#mistero e letteratura
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La Tredicesima Storia: Diane Setterfield e il fascino delle storie che svelano segreti nascosti. Recensione di Alessandria today
Un romanzo avvolgente e misterioso, che celebra il potere delle narrazioni e della memoria
Un romanzo avvolgente e misterioso, che celebra il potere delle narrazioni e della memoria. Biografia dell’autrice: Diane Setterfield Diane Setterfield è un’autrice britannica nata a Englefield, nel Berkshire, nel 1964. Dopo essersi laureata in letteratura francese, ha insegnato per molti anni, approfondendo lo studio di autori come André Gide e Gustave Flaubert. La sua passione per la…
#Alessandria cultura#Alessandria cultura e lettura#Alessandria today#Alessandria today recensioni#classici contemporanei#classici moderni#Diane Setterfield#Diane Setterfield biografia#Diane Setterfield libri#Diane Setterfield romanzi#gialli psicologici#Google News#introspezione narrativa#introspezione psicologica#italianewsmedia.com#La Tredicesima Storia#letteratura e introspezione#letteratura gotica#letteratura internazionale#Letture consigliate#letture di narrativa#letture di qualità#letture internazionali#libri per appassionati#misteri letterari#mistero e letteratura#mistero gotico#Narrativa avvincente#narrativa contemporanea#narrativa di qualità
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Il castello del Sud
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#Ambientato in un castello infestato del Mezzogiorno d'Italia#il romanzo si tuffa in antiche leggende#ma anche nella storia medievale d'Europa.#Immaginate- operai inquieti che scoprono segreti durante un restauro... e un mistero secolare pronto a svelarsi.#E la copertina? Be'#è un vero e proprio invito all'avventura!#Un antico maniero sotto un cielo cupo#con un dettaglio rosso che nasconde un enigma.#Scritto da Gianmichele Cautillo#pubblicato da Musicaos Editore#questo libro vi porta la grande storia direttamente tra le mani.#Potete trovare “Strane Voci al Castello” in libreria oppure ordinarlo online!#Non perdete l'occasione di immergervi in questo racconto avvincente.#Un grazie di cuore a tutti i sostenitori!#La vostra curiosità è la più grande ricompensa.#Iscrivetevi al canale e attivate la campanella delle notifiche per rimanere aggiornati sui nuovi progetti.#A presto con altri video!#Fantasma in un castello del Sud: “Strane Voci al Castello”#un viaggio tra Storia e misteri#bootok#scrittura#letteratura italiana#storia#Autori italiani#Youtube
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La realtà è socialmente costruita e infinitamente manipolabile e la verità è una nozione inutile: questo è stato il pensiero "postmoderno" che ha dominato negli ultimi decenni.
Una visione della vita per cui non esistono fatti ma solo interpretazioni, possibilmente da non prendere troppo sul serio, e un approccio al mondo per cui basta desiderare e siamo in grado di cambiare la nostra vita. Il postmoderno ha pervaso ogni ambito della quotidianità, dalla politica, all'arte, alla letteratura, alla dipendenza dal linguaggio delle fiction e dei reality, così finto da sembrare vero.
Maurizio Ferraris critica senza riserve questo modo di pensare e propone di tornare alla realtà dei fatti e delle verità appurabili, che esistono e sono evidenti, inemendabili.
In questo "Manifesto del nuovo realismo", che sintetizza gli ultimi venti anni del suo lavoro, indaga su alcuni concetti chiave degli ultimi decenni: emancipazione, autorità, illuminismo, decostruzione, critica, realtà, verità.
Ferraris sostiene con forza il ruolo della filosofia per argomentare e difendere il realismo filosofico. "L'umanità deve salvarsi, e occorrono il sapere, la verità e la realtà.
Non accettarli, come hanno fatto il postmoderno filosofico e il populismo politico, significa seguire l'alternativa, sempre possibile, che propone il Grande Inquisitore; seguire la via del miracolo, del mistero e dell'autorità".
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Hai novant’anni. Sei vecchia, piena di acciacchi. Mi dicono che sei stata la più bella ragazza del tuo tempo e io ci credo. Non sai leggere. Hai le mani grosse e deformate, i piedi induriti. Hai portato sulla testa tonnellate di stoppie e legna, laghi d’acqua. Hai visto nascere il sole ogni giorno. Con tutto il pane che hai ammassato si potrebbe imbandire un banchetto universale. Hai allevato persone e bestie, ti sei messa i maialini nel letto quando il freddo minacciava di gelarli. Mi hai raccontato storie di apparizioni e di lupi mannari, vecchie questioni di famiglia, di un morto ammazzato. Trave della tua casa, fuoco del tuo focolare, sette volte incinta, sette volte hai partorito.
Non sai niente del mondo. Non ti intendi di politica, né di economia, né di letteratura, né di filosofia, né di religione. Hai ereditato un centinaio di parole pratiche, un vocabolario elementare. Con questo sei vissuta e vivi. Sei sensibile alle catastrofi e anche ai fatti di strada. Nutri grandi odi per ragioni che non ricordi più, e grandi dedizioni basate sul nulla. Vivi. Per te, la parola Vietnam è appena un suono barbaro che non si confà al tuo cerchio di una lega e mezza di raggio. Della fame sai qualcosa: hai già visto una bandiera nera issata sul campanile della chiesa (me lo hai raccontato tu, o avrò sognato che me lo raccontavi?). Porti con te il tuo piccolo bozzolo di interessi. E, tuttavia, hai gli occhi chiari e sei allegra. Il tuo riso è un fuoco d’artificio colorato. Come te, non ho mai visto ridere nessuno.
Ti sto davanti, e non capisco. Sono della tua carne e del tuo sangue, ma non capisco. Sei venuta al mondo e non ti sei curata di sapere che cos’è il mondo. Arrivi alla fine della vita e il mondo, per te, è ancora quel che era quando nascesti: un interrogativo, un mistero inaccessibile, una cosa che non fa parte della tua eredità. Cinquecento parole, un fazzoletto di terra di cui si fa il giro in cinque minuti, una casa di tegole e pavimento di terra battuta. Stringo la tua mano, passo la mia mano sul tuo viso rugoso e sui tuoi capelli bianchi, rovinati dal peso dei fardelli — e continuo a non capire. Sei stata bella, dici, e vedo bene che sei intelligente. Perché allora ti hanno rubato il mondo? Chi te lo ha rubato? Ma questo forse lo capisco io, e ti direi il come, il perché e il quando se solo sapessi scegliere delle mie innumerevoli parole quelle che tu potresti comprendere. Però ormai non ne vale la pena. Il mondo continuerà senza di te e senza di me. Non ci saremo detti l’un l’altro quel che più importava.
