#narrativa apocalittica
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pier-carlo-universe · 14 hours ago
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Vita al Nord: Un LitRPG Apocalittico – L’inizio di un’avventura mozzafiatoTao Wong mescola fantascienza, fantasy e meccaniche da videogioco in un apocalittico viaggio nell’ignoto. Recensione di Alessandria today
Il primo volume della serie L’Apocalisse del Sistema, Vita al Nord, è un’immersione unica nel genere LitRPG apocalittico, dove la modernità si intreccia con un mondo trasformato dalla distruzione tecnologica e dall’avvento del Sistema. Tao Wong ci regala
Il primo volume della serie L’Apocalisse del Sistema, Vita al Nord, è un’immersione unica nel genere LitRPG apocalittico, dove la modernità si intreccia con un mondo trasformato dalla distruzione tecnologica e dall’avvento del Sistema. Tao Wong ci regala una narrazione avvincente, intrisa di azione, sopravvivenza e crescita personale. La trama: un campeggio che diventa sopravvivenza. John, un…
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jamessixx · 1 year ago
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Versione zombie di una mia foto attraverso l’ausilio dell’intelligenza artificiale. La mia foto diventa un artwork digitale è completamente diverso dal reale. "Versione zombie" svela un mondo contorto di narrativa apocalittica, dove l'orrore e l'inesorabile desiderio di sopravvivenza si intrecciano in una danza macabra. Questa chiave di ricerca sblocca le porte di universi alternativi, dove il concetto di "zombie" si evolve in varie forme, dalla letteratura al cinema, creando un terreno fertile per esplorare l'oscura fascinazione di questa "versione zombie."
Analizzando dettagliatamente questa tematica, emergono trame avvincenti e reinterpretazioni creative. Le parole di transizione fungono da sentieri attraverso i meandri di questo genere, guidando gli appassionati di "versione zombie" attraverso un labirinto di storie che abbracciano la malìa non morta.
In ottica SEO, questa chiave di ricerca diventa un faro digitale per gli amanti del genere zombie, offrendo accesso a recensioni, approfondimenti e notizie sulle ultime interpretazioni di questa "versione" particolare di apocalisse. L'ottimizzazione intelligente mira a soddisfare la sete di informazioni di chi cerca non solo il terrore, ma anche la comprensione di come questo tema si sia evoluto nel tempo.
Creativamente, "Versione zombie" si trasforma in una storia avvincente di sopravvivenza, un'odissea attraverso mondi distorti e minacciati dall'inevitabile avanzare degli zombi. È un invito a immergersi nell'oscurità narrativa, dove ogni "versione zombie" rivela un aspetto unico e affascinante di questo genere che continua a catturare l'immaginazione di chi cerca emozioni forti e suspense senza fine. La "Versione Zombie" apre le porte a un universo di fantasia in cui il convenzionale si fonde con il macabro. Questa chiave di ricerca svela una reinterpretazione affascinante e spesso inquietante di concetti familiari, trasformando il quotidiano in un mondo alterato in cui il soprannaturale si manifesta in forme imprevedibili.
Analizzando approfonditamente la "Versione Zombie," emergono le sfumature di questa rielaborazione, dalla mitologia dietro agli zombi alla loro rappresentazione in opere di cultura pop. Le parole di transizione fungono da guida, accompagnando gli esploratori di questa chiave di ricerca attraverso le molteplici incarnazioni degli zombi, dai classici del cinema horror alle loro rappresentazioni in giochi e letteratura contemporanei.
In ottica SEO, "Versione Zombie" si presenta come una porta digitale per chi cerca un'immersione completa nel mondo degli zombi. L'ottimizzazione per i motori di ricerca si concentra su fornire informazioni approfondite su miti, storie e le ultime novità relative agli zombi, creando un ponte diretto tra gli utenti e un ricco contenuto tematico.
Creativamente, questa chiave di ricerca diventa una storia avvincente, una narrazione che trascina i lettori attraverso le tenebre di un mondo popolato da creature non morte. La "Versione Zombie" è una reinterpretazione unica, un invito a esplorare la sottile linea tra l'ordinario e l'orrorifico, dove la fantasia si fonde con il terrore in un connubio che continua a catturare l'immaginazione.
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pleaseanotherbook · 5 years ago
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The K-Drama Book Tag
È quasi Pasqua, le giornate si stanno allungando e il sole splende sulle nostre teste e io davanti al pc lavoro, o cerco di lavorare, con una soglia dell’attenzione che si abbassa sempre di più. Leggo poco e male, la sera mi sparo drama su drama in call appassionate con le mie amiche del Team Drama Club e insieme a loro abbiamo anche organizzato una challenge su IG (seguitemi sul mio profilo, @anncleire per vedere le meraviglie create da Chiara). Mentre cercavo ispirazione per un post qui sul blog, perché non leggendo non ho al momento tantissime recensioni da scrivere, mi è venuto in mente di unire le passioni del momento, in un’unica soluzione: un book tag, è da un po’ che non ne faccio uno e mi divertono sempre un sacco. Speravo di trovarne uno già messo in piedi, in realtà, ma dopo una breve ricerca in quel di Google non ho trovato quello che stavo cercando, un Book Tag che unisse i kdrama con i libri, sostanzialmente le categorie definite tramite i drama coreani di cui ormai sono ossessionata (si, ho un problema, lo so, ma sorvoliamo) e quindi sono finita a costruirmelo a mia immagine e somiglianza il mio THE K-DRAMA BOOK TAG con alcuni dei miei drama preferiti.
Enjoy!
Her private life
Un libro o una saga che ti ha reso una completa fangirl
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Vi sorprenderò probabilmente con questa risposta, ma capitemi, sono un po’ folle. L’ultimo libro che mi ha reso una fangirl è sicuramente La storia delle api di Maja Lunde che mi ha portato addirittura al Festivaletteratura di Mantova per due giorni per incontrarla. Oramai chi mi segue da tempo sa che ho una leggerissima ossessione per i libri che parlano di api e anche questo non fa eccezione, è un racconto straordinario che lega epoche diverse in un passaggio avvincente e incredibilmente ben costruito, che pone l’attenzione su tante problematiche che affliggono la società moderna e che potrebbero distruggere il mondo così come lo conosciamo. Un lucido disegno di un mondo distopico fin troppo reale. Il meraviglioso intreccio di tre vite, indissolubilmente legate dal fil rouge delle api e della vita, in un racconto organico e variopinto, che esce dagli schemi e urla la premura di non distruggere un ecosistema e un mondo con l’avventatezza di migliaia di piccoli gesti. Un mondo fugace e irresistibile, che non è solo intrattenimento, ma anche monito, per una storia vividissima e indimenticabile.
Because This is My First Life
Un libro di narrativa contemporanea in cui riconoscerti
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Probabilmente non è il mio libro preferito, anzi, probabilmente una certa parte di me lo ha odiato profondamente, però Parlarne tra amici di Sally Rooney fotografa bene in pieno un’intera generazione ancorata perfettamente al mondo dell’internet, nerd, con un mare di passioni, proiettata verso il futuro, fortemente tecnologica e allo stesso tempo con chiaro in testa il senso dell’analogico. Il ritratto di una intera generazione, quei millennials precari e contraddittori che cercano di sopravvivere come meglio possono, incostanti e provocatori, e allo stesso tempo incredibilmente fragili e confusi. Leggendo di Frances mi sono resa conto di quanto il nostro vissuto sia universale, come i miei dubbi e le mie paure sono gli stessi dei miei coetanei, di quanto sia difficile superare certi schemi mentali, di quanto sia facile cadere vittime dell’insoddisfazione e di comportamenti meschini e di egoismi tutti umani.
