#libri per crescere
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susieporta · 6 months ago
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La verità è che nessuno si regge più in piedi da solo, sulle proprie gambe. Nessuno regge più il dolore, la perdita, la frustrazione, l’attesa.
Insomma, le cose della vita.
Abbiamo bisogno di normalizzare i processi della vita: nascere, crescere, ammalarsi, ferirsi, invecchiare, morire.
Un tempo si moriva sazi di vita, appagati, senza rimpianto alcuno, in modo del tutto naturale.
Oggi si muore insoddisfatti, delusi e stanchi.
Il lutto non rientra più nelle categorie del vivente.
Abbiamo inventato questa parola: “elaborazione”, dimenticando che i lutti non si elaborano, ma si accolgono, come parti integranti dell’esistenza, tutt’al più si contemplano come espressioni mutevoli del flusso continuo della vita.
“Sii paziente verso tutto ciò
che è irrisolto nel tuo cuore
e cerca di amare le domande,
che sono simili a
stanze chiuse a chiave
e a libri scritti
in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte
che possono esserti date
poiché non saresti capace
di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa.
Vivere le domande ora.”
Aveva ragione Rilke.
Abbiamo disimparato il valore del piangere insieme, di condividere il pasto, dono gentile e premuroso gesto della vicina di casa, la sera, quando si raccontava ai bambini dove sta il nonno adesso, e si passava la carezza della mano piccola sul suo viso freddo e immobile, disteso sul letto.
I sogni facevano il resto, perché si aveva tempo per dormire e per sognare. E al mattino, appena svegli, per raccontare.
Così chi non c’era più continuava ad esserci, a contare, a suggerire, a consolare.
I morti stavano insieme ai vivi.
Complicato allora non è il lutto, ma il modo di viverlo, di trattarlo, come se fosse una malattia in cerca di una cura. Ma la vita non è un problema da risolvere.
Ancora Rilke. Piuttosto un mistero da sperimentare. Una quota di ignoto inevitabile che spinge lo sguardo oltre la siepe.
Chi ha ancora desiderio di quell’infinito che solo l’esperienza del limite può disvelare?
Oggi tutti reclamano il diritto alla cura della psiche, forse perché i medici del corpo non riescono a guarire certe ferite dell’anima.
Ma così si sta perdendo il valore della psicoterapia. Così si confonde la patologia con la fisiologia dell’esistente, che contempla nel suo lessico le voci: malattia, solitudine, sofferenza, perdita, vecchiaia, morte.
Qual è l’immagine del nostro tempo, che rappresenta il senso estetico dominante? Una enorme superficie levigata, perfetta, specchiante.
In questo modo, privata delle increspature, delle imperfezioni, del negativo, della mancanza, l’anima ha smarrito il suo luogo naturale, la sua origine, il respiro profondo della caducità, della provvisorietà, della fragilità del bene e del male.
Perché alla fine, tutto ciò che comincia è destinato a finire e l’unica verità che rimane è questo grumo di gioia che adesso vibra ancora nel cuore, qui e ora, in questo preciso istante, nonostante la paura, il disincanto, la sfiducia.
Non c’è salute dunque che non sia connessa alla possibilità di salvezza.
Alle nostre terapie manca quel giusto slancio evolutivo, che spinga lo sguardo oltre le diagnosi, i funzionamenti, i fantasmi che abitano nelle stanze buie della mente.
Un terapeuta non può confondere la luna con il dito che la indica.
Può solo indicare la direzione e sostenere il desiderio di raggiungerla.
Per questo ogni sera mi piace chiudere gli occhi del giorno con una poesia, ogni sera una poesia diversa, per onorare la notte con il canto dei poeti.
Perché la notte sa come mantenere e custodire tutti i segreti.
Perché le poesie assomigliano alle preghiere.
Dicono sempre cose vere.
Stanotte per esempio ho scelto questa:
“Si è levata una luna trasparente
come un avviso senza minaccia
una macchia di nascita in cielo
altra possibilità di dimora. E poi.
Siamo invecchiati.
Il volume di vecchiaia
è pesato sul tavolino delle spalle,
sugli spiccioli di salute.
