#poesia dell’autunno
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“Novembre” di Giovanni Pascoli: La Fragile Bellezza dell’Estate dei Morti. Recensione di Alessandria today
Una poesia che cattura la malinconia dell'autunno e l’effimera quiete che precede l’inverno.
Una poesia che cattura la malinconia dell’autunno e l’effimera quiete che precede l’inverno. Novembre è una delle poesie più evocative e malinconiche di Giovanni Pascoli, in cui il poeta esplora il tema dell’autunno come metafora della transitorietà della vita. L’atmosfera è cristallina e ingannevolmente serena, conun’aria così limpida e un sole così splendente che quasi viene naturale…
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Ho a lungo cercato le parole per descrivere questo mio attuale stato di infermità. Un velenoso silenzio ha ammalato le mie radici e le mie verdi foglie. Muore il mio stelo al passo greve dell’autunno. Non c’è primavera che possa sottrarre il gelo che compone le mie ciglia socchiuse. I frammenti del Tempo, le dolci parole che mi vengono sussurrate dal vento, sono strappate dalla carta, rubate dalla gelosia di Diana. Ma dimmi, amore mio, senza la poesia dalla mia gola che canta, come potremo sfiorarci ancora? La notte attendo scomposta sul letto delle mie giornate. Un’attesa che si protrae sul tuo viso marmoreo. Solenne ed aulica hai deciso che non mi è più concesso desiderarti, supplicarti, venerarti. Cadono le lauree foglie d’Apollo dal mio capo sconfitto. Piango come un poeta dal polso piegato. M’hai distrutto mani e lingua, e adesso solo un rigurgito di lamento dona la vita ai pensieri distratti. Non c’è più poesia, amore. Non c’è più l’armonia dei tuoi occhi a destarmi dal soporifero incanto dell’umana infermità. Guardami spegnermi nella mia crisalide verde. Riuscirà a nascere di nuovo la falena a Maggio? Non comprendo il tuo linguaggio scostante, non traduco la tua arcaica lingua che graffia il mio ventre disarmato. Che amarti è stato il più solenne peccato, arroganza mortale sconsacrare il tuo venerabile altare. Che non c’è più preghiera o riso, non c’è più fede nel tuo cuore. Ed io ho peccato, come singola amante, ho peccato mendicando le tue parole. Ma dimmi che mi toccherai ancora, che le tue dita torneranno a modellare la creta della mia anima effimera. Dimmi che tornerai a nutrire queste radici morenti, che mi abbevererai con il tuo nettare fugace. Anche le Muse son perite fra le onde dell’Egeo. Gli dei decaduti da tempo nella loro immortalità. Resta solo il mio irrazionale istinto poetico ad essere condannato dalla Dea. Non c’è più poesia, amore mio. Solo la prosa compone questo patetico elogio alla tua memoria.
