#poeta bosniaco
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O tenerezza umana dove sei? Forse solo nei libri? Chi ha fatto il turno di notte per impedire l’arresto del cuore del mondo? Noi, i poeti
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Le vie del Paradiso: l’amore e le sfide della vita nella poesia di Maid Corbic. Recensione di Alessandria today (Ita - Eng)
La ricerca della saggezza e la disillusione per l'amore moderno nei versi di Maid Corbic
La ricerca della saggezza e la disillusione per l’amore moderno nei versi di Maid Corbic. La poesia Le vie del Paradiso di Maid Corbic è un’opera che esplora il concetto di amore e le complessità della vita attraverso una lente nostalgica e riflessiva. Corbic, giovane poeta originario di Tuzla, riesce a catturare l’essenza delle sfide emozionali con una sensibilità profonda, esaminando il ruolo…
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Poesia d’amore degli anni sessanta del secolo di Izet Sarajlić
Izet Sarajlic, storico, filosofo e poeta bosniaco è nato nel 1930, trasferitosi nel 1945 a Sarajevo dove consegue la laurea in lettere alla facoltà di filosofia della locale università. Fondatore nel 1954 del “Gruppo 54”, movimento d’innovazione poetica, ed uno fra gli organizzatori delle “Giornate poetiche di Sarajevo” . Pluripremiato scrittore jugoslavo, conosciuto anche nei paesi dell’allora…
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Durante un concerto Giovanni Lindo Ferretti recita questa sorta di ''manuale di sopravvivenza'' estratto dal diario di guerra intitolato ''Indicazioni stradali sparse per terra'' del poeta bosniaco Nedzad Maksumic in memoria della guerra in Bosnia del 1992.
La prima volta che ascoltai questo pezzo avevo all'incirca tredici anni. Mi colpì subito dentro in maniera drastica e irreversibile e nel tempo come una nota mentale programmata ho continuato a mantenerlo vivo nella mia memoria. Ho sempre pensato che l'arte che nasce dal dolore abbia il preciso dovere di riportare al presente gli orrori del passato, come un senso di colpa che si tramanda di generazione in generazione per insegnare ai nostri figli che anche i morti di una guerra lontana sono i nostri morti. Ma è quando opere del genere ritornano ad essere attuali, oggi più che mai, che ci si rende conto che l’umanità ha fallito ancora una volta. Abbiamo fallito ancora una volta.
I vecchi dissero ci sarà la guerra ma nessuno prestò credito alle loro parole e nessuno fece nulla.
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(via Erri De Luca Quando c’è poco tempo […]) Ci sono dei momenti in cui la poesia è veramente un rifugio o, per dirla da orso come sono, una tana. Forse dire poesia o intendere come poesia solo produzione in versi è restrittivo. Forse poesia è altro o meglio ancora, è oltre. Almeno per me. Trovo poesia nella prosa e in certa prosa trovo le risposte. Come in queste poche righe di Erri De Luca, che parla dell'amico Ante Zemljar, poeta jugoslavo anzi croato e anche di Izet Sarajlic poeta bosniaco. In parole come queste trovo consolazione, trovo saggezza, trovo umanità e ogni risposta. Leggo l'amicizia, quella vera, che non si affievola nel tempo e nella lontananza; vedo il rispetto profondo; vedo il senso della poesia nella vita umana. E ritrovo pace e speranza. Speranza negli esseri umani, nella loro grandezza, nei sentimenti limpidi. E alla fine cado nella poesia con le ultime righe: musica per le mie orecchie e spero anche per voi. (se avrete voglia di andare a leggerle) " .... 