#narrativa visiva
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divulgatoriseriali · 7 months ago
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IL PADRE FONDATORE DEI MANGA: oSAMU tEZUKA
In questo articolo parleremo di Osamu Tezuka: maestro della tradizione manga giapponese, a breve scopriremo la sua vita durante la seconda guerra mondiale e ci inoltreremo negli incredibili mondi nati dalla sua matita. La Trasformazione di un Medico in Artista: Il Percorso di Osamu Tezuka nel Mondo del Manga Nato a Toyonaka nel 1928 e cresciuto a Takarazuka, fu un rivoluzionario artista del…
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arteeofficial · 10 months ago
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L'Icarus di Matisse è un Icaro particolare
ICARO L’Icarus di Matisse è un Icaro particolare. Pur simboleggiando infatti limite insito nella natura umana, è ritratto mentre ancora volteggia tra le stelle, un attimo prima della caduta. Esso rappresenta il desiderio dell’uomo di andare oltre, e di superare le stelle, il suo limite. Questa dissonanza è rappresentata dal contrasto tra il blu del cielo, colore della speranza e dell’infinito, e…
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pier-carlo-universe · 29 days ago
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Segni oltre la finestra: Un romanzo breve di profonde connessioni femminili
Sabrina Ginocchio ci porta attraverso finestre e ponti simbolici, esplorando la vita interiore e i legami tra donne, con l'aiuto delle illustrazioni di Alessandra.
Sabrina Ginocchio ci porta attraverso finestre e ponti simbolici, esplorando la vita interiore e i legami tra donne, con l’aiuto delle illustrazioni di Alessandra. “Segni oltre la finestra” di Sabrina Ginocchio è un’opera che combina narrazione e arte visiva, creando una sinergia di parole e immagini che trasportano il lettore in un viaggio profondo e significativo. Questo libro, che può essere…
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multiverseofseries · 8 months ago
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Dune - Parte Due, un sequel imponente, tra continuità e naturale evoluzione
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Ci siamo. Finalmente
Finalmente perché è uno di quei film che sono in grado di portare il pubblico in massa nelle sale. Finalmente perché è indubbiamente il tipo di produzione di cui il cinema ha bisogno per solleticare l'immaginario degli spettatori e mostrare come e quanto il grande schermo possa fare ancora la differenza rispetto all'ormai abituale visione casalinga.
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L’attesa è stata ampiamente ripagata da quanto si è potutto vedere, perché ha contribuito nell’ accrescere l’ hype per questo secondo capitolo e anche perché arriva in un periodo meno carico di novità rispetto lo scorso autunno, quando era programmata inizialmente la sua uscita. 
Dune - Parte Due si presenta al proprio pubblico in una perfetta continuità con quanto visto nella prima parte, non solo continuando ma anche sviluppando la storia che era stata impostata, rappresentandone la naturale evoluzione sia in termini narrativi che  espressivi. Resta il Dune che molti avevano amato nella sua prima parte alzano però l'asticella sotto molti punti di vista.
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Dune - Parte Due riparte da dove ci aveva lasciato, da quella conclusione che a molti aveva lasciato l'amaro in bocca. La seconda parte riprende l'arco narrativo di Paul Atreides (Timothée Chalamet) e le fila del racconto in senso ampio e compiuto. In questa seconda parte molto più spazio è finalmente dedicato al personaggio di Zendaya che nella prima parte aveva un ruolo molto introduttivo. Ed è alla Chani di Zendaya e ai Fremen che Paul si unisce, alla ricerca della vendetta contro i cospiratori che hanno distrutto la sua famiglia e per fermare quel terribile futuro che è in grado di prevedere. Una missione che mette Paul davanti a sfide e scelte, portando avanti la componente drammatica ed epica che l'adattamento di Villeneuve aveva già introdotto nel precedente.
Denis Villeneuve ci riconduce in un mondo affascinante e costruisce il film attorno ai suoi personaggi: il suo Dune, pure essendo un grande spettacolo visivo, è anche sopratutto la loro storia che il regista asseconda sia in termini di scelte visive che per la fotografia. L'autore di Arrival e Blade Runner 2049 ci mette faccia a faccia con le scelte che deve compiere Paul per poter portare avanti la sua missione, ma sopratutto si affida per dare cuore e forza al racconto alla Chani di Zendaya, forse uno dei personaggi con il percorso più solido e strutturato. Se però lei non è una novità assoluta, lo è invece Austin Butler con il suo Feyd-Rautha Harkonnen, figura enigmatica e folle, a cui l'attore dà vita sia nello sguardo che nelle movenze, in un perfetto equilibrio su un filo sottilissimo senza scivolare in eccessi che l'avrebbero potuto rendere una macchietta.
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Peccato per le altre New Entry che hanno poco spazio, che come per Zendaya nel capitolo precedenti fanno capolino nella storia in attesa di avere maggior spazio e ulteriore importanza nel seguito. È il caso di Florence Pugh e Christopher Walken, la cui valutazione andrà ragionata sulla lunga distanza e sulla trilogia che Villeneuve ha in mente. Si tratta in ogni caso di limiti dovuti alle scelte di scrittura e costruzione narrativa su più film, piuttosto che valenza e qualità degli attori, perché tutto il cast e la relativa resa visiva è sempre a fuoco e ottimale.
C'è infatti continuità narrativa e visiva in Dune - Parte Due rispetto al suo precedessore. Il nuovo film riprende e amplifica quanto già visto con coerenza stilistica e contenutistica, un aspetto che consideriamo come uno dei suoi pregi, ed è qualcosa di non così scontato come potrebbe sembrare. Il Dune di Villeneuve si dimostra un'opera unica e potente. Nessun compromesso a cui sottostare, Villeneuve, nel dettare i tempi del suo racconto, lo porta avanti con un andamento calmo e ragionato ma allo stesso tempo potente e travolgente: non c'è scena di Dune - Parte Due che non lasci il segno, che sia un semplice dialogo o una battaglia che lascia senza fiato.
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Ci si sente travolti dalla sabbia del deserto di Arrakis, tremano le gambe quando ci si trova faccia a faccia con i possenti vermi che abitano quei luoghi, e si freme di emozione nei momenti più intensi ed emotivi. Si partecipa alla visione e ci si immerge al suo interno sostenuti dalla musica di un Hans Zimmer e da una fotografia d'impatto capace di adattarsi ai diversi momenti e luoghi del film e dei personaggi. Dune - Parte Due prende a piene mani quanto c'era già di buono nel capitolo precedente e fa quel passo in avanti che ci si aspettava e augurava. E travolge lo spettatore come una tempesta di sabbia.
Concludendo Dune Parte 2 è un sequel in perfetta continuità con quanto visto nel precedente, un secondo film che affonda a piene mani in quanto di buono e forte era già presente nel primo capitolo e lo sviluppa con coerenza. Una vera e prorpia evoluzione, più che una sola continuazione di quanto già visto, che porta alla realizzazione del percorso di alcuni personaggi, sviluppandone altri soltanto accennandoli e guarda avanti introducendo altri elementi che la possibile e probabile terza parte avrà modo di approfondire. Molto a fuoco tutto il cast, ma è la messa in scena del racconto da parte di Denis Villeneuve a lasciare davvero senza fiato, grazie alla potenza e magnificenza della costruzione audio-visiva. Un film da vedere e da ammirare.
Perché ci piace
- La coerenza con cui vengono sviluppati i discorsi introdotti nella prima parte, sia dal punto di vista narrativo che visivo.
- La potenza della messa in scena e tutto il comparto audio-visivo del film.
- Un Hans Zimmer in stato di grazia nel sostenere il racconto con la sua colonna sonora.
- La Chani di Zendaya, su cui è stato fatto un ottimo lavoro di scrittura e costruzione narrativa.
- Timothée Chalamet, Zendaya e tutto il cast.
Cosa non va
- … al netto di un paio di personaggi che sono solo introdotti e che dovremo aspettare di veder sviluppati nella possibile Parte Tre.
- Se eravate scettici dopo il primo film, è possibile che anche il secondo non vi travolga. Ma per qualità e potenza vale la pena di provare.
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firewalker · 1 year ago
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NUTRISCORE E ULTRA-PROCESSED FOOD
(Non che le due cose abbiano correlazione diretta in questo submit ma se c'è un fuoco perché non metterci due pezzi di carne? E aumentare così il rischio di tumori colon-rettali)
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Polemica sull'indicatore semaforico per la salubrità dei cibi che la Francia ha creato e proposto per l'EU, che secondo alcuni sarebbe troppo semplificatorio e non terrebbe conto di altre caratteristiche degli alimenti.
Per esempio olio di oliva o parmigiano reggiano-> alto tenore di grassi -> nutriscore D
La semplificazione visiva ha più senso di una (fallimentare?) educazione al concetto di giusta proporzione giornaliera di nutrienti?
Lo chiedo perché se il sistema è supportato da solidi basi scientifiche contrapposte all'incapacità generalizzata delle persone di comprendere la proporzionalità dei nutrienti, io sarei anche d'accordo.
No, dai... è che in realtà se Salvini smatta contro qualcosa l'esperienza mi ha insegnato che allora siamo sulla strada giusta per farne venire fuori una cosa decente, ecco.
Sono MESI che voglio farci un video/post sul mio sito, ma mi fermo sempre allo stesso punto: abbiamo cominciato a usare il nutriscore in qualche supermercato? Abbiamo cominciato a usare l'alternativa, il Nutrinform Battery (italiano)?
