato il voto delle giurie lontano da lui. Credo che anche il genere che fa sia ancora percepito come troppo divisivo per l'affresco cerchiobottista che è Sanremo. Ovviamente alla gente piace, ma altrettanto ovviamente scatena in altri il - già visto, già sentito per altri mille generi, ma ora è questo il momento - "ma che è sta roba ma come è stato possibile permettere questo??" L'ho sentito da tanti contatti della mia età e oltre - ho 40 anni - una chiusura totale verso una sottocultura che puoi amare o odiare, ma il cui ruolo del panorama musicale italiano è ormai un dato di fatto.
Tldr perchè sono ancora in deprivazione grave di sonno e ho perso un pò il filo... credo che la convergenza sulla Mango a discapito di Geolier sia stato dato non solo dal sentimento anti napoletano ma anche dalla volontà di disconoscere tutta la sottocultura musicale che lui si porta dietro
Ma guarda sono assolutamente d'accordo, diciamo che a me personalmente tocca di più l'antimeridionalismo, perché veramente, basta un attimo fare 2 ricerche, andare a vedere le reazioni della sala stampa, i "non fate votare più i campani", i "quanti call center ci sono a napoli che schifo" e compagnia, per rendersi conto che qua l'antimeridionalismo ha giocato una carta importante.
Ma ovviamente quoto tutto quello che hai scritto, perché è vero, il genere è molto ostracizzato a Sanremo, e già dalla fascia 35+ è meno gradito. Cioè è anche il motivo del perché un Lazza non ha vinto con Cenere nonostante la sua sia la canzone del Sanremo scorso più ascoltata su spotify.
Quindi sì, in breve la combo "trapperino" e "napoletano" è stata micidiale.
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Amore,
vola da me
con l'aeroplano di carta
della mia fantasia,
con l'ingegno del tuo sentimento.
Vedrai fiorire terre piene di magia
e io sarò la chioma d'albero più alta
per darti frescura e riparo.
Fa' delle due braccia
due ali d'angelo
e porta anche a me un po' di pace
e il giocattolo del sogno.
Ma prima di dirmi qualcosa
guarda il genio in fiore
del mio cuore.
Alda Merini
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TELEGRAMMA DEL PRESIDENTE PERTINI AI MILITARI ARGENTINI
« L'agghiacciante cinismo del comunicato col quale si annuncia la morte di tutti i cittadini argentini e stranieri scomparsi in Argentina nei tragici anni trascorsi sotto la dittatura militare, colloca i responsabili fuori dell'umanità civile. Esprimo lo sdegno e la protesta mia e del popolo italiano in nome degli elementari diritti umani, così crudelmente scherniti e calpestati ». 29 aprile 1983
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PROTESTA DEL GOVERNO ARGENTINO PRESSO IL GOVERNO ITALIANO
« Il governo della Repubblica Argentina esprime al governo della Repubblica Italiana la sua più energica protesta per le espressioni contenute nel telegramma rivolto dal signor presidente Alessandro Pertini alla giunta militare e le respinge fermamente nella loro integrità, in quanto esse sono lesive e rappresentano una evidente intromissione negli affari interni della Repubblica Argentina ». 3 maggio 1983
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RISPOSTA DEL PRESIDENTE PERTINI AL PRESIDENTE ARGENTINO GEN. BIGNONE
« Signor presidente, ho ricevuto il memorandum che ella mi ha fatto pervenire in seguito alla mia protesta ufficiale per i delitti contro vittime innocenti. Prima di tutto tra le vittime vi sono anche italiani: di qui il mio diritto a protestare. Secondo: l'Argentina ha firmato la Carta di San Francisco e quindi i suoi governanti devono rispondere innanzi al mondo intero di ogni loro violazione di diritti umani e civili. Inoltre mi chiedo stupito perché lei, uomo onesto e ufficiale integerrimo, voglia difendere ufficiali che con gravi misfatti hanno disonorato la divisa che lei porta con onore. Non mi interessa che altri capi di stato non abbiano sentito il dovere di protestare come ho protestato io. Peggio per loro. Ciascuno agisce secondo il suo modo di sentire. lo ho protestato e protesto in nome dei diritti civili e umani e in difesa della memoria di inermi creature vittime di morte orrenda. È tutta l'umanità che deve sentirsi ferita e offesa. Sono certo che nell'intimo del suo animo ha risonanza la mia umana parola, anche se per dovere di ufficio, acconsente che la sua diplomazia protesti per il mio legittimo e doveroso intervento ». 3 maggio 1983
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Documenti tratti da:
Piero Di Monte, Desaparecidos. Testimonianza di un superstite, a cura di Giulio Battistella, edizioni EMI, Bologna, ottobre 1983¹; pp. 63-65 (passim).