𝑚𝑎 𝑠𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑎𝑚𝑖𝑐𝑜 𝑎𝑙𝑙’𝑖𝑚𝑝𝑟𝑜𝑣𝑣𝑖𝑠𝑜 𝑢𝑛 𝑝𝑜𝑒𝑡𝑎, 𝑢𝑛 𝑠𝑢𝑜 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑠𝑎𝑙𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑎𝑔𝑙𝑖 𝑜𝑐𝑐ℎ𝑖 𝑝𝑒𝑟 𝑖𝑙𝑙𝑢𝑚𝑖𝑛𝑎𝑟𝑙𝑖, 𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑒𝑟𝑣𝑒 𝑢𝑛 𝑝𝑜𝑒𝑡𝑎? 𝑄𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑣𝑒 𝑓𝑎𝑟𝑒, 𝑝𝑟𝑒𝑛𝑑𝑒𝑟𝑡𝑖 𝑠𝑜𝑡𝑡𝑜𝑏𝑟𝑎𝑐𝑐𝑖𝑜, 𝑑𝑎𝑟𝑡𝑖 𝑙’𝑎𝑚𝑖𝑐𝑖𝑧𝑖𝑎 𝑑𝑖 𝑞𝑢𝑎𝑡𝑡𝑟𝑜 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑖 𝑖𝑛𝑠𝑖𝑒𝑚𝑒, 𝑠𝑖𝑙𝑙𝑎𝑏𝑒 𝑑𝑖 𝑢𝑛𝑎 𝑠𝑡𝑟𝑜𝑓𝑎 𝑝𝑒𝑟 𝑡𝑒 𝑚𝑖𝑟𝑎𝑐𝑜𝑙𝑜𝑠𝑎." Io mi salvo così, ritrovo qualcosa in me stessa per andare avanti, ma quel qualcosa viene dal fuori, dagli altri a cui va il mio GRAZIE 🧡
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La redazione di Toscana Today
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Venuto al mondo 📚 di Margaret Mazzantini. ⭐️⭐️⭐️⭐️4 stelle. Un romanzo molto realistico, fresco e appassionato. Inizia con una madre, Gemma, e col figlio adolescente Pietro, che partono insieme per una Sarajevo del dopo-guerra. Si evolve tornando indietro nel tempo e parlandoci di quest’amore travolgente tra due ragazzi, Gemma e Diego, che si incontrano in una Sarajevo in tempo di pace; che si innamorano, che si perdono, che poi si ritrovano. Affronta anche tematiche come la maternità negata di Gemma. Ci parla di una forte amicizia con Gojco, uno strambo poeta bosniaco, della guerra, di una popolazione dilaniata, come il ventre di Gemma. Forse leggermente prolisso in alcune parti. Ma è una storia drammatica, potente, commovente che ci porta per mano insieme ai protagonisti, lungo il loro cammino. Trovate tutto sul mio blog. Link in bio! ✨😁😘 #recensione #book #bookstagram #venutoalmondo #margaretmazzantini #flashreview #libri #lettura
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Perchè amo le Marche
Perché noi, nelle Marche (ma in Umbria e in Abruzzo sono un po' uguali a noi) non siamo molto avezzi a lamentarci. Quando ero bambino le Marche non le consideravo una regione. Era rarissimo sentir dire, "la nostra regione"o "noi marchigiani" perché se capitasse di mettere in una stanza uno di Gabicce Mare, uno di Senigallia, uno di Civitanova e uno di Ascoli sembra che siano assieme un eschimese, un bosniaco, un somalo e un nativo americano.
Perché le Marche non sono una sola regione, ma quattro, cinque o sei.Si passa dalla Romagna al Centro Italia e si arriva fin quasi in Puglia soprattutto a livello linguistico. Poi col tempo le cose sono cambiate.
Forse a causa di Rai 3 che ci ha iniziato ad informare attraverso il Tg Regione di quel che succedeva sui Sibillini, in Carpegna o sulla Riviera delle Palme o forse perché diventando più grande e iniziando a girare la regione per le ragioni più diverse, ho scoperto, abbiamo scoperto le sue bellezze mozzafiato, i suoi panorami sorprendenti, la sua immensità nel mare della quale naufragare è dolce e struggente. Ho visitato molti luoghi in Italia e anche un po' nel mondo, ma le Marche sono uniche. Così diverse eppure così identiche nella apparente durezza della propria gente, nel verde delle colline, nei silenzi e nell'austera calma delle vecchie sedute all'uscio.
Nelle Marche si può andare al mare o sciare nel giro di mezzora. Puoi gustare una cucina e dei vini tra i migliori del mondo Puoi vedere le nuvole bianche solcare i cieli azzurri, e poi le palme e poi le vette monumentali e poi il verde, tanto verde.