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È il rosso del fuoco che ti scalderà È la ruggine del ferro che ti taglierà È il giallo del sole che ti risorgerà I materiali dell’autunno, rituale di morte e rinascita Il vento freddo ti stringe le spalle e, paziente, aspetti primavera... // #vedostorie #autunno #fall #stagione #camminando #bosco #viacamin #walkingaround #pausa #relax #autumn #mood #poesia #versi https://www.instagram.com/p/CGXWot9Fn4i/?igshid=md9qwci77sqa
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A PROPOSITO DI SCUOLA Qualcuno ha detto che la cosa più triste dell’autunno sono i bambini col grembiule e la cartella. L’ha detto nel mesozoico, quando c’erano i grembiuli e le cartelle, ma era una cazzata già allora. In autunno accadono solo cose belle: le foglie che cadono, le castagne arrosto, il mare che si spoglia e resta finalmente nudo, la scomparsa delle infradito. E una delle cose belle è proprio la riapertura della scuola. Quella odiata da tutti ma subito rimpianta, quando se ne capisce il senso e l’importanza, quando si riesce ad apprezzarne il valore e la bellezza, e si comprende come quegli insegnamenti e quei rapporti umani ci abbiano formato e fatto diventare quello che siamo. O che non siamo. Oggi però la scuola è sputtanata che di più non si potrebbe. Come tutto quello che riguarda ‘il sociale’, del resto, ma ancora di più e ancora peggio. Quella di volerla demolire è una scienza esatta, messa a punto nel tempo, con meticolosità e coerenza, da qualsiasi governo ci sia capitato di subire. Finanziamenti che via via evaporano, insegnanti che mancano oppure umiliati e strapazzati quando ci sono, locali che non sfigurerebbero nei bassifondi di Calcutta, ministri scelti accuratamente fra quelli che di questo mondo non sanno una fava di niente. Altrimenti la Gelmini del tunnel per far viaggiare i neutrini e la Fedeli coi capelli all’antiruggine non si potrebbero spiegare. E di quei ragazzi, della loro crescita e del loro futuro, in fondo non frega un cazzo a nessuno. Tanto se crescono stupidi e ignoranti è meglio, così impareranno da subito a non accorgersi di come verranno presi per il culo da qui a quando schianteranno, e nel frattempo non romperanno troppo i coglioni. E poi a loro ci penseranno quegli stronzi degli insegnanti. Fidatevi, chi detiene il Potere ragiona così, e le parole per dirlo, nel mio etrusco antico, sono queste. Perciò non rompetemi ancora le palle con questa storia che uso troppe 'parolacce'. Io conosco parole d’amore e parole di disprezzo. Le so tutte. E uso quelle che servono, quando servono, e per chi le merita. Certe nausee lasciatele per altro. E per altri. La mia volgarità, in confronto a certo parlare elegante, è fine poesia. Gli insegnanti, dicevo. Parliamone. I meno pagati d’Europa, sfanculati da chiunque e colpevoli di qualsiasi cosa, perfino di pretendere contratti decenti. Truppe allo sbaraglio di eroi loro malgrado, condannate, come vittime di un maleficio oscuro, a essere sempre fra il martello e il martello: da una parte i loro dirigenti, ottusi e servi come tutti i dirigenti, e dall’altra i genitori della sacra progenie. E tutti giù a picchiare come fabbri. E loro nel mezzo, con la responsabilità di insegnare, ma anche di educare e crescere quei ragazzi, visto che la famiglia spesso non lo fa e nemmeno ci prova, tanto poi ai loro virgulti ci penseranno quegli stronzi degli insegnanti (cit.). Appunto. E infatti gli insegnanti ci pensano. Potete scommetterci che, se avessero lo stesso sbattimento di coglioni dei loro dirigenti, le scuole sarebbero già da un pezzo solo un covo di topi e piattole. E invece. E qui vorrei dire due o tre cose ai genitori, uno dei due martelli di prima (dei dirigenti parleremo un’altra volta). Provate a mettervi nei loro panni, degli insegnanti dico, perché loro, nei vostri, ci si mettono, eccome. Provate a immaginare quella fatica, e allora forse non gli farete la guerra ogni volta che osano anche solo permettersi di mettere in dubbio la perfezione del vostro intoccabile pupillo. Non prendereste ottusamente le difese del vostro bimbo a ogni suo vagito di lamentela, e non dareste per scontato che abbia comunque ragione lui, sfanculando allegramente professori, presidi e chiunque non sia d’accordo con voi. Magari potreste perfino rendervi conto che a sbagliare è stato proprio il vostro fenomeno. O almeno vi porreste