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Voglio dire: 'sta roba, la signora Mariuccia che non si interessa a quel che dicono i soloni e i dottoroni, l'ha mai vista? Io non ho mai notato nelle etichette queste indicazioni, né di un tipo né dell'altro.
Però a domanda rispondo, e siccome il perché o il percome il primo sia meglio del secondo (senza se e senza ma) è una questione molto complicata su cui credevo di farci un video (forse il prossimo), mi limito al quesito.
La semplificazione visiva ha più senso di una (fallimentare?) educazione al concetto di giusta proporzione giornaliera di nutrienti?
Sì, ha decisamente più senso. Se mi accorgo che l'olio è rosso, nonostante la narrativa imperante che vuole l'olio extravergine d'oliva come un toccasana capace di curare l'AIDS, allora magari - se non sto a sentire Coldi**tti o Salv**i - sarò più portato a usarne di meno, o almeno a farmi delle domande. La stessa cosa per il vino o per i prodotti ultralavorati.
La presupposta superiorità dei prodotti italici si basa su una narrativa commerciale, non scientifica. Quando dico che anche il prosciutto di P*rma è cancerogeno, la gente mi guarda male, pure se lo dico col camice addosso. E dato che questa narrativa è difficile da scardinare, ecco che il Nutriscore viene osteggiato pure da Mariuccia, che l'altro ieri ha ricevuto il volantino della Coldir**ti contro la carne coltivata e signora mia chissà cosa ci mettono dentro.
Il Nutriscore è un modo semplice e diretto per capire se di un dato alimento posso mangiarne in abbondanza o devo limitarlo, la semplicità è direttamente collegata al cambio d'azione dell'acquirente, e per questo viva la semplicità visiva, che possa trainare una educazione alimentare più approfondita, perché causa come minimo il dubbio nel consumatore.
@kon-igi
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levysoft · 2 months ago
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Il saggio del fine settimana
Perché A.I. Non ha intenzione di fare arte
Per creare un romanzo o un dipinto, un artista fa scelte che sono fondamentalmente estranee all'intelligenza artificiale.
Nel 1953, Roald Dahl pubblicò "The Great Automatic Grammatizator", un racconto su un ingegnere elettrico che segretamente desidera essere uno scrittore. Un giorno, dopo aver completato la costruzione della macchina calcolatrice più veloce del mondo, l'ingegnere si rende conto che "la grammatica inglese è governata da regole che sono quasi matematiche nella loro rigore". Costruisce una macchina per la scrittura narrativa in grado di produrre un racconto di cinque mila parole in trenta secondi; un romanzo dura quindici minuti e richiede all'operatore di manipolare maniglie e pedali, come se guidasse un'auto o suonasse un organo, per regolare i livelli di umorismo e pathos. I romanzi risultanti sono così popolari che, entro un anno, metà della narrativa pubblicata in inglese è un prodotto dell'invenzione dell'ingegnere.
C'è qualcosa nell'arte che ci fa pensare che non possa essere creata premendo un pulsante, come nell'immaginazione di Dahl? In questo momento, la finzione generata da grandi modelli linguistici come ChatGPT è terribile, ma si può immaginare che tali programmi potrebbero migliorare in futuro. Quanto potrebbero diventare bravi? Potrebbero diventare migliori degli umani nello scrivere narrativa, o fare dipinti o film, nello stesso modo in cui le calcolatrici sono migliori nell'addizione e nella sottrazione?
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L'arte è notoriamente difficile da definire, e lo sono anche le differenze tra buona arte e cattiva arte. Ma lasciatemi offrire una generalizzazione: l'arte è qualcosa che deriva dal fare molte scelte. Questo potrebbe essere più facile da spiegare se usiamo la scrittura narrativa come esempio. Quando scrivi narrativa, stai, consciamente o inconsciamente, facendo una scelta su quasi ogni parola che scrivi; per semplificare oltre, possiamo immaginare che un racconto di diecimila parole richieda qualcosa dell'ordine di diecimila scelte. Quando dai un programma di IA. generativo un prompt, stai facendo pochissime scelte; se fornisci un prompt di cento parole, hai fatto nell'ordine di cento scelte.
Se un'IA genera una storia di diecimila parole in base al tuo prompt, deve riempire tutte le scelte che non stai facendo. Ci sono diversi modi in cui può farlo. Uno è prendere una media delle scelte che altri scrittori hanno fatto, come rappresentato dal testo trovato su Internet; quella media è equivalente alle scelte meno interessanti possibili, motivo per cui il testo generato dall'IA è spesso molto insipido. Un altro è quello di istruire il programma a impegnarsi nel mimetismo di stile, emulando le scelte fatte da uno scrittore specifico, che produce una storia altamente derivata. In nessuno dei due casi sta creando arte interessante.
Penso che lo stesso principio di base si applichi all'arte visiva, anche se è più difficile quantificare le scelte che un pittore potrebbe fare. Dipinti reali portano il segno di un numero enorme di decisioni. In confronto, una persona che utilizza un programma text-to-image likedall-e inserisce un prompt come "Un cavaliere in un'armatura combatte un drago surafuoco" e lascia che il programma faccia il resto. (La versione più recente di dall-e accetta suggerimenti fino a quattromila caratteri, centinaia di parole, ma non abbastanza per descrivere ogni dettaglio di una scena.) La maggior parte delle scelte nell'immagine risultante devono essere prese in prestito da dipinti simili trovati online; l'immagine potrebbe essere resa in modo squisito, ma la persona che entra nel prompt non può rivendicare il credito per questo.
Alcuni commentatori immaginano che i generatori di immagini influenzeranno la cultura visiva tanto quanto l'avvento della fotografia una volta. Anche se questo potrebbe sembrare superficialmente plausibile, l'idea che la fotografia sia simile all'IA generativa merita un esame più attento. Quando la fotografia è stata sviluppata per la prima volta, sospetto che non sembrasse un mezzo artistico perché non era evidente che ci fossero molte scelte da fare; basta impostare la fotocamera e avviare l'esposizione. Ma nel corso del tempo le persone si sono rese conto che c'era un gran numero di cose che si potevano fare con le fotocamere, e l'arte sta nelle molte scelte che un fotografo fa. Potrebbe non essere sempre facile articolare quali sono le scelte, ma quando confronti le foto di un dilettante con quelle di un professionista, puoi vedere la differenza. Quindi la domanda diventa: c'è un'opportunità simile per fare un gran numero di scelte utilizzando un generatore di testo-immagine? Penso che la risposta sia no. Un artista, sia che lavori digitalmente che con la vernice, prende implicitamente molte più decisioni durante il processo di realizzazione di un dipinto di quanto si adatterebbe a un prompt di testo di poche centinaia di parole.
Possiamo immaginare un generatore di testo-immagine che, nel corso di molte sessioni, ti consente di inserire decine di migliaia di parole nella sua casella di testo per consentire un controllo estremamente fine sull'immagine che stai producendo; questo sarebbe qualcosa di analogo a Photoshop con un'interfaccia puramente testuale. Direi che una persona potrebbe usare un programma del genere e merita comunque di essere chiamata artista. Il regista Bennett Miller ha usato dall-e 2 per generare alcune immagini molto sorprendenti che sono state esposte nella galleria gagosiana; per crearle, ha creato suggerimenti di testo dettagliati e poi ha incaricato dall-e di rivedere e manipolare le immagini generate più e più volte. Ha generato più di centomila immagini per arrivare alle venti immagini nella mostra. Ma ha detto che non è stato in grado di ottenere risultati comparabili sulle versioni successive di dall-e. Sospetto che questo possa essere perché Miller stava usando dall-e per qualcosa che non era destinato a fare; è come se avesse hackerato Microsoft Paint per farlo comportare come Photoshop, ma non appena è stata rilasciata una nuova versione di Paint, i suoi hack hanno smesso di funzionare. OpenAI probabilmente non sta cercando di costruire un prodotto per servire utenti come Miller, perché un prodotto che richiede a un utente di lavorare per mesi per creare un'immagine non è attraente per un vasto pubblico. L'azienda vuole offrire un prodotto che generi immagini con poco sforzo.
È più difficile immaginare un programma che, in molte sessioni, ti aiuti a scrivere un buon romanzo. Questo ipotetico programma di scrittura potrebbe richiedere che tu inserisca centomila parole di suggerimenti in modo che generi centomila parole completamente diverse che costituiscono il romanzo che stai immaginando. Non mi è chiaro come sarebbe un programma del genere. Teoricamente, se esistesse un tale programma, l'utente potrebbe forse meritare di essere chiamato l'autore. Ma, ancora una volta, non credo che aziende come OpenAI vogliano creare versioni di ChatGPT che richiedano tanto sforzo da parte degli utenti quanto scrivere un romanzo da zero. Il punto di forza dell'IA generativa è che questi programmi generano molto di più di quanto tu ci metti, ed è proprio questo che impedisce loro di essere strumenti efficaci per gli artisti.