Pesaro è la provincia con più zone boschive per abitante dopo Cuneo, ma i Sibillini non sono da meno. E lì in quei luoghi misteriosi ti sembrerà di veder apparire dietro ogni angolo briganti, elfi, streghe e folletti. Le Marche sono magiche nella loro semplicità tra oceani di girasoli e borghi piantati in cima a una collina. Però le Marche da qualche tempo non sono più le stesse. Sembra che alle porte dell'Inverno sia arrivato l'Inferno in terra. Una crepa spinge una parte della nostra terra verso il mare mentre l'altra parte rimane testardamente penisola. È come se un pezzo di regione desse il via ad una lenta ma inesorabile deriva. Si tratta di pochi centimetri ma i danni sono quasi ovunque incalcolabili. I marchigiani sono gente corrazzata ma da qualche giorno, al culmine della malastagione dopo una nevicata che non si vedeva da mezzo secolo, coi cieli perennemente grigi e pareti di neve, ho visto nelle immagini che passano nei notiziari facce sfinite dalla stanchezza, occhi persi dietro bestie che muoiono di freddo, stalle che crollano, chiese sbriciolate, case inagibili, buio dentro e fuori. E di riflesso tutto questo lo avvertiamo anche noi che non siamo stati coinvolti direttamente ma che abbiamo quasi tutti un amico, un parente, un conoscente, un compagno dove la terra si muove senza sosta. Vorrei che non dimenticaste le Marche e vorrei che prendeste in considerazione domani, la prossima estate o il prossimo inverno di venire a vedere che regione incredibile è. I boschi delle Cesane, il Catria, le mura di Corinaldo, il mare di Sirolo e Numana, la santità di Loreto, San Benedetto e le palme, le terre della Sibilla, Urbino, la seconda città d'arte italiana con la sua Pinacoteca e lo splendido Palazzo Ducale, la Pesaro rossiniana e lo Sferisterio di Macerata, la poesia di Recanati e del poeta moderno più grande di sempre e ovviamente la sabbia di velluto di Senigallia. Le Marche non sono una regione scontata. Venite e non ve ne pentirete. Abbiamo bisogno di voi per ripartire.
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Faruk Sehić: “Lo scrittore deve sputare in faccia alla Storia. Dopo aver narrato la guerra, ora racconto l’amore post-apocalittico”
Faccia dura, occhi liquidi, che purificano il dolore. Quanta morte hai visto, amico mio?, viene da chiedergli. La storia della letteratura occidentale comincia con la parola menin, che significa ira, con l’assedio alla città di Troia, con la guerra e con la morte. Proprio così, con impeto omerico, con sguardo epico e psichedelico (“La sera, quando cadono le Leonidi, nella pioggia di meteore si nascondono i profughi di ritorno alle loro case terrestri. La vita si ripete nella sua semplicità, piena di piccole abitudini e rituali umani”), Faruk Sehić (nella foto di Srdan Veljović) ha raccontato la Guerra in Bosnia. Lui c’era. C’era, il poeta, nell’impeto della battaglia. Classe 1970, a 22 anni Faruk studia veterinaria a Zagabria. La guerra scoppia. Lui interrompe gli studi. Si arma, lotta nell’esercito della Bosnia ed Erzegovina. Comanda una unità di 130 uomini. Vede la morte. Uccide. Forse. “La guerra non è un balletto”, ripete, incessantemente, da Sarajevo, “l’unica città dove posso vivere”, ad ammirare quotidianamente la disgregazione della fu Jugoslavia. Knjiga o Uni, pubblicato nel 2011, viene onorato con l’European Union Prize for Literature e viene tradotto nel resto dell’Occidente. In Italia arriva quest’anno, come Il mio fiume (pp.206, euro 16,00), per l’editore Mimesis. Il libro è mirabile, riduce gli esercizi romanzeschi italiani odierni, quasi tutti, a sociologia applicata al precariato, li retrodata, cioè, al nulla. Alla ferocia, esasperata (“Ho trasformato corpi vivi in ombre, anzi in ombre di farfalle notturne, cioè nulla. Io sono un poeta e un combattente e nell’anima un monaco sufi”), si assemblano passi lirici (che riguardano la Jugoslavia pre-bellica, con l’idillio della vita intorno al fiume Una, che scorre tra Croazia e Bosnia) e micidiali bordate all’ideologia capitalista (“Avviliti, camminerete per i centri commerciali con le spalle curve e i culi unti, bramando i corpi delle sirene affissi sui cartelloni olografici. Vogliono indurvi all’oblio. Vi devitalizzano… Ho detto addio alla depressione neoliberista. I miei demoni non abitano il mondo di oggi. Vi offriranno come modelli il progresso e il benessere di nazioni rigorosamente controllate e voi pagherete con l’oblio”). Insomma. Lo scrittore ha fegato, è bravo, intriso di poesia che fa male, fa quello che la letteratura ha sempre fatto. Dire la guerra, ragionare sulla morte, regnare sulla morte fino a quell’osso estremo, simile a un’alba, che ci fa invocare gli immortali.
Il titolo del suo romanzo ricorda la poesia più nota di Giuseppe Ungaretti, I fiumi. Lei, d’altronde, si poeta. Ungaretti ha scritto poesie in trincea, è un poeta soldato: ha avuto una qualche influenza sulla sua opera?