Cos’è mai la stanchezza?
Le cellule gridano
chiamano l’origine
vogliono accucciarsi
nel luogo prima del nome
nello spazio che sta tra cosa e cosa
e non invade gli oggetti
li accarezza e li accalora.
Non smettere di guardare il cielo
ti assegna la precisa misura
fidati della vecchiaia
è un burattino redentore.
Dopo tanta aritmetica
la serenità dello zero.”
Chandra Candiani
Testo di Giuseppe Ruggiero
foto dal seminario " In Quiete". Introduzione alle costellazioni Familiari con Anna Polin
Gloria Volpato
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gregor-samsung · 3 months ago
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“ Disteso sul pagliericcio del carcere, mi sentivo a casa mia, dissi a Chiellino, nel sogno ora stavo bene, ma lui mi svegliò veramente dal bel torpore dell’ultimo sonno con le parole “La campagna si fa lunga”. Il carcere era per lui, come quella della Libia e del fronte italiano, un’altra campagna. Caddi dalla branda. Volli prendere lo straccio, non so se mi spettava, e se pure mi spettava, Chiellino in mia vece era già accoccolato e così, piegato sulle ginocchia, indietreggiava man mano che con lo straccio puliva il pavimento e la striscia bagnata arrivava ai suoi piedi. «No, no, deve venire uno specchio, tu lo lisci, devi calcare; calca forte» mi diceva Chiellino. Calcavo forte e nello sventagliare lo straccio due opposti pensieri, a destra e a sinistra, mi salivano in capo: perché dobbiamo pulirci noi il pavimento? Ecco l’origine della schiavitù. Giappone, perciò, non si abbassa mai, è lì che fischietta e sorveglia, da padrone: lui, ed anch’io, faremmo crescere la polvere dei mesi e degli anni, lui per protestare e chiedere il colloquio e dire al procuratore di provvedere con uno spazzino o con una guardia, io per richiudermi nello sdegno e nell’isolamento, per non darla vinta ai boia, ai comandanti, ai giudici: essi non ci hanno soltanto messi in galera per scacciarci dalle strade, ma così ottengono che ci avvezziamo all’umile ordine interno e che ricreiamo tra noi la gerarchia dei servizi, la necessità di una legge. Loro ci volano sopra, sorridenti e beati come il generale passa a cavallo a dire col mento, col mento suo e con quello del cavallo: “Bravi, voi siete il mio ordine e la mia volontà, il mio regolamento. Fra poco morirete da cani in battaglia; anche questo è previsto”. Noi siamo le pecore e i buoi dei macellai e dei proprietari di bestiame. Così essi mantengono la loro ragione sugli operai, sui contadini, sui pezzenti e il sempre nuovo annuncio del vangelo, ogni giorno e ogni domenica, ripete la legge degli uomini e ognuno dice a se stesso: “Io sono la via, la verità, la vita” e subito corre a comandare alla moglie, ai figli, al fratello più piccolo, al più debole di sé. Il pavimento si bagnava, potevo vedermi la faccia dentro e mi arrestai nel vederla. “
Rocco Scotellaro, L' uva puttanella-Contadini del Sud, Laterza (collana Universale, n° 4; prefazione di Carlo Levi), 1977⁴, pp. 79-80.
[Prime Edizioni originali, postume: Laterza (collana Libri del tempo), 1956-1954]
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kyda · 11 months ago
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buongiorno maledizione dovrò passare i prossimi sei mesi a comprare a rate, un libro al mese, tutti quelli di blackwater. mi sta piacendo troppo, ormai ho capito che ho una cosa per le saghe familiari, non posso ignorarlo, io vivo per affrontare la vita con i figli della prima generazione di cui conosco il passato e che ho visto nascere e crescere per uno-due libri prima ancora che diventassero coscienti e rilevanti nelle storie 😤😤 è per questo che mi sono piaciuti i libri di ken follett ed è per questo che mi è piaciuto la casa degli spiriti e la saga delle tidelands (anche se fino a un certo punto, ok) e non lo so e sicuramente qualche altro libro che per ora non mi viene in mente ma questo è il punto: i caskey ora sono parte di me. non starei qui di domenica mattina alle 8 a scriverlo dopo una sessione di ascolto di quasi due ore altrimenti 🤫
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intotheclash · 10 months ago
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L'inizio
“A poco a poco devi creare intorno a te una nebbia; devi cancellare tutto ciò che ti circonda, finché non si possa dare più nulla per scontato, finché più nulla è certo o reale…”
Questa frase, giunta chissà da dove, gli trapanò la testa in un nanosecondo e invase il suo cervello a ranghi compatti, come una falange dell’antica Roma.