Le aziende che promuovono programmi di IA generativa affermano che scateneranno la creatività. In sostanza, stanno dicendo che l'arte può essere tutta ispirazione e non sudore, ma queste cose non possono essere facilmente separate. Non sto dicendo che l'arte deve comportare noia. Quello che sto dicendo è che l'arte richiede di fare scelte su ogni scala; le innumerevoli scelte su piccola scala fatte durante l'implementazione sono altrettanto importanti per il prodotto finale quanto le poche scelte su larga scala fatte durante la concezione. È un errore equiparare "su larga scala" con "importante" quando si tratta delle scelte fatte quando si crea l'arte; l'interrelazione tra la grande scala e la piccola scala è dove si trova l'arte.
Credere che l'ispirazione superi tutto il resto è, sospetto, un segno che qualcuno non ha familiarità con il mezzo. Sostengo che questo è vero anche se il proprio obiettivo è quello di creare intrattenimento piuttosto che alta arte. La gente spesso sottovaluta lo sforzo necessario per intrattenere; un romanzo thriller potrebbe non essere all'altezza dell'ideale di Kafka di un libro - un "ascia per il mare ghiacciato dentro di noi" - ma può ancora essere finemente realizzato come un orologio svizzero. E un thriller efficace è più della sua premessa o della sua trama. Dubito che potresti sostituire ogni frase in un thriller con una che sia semanticamente equivalente e che il romanzo risultante sia altrettanto divertente. Ciò significa che le sue frasi, e le scelte su piccola scala che rappresentano, aiutano a determinare l'efficacia del thriller.
Molti romanzieri hanno avuto l'esperienza di essere avvicinati da qualcuno convinto di avere una grande idea per un romanzo, che sono disposti a condividere in cambio di una divisione cinquanta-cinquanta dei proventi. Una persona del genere rivela inavvertitamente che pensa che formulare frasi sia un fastidio piuttosto che una parte fondamentale della narrazione in prosa. L'IA generativa fa appello a persone che pensano di potersi esprimere in un mezzo senza effettivamente lavorare in quel mezzo. Ma i creatori di romanzi, dipinti e film tradizionali sono attratti da quelle forme d'arte perché vedono il potenziale espressivo unico che ogni mezzo offre. È il loro desiderio di sfruttare appieno quelle potenzialità che rende il loro lavoro soddisfacente, sia come intrattenimento che come arte.
Naturalmente, la maggior parte degli scritti, che si tratti di articoli o relazioni o e-mail, non si aspetta che incarnino migliaia di scelte. In questi casi, c'è qualche danno nell'automatizzare il compito? Permettetemi di offrire un'altra generalizzazione: qualsiasi scrittura che meriti la vostra attenzione come lettore è il risultato dello sforzo speso dalla persona che l'ha scritta. Lo sforzo durante il processo di scrittura non garantisce che il prodotto finale valga la pena leggere, ma un lavoro utile non può essere fatto senza di esso. Il tipo di attenzione che presti quando leggi un'e-mail personale è diverso dal tipo che paghi quando leggi un rapporto aziendale, ma in entrambi i casi è giustificato solo quando lo scrittore ci pensa.
Recentemente, Google ha mandato in onda uno spot durante le Olimpiadi di Parigi per Gemini, il suo concorrente del GPT-4 di OpenAI. L'annuncio mostra un padre che usa Gemini per comporre una lettera di fan, che sua figlia invierà a un atleta olimpico che la ispira. Google ha ritirato lo spot dopo un ampio contraccolpo da parte degli spettatori; un professore di media lo ha definito "uno degli spot più inquietanti che abbia mai visto". È notevole che le persone abbiano reagito in questo modo, anche se la creatività artistica non era l'attributo soppiantato. Nessuno si aspetta che la lettera di un fan di un bambino a un atleta sia straordinaria; se la giovane ragazza avesse scritto la lettera da sola, probabilmente sarebbe stata indistinguibile da innumerevoli altre. Il significato della lettera del fan di un bambino, sia per il bambino che la scrive che per l'atleta che la riceve, deriva dal suo essere sincero piuttosto che dal suo essere eloquente.
Molti di noi hanno inviato biglietti di auguri acquistati in negozio, sapendo che sarà chiaro al destinatario che non abbiamo composto le parole da soli. Non copiamo le parole di una carta Hallmark nella nostra calligrafia, perché sarebbe disonesto. Il programmatore Simon Willison ha descritto la formazione per grandi modelli linguistici come "riciclaggio di denaro per dati protetti da copyright", che trovo un modo utile per pensare al fascino dei programmi di generative A.I.: ti consentono di impegnarti in qualcosa come il plagio, ma non c'è colpa associata ad esso perché non è chiaro nemmeno a te che stai copiando.
Alcuni hanno affermato che i grandi modelli linguistici non stanno riciclando i testi su cui sono addestrati, ma piuttosto, stanno imparando da loro, allo stesso modo in cui gli scrittori umani imparano dai libri che hanno letto. Ma un grande modello linguistico non è uno scrittore; non è nemmeno un utente del linguaggio. Il linguaggio è, per definizione, un sistema di comunicazione e richiede un'intenzione per comunicare. Il completamento automatico del tuo telefono può offrire suggerimenti buoni o cattivi, ma in nessuno dei due casi sta cercando di dire qualcosa a te o alla persona a cui stai scrivendo. Il fatto che ChatGPT possa generare frasi coerenti ci invita a immaginare che comprenda il linguaggio in un modo che il completamento automatico del tuo telefono non fa, ma non ha più intenzione di comunicare.
È molto facile fare in modo che ChatGPT emetta una serie di parole come "Sono felice di vederti". Ci sono molte cose che non capiamo su come funzionano i modelli linguistici di grandi dimensioni, ma una cosa di cui possiamo essere sicuri è che ChatGPT non è felice di vederti. Un cane può comunicare che è felice di vederti, e così può fare un bambino prelinguistico, anche se entrambi non hanno la capacità di usare le parole. ChatGPT non sente nulla e non desidera nulla, e questa mancanza di intenzione è il motivo per cui ChatGPT non sta effettivamente usando il linguaggio. Ciò che rende le parole "Sono felice di vederti" un'espressione linguistica non è che la sequenza di gettoni di testo di cui è composta sia ben formata; ciò che la rende un'espressione linguistica è l'intenzione di comunicare qualcosa.
Poiché il linguaggio ci arriva così facilmente, è facile dimenticare che si trova in cima a queste altre esperienze di sentimento soggettivo e di voler comunicare quel sentimento. Siamo tentati di proiettare quelle esperienze su un grande modello linguistico quando emette frasi coerenti, ma farlo significa cadere preda della mimetica; è lo stesso fenomeno di quando le farfalle sviluppano grandi macchie scure sulle loro ali che possono ingannare gli uccelli nel pensare di essere predatori con grandi occhi. C'è un contesto in cui le macchie scure sono sufficienti; gli uccelli hanno meno probabilità di mangiare una farfalla che le ha, e alla farfalla non importa davvero perché non viene mangiata, purché arrivi a vivere. Ma c'è una grande differenza tra una farfalla e un predatore che rappresenta una minaccia per un uccello.
Una persona che utilizza l'IA generativa per aiutarla a scrivere potrebbe affermare di trarre ispirazione dai testi su cui è stato addestrato il modello, ma sosterrei ancora una volta che questo è diverso da ciò che di solito intendiamo quando diciamo che uno scrittore trae ispirazione da un altro. Considera una studentessa universitaria che consegna un documento che consiste esclusivamente in una citazione di cinque pagine da un libro, affermando che questa citazione trasmette esattamente ciò che voleva dire, meglio di quanto potesse dirlo lei stessa. Anche se la studentessa è completamente sincera con l'istruttore su ciò che ha fatto, non è corretto dire che sta traendo ispirazione dal libro che sta citando. Il fatto che un grande modello linguistico possa riformulare la citazione abbastanza da non identificare la fonte non cambia la natura fondamentale di ciò che sta accadendo.
Come la linguista Emily M. Bender ha notato che gli insegnanti non chiedono agli studenti di scrivere saggi perché il mondo ha bisogno di più saggi degli studenti. Il punto di scrivere saggi è rafforzare le capacità di pensiero critico degli studenti; allo stesso modo in cui sollevare pesi è utile indipendentemente dallo sport di cui pratica un atleta, scrivere saggi sviluppa le abilità necessarie per qualsiasi lavoro che uno studente universitario alla fine otterrà. Usare ChatGPT per completare i compiti è come portare un carrello elevatore nella sala pesi; non migliorerai mai la tua forma fisica cognitiva in questo modo.
Non tutta la scrittura deve essere creativa, o sincera, o anche particolarmente buona; a volte ha semplicemente bisogno di esistere. Tale scrittura potrebbe supportare altri obiettivi, come attirare visualizzazioni per la pubblicità o soddisfare i requisiti burocratici. Quando le persone sono tenute a produrre tale testo, difficilmente possiamo biasimarle per aver utilizzato qualsiasi strumento disponibile per accelerare il processo. Ma il mondo sta meglio con più documenti che hanno avuto uno sforzo minimo speso su di loro? Sarebbe irrealistico affermare che se ci rifiutiamo di utilizzare modelli linguistici di grandi dimensioni, allora i requisiti per creare testo di bassa qualità scompariranno. Tuttavia, penso che sia inevitabile che più usiamo grandi modelli linguistici per soddisfare tali requisiti, maggiori saranno i requisiti. Stiamo entrando in un'era in cui qualcuno potrebbe usare un grande modello di lingua per generare un documento da un elenco puntato e inviarlo a una persona che utilizzerà un grande modello di lingua per condensare quel documento in un elenco puntato. Qualcuno può seriamente sostenere che questo è un miglioramento?