Non ce lo saremo detto, davvero? Io non ti avrei dato, perché le mie parole non sono le tue, il mondo che ti era dovuto. Resto con questa colpa di cui non mi accusi — ed è ancora peggio. Ma perché, nonna, perché ti siedi sulla soglia della porta, aperta sulla notte stellata e immensa, sul cielo di cui nulla sai e nel quale mai viaggerai, sul silenzio dei campi e degli alberi attoniti, e dici, con la tranquilla serenità dei tuoi novant’anni e il fuoco della tua adolescenza mai perduta:
« Il mondo è così bello,
e io ho tanta pena di morire! »
E’ questo che non capisco
ma la colpa non è tua.
José Saramago - "Di questo mondo e degli altri"
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Le dichiarazioni d’amore più belle della letteratura:
1. «Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.»
Dino Buzzati - La boutique del mistero
2. «Non sono sicuro di averti dentro di me, né di essere dentro di te, e neppure di possederti. E in ogni caso, non è al possesso che aspiro. Credo invece che siamo entrambi dentro un altro essere, che abbiamo creato e che si chiama Noi.»
Robert James Waller - I ponti di Madison County
3. «Tu sei veramente una fiamma che scalda ma bisogna proteggere dal vento. A volte non so se un mio gesto tende a scaldarmi o a proteggerti. Allora m’immagino di fare le due cose insieme, e questa è tutta la mia e la tua tenerezza come una cosa sola.»
Cesare Pavese a Bianca Garufi
4. «E senza di te io sono lontana
non so dire da cosa ma lontana, scomoda un poco perduta, come malata, un po’ sporco il mondo lontano da te, più nemico, che punge, che graffia, sta fuori misura.»
Mariangela Gualtieri - Il mondo che graffia, se non sei accanto a me
5. «Scese, evitando di guardarla a lungo, come si fa col sole, ma vedeva lei, come si vede il sole, anche senza guardare.»
Lev Tolstoj - Anna Karenina
6. «Ho lottato invano. Non c’è rimedio. Non sono in grado di reprimere i miei sentimenti. Lasciate che vi dica con quanto ardore io vi ammiri e vi ami.»
Jane Austen - Orgoglio e pregiudizio
7. «Se tu ti ricordi di me, allora non importa se tutto il mondo mi dimentica.»
Haruki Murakami - Kafka sulla spiaggia
8. «Saremo felici o saremo tristi, che importa? Saremo l’uno accanto all’altra. E questo deve essere, questo è l’essenziale.»
Gabriele D’Annunzio
9. «Ti amo, cara Connie, di questa parola so tutto il peso – l’orrore e la meraviglia – eppure te la dico, quasi con tranquillità. L’ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è come nuova per me.»
Cesare Pavese a Constance Dowling
10. «Per qualche motivo che ignoro mi piaci moltissimo. Molto, niente di irragionevole, direi quel poco che basta a far si che di notte, da solo, mi svegli e non riuscendo a riaddormentarmi, inizi a sognarti.»
Franz Kafka - Lettere a Milena
11. «Sei entrata per caso in una vita di cui non andavo fiero, e da quel giorno qualcosa ha cominciato a cambiare. Prima di te, fuori di te, non aderivo a nulla. Quella forza per cui ogni tanto mi prendevi in giro è sempre stata solo una forza solitaria, una forza di rifiuto. Con te ho accettato più cose. Ho imparato a vivere, in un certo senso. Per questo forse il mio amore è sempre stato pervaso da una gratitudine immensa.»
Albert Camus a Maria Casarès
12. «Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.»
Eugenio Montale
- https://x.com/poesiaitalia/status/1692772938200539376?s=46&t=34dYe_n2Br4FRHOah3j69Q -
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Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica @valentina_lettrice_compulsiva
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: @pelledocaeditore
Buona lettura a tutti!
GHOST STORIES – M. R. JAMES
È la notte di Halloween, quale modo migliore di trascorrerla se non leggendo le storie di fantasmi dello scrittore e medievalista britannico Montague Rhodes James?
La casa editrice Pelledoca, specializzata in narrativa per ragazzi, ha pubblicato un graphic novel che raccoglie i cinque racconti più famosi dell’autore, nell’adattamento di Leah Moore e John Reppion, in cui vengono trattati: il tema della vendetta, del ritorno dal regno dei morti, della curiosità che spinge l’uomo a superare limiti invalicabili.
I protagonisti di queste storie sono studiosi impegnati in misteriose e insidiose ricerche in archivi polverosi o in dimore infestate, che si trovano ad affrontare esperienze al di là dell’umana comprensione.
"LA MEZZATINTA", in assoluto il mio racconto preferito di James, racconta di un dipinto che, notte dopo notte, prende vita per ricordare in eterno la terribile vendetta di un nobile decaduto.
"IL FRASSINO", invece, narra la storia di un albero che nasconde un terribile segreto, legato alla morte di una donna giustiziata per stregoneria
"LA NUMERO 13" racconta di una stanza d’albergo che appare e scompare.
"IL CONTE MAGNUS" è ambientato in un mausoleo misterioso nel quale sarebbe meglio non entrare.
“FISCHIA E IO VERRÒ DA TE” narra di un fischietto capace di evocare mostri e demoni.
Le splendide illustrazioni di Fouad Mezher, Alisdair Wood, George Kambadais, Abigail Larson e Al Davison costituiscono il valore aggiunto del volume.
COSA MI È PIACIUTO
Adoro la letteratura gotica e, in particolare, le storie di fantasmi. Quelle di M. R. James mi hanno sempre affascinata per le ambientazioni cupe e le vicende oscure che le caratterizzano.
COSA NON MI È PIACIUTO
Purtroppo l’età avanza e ho avuto un po’ di difficoltà a leggere le vignette di alcune tavole.
