Tumgik
#però nonostante tutto ciò va detta una cosa
earanie · 10 months
Text
tornata a casa alle 22, domani 8.30 devo essere a mezz'ora da casa per fare una roba che è 300 volte più grande di me, con istruzioni che più che dubbie sono dubbissime.
0 notes
nowherejpg · 2 years
Text
Penso di avere un problema.
Più di uno in realtà, ma magari sono solo diverse sfaccettature dello stesso.
Io non sono come gli altri. Non percepisco le cose, le emozioni, il tutto come gli altri. Le percepisco a mio modo.
Non capisco i secondi fini. Non comprendo la cattiveria o la rabbia, tanto per citare qualcosa.
Più cresco e più si fa palese.
Pensavo che ognuno affogasse nella propria soggettività pensando lo stesso. Invece non lo credo più.
Settimane fa parlavo con un collega di una new entry in ufficio il quale era particolarmente “socially awkward” nonostante avesse le migliori intenzioni d’integrazione sociale. E mi ha detto una cosa che non riesco a cancellare, mi risuona in testa come se fosse sempre in background. Ogni volta che ho dei dubbi quella frase se ne sta li, pronta a confermarli. Mi fa paura perché era solo nella mia testa prima, mai pronunciata da altri. Se gli altri lo notano è reale, no?
Io ho detto “beh probabilmente è solo timido, per questo percepiamo il suo disagio in una situazione sociale, non è strano, alla fine, Ale, anche io sono strana, me lo hanno sempre detto, lo so” e Ale pensoso ha aggiunto “nno lui è strano, tu sei solo diversa dagli altri”. Non è stata la frase in se a colpirmi quanto il termine: diversa. Nessuna connotazione positiva o negativa, un dato di fatto, nessun giudizio.
Sono abituata a sentirmi dire che sono strana, me lo dicono da quando ho iniziato a capire le parole. Strana ha un accezione negativa ma non mi ha mai dato fastidio, era normale, me lo hanno sempre detto, e non ero l’unica “strana” che conoscessi, era quasi lusinghiero nella mia piccola testa d’artista. “Diversa” é, beh, diverso. Non conosco nessuno “diverso” e ciò mi fa sentire più sola(?) più strana di tutte le volte che, di fatto, mi hanno dato della strana.
Pensandoci bene non è nemmeno la prima volta che mi è successo, un’altra frase vive nella mia testa da anni e alla fine il concetto sempre quello è:
mentre Ale mi conosce da poco, è un collega di lavoro, l’altra mi è stata detta da un mio grande amico. Ci conosciamo superficialmente dall’asilo e abbiamo iniziato a uscire nella stessa compagnia quando io avevo più o meno 15 anni. Ne ho 24. Ha avuto un sacco di tempo per conoscermi, per questo sono rimasta di stucco quando una sera mi ha detto “sai, io ti conosco da una vita, ma credo che io non ti capirò mai davvero” l’ha detto come se non mi conoscesse come persona, come se fossi una sconosciuta. Già l’idea di esistere nella mente di qualcun’altro come individuo a se stante mi allucina però è ovvio e normale no? Ognuno di noi esiste in una versione puramente mentale data dalla percezione di chiunque abbiamo davanti. Io a quanto pare sono ambigua. La mia esistenza data dalla percezione dell’interlocutore è diversa. Io mi immagino come se fossi un’immagine glicchata. Stabile, se no per quell’elemento che ti dice “è diverso, è rotto”, quasi perfettamente plausibile.
Ciò mi fa pensare. E se fossi davvero diversa? E se avessi un qualche “disturbo” comportamentale? E se non comprendere certi comportamenti umani fosse patologico? E se lo fosse il fatto di non riuscire a replicare alcuni comportamenti umano-sociali? O sentire il bisogno di replicarli, per quel che vale. Penso di fingere. Di essere un ottima attrice. E mi chiedo se lo pensino anche gli altri nel novantanove percento delle situazioni.
Mi chiedo se tutto il mondo senta le cose come le sento io: i suoni, le immagini, gli odori, le emozioni, tutto amplificato e se tutti si fingono “normali” come faccio io. Perché ci sono solo due possibili spiegazioni, entrambe valide: o il mondo è popolato da attori estremamente capaci dove è obbligatorio mentire per essere percepiti “normali” oppure sono io che ho qualcosa che non va. Onestamente non ho pregiudizi in merito, come ho già detto credo che entrambe le teorie siano plausibili, in ogni caso fa schifo.
2 notes · View notes
fairybobsworld · 3 years
Text
Il femminismo comodo: adatto a indolenti e persone a cui va bene tutto, finché semplicemente non è più così
Il Femminismo non è una malattia nonostante l’alta carica virale. Fin dagli albori della sua storia, il movimento Femminista è stato continuamente frainteso: il movimento dell’uguaglianza spacciato come quello della supremazia femminile. La sua evoluzione ha rimediato anche alle mancanze di una prima ideologia chiusa e ristretta, legata unicamente ai diritti delle donne bianche e dunque poco inclusiva. Siamo passati ad una visione differente e aperta. Il Femminismo moderno non esclude nessuno, si batte per i diritti di ogni essere umano e tiene un occhio di riguardo su questioni ambientali. Dopo cinquanta anni d’intersezionalismo tuttavia i problemi non sono finiti. Per una donna non è facile essere femminista, per un uomo invece è come bere un bicchier d’acqua. Un uomo che si definisce femminista è lodato poiché comprensivo e sensibile a problematiche che comunemente gravano meno sul proprio sesso. Annessi e connessi. Il che non è scorretto. Ma se mai verrà discriminato per credere nella parità, gli insulti non si sprecheranno e al limite verrà chiamato femminuccia. Un terribile insulto per un uomo che considera le donne sul suo stesso piano.Vorrei centrare il mio focus: per loro è un po’ più semplice. Talvolta sono lodati per aver fatto o detto il minimo sindacale. Con ciò, non voglio sminuire la problematica dell’intolleranza di pensiero che riguarda ogni persona, indipendentemente da sesso e non-sesso. Dall’altra parte invece si potrebbe fornire una quantità infinita di esempi riguardo luoghi comuni sulle donne femministe e situazioni in cui la parola “femminista” viene utilizzata come insulto. Le femministe non si lavano, sono aggressive e odiano gli uomini! In tutta franchezza non trovo nulla di male in queste cose, ciononostante le parole hanno un peso. Non andrebbero dette senza intenderle. Per prima, ammetto che nel mio caso questi luoghi comuni sono stati a lungo un deterrente dal definirmi tale. Non credo di essere l’unica ragazza accusata di essere isterica e aggressiva per non aver voluto che la propria opinione venisse screditata o perché si è arrabbiata. In altre occasioni mi fu detto: “non sarai mica femminista?”, come se ci fosse qualcosa di male. Allora ho negato perché a nessuno piace un’adolescente isterica e suscettibile. Questo tipo di comportamento non è una questione geografica, o meglio è un retaggio con diffusione globale. Ad esempio Chimamanda Ngozi Adichie, un’autrice e attivista nigeriana, apre il suo saggio “Dovremmo essere tutti femministi” con una situazione simile. Il suo breve ma brillante scritto comincia con il racconto di una serata passata con il suo amico d’infanzia Okoloma. Okoloma era un bravissimo ragazzo, rispettava le donne e amava sua madre. L’autrice lo definisce perfino un ottimo amico. Eppure esordì con la medesima frase durante una discussione per sedarla. Una Chimamanda quattordicenne non seppe cosa rispondere. Non poteva saperlo perchè lei quella parola, femminista, nemmeno la conosceva. Neanche Okoloma evidentemente. Il saggio, un libricino di meno di sessanta pagine, prosegue con riflessioni tanto illuminanti quanto condivisibili. Non è necessario leggere un glorificato manifesto per essere femministi (ad ogni modo consiglio la lettura del suddetto saggio). Allo stesso tempo è esasperantemente facile sapere di cosa si tratti, ma ciò non significa che sia altrettanto semplice comprenderlo. Viviamo in una società (cit.) intrisa di cultura maschilista. Una cultura che contempla la ragione della parte maschile su una qualsiasi controparte. Quella è la normalità. Nessuno ragiona su di essa, dato che per definizione ciò che è normale non è ne giusto ne sbagliato. É difficile mettere finalmente a fuoco cose che su cui non ci si è mai soffermati. Per caso avete mai notato come il nipote preferito delle nonne spesso sia un maschio? Non è una questione di intelligenza o di bontà, tantomeno intenzionale. Non conta se ai pranzi di famiglia il loro maggior contributo è grattarsi la pancia mentre le nipoti sgobbano e aiutano con tutto il resto. D’altronde cosa si ricaverebbe nel riconoscere cose scomode? Tante volte mi sono detta che non potevo pretendere da un essere di sesso maschile di afferrare questioni legate strettamente al mio essere donna. É ragionevole: siamo diversi. Personalmente sono sempre stata incuriosita dalle questioni “dei ragazzi”, facendo domande e ascoltando le loro risposte. Incredibile ma vero non posso dire di aver incontrato più di un manipolo di persone che reciprocasse il mio interesse. A riprova di questo, una di quelle volte, discutevo con un amico riguardo un mio desiderio: uscire da sola la sera tardi. Dire che ne rimase stupito è un eufemismo. “Perchè non lo fai?” mi chiese. Per un ragazzo qualsiasi uscire con il buio è banale, scontato. Egli non ha mai avuto la necessità di suddividere gli orari in più o meno sicuri. D’altro canto, io stessa, ero altrettanto stupita dal fatto che ci fosse il bisogno di spiegarglielo. Gli risposi che era pericoloso soprattutto per una ragazzina. Insisteva sul fatto che non ci fosse problema e se anche ci fosse stato, sarebbe stato pericoloso allo stesso modo per entrambi. Potrei essere violentata. Statisticamente v’è una maggiore possibilità, perfino nel caso fossimo stati insieme, che io venissi stuprata e lui pestato (sono al corrente delle statistiche sulle violenze sessuali sugli uomini: non nego il fenomeno). All’epoca non ebbi il coraggio di dirlo, ma nemmeno il fiato o la forza. Cambiare l’opinione di chi è convinto di avere ragione è un esercizio sfiancante. Lascai cadere l’argomento. Lo stesso ragazzo si definisce femminista però resta di questa idea. Questo che racconto è un episodio come tanti, la morale è ovvia. Oppure no? Approfondiamo. In un’ennesima occasione un personaggio pubblico, femminista auto-dichiarato, si espresse, durante una conferenza, sulla questione di una famosa giornalista sportiva. Quest’ultima, stanca delle continue molestie verbali che riceveva, non solo in rete, annunciò di averne abbastanza. Al che, questo signore disse che mentre lei aveva accettato il ruolo e l’oggettificazione sessuale per comodità, altre giornaliste che lui aveva conosciuto non si erano vendute in questo modo. “Se lei ha accettato di essere messa a bordo campo con dei vestiti così, con un corpo come quello…”. Quanta severità etica, ho pensato. Quando lui stesso, pochi minuti prima, aveva detto che non poteva recriminare qualcuno per aver deciso di rivestire un abito comodo invece di quello più scomodo. Ammesso che sia così per la nostra giornalista. Con tutta probabilità, ciò che intendeva dire, era che una donna del genere minava la credibilità di sue colleghe diciamo più modeste e così non le aiutava. In breve se l’era cercata e magari aveva il diritto di lamentarsi, ma senza urlare. Non è possibile dire con certezza cosa intendesse poiché non terminò il suo ragionamento. “Non voglio essere attaccato ne frainteso” si è giustificato. Il femminismo però non mina gli individui, non regola un dress-code, chiede umanità e non un rigido codice etico non pratico alla vita. Il ragionamento non era necessario a prescindere. Mi è capitato spesso di sentire uomini e donne dire che l’utilizzo del corpo per lavoro è degradante. Tuttavia non li ho mai sentiti fare lo stesso discorso per un attore, un modello o un muratore. Solamente parlando di professioni come la prostituta, la cubista o l’utero in affitto, che sono impregnati di pregiudizi negativi. Ogni lavoro possiede una sua dignità. Lo sfruttamento e l’impiego regolare non sono la stessa cosa. Nella testa di queste persone finché la donna si comporta come un uomo è cosa buona e giusta ma quando una donna fa quello che vuole in quanto donna, è giunto l’Anticristo. 
 Questo genere di ideologia, lo chiamo femminismo comodo. Nel titolo scrivo che è adatto a persone a cui tutto va bene finché lo vogliono. É l’ideologia di chi è inflessibile nel non considerare la dimensione altrui. Ciò che differenzia il Femminismo comodo da quello vero è una quasi voluta ignoranza di ciò che non accettiamo. Come negare l’evidenza di problemi e differenze sociali non renderà concreta la parità. Il Femminismo è personale perché riguarda tutti. Ma non è cieco: è consapevole e comprensivo. Non è dunque contro le regole la libertà dei particolari né nega quelli altrui. 
 Infine si può concordare che una delle più grandi misconcezioni del grande pubblico è che il Femminismo non sia attuale. Inizialmente, i primi moti femministi del secolo scorso avevano sì lo scopo di ottenere il diritto di suffragio per le donne ma anche di reclamare una tanto anelata parità tra i sessi. Attualmente solo buona parte delle donne ha diritto di voto e dinanzi alla legge gode degli stessi diritti di un uomo. Quindi adesso basta, no? No. La parità di cui parlavamo non è stata davvero raggiunta. Una buona parte non equivale all’intera popolazione mondiale; innegabile questione matematica. Avere gli stessi diritti di ogni altro essere vivente dovrebbe essere innato. Se ci si pensa: è ridicolo pensare che si sia dovuto lottare per ottenerli. Avere ancora da chiedere per una pari dignità e considerazione dovrebbe essere fuori dal mondo. Se il buon lettore non crede che sia così, ho già precisato che comprendo pienamente il perché non lo abbia notato in precedenza. Lungi da me incolpare e discolpare chiunque, questo non è un tribunale e io non mi assumo il ruolo di giudice.
6 notes · View notes
jordi-pilskog · 3 years
Text
Capitolo Due.
Eugene è un nome bellissimo, adatto a qualcuno dai tratti nobili. Basta dare un’occhiata all’etimologia su internet.
Ed il mio Eugene era bello, e buono.
“To calò o noùne òli.” si dice dalle mie parti, che vuol dire “Il bene lo conoscono tutti.”
E Eugene era tanto, tanto buono.
Non sto idealizzando la sua persona, lui davvero aveva un cuore grandissimo, pronto ad accogliere migliaia di persone problematiche nonostante lui stesso fosse sofferente. Ne usciva quasi sempre sanguinante, ed io e Riccardo cercavamo di esserci per curare le sue ferite.
Purtroppo però, per parlare di lui devo riaprire un capitolo della mia vita meglio lasciato chiuso, un ricordo orribile che ormai mi appartiene sempre meno. Abbiate pazienza.
In quel periodo mi chiamavo ancora Ilaria e piangevo abbastanza da potermi definire una persona triste di nuovo. La solitudine aveva preso piede nel mio territorio, dove le mie colpe erano nella mia stessa tristezza, nella mia insicurezza, nel mio non volermi bene, nello sbagliato che ho fatto e nel bello che ho bruciato di cui blateravano i miei famigliari. Capì quindi che il problema era ancora il mio corpo, io ero ancora io.
Avevo sofferto segretamente di anoressia tra i sedici e i diciotto anni, causa sconosciuta, sconfitta con successo, e ci stavo ricadendo a diciannove.
Avevo rinunciato alla vita.
Ogni tanto andavo in spiaggia con mia madre.
'Mi sta sul cazzo quella.'
'Chi?'
'La Santa Anoressica'
'Quella? Ma la conosci?'
'Veniva in palestra con me.'
'Perché anoressica?'
'Guardala.'
'Magari è così di costituzione, Ila... Non so, guarda, secondo me... Non è che tutte le persone più magre di te siano anoressiche... E anche se fosse dovresti compatirla.'
'Io non compatisco nessuno, per quel che mi riguarda, può anche morire. E poi, lasciatelo dire, 'ste stronzate sulla costituzione risparmiamele: nessuno ha la cassa toracica di fuori per costituzione.'
'Ma perché devi dire 'ste cose cattive... E se lasciavamo morire te?'
'Io non sarei mai morta!'
La Santa Anoressica la denominai così perché riusciva a farsi trattare come una povera martire. In palestra, alla domanda 'Come mai così magra?' rispondeva 'Costituzione. Cerco di farmi i muscoli infatti.'  Peccato però che poi gli attrezzi adatti allo scopo di metter massa non li toccava, e stava due ore buttata su cyclette e tapis roulant. Le frequentatrici più anziane della palestra quando la vedevano parlavano fra di loro del fatto che è evidentemente troppo magra, le chiedevano se mangiasse, se fosse vero che fosse effettivamente stata sempre così. L'istruttore ogni volta che la vedeva corrucciava le sopracciglia, ma non la cacciava, dopotutto pagava.
Un giorno la Santa Anoressica, dopo tre ore di palestra, camminava come se le sue gambe non fossero più sue, le ginocchia tremanti, si appoggiava ovunque. Ovviamente, attirò l'attenzione della gente e la sua amica le fece 'Hai mangiato oggi?'.
Questo è troppo, mi dissi io, e in palestra non ci tornai più.
Odiavo essere così. Odiavo fare pensieri inutili come Quando ero in quella condizione io, non mi era concesso andare in palestra. Non ci andavo a mare, stavo sempre nascosta come un verme. La Santa Anoressica aveva l'aria di una che credeva di essere completamente guarita solo perché si sforza di mangiare una fetta di pane in più. Andava in palestra con l'amica, andava a mare sculettando, ogni tanto si toccava le costole e le ossa del bacino come per controllare di non aver messo peso. Si vede che aveva deciso di essere una persona normale, ma non aveva accettato il fatto che avrebbe dovuto  metter peso. Si vede, che non era ancora stata messa alla prova. Ed era così serena, che mi faceva incazzare. Perché io ho dovetti rinunciare alla mia androginità e ho dovuto far finta e pretendere di piacermi in qualunque forma, il diritto di dire 'Questo non mi va, non lo mangio.' mi era stato tolto. Perché io in quel momento ero a dieta. E lei pure.. Lei salta le tappe e fa già le cose che farebbe una persona normale.
La invidiavo.
E odiavo me stesso. Era vero che ero cattivo, perché in quel momento, avrei goduto come un maiale se l’avessero internata davanti a me. Una in meno! avrei urlato di me. E non sarei stato più invidioso della sua vita facile.
L’anoressia è una brutta bestia.
Per tutta la vita, ho come avuto una coscienza frantumata, di cui molte parti rifiutavo e ignoravo. La mia parte maschile era spiccata dentro di me, e io la cacciavo via per la vergogna.
Volevo un corpo androgino, non femminile, e ogni giorno quando aprivo gli occhi e visualizzavo la mia realtà di giovane donna e come apparivo veramente, desideravo diventare insensibile. Insensibile agli sguardi altrui, alle critiche, ma soprattutto al fatto che tutti mi vedessero in maniera differente da come mi sentivo io. Volevo essere insensibile al mio riflesso nello specchio, ho odiato quello specchio e quel riflesso. La mia identità, sentivo, giaceva là dentro, nell’immagine titubante e dubbiosa di una ragazza bionda e allampanata mai soddisfatta di sé, e temevo di non potervi sfuggire mai nella mia vita.
Ero una persona debole, per me contavano tanto le parole altrui dette per definirmi con leggerezza, e continuavano a ronzarmi nella testa per giorni, a volte mesi. Mi spezzavo facilmente e mi sentivo inerme, e, pensavo, che il mio essere sempre fermo in un punto a rimuginare facesse sì che le persone riuscissero a tastare i miei punti deboli e a stuzzicarli per divertimento.
Lo sapevo che avrei dovuto muovermi. Volevo muovermi!
Ero così frantumato allora, però. Ma speravo che un giorno mi sarei riconciliato con me stesso e con il mondo.
Al ritorno dal mare mia madre guardava verso la mia figura con preoccupazione e così anche mio padre. Per loro ero solo una malata e volevo essere qualcosa di più, davvero, ma sentivo di essere stato così poco per una vita intera, una bambina da tenere sempre sotto controllo, per un motivo o per l'altro, ché non se la sa cavare sola.
‘Ecco qua, questa è la tua parte di pane, mangiala.’
Ecco... vedi mamma, piuttosto mi mangio le mani, che almeno contengono solo proteine. Però non le mangerei ora a cena, le proteine le mangio sempre a pranzo, ricordi? ‘Se una cosa mi va me la prendo sola grazie. Mangialo tu.’
Uno schiaffo doloroso.
‘Lasciatemi campare col mio fottuto piatto di spinaci fino al pranzo di domani!’
Non è che avessi una grande motivazione o che altro, per essere arrivato fin là. A pensarci bene, oggi ho realizzato che in realtà ero una persona parecchio frustrata, e se così non fosse non avrei scritto su un blog tutti i miei problemi in post giornalieri. Se avessi dovuto descrivere come mi sentivo, avrei detto che essere me era come essere in uno di quei spara-tutto americani, di quelli a quadri in cui sei armato di poche munizioni e sei senza compagni contro tutti, e quando muori scleri, 'che devi ricominciare daccapo. Mi sentivo un po' così nella mia lotta contro la bilancia.
Ero senza pietà, nei miei confronti, e non mento. Non compativo il mio povero corpo in amenorrea, che lottava per mantenersi in piedi, anzi lo martoriavo con sigarette, integratori alla senna, e giri in bici. Fingevo di non sentire le gambe intorpidite, lo stomaco gorgoglia, nessuna pietà. Era come cercare di sterminare gli zombie quando si è già stati morsi, con il virus che ti infetta sempre più. ‘Tic tac, tic tac, l'orologio scorre e il virus avanza, ma se ce la metto tutta non morirò, passerò anche questo quadro.’
Ero come del fottuto popcorn ipercalorico.