#Piero Di Monte#desaparecidos#leggere#testimonianze#libri#America Latina#Argentina#letture#citazioni#Sandro Pertini#Operación Cóndor#Guerra sucia#guerra sporca#Nunca más#Storia del XX secolo#documenti#testimoni#saggistica#CIA#crimini contro l'umanità#sudamerica#dissidenti politici#saggi#Processo di Riorganizzazione Nazionale#diritti umani#dittature#Reynaldo Bignone#Jorge Rafael Videla#Roberto Eduardo Viola#Orlando Ramón Agosti
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Il 15 ottobre è per tutti noi una data scolpita nel cranio: il giorno peggiore, dove la benedizione dell'esserci e di essersi potuti incontrare ha avuto la sua massima espressione.
E' giusto ricordare quel giorno come simbolo del buio dell'era moderna, come punto di partenza per una evoluzione ed elevazione anche spirituale, dalle quali si è partiti per disconoscere come realtà tutte le favole urlate e dense di propaganda provenienti dal dualismo destra - sinistra, che per centinaia di anni ha tenuto furbescamente banco distraendo le persone dal problema reale: chi ha vissuto questo periodo col coraggio tipico dei ribelli, porta nell'anima e sulla pelle i segni che ci hanno condotto ad un livello nuovo di consapevolezza, profondo quel che basta per comprendere che gli unici schieramenti mai esistiti sono o "con l'elite" o "contro l'elite".
Le ferite che ci siamo procurati in questo cammino, talvolta bruciano ancora e oggi più che mai sentiamo la necessità di chiarire che NOI NON DIMENTICHIAMO.
Per abbattere il muro eretto fra vaccinati e non vaccinati, fra pro e contro gree pass, occorre ristabilire innanzitutto una linea di rispetto che tenga conto di tutte le sensibilità esistenti senza prevaricarne nessune, e questo non significherà MAI accettare di dimenticare il 15 ottobre.
Ci battiamo per il diritto all'autodeterminazione e qualunque intervento che possa violare anche solo idealmente i confini corporei o spirituali a casa nostra si definisce stupro.
Il trattamento sanitario imposto all'epoca se anche fosse stato efficace contro l'influenza per noi non avrebbe comunque avuto giustizia di essere imposto: il bene personale e individuale, le convinzioni della persona e le sue idee, non possono essere violate e sacrificate in nome di un bene superiore, poiché la libertà è essa stessa IL bene superiore, e perché ogni intervento esterno modifica con prepotenza il percorso che ogni anima deve fare per darsi le risposte ataviche e naturali che l'essere umano si pone da sempre.
Non dimentichiamoci dei bambini, ancora oggi tristemente ostaggio della Legge Lorenzin, esclusi dalla frequenza dei servizi per la prima infanzia e vedono noi, genitori della libera scelta, additati continuamente come autori di epidemie.
Non dimentichiamoli, proprio noi che abbiamo vissuto questa apartheid.
Siccome nulla accade per caso, il 15 ottobre 2024 siamo stati svegliati dalla notizia che il 25 ottobre sull'app IO (la stessa usata per il green pass), saranno disponibili nel wallet o portafoglio digitale la patente, la tessera sanitaria ed eventuale carta europea della disabilità per 50.000 italiani, possibilità che verrà estesa a tutti i cittandini entro il 05/12/2024.
Il fine non è mai stato la vaccinazione: il fine era ed è il green pass, perché a quel test la popolazione ha risposto in massa "presente!", dimostrando all'elite che la paura di perdere quel millimetro di stabilità è in grado di farci sacrificare chilometri di libertà.
Facciamo un appello affinché tutti pretendiamo il diritto ad una vita che ci garantisca gli stessi diritti anche senza smartphone: il punto centrale, il nodo della questione, è proprio questo, ovvero il diritto alla disconnessione e alla non digitalizzasione, mantenendo lo stesso diritto di accesso ai servizi di e per tutte le persone.
Vi salutiamo con delle righe ribelli che siano anche in grado di diffondere speranza:
ci è sempre piaciuto parlare di persone, più che della gente.
Le persone combattono, la gente si arrende.