L’AUTORE
M. R. James (1862-1936) è stato uno scrittore e studioso medievale, ricordato soprattutto per le sue storie di fantasmi che sono considerate tra le migliori del genere. I racconti di M. R. James continuano ad influenzare molti dei grandi scrittori di oggi, tra cui Stephen King (che discute di James nel libro di saggistica del Danse Macabre, 1981) e Ramsey Campbell.
LA CASA EDITRICE
I libri di Pelledoca editore vogliono raccontare storie belle, forti e particolari. Storie da brivido, capaci di tenere il lettore con il fiato sospeso e gli occhi incollati alla pagina. La casa editrice ha fatto una scelta precisa, decidendo di occuparsi solo di thriller, noir e mistero. Chi scrive per Pelledoca accompagna i lettori, soprattutto i più giovani, in un mondo narrativo di intrighi in cui si muovono personaggi equivoci, vittime e carnefici, ma anche astuti eroi.
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Sssst!
Nella filosofia e nella letteratura contemporanea c’è un’esaltazione del silenzio. Il segreto, il mistero, l’insondabile profondità di un mondo senza parole che ammalia. Chiacchiera, indiscrezione, presunzione – la parola rompe simile incanto. Si dimentica volentieri che, luogo naturale della pace e dell’armonia delle sfere, il silenzio è anche l’acqua stagnante, l’acqua cheta in cui imputridiscono odi, progetti insidiosi, rassegnazione e viltà. Si dimentica il silenzio ingrato e grave; quello che proviene dagli spazi infiniti, che secondo Pascal atterrisce. Si dimentica l’inumanità di un mondo silenzioso.
E. Lévinas, [Parole et Silence et autres conférences inédites au Collège philosophique, 2009, postumo], Parole e silenzio e altre conferenze inedite al Collège Philosophique, Milano, Bompiani/RCS Libri ebook, 2012
Immagine: Paris Nogari. Affresco dell'Allegoria del silenzio [1582], Città del Vaticano, Palazzi vaticani, Sala Vecchia degli Svizzeri.
[Uno dei miei segnalibri preferiti...]
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https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/02/la-poesia-deve-alzare-le-proprie.html La poesia deve alzare le proprie barricate contro l'invasione dell'antiumanesimo Soltanto chi come me, o come qualcuno dei miei lettori, ama davvero la letteratura si rende conto, senza ipocrisia, che nella società odierna e per le attuali classi dirigenti la letteratura è diventata un impiccio, un residuato, qualcosa da portare in cantina a riempirsi di polvere. Oggi è, o sembra, tutto finito. Inutile ricordare agli uomini della politica e dell'economia, qualunque sia il loro colore politico, che se l'Italia non è rimasta una espressione geografica, ed è nata in quanto entità storica e statuale è stato soprattutto perché l'hanno sognata, preconizzata, amata i poeti, da Dante a Petrarca, da Foscolo a Manzoni al giovane Leopardi, da Carducci a D'Annunzio, da Ungaretti a Pasolini. Inutile ricordare che l'Italia è prima di tutto la sua lingua meravigliosa e dorata, è il suo patrimonio inesauribile d'anima, d'arte, di poesia, di musica. Sembra che sia chiaro soltanto tra i pochissimi grandi uomini rimasti in Italia, penso a Riccardo Muti. Sono venuti in odio i modelli eccellenti, erosi da un falso egualitarismo straccione, e dal dominio dei social, dove «uno vale uno» e il primo pirla può impunemente apostrofare un premio Nobel: fenomeno che condannò anche Umberto Eco, non sospettabile certo di simpatie per gli «apocalittici» nemici della modernità. La scuola, disastrata in maniera equanime da governi di sinistra e di destra sino all'abominio grillino dei banchi a rotelle, ha ridotto lo studio della letteratura a pochi autori, spesso soltanto del Novecento, ignorando i classici e il loro splendore e, di fronte ad ancora tanti bravissimi insegnanti, c'è sempre qualcuno (a volte ministri come il non rimpianto Franceschini) che preme per dare più spazio a fumettisti, saltimbanchi, cuochi, comici, rapper, trapper, cantautori, dj, influencer: seguendo pedissequamente ogni moda. Si è inventato il binomio scuola lavoro, come se l'insegnamento invece di formare prima di tutto esseri umani nella loro interezza dovesse formare pizzaioli, con tutto il rispetto per la categoria. Il lavoro della scuola era far crescere il sapere e l'anima del ragazzo, la sua comprensione di se stesso, della società, della storia, del mondo. E niente poteva farlo meglio di quell'antico ma sempre nuovo sistema di conoscenza che è la Letteratura. Niente formava di più e più in profondità che leggere poesie e romanzi, grandi strumenti di educazione al destino. Niente formava di più che il pensiero dei grandi, da Machiavelli a Galileo, da Vico a De Sanctis. Intendiamoci, non è che oggi non ci siano più quelli che scrivono poesie e romanzi. Ormai il 90 per cento degli italiani ha pubblicato un romanzo, i social diffondono a piene mani poesia, e chiamano poesia anche ogni incolpevole vagito e belato sentimentale. Ci sono in giro migliaia di sedicenti autori che scrivono tutti allo stesso modo, carino e insignificante, quasi sempre lontani da ogni scossa metafisica, da ogni senso del mistero, da ogni empito fantastico, e riducono il romanzo a qualche bella frase, a qualche trovata, o a tanto lacrimoso patetismo autobiografico. Eppure in questo mare magnum, dove nessuno distingue più niente da niente, ci sono ancora libri appassionanti e autori veri. Fiorisce la letteratura di genere, dove almeno persistono i temi eterni del male, della giustizia, della verità, e che il mercato premia (cosa che è vano vituperare): io leggo con piacere per esempio Donato Carrisi, e quando mi è capitato di conversare con Maurizio De Giovanni ho toccato con lui temi a me cari come il mito con più vivacità che con autori snobbetti e un po' premiati, magari usciti dalla celebratissima scuola Holden. Poeti veri e grandi, penso ad esempio a Milo De Angelis, esistono ancora. E ogni giorno ricevo testi di giovani che credono nella poesia e scrivono in cerca di nuove