-Pop!-
Scoppiato. E non sei più nulla agli occhi degli altri, nulla, nulla se non quel numero... e quel mucchio d'ossa che ti piace tanto. Erano giorni che correvo e divoravo chilometri in bici e non sentivo neanche il minimo senso di fame. Perché tutto ciò che avevo ottenuto e costruito in quei giorni avrebbe potuto scomparire in una notte, chissà. Mi sentivo così inutile, che non ho trovato altro da fare. Ma ero anche incazzato, e mi sentivo qualcosa dentro che credo si avvicinasse abbastanza ad essere forte.
Avevo paura di dire a tutti cosa stavo vivendo. Di come non avessi più un'aspirazione o di come non vedessi un futuro per me stesso. Di quanto le parole offensive dei miei mi consumassero dentro, quanto odiassi me stesso per non avere il coraggio, e le capacità, di restare in piedi e lottare per me,me, di come non potessi più sentire una cazzo di emozione che non fosse frustrazione. Mi sentivo morto, intorpidito e amaro e vuoto dentro.
A volte mi sembrava che l'autolesionismo fosse l'unico modo con cui potessi affrontare la vita.
Quanto avrei voluto urlare contro i miei genitori, dirgli che era tutta colpa loro, se non reggevo il peso di niente, e io stesso ero un niente che contava calorie. Avrei detto una cosa così orribile se avessi saputo che avrebbe potuto scalfirli in qualche modo, ma non sarebbe stato così, vero?
Solo loro, conoscevano i tasti da premere per farmi rendere conto di quanto io sia negato quando si tratta del mio corpo. Mamma, papà, solo voi.
La rabbia saliva, e scesero le lacrime.
Mi portarono dallo psicologo.
Il fatto era semplicemente che le persone cercavano una persona che non c'era più.
Gliel'avrei spiegato volentieri, allo psicologo, ma avevo un nodo in gola. Dimenticai come si chiama e dubito fosse molto importante. Sulla scrivania aveva un pacco di Malboro Light, ma non ne ha fumate. Disse
'Parla, che non ti abbandoniamo'.
Ed io ho parlato.
Poi andò in vacanza e mi sentì abbandonato.
"Hai detto che accetti di uscire solo se i tui amici non hanno da fare."
No. Non io. Loro. Aspetto che loro si ricordino di me. "Detta così sembra che tu viva un pò al rimorchio degli altri." Fui diagnosticato con la distimia. Distimia... Suona un pò come distillato, o dislessico, che è?! E credo me l'avesse letto negli occhi, a fine seduta, che non avevo intenzione di collaborare. Persi altro peso dopo quella seduta. Perché tutto in questo mondo, tutto, sembrava essere lì con l'unico scopo di punirmi.
Quella notte, alle undici passate, ero sulla mia bicicletta nera, con settantaquattro chili alle spalle, i miei trentotto chili e uno zainetto contenente solo le mie Winston rosse, il cellulare dimenticato volutamente e una decina di altri chili da perdere, ero decisamente io anche se avevo perso la concezione di me.
Sapevo che i miei non mi avrebbero trovato, eppure pedalavo con forza. Il cibo non mi serviva.
Sentivo il bisogno di andare veloce, scappare, morire, tutto ma non quello. Ripensai all’incontro dallo psicologo, non ci voleva proprio. Volevo tornare a scuola bello e perfetto con i miei jeans taglia 36 e le mie magliette dei Sex Pistols e dei Ramones.
Lo psicologo che aveva riempito di questionari.
"...e non credevi che, così facendo... Non so, saresti potuta morire?"
Non so, francamente non me n'è mai fregato nulla.
"E di che cazzo ti nutri allora?"
Povera mamma.
Aumento di velocità, ero quasi arrivato. La casetta sul lago, che in teoria era chiuso, in pratica me ne sbattevo, mollai tutto a terra e scavalcai il cancello. Neanche un minuto ed ero già già entrato, nel buio pesto, perché manca la luce, ma riuscì non so come a trovare le scale e arrivai sul tetto. Quante sigarette di rimanevano? Dieci al massimo. Me ne accesi una lottando contro il vento.
Dopo, sulla bici, pedalando con tutta la forza che avevo nelle gambe, immaginai il grasso, la pelle, il mio corpo che si separava da me. Acquistavo velocità, diventai uno scheletro leggero come una piuma, e la mia carcassa giaceva abbandonata dietro di me.
Al mio ritorno fui sgridato aspramente e riempito di domande.
Tutte quelle domande evasive sui miei sentimenti, sulle mie intenzioni a notte fonda, non le reggevo. Se avessi potuto mostrare un cartello con su scritto “Non ho intenzione di fare un cazzo, perché più mi mobilito per una cosa, più mi va male”, o meglio ancora un bel coltellazzo da piantarmi nello stomaco, gesto con cui spiegare, una volta per tutte e con un bell’effetto splatter, come stavano le cose, per me. Che non c’era pericolo, perché ero come ibernato in una lastra di ghiaccio e neanche le migliori intenzioni, i migliori cori di sostenimento, neanche tutta la mia rabbia era capace di scogliere quella prigione.
Mi sentivo come una tovaglia piegata male. Quando si finisce di mangiare, mia madre mi diceva di piegare la tovaglia, e sbagliavo sempre qualcosa, come prenderla dall’angolo sbagliato e il risultato risultava un obbobrio. Prendevo comunque la tovaglia così come era e la mettevo in un cassetto nonostante le lamentele di mamma. In quella tovaglia piegata male, sentivo come fosse racchiusa tutta la mia fallacità.
La mia vita era costellata di fallimenti, a partire dalla bocciatura a scuola a causa di questa mia malattia. Sotto sotto, però, ancora non mi arrendevo, e in quei giorni avevo sparso le basi qua e là, le sparsi come i tozzi di pane della fiaba di Hansel e Gretel, ma ero convinto che nessuno avrebbe mangiato i miei, neanche gli uccellini più voraci. Ero in attesa.
Speravo tutte le notti.
6 notes · View notes
arreton · 4 years
Text
Il fatto è che detronizzare una isterica dal ruolo di madre (al di là del ruolo reale o no, ogni isterica è una madre) ha come effetto collaterale in lei non tanto lo sgravarla da ansie e pensieri in più e quindi renderle la vita più leggera (che è comunque ciò che desidera ma che non riesce ad ammettere a sé stessa), ma il farla sentire inutile; questo si riverbera in noi con un profondo senso di colpa. Però arrivati ad un certo punto ci siamo pure rotti il cazzo di dover subire comportamenti che non erano per noi tollerabili, abbiamo provato delle vie traverse, cercando di venire in contro, ma niente nonostante gli sforzi le sue condizioni devono prevalere o, detta anche in modo diverso: abbiamo bisogni diversi che non può soddisfare. Dunque adesso facciamo le cose come dio comanda: cuciniamo prima, cuciniamo bene, ci pesiamo tutto, a pranzo mangiamo come delle persone normali, tutto porzionato e con gusto. I sensi di colpa abbiamo deciso di metterli da parte perché la sofferenza per il dover subire la fame da pranzi da accampati che poi non possiamo colmare con il primo snack che ci capita sottomano e dunque fame + angoscia di non poter mangiare + angoscia dall'aver mangiato male, era maggiore. Oltre tutto il cacamiento di cazzo riguardo al fatto che la gente fa cose senza senso che poi si ripercuotono su loro stessi e sugli altri e noi che non riusciamo a sopportare una minima cosa storta, ma proprio che ci stiamo male per ore e dato che siamo stanchi di stare male semplicemente non facciamo affidamento sugli altri perché sono inaffidabili, testardi e soprattutto: pensano e vivono come meglio credono e chi siamo noi per privarli di questo sacrosanto diritto che gli spetta in quanto individui?Semplicemente, allora, ci siamo presi i nostri diritti. Tanto come figli siamo già stati per certi versi messi da parte, ci si limita al sostentamento, forse sono stanchi di avere a che fare con dei bambini che non vogliono crescere e va bene così, li capiamo.
Ad ogni modo l'unico pensiero, in tutto questo, che riusciamo ad avere con profonda arroganza è: meno male che ci siamo noi che ci prendiamo cura di noi stessi. Scusate, ma voi siete incapaci in ciò e noi non riusciamo ad apprezzare fino in fondo i vostri sforzi, perché negli sforzi che voi fate per noi, noi riusciamo a vedere solo voi: proiettate i vostri bisogni su di noi. E noi, in quanto nevrotici ossessivi, non riusciamo ad essere soddisfatti in alcun caso.
Siamo aridi e senza cuore, per niente empatici forse, e questo ci dispiace.
5 notes · View notes
pangeanews · 4 years
Text
“Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – fantasmi”. Le lettere di Robert Musil ad Anna
Raccolte e pubblicate per la prima volta in edizione critica nel 1981 (R. Musil, Briefe, a cura di Adolf Frisé, Rowohlt Verlag Hamburg), gli abbozzi e le lettere dell’austriaco Robert Musil sono state a lungo ignorate dalla critica e dalla germanistica italiana, già severamente messe alla prova dalla scrittura narrativa e saggistica musiliane.
È vero che le lettere compiute ed effettivamente spedite, soprattutto quelle più tarde, legate così drammaticamente all’esperienza degli anni d’esilio, come pure le più datate ad amici, a familiari e a collaboratori di rivista, nell’insieme rivelano uno scarso valore letterario, evidenziando cosi come Musil preferisse affidare le proprie riflessioni e i propri esperimenti piuttosto ai plurimi quaderni dei diari (vedi R. Musil, Diari (1899-1941), traduzione di Enrico De Angelis, Einaudi 1997, pp. 1659). È altrettanto vero però che esiste un gruppo di lettere spedite e abbozzi la cui affinità con una certa sua scrittura diaristica le rende meritevoli di essere lette e godute come veri e propri esperimenti letterari. Sono quelle risalenti al cosiddetto Törless-Zeit, il periodo cioè che va dal 1900, quando il ventenne Robert si cimentava in particolare nelle prose liriche da lui chiamate Parafrasi, al 1905, anno in cui terminò la scrittura del primo romanzo, I turbamenti del giovane Törless (edito nel 1906), ed oltre, fino al 1907, quando morì Herma Dietz, l’ultima protagonista della vita sentimentale di Musil prima della sua unione definitiva con Martha Heimann. 
Notevoli per il carattere sperimentale ad esse attribuito dallo stesso autore, queste lettere e questi abbozzi sono gli unici a possedere una scrittura che è sì tentativo di descrizione della condizione e della sensibilità musilane, ma anche ricerca stilistica propriamente detta. Destinatari sono personaggi femminili i cui nomi in almeno tre casi (Anna, Liesl e Valerie) non sono determinabili nella loro identità.
A fronte di segreti cosi gelosamente preservati da Musil anche nei Diari, dove pure i tre nomi compaiono, è lecito pensare che quelle donne non siano mai esistite e che i loro nomi, le loro figure siano piuttosto riconducibili a quella dimensione d’«irrealtà al femminile» che cosi marcatamente ha caratterizzato la vita e l’opera dell’austriaco in gioventù: “Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – prese realmente, forse fantasmi e ridicolaggini.  Ma forse profondamente legate alla mia migliore essenza (artistica)”. Così nella Lettera (2) ad Anna. 
La scelta di presentare gli otto abbozzi di lettera indirizzati ad Anna, tutti risalenti al 1907 e inseriti in R. Musil Saggi e lettere (a cura di Bianca Cetti Marinoni, Einaudi 1995; ora non più disponibile), è dettata dalla presenza in essi di un’omogeneità tale da renderli un’unità determinata dall’evolversi a spirale della scrittura, in un percorso che va da una struttura frammentaria scarsamente elaborata, ad una più complessa, stilisticamente caratterizzata da ripetizioni e ritorni sintattici. 
Allora ancora inediti in italiano, questi abbozzi li ho tradotti e pubblicati una prima volta, per gentile concessione dell’editore Rowohlt, sulla rivista diretta da Luciano Anceschi “Il Verri”, n. 3-4 nuova serie, settembre-ottobre 1987, Mucchi Editore, pp. 5-16.
Vito Punzi
***
Lettere a Anna
Ad Anna (1)
9 aprile 1907, Berlino
Cara Anna
Brünn: vivo ora qui così pigramente, così pigramente… Passeggiate su terreni incolti che si alzano e si abbassano con linee tranquille, e più lontano il cielo – questo è tutto. Leggo. Ma non troppo. E vivo propriamente come un uomo che si è già ritirato a vita privata. 
Colui che non vuole rinunciare interamente al nuovo che accade all’esterno e che però da questo non si lascia assediare. 
Come se qui non esistesse la ferrovia, ma solo la posta… Poiché i libri che leggo per la maggior parte hanno mosso già da tempo gli animi e non sono in genere nella condizione di muovere violentemente il mio… (Sabato Santo) 
Brünn: sono triste, Anna. Il mio amico venne a farmi visita da Vienna, il mio amico innamorato e promesso. Ed anche la tua lettera arrivò. 
Percorremmo sentieri lontani nel boscoso paesaggio collinare e sostammo al pallido sole di marzo, là dove lo sguardo si getta lontano sulla pianura. 
Fui liberato per giorni dalle preoccupazioni del lavoro, che altrimenti esigono la mia riflessione, e potei raccogliermi in me stesso. 
Ti sono di peso; la tua ultima lettera me lo lascia leggere tra le righe. Ti sottraggo la gioia e so facendo questo stupendo equilibrio armonico e questa sicurezza che tanto amo in te. Non ho alcun dubbio che te la sottraggo. 
Sento precisamente ciò che vuoi da me e ciò che in me eviti. Hai bisogno di un animo che ti avvolga interamente in forti e teneri sentimenti. Se tu sapessi quanto questo alle volte sia vivo in me; così, come se io fossi te. E invece ti appaio pedante come un saccente…
Berlino: questo accadde una settimana fa. Entrambe le volte vedevo troppo poco chiaro per continuare queste lettere e nel frattempo arrivò la tua cara. Ma le compongo ora perché tu veda che a te pensai, sebbene non scrissi e poiché sento che questi pensieri devono pur essere portati a compimento tra di noi. 
Mi ritrovai, come sai, con il mio amico, quell’amico di gioventù del quale ti raccontai, e lui ed io eravamo un tempo fratelli gemelli spirituali. Oggi questo è qualcosa di diverso. 
Ad Anna (2)
Mentre lui ti ispira scrupoli intorno a ciò che tu sino ad oggi hai fatto senza esitazione e a tuo profitto?  Vorrei vederti più che mai in un castello, circondata da una servitù nata serva della gleba. 
Che razza di idee… 
Sono triste, Anna. Il mio amico venne a farmi visita a Vienna, il mio amico innamorato e promesso. Ed anche la tua lettera arrivò. 
Percorremmo sentieri lontani nel boscoso paesaggio collinare, e sostammo al pallido sole di marzo, lì dove lo sguardo si getta lontano sulla pianura. Sono stato liberato per giorni dal peso del lavoro, che pretende la mia testa, e potei raccogliermi in me stesso. 
Non mi ritengo un uomo da compatire, ma neppure un uomo felice. Non desidero barattare con alcuno, ma non sono felice. Non possiedo alcun talento per essere felice, come si dice…
E ti sono di peso. La tua lettera me lo dice tra le righe. Ti sottraggo la gioia e la tranquillità, e questo stupendo equilibrio armonico che tanto amo in te. Non ho alcun dubbio che te le sottraggo. 
Sento precisamente ciò che vuoi da me e ciò che in me eviti. Ci sono momenti nei quali non posso fare a meno di te. – Quando ti vedo di fronte a me – in abito bianco con i tuoi capelli neri, quando ti aspettavo, oppure quando ti trovi chissà dove, ora, nell’abitazione dei miei genitori. È sera quando sono solo – noi due sempre come coloro che rimangono insieme quando gli altri se ne sono andati. –
Vedo le tue gambe in un abito tirato – quanto le amo, quelle gambe che non ho mai visto – tu puoi appena crederlo. Capitano di questi momenti, e vorrei sposarti, con intenzione chiara, e vorrei esserti fedele, fin dove mi conosco nonostante tutto – e darei tutto ciò di cui tu ed io ora siamo privi – arrivano però momenti in cui tu retrocedi – tu come sei – di fronte a sogni ed immagini che forse non si realizzeranno mai. Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – prese realmente, forse fantasmi e ridicolaggini. Ma forse profondamente legate alla mia migliore essenza (artistica). Sono questi poi i momenti nei quali vorrei fare di te tutto.
E poi hai di nuovo ragione con il tuo prendermi come sono. Potessi dunque ora sposarti, sarebbe bene – in questo momento però i due stati si sostituiranno sempre l’un l’altro con imprevedibilità. 
Ho trovato infine l’energia per fare in me chiarezza in proposito. E non sopporto di tacertelo. Devi sapere come essere in questo. 
Mi conosci ora così bene che non hai bisogno di dubitare del mio amore. Io ti sarò sempre fedele.
Ad Anna (3)
Cara Anna. Ti ringrazio per la tua lettera. Non perché mi vuoi sapere libero, non ho atteso che questo da te, ti ringrazio per la tua posizione – essa è sincera
Possiederai già la mia seconda lettera, giudicherai già molto diversamente – lascia però che dica ancora qualche parola, e spero non siano le ultime che mi permetti. 
Tu stessa dici che lo scrivere, l’arte è la mia vita. Hai ragione; è – non voglio dire la mia vita vera e propria – certo ciò che si nutre di altro e prende forma attraverso le sue richieste. Poi però le azioni reali – che si compiono veramente o si omettono – non vanno giudicate come fanno gli altri uomini, i quali sono realmente tanto buoni o cattivi, tanto ricchi o poveri come si mostrano nella vita. E se un sentimento fiorisce esitante e pallido invece che ardente, non si può dire che il fusto che lo regge sia povero e debole. È altro Anna, solo altro. E le leggi con cui si giudica secondo forza e debolezza in questo caso non valgono. Ma proprio per questo, e perché si sta di fronte a un nuovo sentimento come fosse un miracolo di cui non si conosce via d’uscita, si deve essere sinceri e dire: è così, ti fidi? Devi ritirare ogni tua promessa e ad ogni momento lasciare solo la dolcezza che ha in sé, come se la catena alla quale è legato, ad ogni istante che segue potesse spezzarsi –
Dico questo perché parleresti di indifference e certo, come tu affermi, l’indifference è la cosa più miserabile. Amicizia non è certo il nome per indifference; è il nome per una nuova via (e nuova non solo per noi). Si potrebbe dire ugualmente bene: amore libero, poiché investe il senso più significativo di quella parola.
È la differenza che c’è tra due uomini che vivono insieme e due altri ognuno possessore di una propria casa e reciproci frequentatori. Certo vi saranno uomini per i quali la seconda soluzione significa la fine, altri per i quali questa rappresenta l’unica forma possibile – l’una è bella l’altra diversa. Ma osserva attentamente che anche l’altra è bella e che essa possiede libertà insostituibili. Non si può dire che questi uomini non si amino. Essi si amano, sono ospiti l’uno dell’altro e si donano le ricchezze della propria casa, e tutto ciò è possibile solo perché essi non posseggono semplicemente un’abitazione. Certo lo si chiamerà per una volta amore, poiché con questa parola si pensa ancora oggi quasi esclusivamente qualcosa che comprende l’intera vita come una comune camera da letto, allora preferisco dire amicizia.  (Perché ci sono uomini che portano ovunque con sé la propria camera da letto, come fosse un guscio di chiocciola)
Ad Anna (4)
Da una lettera
Ci sono uomini che non hanno mai giocato diversamente con le donne. Ma non si può pensare a limitati uomini d’affari o ad assessori prussiani. Ci sono uomini di valore, giocosi, eternamente fanciulli – agitati come prati al vento – troppo agitati e teneri, cara A, per essere il robusto fusto al quale si possa avviticchiare – nella provata immagine dell’organetto – l’edera della dolce femminilità.  Citeresti anche gli animali? 
Perché no? Pavoni e nobili fagiani, animali che nella propria suntuosità non possono sentirsi a sufficienza? Sai, in fondo tali uomini amano forse solo se stessi. Chi è povero può praticare facilmente l’ascesi, ma chi sa che ogni volta può risplendere in nuovi colori…? E colui che così ama se stesso, ama in fondo Dio, il mondo, il paesaggio, il sole, l’aria primaverile – tutto l’incomparabilmente splendido e l’infondatamente grande. 
Ma dimmi, non desideri amare anche questo? Essere un uccello del paradiso? Oppure un soffice prato che ognuno vuole per sé e che poi però solitario appare nel suo maggior splendore? 
Metafore, solo metafore Anna. Ma le metafore sono come musica nella sera proveniente da chissà dove, da una qualsiasi casa solitaria nascosta dietro i cespugli e come da sogno al suo interno. Non si sa dove sia e quali sogni nasconda. E non lo si saprà, perché con la sera la musica subito si dissolve. 
Così devi accettare anche questo. Si ascolta in noi qualcosa di estraneo e di invitante.  Si fa un paio di passi, ci si ferma perché non è possibile raggiungerlo, si dice all’altro: ascolta, un suono. Come può essere, cosa lo produce?… e si pensa quanto sia solitario ed estraneo il mondo, quando improvvisamente un suono si perde, un suono amato per alcuni istanti con tutta l’anima e certo impossibile da comprendere. Ci si prende per mano per riflettere in due. Si parla di ombre. Perché è bello parlare quando ci si tiene per mano. 
Non capisci che questo amore, timoroso e per entrambi incalzante, è qualcosa di profondo?…
L’uomo che in fondo ama solo le metafore e per il quale anche l’incesto è una metafora. La donna per la quale ciò deve essere una realtà, un compimento. 
*
Ad Anna (5)
Mi scusi cara, se le scrivo simili parole. È forse un abuso della sua fiducia. Ma le parole sono veramente brutte e fuori luogo. Almeno per ciò che in queste notti mi attraversa in forma di pensieri. 
Mi lasci dunque ragionare ancora un poco. 
