#Il richiamo del freddo
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Il richiamo del freddo di Tom Rob Smith: Sopravvivere e rinascere nel gelo dell’Antartide. Recensione di Alessandria today
Un thriller apocalittico firmato da Tom Rob Smith
Un thriller apocalittico firmato da Tom Rob Smith Un ultimatum glaciale: il destino dell’umanità si gioca al Polo Sud Con Il richiamo del freddo, Tom Rob Smith, autore del celebre Bambino 44, torna a sorprendere i suoi lettori con un thriller apocalittico capace di unire la tensione narrativa al dramma umano. Pubblicato il 12 novembre 2024, il romanzo racconta una storia che si snoda tra il…
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VENDICARI
“e ora dove andiamo?” Chiese la figlia partendo da Marzamemi. “andiamo dove l’uomo è solo un ospite” Le risposi enigmatico. Partimmo cosi prendendo autostrade che non erano autostrade con caselli per il pedaggio abbandonati che sembravano usciti da un film horror e strade bianchissime che diventavano mulattiere strette e scomode, fino a che i vigneti, gli uliveti e i campi pieni di piccoli mandorli lasciano il posto a canneti senza fine. In uno di questi lasciamo la macchina e procediamo verso un mondo che ha vinto la civiltà, verso Vendicari. Delle attempate e cordiali signore vestite da ranger ci registrano al limitare di un Boschetto e da li ci incamminiamo per l’oasi su una strada sopraelevata circondata da canneti e acque salmastre. La strada ci porta verso il mare e, come animali in cattività seguiamo percorsi protetti da reti in modo da non disturbare gli acquitrini e gli ospiti che li vivono. Siamo come sopportati e intorno a noi la natura è dominante, rigogliosa, intoccata, splendidamente felice. Arriviamo ad una striscia di sabbia. Il mare è quieto, caldissimo e non sprofonda subito negli abissi che circondano la Sicilia, ma degrada lentamente e puoi camminare a lungo senza affondare. È una piscina naturale, calda e accogliente. Lontano la tonnara è un avanzo umano a ricordarci che li siamo ospiti e che è la natura la vera signora e padrona. Nella spiaggia e lungo le strade che costeggiano i laghi, non c’è un cestino per l’immondizia, ma non vedi tra l’erba e i cespugli neanche una bottiglia di plastica o di birra, un sacchetto un pannolino usato o un mozzicone di sigaretta. Nessuno oserebbe sporcare Vendicari e questa attenzione a lasciare tutto com’è, com’era, come sarà, è un segno di devozione, un atto d’amore assoluto. Nei laghetti i fenicotteri pascolano silenziosi, i grandi granchi si muovono nervosi, il vento si acquieta e il richiamo degli uccelli è l’unico suono che ci accompagna. Lontano monti ingialliti dal caldo e dietro di loro un illusorio mondo tecnocratico, freddo e impietoso. Ci sdraiamo sulla sabbia calda e aspettiamo il tramonto per visitare la tonnara. Chiudo gli occhi e mi sembra di scivolare in un sogno bellissimo ma mi sveglio di soprassalto spaventato che tutto sia illusione, guardandomi ansiosamente intorno. C’è solo il vento, la cantilena delle onde del mare, la carezza del sole, le voci gioiose di bambini e voci dei volatili che si chiamano negli stagni quieti. Per fortuna non era un sogno: è Vendicari.
“And where are we going now?” My daughter asked fwhen we left Marzamemi. “let's go where man is just a guest” I replied enigmatically. So we leave, taking highways that weren't highways with abandoned toll booths that seemed like something out of a horror film and very white roads that became narrow and uncomfortable mule tracks, until the vineyards, olive groves and fields full of small almond trees gave way to cane thickets. endless. In one of these we leave the car and proceed towards a world that has won civilization, towards Vendicari. Some elderly and friendly ladies dressed as rangers register us at the edge of a grove and from there we set off towards the oasis on an elevated road surrounded by reeds and brackish waters. The road takes us towards the sea and, like animals in captivity, we follow paths protected by nets so as not to disturb the marshes and the guests who live there. We are tolerated and around us nature is dominant, luxuriant, untouched, splendidly happy. We arrive at a strip of sand. The sea is calm, very warm and does not immediately sink into the abyss surrounding Sicily, but slopes slowly and you can walk for a long time without sinking. It is a natural swimming pool, warm and welcoming. Far away, the tonnara is a human remnant to remind us that we are guests there and that nature is the true lady and mistress. On the beach and along the roads that run along the lakes, there is no rubbish baskets, but you don't see even a plastic or beer bottle, a bag, a used nappy or a cigarette butt among the grass and bushes. . No one would dare to dirty Vendicari and this attention to leaving everything as it is, as it was, as it will be, is a sign of devotion, an act of absolute love. In the lakes the flamingos graze silently, the large crabs move nervously, the wind calms down and the call of the birds is the only sound that accompanies us. Far away mountains yellowed by the heat and behind them an illusory technocratic world, cold and merciless. We lie down on the warm sand and wait for the sunset to visit the tuna fishery. I close my eyes and I feel like I'm slipping into a beautiful dream but I wake up with a start, scared that everything is an illusion, anxiously looking around. There is only the wind, the singing of the sea waves, the caress of the sun, the joyful voices of children and the voices of birds calling each other in the quiet ponds. Luckily it wasn't a dream: it's Vendicari.