forme del vivere e di assoluto. Scrittori di alta qualità ci sono, Sandro Veronesi, Antonio Scurati, Eraldo Affinati, per esempio. E ci sono i critici, penso a Giorgio Ficara, a Alfonso Berardinelli, a Massimo Onofri, a Silvio Perrella, per altro saggisti e scrittori in proprio: ma esiste sempre di meno lo spazio editoriale e istituzionale per esercitare l'importantissimo compito della critica, vagliare la produzione letteraria, individuare i valori più forti, non transeunti, seguire gli autori, sostenere una tendenza. Oggi tutto è effimero, volatile, virtuale. Leggero: ma non si dica con criminale menzogna che è la leggerezza di Italo Calvino: tutt'al più è quella di Luciana Littizzetto. A cui preferisco le giovani tiktoker, che quando cinguettano innamorate di un titolo possono anche riservare sorprese, magari stanno rileggendo e rinverdendo un classico... Il vuoto è prima di tutto un vuoto sociale, culturale, spirituale. Ed è da connettersi al crollo dell'umanesimo, che dalla Firenze del Rinascimento sino all'esistenzialismo di Sartre e di Camus aveva innervato la cultura europea. Per molti esponenti del mondo intellettuale l'essere umano non è più al centro della società, l'essere umano intero, in carne ed ossa, con i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue debolezze, la sua follia, la sua capacità di ribellione, di autodeterminazione del proprio futuro. Ed è caduto a picco il senso della Tradizione, che è da modaioli imbecilli vedere come passato e polvere, mentre è conoscenza attiva e critica delle radici e insieme forza propulsiva per proseguire nella costruzione di una civiltà. La letteratura è stata a lungo il midollo spinale (l'espressione è di Jacques Attali) di una Nazione. E certamente di quella Europa che per primo Victor Hugo sognò come «Stati Uniti d'Europa». Senza letteratura, senza poesia, senza il primato dello spirito si configura una società non liquida, come vuole una celebre definizione sociologica, ma smidollata, un'Europa vaso di coccio tra le Potenze del nuovo ordine mondiale, prona di fronte alle insidiose idiozie nichiliste della cosiddetta cancel culture che ha soffiato dall'America in questi anni e alla fine si è rivelata una cultura della cancellazione, o del tentativo di cancellazione, guarda caso, proprio della parte gloriosa della cultura europea, oggi indifesa, incapace di reagire, di ritrovare l'orgoglio e l'amore di se stessa. Per la prima volta nella storia dell'umanità al vertice dei valori, come potere assoluto e incontestabile, è rimasta l'economia, declinata come finanza e profitto. E per la prima volta nella storia dell'umanità tutto il resto viene considerato un ingombro, qualcosa di attardato e inutile: il sacro, l'ideale, la gratuità, il valore, l'onore, la bellezza spirituale, la ribellione: il tesoro millenario della letteratura, da Omero a Borges. Il primato totalitario del profitto non ha niente a che fare col liberalismo che conosco io, quello di Benedetto Croce, Panfilo Gentile, Salvador De Madariaga. È in realtà un feticcio, un idolo, un Vitello d'Oro senza nessun Mosè in vista pronto ad abbatterlo: una irresistibile forza disumanizzante. Il pericolo, senza un nuovo umanesimo per il XXI secolo, è che si corra verso un'era di uomini-macchina, in balia di piccoli desideri indotti dalla pubblicità (e non so ancora per quanto dai miserabili imbonitori elettronici detti influencer), un'era di esseri privi di carne, di anima, di sesso, di radici, di sogni, vacui consumatori di tempo libero, prodotti deperibili e altrettanto deperibili ideologie. Uno strumento di opposizione, di resistenza e forse di contrattacco rispetto alle forze dell'antiumanesimo è la voce legislatrice (anche se mai riconosciuta come tale) della poesia, quell'antico e attualissimo sistema di conoscenza dell'anima e dell'universo che chiamiamo letteratura. Per questo nel disegno dei dominatori tecnologici ed economici del mondo poesia e letteratura non devono valere più niente, non devono avere spazio né ascolto. O, come ho appreso interrogando Chat GPT, opere poetiche e narrative potranno essere prodotte, pulite e anestetizzate, dalla IA, «assolutamente sì». Non so se un disegno così riuscirà. Dico soltanto che se riuscirà, quando saranno abbattute le statue di Virgilio, Dante, Shakespeare, Michelangelo, Goethe, Beethoven, Voltaire, Tolstoj la civiltà europea sarà finita. A me questo disegno non piace, e sono disposto, cari lettori, ad avversarlo sino all'ultimo sangue. All'ultima pagina.
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Fabbricante di lacrime: un film che dire brutto è poco.
Cinici, darkettoni, detrattori del romanticismo e chi di voi un minimo s’intende di cinema, state lontani dal Fabbricante di lacrime, l’adattamento del best seller di Erin Doom su Netflix dal 4 aprile, perché probabilmente lo giudicherete ridicolo. Romanticoni e fanatici di fanfiction: lo troverete poetico ed emozionante. Non posso fare un diretto paragone con il libro originale perché, ça va sans dire, non lo ho letto (ma grazie al cielo esiste internet). Tuttavia, rintracciando la storia editoriale, non posso non citare l'assoluto successo ottenuto: Fabbricante di lacrime (edito da Salani) nel 2022 ha venduto mezzo milione di copie, imponendosi come il romanzo più venduto in Italia (!). Un Traguardo clamoroso, se si pensa che l'autrice, Erin Doom (nome d'arte e viso avvolto nel mistero, almeno fino al 2023, quando si è rivelata), si sia inizialmente auto-pubblicata, prima di venir "scoperta" da Salani. Il grande successo di Fabbricante di lacrime, secondo ciò che ho potuto rintracciare in rete, proviene dal passa parola, capace di viaggiare velocissimo su TikTok (e dove altrimenti?) tra i giovanissimi. Detto questo, e visti i numeri, ecco subito l'aggancio cinematografico: perché non farne un film? Detto fatto, ecco arrivare su Netflix l'adattamento diretto da Alessandro Genovesi e scritto insieme ad Eleonora Fiorini.