Di fronte a una sua parola ho una paura terribile: mi rende orgogliosa il significare qualcosa per un uomo del suo genere – così mi disse all’incirca. Un simile orgoglio ed il rammarico di non poter più dare rende tenero e dolce l’aspetto di una donna. Ciò potrebbe ingannare lei e me. Per questo volevo mostrarle il rischio. È troppo grande per essere preso a cuor leggero. La passione è qualcosa di assolutamente unico nella vita di un uomo. Come lo sono una sventura spietata e la morte di cose uniche. Essa però distorce tutto. È estasiata, estranea, fuori di sé come l’essere posseduti da un Dio.  Era per me come le doglie del parto del divino. Essa si cela dietro il discreto sipario di un tempio. Sferza tanto l’uomo che un grido lacera il suo viso e incide sul suo volto linee strane e incomprensibili come il morire e il partorire. Dall’esterno non la si può vedere. Poiché ci si spaventa anche dell’uomo che non si riconosce, si prova forse disgusto perfino di fronte alla sua estasi.
Se lei mi vede dall’esterno come una cosa cara e preziosa cui non si rinuncia volentieri, allora metta da parte questa lettera e mi scriva in poche righe che lei ama la giornata chiara e la freschezza di un’anima serena. Mi vergognerò così d’averle presentato un simile aspetto e proverò con l’amicizia di renderlo buono. 
…poiché ci si deve trovare nella stessa camera buia e sentire la stessa oscurità formarsi nella sua anima, e dell’altro non provare che la calda ombra e un bagliore nei suoi occhi. E questo pensiero va compreso per intero, veramente per intero: un uomo è un animale che talvolta può sognare un’anima…
Pensi alla vita quotidiana. Quanto sono stupide le cose con cui ci battiamo e quanto orribili spesso i nostri gesti e le faccende che la vita ci impone. Trascorra così una giornata qualunque. Dalla mattina alla sera. Quanti giorni consistono di null’altro che di questa mostruosità; e poi la chiamiamo indifferente, necessaria e così via. Solo alcuni momenti – lei li conosce attraverso l’arte – sono diversi. Ma me? È bello abbandonarsi ad un suono con la bocca spalancata?  Oppure era bello il tremore delle mie labbra quando le declamai Rilke? Certo no. Ma qualcosa scaturì dall’interno e ci toccò. Qualcosa? No, nulla. Non deve essere scoperto. È… nulla… una luce che improvvisamente tutto trasforma e da nessun luogo giunge un sogno… un sogno di un’anima. 
Questo si deve sapere. Poi ci si piega alla mostruosità del turbine, perché si sa, l’animale sogna, il misero animale sogna mirabilmente, in lui sogna il Dio, l’uomo, e divenne orribile, perché l’amore è molto più profondo quando si erge sull’abisso. Ma certo bisogna averlo sperimentato.  Oppure si può pensare che l’animale per un attimo generi un’anima. 
Si interroghi. Non sull’amore – su di un nome, piuttosto si chieda se può tollerarlo. Si interroghi se è in grado di sopportare in una simile solitudine la mia compagnia. I nostri giorni sono contati, come le giornate autunnali. Ciò che è tra di noi non ha nome, ma non è il problema di che cosa sia, piuttosto di che cosa ne facciamo. Chi vive la primavera e ha di fronte l’estate può affrontare la sfida. Noi dobbiamo portare a fioritura un tardo, tenero fiore ancor prima dell’inverno. Per quest’unica volta, in questioni morali sia ragionevole. 
*
Ad Anna (6)
Mi è intollerabile a letto
Oggi ho trascorso la notte insonne, steso sul sofà, col fumare di sigarette, di fronte alla porta aperta del balcone, d’un giallo color vino l’intermediario sentimentale: la luna. Non ho acceso lume per tutta la notte. Ho gustato un sentimento lontano, lontano distante quasi quanto gli anni dell’infanzia. Lo conosce? In una notte siffatta tutti i fili che ci legano agli uomini della vita giornaliera sono Spezzati. In una notte siffatta i mobili si spostano per la stanza e qua e là spunta la loro ombra da ogni angolo e da ogni dove ci chiamano con suono leggero. In una notte siffatta l’immagine non resiste allo specchio. Come un’ombra grigia si muove sul vetro nero velluto, cresce, di nuovo si ritira, sembra essere la nostra immagine e poi ancora solo una nebbia inquietante nello spazio sinistro. 
… sogno, avvenuto in noi un tempo. 
In una simile notte siamo diversi. E tuttavia noi stessi… Come un sogno più volte avuto…
Non posso volere. Non posso dire: vieni, vogliamo imboccare una strada insieme e sempre. La volontà possiede un futuro, un fermo sì e no tra gli uomini. Io non posso. Possiedo solo l’istante. Vivo solo nella notte. Nelle ombre delicate che ora sembrano essere la nostra immagine, ora qualcosa di completamente diverso, e certo noi stessi siamo troppo profondi… Così non comprendo l’istante. 
Mi si definisce uno psicologo. Non lo sono. Vengo attratto solo da cose certe e rare.  Indovino in altri e in me processi che sfuggono agli uomini, ma non so come io and lei nell’insieme, umanamente, di giorno… appariamo. Conosco quasi esclusivamente le immagini sul vetro nero, che si rimirano ora simili ora così estranee, nuove, diverse, che ci stupiamo di essere così.
Mi capisca bene: non parlo di me come di colui che lei incontrò qua e là, piuttosto di me come sono negli istanti più rari e veri, tra i quali spesso corrono anni, e so come voglio essere per lei. 
Di più posso appena dirle che non trovo sonno ed amo ciò, passando la notte con ombre e pensieri, scosso come acqua percorsa dal turbine…E sono felice. Certo appassionatamente felice. 
Non vogliamo dare alcun nome a questa passione; lei non lo desidera. Essa non ne ha bisogno. Ogni nome inoltre risulta precario ed inopportuno. E quando una tempesta è tanto violenta non si domanda se essa viene da nord o da est. Essa giunge urtando. E sferza i pensieri innanzi a sé, così tanto, così violenta, così estranea, che quelli non si lasciano afferrare. E lacera divise nell’anima, cosa che si osserva quando non si è ancora mai raggiunto il fondo di se stessi…Ed è di nuovo silenzio. (Forse dormo alcuni minuti) Mi stanco. Non ricordo più nulla. Ed è come se tenessi la sua mano e la potessi accarezzare ed intorpidire. Ed è come se potessi posare i suoi capelli sul mio viso…
Robert Musil
L'articolo “Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – fantasmi”. Le lettere di Robert Musil ad Anna proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/32irwzX
8 notes · View notes
toleratingthings · 4 years
Text
Forse dovresti stare zitta
Non è novità ribadire quanto spesso vengano ignorate le opinioni e la presa di posizione di una donna all'interno di una discussione, specialmente quando si trattano tematiche da intellettuali. Che forse roda il culo agli uomini quando una donna ha ragione? Ovvio. Ma sapete che cosa vi è di peggio? L'orgoglio. Nel manuale "10 regole fondamentali per crescere uomo" non trascritto, ma tramandato a voce di generazione in generazione, vi è sicuramente il punto 2 che detta così:
In alcuna occasione si deve concedere la gloria di avere ragione ad un essere inferiore di genere femminile sebbene lo stesso, al momento del suo intervento, presenti una tesi e controtesi coerenti e perfettamente logici e razionali privi di emotività. Anzi, in quanto subordinato che ribatte la posizione del padrone facendo indugiare terzi della propria serietà, tale interruzione dovrà essere ripagata con una punizione fisica e psicologica al solo fine di addestrare e rieducare la femmina a rimanere nella sua posizione di servitrice e di non avvertire più la necessità di ripetere codesto episodio. (Eventualmente si può ripetere la pratica finché non si ritornerà alla primordiale forma della donna con la sua natura mansueta e servile).
Delle servitrici. Siamo uscite dal ventre delle nostre rispettive madri per lustrare e lucidare l'ego maschile e rendere più semplice il vivere quotidiano di un uomo e per di più, essere dei futili oggetti. Al contempo, però, guai a diventare troppo sottomesse, perché la schiavitù ci rovina il visino
Il paradosso de "La donna fatta a misura per l'uomo" trova base in questo dualismo, un po' ossimorico a dire il vero, del dipendente-indipendente. Per renderlo un po' più discorsivo e non riprendere la rigidezza spinoziana dell' Ethica, una Donna, per essere definita tale con la maiuscola dal genere maschile, deve sapersi districare tra estetica e dovere. Ovvero, immergere le mani nude in acqua e candeggina per pulire il bagno e non rovinarsi lo smalto.
Uno standard che non è stato ideato neanche nell'iperuranio, per intenderci.
Intanto, mentre cerco di citare quanti più filosofi in questo articolo/commento/come lo vogliate chiamare, mi altero abbastanza perché sì, sono una di quelle persone super pazze ed esaurite che ha conservato i libri di filosofia usati durante il liceo e sapete qual è il problema? Non abbiamo mai studiato l'opinione, la dottrina e le parole di una filosofA. Mai.
Ogni pilastro filosofico ha un nome maschile che gli appartiene, nessun intellettuale che io abbia studiato ha mai considerato il pensiero di una donna. Per carità, non voglio screditare dottrine come quella kantiana ed hegeliana - di per sé non voglio screditare i filosofi e le loro epoche, voglio prendermela con gli editori.
Esatto, con gli stessi che probabilmente mi risponderebbero a questo post con un messaggio come: "Ma signorina, si rende conto che di filosofie femminili non ve n'erano perché l'educazione all'epoca era assai precaria per le donne?". La Arendt vi sputerebbe in un occhio.
Accettatelo: le donne hanno menti brillanti.
Siete voi che non volete ascoltarle.
Sentiamo: che prezzo ha la vostra immagine? Quant'è la differenza tra voi e noi? Di quante migliaia di euro stiamo parlando? Sarà perché avendo una vagina e un clitoride il mio prezzo di mercato si aggiri su un centinaio di euro? Scommetto che voi, invece, avete un valore quintuplicato, non è così?
No, ma che dico.
Il mio corpo e la mia mente valgono tutt'al più cinquant'euro. Dipende dalla strada che sto percorrendo. Altrimenti, se vi va di lusso e non c'è consenso, sono gratuita.
E per di più il mio corpo deve subire il massacrante rito dall'estetista per venire incontro alle arroganze del sesso maschile. Se non pratico questo rituale così cruento - perché sì, il derma poi ne paga le conseguenze miei cari; indipendentemente dalla forma di depilazione che si sceglie di eseguire, le nostre pelli differiscono l'una dall'altra - sapete cosa succede? Condanna e umiliazione.
La depilazione, inoltre, è un tema che crea molte discrepanze all'interno del Femminismo stesso, ma ad essere onesti, nessuna donna è nata per depilarsi tassativamente. E' una scelta estetica e sì, è un dettaglio che ha origine nel patriarcato e che alcune di noi hanno accettato perché non sentono alcun disagio nel farlo. Questo non vuol dire, apro questa piccola parentesi, che le femministe siano delle isteriche incoerenti.
Alle piccole misogine che vivono nella convinzione di incarnare l'ideale del femminismo, voglio proporre un friendly reminder: tutto ciò che rifiutate in quanto troppo femminile oppure il pensiero che la femminilità maschilista vi renda mercé perfetta per gli uomini, beh, quella è misoginia interiorizzata.
Fate pace con voi stesse.
Il compito del Femminismo consiste nell'eliminare la convinzione del dogma "Donna : Uomo = Serva : Padrone", non la "femminilità". Aprite gli occhi e sappiate distinguere le differenze, sebbene a volte si dimostrino sottili. La femminilità, infatti, è un costrutto sociale che solo in certi aspetti coincide con la lotta femminista.
Nel maschilismo, tuttavia, non vi è cosa che sia sottile. Ciò che rende "leggero" e "perdonabile" un dettaglio è l'abitudine.
E d'altro canto, le donne dovrebbero lasciar vivere le altre nella maniera che ognuna di noi ritiene più opportuno. L'importante, a fine giornata, è riconoscere che parti delle nostre routines hanno origine nel machismo e di saperle accettare sebbene alcune di esse ci vadano bene.
Disclaimer: non sto incitando il sesso maschile a dirmi di stare in cucina nonostante ami stare ai fornelli, né tantomeno ad incitarmi all'uso del make-up con la scusa del "ma tanto ti piace già". No, testa di c*zzo, le mie scelte non devono giustificare il tuo maschilismo.
E sapete a chi dobbiamo dare i crediti per la creazione di questa diatriba? Sempre a loro, uomini. Con le loro convinzioni, ideologie, stronzate di vario genere, ora siamo portate a penalizzare il nostro stesso pensiero, chiedendoci talora se ciò che viene espresso dalla nostra mente abbia un senso. Ovviamente è difficile per noi stesse mettere in dubbio il discorso di un uomo, ma quando si tratta di ascoltare il proprio parere, in quanto donne, ci denigriamo da sole.
Grazie signori, non avete concluso niente.
Volevate delle donne servili? Mi dispiace, ma anche quando ci dite di stare zitte rompiamo le scatole.
Perché? Perché nel botta e risposta tra noi donne, ci sarà sempre una che dirà "E perché tu, serva e uguale a me, devi mettere sempre in discussione quel che dico io e non quello che dice il padrone, quand'è palese che la ragione spetti a me?".
Non siamo dei vermi. :)
- glenda | ig: a.glenda.caceres | tw: waitbythedoor_
1 note · View note
weirdesplinder · 4 years
Text
Romanzi rosa sportivi
Nel caso stiate cercando qualcosa da leggere e amiate lo sport e il romanticismo questo è il post per voi! Ho creato una nuova lista di romanzi rosa contemporanei dove il protagonista maschile è uno sportivo e la sua lei invece proprio no, ma i loro mondi ad un certo punto collidono. (ok qualche titolo esce dal tema, ma cercando ho scovato titoli talmente interessanti che ho dovuto comunque includerli)
Come immaginerete è un tema molto diffuso e i romanzi da elencare sarebbero stati quasi infiniti, io nel mio piccolo ho cercato di darvi pochi titoli, ma buoni, cioè una lista che vi presenti il genere in tutte le sue diverse sfaccettature, perciò ho trovato titoli con sport comuni, e meno comuni, romanzi sia new adult che adult, autrici molto famose e poco famose, romanzi disponibili in italiano e non, romanzi più hot e meno hot ecc....
Spero questa lista possa tornarvi utile:
Tumblr media
IL CONTRATTO (The Deal) Autore: Elle Kennedy Editore: Newton Compton Editori Serie: Off-Campus – Vol. 1 Trama: Hannah Wells è una studentessa modello. Una di quelle ragazze intelligenti che al college non godono di alcuna popolarità. Ora si è presa una bella cotta per il ragazzo più fico della scuola, ma c’è un problema: per lui Hannah non esiste. Come riuscire a farsi notare? Garrett Graham è un bad boy, ed è anche uno dei ragazzi più popolari della scuola, grazie alle sue imprese sul campo da hockey. Ma le speranze di un grande futuro rischiano di andare in fumo perché i suoi voti sono troppo bassi. Avrebbe bisogno di un aiuto per superare l’esame di fine semestre e poter diventare un giocatore professionista… E allora è naturale che i due stringano un patto. Hannah sarà la tutor di Garrett fino alla fine dell’anno. In cambio, Garrett fingerà di uscire con lei per accrescere la sua fama: a quel punto tutti la noteranno di sicuro. Ma qualcosa va storto e quel bacio in pubblico, tra Hannah e Garrett, non sembra poi così falso…
LO SBAGLIO (The Mistake) Autore: Elle Kennedy Editore: Newton Compton Editori Serie: Off-Campus – Vol. 2 Trama: John Logan, tra i ragazzi più popolari dell’università, può avere qualsiasi ragazza. È una stella dell’hockey, ha fascino da vendere e nessuno ha il coraggio di negargli nulla. Ma dietro il suo sorriso assassino e quei modi da ragazzo sicuro di sé, si nasconde una crescente disperazione per ciò che lo aspetta dopo la laurea. Una strada senza uscita e il progetto di una vita in cui non si riconosce. Un incontro sexy con la matricola Grace Ivers è la distrazione perfetta per non pensare al futuro, ma quando un banale errore manda a monte la loro avventura, Logan decide che trascorrerà l’ultimo anno cercando di ottenere una seconda possibilità. Questa volta però le regole del...
IL TRADIMENTO (The Score) Autore: Elle Kennedy Editore: Newton Compton Editori Serie: Off-Campus – Vol. 3 Trama: Allie Hayes è in crisi. Dopo estenuanti tira e molla, la lunga storia con il suo ragazzo è giunta al capolinea. A peggiorare le cose c’è la preoccupazione per il futuro, visto che non ha la più pallida idea di ciò che farà dopo il college. Niente panico: Allie è una tipa tosta che sa reagire, anche se a modo suo. Una mattina, complice una serie di coincidenze e qualche bicchierino di troppo la sera prima, si ritrova a letto con il playboy del campus. È stata solo una notte bollente da archiviare il prima possibile? Lei ne è sicura, mentre non la pensa così Dean Di Laurentis, stella della squadra di hockey locale. Dean è...
L'IMPREVISTO (The goal) Autore: Elle Kennedy Editore: Newton Compton Editori Serie: Off-Campus – Vol. 4 Trama: Sabrina sta per laurearsi e il suo futuro è pianificato: dopo il college, studierà per diventare avvocato e poi troverà un impiego profumatamente pagato in uno studio legale. Il piano per sfuggire al suo imbarazzante passato di sicuro non comprende un fantastico giocatore di hockey che crede nell’amore a prima vista. Una notte di fuoco incandescente e di inaspettata tenerezza è tutto ciò che è disposta a concedere a John Tucker, ma a volte basta una notte a cambiare la vita... Tucker crede nell’importanza del gioco di squadra. Sul ghiaccio sta benissimo lontano dai riflettori, ma quando si tratta di diventare padre a ventidue anni, l’idea di...
Scommessa d’amore (Dare You To) Autore: Katie McGarry Trama: Se qualcuno avesse conosciuto la verità sulla vita in casa di Beth Risk, avrebbe mandato sua madre in prigione e la diciassettenne Beth chissà dove. Così lei ha protetto sua madre a tutti i costi. Fino al giorno in cui suo zio è piombato in casa e l’ha obbligata a scegliere tra la libertà di sua madre e la sua stessa felicità. È così che Beth si è ritrovata a vivere con una zia che non la vuole e ad andare in una scuola che non la capisce. Per niente. Ad eccezione di quel ragazzo che non avrebbe dovuto interessarla, invece lo fa eccome... Ryan Stone è il pupillo della città, una popolare star del baseball con segreti che non può rivelare a nessuno. Nemmeno agli amici con cui condivide tutto, incluso le sfide constanti a fare cose pazze. Qual è la più pazza? Chiedere di uscire alla ragazza con lo skate che non potrebbe essere meno interessata a lui. Ma quello che comincia come una sfida diventa un’intensa attrazione che né Ryan né Beth si aspettavano. Improvvisamente, il ragazzo con l’immagine immacolata rischia i suoi sogni – e la sua vita – per la ragazza che ama, e la ragazza che non avrebbe lasciato avvicinare troppo nessuno sta sfidando sé stessa a volere tutto...
La partita vincente (The hook up) Autore: Kristen Callihan Editore: Always Publishing Serie: Game On – Vol. 1 Trama: Anna Jones è determinata a finire il college per scrollarsi di dosso le insicurezze dell’adolescenza e riuscire, finalmente, a trovare la sua strada nella vita. Nessuna distrazione, tanto impegno e un solo proposito: tenere alla larga il quarterback superstar del college che continua a lanciarle sguardi infuocati e la attrae disperatamente. Drew Baylor ha un luminoso futuro davanti a sé: quarterback di talento per un college prestigioso, è pronto al grande salto verso l’NFL. La notorietà, dentro e fuori dal campus, è parte di lui, anche se l’affascinante QB non sembra darci troppo peso. Ma non avrebbe mai pensato di incontrare, o peggio, di perdere la testa, per l’unica persona che sembra infastidita e intollerante alla sua fama. Una stella del football come Drew Baylor certamente sa come vincere una partita, ma riuscirà, a colpi di incontri bollenti, tanta dolcezza e perseveranza, a segnare il punto della vittoria nel cuore della sua irriverente Jones?
Vorrei solo averti qui (Long Shot) Autore: Kennedy Ryan Editore: Newton Compton Editori Serie: Hoops vol.1 Trama: August e Iris sanno di essere fatti l’uno per l’altra. Ma il tempismo dei loro incontri è sempre stato pessimo e così, nonostante la sintonia che c’era tra loro, hanno finito per prendere strade diverse. Lui è diventato una stella dell’NBA e lei combatte con la sua quotidianità. Ma non si sono mai dimenticati. Nel corso degli anni, nei loro momenti più bui, August e Iris ripensano all’unico, indimenticabile bacio che si sono scambiati. A quella notte, a quel bivio che ha cambiato le loro vite per sempre. E anche se sanno che è difficile, continuano a sperare in una seconda occasione.
Hot Stuff Autore: Ava Lohan Autopubblicato Trama: Malcolm Hill è il temporale. Porta il caos nella mia università, nella mia squadra, nella mia vita. È la stella dei Chicago Thunderstorms, e ha sempre i riflettori puntati addosso. Lo odio. Perché mi sta rovinando l’esistenza. Perché non crede in me e nella mia squadra e mi tratta come una bambina. Perché è troppo attraente e mi distrae. Mi fa desiderare di infilarmi nel suo letto. Mi fa pensare che tutte le regole, alla fine, vanno infrante. Ma sarebbe molto stupido. Io ho diciannove anni. Lui ventotto. Io sono solo una studentessa. Lui è Hot Stuff. Fama, soldi e sesso sono la sua routine. Io sono il capitano della squadra femminile di basket. E Malcolm è il mio nuovo coach.
La storia che volevamo Autore: Marion Seals Editore: Hope edizioni Trama: La cosa che Gregory “Ego” Madden desidera di più nella vita è vincere il campionato con i California Bears, diventare il più famoso wide receiver della storia e riscattare un passato da emarginato. Il suo innato talento potrebbe garantirgli un futuro di successo e denaro, se solo fosse capace di controllare la rabbia che lo divora. La cosa che Dawn Riddle desidera di più nella vita è laurearsi e poi specializzarsi in Paleontologia. Ha sempre preferito la compagnia dei libri a quella dei suoi coetanei e ha potuto frequentare l’università solo grazie a una borsa di studio. Nella sua vita, segnata dal dolore e dalle rinunce, non c’è spazio per niente altro.