Are You Human Too?
Un libro o una saga sci-fi piena di colpi di scena
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Ho pensato molto a cosa mettere in questa categoria e non posso non citare La Trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer (Annientamento – Autorità – Accettazione). Io me ne sono invaghita dopo aver visto diverse recensioni positive e la parte sci-fi unita a quella post-apocalittica mi hanno convinta che fosse il libro giusto per me. Una storia pazzesca, consumante, che tiene desta l’attenzione, arzigogolata, dal ritmo incalzante, un vortice di informazioni e descrizioni accuratissime, che sconvolge e inquieta, lasciando a bocca aperta il lettore, incredulo e sconcertato. Tantissime domande che non hanno ancora risposta, per un primo volume stupefacente. Bramo gli altri volumi, per immergermi ancora nei segreti dell’Area X. Per chi vive di scienza e per chi di scienza non capisce niente.
Goblin
La perfetta bromance su cui fangirlare
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Dovevo infilare in un TAG la mia adorata, ma lo farò evitando di citare sempre il mio Divino. Una delle bromance che più mi piacciono è quella che troviamo ne La spia del mare di Virginia de Winter. Cassian ha il fascino del maledetto e i modi da nobile d’altri tempi, un uomo di cui innamorarsi senza possibilità di scampo. Nonostante il suo essere scorbutico e un solitario votato al masochismo di mesi trascorsi a rincorrere un sogno, Cassian non è solo, ma accompagnato da tre fedelissimi amici e compagni di missione, un gruppo di spavaldi giovani alla ricerca di gloria e passatempi per sfuggire alla noia. El Cid, Manuel, un giovane nobile spagnolo scappato da uno scandalo innominabile, accompagnato sempre da una schiera di Mori pronti a sfoderare rinfreschi in qualunque posto e in qualunque condizione. Un giovanissimo e impertinente Casanova, pronto a sfoderare il suo fascino per piegare la volontà di chiunque, e il mio preferito del trio, Monsieur un elegantissimo giovane francese, sempre accompagnato dai suoi spiriti, da sussurri, da modi galanti e da quella superiorità tipica dei cugini d’oltralpe che irretisce e inganna.
The Legend of the Blue Sea
Un libro o una saga dal finale perfetto
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Non potrei immaginarmi nessun altro finale per Vani Sarca di quello racchiuso in quello racchiuso in Un caso speciale per la ghostwriter di Alice Basso. niziata nel 2015, ma scoperta da me solo nel 2017 perché sono un po’ scema, la serie segue le avventure di una ghostwriter, come da titolo, in una Torino contemporanea e ricco, e i legami che crea con le persone che la circondano. Alice Basso ha il dono di costruire con ironia e sagacia un intero mondo, a cui è davvero difficile dire addio. Per fortuna che c’è la rilettura. La fine perfetta insomma per un’avventura intensa, in cui le risate si accompagnano agli abbracci. Alice Basso è riuscita a coniugare una storia speciale in cui perdersi, per cercare il mistero e la commedia, il sarcasmo e le lacrime, la forza e la determinazione, perché in fondo la vita è un mix di esperienze in cui “né uragani né tormente ci potranno fare niente”.
Healer
Un protagonista dalla doppia vita
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Ho solo un libro chiaro in mente per questa categoria. I cieli di Sandra Newman e non ve lo posso neanche spoilerare troppo. Kate, la protagonista, è una ragazza come potrebbero essercene tante in mondo che si sta affacciando nel nuovo millennio, quel 2000 che nella nostra epoca è stato infestato dal mostro del Millennium Bug, ma che per Kate si affaccia in un mondo migliore. Sembra un’utopia, un miraggio, un sogno. Ma poi Kate si addormenta e si risveglia nel corpo e nelle intenzioni di Emilia, una giovane artista italiana trapiantata nell’Inghilterra di fine Cinquecento. Una storia incerta e assoluta, la sovrapposizione di così tanti layer, di così tante decisioni, che è il risultato probabilmente anche delle interpretazioni del lettore. A tratti angosciante e a tratti illuminante, I Cieli è una storia da leggere in un fiato.
Search WWW
La perfetta protagonista da amare
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Avrei la protagonista perfetta per questo libro, ma non posso dirvela ancora. Perciò mi tocca ripiegare su Ead una delle protagoniste de Il priorato dell’albero delle arance di Samantha Shannon. Entrare nel mondo della Shannon è una scommessa perché non sai di preciso se ne uscirai tutto intero, si tratta di una storia lunga ottocento pagine e potrebbe intimidire da più punti di vista. Le immagini che la scrittrice riesce ad evocare entrano dentro e superano le barriere della pagina scritta per fagocitare completamente il lettore. È un fantasy di vecchio stampo, con un mondo completamente estraneo al nostro, ma che allo stesso tempo lo richiama vuoi per usanze, vuoi per cibi, vuoi per i luoghi. Le leggende si intrecciano per creare una storia nuova, un mondo immenso e terribile minacciato da forze oscure in cui alchimia, magia, e lotte per il potere si combattono per la supremazia. Eadaz du Zāla uq-Nāra si nasconde sotto i falsi abiti di Ead Duryan alla corte della regina Sabran. Ma Eadaz non è chi dice di essere, infatti è una delle ancelle del Priorato dell’Albero delle Arance, una comunità antichissima del regno di Lasia, da sempre votata ad uccidere i wyrm, gli sputafuoco, con un compito molto importante, proteggere a tutti i costi l’ultima erede della Madre o Donzella, a seconda del culto di cui ci si riferisce, Cleolind Onjenyu ultima che ha combattuto contro il Senza Nome e l’ha gettato nell’abisso. Ead è più coraggiosa di qualunque altra ancella, e ha anche un dono particolare. Lontana dalla sua casa Ead si adatta come può e soprattutto deve farsi forza per rinnegare il suo credo. La storia ha una forte matrice femminile, molte sono infatti le protagoniste femminili che emergono, ma Ead è sicuramente la mia preferita.
Fight for my way
Una storia d’amore su cui fantasticare
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Ormai lei è diventata una delle mie scrittrici salva vita per le romance e non vedo l’ora di mettere le mani sul suo prossimo volume. Notte numero zero di Rebecca Quasi è una di quelle storie che neanche credi che esistano ma ti scaldano il cuore. Costanza e Mario si incontrano per caso in un aeroporto, ma sono destinati ad incontrarsi di nuovo. Sembra impossibile che due come loro riescano ad innescare una tale reazione, ma si sa la chimica è imprevedibile e la Quasi accompagna il lettore in un viaggio affascinante e una storia d’amore emozionante.
E, voi quali sono i vostri drama preferiti? E con che libri avreste risposto?
Fatemelo sapere in un commento.
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automatismascrive · 3 years ago
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Quando una stella muore: Stars Die
Che c’è di meglio per risollevare gli animi di un po’ d’apocalisse? Mi pare proprio il periodo giusto per segnalare della narrativa appartenente all’ameno filone dell’orrorifico – specificamente, quella che parla di come gli esseri umani si comportano davanti alla fine del mondo. Alieni, guerre nucleari, carestie o una semplice influenza che si scopre contagiosissima e mortale: artisti di ogni genere sono (insospettabilmente?) prolifici nel descriverci gli ultimi giorni dell’umanità contro qualcosa più grande di lei, anche se forse mai come adesso, per qualche misteriosa ragione che proprio non riesco ad immaginarmi. Su una nota meno goliardica, sono però convinta che questo genere di storie non alimentino necessariamente solo ansia e terrore, ma che siano in grado di disinnescare la paura della morte, se lette con lo spirito giusto; leggere della fine del mondo può riconciliarci non solo con la nostra mortalità, ma con quella di tutte le cose: “mal comune mezzo gaudio” sarà anche una frase fatta un po’ troppo comoda, ma mi è sempre parso molto confortante sapere che tutto ciò che vive affronterà prima o poi la sua fine.