Non è impossibile che un giorno avremo programmi per computer che possono fare tutto ciò che un essere umano può fare, ma, contrariamente alle affermazioni delle aziende che promuovono l'IA, non è qualcosa che vedremo nei prossimi anni. Anche in domini che non hanno assolutamente nulla a che fare con la creatività, gli attuali programmi di IA. hanno profonde limitazioni che ci danno ragioni legittime per chiederci se meritano di essere chiamati intelligenti.
L'informatico François Chollet ha proposto la seguente distinzione: l'abilità è quanto bene ti esibisci in un compito, mentre l'intelligenza è la capacità di acquisire nuove abilità. Penso che questo rifletta abbastanza bene le nostre intuizioni sugli esseri umani. La maggior parte delle persone può imparare una nuova abilità con sufficiente pratica, ma più velocemente la persona raccoglie l'abilità, più intelligente pensiamo che sia. La cosa interessante di questa definizione è che, a differenza dei test I.Q., è applicabile anche alle entità non umane; quando un cane impara rapidamente un nuovo trucco, lo consideriamo un segno di intelligenza.
Nel 2019, i ricercatori hanno condotto un esperimento in cui hanno insegnato ai ratti come guidare. Hanno messo i ratti in piccoli contenitori di plastica con tre barre di filo di rame; quando i topi mettono le zampe su una di queste barre, il contenitore andrebbe in avanti, o girava a sinistra o girava a destra. I topi potevano vedere un piatto di cibo dall'altra parte della stanza e cercarono di far andare i loro veicoli verso di esso. I ricercatori hanno addestrato i ratti per cinque minuti alla volta e, dopo ventiquattro sessioni di pratica, i ratti erano diventati abili nella guida. Ventiquattro prove sono state sufficienti per padroneggiare un compito che nessun topo aveva mai incontrato prima nella storia evolutiva della specie. Penso che sia una buona dimostrazione di intelligenza.
Ora considera gli attuali programmi di I.I. che sono ampiamente acclamati per le loro prestazioni. AlphaZero, un programma sviluppato da DeepMind di Google, gioca a scacchi meglio di qualsiasi giocatore umano, ma durante il suo allenamento ha giocato quarantaquattro milioni di partite, molto più di quanto qualsiasi essere umano possa giocare in una vita. Per padroneggiare un nuovo gioco, dovrà sottoporsi a una quantità altrettanto enorme di allenamento. Secondo la definizione di Chollet, programmi come AlphaZero sono altamente qualificati, ma non sono particolarmente intelligenti, perché non sono efficienti nell'acquisire nuove competenze. Attualmente è impossibile scrivere un programma per computer in grado di imparare anche un semplice compito in sole ventiquattro prove, se al programmatore non vengono fornite informazioni sul compito in anticipo.
Le auto a guida autonoma addestrate su milioni di miglia di guida possono ancora schiantarsi contro un camion con rimorchio rovesciato, perché tali cose non si trovano comunemente nei loro dati di addestramento, mentre gli umani che prendono la loro prima lezione di guida sapranno fermarsi. Più che la nostra capacità di risolvere equazioni algebriche, la nostra capacità di far fronte a situazioni non familiari è una parte fondamentale del motivo per cui consideriamo gli esseri umani intelligenti. I computer non saranno in grado di sostituire gli esseri umani fino a quando non acquisiranno quel tipo di competenza, e questo è ancora molto lontano; per il momento, stiamo solo cercando lavori che possano essere fatti con il completamento automatico turbocompresso.
Nonostante anni di clamore, la capacità dell'IA generativa di aumentare drasticamente la produttività economica rimane teorica. (All'inizio di quest'anno, Goldman Sachs ha pubblicato un rapporto intitolato "Gen AI: Too Much Spend, Too Little Benefit?") Il compito in cui l'IA generativa ha avuto più successo è abbassare le nostre aspettative, sia delle cose che leggiamo che di noi stessi quando scriviamo qualcosa per gli altri da leggere. È una tecnologia fondamentalmente disumanizzante perché ci tratta come meno di ciò che siamo: creatori e apprenditori di significato. Riduce la quantità di intenzione nel mondo.
Alcuni individui hanno difeso grandi modelli linguistici dicendo che la maggior parte di ciò che gli esseri umani dicono o scrivono non è particolarmente originale. È vero, ma è anche irrilevante. Quando qualcuno ti dice "Mi dispiace", non importa che altre persone abbiano detto scusa in passato; non importa che "Mi dispiace" sia una stringa di testo statisticamente insignificante. Se qualcuno è sincero, le sue scuse sono preziose e significative, anche se le scuse sono state precedentemente pronunciate. Allo stesso modo, quando dici a qualcuno che sei felice di vederlo, stai dicendo qualcosa di significativo, anche se manca di novità.
Qualcosa di simile vale per l'arte. Che tu stia creando un romanzo o un dipinto o un film, sei impegnato in un atto di comunicazione tra te e il tuo pubblico. Ciò che crei non deve essere completamente diverso da ogni opera d'arte precedente nella storia umana per essere prezioso; il fatto che tu sia quello che lo dice, il fatto che derivi dalla tua esperienza di vita unica e arrivi in un momento particolare nella vita di chiunque stia vedendo il tuo lavoro, è ciò che lo rende nuovo. Siamo tutti prodotti di ciò che ci è venuto prima, ma è vivendo le nostre vite in interazione con gli altri che portiamo significato nel mondo. Questo è qualcosa che un algoritmo di completamento automatico non può mai fare, e non lasciare che nessuno ti dica il contrario. ♦
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carmenvicinanza · 3 months ago
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Jenny Holzer e la Word Art
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Jenny Holzer, artista annoverata tra le 100 persone più influenti del 2024 per la rivista Time, è una importante esponente dell’arte neo-concettuale e pubblica.
Appartiene al ramo femminista di una generazione di artisti e artiste emersa intorno al 1980, alla ricerca di nuovi modi espressivi e narrativi.
Tra le sue opere più suggestive si ricordano la gigantesca scritta luminosa a Times Square Protect Me From What I Want e la scritta monumentale sopra il famoso casino Caesar’s Palace di Las Vegas, Money Creates Taste.
L’obiettivo principale del suo lavoro è la trasmissione di parole e idee negli spazi pubblici.
La sua arte è politica e tratta temi come violenza, oppressione, sessismo, potere, guerra e morte, provando a fare luce su vicende e argomenti che si vogliono silenziare o oscurare.
È stata un’esponente del Colab, Collaborative Projects, gruppo artistico nato alla fine degli anni Settanta, che propugnava una forma di attivismo culturale collettivo.
Le parole sono alla base dei suoi atti creativi. I suoi testi brevi sono presentati su tabelloni elettronici, stampati su poster e magliette, incisi su panchine di pietra, pavimenti di marmo e sarcofagi di granito, fusi in targhe di bronzo o d’argento. Le sue scritte sono state proiettate su facciate di edifici, versanti montuosi e superfici acquee.
Nata a Gallipolis, Ohio, il 29 luglio 1950, ha studiato arte alla Duke University di Durham, poi pittura, incisione e disegno all’Università di Chicago prima di laurearsi alla Ohio University. Trasferitasi a New York nel 1976, si è unita al programma di studi indipendenti del Whitney Museum. Lì ha iniziato a lavorare con le parole e il linguaggio, rendendoli parte delle sue opere.
La sua prima opera narrativa è stata Truism (1977-79), brevi enunciati su quotidianità, potere, guerra, giustizia, rapporti umani, stampati su fogli distribuiti e affissi in forma anonima per la città in un contesto di disordine finanziario e degrado. Gli anni di Reagan che seguirono hanno dato origine a un lavoro critico e analitico rivolto al potere istituzionale.
Ha iniziato a inserire i suoi testi su cartelli elettronici all’inizio degli anni Ottanta, che spesso scorrevano troppo velocemente, creando un sovraccarico sensoriale.
Nel giugno del 1980 ha partecipato, col Colab, al Times Square Show, maestosa mostra collettiva a cielo aperto della durata di un’intero mese. Un vero e proprio forum per lo scambio di idee e un catalizzatore per esplorare nuove direzioni politico-artistiche.
Le sue opere e i suoi progetti sono stati esposti in sedi prestigiose di tutto il mondo come il Guggenheim, il MoMA e il Whitney di New York; il Centre Pompidou di Parigi; l’Oslo Museum of Contemporary Art e la Neue Nationalgalerie di Berlino.
Nel 1990 ha rappresentato gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia e vinto il Leone d’Oro per l’installazione Mother and Child.
Tre anni dopo, ha pubblicato la discussa serie Lustmord, per denunciare  stupri e omicidi durante la guerra in Bosnia.
Dal 2010 il suo lavoro si è concentrato sui documenti governativi riguardanti l’Iraq e il Medio Oriente. Una grande opera al LED ha presentato estratti dei verbali degli interrogatori dei soldati americani accusati di aver commesso violazioni dei diritti umani e crimini di guerra durante la guerra in Iraq.
Insignita di numerosi premi internazionali, nel 1996 ha ricevuto il premio Crystal del World Economic Forum, nel 2000 il Berlin Prize Fellowship, il National Art Awards nel 2011 e l’Innovator Awards nel 2022.
Nel 1995 ha realizzato il suo primo progetto interattivo per il web, rendendo modificabili alcuni dei suoi più noti Truism.