Match Point   Autore: Indigo Bloome Editore: Newton Compton Trama: Quando una lesione mette fine alla sua brillante carriera come prima ballerina, Eloise è devastata dal dolore. Sola, lontana dall’unico mondo che abbia mai conosciuto, Eloise sente di avere perso la sua unica ragione di vita. Fino a quando incontra un enigmatico miliardario, Caesar King, che le offre la possibilità di ballare di nuovo. La sua proposta sembra darle tutto ciò che ha sempre sognato: un gran pubblico e un modo per dedicarsi di nuovo alla sua passione. Per due anni dovrà ballare per giocatori di tennis ad alto livello, come fonte di ispirazione. Abilmente manipolata dallo spietato Caesar, Eloise fa il suo ingresso nel mondo dello sport, un ambiente in cui è importante dominare e solo chi vince detta regole, sia sul campo che in camera da letto. Ben presto si lascia coinvolgere in una relazione cupa e al tempo stesso inebriante con Stephan Nordstrom, campione in carica. Ma con ogni Grande Slam arriva la possibilità di un nuovo numero uno. Ed Eloise non sa che sta per diventare il premio finale…
Il gioco perfetto (The perfect play) Autore: Jaci Burton Editore: Leggereditore Serie: Play by Play – Vol. 1
Trama: Il giocatore di football professionista Mick Riley, sexy quarterback della squadra del San Francisco, è famoso tanto per il suo braccio potente quanto per le numerose avventure amorose con modelle o star del cinema. Ma quando a una festa incontra l’organizzatrice di eventi Tara Lincoln e passa la notte con lei, l’uomo decide di volerla conoscere meglio e di non desiderare che il loro incontro si limiti all’avventura di una notte. Purtroppo, Tara non è interessata ad approfondire la sua conoscenza: la donna, bella e determinata madre single di un ragazzino di quindici anni, sostiene sia già troppo impegnativo districarsi fra il lavoro e un figlio adolescente e l’ultima cosa di cui ha bisogno è farsi coinvolgere dal folle stile di vita di Mick e dalle luci della ribalta. Tara è già stata scottata una volta dall’amore, quando era ancora una ragazzina ed era rimasta incinta di Nathan, e non ha intenzione di mettere di nuovo a rischio il proprio cuore, né tantomeno quello del figlio, subendo il fascino di un donnaiolo come Mick.
INVINCIBILE (Undefeated) Autore: STUART REARDON E JANE HARVEY-BERRIK Editore: Delrai Edizioni Trama: Nick Renshaw è un giocatore di rugby professionista, dalla futura brillante carriera. Un infortunio improvviso, però, rischia di minare quanto costruito finora: il pericolo è rimanere fuori dai giochi. Sarà Anna Scott, una psicologa sportiva lungimirante, a occuparsi del suo percorso di riabilitazione fisica e psicologica. L’attrazione tra loro, anche se lui è già legato a un’altra donna, non permette a entrambi di essere lucidi e rimanere lontani, così Nick si ritrova a dover fare scelte difficili oltre che compromettenti per sé stesso e la sua vita. Tutti gli voltano le spalle, ma Anna no, lei è diversa, lei lo ama. Nessun divieto potrà mai far finire la loro relazione, nessuna distanza, perché il loro sentimento sincero è capace di vincere qualsiasi ostacolo, anche se così facendo entrambi toccheranno il fondo. Un romanzo dove la passione per lo sport si mescola alle vicende della vita, normali e straordinarie. Quando l’amore scende in campo, non importa chi è vincente, perché sarà sempre invincibile.
THE PLAYER (The Baller) Autore: VI KEELAND Editore: Sperling & Kupfer Trama: La prima volta che Delilah incontra il famoso quarterback Brody Easton è in uno spogliatoio maschile, al termine di una partita. È la sua prima intervista come commentatrice sportiva. Un incarico importante e conteso, per il quale sono stati presi in considerazione molti altri giornalisti uomini, ma sui quali Delilah ha avuto la meglio, dopo molta gavetta e molti sacrifici. Figlia di un famoso giocatore di football, Delilah è praticamente cresciuta in questo mondo, una mosca bianca in un universo di testosterone, sa come muoversi e non è facile metterla in un angolo. Eppure, quando Brody Easton già alla prima domanda decide di mettersi a nudo, letteralmente, lasciando cadere l’asciugamano che lo copre, lei non sa proprio che fare. A metterla in difficoltà non è tanto la statuaria bellezza, quanto l’atteggiamento provocatorio e la sfacciataggine dell’atleta che, fin da subito, inizia infatti a flirtare con lei. Ma Delilah non esce con i giocatori. O meglio, non esce con quel tipo di giocatore: di bell’aspetto, forte, arrogante, che vive di vittorie e conquiste, dentro e fuori dal campo. E Brody Easton in questo è un vero giocatore…
L’ultima notte ( Revved - Vol.1 ) Autore: Samantha Towle Editore: Newton Compton Editori Trama: Quando ha deciso di seguire la sua passione e diventare un meccanico di auto da corsa, Andressa “Andi” Amaro si è imposta una sola regola: mai innamorarsi di un pilota. Ha degli ottimi motivi per stare alla larga da quegli individui egocentrici e narcisisti e non intende infrangere il suo proposito. Carrick Ryan è la star della Formula 1. Un viso angelico e un corpo in grado di far sciogliere qualunque donna lo hanno fatto diventare uno degli uomini più desiderati in pista. E il suo accento irlandese non fa che renderlo ancora più irresistibile. Sull’asfalto e nella vita, è uno che spinge sull’acceleratore. Perché accontentarsi di una vita in prima quando puoi andare al massimo? Quando a Andi viene offerto un posto da sogno nel mondo glamour della F1, lascia la sua casa in Brasile, sicura di poter gestire uno sbruffone come Carrick. E invece durante il loro primo incontro volano scintille. Adesso che Carrick si è messo in testa di averla, non ha nessuna intenzione di arrendersi finché non avrà convinto Andi a superare tutti i suoi limiti.
Impudente e malizioso  di Susan Elizabeth Phillips Legggereditore Trama: Lady Emma Wells-Finch, la rigida e rispettabile direttrice della prestigiosa scuola inglese St. Gertrude, ha una missione: un viaggio di due settimane negli Stati Uniti per rovinare la propria reputazione ed evitare di sposare l’esimio duca di Beddington, benefattore del suo istituto. Kenny Traveler, giocatore professionista di golf e playboy famoso in tutto il mondo, è stato allontanato per pessima condotta dallo sport che ama e solo una cosa potrebbe ristabilire la sua carriera: conquistare una completa e totale rispettabilità. Proprio a lui viene affidata Lady Emma durante la sua permanenza in Texas. È l’occasione giusta per cancellare le proprie colpe, ma quando un uomo affascinante che non si può permettere un altro scandalo incontra una donna caparbia, determinata a causarne uno… tutto può succedere!
Heaven Texas. Un posto nel tuo cuore Susan Elizabeth Phillips Leggereditore Serie Chicago stars (nota a parte: ho volutamente incluso solo un titolo della superfamosa serie rosa sportiva Chicago stars, proprio perché già molti la conoscono e chi mi ha chiesto la lista l’aveva già letta, ma tutti i suoi libri valgono la pena di essere letti) Trama: Gracie Snow ha tre problemi da risolvere:un ex campione di football da proteggere (il buono),un ragazzo diventato ricco e perfido (il cattivo),il suo cuore che comincia a perdere colpi...Riuscirà a sistemare tutto e a capire dov’è l’amore? Una storia divertente, sexy e con un pizzico di malizia. Una lettura imperdibile per chi ha voglia di sorridere e lasciarsi andare. Gracie Snow decide di lasciarsi alle spalle un’intera vita e accetta un’offerta di lavoro a Hollywood come assistente di produzione. Subito però le viene affidato un incarico difficile: deve convincere Bobby Tom Denton, un affascinante ex giocatore di football, a presentarsi sul set per iniziare le riprese del suo primo film. Così Gracie entra in contatto con un mondo fatto di party selvaggi, donne mozzafiato, jet privati e alberghi lussuosi. Dopo qualche fraintendimento e un buffo spogliarello improvvisato, riesce a convincere Bobby a farsi accompagnare nella sua città natale, Telarosa, dove avranno luogo le riprese del film; ma lì tutti cercano in qualche modo di ottenere qualcosa da lui. Tra loro c’è Wayland Sawyer, ex cattivo ragazzo diventato uno degli uomini più ricchi della città, che minaccia di chiudere gli stabilimenti di un’importante azienda e trasformare Telarosa in una città fantasma... Un pericolo da scongiurare e un’occasione per Gracie di capire dove si trova il vero amore
Un viaggio lungo un’estate   Susan Wiggs Harlequin Mondadori Trama: È tutta una questione di prospettiva, sempre. "Ereditare" tre ragazzini di cui occuparsi può sembrare una tragedia. Peggio: unatragedia nella tragedia. Ma a ben guardare Lily Robinson e Sean Maguire avevano bisogno di uno scossone nelle loro vite, così lontane e diverse. Lei è un'insegnante precisa fino all'ossessione, lui un ex astro nascente del golf professionistico a un punto morto della propria carriera. Per motivi opposti, non sono abituati ad avere bambini tra i piedi e, se potessero scegliere, continuerebbero a farne a meno. Ma non possono scegliere affatto, sono costretti a rimettersi in gioco. E Sean lo fa sul serio, quando gli viene proposto di partecipare a un torneo di golf. Così si preparano tutti e cinque a partire per un viaggio lungo un'intera estate, per imparare di nuovo, partita dopo partita, a vivere.
Dammi mille baci di Tillie Cole Editore: Always publishing In questo romanzo manca l’elemento sportivo, ma la trama mi ha incuriosito, perciò l’ho messo comunque in lista Trama: Poppy Litchfield ha solo nove anni quando si lancia nell’avventura più grande della sua vita, collezionare mille baci capaci di farle scoppiare il cuore. Il suo vicino di casa e migliore amico è il perfetto compagno per quest’avventura. Poppy ha tutto quello che potrebbe desiderare: gioia, risate, baci da togliere il fiato, e il vero amore. Ma crescere è difficile e l’amore può non essere in grado di superare tutti gli ostacoli... Quando il diciassettenne Rune Kristiansen torna nella tranquilla cittadina della Georgia in cui ha abitato da bambino, ha in mente solo una cosa. Scoprire il motivo che ha spinto la sua inseparabile amica d’infanzia a escluderlo dalla sua vita senza una parola di spiegazione.
Non disponibili in italiano:
Slow Heat by Jill Shalvis After a woman claims she’s pregnant with Wade O’Riley’s love child, Major League Baseball’s most celebrated catcher and ladies’ man is slapped on the wrist by management and ordered to improve his image. His enforcer is the team’s publicist, the tough and sexy Samantha McNead. When Wade needs a date for a celebrity wedding, Sam steps up to the plate as his “girlfriend.” But given her secret crush on him and that one awkward night a year ago in a stuck elevator with too much scotch, the whole thing is an exercise in sexual tension. Wade is thrilled when the pretense turns into an unexpected night of hot passion. But the next day Sam is back to her cool self. As a catcher, Wade’s used to giving the signals, not struggling to read them. Now, to win the love of his “pretend” girlfriend, he needs a homerun—even it involves stealing a few bases.
Be My Baby Tonight by Kasey Michaels Susanna Trent sat behind Tim Trehan in nearly every class throughout high school, and her crush on him got her, well, nowhere. Tim thought her a great friend, even called her "Good old Suze." Not exactly the reaction Susanna had been looking for, you know? But when they meet again years later something seems to click, and they're off to Las Vegas for a quick wedding. Fast forward three months, and both are worried maybe they made a mistake. But not for the reasons you'd think…
Love to Love You Baby by Kasey Michaels Jack Trehan is young, rich, and reluctantly retired from his first love, major league baseball. Keely McBride is young, not so rich, and fired rather than retired from her first love, being a big city interior designer. Do opposites attract? Not so much… but when forced together for the sake of a child whose biggest problem might be that her vanishing mamma named her Magenta Moon, add in an eccentric aunt, a wanna-be mobster, a chameleon-like babysitter, a nosy social worker and, ah, more than a dash of unexpected romantic attraction, and you have a pot overflowing with love and laughter.
Making Him Sweat by Meg Maguire Romantic Jenna Wilinski has inherited a rather seedy boxing gym from her estranged father. With it, she can realise her dream and launch an upscale matchmaking business…provided she can take on the very intimidating – and wickedly hot – former pro boxer Mercer Rowley, who stands in her way!
The Golden Girl by Elizabeth Ashton Adrian Belmont, the great running coach, had never trained a woman before. So, when he told Rosamund that he wanted to coach her to win an Olympic gold medal, she was pleased and flattered. She soon found out that Adrian didn't see her as a woman, but as a running machine—a collection of bones and muscles that moved faster than any other female! How could she have allowed herself to fall in love with him?
Sweet Home by Tillie Cole But when Molly leaves England's grey skies behind to start a new life at the University of Alabama, she finds that she has a lot to learn — she didn't know a summer could be so hot, she didn't know students could be so intimidating, and she certainly didn't know just how much the folks of Alabama love their football. When a chance encounter with notorious star quarterback, Romeo Prince, leaves her unable to think of anything but his chocolate-brown eyes, dirty-blond hair and perfect physique, Molly soon realises that her quiet, solitary life is about to dramatically change forever...
7 notes · View notes
holmes-nii-chan · 4 years
Text
Considerazioni sulle Traduzioni di Star Comics del Volume 97
Ciao! Sono Holmes-chan, un traduttore dal giapponese all’italiano, e mi occupo delle traduzioni del manga di Detective Conan (a livello non ufficiale) per DCFS (dcfamilysubs.com).
In particolare, ho lavorato personalmente alla maggior parte dei capitoli dal Volume 97 in poi, ed è proprio di questi di cui oggi vorrei parlarvi.
Infatti, ieri è uscito ufficialmente in Italia il tomo numero 97 di Conan, edito da Star Comics, e tradotto da Rie Zushi con gli adattamenti ai testi di Guglielmo Signora. Sono subito corso a comprarlo da accanito fan, ma anche da malizioso traduttore, stropicciandomi un po’ le mani nell’immaginare quali soluzioni si possano essere inventati i miei ‘colleghi’ nel tradurre passi ambigui o particolarmente complessi.
Solitamente, le traduzioni di Star Comics per Conan mi lasciano sempre estremamente soddisfatto, perché pur essendo molto terra-terra, adattano tutto trovando un gran buon compromesso tra testo originale e scorrevolezza in lingua italiana. Tuttavia, devo confessare che, nel tomo 97, ci sono stati alcuni passi su cui ho delle perplessità sulle scelte di traduzione, che in alcuni casi mi sono sembrate piuttosto infelici o molto azzardate.
Mi accingo pertanto a parlarvene, precisando che naturalmente nulla di ciò che dico vuole essere un attacco al lungo lavoro della signora Zushi e del signor Signora, ma bensì una semplice analisi di un appassionato dell’opera e della lingua giapponese. Buona lettura!
File 1029 - Far addormentare anche un bambino che piange
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
(nell’immagine in alto, il testo originale. In centro, la traduzione di Star Comics, che ho semplicemente ricostruito ‘ricopiando’ il testo originale. In basso, la versione di DCFS.)
Ora, concentriamoci sul testo del primo balloon, evidenziato in rosso. Potete notare che la traduzione ufficiale è molto diversa da quella di DCFS. Eppure, in una delle due c’è qualcosa che non quadra. Determinate voi quale sia, leggendo l’analisi del testo originale:
どの道、僕にメリットはないけど・・・ Dono michi, boku ni meritto wa nai kedo... どの道 dono michi, “in ogni caso”; “comunque”. 僕に boku ni, “a me” (e quindi, anche “per me”) メリット meritto, "merito"; "guadagno". (は wa, particella riferita a "meritto") ない nai, "non esserci" (di oggetti inanimati).
E quindi, tenendo a mente che l’ordine della frase giapponese è Soggetto (che può essere sottinteso), Oggetto e Verbo (SOV), traduciamo letteralmente: “In ogni caso, per me non c’è (alcun) merito”, ossia -> “(Io) non ci guadagnerei nulla comunque / in nessuno dei casi”.
Insomma, è corretta la traduzione di DCFS, mentre è molto imprecisa la versione ufficiale. Come mai? Eppure questa è una pagina importante, e la frase mi sembra chiara: Amuro spiega a Conan che non ci guadagnerebbe nulla rivelandogli se lo conosca o meno. Non mi spiego questa imprecisione: è vero, non si tratta di un errore, ma nello stesso tempo non si è trasposto ciò che Amuro intendeva veramente.
Fa pensare anche la scelta di “il tizio”, nel terzultimo balloon. Okay, è vero che al 99% Wakita, che è un maschio, è Rum, ma mi sembra un tantino azzardato usare il maschile - che, per carità, funge anche da neutro, ma stona un po’. Usare “la persona” forse sarebbe stato meglio.
File 1032 - La raccolta delle piante selvatiche
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
(nell’immagine in alto, il testo originale. In centro, la traduzione di Star Comics, che ho semplicemente ricostruito ‘ricopiando’ il testo originale. In basso, la versione di DCFS.)
Qui, diciamo che l’intera vignetta ha qualquadra che non cosa. Procediamo con un’analisi.
すみませんねぇ、うるせぇヤツらで・・・ Sumimasen nee, urusee yatsura de... すみません sumimasen, "scusa" (o, in questo caso, "scusi"); ねぇ nee, particella che 'rafforza' la parola precedente; うるせぇ urusee ('slang' di "urusai"), "rumoroso"; ヤツら yatsura, "tipi"; "tizi"; で de, particella che in questo caso indica "per".
Sempre tenendo a mente l’ordine, SOV, e in questo caso rovesciando l’ordine dei balloon per conferire maggior scorrevolezza, traduciamo letteralmente: “Ci scusi per (essere) dei tizi rumorosi...” -> “Ci scusi se siamo dei tizi rumorosi...”. Mmh. C’è proprio qualquadra che non cosa.
A parte che Conan è ironico e sta parlando di tutto il gruppetto, se stesso compreso, e quindi è improbabile che desideri scusarsi con Yamamura, ma forse qui non è stata colta una spiccata “reference” (come dicono quelli bravi). Infatti, うる星やつら urusei yatsura è il titolo originale dell’opera Lamù, e in giapponese suona molto simile a ciò che dice Conan. Non dimentichiamoci che in giapponese il nome “Lamù” si pronuncia “ramu”, che è anche la stessa pronuncia di “Rum”...
Insomma, a parte l’interpretazione forse troppo azzardata, secondo me ne sarebbe valsa ulteriormente la pena di tradurre in modo più “terra terra”, trattandosi di una citazione, se proprio non si desiderava inserire note esplicative.
File 1033 - Un portafortuna
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
(nell’immagine in alto, il testo originale. In centro, la traduzione di Star Comics, che ho semplicemente ricostruito ‘ricopiando’ il testo originale. In basso, la versione di DCFS.)
Qui c’è un’imprecisione nel modo di dire citato da Koji, e anche un gran bell’azzardo nella sua frase successiva. Vediamo prima il modo di dire:
「遠見の角に好手あり」ってね・・・ "Toomi no kaku ni koushu ari" -tte ne... 「遠見 toomi, "guardia" + の no, che indica in questo caso "(fare) da guardia"; 角 kaku, "alfiere"; に ni, particella che in questo caso indica "con": più o meno indica qualcosa come "se X c'è, allora..." / “a un X, corrisponde un Y”; 好手 koushu, "buona mossa"; あり」 ari, "esserci" (forma "poetica"); って tte, "si dice che" (indica una citazione, supportata dalle 「」 virgolette) ね ne particella enfatica
Letteralmente: “Si dice che ‘con un alfiere (che fa da) guardia, c’è una buona mossa (da fare)’”. Ovviamente, essendo un modo di dire, si generalizza: “Si dice che ‘con un alfiere che fa da guardia c’è sempre una buona mossa’”, e si riferisce palesemente a Wakasa, che, essendo al 99,9999% Asaka, protegge Koji, immischiato in affari pericolosi con l’Organizzazione.
La traduzione originale si limita invece a parlare del pezzo, non della sua conseguenza. Eppure, si dice esplicitamente “c’è”. Come mai? Inoltre, pur non amando neanche un po’ gli inglesismi e le ritraduzioni, in rete (mi pare su un sito legato allo shogi nel mondo) si trova facilmente una traduzione in inglese del suddetto modo di dire, che suona praticamente come quella che ho scritto qua sopra...
Prossima frase: la tanto agognata battuta dell’”uccidere” detta da Koji:
それでも僕を殺すと言うんですか? Sore-demo boku wo korosu to iu -n desu ka? それでも soredemo, "eppure", "nonostante ciò"; 僕を boku wo, "io" (maschile) + particella che indica che si tratta del complemento oggetto (uccidere chi? che cosa? "Io"); 殺す korosu, "uccidere", ma in questo caso è al tempo futuro. と言う to iu, "dire che...", ma in questo caso è un tempo presente. んですか -n desu ka, ciò che per noi corrisponde semplicemente al punto di domanda.
Il dubbio vien da sé. In giapponese il verbo è uguale per tutte le persone, e in questo caso è tutto sottinteso. Nonostante ciò, dici che mi ucciderai? Dici che mi uccideranno? E quindi, per antonomasia, vuoi uccidermi? vogliono uccidermi? Chi lo sa. Tutto ciò che sappiamo è che il verbo è alla diatesi attiva, e quindi può essere “ucciderai”, “ucciderà”, “ucciderete”, “uccideranno”. Ancora non si sa chi abbia ucciso Koji, ed è un po’ azzardato gettarsi su una seconda persona. Effettivamente, allo stato attuale delle cose, è molto probabile che non sia stata Wakasa a trucidarlo, ma in quella scena Haneda poteva benissimo star parlando a un’altra persona, se non al suo stesso omicida. Insomma: non ci sono i presupposti per rischiare. A mio parere va benissimo trasformare il “dire che” in “volere”, perché indica quello - però, secondo me, è azzardato tentare a casaccio di indovinare il riferimento. Col senno di poi, sarà anche corretto, ma potrebbe essere fonte di malintesi anche gravi: per questo io mi limitai a tradurre con un verbo al passivo, per evitare ogni conseguenza.