Fortunatamente il foro prodotto permise anche alla musica, che proveniva dal potente impianto stereo poggiato sulla libreria, di entrare e ricamarsi il suo spazio, con un subitaneo effetto benefico.
“C’è un tempo per andare dritti giù all’inferno, c’è un tempo per tornare a saldare il conto…”
La musica e le parole che gli fecero drizzare i peli delle braccia e allargare il cuore, erano quelle della Gang, uno dei suoi gruppi preferiti. Il migliore nella vasta costellazione delle band italiane. Li aveva sempre amati, fin dal loro esordio, oramai molti anni prima. Li aveva ascoltati crescere, passo dopo passo, aveva approvato e condiviso senza riserve la scelta di passare dall’inglese all’italiano per la scrittura dei testi, anche se, lo sapeva con certezza, non sarebbero comunque mai arrivati a tutti con la dovuta forza. Peccato. E peccato anche non averli mai incontrati di persona. Chissà, forse le cose sarebbero potute andare diversamente. Chissà!
“Quando un uomo decide di fare una determinata cosa, deve andare fino in fondo, ma deve prendersi la responsabilità di quello che fa. Qualunque cosa faccia, deve prima sapere perché lo fa e poi deve andare avanti con le sue azioni senza dubbi o rimorsi…”
Queste invece erano le parole del Libro. Dischi e libri insieme. Mescolati tra loro, impastati col suo stesso sangue, a formare un unico corpo con la consistenza del cemento armato e l’elasticità di una tela di ragno.
A ciò stava pensando l’uomo intento a radersi, ben piantato di fronte allo specchio del bagno. E radersi, per lui, non era una semplice operazione quotidiana di pulizia, che so, come lavarsi i denti o farsi la doccia,ma un vero e proprio momento catartico, una pulizia, vero, ma quasi più interiore che esteriore. Del resto anche la stanza da bagno somigliava più ad un luogo di meditazione e purificazione, piuttosto che al luogo che tutti conosciamo e vogliamo che rimanga. Era amplissima e luminosa, bianca, completamente bianca, muri, maioliche, sanitari, cornice dello specchio e la lunga mensola che correva su tre lati delle pareti: tutto rigorosamente bianco. Le uniche concessioni al colore e che davano carattere al luogo erano: la sedia a dondolo in bambù ed una stampa raffigurante l’Urlo di Munch; poste una di fronte all’altra.
“Bruciami l’anima, fammi ridere il sangue nel cuore, bruciami l’anima…”
Questo era il disco.
“C’è di male che una volta che ti conoscono, tu sei una cosa data per scontata e, da quel momento in avanti, non sarai più capace di rompere i legami dei loro pensieri. Io personalmente amo la libertà ultima di essere sconosciuto…”
Questo invece era il libro.
“E passala sta cazzo de palla, Salvato'! E’ vero che l’hai portata tu, ma ci dobbiamo giocare tutti! Cazzo!”
Questa era una voce nuova! E non proveniva né dal libro, né dal disco.
L’uomo terminò di radersi, si risciacquò il viso con abbondante acqua fresca e si affacciò sul vicolo sottostante. Un gruppo di una decina di ragazzini stava giocando al calcio in strada. Era una partita vera, cinque contro cinque, chi arriva prima ai dieci goal segnati, e i maglioni gettati in terra erano le porte regolamentari. La scena lo commosse e lo riportò indietro nel tempo, in un’altra galassia. Anche lui, secoli prima, era stato uno di quei monelli e si era battuto come un leone con i suoi coetanei, nei vicoli del suo paese, così simili a quelle vie della vecchia Roma che, in senso lato, erano diventate la sua nuova dimora.