L’approdo più recente della sua ricerca artistica è costituito dalle proiezioni allo xeno, presentate per la prima volta a Firenze nel 1996. In queste opere le frasi luminose formano lunghi testi che scorrono sulle superfici urbane, assumendo inediti connotati di grande suggestione visiva.
Nel 2018, un estratto dell’opera Inflammatory Essays (1979-1982) è stato stampato su una carta cucita sul retro del vestito che la cantautrice neozelandese Lorde ha indossato ai Grammy. Il testo diceva: “Rallegrati! I nostri tempi sono intollerabili. Coraggio, perché il peggio è un presagio del meglio. Solo circostanze terribili possono accelerare il rovesciamento degli oppressori. I vecchi e i corrotti devono essere distrutti prima che i giusti possano trionfare. La contraddizione sarà accentuata. La resa dei conti sarà accelerata dalla messa in scena dei disordini seminali. L’apocalisse fiorirà”.
Fino alla fine di settembre 2024, al Guggenheim Museum è possibile visitare la sua personale Light Line, rivisitazione della storica opera d’arte del 1989 installata nello stesso museo. L’insegna LED, che lampeggia mentre cambia colore, carattere ed effetti speciali, era stata. ai tempi, la più lunga del mondo (163 metri) ed è considerata un capolavoro della word art.
Nel corso degli anni, il suo linguaggio è cambiato seguendo il corso del tempo e della storia, facendosi più politico, più cupo, più intenso e in altri casi più intimo e personale. Da I Cannot Breath, a Destroy Superabundance fino a I Smell You On My Skin.
La sua arte, provocatoria, di forte impatto e altamente comunicativa, l’ha resa una delle artiste più importanti della post-modernità.
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hildegard-sonnenschein · 4 months ago
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Il Mondo Oscuro e Emozionante di "Neon Genesis Evangelion": Un'Analisi del Manga
Benvenuti nel mio blog dedicato al complesso e affascinante universo di "Neon Genesis Evangelion", un manga e serie animata che ha rivoluzionato il panorama dei media giapponesi negli anni '90. Questo lavoro di Yoshiyuki Sadamoto, basato sull'opera originale di Hideaki Anno, è una profonda riflessione sulla psiche umana, la religione, e la relazione tra umani e macchine.
Il Contesto e la Nascita di Evangelion
"Neon Genesis Evangelion" è ambientato in un futuro post-apocalittico dove l'umanità è costantemente minacciata dagli "Angeli", giganteschi esseri extraterrestri che fanno irruzione sulla Terra. Per difendersi, l'umanità ha sviluppato i mecha chiamati Evangelion, pilotati solo dai giovani selezionati. Il manga, così come la serie animata, esplora le dinamiche tra questi giovani piloti, i loro traumi, e la loro lotta contro i poteri soprannaturali.
Guarda il collegamento:https://www.mangaconigli.com/
Il Protagonista: Shinji Ikari
Al centro della storia c'è Shinji Ikari, un ragazzo introverso e indeciso che viene forzato a diventare il pilota dell'Evangelion Unit-01. La sua relazione con l'Evangelion, così come con i suoi compagni piloti, diventa il fulcro di molte delle tematiche esplorate nella storia: la sofferenza, la responsabilità, e la ricerca di un senso nella vita.
I Temi Profondi
"Neon Genesis Evangelion" è molto più di un semplice manga di mecha. Esso affronta temi complessi come la depressione, l'angoscia esistenziale, e la ricerca di un'identità personale. Il manga esamina la relazione tra umani e macchine, chiedendosi se l'umanità può trovare redenzione attraverso la tecnologia o se, al contrario, questa la condanna all'alienazione.
Gli Angeli e la Battaglia Cosmica
Gli Angeli, oltre a essere un minaccia fisica, rappresentano anche simboli di difficoltà interiori che gli umani devono affrontare. Ogni battaglia contro un Angelo è un'opportunità per i personaggi di esplorare e risolvere i loro problemi psicologici. Questo aspetto rende il manga profondo e riflessivo, oltre che azionato.
L'Arte e la Stile del Manga
Yoshiyuki Sadamoto ha creato un mondo visivamente suggestivo e ricco di dettagli. Il manga è caratterizzato da linee fluide e dinamiche, che rendono ogni scena un'esperienza visiva unica. Inoltre, l'uso del colori e delle sfumature contribuisce a creare un'atmosfera oppressa e intensa, perfetta per la narrativa.
L'Impatto e la Ricezione
"Neon Genesis Evangelion" ha avuto un enorme impatto sulla cultura pop giapponese e internazionale. Il manga e la serie animata sono stati oggetto di studio accademico, hanno ispirato numerosi spin-off, e hanno influenzato generazioni di creatori nel campo dell'animazione e del manga.
Conclusioni
"Neon Genesis Evangelion" è un manga che non si può dimenticare facilmente. Oltre ad essere un'esperienza visiva e narrativa straordinaria, esso offre una profonda riflessione sulla vita, la morte, e la nostra relazione con il mondo. Se siete ancora in dubbio, vi consiglio vivamente di immergervi in questo universo oscuro ed emozionante. L'avventura vi aspetta!
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antennaweb · 4 months ago
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the-nabiha · 7 months ago
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Lancio Ufficiale di The Million Dollar Selfie: Un Nuovo Orizzonte per la Creatività AI-Driven Siamo entusiasti di annunciare il lancio di The Million Dollar Selfie, un innovativo blog che celebra l’intersezione tra creatività umana e intelligenza artificiale. Questo sito unico nel suo genere offre agli utenti la possibilità di trasformare idee e descrizioni in opere d’arte personalizzate: i selfie. Un Selfie Che Vale un Milione: Il nome del blog, The Million Dollar Selfie, non è solo un richiamo al famoso “The Million Dollar Homepage”, ma evoca anche l’idea di un valore inestimabile. Ogni selfie generato dalla AI racconta una storia unica, fornendo una narrativa visiva che va oltre la semplice immagine.
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cinquecolonnemagazine · 8 months ago
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Roland Barthes: il saggista rivoluzionario simbolo del Novecento
Roland Barthes, celebre intellettuale francese del XX secolo, è stato un saggista tra i più influenti e innovativi del suo tempo. Nato a Cherbourg nel 1915, Barthes ha trascorso gran parte della sua vita a Parigi, dove ha sviluppato una straordinaria carriera accademica e letteraria che ha lasciato un'impronta indelebile nel panorama culturale mondiale. Le letture giovanili del saggista Barthes A 19 anni, un forte attacco di emottisi lo costringe a letto per lungo tempo durante il quale legge autori quali Balzac, Mauriac, Giraudoux e numerosi Arsène Lupin. Durante il liceo aveva già avuto modo di apprezzare Mallarmé, Valéry, Jaurès, e soprattutto Proust che diventerà il suo autore di riferimento. Le sue numerose permanenze nel sanatorio saranno sempre occasione di studio fondamentali per la sua carriera. Dopo aver conseguito una laurea in letteratura e filosofia all'Università di Parigi, Barthes ha intrapreso una carriera accademica che lo ha portato a insegnare in diverse istituzioni prestigiose, tra cui l'École des hautes études en sciences sociales e il Collège de France. Durante la sua vita, ha anche lavorato come critico letterario, saggista e semiologo, contribuendo in modo significativo alla teoria letteraria e alla critica culturale. Barthes saggista: il "grado zero" Barthes è stato autore di importanti saggi critici sulla narrativa contemporanea. Ha indagato il rapporto esistente tra la lingua nella sua doppia manifestazione: patrimonio collettivo e veicolo del linguaggio individuale. Ha sviluppato un'importante teoria semiologica che supera le tesi accademiche per interrogare i testi. Celebre la sua teoria del "grado zero": il mondo del parlato che è la più importante specificità della narrativa del suo tempo. La semiologia, o lo studio dei segni e dei simboli e del loro significato nella comunicazione umana, occupa un posto importante nella sua produzione saggistica. Attraverso la sua analisi dei testi letterari, dei media di massa e della cultura visiva, Barthes ha indagato sulle strutture di significato sottostanti che influenzano la nostra comprensione del mondo. I saggi più famosi di Roland Barthes Il saggio più famoso di Barthes è senza dubbio "Il grado zero della scrittura" nel quale distingue la lingua in quanto strumento neutro dell'espressione e per questo involontario e la lingua formale attraverso la quale l'uomo compie delle scelte etiche. Un altro saggio iconico di Barthes è "La camera chiara. Nota sulla fotografia", pubblicato nel 1980. In questo lavoro, che è una riflessione sulla fotografia, Barthes esplora il potere evocativo e simbolico delle immagini fotografiche, analizzando il modo in cui esse catturano e trasmettono il senso di realtà e memoria. Barthes distingue tre elementi nella fotografia: l'autore della fotografia, il fruitore e il soggetto immortalato. In questo schema, il fruitore ha due modi di recepire le fotografie: il primo è razionale e si fonda sulle informazioni che la foto stessa può fornire; il secondo è emotivo e scaturisce da un dettaglio della foto che colpisce lo spettatore. Eredità di Roland Barthes Anche dopo la sua morte nel 1980, l'influenza di Roland Barthes ha continuato a essere rilevante nel campo della teoria letteraria, della critica culturale e della filosofia. Le sue idee radicali e la sua scrittura brillante hanno ispirato generazioni di studiosi e intellettuali, contribuendo a ridefinire il modo in cui pensiamo alla cultura, alla comunicazione e alla creatività. Attraverso i suoi saggi rivoluzionari, Barthes ha dimostrato il potere della parola scritta nel provocare la riflessione, la discussione e la trasformazione sociale. In copertina foto di Michal Jarmoluk da Pixabay Read the full article
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agrpress-blog · 9 months ago
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Prima Edizione del Premio Letterario “Nina Maroccolo” al Teatro Tordinona Si terrà a Roma mercoledì 28 febbraio 2... #narrativa #ninamaroccolo #pagine #poesia #premioletterario #teatrotordinona https://agrpress.it/prima-edizione-del-premio-letterario-nina-maroccolo-al-teatro-tordinona/?feed_id=3157&_unique_id=65d87c67926db
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fashionbooksmilano · 9 months ago
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Alessandro Giampaoli “AION”
Giacomo Belloni: La danza perfetta tra uomo e natura
testi di Serse Cardellini, Marina Dzhigarkhanyan, Debora Ricciardi, Giacomo Belloni
Greta Edizioni, 2018, 114 pagine, 24,5x29,5cm, ISBN 978-88-99367-04-6, italiano/inglese
euro 40,00
email if you want to buy [email protected]
“AION”, edito da Greta Edizioni raccoglie cinque anni di lavoro dal 2013 al 2018
Il disegno e la pittura caratterizzano la prima fase della sua formazione artistica. Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Urbino, si perfeziona all’Istituto Europeo di Design di Milano. Da questo momento inizia ad esplorare nuove soluzioni espressive attraverso fotografia, video e installazione, creando situazioni immersive, con una struttura narrativa, spesso dialogica. La tradizione figurativa del passato viene vivificata nella rappresentazione essenziale di simboli e archetipi, pilastri di un’architettura visiva unitaria e onnicomprensiva, multiculturale ed inclusiva. Le sue opere, in cui la Natura è sempre una presenza viva, fluida e avvolgente, si nutrono di una costante tensione verso la dimensione del sacro, affrontando la tematica della disarmonia causata dalla separazione tra uomo e natura. Emergono evidenti anche riferimenti al mito e suggestioni letterarie.