Le persone insistono, la gente arretra.
Le persone scelgono la strada difficile, quella che non conviene, ma è giusta.
Nulla di quello che facciamo noi attivisti è conveniente: non ci candidiamo, non becchiamo un soldo ( al massimo qualche condanna, ma ormai non ci si fa nemmeno più caso).
Noi siamo persone, siamo quelli che non mollano mai, che non si nascondono e hanno la sfrontatezza di dire e dimostrare a tutti che tutti possono dichiarare guerra all'elite anche senza sovrastrutture.
NOI SIAMO QUELLI CHE MUOIONO IN PIEDI, PERCHE' IN GINOCCHIO LASCIAMO STARE I SERVI.
Concludiamo: una nota la facciamo al DDL 1660. NESSUNO che sia favorevole al green pass e ora si batte contro il ddl 1660, detto anche decreto sicurezza, ha la nostra stima.
Lottare contro alle leggi liberticide sifgnifica recuperare una dimensione di rispetto fra essri umani, al netto della retorica, delle favole pesanti, dell'ideologia dei partiti, della zavorra che opera da sempre per dividere gli oppressi e distrarre dall'oppressore.
Invitiamo tutti quelli che si riconoscono in questo pensiero a collaborare per fermare il ddl 1660 e per attuare i progetti di comunità che non chiedono, ma pretendono con la loro stessa esistenza, un netto cambio di passo verso un mondo diverso.
L.T
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Oggi è la festa di Santa Lucia, nella città in cui sono nata è usanza che porta i regali. È sempre stata una notte magica anche da adulta, peccato che dove vivo adesso non esiste questa ricorrenza. Da bimba mi ricordo che i miei ci facevano trovare i regali la sera prima così al mattino non facevamo ritardo a scuola. Mia mamma li disponeva o sui nostri lettini oppure sul tavolo di legno in salotto. Erano tutti incartati con della carta super colorata, ma non natalizia perché a mia mamma non è mai piaciuta, e disposti tutti benissimo. I regali più ingombranti dietro e man mano sempre quelli più piccoli davanti. Mentre noi eravamo a scuola o dai nonni lei aveva tempo di fare anche questo tra la casa e il lavoro. Se ci ripenso adesso da grande capisco che faceva i salti mortali. Mio papà non ha mai fatto nulla in casa, ha sempre fatto e fa tutt’ora mia mamma. Mi è sempre rimasto impresso nella mente come li posizionava, veniva sempre una bellissima composizione di regali, non erano messi a caso ma con un criterio ben preciso. Il regalo di Santa Lucia solitamente arriva anche qua ed è sempre una cosa che mi regala un po’ di magia di quando ero piccola. Quest’anno non è ancora arrivato nulla e non so se arriverà. Ho scoperto la non esistenza di Santa Lucia quando per caso ho visto dove nascondeva i regali, però me lo sono tenuto per me perché mia sorella era ancora piccola e non volevo rovinarle una notte così magica come questa. Non sono amante del Natale, ma la notte di Santa Lucia è un po’ come se respirassi quella magia che molti respirano in quella notte mentre io la trovo molto triste.
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Francis Hopkinson Smith (American, 1838 - 1915) - Porta della Carta, Venice
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Il grande segreto di tutte le donne rispetto ai bagni è che da bambina tua mamma ti portava in bagno, puliva la tavolozza, ne ricopriva il perimetro con la carta igienica e poi ti spiegava: “MAI, mai appoggiarsi sul gabinetto!”, e poi ti mostrava “la posizione”, che consiste nel bilanciarsi sulla tazza facendo come per sedersi, ma senza che il corpo venisse a contatto con la tavoletta. “La posizione” è una delle prime lezioni di vita di quando sei ancora una bambina, importantissima e necessaria, dovrà accompagnarti per il resto della vita. Ma ancora oggi, ora che sei diventata adulta, “la posizione” è terribilmente difficile da mantenere quando hai la vescica che sta per esplodere. Quando “devi andare” in un bagno pubblico, ti ritrovi con una coda di donne che ti fa pensare che dentro ci sia Brad Pitt. Allora ti metti buona ad aspettare, sorridendo amabilmente alle altre che aspettano anche loro con le gambe e le braccia incrociate (è la posizione ufficiale da “me la sto facendo addosso”). Finalmente tocca a te, ma arriva sempre la mamma con la figlioletta piccola “che non può più trattenersi”, e ne approfittano per passarti davanti tutte e due!