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Al richiamo del vento freddo Lì, nel vento ululante di un antico bosco. Mentre le ultime foglie volavano via e i miei piedi affondavano sempre più nel terreno fradicio. Vedo che una nebbia gelida si sta avvicinando. E lì, nella nebbia, un sussurro proveniva da questi vecchi alberi contorti e nodosi Raccontavano dei tempi antichi, ormai lontani Raccontavano dei nostri antenati Raccontarono tutto quello che sapevano Hanno raccontato di tale conoscenza Questo lo sapranno solo loro Mentre il sussurro volava via, sapevo che sotto i miei piedi c'era tutto ciò che era, e tutto ciò che sarà mai. Il mio passato, il mio presente e il mio futuro Piccoli pensieri scritti da Athey Thompson art by_children7_ ********************* Upon the calling of the cold wind There within the howling wind of an ancient woodland. As the last of the leaves flew all away and my feet sunk deeper into the soggy ground. I see a frosty mist is drawing in. And there within the mist, a whisper did come from these twisted gnarled old trees They told of the olden days, long gone by They told of our ancestors They told of all they knew They told of such a knowing That only they shall know As the whisper flew away, I knew that beneath my feet was all that was, and all that will ever be. My past, my present and my future Little thoughts written by Athey Thompson art by_children7_
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PENSIERI DI PRIMAVERA
IL CORPO
Sere di sete e nostalgia, il corpo s’incurva dentro la sua luce e si lascia cadere dolcemente, quasi ad accendere il desiderio, che gli riesce terribilmente difficile non essere complicato, ad inseguire le sue esagerate fantasie, a cercare disperatamente di non precludersi il mondo e si abbandona per un attimo ad apprezzare le piccole cose e si scalda quando il tempo è troppo freddo e condivide lo stesso viaggio per dare un senso alle sue continue attese. Il corpo è come un labirinto, come un richiamo, il riflesso di sé stesso e agita le membra come se volesse capirsi, conoscersi in profondità, quasi ad aver paura di farsi delle domande a voler riscaldare l’anima.
Il corpo flebile e quello atletico, le esperienze lo segnano e insegnano a nascondere i suoi traumi, le sue fragilità, il percorso estremo delle sue curve, quelle rotondità e quei spigoli che si lascia dietro nel cammino, con quella melanconia che lo assale certe sere o quel tripudio di energie e felicità che sa sprigionare quando vuole e si ritrova muto a parlare senza dire niente.
Sa alzare muri con i suoi pudori e lanciarsi in selvagge e spericolate avventure o abbandonarsi alle passioni più sfrenate. E’ amico e nemico, riprende il respiro e ricomincia, a tratti fragile,a tratti indistruttibile e ogni tanto perde un pezzo che non avrà mai più indietro. Nel silenzio forse sta la riposta che cercava , quella pausa naturale che lo culla nel dormiveglia, nella sua inspiegabile condanna o nella sua meravigliosa conquista, per lasciarsi cullare dalla superficialità dei gesti, dall’inconsueto, da quelle delusioni che lasciano un segno o da quei fremiti convulsi che segneranno la sua pelle per un attimo fuggente o per sempre.
Così non sa meritarsi la distanza, deve essere toccato, annusato, lavato, strigliato, calpestato, accarezzato, adorato, dichiararsi fuggitivo, finire sui giornali, trapiantato in altri corpi il cui sudore sarà la sua memoria uditiva. Rannicchiarsi e attenersi ad una nuova routine, rispettare gli spazi e cercare nuove straordinarie opportunità. Senza fare commenti, a sostituire ogni stimolo e a cercare nuove soluzioni, Perchè il corpo si rende conto dell’orrore, delle grida e della paura, conserva ogni incubo ricorrente, nello schermo della vivida memoria del suo presente, con tutta la tenerezza e con tutta la sofferenza, ad ascoltare i rumori della mente prima che il tramonto scompaia. Il corpo conserva per anni ogni immagine, confusa, disarticolata e incomprensibile, per mettere insieme i pezzi di un puzzle e capire appieno cosa sia successo. Così senza alcuna certezza per il futuro tenta di salvarsi da ogni accadimento.
E’ pieno di presenze, di turbamenti, di recinzioni, nell’abisso della depravazione umana, con tutto quello che ha commesso, con quello stelo di vegetazione del mancato pentimento e tiene un registro ben documentato del vissuto, la lista delle vittime, delle disfatte meticolosamente conservate, nella nostalgia e nella mal celata angoscia verso i sentimenti più dirompenti. Non può sfuggire alla nebulosa fantasia dei suoi inganni, cresciuti nell’attesa e perpetrati nel fievole passato, allora sa nutrirsi di quelle vanità, ha memorizzato le colorate fotografie, convissuto con quelle memorie che ha accumulato per decenni, Per questo sa accettare il suo destino non più occasionale, sa esorcizzare i suoi demoni e impara a convivere con i suoi bisogni, abituato a separarsi e a muoversi con facilità, a spostare la fatica, ad imparare con avidità e a corrispondere. >Il corpo ha bisogno della sua memoria emotiva e della memoria del corpo, deve ricordarsi di suonare da solo, guidato dai sentimenti, arruffato come un giovane allievo senza disciplina a sviluppare la sua innata agilità. Scrive le sue note con un grande pennarello colorato, a percepire quella sua strana situazione di convivenza, con le sue assenze e le sue spartizioni, con la distanza, il disamore e l’oblio, che l’affetto bisogna meritarselo e saperlo conservare, che ogni scossone smorza la sua arroganza e lo riporta verso la compassione.
Il tuo corpo invece è frutto e delizia, impegnato in giochi misteriosi con quella sua vegetazione rigogliosa che riempie ogni angolo, che attraversa ogni spazio, memorizzando distanze, finestre aperte verso il cielo, che sale e scende con fierezza, senza appoggiarsi e corre nei corridoi dell’inseguimento e si muove con sicurezza padrone del suo tempo. Il tuo corpo si moltiplica all’infinito, risorto dalle macerie famigliari con tutta l’intenzione di soddisfare la mia curiosità.