Certo, inscrivere il nostro personalissimo percorso dalla nascita alla dipartita in un ciclo universale può essere fonte di smarrimento e alienazione, specialmente quando toglie importanza alla nostra individualità, ma questa relativizzazione dell’importanza delle nostre paure e il suo inserimento in una dimensione comunitaria può anche essere tranquillizzante, seppur in maniera poco ortodossa. Insomma, leggere della fine del mondo può essere un passatempo terapeutico! Oppure solo un modo per passare qualche ora della vostra vita a guardare gente morire in modi creativi – lungi da me insinuare che non si tratti di una ragione più che valida per godersi qualche disaster story.
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Certo, avrei potuto scrivere un post sulla fantascienza apocalittica senza citare una canzone di Giorgia, ma mi piace pensare di aver reso il mondo un posto migliore scegliendo di non farlo.
La segnalazione di oggi è un videogioco – tecnicamente un walking simulator, ma non riapriamo quel dibattito – di ispirazione dichiaratamente lovecraftiana che ci cala nei panni di Dybowski, una misteriosa osservatrice che arriva con una barca su un’isola sorta in mezzo al mare dopo una criptica conversazione con un interlocutore a cui promette di registrare tutto ciò che succederà. Sembra che la sua presenza lì sia dovuta ad una crisi causata da un Varco (Hole) comparso al centro dell’Europa pochi anni fa; esso ha dato inizio ad un’ondata di malattia e di morte ancora inspiegabile, ma un piccolo gruppo di ricercatori, convinti che l’isola sia l’unica speranza di salvezza per l’umanità, vi si sono recati per studiarla e comprendere che cosa sia e perché sia comparsa all’improvviso in concomitanza con l’aggravarsi della malattia del Varco. Una volta messo piede sull’isola, però, Dybowski ha davanti a sé completa libertà: è possibile interagire con gli scienziati presenti e scoprire le motivazioni che li hanno portati lì e le scoperte che hanno fatto fino a quel momento, ma è una scelta altrettanto valida quella di esplorare l’isola per conto proprio, senza badare minimamente alle altre persone presenti sul sito di ricerca. Il modo in cui sceglieremo di passare il tempo ci indirizzerà verso un finale in cui avremo alcune risposte circa il destino del mondo e l’origine del Varco, nonché sul passato di alcuni personaggi, protagonista compresa.
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Tutto normale. Il gioco è un po’ meno giallo di così, ma qualcuno ha dimenticato di disattivare flux prima di fare qualche screenshot.
L’ambiente nel quale ci muoveremo per la mezz’ora necessaria ad arrivare al primo finale è indubbiamente spiazzante. L’isola è a tutti gli effetti una gigantesca massa di carne aliena, piena di protuberanze, bozzi e conformazioni anomale del terreno; la torre che svetta su tutta l’isola (ribattezzata Hollow Tower) è un alto ammasso di tunnel e cavità dai colori bizzarri e dalla consistenza viva. La resa complessiva è parecchio inquietante, considerando anche i ristretti mezzi tecnici del videogioco indie, anche grazie al filtro pixellato che permette di nascondere i limiti più evidenti del motore grafico e di rivelare le forme più strane della flora dell’isola gradualmente man mano che ci si avvicina, aumentando il senso di meraviglia di fronte a queste strutture incomprensibili; siamo oltretutto gettati in una situazione in cui abbiamo pochissimi riferimenti su dove andare o che cosa cercare. Infatti la premessa del gioco, carica di urgenza per un mondo che ha i giorni contati, permette agli altri personaggi di offrire solo spiegazioni scarne e minimali, presupponendo dettagli geopolitici che la protagonista conosce ma il giocatore certamente no; unendo questa prima confusione con la natura aliena dell’isola in gran parte inesplorata – niente bussola e niente mappa: le indicazioni degli scienziati sono l’unica guida che abbiamo – l’esperienza di Stars Die consiste in larga parte nell’interfacciarsi con misteri e problemi che comprendiamo in maniera molto parziale. È una scelta che per forza di cose alienerà molti giocatori e che in certi momenti risulterà frustrante, ma è senz’altro la più coerente per un horror che, cogliendo il senso dei migliori racconti di Lovecraft, vuole mettere a confronto l’uomo con l’assolutamente Altro: l’alieno, una forma di vita talmente differente da quelle a cui siamo abituati che ogni interazione con essa non può che generare fraintendimento, confusione e terrore.
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Eldridge che scruta il cielo. Tra pochi secondi inizierà ad urlarci contro, ma sua discolpa siamo effetivamente un po’ delle teste di cazzo.
Infatti l’Altro con cui Dybowski si interfaccerà nel corso della ricerca sarà mistico e sfuggente: se iniziate quest’esperienza sperando di ottenere tutte le risposte sul Varco e sull’epidemia mortale che ha colpito l’umanità, arrivati ai titoli di coda sarete pronti a lanciare il mouse contro il muro. Il gioco fornisce naturalmente una serie di interpretazioni e di punti di vista sul rapporto che si costruisce tra le strutture dell’isola e il resto dell’umanità, ma di fronte al contatto con entità non-umane è impossibile comprendere appieno i nessi causa-effetto e le motivazioni che li hanno portati fino a noi; paraculo? Per la maggior parte del gioco mi sento di dire di no. I finali migliori di Stars Die sono sicuramente quelli che riescono a dosare con abilità il fascino dell’ignoto e le sequenze d’impatto che ci mostrano in che modo l’isola misteriosa è collegata al destino della Terra, coerentemente con le nostre scelte finali. Ciascuno dei membri del team di ricerca ha infatti le proprie motivazioni per essere lì e un’idea precisa su che cosa sta succedendo: a seconda di chi scegliamo di supportare verso la fine vedremo il finale da diversi punti di vista e descritto coerentemente con essi, dal militare Eldridge che è lì perché tiene famiglia alla fredda capo-spedizione Miyazawa che vuole assicurare un futuro all’umanità con ogni mezzo necessario.
Purtroppo non tutti i finali sono all’altezza delle premesse. Quelli che portano a rimanere per l’inizio della fine permettono effettivamente di ottenere qualche risposta in più circa la natura dell’isola e delle entità responsabili dei suoi fenomeni più bizzarri, ma gli altri sono frettolosi e poco significativi in termini di contenuto (quello di Eldridge in particolare), limitandosi ad un effetto shock seguito dai titoli di coda, senza nemmeno farci ottenere qualche informazione in più sul personaggio principale dell’ending; la curiosità spinge immediatamente a cercare gli altri finali ricominciando a giocare, ma più si ripete l’esperienza e più ne vengono messi a nudo i limiti. Uno degli elementi più interessanti e originali del gioco dovrebbe essere lo svolgimento in tempo reale, per cui è possibile mancare eventi o conversazioni a seconda di come si sceglie di impiegare il proprio tempo: ci si potrebbe aspettare che ciò abbia un impatto significativo sulle scelte del giocatore e sul finale, ma non è così; troppo spesso la scelta è tra “assistere ad una conversazione” o “non fare nulla”, considerando anche la scarsa interagibilità degli elementi dell’isola, e all’atto finale potremo comodamente parlare con tutti i personaggi disseminati nella zona di gioco prima di fare la nostra scelta, con una sola eccezione. Ad una struttura molto più lineare del previsto che allontana replay dopo replay il senso di urgenza dal giocatore si aggiungono anche dei dialoghi rigidi e tremendamente innaturali, spesso anche privi di punteggiatura (le maledette virgole!), che tendono alla sbrodolata filosofica più che ai ritmi di una naturale conversazione, anche tenendo in conto delle circostanze particolari in cui avvengono. Insomma, una serie di mancanze che rendono l’esperienza ripetuta per la caccia ai finali un’esperienza più seccante che coinvolgente; il mio consiglio è quello di giocarlo al massimo due volte e arrivare almeno ad un finale che coinvolga Rygg o Miyazawa, che sono quelli più ricchi di interazione con le forme di vita aliene che dovrebbero essere al centro della storia raccontata.