A quel punto controlli sotto le porte per vedere se ci sono gambe. Sono tutti occupati. Finalmente se ne apre uno e ti butti addosso alla persona che esce. Entri e ti accorgi che non c’è la chiave (non c’è mai!); pensi: Non importa… Appendi la borsa a un gancio sulla porta e, se il gancio non c’è (non c’è mai!), ispezioni la zona: il pavimento è pieno di liquidi non ben definiti e non osi poggiarla lì, per cui te la appendi al collo ed è pesantissima, piena com’è di cose che ci hai messo dentro, la maggior parte delle quali non usi ma le tieni perché “non si sa mai’. Tornando alla porta, dato che non c’è la chiave devi tenerla con una mano, mentre con l’altra ti abbassi i pantaloni e assumi “la posizione”… Aaaaahhhhhh… finalmente… A questo punto cominciano a tremarti le gambe perché sei sospesa in aria, con le ginocchia piegate, i pantaloni abbassati che ti bloccano la circolazione, il braccio teso che fa forza contro la porta e una borsa di cinque chili appesa al collo. Vorresti sederti, ma non hai avuto il tempo di pulire la tazza né di coprirla con la carta, dentro di te pensi che non succederebbe nulla ma la voce di tua madre ti risuona in testa: “non sederti MAI su un gabinetto pubblico!”. Così rimani nella “posizione”, ma per un errore di calcolo un piccolo zampillo ti schizza sulle calze!!! Sei fortunata se non ti bagni le scarpe. Mantenere “la posizione” richiede grande concentrazione: per allontanare dalla mente questa disgrazia, cerchi il rotolo di carta igienica maaa, cavolo, non ce n’é!!! (Mai) Allora preghi il cielo che tra quei cinque chili di cianfrusaglie che hai in borsa ci sia un misero kleenex, ma per cercarlo devi lasciare andare la porta: ci pensi su un attimo, ma non hai scelta. E non appena lasci la porta, qualcuno la spinge e devi frenarla con un movimento brusco, altrimenti tutti ti vedranno semiseduta in aria con i pantaloni abbassati… NO!!! Allora urli: ‘O-CCU-PA-TOOO!!!’, continuando a spingere la porta con la mano libera, e a quel punto dai per scontato
che tutte quelle che aspettano fuori abbiano sentito e adesso puoi lasciare la porta senza paura, nessuno oserà aprirla di nuovo (in questo noi donne ci rispettiamo molto) e ti rimetti a cercare il kleenex, vorresti usarne un paio ma sai quanto possono tornare utili in casi come questi e ti accontenti di uno, non si sa mai. In quel preciso momento si spegne la luce automatica, ma in un cubicolo così minuscolo non sarà tanto difficile trovare l’interruttore! Riaccendi la luce con la mano del kleenex, perché l’altra sostiene i pantaloni, conti i secondi che ti restano per uscire di lì, sudando perché hai su il cappotto che non sapevi dove appendere e perché in questi posti fa sempre un caldo terribile. Senza contare il bernoccolo causato dal colpo di porta, il dolore al collo per la borsa, il sudore che ti scorre sulla fronte, lo schizzo sulle calze… Il ricordo di tua mamma che sarebbe piena di vergogna se ti vedesse così, perché il suo … non ha mai toccato la tavoletta di un bagno pubblico, perché davvero “non sai quante malattie potresti prenderti qui”. Ma la tortura non è finita… Sei esausta, quando ti metti in piedi non senti più le gambe, ti rivesti velocemente e soprattutto tiri lo sciacquone! Se non funziona preferiresti non
uscire più da quel bagno, che vergogna! Finalmente vai al lavandino: è tutto pieno di acqua e non puoi appoggiare la borsa, te la appendi alla spalla, non capisci come funziona il rubinetto con i sensori automatici e tocchi tutto finché riesci finalmente a lavarti le mani in una posizione da Gobbo di Notre Dame, per non far cadere la borsa nel lavandino. L’asciugamani è così scarso che finisci per asciugarti le mani nei pantaloni, perché non vuoi sprecare un altro kleenex per questo! Esci passando accanto a tutte le altre donne che ancora aspettano con le gambe incrociate e in quei momenti non riesci a sorridere spontaneamente, cosciente del fatto che hai passato un’eternità là dentro. Sei fortunata se non esci con un pezzo di carta igienica attaccato alla scarpa, o peggio ancora con la cerniera abbassata! A me è capitato una volta , e non sono l’unica a quanto ne so! Esci e vedi il tuo uomo che è già uscito dal bagno da un pezzo, e gli è rimasto perfino il tempo di leggere “Guerra e pace” mentre ti aspettava. “Perché ci hai messo tanto?”, ti chiede irritato. ‘C’era molta coda’, ti limiti a rispondere. E questo è il motivo per cui noi donne andiamo in bagno in gruppo, per solidarietà, perché una ti tiene la borsa e il cappotto, l’altra ti tiene la porta e l’altra ti passa il kleenex da sotto la porta; così è molto più semplice e veloce, perché tu devi concentrarti solo nel mantenere “la posizione” (e la dignità). Questo scritto è dedicato alle donne di tutto il mondo che hanno usato un bagno pubblico e a voi uomini… perché capiate come mai ci stiamo tanto dentro.