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AD UN ANNO DALL'INIZIO DELLA GUERRA IN UCRAINA: RIEMPIAMO LE PIAZZE CONTRO LA GUERRA E IL MILITARISMO
Contro tutte le guerre, per un mondo senza eserciti e frontiere.
È trascorso un anno da quando la guerra è tornata ad infuriare nel cuore dell’Europa, con un coinvolgimento diretto del nostro paese. Il governo italiano si è schierato in questa guerra inviando armi, moltiplicando il numero di militari impiegati in ambito NATO nell’est europeo e nel Mar Nero, aumentando la spesa bellica sino a toccare i 104 milioni di euro al giorno.
Dal quel 24 febbraio è partita una corsa al riarmo su scala globale, perché la guerra in Ucraina ha nel proprio DNA uno scontro interimperialistico di enorme portata.
Il rischio di una guerra devastante su scala planetaria è sempre più forte. Il prezzo di questa guerra lo pagano le popolazioni ucraine martoriate dalle bombe, dal freddo, dalla mancanza di medicine, cibo, riparo.
Lo pagano le popolazioni russe, sottoposte ad un embargo devastante. Lo pagano oppositori, sabotatori, obiettori e disertori che subiscono pestaggi, processi e carcere.
Lo paghiamo noi tutti stretti nella spirale dell'inflazione, tra salari e pensioni da fame, fitti e bollette in costante aumento.
La guerra in Ucraina è solo un tassello di un mosaico molto più complesso.
Lontano dai riflettori tante altre guerre investono vaste aree del pianeta, dove gli interessi scatenati dalla crisi energetica e dalla voracità per le materie prime innescano una sempre maggiore spirale di violenza. In Africa, dove l’Italia è impegnata in 18 missioni militari, la bandiera con il cane a sei zampe dell’ENI sventola accanto al tricolore.
Nel Mediterraneo la guardia costiera libica rifornita di mezzi e foraggiata dal governo italiano respinge i migranti in viaggio verso le frontiere chiuse dell’Europa. Le leggi varate dal governo Meloni contro le navi delle ONG servono a rendere più difficile il salvataggio dei naufraghi.
Mentre la guerra rende sempre più precarie le nostre vite, il business delle armi non va mai in crisi. Anzi. I profitti dell’industria bellica sono in costante aumento e si moltiplicano gli investimenti nella ricerca con un coinvolgimento sempre più forte delle università.
Giocano la carta del ricatto occupazionale, facendo leva su chi fatica ad arrivare a fine mese.
Occorre capovolgere la logica perversa che vede nell’industria bellica il motore che renderà più prospero il nostro paese. Un’economia di guerra produce solo altra guerra. Il benessere, quello vero, è altrove, nell’accesso non mercificato alla salute, all’istruzione, ai trasporti, alla casa fuori e contro la logica feroce del profitto.
Provate ad immaginare quanto sarebbero migliori le nostre vite se la ricerca e la produzione venissero usate per per la cura invece che per la guerra.
L’industria bellica è il motore di tutte le guerre.
In Russia e in Ucraina c’è chi rifiuta la guerra e il militarismo, chi getta la divisa perché non vuole uccidere e non vuole morire per spostare il confine di uno Stato.
Migliaia e migliaia di persone dalla Russia hanno attraversato i confini disobbedendo all’obbligo di andare in guerra, affrontando la via dell’esilio, rischiando anni di carcere.
Dal febbraio 2022 in Ucraina le frontiere sono chiuse per tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni. La debole legge sull’obiezione di coscienza in Ucraina è stata sospesa e le 5.000 domande di servizio civile respinte.
In Russia c’è un esodo che si è intensificato da quando il governo ha annunciato il richiamo dei riservisti.
Molti altri restano e lottano, nonostante la durissima repressione che colpisce antimilitaristi e pacifisti in entrambi i paesi.
In Ucraina c’è chi su posizioni non violente, anarchiche o femministe ha scelto di non schierarsi, di non combattere in questa guerra costruendo reti di solidarietà materiale con le vittime dei bombardamenti, con chi ha perso il lavoro o è obbligat* dalle leggi di guerra del governo Zelensky a turni massacranti spesso senza paga.
In Russia e in Ucraina c’è chi lotta perché le frontiere siano aperte per chi si oppone alla guerra.
Noi facciamo nostra questa lotta contro le frontiere, per l’accoglienza di obiettori, renitenti, disertori da entrambi i paesi.
Noi non ci stiamo. Noi non ci arruoliamo né con la NATO, né con la Russia.
Rifiutiamo la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche. L’antimilitarismo, l’internazionalismo, il disfattismo rivoluzionario sono stati centrali nelle lotte del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici sin dalle sue origini. Sfruttamento ed oppressione colpiscono in egual misura a tutte le latitudini, il conflitto contro i “propri” padroni e contro i “propri” governanti è il miglior modo di opporsi alla violenza statale e alla ferocia del capitalismo in ogni dove.
Le frontiere sono solo linee sottili su una mappa: un nulla che solo militari ben armati rendono tragicamente reali.
Nel nostro paese l’opposizione alla guerra è rimasta molto forte, nonostante la propaganda militarista martellante. C’è chi, pur avendo operato per la guerra cerca di intercettare i consensi persi nelle urne. Sono i pacifisti con l’elmetto, che in occasione del primo anniversario della guerra, torneranno a fare capolino nelle strade invocando il cessate il fuoco, senza opporsi all’invio delle armi, all’uso delle basi, alle missioni all’estero, all’aumento della spesa militare.
Noi non ci stiamo. Invocare il cessate il fuoco senza opporsi al militarismo è un mero esercizio retorico.