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Senza filtro si vede tutto un po’ più nitidamente, ma alcune texture smettono di avere senso; se non avete problemi di vista consiglio di tenerlo attivato.
Facendo un rapido bilancio, le mie considerazioni possono sembrare meno entusiaste rispetto a quelle fatte in segnalazioni precedenti, e a tutti gli effetti Stars Die è, a causa di limiti tecnici e di storytelling, un’esperienza adatta ad una nicchia di giocatori persino più piccola di altra narrativa che ho consigliato; tuttavia, se siete fan di Lovecraft e l’atmosfera degli screenshot vi ispira abbastanza, consiglio di investire una mezz’ora del vostro tempo: costa poco, si può ottenere anche gratis da un drive su itch.io per volontà stessa dello sviluppatore (ma se potete cacciate il denaro, ché son meno di cinque euro), ed è una tra le esperienze nel panorama indie fantascientifico duro&puro che mi è rimasta più impressa degli ultimi tempi.
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purpleavenuecupcake · 3 years ago
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Di Maio minacciato dall'Isis? Una grossolana cantonata dei media
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La rivista dell'Isis al Naba torna a minacciare l'Italia e il ministro degli Esteri, pubblicando una foto di Luigi Di Maio in occasione del vertice della coalizione anti-Daesh del giugno scorso a Roma insieme al Segretario di Stato Usa Antony Blinken. Nell'articolo dal titolo 'Perché il Califfato li spaventa!' anche un accenno alla 'conquista di Roma'.  In ambienti della sicurezza la diffusione della foto viene considerata un chiaro segnale ''minatorio'' nei confronti di Di Maio. La  circostanza viene definita ''molto preoccupante''.    Il ministro Di Maio ha subito controbattuto sui social: "L'Italia non fa passi indietro sulla lotta all'Isis e al terrorismo. Stiamo dando il massimo su questo fronte. Oggi sono contento di annunciare che a dicembre insieme a Tony Blinken apriremo la riunione della Coalizione che avvierà la piattaforma per la lotta al terrorismo in Africa. Un progetto che mira ad estirpare il terrorismo islamico in varie aree del continente". Sull’argomento è intervenuto, sul suo profilo Linkedin, l’analista di terrorismo internazione, dott.  Franco Iacch. Iacch ha voluto precisare che il 90% circa delle produzioni rilasciate dalle organizzazioni terroristiche e dai rispettivi sostenitori non raggiunge mai i media e l'opinione pubblica. Questo è un bene. Senza una formazione specifica si potrebbero effettuare analisi errate a vantaggio esclusivo del terrorismo psicologico.  Infatti, sostiene lo studioso, chi come me studia le organizzazioni terroristiche ha avuto contezza della pagina di al-Naba già giovedì sera alle 23.20. Dopo aver analizzato il testo, abbiamo deciso (con altri colleghi del settore)  di non scrivere pubblicamente nulla al riguardo. C’era sempre la possibilità, come spesso avvenuto per altre minacce o riferimenti all’Italia, che tutto passasse in sordina.  Diversi account internazionali, gli stessi solitamente consultati per acquisire le informazioni sulle organizzazioni terroristiche, hanno invece riportato la notizia l’altro ieri sera: la foto, quindi, sarebbe poi divenuta virale.  L’analisi di Iacch La “foto segnaletica” del Ministro Di Maio, raccontata dai media, è la semplice copertina dell’editoriale di al-Naba. “Non è una foto segnaletica”. E’ una foto ufficiale scattata il 28 giugno scorso, a Roma, durante il meeting della Coalizione globale contro lo Stato islamico. La fotografia non è stata ritoccata come erroneamente riportato da alcuni media e il Segretario di Stato Blinken non  è stato aggiunto in fase di editing, ma si trovava proprio in quella posizione nel momento in cui è stata scattata la foto.  Per quanto riguarda il testo, letto e tradotto dall’analista, vi è un clamoroso fraintendimento: “L’editoriale arabo che io ho letto e tradotto “e non esiste altro testo al riguardo, comprese le altre “versioni” non riporta il nome del Ministro Luigi Di Maio.  Il nome non  è mai stato riportato (nemmeno lo scorso luglio), precisa Iacch.  L’editoriale è un classico testo pseudoreligioso e per capirlo è necessario aver visto e letto “I 10 comandamenti” per comprendere  l’intera prima parte. Mi riesce davvero difficile individuare nell’editoriale originale le frasi riportate da alcuni media.  Sulla citazione a Roma, la parola, utilizzata una sola volta, è incastonata in un testo di narrativa apocalittica. Al-Naba loda lo Stato islamico ed infatti il titolo stesso dell’editoriale è “Perché il califfato li spaventa?”.  Pertanto ogni figura istituzionale è un potenziale bersaglio senza scadenza, ma lo Stato islamico utilizza la foto di Di Maio perchè riconducibile all'editoriale del 294° numero di al-Naba. La narrativa Isis, utilizzando la foto di Di Maio e Blinken, spiega che i crociati hanno paura. Non sono bersagli. O meglio, non più di quanto non lo fossero già in virtù del ruolo ricoperto, conclude Iacch nella sua analisi. Read the full article
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antorock · 3 years ago
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#tsugumiproject una commistione fumettistica europea e giapponese sia grafica che narrativa, una favola avventurosa in un epoca post-apocalittica. Non brilla per originalità ma é una lettura solida e divertente. #ippatu #manga #inthecompanyofbooks #2021reading #jpop https://www.instagram.com/p/CU8WoEKtfB_/?utm_medium=tumblr
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gazemoil · 7 years ago
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I 10 MIGLIORI ALBUM DI METÀ 2018
di Viviana Bonura
Questo primo semestre del 2018 ha offerto tante sorprese musicali. Benché la programmazione non sembrasse particolarmente entusiasmante alla fine sono usciti album di debutto veramente interessanti, mentre quelli più attesi hanno riservato delusioni più o meno grandi. Giugno è arrivato e con lui anche il momento di tirare le somme, almeno momentaneamente. Ecco di seguito i 10 album che per gazemoil si meritano un posto nella lista dei dieci migliori album di metà 2018.
* Il criterio seguito è n.1 album (no mixtape, no EP) per artista ordinati per preferenza decrescente ed usciti prima e non oltre il 15 giugno dell’anno in questione. 
10. Haley Heynderickx - I Need To Start A Garden
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Nel suo album di debutto, la cantautrice e musicista di Portland Haley Henderickx porta a compimento un progetto dalla struggente forza emotiva e dall’introspezione dolce-amara, sfumata delicatamente da un’aura fiabesca che permea ogni parola di significato. Innanzitutto I Need to Start a Garden possiede le basi per un buon album indie-folk, vale a dire una bella (anche se contenuta) raccolta di cantilene dolci e intime, accompagnate da una chitarra acustica e occasionalmente anche con l’infusione di quella elettrica. Oltretutto arriva in maniera diretta al cuore degli ascoltatori senza avere pretese. Quest’album scolpisce percorsi tra la solitudine e confessa incertezze a lungo nutrite con l’acutezza di qualcuno abbastanza a suo agio da essere onesto coi suoi dubbi. E’ un buon punto di partenza, e anche se la Heynderickx non è sicuramente al livello degli artisti da cui prende ispirazione, ha molto potenziale e grande sensibilità che ispira fiducia e speranza per la sua maturazione artistica e penso sia sulla strada giusta per affinare il suo personale stile cantautorale. 