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Dopo un anno al civico 418
Non so dire che stagione sia, mi sembra che si siano riunite tutte qui in un pic-nic sul mio collo, portando ciascuna il carico della propria inconfondibile nostalgia. Sono all’incrocio dei venti, il soffio vitale di moltissime e imprevedibili possibilità, carne ancora di carta, ma comunque la storia della carne. Il tempo non muore, il tempo semplicemente si estingue: è diverso. Penso allo sgomento col quale sono stata costretta ad accettare il fatto che, se non lo mangi, il cibo si guasta anche se è nel frigo. Quella sensazione di tradimento, di impermanenza, mi fa orrore. Eppure non credo sia metafora della mia morte, credo che sia lo spaesamento della dipendenza - è la morte degli altri. Questo mese faccio scatoloni, mi impoversico di qualche migliaia di euro, e mi impoverisco di questo ultimo status quo, uno dei primi che mi sia piaciuto dopo la baita di montagna sul mare di Valerio. Parallelamente scolpisco come una artigiana piuttosto incerta l’ultimo colpo grosso della mia carriera nel mondo della ricerca, promessa d’incrocio, incrocio che conduce da molte parti lontanissime tra loro. Berlino potrebbe non piacermi. È probabile che Berlino mi ammazzi, ma sono già sopravvissuta a qualche inferno e una trentina di inverni, e contro ogni previsione sono qui adulta con un sacco di vite alle spalle e pochissimi privilegi - tantissimi privilegi - ma meno privilegi di quelli che mi erano stati promessi. Li ho rifiutati. Se Berlino mi ammazza vorrà dire che sono scaduta, ma qualcosa mi ha comunque già mangiata: sono solo gli avanzi di me, sono quello che potrei ancora diventare. Peggio: se Berlino mi ammazza è perché l’ho lasciata guastarsi nel frigo, non l’ho assaggiata, nessun pic-nic all’aperto.
Questa vita, la mia vita, il mio unico vero amico di sempre: mi mancheranno e non so che sto facendo, li sto lasciando scivolare così, come è giusto anche se non lo voglio. In frigo nevica, fuori dal frigo ci si scioglie nel sudore. Sulla porta di casa nostra ci sarà ancora per un po’ la ghirlanda di Halloween, sopra al microonde la gallina di cioccolato di Pasqua.
Se Berlino non mi ammazza lo faranno il lavoro, la tesi, il trasloco verso un appartamento che pago ed in cui è probabile che non vivrò. Sulla mia faccia piove poco, tra le mie dita della terra da cui inevitabilmente qualcosa in primavera germoglierà.
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uno dei miei due coinquilini ha la camera confinante con la mia e persino una porta che condividiamo dalla quale possiamo passare da una stanza all'altra. per questo motivo tutto ciò che accade nella sua stanza io lo percepisco, e viceversa, e c'è questa cosa singolare per cui mi sento come se stessi letteralmente accedendo anche a quella parte della sua vita dalla quale di norma si è esclusi. so esattamente a che ora va a dormire, se si addormenta guardando un film o quando si sveglia, in base al suo respiro. sento gli strappi del suo rotolo di carta igienica personale dopo un presumibile momento di intimità con sé stesso, le canzoni su cui il suo cervello si fissa, la velocità cui mangia, il modo in cui studia leggendo il tedesco ad alta voce parlando solo a tratti tra sé e sé in italiano, se pulisce la scrivania dalle briciole usando le mani, se fa su una canna, se apre o chiude la finestra, se sospira o sogghigna o si stiracchia e sono solo, unicamente, suoni. vedo sentendo
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