“Il titolo è stato scelto dal mio editore. Non è possible tradurre il titolo del mio romanzo dal bosniaco all’italiano. Tuttavia, ho letto Ungaretti e Quasimodo, adoro la poesia di Ungaretti, I fiumi: l’ultimo libro che ho scritto si intitola I miei fiumi e cita alcuni brani della poesia di Ungaretti. Riconosco me stesso in quel poema: sono stato un soldato anche io, come lui è stato un soldato durante la Prima Guerra mondiale. Non c’è nulla di più potente nella letteratura come quando capisci che qualcuno, prima di te, ha provato le tue stesse sensazioni. Ungaretti mi ha aiutato a dare forma al mio mondo letterario, come Apollinaire, e altri”.
Lei ha scritto un romanzo lirico e psichedelico, feroce ed efficace. Non ha scritto una ‘testimonianza’, ma una specie di delirio verbale. Quali scrittori legge? Da quail scritture è stato influenzato?
“Tanti scrittori – e non solo scrittori – hanno avuto un forte impatto sul mio lavoro. Amo T. S. Eliot, Apollinaire, Gabriel Garcia Marquez, Seamus Heaney, Zbigniew Herbert, Czeslaw Milosz, Jorge Luis Borges, Bruno Schulz, David Bowie, Lou Reed, e tanti altri. Mentre scrivevo il romanzo, leggevo Gaston Bachelard, Bruno Schulz, Ralph Waldo Emerson, Borges. Il mio libro ‘sacro’ è una raccolte di poesie di Borges. Ho trovato quel libro nell’estate del 1992, in un appartamento vuoto nella mia città, durante i primi giorni di guerra. Quello era un vecchio edificio austroungarico, che ha preso fuoco pochi giorni dopo che ho trovato il libro di Borges. Conservo quel libro. Mi ricorda quanto è fragile la materia, la materia umana, vivente, e la materia non vivente. Il mio libro può essere una testimonianza, perché no? È una finzione, ma molti lettori pensano che il mio libro sia più autobiografico che una fiction, la verità sta fuori, come una serie tivù di X-Files”.
In un passo del libro scrive, “ho ucciso solo perché volevo sopravvivere al Caos”. Lei ha partecipato alla guerra nella ex Jugoslavia. Cos’è la guerra? Ha ucciso qualcuno?
“Sì, ho partecipato alla ‘nostra’ guerra. Non avevo altra scelta. Immagina la situazione in cui uno con gli occhi azzurri viene nel tuo appartamento e ti dice: ‘tu sei un cittadino dagli occhi verdi, devi lasciare questa parte della città perché questa parte della città appartiene ai cittadini dagli occhi azzurri’. Se non obbedisci, ti uccidono o ti portano in un campo di concentramento. Così, mi sono armato per difendere me stesso, la mia strada, la mia città, il mio diritto a essere uguale ai cittadini con gli occhi azzurri. Nessuno vuole essere un cittadino di secondo piano. Loro, i membri del partito democratico serbo di Radovan Karadzic, avevano tutte le armi del mondo, e loro, non tutta la popolazione serba, volevano prendere parte del mio paese e portarlo nella Grande Serbia. Ma questo è stato impossibile perché noi abbiamo combattuto, pur non avendo nulla di comparabile al loro potere militare. Ma noi abbiamo combattuto per quasi 4 anni. E fu una guerra eroica, per diverse ragioni più eroica dell’OLP che ha combattuto contro le forze israeliane nel XX secolo. Ma noi non ci siamo fatti vanto della nostra guerra come fanno molte altre nazioni. Ho combattuto corpo a corpo (in quel tipo di battaglia tutto accade in pochissimi secondi, non hai tempo di pensare, devi solo reagire istintivamente), forse ho ucciso qualche soldato nemico, la guerra non è un balletto”.
Con la recente condanna di Ratko Mladic lei ritiene che l’agonia dell’ex Jugoslavia sia davvero finita? Dove vive oggi? Come vive?
“Vivo a Sarajevo, la sola città della Bosnia dove posso vivere. Eppure Sarajevo è solo l’ombra del suo passato. Faccio il giornalista e lo scrittore. Lotto per vivere ogni giorno come la maggior parte della nostra gente. L’agonia non è finita, noi continuiamo a disgregarci, la Jugoslavia continua a decomporsi”.
Nel suo libro scrive: “Quello che so per certo è che tutto si ripete: la storia si ripete, le nazioni-mattatoio si ripetono”. Questa è la sua idea di Storia? Cosa può fare un poeta al cospetto della Storia?