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09. Unknown Mortal Orchestra - Sex & Food
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Sex & Food ti pone nella penombra, in uno stato di eclissi parziale, a metà tra la luminosa sicurezza del sole e il netto buio dell'incertezza della luna. E’ un album con grande potenziale, soprattutto nei testi che esprimono forte malessere politico, senso di impotenza e critica verso il tempo e il modo in cui stiamo vivendo, rivolgendosi sia all'individuo che alla più collettiva società. Nella recensione originale sono stata piuttosto rigida nelle critiche a causa delle sue mancanze non trascurabili, ma riascoltandolo mi sono resa conto che in generale questo è un album davvero piacevole. E’ un occasione di introspezione per l'ascoltatore, “a meno che quest'ultimo non si distragga lasciandolo scivolare nel sottofondo” avevo detto, ed è ancora così, Sex & Food non pretende attenzione, devi essere tu a cogliere il suo potenziale. E’ un vero peccato, perché alla fine le tracce si prestano bene a farsi riascoltare più volte, inoltre la paranoia, le frustrazioni e l'amore incapace di Nielson sono vere più che mai e proposte con un liricismo intelligente
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08. Generic Animal - Generic Animal
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Il primo disco da solista di Luca Galizia, chitarrista dei Leute, sotto il nome di Generic Animal ci ha subito sorpreso. E’ la prima volta che Luca canta in italiano e lo fa con la sua voce stridente, approfittando del momento in cui nel mondo della musica it-pop vanno di moda le cantilene strisciate, per lasciare scoperto il fatto di non avere molta esperienza col canto ed essere un pò stonato, puntando l’attenzione, piuttosto, verso quel senso d’improvvisazione della musica suonata libera. Questo funziona anche perché la penna dei testi è quella dello strepitoso Jacopo Lietti dei Fine Before You Came, uno che di riflessioni disincantate sul nascere ai margini delle città, nelle province ferme che precludono la possibilità di raggiungere una stabile condizione di serenità, ne ha fatte tante e ne presta altrettante in questo disco. Giustamente, essendo un album che rispetta le tradizioni cantautorali italiane e forte del possedere liriche intime, poeticamente metaforiche ma inequivocabilmente quotidiane, Luca decide di fare della sua voce la guida principale. Ma per la musica guarda anche altrove, rimanendo aggiornato con lo stile dei musicisti internazionali dell’alternative, combinando l’amore per il lo-fi delle chitarre acustiche con le contaminazioni storte ed elettroniche dei synth che mantengono quel fare malinconico ma danno anche un piacere un pò pop. Generic Animal arriva lieve ma sommessamente brutale, soprattutto per la leggerezza con la quale vengono descritte le anchilosate sensazioni di fastidio quotidiane vissute nella post-adolescenza.
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07. Jorja Smith - Lost & Found
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Con Lost & Found la cantante Jorja Smith si aggiunge alla lista dei promettenti artisti che quest'anno hanno pubblicato l'album d'esordio. Pur ispirandosi alle grandi icone indiscusse dell’rnb come Amy Winehouse, la versione contemporanea della Smith ha una sua personalità, questo grazie ad un timbro vellutato riconoscibile ed una buona tecnica vocale. La produzione, spesso, è un pò troppo minimale e preferisce giocare sul sicuro: beat tipicamente hip-hop, bassi sintetici sempre della stessa matrice e synth semplici. Jorja stessa è il motivo principale per cui quest’album sta in piedi, dimostrandosi sempre elegante ed intima.
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06. Hop Along - Bark Your Head Off, Dog
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Spinti dall’inconfondibile voce di Frances Quinlan, gli Hop Along continuano a distinguersi nella scena indie rock, abbracciando più apertamente la loro flessibilità nello spaziare influenze musicali all’interno di Bark Your Head Off, Dog, il loro disco più luminoso e amichevole - quasi pop. Sotto l’aspetto ritmico e melodico la band procede nello sperimentare con le sezioni e coi cambi, mantenendo l’umore alto, nello stesso tempo i testi non peccano di spessore e di approfondimento; grazie all’abilità di scrittura di Quinlan e alla sua voce rauca e graffiante, infatti, rimangono profondamente sentiti e ricchi. C'è un potere edificante nel modo in cui queste canzoni sono liberatorie. È come se ci fosse stato qualcosa di piacevolmente epifanico nella loro scrittura e di catartico nel registrarle. Ciò che è doppiamente soddisfacente è che entrambi questi sentimenti illuminanti possono essere condivisi dall'ascoltatore.
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05. The Voidz - Virtue
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Quando era uscito Virtue mi era piaciuto, ma non mi aveva convinto a pieno, a tal punto che ho deciso di non inserirlo nei preferiti di quel mese. Col passare del tempo è maturata in me la certezza che un posto nella classifica se lo meritava eccome. Quello dei The Voidz è un sophomore sorprendentemente riuscito che rompe e ricompone sotto una visione insolita molte concezioni legate ai generi musicali, è un cavallo pazzo che scalcia con energia provocante su campi del garage rock, elettronica, neo-psichedelia, synth punk, hard rock e altre miriadi di generi, prendendosi molti rischi. Per tutto l’ascolto piroettiamo in una rocambolesca discesa nella stranezza, in cui la sperimentazione - talvolta provocatoria - coglie impreparati. I testi, spesso paranoici, aggiungono un'atmosfera post-apocalittica che in contrasto con la musica, a volte a primo impatto più felice, serena e ballabile, rende il tutto più macabro e di impatto. La spirale d'illuminazione dalla quale sembrano travolti gli permette di mettere in pratica tutte le loro abilità, adattandosi magnificamente bene a qualsiasi campo appartengano le loro trovate musicali. I The Voidz ci fanno piacere le accoppiate azzardate, la complementarietà improbabile, la collisione ed il caos, perchè la loro musica non è un qualcosa alla quale bisogna abituarsi, ma una porta che si apre infinite volte sull'infinito, fatta per scomodare e punzecchiare l'orecchio.
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04. Saba - Care For Me 
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Nel suo secondo album, il rapper di Chicago Saba scrive alcuni dei testi con maggiore impatto emotivo nella scena hip-hop del 2018, insieme ad alcune delle migliori produzioni jazz-hop sentite durante l'anno. Care for Me è un album ben costruito che parte da una vera e propria necessità di narrazione della vita privata a Chicago dell’artista. Il liricismo è proprio l’aspetto che differenzia Care For Me da un altro album qualsiasi uscito negli ultimi tempi. Nella propria vita, Saba si mette nella posizione di un attento osservatore che fa di ogni esperienza un bagaglio da portare dietro malgrado questo pesi, imponendosi perciò di narrare tutto nel dettaglio in una profondissima introspezione, e rimanendo sempre estremamente coinvolto a livello emotivo.