Insomma: nessun errore, ma forse così si va un po’ troppo a fortuna.
File 1035 - Vassoi intagliati e laccati di nero
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
(nell’immagine in alto, il testo originale. In centro, la traduzione di Star Comics, che ho semplicemente ricostruito ‘ricopiando’ il testo originale. In basso, la versione di DCFS.)
Qui manca semplicemente qualcosa, nel primo balloon. Manca il “ciò che tu chiami”, che è un punto essenziale: infatti, dimostra che “organizzazione” non sia il vero nome del gruppo, che, secondo l’autore, avrà grande rilevanza.
Una semplificazione superflua, secondo me. Anche noi in questa vignetta abbiamo semplificato il testo originale per una questione di spazio, ma quello, a mio modesto parere, era un dettaglio da lasciare.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
(nell’immagine in alto, il testo originale. In centro, la traduzione di Star Comics, che ho semplicemente ricostruito ‘ricopiando’ il testo originale. In basso, la versione di DCFS. Scusate per aver intasato il post, è venuta piuttosto alta, lol)
Qui la perplessità sta nel tempo verbale. È vero che il verbo usato (che è il verbo essere) può essere presente o futuro, però la dinamica del caso dimostra che è molto più conveniente usare “quello è il mio piattino” che “sarà”.
Un dubbio sicuramente trascurabile, anche perché non credo che la traduttrice abbia già avuto modo di leggere la fine del caso, contenuta nel Volume 98.
È tutto, gente! Le mie perplessità finiscono qui.
Naturalmente, rimango a disposizione. Se la signora Zushi, il signor Signora o altri mai dovessero vedere questo post e avessero qualcosa da dire, sappiate che io sono a disposizione. La mia email è holmeschann[at]gmail.com (dove “at” sta per @, che ho rimosso per evitare spam ^^;)!
Grazie a tutti di aver letto, e scusate per il post prolisso...
6 notes · View notes
Text
Quel che non mi convince di “Miracle Queen” e, in generale, del finale della S3 di Miraculous
La terza serie di Miraculous mi è molto piaciuta. 
Però ci sono delle cose che mi sono piaciute molto poco. Potrei fare un gigapost, ma credo che Un Certo Qualcuno ne potrebbe fare presto(?) uno~
Mi limito quindi a quella manciata di cose che non mi tornano, non mi hanno convinto o non mi sono affatto piaciute. 
Cose che non tornano:
Titoli mutati e akuma mutanti 
Quando furono rivelati i titoli di tutti gli episodi della terza serie, il 77 era chiamato Mangeamour, in inglese Loveater. 
Una volta iniziato effettivamente l'episodio (e solo allora) si è scoperto chiamarsi Heart Hunter, con il doppiaggio a dare conferma. Perché il nome è stato cambiato? Non è un akuma importantissimissimo, quindi cosa gli cambiava chiamarsi Heart Hunter o Loveater... se non che sono stati cambiati proprio l'akuma e il suo potere? 
Inoltre, la sinossi parlava di un "cerbero a due teste". D'accordo le descrizioni esagerate o non proprio 100% accurate, ma un Humpy Dumpty rosso bifronte fluttuante non mi suscita esattamente l'immagine di un "cerbero a due teste"... a meno che Loveater non fosse un cerbero a due teste. Interessante notare come l'oggetto dell'akumatizzazione sia una maglia extralarge da cui escono solo le teste, come un unico corpo bicefalo. 
Le bizzarre avventure di Chloe 
Tutta l'evoluzione e il personaggio di Chloe sono stati semplicemente buttati nel gabinetto. 
Si pensi anche solo a questa terza serie: è stata la prima persona a rigettare un akuma che già aveva attecchito; in Ladybug ha protetto Sabrina ed è stata una delle poche a credere a Marinette; in Ladybug e in Miraculer sembrerebbe immune al (presunto) potere di Lila; in Startrain si è mostrata una brava eroina anche senza la tutina a strisce. 
Dopo tutto questo, in Heart Hunter viene akumatizzata per una giusta causa (erano i suoi genitori ad essere stati akumatizzati, ma Ladybug, suo idolo, ha preferito Ryuuko a Queen Bee per nessun motivo davvero valido) e... Miracle Queen non è questa gran minaccia, è anzi una macchietta comica e alla fine se ne va strillando contro Ladybug in puro stile PRIMA serie. Due intere stagioni di evoluzione giù per lo scarico perché...?
Intendiamoci: se magari Chloe fosse implosa, avesse urlato qualcosa tipo: "Io ci ho provato ad essere buona, ma non faccio altro che produrre akuma!" e poi qualcosa come: "Allora è vero che sono meglio come antagonista!" o "Devo essere io a sistemare tutto ciò che ho fatto e tu me lo stai impedendo, Ladybug!", sarebbe stata un'inaspettata e bellissima involuzione coerente del suo personaggio - e sarebbe entrata di diritto tra i miei personaggi preferiti di ML. 
D’accordo, da un paio di espressioni si capisce che è stato solo un attacco tsundere di cui probabilmente si pentirà, ma non mi è affatto piaciuta tutta la vicenda: Chloe ha fatto del suo meglio, Ladybug è obiettivamente stata scorretta con lei e il dolore di Chloe... viene usato come elemento comico e lei come cattiva fallita. Questo no. Interrogato a riguardo da tipo Chiunque rimasto perplesso, l’autore ha spiegato che Chloe non diventerà certo buona dal giorno alla notte (giustissimo) e che già durante la serie si era capito che faceva l’eroina per autocompiacimento - vedasi quando sprona Aurore ad essere akumatizzata per poter intervenire come Queen Bee. E l’autore avrebbe anche ragione se questo elemento fosse stato centrale del personaggio di Chloe: ma se ci sono uno massimo due indizi di egoismo e dieci di buona volontà, è improbabile che la gente non rimanga perplessa a vederla delirare. 
A prescindere dalle motivazioni che spingono Chloe, comunque, è innegabile che Miracle Queen abbia mostrato Chloe come una sciocca ragazzina capricciosa e irragionevole e Ladybug sì colpevole ma vabbè dai povera piccola! - e questo magari no.
(Aggiungiamoci il sempre meno spazio di Lila e l’aver fatto andare via Chloe urlando vendetta tremenda vendetta, proprio come è solita fare lei, che non fa presagire cose belle per nessuna delle due.) 
Attesissimo & Incredibilissimo Gran Finale un po’ poco curato 
Miracle Queen è probabilmente l’episodio con più errori grafici in assoluto. 
È normale e umano che in una serie 3D ci sia qualche errore, ma quando l’elenco inizia a superare una schermata di computer... 
(Diciamo che è un po’ assurdo che il Gran Finale tanto atteso sia poco convincente di trama e zeppo di errori grafici...)
Romance e Logica, una illogica tragica storia romance 
Il messaggio finale di Fu e la morale della serie sono molto belli: andare avanti nonostante le perdite. 
Da parte della sottotrama di Fu, nonostante i fuochi d'artificio di deus ex machina e la disumana crudeltà di costringere una quattordicenne già abbastanza provata emotivamente a legarsi per sempre ai Miraculous o dimenticare tutta la sua vita (perché Fu è proprio tabula rasa), ci può stare. Soprattutto se, come sospetto, in origine non era previsto che Fu se ne andasse allegramente vivo e più o meno vegeto.
Il lato romance, invece, è semplicemente un disastro. 
Già l’inizio con Chat Noir che dice a Ladybug di essersi trovato una fidanzata, per poi negare quando lei non si mostra gelosa, trabocca di nonsense; se poi lo si mette subito dopo Ladybug, è stupido; se lo si mette dopo Chat Blanc e Felix, ha lo stesso effetto di averle detto “Sai che l’area del trapezio si calcola sommando la base maggiore e la base minore, moltiplicando per l’altezza e dividendo per due?”. 
Quando poi, negli ultimi minuti, per Nessun Motivo, completamente A Caso, Marinette e Adrien si dividono, sono costretta a stoppare e a pensare bene a cosa è successo durante la serie, perché forse mi sono persa qualcosa. 
Durante la terza serie, è stato mostrato Adrien innamorarsi di Marinette, smettere di idealizzare Ladybug e iniziare a vederla come una persona; è stata mostrata Marinette che finalmente riesce a comunicare con Adrien, invece di balbettare (Papa Garou, Oblivio, Startrain, Desperada, Gamer 2.0, Puppeeter 2, Ladybug e forse ne sto scordando qualcuno); in Miracle Queen, i due ripetono fino allo sfinimento che staranno sempre insieme. 
Chat Blanc da solo, poi, è un’esplosione del rapporto tra Ladybug e Chat Noir, tra Adrien e Marinette. Tuttavia, nonostante quello che è successo, in Felix Marinette riesce a dichiararsi e si mostra ancora cotta e fangirl: questo vuol dire che Marinette è più cauta verso Chat Noir, non Adrien - dato che non ha mai saputo cos’è successo esattamente nell’altra timeline. Come caspiterina si passa dall’amore intenso e sognante alla rinuncia totale dell’altro nel giro di, ehm, niente? Perché Chat Noir ha deciso di non chiamarla più “my lady” e di insistere per una sua eventuale gelosia per una fidanzata immaginaria o verso Ryuuko? (Perché in mezzo, secondo l’ordine di produzione che è consigliato seguire come timeline, c’è stato solo Ladybug, che NON parla di romance.)
Mi starebbe bene che Marinette e Adrien abbiano qualcun altro. Mi starebbe pure bene che Marinette e Adrien non si sposino e abbiano quindici figli e un criceto. Ma voglio che la motivazione mi venga mostrata. Voglio vederli scoprire di essere incompatibili, voglio vedere il grande amore che si spegne - insomma, vorrei vedere un motivo. 
Miracle Queen si conclude in modo davvero triste (nel senso più negativo del termine) con, essenzialmente, Adrien che ha rinunciato a Ladybug perché quest'ultima è innamorata di un altro, che in realtà è lui, ma lei non lo sa, quindi l'ha rifiutato perché non sapeva che Chat Noir fosse lui. A casa mia, una cosa del genere si chiama fyccyna angst self-indulging o, al limite soap opera. E tutto il drammone che si crea, dunque, si crea sul nulla. 
Letteralmente il nulla, visto cos’è successo nei tre episodi precedenti. 
Quel ca**o di periscopio 
In Miracle Queen, Ladybug e Chat Noir sono costretti sott’acqua causa vespe paralizzanti: devono trovare Fu, ma come faranno, se sono costretti sott’acqua causa vespe paralizzanti?
Nessun problema, proprio in quest’ultimo episodio si scopre che il bastone di Chat Noir può fare da periscopio! Com’è conveniente!
(È solo uno dei deus ex machina di Miracle Queen, ma l’ho messo a parte perché ho rotto abbastanza le balle a Tayr su “Vediamo se appare in Chat Blanc o Felix”. Alla fine è diventato un meme e non ho potuto non fargli un punto a parte.)  
Miracle Queen è il finale, giurin giurello!
Chat Blanc e Felix parlano della famiglia Agreste e della trama di Miraculous, con il secondo che introduce nuovi elementi di trama (la famiglia Graham e gli anelli gemelli) che sarà probabilmente importante nella quarta serie; Heart Hunter e Miracle Queen parlano di inciuci amorosi, Chloe che delira, deus ex machina e Marinette nuova guardiana dei Miraculous. 
Non so, eh, magari mi sbaglio, ma mi sembra che Chat Blanc e Felix sappiano un pochino ino di finale - ma forse sono solo io, eh. 
Cose teaserate e poi boh: (= La terza serie è tutto un enorme teaser della quarta o qualcuno si è perso qualcosa per strada.)
⦁ In Oblivio viene mostrata per la prima volta un'akumatizzazione di coppia (proprio di una coppia effettiva, tra l'altro!), che aveva molto il sapore di anticipazione di Loveater... peccato che Heart Hunter sia uno degli akuma con meno screentime (e importanza) in assoluto. 
⦁ In Timetagger, Chris dice chiaro e tondo "Chi ti ha detto che il mio Papillon sia tu?", stupendo Gabriel. L'episodio si chiude con la minacciosa (?) inquadratura di Lila che fa da babysitter a Chris bambino, con quest'ultimo che si è preso una cotta per lei. 
Di questo "altro Papillon" (Lila?) non si farà mai più menzione. 
⦁ Il potere di Mayura è creare sentimonster. A livello di trama, questo è ovviamente per aiutare gli akuma di Papillon. 
Ma a cosa è servito il sentimonster senziente di Ladybug? 
⦁ Il doppiatore inglese di Luka aveva spoilerato alcune cose, tra cui una frase che Luka avrebbe pronunciato in un qualche episodio: “Io amo davvero Marinette!“, detta con decisione. 
A fine serie, questa frase non risulta in nessun episodio e non riesco a togliermi dalla testa che possa trattarsi di una “prima versione” di Loveater, quando ancora si chiamava così.
Cose che non mi sono piaciute: 
Lila ha sbagliato cartone 
Lila è un personaggio molto, molto complesso - rasenta l'hikkikomori, è una bugiarda patologica, è visibilmente lasciata a se stessa dai suoi genitori, forse soffre di una solitudine immensa che colma con la rabbia e le bugie, che la porta ad essere irosa verso chiunque non sia come vuole lei, si schiaffa gli akuma addosso mostrando autolesionismo e un odio consumante - e difficilissimo da gestire, soprattutto se proprio lo si vuole mettere in un cartone per bambini. 
Già era sospetto che, dopo essere stata presentata come "antagonista ricorrente" a fine prima serie fosse scomparsa del tutto per poi riapparire a fine seconda - e la cosa era stata spiegata con un essersi rinchiusa nella sua camera per ripicca, e vabbè. 
Tuttavia, da lì in poi assurge al ruolo di "sottoposta ufficiale dell'antagonista", ma il suo Apporto Fondamentale ai Malefici Piani sarà solo in Chameleon (episodio molto discutibile), Miraculer (ci ha provato, ma l'akumatizzazione non è merito suo), e ottenendo risultati concreti solo in Oni-chan (che le si ritorcerà contro) e Ladybug (che le costerà un Adrien in modalità yandere). 
Il fatto che Lila sia scomparsa (nel finale non appare proprio) e forse "sostituita" nel suo ruolo "antagonistico" da Chloe non può che farmi pensare che si siano resi conto troppo tardi del suo essere un personaggio ingestibile e la scelta fatta nel suo caso è stata... toglierla?
Cercasi altri Portatori di Miraculous 
Il trattamento di tutto il resto dei portatori di Miraculous, soprattutto il "gruppo principale" - alias Alya, Nino e Chloe. 
È pratica comune (e sensata) nei majokko e, in generale, in tutte le storie che implicano più di un personaggio, dedicare almeno un episodio solo e soltanto ai personaggi secondari, così da approfondirli: al di là dell’episodio di apparizione di Rena Rouge e Carapace, Alya e Nino non hanno più avuto momenti di gloria come supereroi. Riguardo Queen Bee, meglio non parlarne. 
Non solo Rena Rouge, Carapace e Queen Bee non hanno avuto screentime, ma Miraculer è l’unico episodio in cui ci sono tutti e cinque i portatori di Miraculous principali. C’è poi Party Crasher, con tutti i portatori maschi più Ladybug. 
In sostanza, c’è UN episodio con il quintetto (si supponeva) principale e neppure un episodio con l’intero gruppo di portatori che non viene akumatizzato/controllato/laqualunque. Considerato che la terza serie era stata presentata con il quintetto e anticipava maggiore attenzione ai portatori di Miraculous (... cosa oggettivamente successa, visti tutti i nuovi portatori, ma non...), confesso di esserci rimasta un po’ male nel vedere l’attenzione costantemente sui soli Ladybug e Chat Noir, con variazioni solo nel caso di un nuovo portatore e dunque episodio basato su lui/lei. Belli questi episodi, eh, ma mi sarebbero piaciuti anche episodi in cui erano Rena Rouge, Carapace o Queen Bee - o un altro qualsiasi - a dover gestire l’akuma, con Ladybug limitata alla purificazione dell’akuma. 
1 note · View note
skrabbyblog · 6 years
Text
8.1.2019 ~ 11:36 ~ a Marco
Ipersensibile: Dicesi "ipersensibile" una persona che ha una sensibilità eccessiva, esasperata o estremamente acuta; che subisce o accusa esageratamente i fatti esterni, spesso deformandoli sotto il segno dell'inquietudine o della sensibilità.
È esattamente la mia descrizione.
Sono esagerata in tutto ciò che provo: l'allegria e la felicità diventano risate che non finiscono più, la tristezza la trasformo in una tempesta di lacrime e singhiozzi, la rabbia diventa un uragano di urla, che la maggior parte delle volte tengo per me, probabilmente peggiorando la situazione. Ogni cosa che succede attorno a me la analizzo fin troppo, sto ore e ore a pensare a un dettaglio che magari gli altri non hanno notato, e lo trasformo, anzi, lo deformo in qualcosa che magari non è quello che è. Interpreto male qualsiasi cosa mi venga detta, prendo tutto sul personale.
C'è stato un periodo che qualsiasi cosa facessi, anche la più normale, mi sembrava strana, diversa, e mi sentivo tutti gli occhi puntati addosso, credevo che tutti prestassero attenzione a ciò che facevo, e che mi vedessero strana. Adesso non sono più così paranoica, anzi, me ne frego anbastanza di ciò che pensano gli altri. Ma allo stesso tempo vorrei chr pensassero bene di me, che mi vedessero come una ragazza normale, e non come una da evitare.
Sono contraddittoria.
Se me la prendo per qualcosa divento fredda, distaccata. A volte anche orgogliosa. Evito la gente, e fingo che vada tutto bene, perchè so che gli altri non capirebbero quello che provo, e mi prenderebbero come una ragazza infantile e in cerca di attenzioni. E forse un pò lo sono. Allo stesso tempo però, ho paura di essere fastidiosa. Cerco di non attaccarmi troppo, di non sembrare appiccicosa. Ma questo succede quando mi affeziono tanto ad una persona. Che sia un'amica o un ragazzo. Mi affeziono anche troppo, e ciò che provo la maggior parte delle volte non viene ricambiato allo stesso modo. E allora comincio a pensare che forse c'è qualcosa di sbagliato in me, nel modo in cui mi comporto.
Con le amiche, riesco a fare la scema davanti a loro senza problemi. C'è stato un periodo che addirittura quando trovavo un video divertente su facebook lo salvavo, solo per farlo vedere alla mia "migliore amica" la mattina prima di entrare a scuola, magari per farci passare la noia e la depressione delle 8 di mattina. E lo facevo sempre. Ogni volta che trovavo un video lo salvavo, e lo guardavamo insieme. Eppure vedevo che non venivo mai cercata, se non cercavo io per prima. Io che mi impegnavo tanto per passare dei bei momenti, ridere insieme, alla fine venivo sempre lasciata da parte, non venivo invitata ad uscire o ad andare a casa di qualcuno, se non lo chiedevo io per prima. Per questo motivo sono diventata molto insicura, e ho sempre paura di affezionarmi di nuovo a qualcuno di nuovo, perché prima o poi ho la sensazione che che rimarrò delusa. Ma nonostante questo continuo a farlo, mi affeziono, anche senza volerlo. E non posso farci niente, perché è nella mia natura.
Coi ragazzi non ho avuto tante esperienze, ma quella che ho avuto mi ha fatto capire di cosa sono capace se amo una persona. Sono capace di amare e pensare solamente a quella persona. Sono capace di essere affettuosa e dolce come invece non sono con gli altri. Sono capace ci aspettare, se credo sia necessario, o sono capace di agire per prima. Sono capace anche di starmene zitta e non fare niente, starmene zitta e a volte, molte volte, non dire quello che penso per non rovinare tutto. E quindi mi conviene parlare adesso, dato che ho deciso che, dall'ultima esperienza, la sincerità è tutto.
Io mi sono innamorata di te, e questo è sucesso per le stesse ragioni che ho detto prima. Perché mi affeziono subito, e soprattutto se sento che c'è affinità con l'altra persona, comincio a stare bene, a stare bene insieme, ma bene veramente. Bene che mi manchi 2 secondi dopo averti lasciato, e bene che tutta l'ansia che ho dentro il corpo sparisce, per lasciare posto a questa tranquillità strana, che non mi è mai successo. E questa cosa pò dare fastidio, perché mi fa capire che quando mi innamoro, tutto il mio umore dipende da quella persona, da ciò che fa e da ciò che dice. E anche se la mia testa cerca di farmi ragionare, il mio cuore pensa a tutt'altro, e decide lui. E si, mi rincoglionisco. Ma è quello che succede quando ci si innamora. Può sembrare una cosa brutta, da evitare il più a lungo possibile. Ma deve essere qualcosa di bello, altrimenti non starei qui a fare questi discorsi. Sono anche dubbiosa. E nonostante sia circondata costantemente da una nuvoletta rosa, ogni tanto mi vengono dei dubbi, magari infondati, ma mi vengono. E qui subbentra il fattore sincerità, perché la maggior parte delle volte non mi esprimo su questi dubbi, e preferisco starmene zitta, per non mandare tutto all'aria. Ma questo peggiora la situazione e, come ho detto prima, divento fredda. So però che i miei dubbi non nascono così dal nulla. Dipendono sempre da ciò che fai e da ciò che dici. E so anche che a te non piace parlare dei tuoi sentimenti. Ma dato che io lo faccio, e credimi, non è facile nemmeno per me, vorrei che anche tu ti aprissi un pò di più. Con questo non voglio dire che voglio cambiarti, ma io sono quel tipo di persona che se non gliele dici in faccia le cose non ci arrivo da sola. Quindi, se devo aprirmi io, mi piacerebbe che anche tu lo facessi.