il dubbio, e cerchereste di capire, cazzo! Provateci, immaginatevi al loro posto. Poco più di mille euro per portare sul groppone il peso enorme di formare le scelte e il futuro dei vostri figli, con dentro la paura di sbagliare e quella di non farcela, e quei venti o trenta arnesi inguastiti da tenere sempre a bada, voi che a malapena riuscite a farlo con uno solo. Seguitelo, il vostro ragazzo, certo, e pretendete per lui sempre il massimo. Ma poi fidatevi dei suoi maestri, e mettetevi nella testa che prendere comunque le difese del vostro eroe non lo farà crescere. Lo aiuterà di più una punizione ingiusta che una ragione data a prescindere. E anche ai ragazzi, principali protagonisti della nuova stagione che sta per iniziare, vorrei dire due cose, nonostante un arco temporale analogico-digitale troppo ampio di differenza. Amateli questi anni, amatela la vostra scuola, e ogni giorno che ci entrate dentro, fra quelle mura spesso fatiscenti, immaginate di essere in un posto magico e lasciate che la vostra mente si apra, come è portata a fare ed è naturale che sia. E vedrete come si riempirà di quella magia, chiamata Conoscenza. E per ogni cosa che imparerete, che si tratti di Parole o di Numeri, di Storia, di Geografia o di qualsiasi altra forma di Bellezza, fermatevi a guardarla, quella cosa, a capirla. Girategli intorno, assorbitela piano, annusatela come fosse un profumo, respiratela come fosse aria buona, ascoltatela come fosse musica, e assaporatela piano, a piccoli bocconi, fino all’ultimo. E poi leccatevi le dita. La vostra mente è spaziosa, ci può entrare tutto un mondo di cose, altro che la capacità di un cazzo di hard disk, e per ogni cosa ci entreranno pure i sentimenti e le emozioni che quella cosa vi accenderà o si porterà dentro. E resteranno lì, al sicuro. E cresceranno, diventeranno ricordi, stimoli per formare il vostro pensiero e chiavi per leggere quello degli altri. Saranno il vostro kit di sopravvivenza per capire quello che succede, una cassetta degli attrezzi per non farvi prendere per il culo. Io sono stato fortunato, ho avuto maestri e professori che mi hanno insegnato questo, oltre al rispetto per le persone e per i valori che contano, ma ci ho anche messo del mio: la curiosità, la voglia di sapere, e un debito di riconoscenza da saldare verso chi me lo aveva permesso, di poter studiare. Ecco, metteteci del vostro anche voi. Ne vale la pena. Tutta questa rincorsa mi serviva, alla fine, anche per augurare a tutti, insegnanti studenti e genitori, un buon Anno Scolastico. Ma anche un buon anno e basta.
Orso Grigio (al secolo Scanzi Sr. )
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Dopo aver saputo della morte di Stefano, per diversi giorni non volli affrontare l’argomento. Rimandavo le lacrime come fossero state un esame universitario.
Diedi ad I. il compito di recitare “Shall I compare thee to a summer’s day” di William Shakespeare al suo funerale, e la stampa della poesia fu poggiata sull’albero - il suo albero - dove scelse di farla finita, insieme ad orchidee colorate e lettere varie scritte e conservate per lui.
Essendo a circa 800 km di distanza, mi assicurai comunque di esserci per quell’evento, anche se a distanza. Osservai un religioso silenzio durante il suo funerale ed ogni mio pensiero era rivolto a lui.
Inevitabilmente, sapevo che come me molti altri di noi stavano facendo il funerale non solo a Stefano, ma anche ad una parte di sé stessi che non avrebbero più rivissuto. Nella confusione totale di quei giorni, sperai che avesse sofferto poco in quegli attimi che precedettero la sua morte.
E nella confusione totale di quei giorni, mentre ognuno di noi si affannava nel capire perché fosse successo tutto ciò, perché un nostro amico era andato via, mentirei a dire che mentre noi soffrivamo l’aria sembrava essersi fatta un po’ più leggera.
Stefano, dopotutto, era libero.
L’afa estiva stava lasciando il posto alla prima aria fresca dell’autunno. Qualche foglia, un paio di settimane dopo la sua morte, aveva iniziato a cadere dai rami.
L’unico suono che abbiamo sentito, per molti di noi, fu quello assordante del silenzio della sua morte.
A volte non so se ho accettato la morte di Stefano. Altre volte mi arrabbio per non averlo visto, non so se con me che ho evitato di farlo, o con lui che non mi ha aspettata. Altre volte ancora, non so nemmeno se ho realizzato che sia morto.