13/02/24
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siciliatv · 9 months ago
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Le Saline di Trapani protagoniste nel manifesto del "Trapani Comix & Games"
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Il prossimo "Trapani Comix & Games", in programma dal 24 al 26 maggio alla villa comunale Margherita di Trapani, avrà come elemento distintivo nel suo manifesto le suggestive saline del luogo. L'autore del manifesto è Giuseppe Camuncoli, noto disegnatore di Batman per la "DC Comics". Camuncoli, originario di Reggio Emilia, ha scelto di rappresentare le saline con i loro caratteristici mulini a vento, catturando l'essenza visiva della provincia trapanese. L'artista, con una carriera dedicata ai fumetti, ha lavorato su titoli di grande rilievo come "The Amazing Spider-Man" e "The Superior Spider-Man" per la Marvel, oltre a contribuire a classici italiani come Diabolik e Dylan Dog. La scelta delle saline come sfondo per l'illustrazione del "Trapani Comix & Games" è stata accolta con entusiasmo dagli organizzatori, i Nerd Attack, che ogni anno promuovono un messaggio positivo attraverso l'arte e i supereroi. I Nerd Attack sottolineano l'attualità del tema, poiché il territorio delle saline potrebbe diventare un sito UNESCO, candidandosi per l'inclusione nell'elenco dei patrimoni mondiali dell'umanità. La quinta edizione di "Trapani Comix" promette di trasformare villa Margherita in un villaggio magico, con la partecipazione di cosplayers, fumettisti, creator, autori e ospiti musicali. Gli editori di fumetti e libri di narrativa avranno la loro area espositiva nell'evento organizzato in collaborazione con il Luglio musicale trapanese e il comune di Trapani. Read the full article
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multiverseofseries · 8 months ago
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Stranger Things 4: una stagione spettacolare e gigantesca
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L'eco scatenato dal fragore di Stranger Things ha valicato i confini del suo prodotto originale sfociando nei vasti campi della popolarità di massa, rendendo la serie creata dai fratelli Duffer un'opera imprescindibile per tutti coloro che negli ultimi anni si sono rivolti alle piattaforme streaming alla ricerca di titoli unici e diversificati tra di loro. Il progetto partito dallo scantinato immaginario di Hawkins è destinato ad espandersi ulteriormente nei prossimi anni, con i Duffer che hanno già annunciato di essere in fase progettazione per uno spin-off di Stranger Things, il quale seguirà una quinta stagione che punta a chiudere tutte le linee narrative del filone principale.
Se il futuro della serie tv appare a dir poco roseo, l'ultima stagione di Stranger Things - conclusasi con i due episodi finali rilasciati tra le serie tv Netflix di Luglio 2022 - è contraddistinta da una resa visiva strepitosa, calibrata sui toni di una computer grafica mai così particolareggiata come nell'ultimo episodio, la quale rende spettacolare fino all'inverosimile una guerra tra universi che espande i suoi confini verso orizzonti ancora imprecisati, assumendosi il rischio di accartocciarsi su se stessa mentre i pigri riferimenti ai favolosi anni '80 cominciano a mancare di vera passione.
L'infanzia del gruppo di eroi formatosi per caso, durante la lotta contro un essere proveniente da una realtà parallela, è ormai agli sgoccioli, ma i ragazzi non potranno avventurarsi insieme nell'avventura dell'adolescenza perché ci sono migliaia di chilometri a separarli. La famiglia Byers ha deciso di lasciare Hawkins in seguito agli orrori che hanno sconvolto la cittadina nella stagione precedente, portando in California la due volte orfana Undici (Millie Bobbie Brown) e dicendo addio ad un luogo sul quale aleggiava la dipartita dello sceriffo Hopper.
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La ragazza ha promesso di rimanere in contatto con il suo ragazzo Mike (Finn Wolfhard), ma la relazione a distanza si scontra con la freddezza emotiva di lettere mai abbastanza sentite, mentre Undici deve allo stesso tempo abituarsi ad una nuova vita in assenza di poteri psichici, con l'incapacità di inserirsi nel contesto scintillante dell'high school losangelina. L'assenza dell'unica superstite del progetto del dottor Brenner (Matthew Modine) non ha però garantito la salvezza di Hawkins, perché una serie di efferati omicidi spalanca le porte per l'arrivo di un nuovo potentissimo avversario, il quale costringerà il gruppo di amici a lavorare nuovamente insieme anche a dispetto della lontananza per salvare il mondo da una calamità mai vista prima.
Con L'allargamento dell'orizzonte geografico Stranger Things abbraccia nuove dimensioni narrative, cercando per la prima volta di trovare la giusta misura a diversi contesti scollegati tra di loro.
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Non affascina da questo punto di vista il trattamento riservato ad Undici, incapace di trovare un senso alla sua esistenza una volta persi i poteri, e gli scontri con i suoi coetanei (uno dei quali rientra a pieno diritto nel citazionismo sfrenato di Stranger Things 4) si rivelano inconcludenti visto che alla prima occasione utile la sceneggiatura trova un modo di reinserirla nuovamente nel mondo del paranormale, senza darle mai l'occasione di diventare una persona reale. Nettamente più coerente è la linea narrativa che unisce Will, Dustin e Lucas all'Hellfire Club di Eddie Munson (Joseph Quinn), il quale è rivelato una delle migliori aggiunte al cast, riprendendo i temi di unione e fratellanza che avevano reso indimenticabile la prima stagione, mentre perdono mordente in maniera definitiva i "colleghi adulti": Nancy, Jonathan e Steve ebbero un sussulto in termini di profondità emotiva nel corso della terza stagione, ma la loro evoluzione personale durante lo scontro con Vecna è irritante quando non parodistica.
Questa nuova stagione si propone di esplorare i segreti dell'origine del Sottosopra e, sebbene il racconto non spicchi per originalità espositiva - portato avanti da una sorta di flashback indotto a Undici - i tasselli disseminati nel corso di queste tre stagioni (fa eccezione la prima, la quale fu pensata per essere autoconclusiva) cominciano a formare un quadro interessante, allargatosi in maniera decisa rispetto al piccolo mondo che ha visto la luce nel 2016, e per questo sempre in bilico tra l'espansione concreta e il tradimento dell'ambizione. Ma soltanto la stagione finale potrà dirci se questo mosaico narrativo si paleserà in un disegno convincente, ma per il momento la trama sorregge bene il peso dell'aspirazione.
Ma se la sceneggiatura boccheggia in alcuni frangenti, lo stesso non si può dire della messa in scena, la quale si rivela il vero fiore all'occhiello di una produzione che non ha badato a spese per ricreare mostruosità ed effetti strabilianti.
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La computer grafica si erge a protagonista assoluta di questa stagione, con un episodio finale capace di emozionare grazie all’elevato il livello dell'impianto scenico, spalleggiato da una colonna sonora come sempre azzeccatissima, spiccano Running up that Hill di Kate Bush e un brano dei Metallica riproposto in maniera così potente da bucare lo schermo. Grande, però, assente risulta l'anima anni Ottanta che aveva fatto innamorare gli spettatori ad una serie decisamente citazionista, perché - al di là dei blandi riferimenti filmici- manca quel vibrante essere nostalgico che aveva reso inimitabile la prima stagione, perso nell'ambizione di accrescere a dismisura e riciclare situazioni e tematiche già abbondantemente esplorate nelle puntate precedenti, declinandole con un fare semplicistico in un'altra area geografica.