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03. Car Seat Headrest - Twin Fantasy (Face To Face)
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Giungiamo al podio con la reissue di Twin Fantasy (Mirror to Mirror), uno degli album D.I.Y del 2011 di un Will Toledo appena diciannovenne, quando i Car Seat Headrest erano ancora un progetto solista. Ciò che salta subito all'occhio, o meglio all'orecchio, come una vera sorpresa è la passione autentica e dolente dei testi, valorizzati dalla creatività nella sperimentazione delle strumentali. Twin Fantasy riesce a pieno nell'offrire emozioni, nell'essere capace di raccontare di depressione e auto-distruzione in maniera tagliente e cinica, mantenendo una coerenza narrativa che in cambio riafferma la potenza della storia che vi sta dietro. In conclusione quest'album chiude un cerchio lasciato aperto sette anni fa, mettendo un punto ad una storia turbolenta e segnando la maturazione di Will Toledo.
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02. Parquet Courts - Wide Awake! 
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I Parquet Courts offrono un commento particolarmente forte ed acuto sugli aspetti forse più difficili dei problemi socio-politici odierni: violenza, dislivelli economici e normalizzazione di un clima politico inaccettabilmente tossico. Nel loro Wide Awake! l'energia e la rabbia del punk non sono lasciati liberi all'anarchia come soluzione finale, la loro non è una ribellione irrazionale. Sicuramente questo è un album di protesta, di denuncia e di emergenza sociale, ma questi sentimenti sono canalizzati in un focalizzato bisogno di ristabilire un ordine in cui l'individualità ha voce, ma non a discapito della collettività. Per i Parquet Courts - che della loro posizione morale e politica fanno il cardine del disco - si ci arriva dopo una fase di caos totale forte abbastanza da spezzare la sistematicità delle ingiustizie. Musicalmente lo esprimono spingendosi su nuovi territori e senza paura di conformarsi in un periodo in cui tutto è incerto ed omologante, passando da un suono sincopato, aggressivo e robusto ad ammicchi funk-punk ballabili anni 70′. Il fatto che l'album, traccia dopo traccia, mostri una chiara progressione del pensiero e ci accompagni nella sua evoluzione considerandone le varie implicazioni e poi alla chiusura tragga le proprie conclusioni, lo rende incredibilmente pragmatico, coerente e valido.  
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01. Calcutta - Evergreen
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A dominare la classifica di metà anno è un italiano, Edoardo d’Erme in arte Calcutta. Evergreen è un album che per forza maggiore si porta dietro tante responsabilità. Tra le quali la più grande reggere bene il peso del tempo come sta facendo il predecessore, e per farlo Calcutta ha dovuto dosare i compromessi. Per certi aspetti Evergreen prosegue sulla falsariga di Mainstream ma per altri è un concetto superato per mirare idealmente alla dimensione del classico vecchio stile, non più quello dell'indie per giovanissimi. Facendo attenzione a certe sfumature si coglie la maturazione artistica che parte innanzitutto da un'intenzione diversa, da composizioni occasionalmente atipiche rispetto alle sue solite produzioni, e da scegliere volontariamente di non riempire il disco di altre Cosa mi manchi a fare, giudicando dai singoli ne è ancora capace, per costruirlo più come un album che ascoltandolo suona come tale e non come una raccolta di hit. Calcutta prende in giro l'originalità, ed è colui che nella musica italiana riesce a farlo tirando fuori brani originali, un pop tascabile e sbilenco alla portata di tutti. E dimostra di conoscere il modo migliore per fare perno su storie d’amore problematico, il topos assoluto della canzone, così da mettere in piedi il circo dell’età disagiata, dell’età fratturata, delle speranze dimesse o – meglio – rimosse, di una quotidianità che non ha sbocchi se non, appunto, nell'immaginare.
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MENZIONE A:
Yakamoto Kotzuga - Slowly Fading
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Janelle Monàe - Dirty Computer
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Shame - Songs Of Praise
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plutonialab · 4 years ago
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Due parole su The Stand
Due parole su The Stand
Nel video di oggi vi parlo di quanto ho visto finora della serie TV “The Stand”, ovvero la nuova trasposizione de “L’Ombra dello Scorpione”, il romanzo apocalittico (anche nelle dimensioni) di Stephen King, del 1978.Come bonus track ho voluto fare anche due chiacchiere semplici sulla narrativa apocalittica in tempi di reale pandemia. Se l’argomento interessa ci posso tornare. Intanto ricordate di…
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fashioncurrentnews · 6 years ago
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Ad occhi aperti
Una collezione che riepiloga tutta la moda del 900 mentre parla dell’oggi, attraverso il prisma della fantasia: così è l’Alta Moda MAISON MARGIELA di John Galliano.
Storytelling è un termine che nella moda, al momento, si usa con stolta liberalità, generalmente a sproposito. Raccontar storie che irretiscano, attraverso situazioni che attivino lo spettatore trascinandolo fuori dal ruolo di contemplatore imbambolato è cosa buona e giusta, a patto però che ci siano vicende da narrare, temi da indagare, strati di significato da svelare. Chi non ricorda il magnetico senso di vertigine scatenato dalle pagine lievi e cristalline di Italo Calvino, o dai labirinti di Jorge Luis Borges? Questo è raccontare: un percorso a ostacoli che intrattiene ed emoziona mentre scatena epifanie, con giovamento dello spirito e allargamento degli orizzonti. Nella moda, John Galliano ha una verve narrativa di questo genere. Istrionico affabulatore, è capace di trascinare, stordire, sorprendere, impensierire, infuriare ma sempre di convincere, anche nello spazio di trenta silhouette. Chez Maison Margiela, hic et nunc, guarda al presente attraverso il prisma rifrangente di una immaginazione fervida che si nutre di acute osservazioni del reale. Il percorso narrativo e stilistico ha origine in una riflessione scottante: il mondo che viviamo è tormentato, sicché creare la propria realtà alternativa diventa bisogno condiviso. Può essere la fiction permanente della vita attraverso la lente di uno smartphone – esperienza che ormai accomuna culture e generazioni – o lo sguardo incassato in un visore di realtà virtuale, chiuso da paraocchi tecnologici. La fuga, però, si può pure solidificare sull’abito: la pelle che ciascuno sceglie di indossare, la membrana che filtra il rapporto tra singolo e società. In questo caso, sfuggire diventa ricerca di confronto. La narrazione di Galliano fermenta nell’incertezza che attanaglia e riconosce la presenza pervasiva della tecnologia per abbracciare il mito romantico del clochard come nomade urbano: il reietto che si colloca fuori dall’ordine sociale e vive per strada, con tutti i propri averi addosso. Situazione estrema, davanti alla quale potremmo trovarci tutti, nel clima di incertezza generale che spinge a riconsiderare parametri esistenziali, canoni estetici, convincimenti politici. Pensieri di una cupezza sconfortante? No davvero. L’elucubrazione è vitale invece che pessimista, energetica invece che apocalittica. Galliano esplora con voluttà costruttiva la dialettica di controllo e abbandono, trovando un equilibrio sbilenco e caleidoscopico che condensa in visioni che saturano l’occhio mandando in solluchero il pensiero. La moltiplicazione di strati, materiali e immateriali, di texture e di significati, travolge. Spregiudicato e ispirante, l’autore parla d’altro concentrandosi solo sui vestiti; lavora con la tecnica sopraffina del couturier autentico e la libertà dagli schemi del sedizioso colto. Le silhouette sono un tripudio di sovrapposizioni, bloccate da cinghie di velcro: il frutto di una vestizione che verrebbe voglia di percorrere anche al contrario, svestendo. In questo accumulo di segni, si affermano idee di reverse dressing, ovvero capi indossati non per la funzione prevista, con le gonne che diventano cappe e le calze di nylon ingigantite in tubi acrilici che sigillano ogni outfit come strato conclusivo; e di reverse swatching, con interni ed esterni che si scambiano di ruolo, crini e imbottiture che affiorano protagonisti in superficie e materiali preziosi che, brutalizzati, spariscono all’interno. Ci sono le memorie di abiti intagliate come giochi d’ombra su altri capi, in una vertiginosa moltiplicazione di prospettive, e interi pezzi scorticati fino a rimaner scheletri di quel che furono. Il plotone di nomadi digitali e techno-clochard così vestiti e fors’anche travestiti è, in conclusione, una magnifica espressione dell’eterno presente digitale. Queste figure si portano addosso tutto, ricapitolando nell’immediato storie che vanno dai modernismi asciutti anni Venti alle debordanti burrosità anni Cinquanta, e oltre. Lacerti bon ton sono attualizzati da colate fluo; dilagano materiali incongrui quali pvc, poliuretano espanso, broccati da arredo; ieri e oggi collimano. È l’idea margeliana del recupero, portata a vette goduriose di neobarocco galattico, creando assurdità che dialogano con il contesto storico e sociale mentre lo superano. Il messaggio è chiaro: sognare a occhi aperti è importante. I vestiti possono anche non piacere, ma lo storytelling tocca un nervo, con vigoroso nerbo, invitando lo spettatore ad applicazioni personali, in ogni campo.