Fabbricante di lacrime: Caterina Ferioli durante una scena del film
Un adattamento che si lega al filone anglosassone del classico young-adult-drama-gotico-romantico però rivisto in chiave italiana (con un altro però: l'epoca di Twilight è sfortunatamente lontana). Un bel cortocircuito, in quanto la cornice di Fabbricante di lacrime è appunto quella tipica del Nord America (così viene immaginata da Erin Doom) con tanto di High School e nomi anglofoni. Se la letteratura non ha confini (perché è l'immaginazione a non averne), la forma filmica, invece, si scontra inevitabilmente con alcuni pre-concetti legati alla realtà (e al budget…). Soggetto, copione, regia, interpreti. In questo senso Fabbricante di lacrime finisce per scricchiolare notevolmente sotto una costante enfatizzazione della scena, delle performance e della storia, risultando eccessivamente iperbolico anche rispetto al contesto teen/young di cui fa lecitamente parte.
Fabbricante di lacrime, la trama: l'amore tra Nica e Rigel
Fabbricante di lacrime: Simone Baldassari (Rigel) in una scena del film
Ora, la trama: Fabbricante di lacrime ha per protagonista Nica (come la nica flavilla, farfallina arancione delle foreste pluviali), che fin da piccola è cresciuta nell'orfanotrofio Grave. In queste antiche mura, rigide, fredde, austere, Nica si è lasciata andare all'empatia (ama gli animali), nonostante le venga ripetuto quanto siano le regole le uniche cose importanti della vita. Dall'altra parte, all'interno del Grave, aleggia la leggenda del Fabbricante di Lacrime. Chi è? Una misterioso individuo che pare aver modellato la paura, avvicinandola ai sentimenti umani. Quella che sembra una favola, però, influenza tanto Nica quanto le altre ragazze dell'orfanotrofio. Almeno fin quando Nica viene adottata ad un passo della maggiore età( un miracolo della burocrazia).
Fabbricante di lacrime: una scena del film
Non sarà la sola, perché la famiglia che la ospita sceglie anche Rigel (come la stella beta della costellazione di Orione, non come il papà svitato di Venusia in Goldrake), tenebroso e fascinoso ragazzo (cliché a più non posso!) con cui Nica pare non aver nulla in comune. Figuriamoci una possibile convivenza famigliare. Però poi i loro sentimenti contrapposti finiranno per scontrarsi e, generando una tempesta (sì, c'è anche la solita scena sotto la pioggia), capiranno di essere parte integrante di un disegno passionale e rivelatorio.
Uno young adult eccessivamente caricato
Fabbricante di lacrime: Caterina Ferioli in una scena del film
Ma a chi parla, Fabbricante di lacrime? Un dettaglio non da poco: senza dubbio si rivolge a chi ben conosce il romanzo di Erin Doom, tramutando in carne ed ossa l'amore travagliato tra Nica e Rigel (un amore derivativo, e lastricato dagli stessi cliché). Quindi, un panorama ben idealizzato dalla produzione, e chiaramente conscio del materiale originale. Ma se (teoricamente) c'è una comunicazione con i fan del libro, dall'altra parte l'intero approccio filmico risulta ben poco fluido oltre che approssimato, costruendo un climax mai davvero tormentato, e anzi frutto di una continua sottolineatura: dialoghi forzati, scambi esagerati (quasi da aforismi).Per tutta la durata del film si susseguono citazioni esilaranti (o struggenti, a seconda del punto di vista) dalla fonte letteraria come “Il suo fascino velenoso era infestante”, “Io e lui eterni e inscindibili. Lui stella io cielo”, “Noi siamo rotti, siamo scheggiati. Certe cose non si possono riparare”, “È vero, ma forse ci siamo spaccati in mille pezzi solo per incastrarci meglio”.
Una ridondanza tanto nell'estetica quanto nelle interpretazioni di Caterina Ferioli, indecisa tra canalizzare Kristen Stewart o Kaya Scodelario, e in particolare di Simone Baldasseroni, lui perennemente costipato, caricano eccessivamente ogni parola del copione, lontani dalla fluidità che richiederebbe una messa in scena filmica risultando involontariamente ridicoli ma visto il materiale a disposizione difficile non esserlo. ridondante è anche il costante e incessante accompagnamento musicale, sia originale che non, che ammicca senza mai essere veramente ammalgamata all'interno della storia (si va da George Ezra ad Olivia Rodrigo e Billie Eilish, senza una naturale continuità).
Fabbricante di lacrime: Simone Baldassari, Caterina Ferioli in un'immagine
Più in generale, sia nel tono che nell'umore questo adattamento sembra essere la diretta traduzione delle pagine del romanzo, senza la sacrosanta re-interpretazione frutto del miglior adattamento possibile. Non faccio paragoni con le pagine di Erin Doom, tuttavia il discorso su Fabbricante di lacrime si può allargare ad un altro paragone: le piattaforme streaming, per i titoli originali, non sfidano quasi più il grande schermo, ma si affiancano alle produzioni del piccolo schermo, offrendo al pubblico lo stesso modus operandi tipico della televisione generalista: prodotto, prodotto, prodotto. E Fabbricante di lacrime ne è un altro lampante (e poco riuscito) esempio.
In conclusione Fabbricante di lacrime è un adattamento che cerca di ricalcare il grande successo del romanzo, finendo però a sfiorare i toni meno riusciti del teen-movie dagli umori gotici e tormentati. Dialoghi esagerati e svolte approssimative poco aiutano, così come la performance altalenante del cast. In questo senso, il film è un ulteriore esempio di quanto alcune produzione streaming puntino a competere con la tv generalista più che con il grande schermo.
Perché ci piace 👍🏻
…
Cosa non va 👎🏻
Chiaramente troppo ambizioso.
Risulta estremamente sconnesso.
La regia, mai incisiva.
I dialoghi, incredibilmente, ridicoli, enfatizzati e calcati da un cast non del tutto convincente.
P.S: rivoglio indietro i miei 105 minuti di vita persi a guardare questa treshata.