So solo che, ovunque lui sia, mi manca terribilmente. Ma sono certa che lui lo sappia.
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Se si potesse inaugurare una stagione a cavallo dell’estate e dell’autunno si chiamerebbe “il tempo della nostalgia”. Quando le foglie sono verdi, ma già stanche, e il colore verde vivo in realtà camuffa la voglia di venir giù sull’asfalto. Il tempo dei saluti, delle partenze, del rumore delle cerniere che aprono e chiudono valigie sempre troppo piccole, di uscire dall’acqua per asciugarsi prima che si alzi la luna, prima che il sole cali al tramonto. Lo spazio che occupa l’aria tra i tuoi pensieri, quel momento che anticipa la decisione se continuare a vivere di speranze o morire disperato. Si dice che si vive solo il tempo in cui si ama, ma c’è stato un tempo in cui ho vissuto guardando le tue spalle al tramonto, i tuoi capelli controvento, le tue smorfie al telefono mentre ordinavi una pizza, i tuoi piedi nudi sull’asfalto, ancorati a terra come le stelle al cielo, ossimoro di sintesi perfette come la distanza dei tuoi nei, l’equatore della mia anima che divide a metà le mie voglie, perché il mio intero vuole te. C’è stato un tempo in cui ho cancellato il tuo nome, riassunto solo delle convenzioni etiche e sociali, ribattezzandoti “Calliope”, figlia delle notti d’amore, con la speranza che potessi proteggere la poesia della mia memoria per lasciare intatti i ricordi che ho di te, di noi. Così forse ci rivedremo lì fuori, anche se non so se esista più nella realtà o solo nella mia immaginazione. Perché c’è un posto, con te Il posto più bello che c’è. • Parole ✍🏻 di @lucidiparole Foto 📸 di @feliciabotticella (presso Italy) https://www.instagram.com/p/CkddvLBtnro/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Gli anni di Attilio Bertolucci
Gli anni di Attilio Bertolucci
Attilio Bertolucci (1911 – 2000) è stato un poeta italiano, padre dei registi Bernardo Bertolucci e Giuseppe Bertolucci. La poesia di Bertolucci è a suo modo semplice e complessa. Le mattine dei nostri anni perduti,i tavolini nell’ombra soleggiata dell’autunno,i compagni che andavano e tornavano, i compagniche non tornarono più, ho pensato ad essi lietamente.Perché questo giorno di settembre…
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"I colori dell’autunno" di Maria Rosaria Teni
“I colori dell’autunno” di Maria Rosaria Teni
Belli i colori dell’autunno infiammati dall’ultimo sole Malinconiche note nelle foglie ramate e un’estate che muore tra vapori di nebbie nei tramonti di fuoco Dei ricordi sospiri canti lievi al mio andare tramutate in poesia nostalgie di fanciulla offuscate dal tempo Belli i colori dell’autunno negli anfratti cupi vellutati. Maria Rosaria Teni
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Poesia XVIII
(Giorgos Seferis Premio Nobel per la letteratura 1963)
Ho lasciato passare una fiumana
fra le mie dita
senza bere una stilla: m’accoro.
Naufrago nella pietra.
Un pino basso sulla terra rossa,
l’unica compagnia.
Tutto che amai s’è perso con le case
che l’altra estate erano nuove, e sono
dirupate nel vento dell’autunno.
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"Ottobre": Un viaggio poetico nell'autunno dell'anima di Rita Frasca Odorizzi. Recensione di Alessandria today
Un intenso racconto emotivo della stagione autunnale che riflette sulle passioni e sulla vita attraverso immagini naturali e profonde sensazioni interiori.
Un intenso racconto emotivo della stagione autunnale che riflette sulle passioni e sulla vita attraverso immagini naturali e profonde sensazioni interiori. Nella poesia “Ottobre”, Rita Frasca Odorizzi ci regala una riflessione profonda e intensa sulla stagione autunnale, trasformandola in una metafora dell’anima. Le parole scelte dall’autrice ci trasportano in un mondo in cui l’autunno diventa…
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Into the screen La scelta eyewear dell'autunno è pura poesia sci-fi. E se bastasse indossare gli occhiali giusti per vedere il futuro?