Opporsi alle guerre, all’aumento della spesa militare, all’invio di armi al governo Ucraino, lottare per il ritiro di tutte le missioni militari all’estero, per la chiusura e riconversione dell’industria bellica, per aprire le frontiere ai disertori, agli obiettori e a tutti i migranti, è un concreto ed urgente fronte di lotta.
Per fermare le guerre non basta un no. Bisogna mettersi di mezzo. A partire dai nostri territori, dove ci sono fabbriche d’armi, caserme, poligoni di tiro, porti ed aeroporti militari.
Gettiamo sabbia nel motore del militarismo!
Scendiamo in piazza il 24 e il 25 febbraio!
Sosteniamo le manifestazioni lanciate dagli antimilitaristi a Niscemi,
Pisa, Livorno, Torino…
Assemblea antimilitarista
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· · ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⤹ 𝐞𝐭𝐡𝐚𝐧 𝐡𝐮𝐠𝐡𝐞𝐬 ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀⠀ ⠀ ‧‧‧‧ ʟɪғᴇ ᴘɪʟʟs › ⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀ ⠀eccleston, uk ‧‧‧ 18.09.2024 ─── ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ Una tonalità di verde brillante spicca davanti ai miei occhi, una radura che avrebbe potuto ospitare infinite partite di polo ma che ora si colora dei colori dell'arancio, del rosso e del giallo. Ah, l'autunno. Silenzio s'espande, non un movimento che possa distogliere la mia concentrazione, quell'unico momento in cui mi sembra di essere tornato in me. Ed eccolo, lo vedo, un movimento indistinto a svariati metri di distanza, una coda arancione che muove i rami, e tutto si ferma. Un colpo. Un solo colpo e tutto tace. Lo sento nel formicolio al braccio che sorregge il fucile, il peso di quell'arma che ora giace fumante tra i miei arti, e lo sento ancora nel cuore che batte all'impazzata, martellando furiosamente così come per la caccia, così come per la lotta alla sopravvivenza. Vale la legge del più forte, così mi è stato insegnato, così ho imparato sulla mia pelle prima di riuscire a ribellarmi, ma vale anche quella del più furbo, del più scaltro, di chi non si lascia manovrare. In fondo, non sempre la forza è la risposta a tutti i problemi. E allora perché sono qui? Scivola il fucile sul mio avambraccio, un movimento automatico che non facevo da troppo tempo, come se la stagione della caccia alla volpe fosse il richiamo della mia mente a un tempo passato. Freddo è il metallo a contatto con la mia pelle scoperta, come freddo è il ricordo delle bugie. Così tanti segreti che ora, come al tempo, soffocano, opprimono, oscurano ogni cosa. Il rinculo del fucile tedia il mio braccio stanco, la mente è focalizzata sulla propria preda, un gioco che va avanti da generazioni e generazioni. Eppure mi piace il rumore delle fronde degli alberi mossi dal vento. Scote le mie membra stanche facendomi avanzare, un passo alla volta. Ho lasciato andare la mente, non esiste più preda e predatore, vittima e carnefice. Vuota è la distesa di pensieri, come vuota è la mia anima errante. I colori vengono sempre accostati alle cose, ma se così fosse anche per le persone? Forse sarebbe tutto più semplice? 𝑫𝒊 𝒄𝒉𝒆 𝒄𝒐𝒍𝒐𝒓𝒆 𝒆̀ 𝒍𝒂 𝒎𝒊𝒂 𝒂𝒏𝒊𝒎𝒂? Caldi sono i colori dell'autunno, come è caldo il sole della mattina, del nuovo giorno all'orizzonte, ma lo so, tutto comincia con una fine.
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l'imbrunire
Siedo sul ramo spoglio dell'albero sconosciuto alto grigio sul lago dormiente nel cui passato ribolle la memoria che si alza, avanza ma non svela quale scricchiolio increspa l'acqua immobile della sua noia con apatia intuisce il pericolo la frenesia nell'anima a cui risponde il corpo incapace dove il freddo teme la storia non trasparente nello scorrere del trauma della violenza alle nostre menti private dell'intimo inviolabile cielo di nuvole rossastre reali simbolo della fondamentale coincidenza esperienza impossibile troppa e troppo vasto l'imbrunire colui che non oso rimproverare smascherato scopre miti che il tempo custodisce nelle avvolgenti estasi vissute in giorni che non scenderanno dai rami aggrovigliati e protesi su scogliere scoscese specchio alpino acque di ghiaccio algide al richiamo della civetta vaporosa d'inverno scorbutica e buffa scruta all'orizzonte l'assassino.
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In un mondo dipinto con i colori dell'attesa e delle speranze, ci aggiriamo come pittori di sogni e desideri, tracciando linee e forme nel vasto telaio della realtà. "Le cose sono come sono", una frase che risuona con la crudele semplicità dell'esistenza, un richiamo alla verità nuda e pura che giace oltre il velo delle nostre aspettative. Soffriamo, oh come soffriamo, nel profondo teatro del cuore, perché avevamo vestito la realtà con abiti troppo ampi, colori troppo vivaci, in un ballo di fantasie dove ogni passo sembrava promettere una danza eterna.
L'origine del nostro dolore, così intima e personale, giace nell'abisso tra il mondo come è e il mondo come lo avevamo immaginato. In questo spazio sospeso, i nostri desideri si estendono come rami verso il cielo, cercando, anelando, ma troppo spesso incontrano il freddo tocco dell'inverno invece della promessa della primavera. La vita, con la sua insondabile saggezza, ci sussurra che ogni foglia che cade, ogni sogno che sfuma, porta con sé un insegnamento, un passo verso l'accettazione.