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Continuo la mia lettura di pura evasione: Studi leopardiani di Giovanni Mestica, un volume di circa 600 pagine edito nel 1901. Ricordo quando, a 14 anni, in un libro di letteratura semisquinternato e ingiallito di mia madre, incontrai per la prima volta la storia del figlio del Poeta. Oggi si preferisce dare del Leopardi l'immagine di un asessuale, onanista, vergine, impotente, gay (a scelta e in varie combinazioni). Gli Studi biografici, assai minuziosi e svolti sul campo dal Mestica, aprono invece "nuove" prospettive, a mio avviso più realistiche e plausibili. Volete che una persona intelligente, furba, manipolatrice, moralmente libera e assetata di conoscenza e di piacere come Leopardi, non abbia mai avuto l'ardire di toccare una donna? E non parlo di una donna prezzolata, ma di una ragazza che sembra gliel'abbia data per libera scelta (considerate le sue umili condizioni, forse qualche regalia, l'avrà pur gradita).
Il più rilevante mistero della vita fisica di Leopardi non riguarda la sua sepoltura, ma la sua discendenza biologica.
Gli Studi del Mestica sono preziosi e mi stanno fornendo conferma di alcune mie intuizioni. Non sono pretenziosi, tengono la lente d'ingrandimento ben vicina all'oggetto esaminato. Qualcuno mi dirà che sono superati e che dovrei leggere la nuovissima biografia di Raffaele Ascheri o, ancor meglio, stendere un velo sull'uomo Leopardi e considerarne solo l'opera, specie filosofica. Sono d'accordo su tutto. Ma, come disse Palazzeschi, protesto anch'io: "...E lasciatemi divertire!" 😀
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"C'è un certo taglio di luce" di Emily Dickinson: Un viaggio nella percezione della luce e dell’anima. Recensione di Alessandria today
La poetessa americana e il mistero della luce invernale
La poetessa americana e il mistero della luce invernale Emily Dickinson, nata il 10 dicembre 1830 ad Amherst, Massachusetts, è una delle più influenti poetesse della letteratura anglo-americana. Dall’animo introspettivo e riservato, trascorse gran parte della sua vita in solitudine nella casa paterna, dedicandosi alla scrittura di oltre 1.800 poesie, molte delle quali furono pubblicate solo dopo…
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Romanzi italiani del 900: racconti di un secolo di cambiamenti
I romanzi italiani del 900 hanno saputo catturare le sfumature della società, la politica, la cultura e le emozioni di un Paese che ha vissuto due guerre mondiali, profonde trasformazioni sociali e una rapida modernizzazione. Per questo motivo la letteratura italiana nel Novecento è un affascinante mosaico di stili, voci e storie che riflettono il tumultuoso periodo storico attraversato dall'Italia durante quel secolo. I primi anni del 900: il Futurismo Gli inizi del Novecento italiano hanno visto emergere il movimento futurista, che ha cercato di abbracciare il cambiamento e l'innovazione nella letteratura, nell'arte e nella società. Un esempio notevole di romanzi futuristi è "Zang Tumb Tumb" di Filippo Tommaso Marinetti, un'opera che sperimenta con la forma e il suono delle parole per esprimere l'entusiasmo per la modernità e la tecnologia. Questo movimento ha contribuito a gettare le basi per il modernismo letterario in Italia. I romanzi italiani del 900 e la Seconda Guerra Mondiale La Seconda Guerra Mondiale è stata un'incredibile fonte di ispirazione per gli scrittori italiani dell'epoca. - "Il giardino dei Finzi-Contini" (1962) di Giorgio Bassani narra la triste pagina della persecuzione degli ebrei. - "La casa in collina (1948) di Cesare Pavese analizza la guerra in quanto impegno storico e civile. - "Il sentiero dei nidi di ragno" (1947) è uno dei più bei romanzi sulla Resistenza. - "La ciociara" (1957) di Alberto Moravia rappresenta un'altra tragica pagina del conflitto: lo sbarco degli alleati Il dopoguerra, con tutte le difficoltà della ripresa economica, ha ispirato, invece, la nascita di una vera e propria corrente letteraria che ha coinvolto la letteratura e il cinema: il neorealismo. I romanzi neorealisti più emblematici sono: - "Ragazzi di vita" (1955) di Pier Paolo Pasolini; - "Una questione privata" (1963) di Beppe Fenoglio; - "Se questo è un uomo" (1947) di Primo Levi; - "La romana" (1947) di Alberto Moravia. I romanzi postmoderni Gli anni '60 hanno portato una nuova onda di romanzi italiani che riflettevano i cambiamenti sociali e culturali in corso. "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo nel 1958, ha catturato l'atmosfera di una società aristocratica in declino. Altro autore esemplare di questo periodo fu Leonardo Sciascia che con i suoi romanzi accese un faro sulla Sicilia e sul fenomeno della mafia. Ricordiamo "Il giorno della civetta", "A ciascuno il suo", "Il caso Majorana". Negli anni '70 e '80, l'Italia ha assistito a una rinascita letteraria con l'emergere di autori postmoderni come Umberto Eco, che ha scritto "Il nome della rosa" (1980), un romanzo che mescola storia, mistero e teologia. I romanzi che in una certa misura hanno segnato gli anni Novanta del Novecento sono "Castelli di rabbia" (1991), "Oceano mare" (1993), "Seta" (1996) di Alessandro Baricco. In copertina foto di Priscilla Du Preez 🇨🇦 su Unsplash Read the full article
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La fantasia è perfettamente rispettabile. È più: la maggior parte dei capolavori della letteratura potrebbe essere considerata fantastica o avere qualcosa di fantastico. (...) La gente parla di "letteratura rispettabile", ma non c'è motivo per tale distinzione. Voglio tutto ciò che può essere contenuto in un romanzo, dalla bellezza del linguaggio al mistero attraverso personaggi potenti e una buona storia.
Patrick Rothfuss
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Friedrich Nietzsche in compagnia della madre Franziska (1892)
2 aprile 1888: Friedrich Nietzsche era un viaggiatore un po’ distratto. Doveva arrivare a Torino, eppure si ritrovò a Sampierdarena, non lontano da Genova; aveva sbagliato treno, ecco tutto…ma un piccolo mistero rimane ancora oggi, visto che la sua valigia lo stesso giorno s’imbarcò educatamente sul vagone per il Piemonte.