Ci sono sicuramente tante altre cose da dire su di me, ma non mi vengono in mente così facilmente. Queste cose che ho detto comunque sono quelle che ritengo più importanti, e fanno parte di me. Non posso cambiarle. Si, posso migliorare, ma non posso cambiarle completamente. E anche tu devi accettarmi per quella che sono, come io faccio con te. Non ti chiedo di sopportare sempre le mie lamentele, a volte non mi sopporto nemmeno io, ma quando ho questi momenti "no", anche se mi dovesse venire da piangere, anche se dovessi sembrare insensibile e distaccata, mi servirebbe solo un abbraccio. Anche se siamo lontani, un abbraccio virtuale va bene comuque, ma abbracciami.
Mi basta solo questo.
-Silvia
10 notes · View notes
max-casagrande · 5 years
Text
Drunk; Capitolo 3
Capitolo 3: Un degno avversario
Non mi muovevo, continuavo solo a pensare a quei giorni che avevo passato lì dentro. E continuavo a ricordarli tutti.
Non appena aprì l'armadietto, quella sensazione gli cinse il petto senza l'intenzione di lasciarlo. Tutto ciò che lo circondava era completamente, dannatamente ordinario e calmo, e al contempo chiassoso e privo di tranquillità. Si doveva correre in classe facendo chissà quale fracasso lungo le scale per poi rimanere seduti, per ore intere, ad ascoltare una persona parlare e, nel migliore dei casi, fare qualche domanda. Riconobbe quella sensazione: noia. Ogni secondo che passava faceva aumentare la sua voglia di tornarsene in Cina, e l'idea di fare la distanza a nuoto stava smettendo di essere un'utopia e si stava trasformando in una possibilità.
Guardò alla sua sinistra e incontrò lo sguardo di John, qualche metro più in là, abbastanza allegro e sorridente da dargli fastidio. Cercò di ricambiare il sorriso (non riuscendoci molto bene), per poi infilare la testa nell'armadietto al fine di nascondere la sua espressione disperata. Si doveva calmare, stava esagerando e lo sapeva, ma al contempo non riusciva a immaginare che la sua vita fosse diventata una semplice corsa ai voti e alla sopravvivenza basata sul lavoro. Doveva pur esserci qualcosa di interessante, qualcosa che affievolisse il suo prurito alle mani e la sete di adrenalina.
-Ehi, Lans, ti sei presentato ancora oggi?-
In quelle parole, Hei sentì esattamente quello che stava cercando. In meno di un istante era di nuovo eretto, e la testa era schizzata fuori dall'armadietto, a guardare la situazione in cui imperversava il ragazzo a pochi passi più in là. Le mani, però, rimasero rilassate. Serviva di più.
-Te lo avevamo detto cosa sarebbe successo se ti fossi presentato di nuovo, no?- domandò un secondo quasi gongolando.
-Ragazzi, dai, sapete che non mi posso assentare da scuola, mi si abbassa la media.- cercò di ribattere John, decisamente nervoso. La prima cosa di cui Hei si accorse fu la totale indifferenza degli altri studenti, che passavano di fianco il gruppo senza neanche degnarli di uno sguardo. La seconda, invece, erano le gambe di John: tremavano, e non poco. Se alle sue spalle non ci fosse stata la parete, sarebbe caduto all'indietro.
-Come se a noi fregasse qualcosa della tua media.- sbeffeggiò un terzo, appoggiandosi alla fila di armadietti sbattendo la mano a pochi centimetri dalla testa del ragazzo, che sussultò. -Ti abbiamo detto di iscriverti al nostro club, e tu non lo hai fatto.-
-I...io non mi iscrivo ai club di combattimento.- spiegò puntando lo sguardo verso il basso. -N...non sono bravo a combattere.-
-Be', o fai un'eccezione o ti spezziamo le gambe.-
-John, va tutto bene?-
Hei, consapevole di aver usato il tono di chi domanda l'ovvio, non batté ciglio quando vide gli occhi dei quattro, e di qualche studente curioso non abituato alle intromissioni, schizzare verso di lui. Tutti gli sguardi trasparivano l'incredulità di chi sente o vede qualcosa di impossibile, e in quella scuola un evento del genere era tutto fuorché frequente.
-Cosa hai detto?!- domandò quello che aveva parlato per primo, sicuro di aver sentito male.
-Scusa, starei parlando con il mio amico, gradirei che non mi interrompessi.-
Il numero di occhi su Hei aumentò in maniera esponenziale, ma il suo sguardo rimase fisso su John, che, per imbarazzo e per spavento, non riusciva a proferire parola e i tremolii non gli permettevano di annuire o scuotere la testa con decisione. Come risposta a quella che interpretò come una provocazione, il ragazzo tirò fuori un coltello a serramanico dalla tasca della giacca in pelle e lo fece scattare, mostrando la lama. Hei non dovette degnarlo neanche di uno sguardo per capire che era in acciaio inossidabile, lunga quattro pollici e mezzo, e legata a un manico in legno. Abete, forse. -Ti ho chiesto cosa cazzo hai detto, coglione. Vedi di portare rispetto o gioco a bowling con la tua testa.-
-Puoi provarci, ma dovresti decapitarmi prima, e da quella distanza non ci riuscirai mai con un rasoio del genere.- Hei percorse la distanza che li separava con naturalezza, facendo trasparire una calma spaventosa nei movimenti. Non appena abbastanza vicino, afferrò la mano dell'altro con la sua, per poi portare di scatto l'arma all'altezza della sua gola, lasciandola a pochi centimetri dalla pelle. -Be'? Che succede? Devo avvicinarmi?- Nonostante tenesse letteralmente il coltello dalla parte del manico, l'altro non poté che sentirsi a disagio quando Hei fece un altro minuscolo passo in avanti, facendo toccare il filo della lama al suo collo. -Non ci posso credere. Mi hai minacciato con un'arma che non era affilata.- Dopo quell'affermazione delusa, l'avversario armato cadde a terra. I più veloci nelle vicinanze erano riusciti a vedere Hei tirargli un gancio sulla tempia, ma comunque non molto nitidamente. John, che adesso non riusciva più neanche a tremare, si limitò a tenere gli occhi sgranati e la bocca spalancata, avendo visto un solo pugno portare a terra una persona con tanta facilità. Gli altri due non diedero a Hei neanche il tempo di guardarli, essendo già scappati attraverso la folla e lasciando il loro compagno al suolo, inerme. Non appena si accorsero che lo scontro era in realtà finito ancora prima di iniziare, tutti i curiosi ripresero a camminare, evitando il corpo a terra come fosse un pozzanghera. Ignorarono anche Hei e John, come se non fosse successo nulla e la faccia che aveva quest'ultimo fosse in tutto e per tutto normale. -Stai bene?- domandò ancora il ragazzo senza la minima alterazione della voce.
-Ma tu chi diavolo sei?- gli domandò John, non sapendo più cosa pensare. -Lui aveva un coltello!-
-Poteva anche avere un carro armato, se non sa usarlo non è un problema.- spiegò facendo spallucce e ritornando al suo armadietto. -Se riesci a parlare, significa che non ci sono problemi.-
-Hei, non hai idea di chi fossero quei tre.- avvertì John chiudendo sbrigativamente l'armadietto prima di seguirlo. -Sono riserve non ufficiali della squadra di combattimento della scuola.-
L'altro alzò un sopracciglio di svariati centimetri. -E allora?-
-E allora... be'... loro... nessuno li fa arrabbiare!- sbottò in risposta. Non aveva un vero e proprio motivo, semplicemente, quando non faceva quello che gli dicevano, veniva picchiato per interminabili minuti, ma forse uno come Hei non sapeva cosa significasse trovarsi in mezzo a una rissa e non sapersi difendere. A Hei infatti non era capitato molto spesso di combattere al pieno delle sue potenzialità, essendo sempre stato quello che colpiva per primo e per ultimo. Sapeva infatti che un solo colpo bastava, come in quel caso, e molto spesso si era evitato parecchie rogne semplicemente mostrando ai suoi avversari che avrebbero perso, poi la paura avrebbe fatto il resto.
-Sai, nella succursale di Hong Kong c'era un gruppo di studenti. Dicevano che le arti marziali servivano per diventare forti. Li ho affrontati tutti insieme e li ho battuti, senza problemi. Loro probabilmente non hanno neanche un motivo per allenarsi se non il già sentito “voglio i pugni che fanno scintille”. Io mi sono allenato per tantissimi anni con un solo obiettivo.- raccontò lui sfogliando i nuovi libri di testo. John porse il viso in avanti, in attesa di un seguito a quella frase. Hei sbuffò una risata e, con il sorriso di chi racconta un evento ormai molto lontano, concluse con: -Potermi vantare e fare il saccente in questo genere di situazione.-
La giornata scolastica da quel momento in poi, si svolse normalmente, anche se Hei avrebbe descritto quelle sei ore come “i secondi più lenti e agonizzanti di tutta la sua vita”. Le lezioni, infatti, oltre a risultargli oltremodo semplici, possedevano quella caratteristica che lui sperava di incontrare il meno possibile: la costanza. Hei non era per nulla un tipo abitudinario, e di certo la prospettiva di ascoltare un gruppo di persone parlare per un ora a testa, per sei ore, cinque giorni a settimana per i successivi due anni non sembrava per nulla allettante dal suo punto di vista. Fu proprio per questo che, quando la campanella segnò la fine dell'ultima ora, senza aspettare nessuna parola da parte del professor Mortimer, l'insegnante di fisica, scattò in piedi, gettò alla rinfusa il libro nello zaino, e si lasciò guidare dalle gambe verso lo l'armadietto, dove avrebbe abbandonato lo zaino per poi correre verso la sua stanza, al 937 di Nomentan Street.
-Hei!- gli gridò John alle spalle, con evidente difficoltà nel tenere il suo stesso passo. -Volevo... solo ringraziarti... per prima...- spiegò con il fiato corto una volta raggiunto. -Non fosse... stato per te... avrebbero... continuato a... tormentarmi.-
Hei gli mise una mano sulla schiena, facendogli assumere una posizione bene eretta e, in meno di un paio di secondi, il fiatone scomparve. -Non dirlo nemmeno.- rispose lui, a disagio di fronte tante lusinghe e belle parole. -Di certo non sono il tipo da starsene con le mani in mano durante una situazione come quella, senza contare che stavo sentendo un leggero prurito ai palmi.-
“Chiediglielo.”
La voce alle sue spalle era chiara, concisa, e ben udibile alle sue orecchie nonostante il chiasso. La riconobbe immediatamente, e proprio per questo si rifiutò di girarsi. Era solo nella sua testa, anche se accettarlo gli sembrava comunque impossibile. La sentiva, non era stato lui a pensare a quella parola, né all'uomo che gliel'aveva detta. Eppure eccolo lì: nonostante fosse morto, non si faceva il benché minimo problema a dargli ordini, come se sentire la voce di una persona che non c'è fosse una cosa normale.
-Io... non sono molto bravo a farmi degli amici.- tagliò corto Hei, annuendo con lo sguardo basso, puntato sulla parete in alluminio. -Fino ad adesso ho avuto solo la mia famiglia. Mi chiedevo se tu... insomma... potessi... aiutarmi, non so...- farfugliò lui, imbarazzato.
-Certo.- rispose con fermezza John, quasi come se si fossero invertiti i ruoli. Hei chiuse di scatto l'armadietto e gli sorrise. -Torniamo a casa allora, la signorina Sheppard sarà in pensiero.-
-H...He...Hei?- Il ragazzo si voltò, alzando un sopracciglio non appena sentì pronunciare il suo nome con così tanta titubanza. Era un ragazzo del primo anno, con una giacca di pelle sopra la maglietta nera. Si accorse dell'abbigliamento solo in un secondo momento, con l'interesse attirato per la maggior parte sugli arti tremanti. In quella scuola cera troppa paura per i suoi gusti. -Devi andare in palestra. E adesso.-
-Come mai?- domandò riprendendo tutta la sicurezza che aveva accantonato discutendo con John. Non gli venne data nessuna risposta, ma l'evidente terrore nel ragazzo non si affievolì. -Io ho da fare, non va bene domani?-
Le guance del giovane vennero rigate dalle lacrime, ma non ci fu nessun singhiozzio, nessun pianto. -Ti prego... no.- gli sussurrò disperato. Hei divenne serio di colpo, con lo sguardo che scansionava il ragazzo, ormai quasi in automatico. Riusciva a sentire l'ordine che gli era stato dato “portalo in palestra” e anche la conseguenza in seguito al fallimento, molte più di quante potesse immaginare. Capì immediatamente due cose: primo, tutti quelli con una giacca di pelle appartenevano a uno di quei club, o come si chiamavano. Secondo, non gli piaceva per niente il loro modo di ragionare.
-Fammi strada.- ordinò chiudendo l'armadietto con una sola spinta infastidita. L'altro quasi trasalì, ma non perse tempo per avviarsi verso la palestra a passo spedito. -John, vieni.-
-Cosa? Perché devo venire?-
-Sei l'unico che conosco, e sai la strada per tornare a casa.- rispose Hei con semplità, che dell'appartamento della signorina Sheppard non ricordava neanche la via o il numero civico.
John non obiettò, seguendo i due fino a una delle palestre dell'istituto. Il ragazzo, dopo essersi assicurato che Hei fosse entrato, scappò via a gambe levate prima che uno dei due potesse proferire parola. Hei esaminò il luogo con la stessa rapidità che usava per farlo con le persone, vedendo quella che di fatto era una semplice palestra da pallacanestro, con tanto di spalti e panchine per le squadre. Al centro del campo era stato posizionato un rialzamento circolare poco imbottito, su cui se ne stava, a braccia incrociate, un ragazzo panciuto dai lunghi capelli neri tenuti all'indietro da in una pettinatura sudata.
-Quello sarebbe dove si svolgono i combattimenti?- domandò Hei avvicinandosi lentamente.
-Marcus Nix Phillers, molto piacere. È un cerchio con un raggio di cinque metri, e non credere che sia imbottito per attenuare le tue cadute a terra, serve solo per chi combatte scalzo.-
-Non è il mio caso.- sorrise Hei togliendosi la felpa. -Dobbiamo combattere? È solo un tuo capriccio?-
-No, di mio combattere non mi interessa. Mi hanno detto di farlo e io lo faccio, nulla più. Credo che voglia vedere cosa sei davvero in grado di fare.-
-A tal punto da terrorizzare un ragazzino?- domandò Hei, stavolta con tono più infastidito.
-È solo una recluta, lascerà il club entro la fine del mese, come fanno tutti dopo la leva. Tu,- si rivolse a John. -non gli hai spiegato niente?-
John, fin da quando era entrato nella palestra, non aveva proferito parola rimanendo con gli occhi spalancati e le braccia rigide. Ovvio, conosceva Marcus di fama, ed era riuscito a intravederlo di tanto in tanto per i corridoi, ma mai avrebbe pensato di incontrarlo di persona, né tanto meno di essere interpellato con così poco preavviso. Da quando Hei era entrato nella sua vita, le sue situazioni di shock erano aumentate parecchio. -No.- riuscì a malapena a farfugliare.
-Be', dopo vedi di farlo.- gli ordinò prima di riportare lo sguardo su Hei, che nel mentre era salito sul ring. -Conosci le regole dei combattimenti di tra scuole di arti marziali miste?-
-Ah, perché vorresti farmi credere che quella che fate voi sono arti marziali.-
Marcus sorrise, cogliendo l'ironia. -Non sono io a dare i nomi.- si giustificò lui. -Puoi fare all'avversario tutto quello che vuoi finché non agita o sbatte la mano, in quel caso è resa. Se superi la linea nera esci dal campo e perdi. Se l'avversario perde i sensi, vinci. Tutto chiaro?-
-E fammi indovinare, io dovrei batterti?-
A Marcus scappò una risata di pieni polmoni, e ci vollero alcuni abbondanti secondi prima che rispose. -Tu devi resistere contro di me per almeno tre minuti.- spiegò chinandosi a raccogliere il cellulare e mostrando il conto alla rovescia pronto per lo scopo. -Di solito non resistono per uno, ma tu sembri essere bravo. Potrei quasi divertirmi contro di te.-
-Spero lo sia anche tu.- ridacchiò Hei sgranchiendosi il collo. Lo aveva analizzato non appena visto, come faceva con chiunque altro, ma fino ad allora non aveva mai passato così tanto tempo a scansionare qualcuno. Nonostante nascondesse la sua confusione perfettamente, non aveva idea di che genere di avversario si trovasse di fronte: era grasso, e su questo non ci pioveva, ma fin troppo sicuro di sé. Era allenato, certo, ma non riusciva a capire quanto della sua mole fosse muscoli. Combatteva, non c'erano dubbi, eppure non aveva mai praticato nessuna arte marziale che Hei avesse mai visto. Neanche un giorno di pugilato, difesa personale o altro. Sembrava semplicemente un ragazzo che voleva rimettersi in forma, ma il tono con cui gli parlava suggeriva ben altro. Comunque, non avrebbe dovuto metterlo in difficoltà: avrebbe tirato un gancio destro al viso, così da metterlo fuori combattimento rapidamente e senza lasciargli il tempo di reagire. Uno di quella stazza non poteva essere veloce.
Quello che Hei non sapeva, era che Marcus si era reso conto di cosa stesse facendo l'avversario. E proprio per questo si rese conto di aver già vinto. -Il migliore.- concluse lui pigiando il pulsante rosso sullo schermo e lasciando cadere il cellulare a terra. Hei scattò tenendo il braccio indietro, posizionando l'altro a guardia delle costole, caricato per un gancio che colpì Marcus in pieno volto, con la forza aumentata dal movimento delle anche. Il braccio sinistro era sceso lungo il busto, e la schiena si era torta per aumentare l'enfasi del corpo. Ma il ragazzo non ebbe alcuna reazione, e sorrise vedendo il volto confuso dell'avversario, mentre spingeva il pugno contro quello zigomo inamovibile. Hei aveva sentito la pelle sbattere contro le sue nocche, le ossa accusare il pugno, ma sotto di esse sembrava stare un blocco di marmo. John deglutì e Hei cercò spiegazioni plausibili, fissando il volto dell'avversario deformato dal dorso delle sue dita. -Quindi sei uno di quelli veloci, eh? Certo, la precisione è ottima, l'ho quasi sentito. Ma dovrai fare di meglio. Prova con qualcosa del genere.-
Arrivò il turno di Marcus per tirare un gancio, e per un attimo sembrò sentirlo anche John a debita distanza da loro. Hei cadde sulla schiena, qualche metro più in là, con la testa che gli girava. Ci vedeva doppio. Stimò, per un istante di anormale lucidità, che un dolore del genere lo avrebbe sentito solo se, in quel punto esatto, lo avesse colpito un autobus a tutta velocità. Si portò due dita al labbro, inebriandosi del male che provava al viso. Il cuore cominciò a pompare a pieno regime e il suo volto si deformò in un sorriso soddisfatto. Quello sì che era un degno avversario.
--__--
Twittatemi che io vi twitto i miei capitoli XD: https://twitter.com/FFMaxCasagrande
Ho deciso di avere anche una pagina Facebook: https://www.facebook.com/MaxCasagrandeDreamer
Scripta blog, il sito con cui sto mandando avanti la collaborazione che ha anche l'esclusiva di “Ars Arkana” (oltre a un sacco di altre belle cose): https://www.scripta.blog/
Ma lo sapevate che ho anche Instagram?: https://www.instagram.com/max_casagrande_dreamer/
Sono sempre alla ricerca di Beta-tester. Quindi, se volete, fatevi avanti!
Se avete un po' di tempo, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo con una recensione o un commentino qui sotto, mi fa molto piacere XD. (E poi divento più bravo!)
Se vi va condividete il capitolo, così divento famoso!!! \(^o^)/ (mai vero, ma comunque apprezzo :P).
1 note · View note
Text
Squad!au - Introduzione
Ciao a tutti! sono Asia e da sei mesi a questa parte vivo esclusivamente di headcanon e au in compagnia della mia twin Milena <3
Ciao sono Milena e commenterò questo post scritto da Asia in corsivetto
La squad!au è nata dal mio impellente bisogno (la stramaggioranza delle nostre au sono nate da miei impellenti bisogni che santa Milena asseconda) (mi piace che riconosci che sono una santa) di vedere Ermal, Fabrizio ed altri magiki amiki in un contesto alla Friends, HIMYM, SKAMItalia Uni edition e quindi eccola qui.
è complicata, ragazz* miei, ed è lunga, molto lunga. Copre, più o meno, un arco temporale che va dai cinque ai dieci anni, quindi esporla tutta sarà difficile e ci vorrà tempo, so... iniziamo dai nostri protagonisti.
Andiamo in ordine di santità, quindi parliamo di Marco Montanari. Lui è basic!Macco, mamma chioccia per eccellenza, mememaster del gruppo, appassionato di musica e infatti frequenta il conservatorio ed è polistrumentista. Uno dei suoi pochi talenti (a parer suo) è proprio quello di essere in grado di suonare qualsiasi strumento gli capiti tra le mani. L’altro è quello di avere la bestemmia molto difficile, nonostante le sue origini romagnole. È infatti un fervente cattolico, cosa che gli procura diversi problemi nell’accettare di essere gay e di avere un’enorme cotta per il suo coinquilino...
...Michele Bravi! Sì, credevate che fosse Ermal e invece no, chupa! (Che poi la storia di come si trovano a essere coinquilini fa ridere sopratutto per la cosa del trasferimento lmao) Michele è il più giovane del gruppo (ma non il più pykkolo, a lui arriviamo dopo) e ne fa parte solo per il suo essere il coinquilino di Marco e benefattore di qualcuno di cui parleremo nel prossimo punto. Michele è ricco di famiglia, ma se ne frega, quindi fa sempre regali costosissimi che mettono in imbarazzo i suoi amici (tranne uno). È sarcastico af e non sopporta che gli venga rimarcato che fa parte del gruppo solo per Marco (cosa che Ermal fa spesso, perché è strunz). Michele studia architettura e i suoi altri interessi risiedono nell’arte, nell’aesthetically pleasing, nel molestare la vita a Marco, nella musica, nell’ammirare Ermal senza ammetterlo, nel consolare le sue amiche (non che sia davvero un suo interesse, è che è caritatevole), nel giocare continuamente il gioco delle coppie (shippa più che respirare. Sì, è uno di noi) e nei film Disney. Tutti i film Disney (ma Coco un po’ di più).