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lucianopagano · 11 months ago
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Appunti di lettura per
«Il rifiuto»
(Musicaos, Balbec, 1)
di Davide Morgagni.
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Dieci anni fa, nel 2014, venne pubblicato «I pornomadi» di Davide Morgagni, nella collana «Smartlit» di Musicaos Editore. Il primo manoscritto del primo romanzo di quello che oggi è «Il rifiuto» si intitolava «Canti di un pornomade». Nei vari ragionamenti attorno alla pubblicazione mi ricordo che quella parola, «Canti», oltre a essere molto evocativa (Leopardi, Lautréamont, Dante, etc.), poteva essere associata a un’altra opera, i «Canti dei caos» (2001, 2003, 2009²) di Antonio Moresco e così, per evitare cortocircuiti allusivi, trattandosi di un esordio, suggerii l’opportunità di togliere il libro dal repentaglio di intitolarsi «Canti di…» essendo il terzo titolo di un editore che aveva -caos come suffisso del suo nome, per sfuggire ogni tipo di ammiccamento. Cercammo così un riparo a distanza cautelativa dal capolavoro di Moresco, che a sua volta negli anni seguenti sarebbe divenuto parte di un lavoro ancora più grande. Una cautela che a posteriori, come spesso capita con le cautele letterarie di persone troppo devote alla letteratura, incorse nell’esagerazione di presupporre l’esistenza di lettori più che ideali, sublimi, invece che delle cimici di Majakovskij. 
Dal punto di vista linguistico-narrativo ciò che avviene ne «I pornomadi» è la genesi di un mondo e allo stesso tempo del «modo di esprimerlo». In una città infuocata un autore si scaracolla in balìa di mete imprecisate, tra un’estate e un inverno, con l’unico movente di esistere. L’idea di proporre un romanzo che contenesse un mondo senza somigliare a un romanzo-mondo era connaturata anche alla modalità in cui il volume si presentava nella sua prima edizione, con le opere d’arte fotografica di Lorenzo Papadia a costituire una narrazione visiva, e un’impaginazione “estesa”, che supportava l’idea di voler porre il lettore dinanzi a qualcosa di inedito, sotto più aspetti possibili. Questa realizzazione era alternativa alle aspettative e faceva parte dello stesso esordio, si trattava di un «io esiste».
Ricapitolando, una scrittura endogenetica, per un mondo che si costruisce dalla propria stessa lingua, raccogliendo testo, immagine, suono, urlo. Strumenti per narrare presi in prestito, oggettivamente, dalla poesia. Per usare un geniale e formidabile «metro» Eggersiano, in una scala dal 0 a 10 dove 0 è Poesia e 10 è Narrativa, «I pornomadi» si situa, oscillando, tra un 5 e un 7. Si tratta di una riflessione che troverà compimento nei romanzi successivi confluiti ne «Il rifiuto». Che impressione poteva fare sui suoi primi lettori «Il tropico del Cancro» di Henry Miller, pubblicato a Parigi nel 1934? Solo una ventina di anni prima la letteratura tradizionale (Gide che nel 1912 «rifiuta» “Dalla parte di Swann”) faceva i conti con l’«incomprensione» della prima parte della Recherche di Proust. Non c’è adito di paragone se non nel sottolineare che sempre, in tempi, luoghi e circoli differenti, la letteratura per emergere si pone complicemente come rottura con ciò che la precede nell’immediato, salvo poi essere ripresa – se riuscita – come continuità con lo stesso.
«I pornomadi», col suo stile «delirio» assume una modalità narrativa di derivazione céliniana, un «tenere bordone» costantemente «in levare» che dà movimento col suo stesso porsi, una scrittura che proviene da Miller, Deleuze, Guattari, Joyce, Beckett, Bataille, Céline, Bukowski; mi è sempre sembrato un «ponte» tra la concretezza sperimentativa e i suoi «misteri pedagogici», uno studio che devia dalla lezione originaria per creare qualcosa di originale e totalmente appartenente alla nostra lingua. Un romanzo “Il rifiuto” sul fatto che si possa scrivere un romanzo, fare scrittura, essere scrittura, tenuto conto di ciò che è stato prodotto in filosofia, teatro, poesia, negli ultimi cinquanta anni, tanti all’incirca ne sono trascorsi dalla pubblicazione dell’Anti-Edipo, dalla letteratura di avanguardia degli anni Settanta, dagli sperimentalismi più oltraggiosi, sia quelli riusciti che quelli mancati, quelli che hanno conservato una certa forza e quelli dileguati.
Perdere tutto per affermare l’esistenza di sé stessi, questo sembra urlare il protagonista de «I pornomadi».
«Strade negre» pone altre due urgenze sotto la lente focale della scrittura. Il «delirio» religioso – la prima metà si svolge a Roma, con il protagonista che segue un corso per diventare conservatore/divulgatore dei beni religiosi della Città Eterna – e il «delirio» da anti-potenza del «genere» del milieu culturale occidentale al suo tramonto.
«La nebbia del secolo», uscito nel 2019 con Leucotea Edizioni, è il terzo romanzo, riveduto, de «Il rifiuto». Romanzo più breve e altrettanto folgorante, è ambientato a Parigi nel periodo storico recente, dove il fantasma del terrorismo ha costituito la paranoia globale per eccellenza, concretizzandosi in attentati ancora oggi temibili, prima dello scoppio della pandemia e al margine di ogni guerra.
Dopo aver delirato i continenti, le religioni, i popoli, parlando di virus, guerre, conflitti, giunge la Pandemia. Il romanzo, fino a oggi inedito, «Finché c’è rabbia», racconta gli ultimi anni vissuti, quelli del Covid, nel racconto del protagonista. Le sue vicende non sono centrali di una storia che è più grande, che ci ha investito. Uno dei protagonisti è il Capitalismo, cui viene sferrata una critica viscerale, programmatica, che sottende tutta la narrazione.
«Il rifiuto» così si compone di quattro romanzi, quattro romanzi differenti per stile nei quali si produce un movimento stilistico dal caos iniziale, in cui la lingua poetica fa accadere il mondo, gettando sul piatto quelli che saranno i temi caratterizzanti del Romanzo: con il contrasto particolare (Capitalismo, Espressione, Spersonalizzazione), la Religione Universale e le religioni particolari, la religione dell’Arte, la religione del Maestro, la religione della Devozione Domestica, la religione della Famiglia, la religione allo Stato, la religione dello Studio, eccetera; e ancora lo Spettro della Storia Universale, attraversato a sua volta dagli spettri del terrorismo e della paranoia internazionale, con tutto ciò che compone il Secolo.
«Il rifiuto» è in tal senso rifiuto post-moderno, costruito sulle macerie del post-modernismo. Il post-moderno sanciva la fine della pretesa delle “Grandi Narrazioni”, dagli anni Settanta a oggi sembrava che si dovessero avverare tutte le promesse non solo stilistiche e narrative, ma anche di vita, di uno sviluppo consapevole, rispettoso delle coscienze e del sentire ecologico planetario. Una molecolarizzazione delle esperienze che si sarebbe accompagnata a un grado di umanità più apprezzabile. Tutto ciò ovviamente non ebbe luogo, se non teorico. Solo l’ipotesi di vivere su un pianeta insieme a cinque miliardi di persone, un giorno, poteva atterrire. Mentre scrivo siamo ottomiliardi settantasettemilioni quattrocentosessantasettemila e novecentonovantanove. Impossibile a credersi oggi, per chi vive in un’epoca che è somma di tante epoche che possono coesistere. Dagli anni Settanta a oggi è trascorso mezzo secolo, immaginare di riportare alcuni riferimenti culturali all’oggi senza storicizzarli sarebbe paradossale come interpretare il 1950 con le categorie del 1900. 
Per prescindere dall’empasse cui potrebbe condurci la storia ci si attiene alla creazione poietica, ai testi, alle influenze, in tal senso Gilgamesh è nostro contemporaneo. Nel miscuglio babelico dei linguaggi si è aperta con la Rete una Babele ancora più grande, districabile per chi ha in amore la complessità, la Società del Controllo è divenuta realtà, e oggi che ognuno di noi è misurato, controllato, enumerato, accountizzato, di quale bisogno si scopre desiderante la comunità dei clienti (lettori, ascoltatori, videoutenti) dell’infotainment? Narrazioni. Grandi. Innumerevoli. Ovunque. Grandi narrazioni. Chiusura del cerchio (canto del cigno o requiem) del post-modernismo, “Il cerchio si chiude”, come termina Stephen King il suo capolavoro virologico “L’ombra dello scorpione”.
«Il rifiuto» affronta questi temi con la densità leggera di un volo, pagina dopo pagina, mettendo a nudo i meccanismi psicologici, sociali, antropologici, mentali, narrativi, che ci vengono presentati dai metadiscorsi che viviamo. C’è un elemento comico che ritorna, come ce ne sono tanti, ilari, più o meno forti e incisivi, ma questo di cui parlo è – se vogliamo – metacomico: il protagonista, che si trova a dialogare con i suoi amici, conoscenti, spesso si sente rivolte frasi di questo tenore «sai, penso che quello che sto vivendo è importante, penso che lo racconterò in un libro», oppure «penso che scriverò un libro». In un mondo creato da un protagonista ossessionato dalla descrizione di un mondo traducibile e decifrabile per lui soltanto, gli altri, che subiscono il mondo senza comprenderlo, si sentono più atti di lui a raccontare la realtà. 