Tre giorni dopo, comunque, il professore ritentò l’impresa sulla linea Alessandria-Asti-Torino e, questa volta, giunse a destinazione: gli apparve una città ammantata di luce purissima, dai viali silenziosi e splendidamente lastricati.
Proprio dietro Palazzo Carignano, l’edicolante Davide Fino vide il forestiero, tutto contento con la valigia in mano, e cercò di vendergli una guida turistica; si ritrovò, invece, ad affittargli una stanza nella sua stessa casa, all’ultimo piano di Via Carlo Alberto n.6, dove oggi si trova la lapide che ricorda il soggiorno torinese del filosofo.
Nietzsche rimase due mesi in città; in estate partì per la Svizzera e poi, a settembre, tornò qui per un soggiorno più lungo, che si rivelò fatale.
La targa che ricorda il soggiorno torinese del filosofo tedesco in via Carlo Alberto 6
Dodici anni prima, poco più che trentenne, la salute malferma lo aveva costretto a congedarsi dall’università di Basilea, dove insegnava lingua e letteratura greca; fu l’inizio di un’intensa attività di scrittura e peregrinazioni sempre più sofferte, in un “Gran Tour” europeo di cui rimane solamente un taccuino insignificante, con appuntati i prezzi di frutta e verdura.
Eppure, Torino gli apparve splendida:“…è l’unica città che mi piaccia. Un qualcosa di calmo e di superstite lusinga i miei istinti. Percorro con estasi queste vie dignitose…Un paradiso per i piedi, anche per gli occhi…Non avrei mai creduto che una città, grazie alla luce, potesse diventare cosi bella”.
Diverse lettere, indirizzate alla madre, al musicista Peter Gast e al teologo Overbeck, mostrano l’entusiasmo per Torino che, persa la corona da capitale, rimaneva comunque vivacissima: cinque quotidiani, venti giornali scientifici e quattordici letterari, oltre a numerose biblioteche internazionali.
A questa effervescenza culturale, però, Nietzsche prendeva raramente parte. Preferiva passeggiate solitarie lungo i viali di Corso Casale; pensava, forse, a Richard Wagner, il celebre compositore con cui si era interrotto, misteriosamente, il sodalizio spirituale; o pensava ancora a Lou Salomé, l’affascinante russa che avrebbe anche sposato se questa non avesse ammaliato, prima il suo migliore amico, Paul Rée, poi un giovane poeta, Reiner Maria Rilke, e successivamente persino Sigmund Freud.
Conduceva una vita riservata: di amici forse solo Carlo Clausen, editore tedesco che portò in Italia le dottrine orientali, quando erano ancora sconosciute.
Curiosamente, gli avvenimenti che lo interessavano di più erano gli stessi che entusiasmavano quella borghesia da lui tanto criticata: pare che alla fine dell’estate, trascorsa tra le montagne di Sils Maria, desiderasse tornare a Torino proprio per assistere, insieme ad oltre 70.000 persone, al matrimonio fra il duca Amedeo di Savoia e la principessa Letizia Bonaparte.
Curioso, per un personaggio ritenuto da tutti anticonformista; ma Nietzsche non era mai stato un “bohémien” ed, anzi, aveva sempre tenuto tantissimo a titoli, blasoni e frequentazioni altolocate.
Arrivò l’autunno: monotono, ma prolifico. C’era la sua scrivania, dove scrisse “Ecce Homo”, e c’era il pianoforte, che condivideva con Irene, la figlia dei suoi affittuari.
Poi, giorno dopo giorno, la sua grafia divenne sempre più nervosa e illeggibile; mentre nel suo cestino i coniugi Fino trovavano banconote stracciate, dalla vicina posta centrale, il filosofo cominciò a spedire biglietti in cui si considerava l’incarnazione di Vittorio Emanuele II, dell’architetto Antonelli o di altre celebrità dell’epoca; firmava le lettere come “il Crocifisso” o “l’Anticristo”.
Cominciò a confondere le notizie che apparivano sui giornali con quelle della sua vita quotidiana: vaneggiò che i sovrani d’Italia sarebbero andati a trovarlo nella sua stanza e poi, quando su “La Gazzetta Piemontese” apparve la notizia che uno spagnolo, accusato di omicidio, veniva condannato a morte, pensò di essere il carcerato stesso.
Il 3 gennaio 1889 avvenne la fine, forse un episodio più leggendario che veritiero.
Vedendo un vetturino che frustava a sangue un cavallo, Nietszche abbracciò e baciò l’animale, cadendo a terra e urlando di essere il nuovo Dioniso.
Lasciò Torino con la papalina di Davide Fino sulla testa, come pegno di un futuro incontro che mai avvenne. Morì il 25 agosto 1900 a Weimar, prigioniero della pazzia, presto trasformato in un mito.
I suoi scritti, rimaneggiati dalla sorella Elisabeth, conobbero un enorme successo e colpirono negli anni successivi Adolf Hitler.
Si convinse di essere l’ubermensch invocato dal filosofo per una nuova era. E, cosa ancor più folle, tanti lo seguirono. Ma non era il superuomo; era, anzi l’ultimo uomo, il peggior nichilista che avrebbe distrutto il mondo. L’ubermensch vagheggiato dal filosofo era diverso; il suo oltreuomo, avendo scoperto che Dio era morto, con la Filosofia del Martello avrebbe distrutto quei valori in cui l’Occidente faceva ancora finta di credere, libero di creare, come un fanciullo, nuovi valori.
“Ma chi sono i pazzi?”
-Fonte: Nietzsche a Torino
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L'uomo e il suo pensiero raramente coincidono...(cit)
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James Joyce: la parola e il mistero James Joyce morì nel freddo gennaio del... #FinnegansWake #flussodicoscienza #jamesjoyce #letteratura #Ulisse https://agrpress.it/james-joyce-la-parola-e-il-mistero/?feed_id=8979&_unique_id=678b84bb8c22e
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Dino Campana: la vita tormentata e l’eterno viaggio nella poesia
Dino Carlo Giuseppe Campana (Marradi, 20 agosto 1885 – Scandicci, 1° marzo 1932) è stato un poeta italiano che ha segnato un profondo solco nella letteratura del Novecento grazie alla sua opera intensa e visionaria. La sua produzione, spesso incentrata sulla poesia, rappresenta una fusione unica tra musica, colori e suoni, espressione di un animo irrequieto e travagliato.