Arriviamo a uno dei due membri del gruppo senza il quale questo non esisterebbe (ma questa è un’altra storia): Francesco Gabbani. Scroccone di professione, riceve una paghetta settimanale di 50 euro da Michele e nessuno ha capito perché (i genitori approvano perché bravo Michele aiuta i poveri. Che poi gabbani non è povero è solo approfittatore ), questo in aggiunta al suo vivere abusivamente a casa di Marco e Michele (il che non è un problema solo perché l’appartamento è dei signori Bravi) (chiamalo appartamento è un cazzo di attico) da quando è stato sfrattato perché non pagava le bollette e le sue coinquiline non lo sopportavano più. Gabba studia “linguaggi della musica e dei media”: cosa sia non l’ha capito nemmeno lui, dato che dà un esame ogni morte di papa, perché è più divertente infastidire gli altri o dormire. Se la squad!au fosse una serie tv/sitcom, lui ne sarebbe il narratore, senza essere però il Ted Mosby della situazione, perché quella è…
…Annalisa Scarrone. Sì, lo so, vi starete chiedendo cosa ci fanno tutti questi qui. Ci sono e basta, perché siamo trash, molto trash. Annalisa è alla continua ricerca del vero amore, che puntualmente le sfugge tra le mani quando ha a che fare con l’ennesimo stronzo che la lascia senza motivo (o per fin troppi motivi, come piace rimarcare a Marco) (o per un solo motivo, come vedremo poi). Svampita, all’apparenza fredda ma in realtà molto dolce, studia fisica, nonostante fosse destinata a molto di più, ma non le piace pensarci. è la più grande nemica di se stessa, per la quale non nutre troppo amore, nel senso che dire “ha zero autostima” è un eufemismo.
Ermal, con cui vive dal primo anno di università, ha preso come missione personale quella di farle cambiare idea. E questo è un tratto della personalità di Ermal che è molto importante in questa au. È sottone, ma tipo in modo imbarazzante. E tutti posso vederlo, a livello che spesso “l’affetto” per Annalisa sembra essere l’unico tratto della sua personalità. Ermal è il nostro caro Ermal. Permaloso e - come si dice in Italy - stronzo fino all’inverosimile, abilissimo con le parole (anche fin troppo, a detta di Marco), studia lingue perché (oltre che per Annalisa) è sottone per la linguistica, ma sogna di mollare ogni due per tre, perché cosa voglia davvero dalla vita non lo sa (o cerca di ignorarlo in ogni modo, perché di secondo nome fa “Denial” ed ha la tendenza ad ignorare ciò che gli fa paura). Ed è falso, ragazz*, falsissimo (una moneta del monopoly da 17 Euro è realistica in confronto), tanto che per fargli ammettere di avere una cotta ci sono volute innumerevoli fatiche (ma questo lo vedremo nel prossimo post)
Ovviamente la cotta è nei confronti di Fabrizio Mobrici, l’attraente barista del Tre Capelli, il bar che, fin dal primo anno di università, la squad usa come ritrovo. Anche detto Santo Bizio da Pietralcina, Fabrizio porta pazienza, tanta pazienza. Specialmente con Ermal, per cui stravede e con il quale sta da poco, nel senso che sono usciti quattro volte e il loro primo appuntamento nemmeno era voluto. Il vero grande amore di Fabrizio, oltre alla chitarra, è la sua tazza de a Lazio, tazza che rischia sempre di fare una brutta fine, visto che...
Alessandra, la sua migliore amica, che lo ospita nel suo non avere un’abitazione fissa al momento, è una romanista incallita. Ed odia quella tazza tanto quanto ama Fabrizio, quindi molto. Alessandra - e cito letteralmente la ff di Milena (andatela a leggere) - vive d’ardore. Non c’è niente che faccia con pacatezza perché lei niente di pacato ha. Alessandra è il tipo di ragazza che ti rovina un’agognato limone una serata in discoteca perché un tipo continua a palpare insistentemente una ragazza che palesemente non vuole, quindi il tipo va fermato e va fermato con una gomitata tattica in faccia, gomitata che si trasforma in una rissa in cui lei urla e tira calci all’Arya e Fabrizio e Francesco le prendono. Alessandra è la mamma del gruppo e senza di lei, loro cosa sono?
Un’altra con l’istinto materno è Anna. (Anna povera figlia mia) E questa è probabilmente l’unica cosa che ha in comune con Alessandra, perché se lei è una lattina di Coca Cola agitata e pronta a scoppiare, Anna è una bottiglia d’acqua, limpida, calma, che c’è sempre quando hai bisogno di lei e ti “soddisfa”, nel senso che è lì per te e ti aiuta. Anna è maglioni enormi e caldi, Anna è una tazza di tè in autunno, quando inizia il freddo e fuori piove, Anna è il silenzio in biblioteca mentre ti perdi a leggere il tuo libro preferito o sei davvero interessato a ciò che stai studiando. Anna che sobbalza quando qualcuno ride troppo forte o si avvicina troppo. Anna che ringrazia di aver incontrato Marco quel giorno e di avere degli amici adesso, anche se con loro sembra non avere nulla da spartire. Anna che è l’essere più dolce e zuccheroso del pianeta e se la batte forse soltanto con...
Andrea. Vige. Lui non lo fa apposta, davvero. è soltanto che l’aria da bambino dell’asilo che vuoi proteggere ce l’ha attaccata in faccia, lo sapete no? Andrea è il più pykkolo del gruppo, anche se è un anno più grande di Michele (che è il suo best friend). Andrea abita con un gruppo di ragazze che lo adorano, perché in casa fa tutto lui. Ed è davvero un angelo sceso in terra, tanto che Ermal, Ermal, l’ha segnato sul telefono come “Cucciolo”. Ermal, eh. è impossibile non volere bene ad Andrea. Quindi è giusto chiudere con lui, perché così siete soft e mi faccio voler bene anch’io. Sfrutto la luce riflessa di Andrea, skst
Milena vi deve anche dire, ragazzi miei, che questi sono i nostri protagonisti /principali/. Poi ci sono gli altri, tipo la indie squad. Capeggiata da Calcutta, che sta con Alessandra e nessuno ha mai capito come e perché. E poi c’è Rinald. Rinald che è la mascotte del gruppo e quando viene a trovare Ermal scoppiano i Kasini perché è un birbante di quelli potenti. E insomma, i kasini Tm sono anche quelli che faremo per spiegare la trama. Chiamatela trama, dieci anni di vita. Io boh.
E questo è tutto, per ora. Ovviamente ci sono altri personaggi e situazioni e kose che verranno inserite poi (anche da Milena, se vorrà) e piano, perché insomma raga sta roba è oro. Me lo dico da sola, sì. è oro a tal punto che io, insicura cronica, me lo dico da sola, avete capito bene. 
Ci vediamo alla prossima, per scoprire come la squad ha fatto capitolare Erma Denial Meta
ho inserito talmente tanti foreshadowing che piango malissimo
33 notes · View notes
aniadarkred86 · 6 years
Text
Tornare a casa
Tumblr media
Fa freddo. Di quello che ti entra nelle ossa. Continua a camminare, gli piace, nonostante il clima e i brividi che lo scuotono fino alla punta dei piedi. Si stringe nel cappotto, tirando su il bavero almeno per provare a fermare quel vento gelido dietro la nuca. Manca ancora poco e poi sarà a casa, ad attenderlo un piacevole tepore e il sorriso di chi ha smesso finalmente di nascondersi. Labbra tutte per sé e per nessun altro. Labbra che ha salvato quando la neve era solo un ricordo, strappandolo da dita viola che si facevano via via più nere. Pochi passi ancora e dietro la curva lo attende casa, lo attende lui. È ancora presto per tornare fuori, lo sa, anche se ha provato a piccoli tratti, ogni giorno uno di più, ma il corpo è ancora debole e l’anima ancora a brandelli, come quei puzzle che tieni da così tanto tempo da esserti perso più di un pezzo, e puoi metterci tutta la volontà di cui disponi, ma rimarranno per sempre dei buchi, macchie nere sul tavolo che nessuno mai sarà in grado di chiudere. Lui è un po’ così, il suo grosso puzzle che con pazienza ha cercato di ricostruire, nel fisico e poi più dentro, ed ora lo aspetta a casa. È sicuro di trovarlo davanti al camino a leggere l’ennesimo libro – gli ha promesso di portargli alcuni volumi nascosti nella parte più profonda e vecchia del Ministero, alcuni tomi pesanti più del suo stesso corpo che, a detta sua, gli sono utili per una ricerca che gli frulla per la testa da parecchio come il più agitato dei Boccini –, probabilmente con una tazza di caffè in mano, nero e amaro come solo lui sa essere. La porta è a pochi passi, oltrepassa il piccolo cancello e si ferma per un attimo a guardarsi intorno, il giardino curato – dalle sue mani, ovvio, lui non sarebbe in grado neppure di badare alla più semplice delle piante – e il patio in ordine. La luce filtra dalle finestre e più in alto vede il comignolo fumare come il più incallito dei tabagisti. Sorride, per un attimo pensa al mago che è un po’ il suo segretario, quello che appena può corre da qualche parte ad accendersi una sigaretta, Nathan qualcosa, si dimentica sempre il suo cognome, forse perché all’uomo con cui divide la casa e la vita non è mai piaciuto. Non lo sa il motivo, si sono incontrati appena un paio di volte quando è venuto a portargli a casa alcuni documenti che doveva visionare con urgenza. Uno Stupido Vizio Babbano, lo chiama sempre, anche quando alla televisione vedono qualche programma, lui grugnisce e sputa quell’insulto, e il suo orgoglio tutto Grifondoro lo porta a voltarsi verso di lui, e a ricordargli tutto ciò che i maghi hanno compiuto di malvagio pur potendo far del bene con un solo colpo di bacchetta. Lui risponde sempre con un’alzata di spalle e torna poi al televisore. È sempre così tra di loro, quello strano rapporto costruito sui silenzi e piccoli gesti, emozioni da scoprire dietro agli sguardi, in quegli occhi che per anni si sono soltanto odiati, respinti e nulla più; e continuano ad essere silenzio e piccoli movimenti, strane crepe che non riescono a colmarsi. La maniglia è fredda, la temperatura è scesa così tanto in quelle ore che gli sembra di toccare un pezzo di ghiaccio, un piccolo iceberg tra le dita che gli squassa la pelle e la carne fin dentro all’animo stesso. Si è di nuovo dimenticato i guanti a casa, lo sa e sa che lo sgriderà di nuovo per la sua sbadataggine e per quanto poco si curi di se stesso, ma non lo fa apposta, anche se, inconsciamente, adora quella sua preoccupazione negli occhi, in quei frutti neri che scintillano quando corre arrabbiato verso di lui e gli afferra le mani per scaldargliele. Un gesto che ama, che sa di vita e di tenerezza. Basterebbe un incantesimo, ma non avrebbe lo stesso calore, la stessa dolcezza di dita che s’incastrano in altre dita. Stringe entrambe le mani alla maniglia gelida per renderle ancora più fredde e sorride sfacciatamente per quello stratagemma: quella sera lo cingerà ancora più a lungo e non potrà che esserne felice, tanto da fargli accelerare il cuore. «Sono tornato!» La porta si apre e il caldo lo colpisce in faccia come uno schiaffo, un colpo piacevole. Lo sente lamentarsi, ma sa che in fondo è contento di averlo tra i piedi, come dice lui, anche se è un po’ il contrario visto che la casa è la sua, ma quella correzione se la tiene per sé perché ama averlo tra i piedi. Tra le mani e tra il gelo dei suoi dolori. Avverte i suoi passi farsi più vicini, conta i secondi che lo separano da lui, come sempre quando entra a casa, il tempo che impiega a percorrere quel misero spazio che li divide, quel vuoto tra i loro corpi che vorrebbe non ci fosse mai. «Ti sei di nuovo dimenticato i guanti» alza un sopracciglio mentre lo fissa, spazientito e irritato, nemmeno fosse ancora un ragazzino nella sua aula, ma la risposta che da è solo un’alzata di spalle, come quella che spesso fa l’uomo che gli è davanti con quell’espressione che ama e che vorrebbe vedere ogni giorno, uno dopo l’altro fino alla fine della propria esistenza. «Non cambierai mai, vero?» «Perché dovrei cambiare?» «Perché io ad un certo punto non ci sarò più.» Sempre la stessa storia, le stesse parole che a lui non va di sentire, che non vuole ascoltare neppure per un tempo infinitesimale. Stanno bene insieme, lì, nella loro casa, perché devono lasciarsi? Perché buttare tutto all’aria per delle parole? Parole, vocaboli, sillabe, era tutto lì, il problema stava sempre nelle consonanti, i guai nelle vocali, erano loro a creare nient’altro che casini, perché dargli tutto quel potere? Silenzio e mani gelide da riscaldare, non poteva bastare quello? Non poteva essere sufficiente loro due e nessun altro? «So che non vuoi sentirle queste parole, non sei mai stato uno che ascolta, ma prima o poi dovrai conviverci con queste frasi, e sarà meglio per te che lo faccia prima di essere troppo tardi.» «Perché vuoi lasciarmi? Non stai bene con me?» «Lo sai che non è per questo.» «E allora cosa?» «Perché devo.» Se ne torna in cucina, lasciandolo solo, e per un attimo tutto il gelo che ha lasciato fuori dalla porta, lo colpisce in pieno, avvolgendolo come un abbraccio, come un amante frettoloso che pensa a null’altro che al proprio piacere. E quel gelo, nemmeno le fiamme calde e alte del camino potrebbero sconfiggerlo. La riunione col Primo Ministro Babbano lo aveva stancato più di quanto si sarebbe immaginato. Era un ometto fastidioso e arrogante con due occhietti che si vedevano a malapena, guizzanti in modo febbrile da una parte all’altra come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro, cosa, Harry non lo aveva mai compreso. Essere il Ministro della Magia si era rivelata un’immane seccatura, pile di scartoffie e nulla più, mentre lui voleva andare da una parte all’altra del mondo con la bacchetta in mano, sentire l’azione scorrergli nelle vene e quel senso di appagamento che si ha soltanto quando si compie qualcosa di buono. E voleva andarci con Severus. Sbuffò piuttosto sonoramente, senza provare a nascondere tutto il disagio che stava provando in quel momento. «Ti sto annoiando?» «No, scusa, sono solo stanco, è da questa mattina presto che tengo un incontro dopo l’altro,» mentì, si stava annoiando sul serio, ma non poteva confessarlo alla sua amica perché di sicuro lo avrebbe affatturato nonostante la carica che aveva, anzi, a maggior ragione, rifletté, soprattutto considerando da quanti anni la salvaguardia degli elfi domestici le stava a cuore. Hermione poggiò le pergamene sulla poltrona vuota accanto a lei, avvicinò un po’ la sua per guardarlo e parlargli meglio: «Quant’è che non dormi?» la sua voce tradiva un filo di preoccupazione. Aveva messo da parte per un attimo l’avvocato per essere di nuovo la sua amica di sempre, la compagna di tante avventure. La persona che più di tutti conosceva i suoi dolori e le sue paure. «Un po’, ma sono sempre così sommerso dal lavoro, non c’è un minuto che passa in cui non ricevo gufi, lettere, promemoria, reclami, denunce, avvistamenti, e Godric solo sa quanto vorrei stare in mezzo a qualche foresta a dare la caccia a qualche mago oscuro scampato alla guerra, ai criminali. E invece sono chiuso qui ad ammuffire, sento persino le ossa coprirsi di muffa giorno dopo giorno.» «Prenditi una pausa o esploderai.» Ma lui stava già esplodendo, e voleva soltanto andarsene a casa e stare tutto il giorno e tutta la notte con Severus a tenergli le mani, stringerle nelle sue, a scaldarlo e basta,fare l’amore senza mai stancarsi – come poteva dimenticare l’odore del suo corpo, di quella lieve traccia di sudore che lo copriva dopo l'amplesso, era un promemoria che si portava dietro per riscaldarsi, quando l’umore precipitava a livelli critici –, mentre altrove non faceva altro che sentirsi tutto l’inverno addosso, persino quand’era estate. «E poi perché in questo dannato ufficio si gela?» aggiunse veloce, guardandosi intorno, come se si fosse accorta soltanto in quel momento che non c’era nulla a riscaldare l’ambiente, il camino tristemente – per lei, per l’espressione che aveva in volto – spento mentre fuori la neve continuava a cadere e a formare mulinelli. Estrasse la bacchetta dal mantello che non si era neppure tolta e la puntò verso la pietra vuota che tempo prima aveva accolto legna e cenere, calore e pace, ma era stato tutto spazzato via, pulito come si pulisce un pavimento sporco, e il grido che gli proruppe dalla gola le gelò ulteriormente il sangue. Un no che veniva dallo stomaco e dal cuore. «Prenderai un malanno se non riscaldi un po’ qui dentro.» Voglio tornare a casa gelido, farmi avvolgere da nient’altro che il freddo, perché lui mi aspetta, il suo mantello pronto per le mie spalle, e il suo profumo a cullarmi i sogni. Questo, però, Harry non glielo disse, non poteva, non poteva svelare a nessuno il loro segreto. A nessuno. «Mi aiuta a concentrarmi,» mentì di nuovo. «Col caldo mi viene sonno e non posso permettermi di cedere alla stanchezza.» Era diventato terribilmente bravo a fingere, sarebbe stato fiero di lui se lo avesse visto. Quel pensiero lo fece sorridere, e il desiderio di tornare a casa crebbe ancora. «Torniamo alla tua proposta,» la esortò alla fine, cercando di riportare la conversazione su binari più accettabili, soprattutto dalla propria anima e dal proprio cuore. Hermione finì di spiegargli tutto, anzi, ricominciò da capo perché aveva capito perfettamente che lui non aveva ascoltato neppure una parola, ma non si era fatta scoraggiare, aveva ripreso con ancora con più foga e per un po’ contagiò persino lui. Prese le pergamene e le promise che avrebbe istituito una commissione specifica il cui unico scopo era controllare lo stato di salute di quelle piccole creaturine e il trattamento loro riservato. A quelle parole entrambi si rilassarono un po’. «Come sta Ron? Non ci vediamo da un sacco.» Ron era un Auror, uno di quelli che spesso erano fuori dal Regno Unito, e lui lo invidiava da morire. Si morse un labbro per non lasciar trasparire quel turbamento che improvvisamente lo aveva colto. «Sta bene, mi ha scritto proprio ieri che la missione in Portogallo si è conclusa nel migliore dei modi e presto sarà a casa.» «Bene, mi fa piacere.» «Che ne dici se quando torna, vieni a cena da noi? Tutti e tre, come ai vecchi tempi.» Già, i vecchi tempi… che ne era rimasto? Si era tutto sgretolato come un castello di sabbia costruito male, quelli che lui non aveva mai fatto – se mai avesse avuto un figlio, si ripromise di passare le estati a modellarne uno dopo l’altro, gli sarebbe piaciuto andarci con Severus, costruire una famiglia con lui, ma l’estate era ancora lontana e lo sarebbe stata a lungo. «Certo,» mentì ancora una volta: non aveva alcuna intenzione di andarci, per lui i vecchi tempi non c’erano più, c’era solamente casa, il tepore della sala in cui si accoccolavano a guardare la televisione mentre Severus si lamentava quando gli poggiava la testa sulla spalla come due vecchi sposi, il caldo della camera da letto con le lenzuola che per lui sarebbero potute rimanere perennemente sfatte. Hermione è andata via, sono andati via tutti e lui vuole solo andarsene, sparire da lì prima che si presenti qualcos’altro, un problema dell’ultimo minuto che non ha alcuna intenzione di sbrigare né di dargli la minima attenzione. Stavolta si mette a correre, un piede dopo l’altro anche se il corpo non è più abituato e lo avverte con il fiato corto e il sudore che gli fa appiccicare i capelli alla fronte e alla nuca, e il freddo fa il resto, trasformando quelle piccole gocce calde in cristalli che gli agitano la pelle e la carne più sotto, un brivido a seguirne un altro. Rallenta, casa è ancora lontana, ma gli piace camminare tra le strade affollate che cominciano a riempirsi dei colori e degli odori del Natale. Lui lo aspetta e questo gli basta a cancellare tutto il resto. Non è ancora riuscito a prendergli quei volumi che attende da giorni, se ne duole, ma vuole farlo di persona senza delegare qualcun altro, vuole toccarli e lasciare poi una parte di sé per farla afferrare solo e soltanto da Severus. Guarda la vetrina di un negozio e sorride, è un piccolo gesto, vuole fargli un regalo per ringraziarlo e per farsi perdonare di quella mancanza, soprattutto per quello, lo sa, e lo capirà anche il mago, lo ha sempre capito, gli ha sempre letto dentro, mentre lui per anni non ha voluto conoscere niente dietro quegli occhi neri, quello sguardo scolpito soltanto dal dolore. Gli piacerà, si dice, o almeno lo spera, è sempre imprevedibile e non è uno che ama i regali, questo lo ha capito tempo fa, suo malgrado; non li ama perché non pensa di meritarli, di non meritare niente in questa vita. Domani, costi quel che costi, andrò a prendere quei libri, lo giura a se stesso e poi apre la porta. Quando esce, è soddisfatto, del contenuto, del pacchetto e persino di ciò che ha scritto nel biglietto che gentilmente si è fatto dare. Casa, ora, è più vicina, la vede come sempre spuntare dietro la curva, il comignolo avvolto da nebbia bianca e grigia che a tratti si fa più scura, il prato curato e i fiori che cercano con forza di resistere al gelo che cala ogni notte come la scure di un boia, affilata e lucente. Mani di nuovo gelide abbassano la maniglia prima di entrare e venire ancora una volta colpiti dal calore dell’interno, quel leggero odore di fumo che se ne scappa verso il cielo. «Sono tornato!» Il suo è un po’ un mantra, gli piace pronunciare quelle due parole, non lo sa perché, non se l’è mai chiesto, aspetta soltanto i passi che vengono dopo. È una costante, quella, potrebbe regolarci un orologio, uno due tre, un secondo due e poi tre, e alla fine spunta dal corridoio e lo fissa mentre si toglie il cappotto e lo getta distratto su di una poltrona senza centrarla, facendolo puntualmente finire a terra. Severus