Ma come possiamo, noi navigatori di questo mare tempestoso, imparare a navigare senza essere inghiottiti dalle onde dell'attaccamento? Forse, nel cuore pulsante di ogni sofferenza, si cela una chiave d'oro: l'arte dell'accettazione. Accettare non significa rinunciare ai sogni, ma abbracciare la vita in tutte le sue sfumature, il chiaroscuro di gioie e dolori, trionfi e fallimenti. È nel lasciare andare l'attaccamento a come le cose "dovrebbero" essere, che possiamo scoprire come "sono" veramente, e in questa verità, trovare una pace inaspettata.
In quest'opera di vita, siamo chiamati a essere artisti del momento presente, a dipingere con i colori dell'oggi senza essere trattenuti dalle ombre del ieri o dalle luci troppo lontane del domani. Ogni momento, ogni incontro, ogni addio porta in sé la possibilità di un nuovo inizio, un nuovo modo di vedere, di essere.
E così, mentre ci muoviamo in questo viaggio, lasciamo che le nostre sofferenze ci insegnino, ma non ci definiscano. Siamo più delle nostre delusioni, più vasti dei nostri sogni infranti. Siamo, in ogni respiro e battito del cuore, la somma meravigliosa di ciò che è stato, di ciò che è, e di tutto ciò che potrà mai essere.
#scopri24#scopri24.it#riflessione#consapevolezza#pace#pensieri#viaggio#incontro#delusioni#vita#imparare#in vino veritas#dolore#speranza#sogni#momentos
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IMO: l'apparenza più della sostanza, in musica
La forma più delle sostanza. L’ostentazione più del contenuto. E non parliamo di estetica. Capita sempre più spesso che arrivino dischi in cui l’ostentazione tecnica viene messa in primo piano rispetto alla stessa musica. Certe band sembrano più preoccupate di ‘giustifica’ la realizzazione di un disco che non di esprimere un messaggio.
Quasi che dicano: guarda come siamo bravi, meritiamo di incidere e di essere notati. Il che non è necessariamente un male. Non lo è se le capacità vengono messe al servizio dei brani e non viceversa. Che senso ha scrivere una suite lunghissima con milioni di cambi se il messaggio si perde? Prima di dare il benestare per registrare, ci si è chiesti cosa si stesse facendo?
Ci si è chiesti perché ho scritto una canzone così lunga? Soprattutto, ci si è domandati se ciò che voglio esprimere rimane o si perde nella miriade di note suonate? Di canzoni lunghe e complesse ce ne sono moltissime, in tantissimi generi diversi. Non tutte sono ben riuscite. E se non riesce un professionista a gestire una tale mole di materiale, come possiamo farlo noi comuni mortali?
I brani intricati e lunghi di successo hanno un particolare in comune: il completo controllo della canzone. In ogni istante. Cosa che non avviene per diverse band emergenti. Pensando di star scrivendo la nuova suite dei Genesis, i gruppi si perdono nei rivoli della composizione perdendo il filo conduttore. Questo è e rimane sempre il contesto narrativo. Chiariamo. Per scrivere un determinato tipo di canzone si deve essere in grado. E questo lo sono tutti i gruppi. Il problema arriva nel momento in cui compongo.
Una creazione strutturata su cinque o più riff o momenti, deve necessariamente avere una coerenza. I Pain of salvation sono maestri delle canzon ‘umorali’. I loro brani sono decisamente lunghi. Eppure riescono a non risultare noiosi o stancanti. Per quale motivo? Perché hanno sempre il controllo di quello che stanno facendo. Soprattutto hanno sempre ben presente cosa vogliono dire.
La musica deve essere il mezzo per potersi esprimere. Allo stesso modo i Dream Theatre. I loro dischi non sono ostensivi. Non vogliono di mostrare le capacità del gruppo. Vogliono, da sempre, fa passare emozioni. Quindi, io gruppo indipendente, underground, che cosa posso imparare da loro? Più che la tecnica, questa capacità narrativa. Prima di inserire in un contesto già di pe sé intricato ulteriori passaggi che evidenziano le mie capacità, dovrei chiedermi se serve. Il rischio di non farlo qual è?
Di risultare noioso, freddo, inutile. E nessuno vuole vedere la propria musica trattata in questo modo. Soprattutto se di alto livello tecnico. Nonostante tutte questa considerazioni, molti gruppi non si pongono il problema. Scrivono brani ipercomplessi ai quali sommano altri passaggi comlicati rendendo l’ascolto non solo difficile, ma, appunto, noioso. Arrivato alle quarta canzone con all’interno decine e decine di cambi, si corre anche un altro rischio. Quello della ripetitività. E si.
O si cambia genere di brano in brano o se no le strutture rischiano di assomigliarsi. E noi richiamo di non riuscire più a distinguere una canzone dall’altra. Nella loro complessità, si somigliano tutte. La soluzione è l’equilibrio. Il fatto che una band sappia suonare, emerge dai solchi. Si capisce. È chiaro. La scelta, quindi, potrebbe essere che invece di assommare complicatezza a complicatezza, potrei tenere qualcuno di quei riff per un nuovo brano. Magari per il disco successivo.
Perché, se io sparo tutte le mie cartucce in un solo disco, in quello dopo cosa ci metterò? O rischio di produrre una fotocopia del primo o deve necessariamente cambiare direzione. E qui si aggiunge un altro tassello di difficoltà. Ossia. Se le band indipendenti hanno paura di sperimentare, come possono cambiare strada senza tradire se stesse? Viene quindi da sé che decidere scientemente di prediligere la forma alla sostanza, si porta dietro una miriade di conseguenze.