  Vogue Italia, settembre 2018, n.817, pag.214
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pier-carlo-universe · 19 days ago
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I Custodi delle Risorse di Martina Caredda: un futuro distopico dove l’IA governa l’umanità. Recensione di Alessandria today
Martina Caredda esplora il confine tra tecnologia e umanità in un thriller mozzafiato
Martina Caredda esplora il confine tra tecnologia e umanità in un thriller mozzafiato. Recensione: “I Custodi delle Risorse: Il dominio dell’IA” di Martina Caredda è un romanzo distopico che trascina il lettore in un futuro inquietante, dove l’intelligenza artificiale ha preso il controllo delle risorse e della vita stessa. Una storia intensa e viscerale che mescola azione, emozione e…
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astroprincipessa95 · 5 years ago
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Recensione "La quinta stagione" di N.K. Jemisin
Recensione “La quinta stagione” di N.K. Jemisin
Data di pubblicazione: 4 agosto 2015 Titolo: La Quinta Stagione Autore: N.K. Jemisin Serie: La Terra spezzata Prezzo: 15,00€ / Acquistalo a 14,25€ su Amazon Editore: Oscar Mondadori Pagine: 512p. Genere: Romanzo, Science fantasy, Fantascienza, Fantasy, Narrativa fantasy, Fantasy epico, Narrativa apocalittica Valutazione:
⭐⭐
Rating: 2 out of 5.
Tra…
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retegenova · 6 years ago
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Invitiamo le Gentili Lettrici e i Pregiati Lettori sabato 27 ottobre alle ore 17.00 presso la Libreria San Paolo di Piazza Matteotti alla presentazione di
1657 l’anno della peste di Roberto Palumbo Arpeggiolibero Editore
interverranno l’Autore, Roberto Palumbo Simona Bo, Presidente Associazione Naz. Archivisti Italiani-Sez. Liguria Isabella Merloni, Archivista Magistrato di Misericordia di Genova
La trama Genova, anno 1657. Il medico Piero Argentieri entra in città pochi giorni prima dell’epidemia di peste che avrebbe ucciso più della metà dei suoi abitanti. Non può scappare. Non può nascondersi. Non può far altro che subire passivamente gli stati d’animo derivanti da una situazione apocalittica. Ma, oltre a dolore, rabbia, sgomento e tradimenti, la peste gli indica anche la via dell’amore, della solidarietà e della speranza che non tutto finisca.
L’autore ROBERTO PALUMBO Laureato con lode in storia presso l’Università di Genova si è dedicato allo studio dei sistemi di comunicazione e della viabilità nella Repubblica di Genova pubblicando una serie di saggi sulla via Aurelia sulla strada dei Giovi, della Bocchetta e di Cento Croci. In seguito, si è concentrato sullo studio del sistema sanitario nella Repubblica di Genova nel Seicento pubblicando un lavoro sulla propagazione dell’epidemia di peste del 1656/ 57 nella Riviera di Levante. In narrativa ha esordito con “Fango cronache di un’alluvione” e il romanzo storico “1657 l’anno della peste “, opera con la quale ha conseguito il prestigioso premio internazionale Pegasus 2018. 
-- GRUPPO EDITORIALE SAN PAOLO Libreria San Paolo di Genova Piazza Matteotti 31-33/r 16123 Genova tel 0102469292 fax 0102468800 orario di apertura lun-sab h 9-13/15-19 MERCOLEDI' e GIOVEDI ORARIO CONTINUATO dom riposo
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1657 l’anno della peste_sabato 27 ottobre ore 17.00 c/o Libreria San Paolo Invitiamo le Gentili Lettrici e i Pregiati Lettori sabato 27 ottobre alle ore 17.00 presso la Libreria San Paolo di Piazza Matteotti…
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virginiamurrayblog · 6 years ago
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Ad occhi aperti
Una collezione che riepiloga tutta la moda del 900 mentre parla dell’oggi, attraverso il prisma della fantasia: così è l’Alta Moda MAISON MARGIELA di John Galliano.
Storytelling è un termine che nella moda, al momento, si usa con stolta liberalità, generalmente a sproposito. Raccontar storie che irretiscano, attraverso situazioni che attivino lo spettatore trascinandolo fuori dal ruolo di contemplatore imbambolato è cosa buona e giusta, a patto però che ci siano vicende da narrare, temi da indagare, strati di significato da svelare. Chi non ricorda il magnetico senso di vertigine scatenato dalle pagine lievi e cristalline di Italo Calvino, o dai labirinti di Jorge Luis Borges? Questo è raccontare: un percorso a ostacoli che intrattiene ed emoziona mentre scatena epifanie, con giovamento dello spirito e allargamento degli orizzonti. Nella moda, John Galliano ha una verve narrativa di questo genere. Istrionico affabulatore, è capace di trascinare, stordire, sorprendere, impensierire, infuriare ma sempre di convincere, anche nello spazio di trenta silhouette. Chez Maison Margiela, hic et nunc, guarda al presente attraverso il prisma rifrangente di una immaginazione fervida che si nutre di acute osservazioni del reale. Il percorso narrativo e stilistico ha origine in una riflessione scottante: il mondo che viviamo è tormentato, sicché creare la propria realtà alternativa diventa bisogno condiviso. Può essere la fiction permanente della vita attraverso la lente di uno smartphone – esperienza che ormai accomuna culture e generazioni – o lo sguardo incassato in un visore di realtà virtuale, chiuso da paraocchi tecnologici. La fuga, però, si può pure solidificare sull’abito: la pelle che ciascuno sceglie di indossare, la membrana che filtra il rapporto tra singolo e società. In questo caso, sfuggire diventa ricerca di confronto. La narrazione di Galliano fermenta nell’incertezza che attanaglia e riconosce la presenza pervasiva della tecnologia per abbracciare il mito romantico del clochard come nomade urbano: il reietto che si colloca fuori dall’ordine sociale e vive per strada, con tutti i propri averi addosso. Situazione estrema, davanti alla quale potremmo trovarci tutti, nel clima di incertezza generale che spinge a riconsiderare parametri esistenziali, canoni estetici, convincimenti politici. Pensieri di una cupezza sconfortante? No davvero. L’elucubrazione è vitale invece che pessimista, energetica invece che apocalittica. Galliano esplora con voluttà costruttiva la dialettica di controllo e abbandono, trovando un equilibrio sbilenco e caleidoscopico che condensa in visioni che saturano l’occhio mandando in solluchero il pensiero. La moltiplicazione di strati, materiali e immateriali, di texture e di significati, travolge. Spregiudicato e ispirante, l’autore parla d’altro concentrandosi solo sui vestiti; lavora con la tecnica sopraffina del couturier autentico e la libertà dagli schemi del sedizioso colto. Le silhouette sono un tripudio di sovrapposizioni, bloccate da cinghie di velcro: il frutto di una vestizione che verrebbe voglia di percorrere anche al contrario, svestendo. In questo accumulo di segni, si affermano idee di reverse dressing, ovvero capi indossati non per la funzione prevista, con le gonne che diventano cappe e le calze di nylon ingigantite in tubi acrilici che sigillano ogni outfit come strato conclusivo; e di reverse swatching, con interni ed esterni che si scambiano di ruolo, crini e imbottiture che affiorano protagonisti in superficie e materiali preziosi che, brutalizzati, spariscono all’interno. Ci sono le memorie di abiti intagliate come giochi d’ombra su altri capi, in una vertiginosa moltiplicazione di prospettive, e interi pezzi scorticati fino a rimaner scheletri di quel che furono. Il plotone di nomadi digitali e techno-clochard così vestiti e fors’anche travestiti è, in conclusione, una magnifica espressione dell’eterno presente digitale. Queste figure si portano addosso tutto, ricapitolando nell’immediato storie che vanno dai modernismi asciutti anni Venti alle debordanti burrosità anni Cinquanta, e oltre. Lacerti bon ton sono attualizzati da colate fluo; dilagano materiali incongrui quali pvc, poliuretano espanso, broccati da arredo; ieri e oggi collimano. È l’idea margeliana del recupero, portata a vette goduriose di neobarocco galattico, creando assurdità che dialogano con il contesto storico e sociale mentre lo superano. Il messaggio è chiaro: sognare a occhi aperti è importante. I vestiti possono anche non piacere, ma lo storytelling tocca un nervo, con vigoroso nerbo, invitando lo spettatore ad applicazioni personali, in ogni campo.