Le origini e la giovinezza
Campana nacque a Marradi, un piccolo borgo situato nella Romagna fiorentina, il 20 agosto 1885. Figlio di Giovanni Campana, un insegnante remissivo, e di Francesca Luti, una donna dal carattere severo e affetta da disturbi compulsivi, Dino trascorse un’infanzia apparentemente tranquilla ma segnata da un rapporto complesso con la madre e dalla nascita del fratello minore Manlio. Sin dall’adolescenza, Dino manifestò i primi segni di disturbi nervosi, che avrebbero segnato profondamente la sua esistenza e la sua poesia.
Frequentò diverse scuole, tra cui il collegio dei Salesiani di Faenza e il liceo Baldessano di Carmagnola, dove conseguì la maturità nel 1903. Nonostante le difficoltà personali, proseguì gli studi universitari a Bologna e Firenze, dove si iscrisse prima a Chimica pura e poi a Chimica farmaceutica. Tuttavia, la sua irrequietezza lo spinse a intraprendere una vita errabonda, lontana dai binari tradizionali.
Il viaggio come metafora della poesia
La poesia di Dino Campana è intrisa del suo irrefrenabile desiderio di fuggire e scoprire il mondo. I suoi viaggi, sia reali che immaginari, sono al centro della sua opera. Durante la sua vita, si spostò in vari paesi europei e in Sud America, affrontando spesso situazioni difficili e vivendo ai margini della società. La poesia divenne per lui un mezzo per esprimere il suo rapporto conflittuale con la realtà e per esplorare le profondità della sua anima.
Nel 1907, Dino intraprese un viaggio in Argentina, probabilmente per sfuggire all’oppressione familiare e alla monotonia di Marradi. Questo viaggio, avvolto nel mistero, ha contribuito a creare il mito del “poeta dei due mondi”, anche se alcuni critici, come Giuseppe Ungaretti, hanno messo in dubbio la reale presenza di Campana in Sud America. Tuttavia, l’esperienza del viaggio rappresenta un tema centrale nella sua poetica, dove il movimento fisico si intreccia con un’esplorazione interiore.
L’opera: i “Canti Orfici”
La raccolta “Canti Orfici”, pubblicata nel 1914, è il capolavoro di Dino Campana e rappresenta una delle più alte espressioni della poesia italiana del XX secolo. Il titolo evoca gli inni orfici dell’antica Grecia e suggerisce un legame profondo tra poesia e mito. Nei “Canti Orfici”, Campana amalgama suoni, colori e immagini, creando una sinfonia di emozioni che riflette il suo tormento interiore.
Il manoscritto originale dell’opera, intitolato “Il più lungo giorno”, andò perduto dopo essere stato consegnato ai redattori della rivista Lacerba. Dino, disperato, riscrisse l’intera opera affidandosi alla memoria e alle bozze sparse, un processo che richiese un immenso sforzo mentale. Questo episodio evidenzia il legame viscerale tra Campana e la sua poesia, intesa come un atto di creazione e rinascita.
Nei “Canti Orfici”, la città di Genova assume un ruolo simbolico: il porto diventa il luogo del continuo movimento, delle partenze e dei ritorni, metafora della condizione umana e del viaggio esistenziale. La poesia, per Campana, è un mezzo per trascendere la contingenza e raggiungere una dimensione superiore, un percorso conoscitivo che coinvolge memoria, sensi e immaginazione.
La relazione con Sibilla Aleramo
Un altro capitolo significativo nella vita di Dino Campana è la sua relazione con la scrittrice Sibilla Aleramo. L’intensa corrispondenza tra i due, raccolta nel carteggio “Un viaggio chiamato amore”, testimonia una storia d’amore tormentata e appassionata. La loro relazione, durata dal 1916 al 1918, fu segnata da incomprensioni e tensioni, ma anche da una profonda condivisione intellettuale.
Nelle lettere, emerge il desiderio di Campana di essere compreso e accettato, ma anche la sua difficoltà nel gestire i rapporti umani. La poesia, ancora una volta, diventa l’unico strumento attraverso cui il poeta riesce a esprimere i suoi sentimenti e la sua visione del mondo.
Gli ultimi anni e la morte
Gli ultimi anni di Dino Campana furono segnati dal progressivo aggravarsi dei suoi disturbi psichiatrici. Dopo essere stato internato in vari ospedali psichiatrici, nel 1918 venne ricoverato presso l’ospedale di Castelpulci, vicino a Scandicci. Qui trascorse gli ultimi anni della sua vita, trovando una sorta di pace nella routine del manicomio.
Campana morì il 1° marzo 1932, probabilmente a causa di una setticemia. Le sue spoglie furono inizialmente sepolte nel cimitero di San Colombano, ma nel 1946 furono traslate nella chiesa di San Salvatore a Badia a Settimo. La sua figura è stata successivamente rivalutata da numerosi intellettuali, tra cui Eugenio Montale e Carlo Bo, che hanno riconosciuto l’importanza della sua poesia.
La poetica di Dino Campana
La poesia di Campana è caratterizzata da un linguaggio visionario e musicale, che mescola immagini potenti e simboli suggestivi. Il poeta cercava una “poesia europea musicale colorita”, capace di unire la tradizione latina con la speculazione filosofica e la cultura mitteleuropea. La poesia, per Campana, non era solo un’arte ma una via di conoscenza e redenzione, un mezzo per esplorare il rapporto tra l’uomo e il mondo.
La parola poetica si intreccia con i suoni e i colori della natura, creando un universo sensoriale in cui il vento, il mare e le attività umane si fondono in un’unica sinfonia. La poesia diventa un faro che illumina le tenebre dell’esistenza, guidando l’uomo verso una dimensione più alta.
Conclusione
Dino Campana rappresenta una figura unica nel panorama letterario italiano, un poeta che ha saputo trasformare il dolore e il tormento della sua vita in poesia. La sua opera, seppur limitata, continua a ispirare lettori e studiosi, dimostrando l’eternità del suo messaggio. La poesia, per Campana, non era solo un mezzo espressivo ma una vera e propria filosofia di vita, un viaggio senza fine verso la conoscenza e la bellezza.
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