Anche che non hanno a che fare direttamente con il disco prodotto. Il rischio, allora, è quello di cadere in empasse e stagnazione che ci portano alla morte artistica. Si deve sempre tenere presente che ciò che conta è quello che voglio dire più che il come. Questo secondo aspetto deve adattarsi al mio messaggio e al mio stile, ma non ne deve prendere il controllo. Almeno se voglio evolvere e non voglio produrre un solo disco che tutti osanneranno per un certo periodo perché ultra complesso ma che certo andrà nel dimenticatoio non appena arriverà un nuovo fenomeno.
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Far emergere qualcosa di buono da un’abitudine mentale, debilitante
Nel limbo del tempo
ai confini del cosmo
è emersa la nave, che giaceva sul fondo abissale.
Qualcosa lassù di una potenza incredibile
ha strappato le reti intrappolate nel fango melmoso, liberando lo scafo incagliato.
E’ emersa nel nero costellato di punti abbaglianti,
nel limbo del tempo ai confini del cosmo.
Qualcosa sta traendo la nave
lungo una debole scia d’argento che scivola
su una distesa petrolio:
è un filo blu d’acciaio e trascina di forza.
E’ Sirio, che ti conduce a casa.
Sulle sponde bagnate dal sole
il caldo cocente asciuga i resti delle reti infangate, sudicie;
induriscono, diventano freddo cemento.
Il richiamo del sale, che purifica e corrode ciò che hai pietrificato
il richiamo del mare, di un dio potente e creature fantastiche.
Ho lavato le reti nell’acqua, il fango si è sciolto, sgretolato
lasciando apparire piccole perle lucenti;
il riflesso del fondo di pietra
nell’acqua come cristallo
mi acceca, non riesco a guardarle.
Al calar del giorno, la luna fa capolino dalla sagoma scura del monte, massiccio e sicuro.
Le piccole perle, è lì che risplendono e ne vedo il valore.
Racchiudono Sirio e tutte le stelle, tante piccole parti che scivolano lente e sincere,
scie luminose di tempo
che riempiono il cosmo.
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IL MARE
Il mare scorre dentro la sua panna bianca di spuma, a cavallo dell’onda, con la sua opera miracolosa, a tracciare un angusto sentiero e si apre subito lucente negli occhi la visione dell’oceano. Dopo tanto vagare, lambisce rive sconosciute, donne d’esiguo ruscello, fiumi irreali che lo confondono e porta nel corpo innumerevoli cicatrici, impetuosi venti, prede e rigurgiti di vita, segni della lontana esistenza degli uomini. Il mare nel suo brodo primordiale conserva storie di navigatori e di vascelli fantasma, imprese legendarie ed enormi disastri, i suoi marosi si alzano verso il cielo a vigilare sulle città morte, nel fascino che incute terrore, nel freddo veleno artico o tra le palme padrone delle sabbie dorate, o contro le scogliere incoccate da colonie d’uccelli marini. Le sue isole sono piaghe d’una scoperta ferita, esse non guariscono, seminano rugiada sulle acque di ogni squarcio, per qualsiasi impronta sconosciuta sul terreno e quando la luna vi si specchia, l’argenteo riflesso assume aspetti fiabeschi, a nascondere le larghe piastre di pietra del fondale, i cespugli rosa, le alghe sinuose, i relitti morenti con le loro incrostazioni-
Il mare ha una suo voce, quella dell’abile cacciatore, del forte guerriero, del perfetto esploratore, a diffondere il suo grido da sciacallo e il suo richiamo da sirena. Ha il riso sghignazzante che si conficca nei terreni costieri, che erode le barriere, che scavalca i frangiflutti e allaga accampamenti. Sobrio e opaco, in allegro disordine, vivo e scattante in ogni respiro, trasparente osservatore delle profondità, si diffonde con la sua cornice, con i cassetti pieni di vecchie cianfrusaglie, andando a tastoni nel suo tappeto profondo, con una grande quantità d’animali di stoffa, con le sue luci e le sue oscurità ad emergere al netto di una vecchia fotografia, ricchissima di particolari, appartata e segreta, con i suoi ganci e nastri colorati, luccicanti e cangianti, incipriati e punteggiati di nei, ricoperto dalla sua sopracoperta originaria, con le sue crepe nei fondali, come un bozzolo spigoloso che si perde in una lunga e ripida galleria dove si annidano innumerevoli abitanti.
Quando diventa più pesante, con la sua artistica architettura, lambisce le salite e le discese, passa indisturbato con i suoi rumori e si percepiscono a stento i suoi scrosci d’acqua, le catene del suo starnutire, quell’intonaco che si sgretola e si scolla quando si abbatte contro le vesti costiere, a sbucciare la rada, i camminamenti dei porti da sembrare un colabrodo di intenzioni smarrite. E quando invece un po’ svogliato e sciocco, rimasto orfano delle sue muse, si arrampica con amari e disperati salti e abbozza un fiacco sorriso andando a sbattere contro le fiancate delle navi di passaggio, smette di legarsi e quindi si sottrae al perverso gioco delle maree e con la sua profonda voce d’ammonimento si presenta e si gonfia come una valanga in discesa per aggiungersi al suo cumulo di fallimenti.
Il mare nel suo affettuoso ritratto ricorda con nostalgia il tempo della caccia alle balene, le nobili famiglie di delfini, l’intrecciarsi delle spade dei pirati, lo straziato e dolente passaggio dei sottomarini, i corpi galleggianti dei naufraghi dei numerosi affondamenti, le labili tracce lasciare dai migranti, le plastiche e le chiazze di petrolio imbastite dagli uomini, le reti infinite dei pescatori. Il mare raccoglie in sé , straziato e dolente, sferzato e furibondo, tutte queste iniquità, con la sua testa occhialuta racchiusa in uno scialle nero, con le pestilenze lasciate alla deriva, con i detriti e i pomeriggi trascorsi a navigare, mette a lucido la sua copertina d’azzurro, si ammanta di conchiglie e racchiude tutto ciò che acquista nella sua aria di mistero e con rosso dispetto ci ricorda che siamo ormai inutili raccomandazioni senza altro futuro, perché dal mare siamo venuti e le difficoltà e le fatiche della vita al mare ritorneranno.