  Vogue Italia, settembre 2018, n.817, pag.214
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redazionecultura · 8 years ago
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sede: MASI – Museo d’arte della Svizzera italiana (Lugano).
Il Museo d’arte della Svizzera italiana, in collaborazione con il Centraal Museum di Utrecht, dedica un’ampia esposizione monografica a Craigie Horsfield, artista britannico che dagli anni Ottanta conduce una straordinaria indagine sulla natura stessa dell’immagine fotografica. Nel suo lavoro ricorrono ritratti, nature morte, nonché momenti di vita quotidiana, riti e tradizioni popolari, temi e generi diversi rappresentati con tecniche innovative che tendono a stemperare i limiti fra le varie discipline artistiche. La fotografia costituisce infatti solo uno dei molteplici tasselli che si sovrappongono nella sua produzione artistica: a partire da un negativo, o da un fotogramma, Horsfield produce opere di grande formato realizzate con tecniche sorprendenti e disparate come arazzi e affreschi. La struttura narrativa della mostra si sviluppa in sezioni tematiche incentrate su opere emblematiche, sovente lavori monumentali come i maestosi arazzi dedicati alla scena apocalittica di Ground Zero o al Golfo di Napoli in un’ambigua visione notturna. Lo straordinario percorso che ne scaturisce porta alla luce le relazioni che intercorrono fra eventi accaduti in luoghi e momenti apparentemente lontani, fra le persone che ne sono state partecipi e gli spettatori che ne fanno scoperta in mostra. Il concetto di relazione – inteso sia come il legame tra individui sia come il narrare, il raccontare – è centrale nell’opera di Horsfield. Nei progetti che ha realizzato appositamente per questa mostra, così come in altre numerose occasioni, ciò è particolarmente evidente. Secondo l’artista un’opera d’arte si realizza pienamente solo grazie al ruolo attivo del pubblico: “Ciò che avviene qui è il riconoscimento di un passaggio di comprensione, di raccoglimento e di identificazione, l’impressione di dare tempo e profonda attenzione al mondo e agli altri, e a un presente profondo. [… ] A volte questi passaggi sono fluidi nelle loro interrelazioni, altre volte sono spigolosi e discordanti, e all’interno della struttura ci sono strati su strati di associazioni, citazioni e allusioni, dentro le opere, dentro la narrazione e nel corso della storia, la storia immaginata come un presente profondo”.
Installazione sonora Sin dall’inizio della sua carriera Craigie Horsfield coltiva un profondo interesse per il suono e la musica, una passione che si riflette nella struttura della mostra, articolata come i movimenti di una composizione musicale. Accanto agli arazzi, agli affreschi e alle stampe, il percorso espositivo include un’installazione sonora composta e mixata dall’artista in collaborazione con Reinier Rietveld appositamente per lo spazio espositivo del MASI. Questo elemento sonoro, in dialogo con le altre opere e insieme ad esse, contribuisce all’elaborazione di nuovi e specifici significati.
I ritratti La mostra presenta inoltre una serie di ritratti inediti realizzati a Lugano dall’artista appositamente per l’esposizione del MASI. Ciò che prevale in queste immagini è l’esplorazione dei processi attraverso i quali cerchiamo di comprenderci l’un l’altro e di esistere insieme. Al tempo stesso queste opere l’unicità delle persone che collaborano con l’artista e la loro singolare e unica esistenza nel presente, riconosciuta nell’attenzione dello spettatore, attraverso il raccoglimento, la sensibilità e l’empatia.
Il catalogo In occasione della mostra è stata realizzata in stretta collaborazione con l’artista una pubblicazione che riprende ed espande i temi e la struttura dell’esposizione. Il volume comprende testi di Bruno Fornari, Marco Franciolli, Craigie Horsfield e Nancy Princenthal e conta 172 immagini a colori.
La mediazione culturale Oltre alle consuete visite guidate gratuite, sono previste per tutta la durata della mostra numerose attività di mediazione culturale volte a favorire la fruizione da parte del pubblico e a trasformare la visita in un’esperienza arricchente ed emozionante. Il programma è disponibile sul sito.
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Craigie Horsfield. Of the Deep Present sede: MASI - Museo d’arte della Svizzera italiana (Lugano). Il Museo d'arte della Svizzera italiana, in collaborazione con il Centraal Museum di Utrecht, dedica un'ampia esposizione monografica a Craigie Horsfield, artista britannico che dagli anni Ottanta conduce una straordinaria indagine sulla natura stessa dell'immagine fotografica.
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Il richiamo del freddo di Tom Rob Smith: Sopravvivere e rinascere nel gelo dell’Antartide. Recensione di Alessandria today
Un thriller apocalittico firmato da Tom Rob Smith
Un thriller apocalittico firmato da Tom Rob Smith Un ultimatum glaciale: il destino dell’umanità si gioca al Polo Sud Con Il richiamo del freddo, Tom Rob Smith, autore del celebre Bambino 44, torna a sorprendere i suoi lettori con un thriller apocalittico capace di unire la tensione narrativa al dramma umano. Pubblicato il 12 novembre 2024, il romanzo racconta una storia che si snoda tra il…
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Il Mondo di Gea di Luciano De Luca: Dove la realtà incontra il surreale. Recensione di Alessandria today
Un romanzo distopico che esplora la rinascita della Terra e la lotta per la sua salvezzaIl Mondo di Gea di Luciano De Luca è un viaggio attraverso un futuro in cui la Terra, rinominata Gea, tenta di rialzarsi dopo il devastante conflitto nucleare del 2069. Questo romanzo intreccia elementi distopici, surreali e profondamente umani, portando il lettore in un mondo dove speranza, amore e giustizia…
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