“No, quella non è la mia idea di Storia; sfortunatamente è la nostra Storia. Io non sono uno storico. I miei libri possono dare un piccolo conforto, ma non salvano nessuno. Il poeta, l’artista, può sputare in faccia alla Storia, può creare un mondo parallelo, una ‘storia’ parallela senza guerre, distruzioni di massa, uccisioni di gente innocente etc. L’umanesimo è molto importante per me, non m’interessa la letteratura come intrattenimento, non compro la merda americana”.
Che idea ha del mondo comunista? E del capitalismo? Nel suo libro esprime critiche verso entrambe le ideologie.
“La Jugolsavia di Tito è stata l’età d’oro delle nazioni slave del sud. Non abbiamo mai abuto uno stato così grande: questi piccoli paesi creati dopo la distruzione della Jugoslavia non sono reali, non sono neanche una ‘repubblica delle banane’. Bosnia, Croazia, Serbia, Montenegro… io non credo in questi stati. Metaforicamente parlando, questa mi pare una soluzione provvisoria creata per poche persone che vogliono fare un mucchio di miliardi in una sola notte. Rispetto le idee del comunismo: il comunismo jugoslavo, intendo, odio e disprezzo lo stalinismo, il nostro comunismo non ha nulla del comunismo russo. Il capitalismo, come ha detto Marx, è l’oppio per le masse.
E ora? Cosa sta scrivendo?
“A un romanzo che si intitola Cinnamon Letters, parla dell’amore in un tempo post-apocalittico”.
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Per gentile concessione pubblichiamo un brandello da Il mio fiume (Mimesis, 2017)
I giornalisti saccenti, gli esperti che sanno tutto, dicono: è questione di forza maggiore, degli indubbi squilibri tettonici della Storia, dei buchi bianchi presenti nella nebbiolina di Asterion, il dio dei fiumi, del traballante sottospazio presente nella nostra materia grigia, del collasso dell’ultima utopia del Ventesimo secolo, eccetera. Il muro di Berlino ci era crollato addosso, perciò era il caso che del sangue venisse versato da qualche parte. Solo che io non ero una monetina nel regolamento dei conti delle forze cosmiche. In quanto uomo reale, una personalità formata, avevo un compito privato: la sopravvivenza fisica. Perché dovrei credere a chi non ha mai sentito sulla pelle il puzzo della polvere da sparo che nessun detergente può eliminare, se è lui stesso a non credermi? Se dovevo fare qualcosa, l’ho fatto: ho preso il mio destino in mano e non ho aspettato che qualcuno mi bussasse alla porta e mi portasse, stordito dal sonno, davanti a una fossa umida per essere fucilato. La passività si è sempre pagata con la vita e io avevo voglia di vivere. A quel tempo non mi ricordavo dell’anziana padrona di casa di Sveta Klara nella periferia di Zagabria, Katica Cvetko, un donnone originario di Zagorje che nel 1990 aveva detto a me e al mio coinquilino: «In Bosnia i serbi vi sgozzeranno tutti». Cosa potevamo capire allora noi lavoratori dalle mani delicate, innamorati del cinema e della letteratura?
Post scriptum: gli analisti difficilmente comprendono la lotta per la sopravvivenza, perché amano occuparsi di metafore illeggibili e interpretare il destino attraverso i processi globali, eventi di cruciale importanza ma fasulli che mai potranno spiegare la sostanza delle cose: i massacri, la crudeltà, lo stridore dei cingoli del T-55 che anche se lontano due chilometri in linea d’aria vi raggela il sangue. Non ho intenzione di snocciolarvi le affascinanti immagini dell’orrore di cui sono stato testimone: richiederebbero un libro grosso almeno il doppio di questo e il risultato sarebbe lo stesso: chi non capisce che se ne stia nel beato buio dell’ignoranza. La mia biografia è una sequenza di casualità: molte le ho scelte io, mentre altre hanno scelto me. Alla fine, se potessi spiegare tutto a me stesso, scaverei una fossa e mi ci sdraierei vivo, perché la vita non ha senso. La mia biografia è sangue e carne, non entertainment. Io sono da qualche parte nel mezzo. Io sono uno, ma siamo migliaia. Indistruttibili e spezzati.
Faruk Sehić
L'articolo Faruk Sehić: “Lo scrittore deve sputare in faccia alla Storia. Dopo aver narrato la guerra, ora racconto l’amore post-apocalittico” proviene da Pangea.
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