Il mare s’indovina dal profumo, dagli occhi spalancati e dal cuore che batte forte, con le sue nudità che rivestono i colori del cielo, con quei boccoli d’oro che gli scendono sulle spalle, con quella sua graziosa composizione che diventa a tratti pericolosa e richiama agguati e svolazzi, tempeste e trame tascabili che non offrono perdono. Il mare ha i piedi lunghi e ti bacia le mani, ma non farti ingannare, ha imparato a farsi rispettare e non t’ingannino i suoi luccichii, le sue scatolette con le lucciole dentro, il suo pescato e il suo senso di profonda protezione. Potrebbe addirittura tentare la fuga, ribellarsi, rabberciare il tempo. Il mare è lì che ti guarda, con il suo diletto profondo, che t’insegna incredulo ad essere libero, a disseminare e rosicchiare i confini del mondo , a lasciarti andare alla deriva. Le sue acque e il suo ventre culleranno la tua anima con la sua onda di piacere e ti renderanno immortale.
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Esercizio. Incipit: partire da un suono
Nel bosco
Era davvero stanca di stare lì. Un maestoso temporale l'aveva spinta a trovare rifugio sotto la lamiera del piccolo capanno ai margini del parco. Freddo, umidità e un vento gelido la sferzavano ormai da un po’, ma quello che la stava infastidendo più di tutto era quel rumore confuso e costante: le gocce di pioggia sbattevano sulla tettoia a ritmi irregolari, l’acqua sciabordava lungo le pareti come tante piccole cascate e le rocce nel terreno lì intorno avevano formato pozzanghere decisamente troppo rumorose. Tra tutti quei suoni acquatici così assordanti talvolta le sembrava di sentire un richiamo, come una voce sottile, ma quando cercava di capire meglio tutto si confondeva di nuovo e le sembrava di averlo solo immaginato. All’improvviso un lampo sfavillò, e quasi immediato il fragore del tuono la fece sussultare. Ed ecco quello strano suono, un grido?, più alto e allarmato stavolta. Forse non lo stava immaginando, forse c’era davvero chi chiedeva aiuto?
Gabriella
17/01/2023, 11:20
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LUNA di DICEMBRE
❄️☃️🕯️☀️🌏☄️🎄🎅💫🔥
Luna fredda, luna della quercia, luna della neve, luna delle lunghe notti, luna del grande inverno, luna degli alberi spogli, luna del fuoco della conoscenza
La mitezza dell’autunno ha ceduto lentamente il passo alla stagione del grande freddo, che rapidamente si avvicina.
Come Madre Terra ha lasciato cadere tutti i suoi ornamenti, per concentrarsi sull'essenza delle cose, così anche la nostra attenzione può rivolgersi al nucleo interiore della nostra spiritualità.
Il tempo del buio sta per raggiungere il suo apice, ma al contempo sta per terminare, e anche noi possiamo prepararci ad una RINASCITA SPIRITUALE.
E' infatti nel sonno invernale della natura, che nascono i semi dei progetti futuri.
In natura come dentro di noi, siamo infatti nel tempo del SAGITTARIO, terzo segno della triade del fuoco.
Non si tratta del fuoco iniziatore dell’Ariete, né del fuoco del cuore leonino.
Questo è il segno che apre le porte allo spirituale, insegnandoci che la natura umana per essere completa ha anche bisogno di credere in qualcosa, ha bisogno di una FEDE.
E così il fuoco del Sagittario, domicilio di Giove e Nettuno, è una freccia che punta verso l’alto e vibra nella ricerca di verità, di conoscenza, di significato.
Il 21 Dicembre ha luogo il solstizio d'Inverno, YULE, o ritorno della luce, il cui significato etimologico è ruota, a indicare che un altro giro è stato dato, negli eterni cerchi della RUOTA DELLA VITA.
In questa magica notte un vecchio Sole si sacrifica spegnendosi, mentre dal grembo notturno di Madre Terra nasce un nuovo Sole Bambino, il “figlio della promessa”, che rinasce dall’utero della Grande Madre all’alba, e si prepara a fecondarla con nuovi raccolti, garantendo la continuità della vita.
Molti furono i miti con cui gli uomini celebrarono questo importante momento di passaggio in ogni tempo.
Le popolazioni nordiche mettevano in scena la battaglia tra il Re Agrifoglio (che rappresenta l’anno trascorso) e il Re Quercia (che rappresenta il nuovo anno), che vince sul precedente.
Oppure le nozze fatali tra la notte più lunga ed il giorno più breve, rappresentati da Sole e Luna, il Dio e la Dea.
Le popolazioni agresti in questa occasione si riunivano, accendevano fuochi propiziatori e seguivano tradizioni le cui tracce troviamo ancora nelle feste di Natale e Capodanno.
Nell’antica Roma si celebrava il “Dies Natali Solis Invicti”, il giorno della rinascita del Sole Invincibile, in seguito assorbita dal Natale cristiano.
La stessa festa di Santa Lucia, che si celebra il 13 dicembre, è un evidente richiamo al ritorno della Luce.
YULE è da sempre un momento propizio per tutti, in cui contattare la propria luce interiore, ed esprimere nuovi propositi e nuovi desideri.
Accogliamo anche noi il ritorno della Luce con la sacralità che è dovuta a questo evento, e nella profondità del nostro essere contattiamo la scintilla del nuovo Sole nascente, e il messaggio di speranza e di rinnovata fiducia che sempre accompagnano ogni rinnovamento.