«Potevamo stupirvi con effetti speciali e colori ultra-vivaci: ma noi siamo scienza, non fantascienza» citava un iconico spot di televisori degli anni 80 (millennials e centennials all’ascolto, concedetegli una visione).
Una compilation di schermi datati, morbide silhouette vintage e il nostalgico effetto rumore. È questo l’immaginario che ci ha ispirato nel raccontare un progetto che proietta l’heritage dritto al futuro. La nuova collezione eyewear Sportmax per l’Autunno Inverno 2020 è protagonista di una fusione spazio-tempo, un connubio tra fascino retrò e ispirazione futuristica che segue la scia valoriale della maison italiana.
Fondato sui principi della sartorialità uniti a quelli della sperimentazione, dal 1969 Sportmax dà vita a un guardaroba coordinato che racconta la sua vocazione alla continua ricerca di forme e lavorazioni. Spinto dal concetto di evoluzione, il marchio conferma il perfetto equilibrio tra eccellenza della tradizione e visione avanguardista nella nuova collezione Eyewear per l’Autunno Inverno 2020.
Femminile e innovativa, la proposta di Sportmax prevede costruzioni dinamiche e decise nelle forme. Il concetto di movimento e velocità è alla base di tutti i modelli e lo dimostrano l’architettura delle forme e il carattere contemporaneo. Formato maxi (schermo), cat-eye tech, mascherina 2.0 e altre silhouette con cui alzare il volume e l’impatto di ogni look, l’eyewear Sportmax abbina metallo, acetato e una combinazione di materiali differenti in una selezione di occhiali, da sole e da vista, che rappresenta la definizione di accessorio statement. La scelta definitiva per dare una svolta agli outfit dell’autunno e proiettarsi in una nuova dimensione di stile.
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Percorro il viale di un sentiero. Letteralmente cammino su un manto spesso di foglie cadute. I colori dell’autunno sono ancora più brillanti per via della pioggia. Cammino a gran fatica per raggiungere il mio amore che so essere da qualche parte in fondo al viale. So che mi sta guardando anche se non riesco a vederlo e ho in testa solo di riuscire a camminare senza cadere, ma le gambe pesano come se fossero di piombo e così cado, mi alzo, cado di nuovo. Lui arriva di corsa verso di me e mi aiuta a sollevarmi. Siamo vicini, abbracciati. So che dovrà partire presto, che dovremo separarci. Piango, ma non ho alcuna intenzione di trattenerlo e lui andrà. Il finale di questa storia strappacuore eppure tenerissima è che lui se ne andrà dedicandomi le parole di una canzone che dice più o meno questo, Sarai per sempre il fiore del mio cuore o sul genere.
Poi stamani mi sveglio e la prima cosa che leggo è il testo di una poesia di Montale, bellissima, scioccante. La poesia è questa e la foto l’ho rubata da facebook
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Mia amata
Bruci al sole
Come le foglie cadenti
Dell’autunno in festa.
Oh, beata poesia che scendi
Bruciami petto, cuore e anima!
Osserva:
Giocose si nascondono nelle mie iridi
Le fate dei gigli
E del rosmarino ormai risorto
Dalle ceneri e dalle polveri
Purpuree e silenti.
Tristi e lontane sono le voci
Che cantano i viaggi che furono
- In tempi remoti - il mio tormento!
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21 marzo. La Giornata Mondiale della Poesia
Son tornate le rondini
Cade una foglia viene a colmare la mia solitudine
spoglie le emozioni ondeggiano nel vento planano sul mio amore.
Cade una foglia è la sera dell’autunno è la fine di un amore.
Si veste di rosso il tramonto si mescola al chiaror della luna
stringo a me la vita aspettando le rondini.
Cresy Crescenza Caradonna ©2011 Inedita
🌸21 marzo🌸
21 marzo. La Giornata…
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