lo guarda irritato e si avvicina per raccoglierlo: «Non sono la tua domestica. Impara un po’ di ordine, Harry Potter, perché io, ad un certo punto, non ci sarò più.» Ancora quelle parole a martellargli la testa, a pugnalarlo a ripetizione, una sillaba e la lama s’infila nella spalla, una consonante e giù nel braccio, una pausa e la gamba si squarcia, sfiorando appena l’arteria femorale. Il sangue, però, non fuoriesce, se ne va soltanto la vita. Ah, voler la morte, abbraccio di puttana, a farti soffocare da un corpo un piacere che non c’è, esce e basta, ma sei soltanto un cadavere che aspetta, involucro vuoto fino alla decomposizione. «Perché allora non te ne vai e basta?» sbotta all’improvviso, gettandosi a terra, appesantito da tutto quel dolore, da quella consapevolezza che non fa altro che procurargli sofferenza. «Perché sei tu a non lasciarmi andare.» Sparisce e basta, lasciando tutto in silenzio, anche il fuoco sembra muto e persino i suoi singhiozzi non hanno voce, lacrime e basta che gli confondono pure il legno a terra. Un ghirigoro, una macchia, c’è sempre stato?, si chiede. Anche quello? Lo sguardo convulso su ogni angolo della stanza, a terra, il soffitto, ogni lato, ogni fotografia appesa al muro, a quei quadri che nemmeno gli piacciono, ma glieli hanno regalati e non vuole far rimanere male nessuno. Si alza da terra, cercando di recuperare almeno un po’ della dignità caduta tra le assi, e se ne va per un attimo al bagno, non per reale bisogno, vuole solo guardarsi allo specchio, quel volto che non sa più a chi appartiene, se è il suo o quello di un altro a cui ha rubato il corpo. L’acqua scorre, gli piace il suono quando tocca la ceramica, è gelida, ma in quel momento niente è più freddo del proprio cuore, di quell’anima strappata a morsi che continua a portarsi dietro come un cancro ingombrante e velenoso. La tocca per un attimo e una scarica gli attraversa il corpo, la sfiora anche con l’altra mano mentre il volto è fisso allo specchio, alle occhiaie che lo fanno sembrare quell’animale di cui non ricorda il nome. Si chiama panda, ignorante, sei diventato Ministro per sbaglio? Se lo immagina dietro di sé a dirgli quelle parole, a sorridere, ma lui, quell’incarico, si sente davvero di averlo ottenuto per sbaglio, o meglio, solo per nome, pur non avendone alcuna capacità. «Panda, giusto…» Torna in salone, il fuoco ancora crepita, anzi, è più forte, segno che ha aggiunto legna di recente. Lo trova sul divano, ad aspettarlo, Severus lo guarda piegando appena la testa, con una strana espressione, forse anche lui si è accorto del panda. Sorride e si siede accanto a lui. «Hermione mi ha invitato a cena quando torna Ron. Verresti anche tu?» «Lo sai che non posso venire.» «Perché?» «Non chiederlo.» «Ma…» si alza dal divano e si allontana ancora una volta, forse va in cucina a prendersi dell’altro caffè, magari bollente, vorrebbe chiedergliene un po’ per togliersi quel nuovo gelo sceso sul proprio corpo, ma non ne ha il coraggio, aspetta solo che ritorni di fianco a lui ad occupare quel posto in cui il calore sta svanendo. E lui non vuole che nulla svanisca. È di nuovo lì, due tazze tra le dita, bollenti, un piccolo rivolo di fumo che si muove da una parte all’altra e che gli ricorda sempre l’intro di Aladdin, l’unica parte del cartone che ricorda, l’unica che ha visto prima di essere sbattuto nuovamente nel ripostiglio per aver riprodotto senza volerlo quelle volute. Un arabesco che gli carezzava il palmo della mano. «Vediamo un film?» parla prima che possa dire altro, che possa pronunciare quelle parole che odia con tutto se stesso. Non le vuole sentire e basta, ma sa che alla fine dovrà farci i conti, solo che non è ancora il momento perché lui non è pronto, non è pronto a non vederlo più per casa, il suo ordine maniacale e il profumo che ha ormai invaso le pareti. Severus annuisce e si siede nuovamente accanto a lui e quel vuoto comincia di nuovo a riempirsi e scaldarsi, sorride perché è la sensazione più bella del mondo. Gli passa la tazza di caffè e Appella la cena che aveva preparato. «Cosa vuoi vedere?» Non sa come chiedergli di guardare un cartone Disney, si sente tremendamente in imbarazzo, così lascia che gli entri nella mente come già gli era entrato nel cuore anni prima. Alza perplesso entrambe le sopracciglia, anzi, giurerebbe di vedere sconcerto sul suo volto e a fatica trattiene una risata, freddata sul nascere da quello sguardo sempre più cupo, poi, però, scorge i suoi muscoli rilassarsi e i nervi sciogliersi e, stranamente, annuire a quella richiesta, piuttosto bizzarra a proprio dire. Armeggia qualche minuto con la tv mentre Severus rimane fermo a sorseggiare il caffè, sempre piuttosto disinteressato verso tutta quella tecnologia moderna Babbana. Prima di far partire il film, si blocca, come colpito da qualcosa, poi si volta a fissarlo: «Mi dimenticavo di darti una cosa!» e si alza, eccitato come un bambino davanti ad un negozio di giocattoli, e recupera il cappotto, fruga in una tasca ed estrae un piccolo pacco, di quelli che stanno facilmente in una mano. «Prometto che domani, cascasse il mondo, vado a prendere quei libri, ma intanto, per farmi perdonare, ti ho preso questo» e gli porge il regalo. Severus sembra perplesso e piuttosto a disagio come spesso gli capita quando riceve qualcosa, ma lo prende e lo osserva con gli occhi attenti di Pozionista, caratteristica che non ha mai abbandonato e che continua a piacergli tremendamente. «Cos’è?» «Aprilo!» «D’accordo, ma non agitarti o rischi di cadere per terra.» Scioglie il fiocco argentato con estrema lentezza e cura, poi strappa la carta, con più impeto, perché così si usa, no? Sembra chiedergli e lui muove la testa, in attesa. Apre la confezione. «Non sono tipo da collane.» «Lo so, ma volevo che avessi qualcosa che ti ricordasse per sempre me.» «Harry, io mi ricorderò per sempre di te-» Ma non lo fa continuare: «Come me che ti ho sempre accanto.» «Harry…» Una lacrima fugge al suo controllo e scappa sulla pelle, scappa alla gravità che la trascina comunque in basso e a quel freddo che gliela appiccica in faccia come un fiocco di neve, uno di quelli che fa male e taglia. E poi un’altra e una ancora. «Harry…» ripete. «Prima o poi dovrai lasciarmi andare.» La Sezione Proibita della Biblioteca di Hogwarts in confronto a quella era un bicchiere d’acqua che galleggiava in mezzo all’oceano, non faceva altro che guardare a destra e sinistra e ad aprire e chiudere la bocca meravigliato. «Ministro!» un mago sottile come una bacchetta gli si avvicinò a passo svelto, allegro, gentile, con un sorriso sempre aperto sulla bocca e occhi grandi e azzurri che per un attimo gli fecero tornare alla mente il vecchio Dumbledore. «Cosa posso fare per lei?» Non avrebbe voluto chiedere, ma trovare quei libri lì dentro era come cercare un ago in un pagliaio e la pazienza non era mai stata il suo forte, soprattutto con gli anni che passavano e le incombenze che aumentavano. «Sto cercando questi volumi, può aiutarmi, signor?» non conosceva il suo nome, ma non poteva di certo conoscere ogni impiegato di ogni anfratto del Ministero. «James. James Anderson, molto piacere!» e gli strinse la mano con vigore, troppo a suo modesto parere, ma non protestò, per un po’ si lasciò contagiare da tutto quell’entusiasmo. E pensò a suo padre di cui non ricordava nulla. Gli passò un foglio che lesse avidamente. «Bene, molto bene, se vuole aspettare qui, glieli porto subito.» «No!» si accorse di aver gridato disperato solo dopo e cercò di correggere il tiro. «No, cioè… le basta solo indicarmi dove sono, e vorrei prenderli da me.» Il mago sembrava un po’ dispiaciuto, ma era pur sempre una richiesta del Ministro della Magia, così acconsentì e prese la bacchetta: «Questo piccoletto l’accompagnerà, sarà come se fossi io, Ministro.» Dal legno era scaturita una luce viola che si era prima ammassata in una forma indefinita e poi, pian piano, aveva iniziato ad assumere contorni sempre più nitidi finché non divenne un piccolo falco che si posizionò sul braccio del suo padrone. «Lo segua» lo esortò dopo che il piccolo animale aveva spiccato il volo verso un corridoio davanti a sé. «Spero ti siano utili per la tua ricerca» aveva parlato a voce alta senza essersene neppure reso conto, il falco si fermò davanti ad un lungo e alto scaffale in legno scuro, ed emise un suono strano che non gli sembrava per niente il verso dell’animale. «Scusa, parlavo da solo.» Sbatté un paio di volte le ali e poi iniziò a picchiettare un volume. «È questo?» Lo prese e poi gli altri due, lo seguivano levitando alle sue spalle, protetti da un incantesimo: non voleva che nessuno li sfiorasse, neppure per sbaglio, quel tocco sarebbe stato loro e loro soltanto. Quando tornò in ufficio, le pergamene erano aumentate e un paio di gufi aspettavano sui loro trespoli, ed Hermione era di nuovo lì. «Avevamo un appuntamento?» domandò, andando a sedersi alla sua poltrona mentre i libri erano ancora a mezz’aria vicino a lui. «No, passavo di qui» guardò stranita e curiosa i volumi; stavolta era lei a mentire, Hermione Granger non passava mai per caso, e quello sguardo significava solo che aveva un motivo ben preciso. «Il camino è ancora spento,» ma si limitò ad alzare le spalle in risposta. «Faccio portare qualcosa di caldo?» «No, grazie.» «D’accordo, allora dimmi il vero motivo per cui sei qui.» «Harry, sei sempre più pallido, hai sempre più occhiaie.» Harry non voleva dormire, se lo avesse fatto, Severus avrebbe potuto lasciarlo lì e gli sarebbero rimaste soltanto orme nella neve mentre non desiderava altro che gli fosse accanto per sempre, una presenza fissa nella sua esistenza, uno squarcio di sole nero nella sua routine grigia. Non voleva accontentarsi di sogni lontani, fasulli, voleva guardarlo e basta, sentirlo mentre gli stringeva le mani per scaldargliele. «E non dirmi che sei solo stanco, lo so benissimo che hai.» No, non lo sa nessuno, avrebbe voluto strillare, ma rimase in silenzio a scrutare gli occhi nocciola della sua amica, dell’unica che sapeva, che aveva sempre saputo. «Non puoi continuare a torturarti così, sai?» Sapeva tutto, tranne quella piccola parte che teneva solo per sé, per loro due e nessun altro perché quelli erano soltanto i loro momenti e nessuno glieli avrebbe portati via. «Sono due anni che è morto. Lascialo andare.» Come si fa a lasciar andare la persona che più si ama a questo mondo? Casa è dietro la curva, curata e pulita, la neve a coprire il prato e i fiori, persino il tetto, e il comignolo sbuffa più forte che mai. Casa è lì e lo attende. Ha i libri con sé. Apre la porta, la maniglia è sempre gelida, a terra c’è il biglietto che aveva scritto, deve essergli caduto dalla tasca quando ha preso il pacchetto, strano che Severus non lo abbia visto, si dice. «Sono tornato!» Un passo, due, tre.
10 notes · View notes
keirauor · 5 years
Text
Zoe, Gérard e patti.
Roma, 30 settembre 2016
Patti. Segreti. Corruzione.
Cos'ha che non va questa città?
Perché è in grado di corrompere la gente tanto da allontanare chi si dice di amare o a cui si è affezionati?
Perché due persone a cui io sono particolarmente legata, scopro essere invischiate in qualcosa a me non comprensibile?
Davvero, non so cosa pensare. 
Sapere prima Gérard e ora anche Zoe vincolati da un patto mi preoccupa, anzi mi spaventa, solo che Zoe per quanto enigmatica, si è fatta scappare qualche parola di più.
Da quel che ho inteso è un patto a cui ha deciso di sottostare mesi or sono, e che l'ha resa, anzi la sta ancora rendendo differente dalla Zoe che Hywel inizialmente aveva conosciuto.
Sostiene di averlo allontanato perché conscia della libertà di cui ancora l'altro dispone. 
Una libertà che appartiene anche a me, quindi?
Roma l'ha corrotta, macchiata e sporcata coi suoi orrori. Quali che siano non lo so... ma quel che è certo è che sia Gérard sia Zoe sono invischiati nella medesima storia contorta.
Davanti a quelle poche parole trapelate da Zoe, ho deciso di toccare nuovamente l'argomento con Gérard con la vana speranza di sentirlo finalmente vuotare il sacco, ma così non è stato...
Ha solo confermato l'essere nella medesima situazione di Zoe, di non poterne assolutamente parlare e che sta attendendo anche lui una metamorfosi.
«Anche io perderò piano piano sempre più me stesso e sempre più gli affetti mortali...».
Sì, affetti mortali.
Qualcuno non lo è e cammina in mezzo a noi. Ma cosa sono? Altri Demoni? 
Perché le mie concezioni su ciò che non è definibile umano spaziano tra il demoniaco e lo spiritismo, se c'è dell'altro lo ignoro purtroppo...
«Roma è una città pericolosa. Molto pericolosa. E non tutto quello che la abita può essere spiegato. O fermato.».
A detta sua non possiamo poco o nulla contro di loro e persino lui ha bisogno di protezione a dispetto del patto.
Come Zoe, vuole che io continui a godermi il mio sole ed essere protetta da lui da queste tenebre.
Solo dopo la metamorfosi, sarà nuovamente libero e sarà forse in grado di dirmi tutta la verità che però poi non dovrò rivelare a nessuno fino alla fine dei miei giorni...
Questa verità costerà anche a me la stipulazione di un patto?
Ma soprattutto riusciremo a restare uniti nonostante tutto?
Non lo so...
1 note · View note
cassius-writer · 5 years
Text
Scrivere come vivere
Tumblr media
Per anni ho scritto solo per me stesso, per dare vita ad un'anima che non riuscivo a concepire di avere dentro di me. Tutte le mie azioni, il mio essere intero , si opponevano ad essa, con così tanto ardire che a volte erano in grado di metterla a tacere. Altre volte invece, spuntava fuori e allora, mi nascondevo in casa e dovevo scrivere, scrivere fino a che l'anima che aveva preso possesso di me, non si considerava soddisfatta. In un momento successivo ho cominciato a pubblicare quanto scrivevo ed il mio desiderio, non è più stato quello di nascondere ma è nata in me la voglia di condividere...
 Quello che avete appena letto è lo spirito che ha mosso la mia passione ed il mio interesse per la scrittura. Dapprima un composto e silente battere i tasti e solo dopo, una spinta alla pubblicazione. Non ho mai scritto con la voglia di vendere le mie opere ma con quella di dare libertà alla mia mente. Mi si può contestare il fatto che io oggi venda quanto scrivo ma vi assicuro che questo, non è mai stato e non sarà mai il mio obiettivo primario. Tale premessa è necessaria poiché nell'articolo che state leggendo, parlerò di difficoltà economiche e di tutti quegli ostacoli che si incontrano nella strada che porta uno "scrittore per sé", a diventare un "produttore di storie" per gli altri. Cominciamo con il dire che tutti coloro che scrivono un libro con la finalità unica di vendere quanto mettono su carta, non sono a mio parere veri scrittori ma uomini e donne che tentano una via come tante per mettersi in mostra. Girando sul web, noto infatti che tutto ciò che hanno tra le mani è l'unica opera da loro prodotta, parlano e vogliono parlare solo ed unicamente della stessa, messaggi, post e commenti puntano in tutto e per tutto ad un pubblicità forzata del prodotto. Tradotto in termini semplici, non condividono altro che il contenuto interno all'opera in maniera limitata fermandosi il più delle volte alla sola copertina, sulla filosofia che tutto ciò che scrivono deve costituire un guadagno altrimenti è solo una perdita di tempo. Concezione che ben si sposa con il nostro ordinamento sociale votato al solo incasso. Da qui quindi spam, sconti e promozioni, richiesta di prove d'acquisto (pratica a mio avviso ancora più deprecabile in quanto altro non dimostra che la sola voglia di avere soldi e nessun amore per l'arte). Non solo, tali personalità, altro non fanno se non parlare di se stesse, utilizzare l'immagine come mezzo di vendita in una macchina che tende unicamente ad "ingannare" il lettore. In questo quadro quindi ben si colloca l'editoria a pagamento, opero una breve spiegazione per chi non conoscesse l'argomento. Recentemente, si è assisto ad un fenomeno a mio avviso ironicamente "strabiliante", del quale sono stato diretto testimone. Tutti noi, siamo convinti che i clienti degli editori, siano i lettori e che essi vogliano fornire quindi opere di qualità. Ebbene, da non troppo poco tempo questo non è più vero, questo spirito è morto nel seguente messaggio (ovviamente astratto, sintesi dei molti messaggi da me trovati): Vuoi pubblicare il tuo libro? Cerchi un editore? Inviaci il tuo manoscritto, ...... è la scelta giusta per te! Dove ai puntini sostituiamo il nome dell'editore. Che cosa accade quando mandiamo il nostro scritto? E' molto semplice, l'editore ci offre un contratto in cui noi, paghiamo per pubblicare la nostra opera, le cifre? Sono variabili, da pochi euro fino a somme ragguardevoli, il servizio che otteniamo? Un contratto nel quale l'editore si impegna a pubblicare, l'autore a comprarsi da solo un totale di copie del libro inoltre, all'autore viene corrisposto un pagamento alla vendita delle copie che varia dal 7 al 10% (quando va bene) del prezzo di copertina. A volte il pagamento avviene solo alla vendita di un numero stabilito di copie, per esempio almeno trecento. Altre volte invece, si promette la restituzione della somma investita per l'acquisto delle copie al raggiungimento di un totale di vendite. Il contratto promette interviste, pubblicità di ogni genere che in tutta onestà non fanno fede neanche lontanamente ad un vero e proprio meccanismo pubblicitario anzi, il più delle volte, sono costretto a dirlo, rappresentano un teatrino imbecille dove l'autore viene raggirato, intervistato per poi finire in una qualunque pagina internet o in un canale sconosciuto della Tv senza avere indietro la visibilità che ha pagato per avere. Altre volte, assurdo nell'assurdo, all'autore viene chiesto un pagamento per permettergli di partecipare a fiere e mostre dove dovrebbe promuovere il suo libro. Pagare per vendere, pagare per pubblicare, pagare per convertire in e-book, pagare per pubblicizzare, pagare sempre! Questo è il motto.
Quindi come notate, il cliente è l'autore, non il lettore. Questi editori, altro non fanno che prendere soldi per pubblicare opere che nemmeno valutano, opere che a volte a malapena leggono e di cui, a meno che non sia fornita direttamente dall'autore, creano una "copertina di laboratorio" con risultati spesso aberranti anche al solo guardarla. Il cliente diventa quindi l'autore che resta inconsapevole per lungo tempo sui risultati delle sue vendite, costretto a farsi pubblicità da solo senza sapere mai se la sua opera è realmente valida o meno. Costretto a vendersi da solo il libro, nonostante ci sia qualcuno che comunque guadagna del suo lavoro. Tutto fin qui potrebbe essere corretto in quanto, forzare la pubblicazione di qualcosa, dovrebbe quantomeno richiedere, a detta di molti, un qualche tipo di punizione. Ora però mettetevi nei panni di qualcuno che ha scritto uno o più libri, li ha fermi nel computer e vorrebbe farsi conoscere, cosa fare? Nessuno saprà mai se le nostre opere sono buone o meno e perché? E' semplice, per farle conoscere devi pubblicarle ma nessuno vuole pubblicare un autore sconosciuto. Se ti affidi all'editoria a pagamento, cadi in una trappola dalla quale non esci facilmente, se invii il tuo manoscritto, raramente sarà anche solo considerato, se lo stampi da solo, sei destinato a fallire, soprattutto oggi dove dovresti entrare in concorrenza con grandi case editrici, nomi altisonanti, insomma una concorrenza con la quale non puoi confrontarti con i tuoi mezzi. La strada a questo punto appare una sola ed è sempre stata la stessa: far giudicare a chi legge, non a chi vende, neanche a chi scrive ma solo ed unicamente ai lettori. Abbiamo oggi i social, uniti a piattaforme che ci permettono di pubblicare i nostri testi autonomamente e non solo, come dicono in molti, in versione e-book ma anche cartacea, dando libero sfogo all'arte di creare immagini e parole. I materiali, la qualità interna, non hanno nulla da invidiare ad una grande casa editrice, unica difficoltà? Far conoscere gli scritti, un autore deve in questo quadro trasformarsi, rappresentare una fonte continua di idee e di contenuti non a pagamento, non finalizzati a vendere ma con il solo scopo di intrattenere, di diffondere e far riflettere e anche di divertire i lettori. Da questo, a mio avviso occorre giudicare gli scritti, non da un prodotto a "scatola chiusa" ma da quanto un autore è in grado di scrivere quotidianamente, da quanto vi piacciono o meno le sue parole. Non lasciatevi guidare quindi da qualcuno ma giudicate voi stessi, se siete davanti ad una persona che vuole scrivere e che ama farlo, lo farò sempre, avrà sempre, ogni giorno parole ed idee da condividere, giudicate da questo, non dall'immagine, dalla semplice pubblicità, oggi abbiamo l'opportunità di valutare minuto per minuto, usiamola. In conclusione, voglio dire che vivere di sola scrittura è molto difficile, le percentuali di guadagno sono basse e saltuarie, anche se le piattaforme online offrono guadagni maggiori all'autore esse, restano sempre un grande dubbio. La vita di uno scrittore è quindi sempre legata alla generosità di chi legge, alla volontà di dargli credito e al suo impegno quotidiano per non deludere le aspettative.
A presto,
-Daniele Scopigno-
1 note · View note