Per celebrare ritualisticamente questo magico momento di passaggio, Il Cerchio della Luna organizza un evento on line, cui è possibile partecipare inviando la propria iscrizione all'indirizzo [email protected]
Per chi fosse impossibilitato a partecipare, mettiamo a disposizione, a fronte di un piccolo contributo simbolico, la Meditazione per Yule ed un prontuario per eseguire un semplice rito nell'intimità della propria casa e famiglia.
In sintonia con la stagione, è possibile inoltre acquistare la meditazione del Sagittario, tappa del percorso che, di luna in luna, ci pone in contatto con il cammino evolutivo dello zodiaco, che traccia un sentiero di crescita spirituale in ognuno di noi, in armonia con la spirale evolutiva della vita.
Sempre in armonia con il tempo della luna di dicembre, è disponibile on line la bellissima meditazione per incontrare la Dea Sophia, fonte di Luce e di spiritualità più sublime.
Le meditazioni guidate sono disponibili on line ed è possibile acquistarle dal sito a fronte di un piccolo contributo, ai seguenti links:
https://www.ilcerchiodellaluna.it/central_avven...
https://www.ilcerchiodellaluna.it/central_avven_medDee.htm
CORRISPONDENZE di DICEMBRE:
Spiriti di Natura: fate della neve, fate delle tempeste, fate dei pini
Piante: agrifoglio, edera, abete, vischio
Colori: rosso, bianco e nero
Fiori: agrifoglio, cactus
Profumi: violetta, patchouli, geranio, incenso, mirra, lillà
Pietre: serpentina, giacinto, crisolito
Alberi: pino, abete, agrifoglio
Animali: topo, cervo, cavallo, orso, cornacchia, pettirosso
Divinità: Hathor, Ecate, Neith, Atena, Minerva, Ixchel, Osiride, Norns, le Parch
Energia: resistenza, morte, rinascita; giro delle maree sulla Terra. Oscurità. Tenebre. Piccoli artifici personali. Sentieri spirituali. Incontro con amici e famiglia, i solitari e i poveri.
LE FASI LUNARI DI DICEMBRE 2022
🌑🌒🌓🌔🌕🌖🌗🌘🌑
Luna Piena: 8 dicembre 2022 alle 04:07 in Gemelli
Ultimo Quarto: 16 dicembre
Solstizio d'Inverno: 21 dicembre
Luna Nuova: 23 dicembre 2022 alle 10:16 in Capricorno
Primo Quarto: 30 dicembre
Articolo completo, con consigli per la luna il giardino e in cucina, al link: https://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Luna_Dic.htm
www.ilcerchiodellaluna.it
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FRATELLI D'ITALIA
Giorgia Meloni si è arrabbiata perché un professore universitario ha definito il suo partito così: neofascista.
Come è possibile? Viviamo nella società evocativa dei giri di parole ipocriti.
Nessuno l'ha spiegato a quel professore?
Come ha osato?
Dove ha visto il fascismo in un partito con le caratteristiche che mi accingo a elencare?
– Ha la fiamma nel simbolo. La fiamma è un richiamo al MSI, partito che si dichiarava (guarda caso) fascista. Quando si è discusso sull'eventualità di togliere la fiamma, i militanti (guarda caso) sono insorti. Perché al legame identitario con un partito neofascista sono affezionati. Ma non possiamo dire: "Fratelli d'Italia è fascista".
– Ha un notevole numero di esponenti che provengono da storie fasciste, militanze fasciste, tradizioni fasciste. Ma non possiamo dire: "Fratelli d'Italia è fascista".
– Con una frequenza a dir poco inquietante, si legge di militanti del partito che fanno dichiarazioni razziste ed esaltano fascisti, difendono fascisti, vedono cose buone nel fascismo, compiono gesti fascisti, pubblicano simboli fascisti. Ma non possiamo dire: "Fratelli d'Italia è fascista".
– L'elemento centrale della sua propaganda è il fantomatico complotto mondiale per la sostituzione etnica e l'imposizione di quella che chiamano "ideologia gender". In pratica: razzismo e omotransfobia. E non è tutto: Casapound, un movimento che si autodefinisce (guarda caso) fascista, usa lo stesso linguaggio e ha gli stessi obiettivi. Ma non si può dire: "Fratelli d'Italia è fascista".
– Ogni volta che qualcuno chiede alla sua leader Giorgia Meloni di commentare il fascismo, assistiamo a farsesche arrampicate sugli specchi. Nelle sue parole cogli lo smarrimento di chi non se l'aspettava. Vive quella domanda come un tradimento, come la violazione di un patto non scritto, perché di solito i giornalisti italiani fanno di tutto per non mettere i leader politici in difficoltà (forse temono di essere marchiati come giornalisti di scuola anglosassone). Quando le chiedono di dire qualcosa sul fascismo, Giorgia Meloni suda freddo, dice chiaro e tondo che le cose accadute prima della sua nascita non la riguardano e sfodera la sua arma segreta: "E gli altri?". Il giorno dopo magari scrive su Twitter qualcosa sulle foibe, segno che quando vuole parla del tempo in cui non era ancora nata. Basta che l'argomento della discussione non sia il fascismo. Perché si comporta così? Semplice: non vuole giocarsi gli elettori fascisti, ma deve dare una parvenza democratica per avere la possibilità di entrare in maggioranze di governo nel prossimo futuro. Ma non si può dire: "Fratelli d'Italia è fascista".
Ora basta, veramente. Basta buonismo e basta politicamente corretto. Cominciamo a dire le cose come stanno: Fratelli d'Italia è fascista.
[L’Ideota]
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