La scrittura filosofica è un genere poco letto, non mi riferisco ovviamente alla scrittura di romanzi a metà tra saggio e narrativa, o romanzi scritti da filosofi. Tutto ciò che c’è di politico e filosofico ne «Il rifiuto» traduce permanentemente un’urgenza stilistica, permettendo a questa scrittura la distanza tra autore, da una parte, e artista dall’altra. Se gli strumenti che Davide Morgagni utilizza attingono a un bagaglio simile, gli ambiti sono totalmente differenti. «Il rifiuto» intende porsi in un dialogo con le persone, i critici, i lettori, in generale, pensanti, a questi, da controcanto (di un pornomade) indico ad esempio la lettura dei romanzi di Aldo G. Gargani.
«Il rifiuto» è un romanzo lontano da Dio, fuori dalla sua grazia, se il protagonista può sembrare un asceta, questa sua ascesi si compie tra le mura, in un appartamento leccese, o romano, o parigino, senza wc, dove non c’è grazia del signore; c’è vicinanza a tutte le creature, compresi gli innumerevoli animali del creato, a dimostrazione di un anelito ecologista/ambientale di fondo  (pulci api foche mucche blatte vermi formiche microbi granchi lombrichi gatti pidocchi tonni pesci-spada galline polli sirene ragni topi cavalli gechi ramarri cani passeriformi molluschi bruchi testuggini merluzzi cicale grilli farfalle iene rondini fringuelli mosche tacchini ricci platesse polpi zanzare tigri cinghiali rondini piccioni scimmie pinguini giraffe bufali conigli rane mosconi manzi gazze capre agnelli struzzi tartarughe pipistrelli civette lucertole salmoni lumache porcospini moscerini calamari gamberoni ostriche colombe vipere ippopotami scorfani anguille orche foche seppie totani pappagalli cigni scoiattoli bisce avvoltoi scimmie anatre pecore pulcini millepiedi vitelli delfini pipistrelli pescecani gorilla babbuini rospi sanguisughe pesci palla leoni lupi asini ghepardi balene fagiani).
Molte creature ma, all’orizzonte, nessun Dio. Eppure non si tratta di un pensiero laico, quello che viene sfrondato da queste pagine, perché quella del protagonista non è un’ascesi raggiunta in mezzo alle persone buone e cordiali, al contrario, è una segregazione spesso ricercata per salvarsi e per difendersi dai barbari. Per non parlare delle volte in cui il protagonista, semplicemente, parla la lingua della verità in mezzo ai sordi, recando letteralmente la saggezza al mercato, come lo Zarathustra di Nietzsche, che compie l’oltraggio peggiore, quello di «bruciare» la news della sua scoperta «oltreuomo» con la condivisione.
Ciò che succede nei vari piani che situa il romanzo fa anzitutto in modo che ciò che risulta in esso romanzato (l’amore, le relazioni, le amicizie, i quartieri, le città, le metropolitane) trascorre in secondo piano rispetto alla società, ai conflitti generali di interesse economico, all’attrito tra classi sociali. «Il rifiuto» diviene così un dispositivo artistico rivolto all’esterno. Ricapitolando, una storia che abbraccia le vicende del protagonista nell’arco di quindici anni, con luci a più punti focali mirate a illuminare l’agire dell’individuo come reagente in una società paranoica-ossessiva-delirante. Il protagonista/Narratore, pure con diverse «facies», è sempre lo stesso, così i comprimari.
C’è un termine che si affaccia ed è: profezia. Quando la scrittura letteraria, poetica o narrativa, compone un quadro realistico di tutte le tensioni in gioco nel momento descritto, spostandosi in avanti fino a prevedere possibilità, la scrittura diviene profetica; un termine religioso – come ascesi – che ritorna in un ambito dal quale l’orizzonte di un qualsivoglia Dio è compromesso.
«Il rifiuto» è preludio a una narrativa dell’avvenire (non inteso come futuro, “ciò che avverrà”), di ciò che avviene nel suo farsi, che si compone passo dopo passo, della creazione di un contesto e dell’internamento di un protagonista nell’agire stesso che è stato contestualizzato a parole. La ricezione di una scrittura simile, è assimilabile a quella di una scrittura poetica, per quanto riguarda il suo abbrivio, che evolve in un percorso narrativo che porta al lettore stralci dal sapore joyciano, milleriano, beckettiano.
I luoghi in cui accade questo «avvenimento» (sempre da “avvenire”) narrativo sono tre, in tempi differenti e che si rincorrono, principalmente Lecce, Roma, Parigi. Il protagonista occupa sempre un altrove in ognuno di essi, ciò che percepisce il lettore è una velocità estrema, istantanea, centrifuga. Del centro, pur essendone affascinato, il Narratore coglie tutte le contraddizioni, la mancanza di umanità nei rapporti, la spersonalizzazione, l’egoismo. Non c’è un obiettivo, c’è una vita di margine vissuta al limite, nell’«underground». Torna qui, anche nel rapportarsi ai luoghi, la dimensione ascetica di una purezza etica, né santa né laica.
L’aggettivo «negro», come gli altri, è un simbolo. La negrezza/negritudine cui fa riferimento il Narratore è la risposta etica al disfacimento dell’Occidente. In particolare nell’ultimo romanzo, l’inedito «Finché c’è rabbia», dove lo sfondo delle vicende è lo Spettro Pandemico, si pone come fatto compiuto uno scollamento senza ritorno di tutti gli attori sociali. Non hanno più niente di esotico gli uomini del sud che ciondolano fuori dai bar per arrivare alla fine di un’altra giornata. Sono zombie, batterie senza carica positiva, salvati dal pasto quotidiano della Caritas e da un giaciglio di fortuna. Il racconto dell’umanità vissuta a contatto stretto, questo è il sud, un certo meridionalismo narrato da Davide Morgagni ne «Il rifiuto». Viene raccontata la povertà, l’indigenza, la vita degli ultimi. È uno dei temi che vengono messi di più in risalto nel quarto romanzo che compone «Il rifiuto», «Finché c’è rabbia».
Non potevano che volerci dieci anni per misurare un certo tipo di ampiezze. Termino con una breve considerazione sulla forma finale in cui è presentato «Il rifiuto». Perché quattro romanzi, al di là dell’Opera, in un volume? L’idea dell’autore, nel presentare «Finché c’è rabbia», era che questo romanzo chiudesse un ciclo di storie, tutte vissute e raccontate dallo stesso Narratore, e che questa conclusione avesse un titolo ideale che racchiudesse queste storie, per l’appunto, «Il rifiuto». Abbiamo creduto, di comune accordo con l’autore, che valesse la pena presentare questi quattro romanzi insieme, perché erano trascorsi dall’inizio de «I pornomadi» dieci anni, durante i quali avevamo il presentimento che fossero accadute molte cose.
A ciò si aggiunge il fatto, oggettivo, che sarebbe stato difficoltoso e magari affaticante, per il lettore odierno, ricomporre un puzzle narrativo i cui frammenti, seppure facilmente reperibili, andavano rinvenuti richiedendo quattro atti di volontà separati. Ciò per evitare, parafrasando l’Amleto/CB, quelle “spiegazioni che ci ammazzano”, nell’avere a che fare con un romanzo che richiamava inevitabilmente la prosecuzione all’inverso degli altri tre. Lo stesso senso è anche quello di questo intervento, che cerca di sollevare alcuni temi presenti nei quattro romanzi che fanno «Il rifiuto», che oltre a essere un romanzo da leggere, sia ad alta voce che interiormente, è un romanzo politico, nel senso più schietto e originario che si può dare oggi a questo termina.
E adesso dimentichiamoci di tutto per leggere «Il rifiuto».
Buona lettura.
«Il peggio passa e se ne fa una sintassi», «Io scrivo per le pulci di periferia», «Vedi ragazzo – quando perdi cerca di perdere tutto – e quando muori assicurati di essere morto», «Il demonio ha in serbo grandi fichi sbucciati per le nostre bocche ragazzo e quando ogni cosa va in frantumi è perché e eterna», «La Storia è un riciclaggio di antichità e remote invarianti ed è per sempre immondizia puzzolente di morte e morti e gambe e occhi paralizzati», «Poi ha compreso che soffrire non serve, ma ciò non serve a smettere di soffrire», «Nella disperazione non si vede nulla, ma la disperazione vede tutto».
«Il rifiuto» di Davide Morgagni è la prima uscita della collana «Balbec», di Musicaos Editore, nella quale sono in programmazione le uscite dei nuovi libri di Giuseppe Goisis, Raffaele Gorgoni, Francesco Lanzo.
Luciano Pagano
«IL RIFIUTO» (Musicaos, Balbec, 1) - Davide Morgagni
in distribuzione dal gennaio 2024
ANTEPRIMA a LECCE - VENERDÌ 22 DICEMBRE alle ORE 19
presso ASTRAGALI TEATRO (Via G. Candido, 23)
interveranno:
Fabio Tolledi [direttore artistico e regista di Astràgali Teatro]
Simone Giorgino [Docente di Letteratura Italiana Contemporanea / UniSalento]
Luciano Pagano [Editore]
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