Ma non aveva tempo per affogare nel miele dei ricordi. Con uno schiocco della lingua li ricacciò indietro e tornò alle sue faccende. Ammirò per l’ultima volta allo specchio il suo lavoro, approvò con un accenno di sorriso il disegno perfetto del pizzetto e si passò ripetutamente il palmo della mano sui corti capelli neri a spazzola. Gli sarebbe piaciuto rasarli a zero, lo aveva anche fatto tempo prima, molto tempo prima, ma si era accorto che dava troppo nell’occhio. Troppe persone lo notavano e non poteva permetterselo; così aveva optato per quel taglio anonimo.
Era vero che, negli ultimi due o tre anni, i pelati erano tornati di moda ed erano cresciuti in maniera esponenziale. E anche se le teste rasate erano ancora ben lungi dal raggiungere il numero delle teste di cazzo, si poteva tranquillamente affermare che la forbice si era ristretta.
Andò in camera ed iniziò a vestirsi. Erano le otto di sera di un bel sabato di fine settembre. L’aria era fresca e pulita e lui aveva un appuntamento cui non poteva mancare. Indossò il suo impeccabile vestito nero, comode ed eleganti scarpe di pelle, anch’esse nere, infilò la pattada sarda nella tasca interna della giacca e fece poi scivolare la sua trentotto special nella fondina ascellare perfettamente nascosta dal taglio dei suoi abiti. Infine spense la luce ed uscì in strada. Il lupo era sceso dalla montagna. La caccia era iniziata.
“Il mondo è un luogo misterioso. Specialmente al tramonto.”
Era di nuovo il libro a far udire la propria voce.
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raffaeleitlodeo · 1 year ago
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La controrivoluzione delle élite di cui non ci siamo accorti: intervista a Marco D’Eramo - L'indipendente on line
Fisico, poi studente di sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, giornalista di Paese Sera, Mondoperaio e poi per lungo tempo de il manifesto. Marco D’Eramo ha di recente pubblicato il saggio Dominio, la guerra invisibile contro i sudditi (ed. Feltrinelli, 2020), un libro prezioso che, con uno stile agevole per tutti e dovizia di fonti, spiega come l’Occidente nell’ultimo mezzo secolo sia stato investito di una sorta di rivoluzione al contrario, della quale quasi nessuno si è accorto: quella lanciata dai dominanti contro i dominati. Una guerra che, almeno al momento, le élite stanno stravincendo e che si è mossa innanzitutto sul piano della battaglia delle idee per (ri)conquistare l’egemonia culturale e quindi le categorie del discorso collettivo. Una chiacchierata preziosa, che permette di svelare il neoliberismo per quello che è, ovvero un’ideologia che, in quanto tale, si muove attorno a parole e concetti chiave arbitrari ma che ormai abbiamo assimilato al punto di darli per scontati, ma che – una volta conosciuti – possono essere messi in discussione.
Ci parli di questa rivoluzione dei potenti contro il popolo, cosa è successo?
Nella storia i potenti hanno sempre fatto guerra ai sudditi, se no non sarebbero rimasti potenti, questo è normale. Il fatto è che raramente i sudditi hanno messo paura ai potenti: è successo nel 490 a.C., quando la plebe di Roma si ritirò sull’Aventino e ottenne i tribuni della plebe. Poi, per oltre duemila anni, ogni volta che i sudditi hanno cercato di ottenere qualcosa di meglio sono stati brutalmente sconfitti. Solo verso il 1650 inizia l’era delle rivoluzioni, che dura circa tre secoli, dalla decapitazione di re Carlo I d’Inghilterra fino alla rivoluzione iraniana, passando per quella francese e quelle socialiste. Da cinquant’anni non si verificano nuove rivoluzioni.
E poi cosa è successo?
Con la seconda guerra mondiale le élite hanno fatto una sorta di patto con i popoli: voi andate in guerra, noi vi garantiamo in cambio maggiori diritti sul lavoro, pensione, cure, eccetera. Dopo la guerra il potere dei subalterni è continuato a crescere, anche in Italia si sono ottenute conquiste grandiose come lo statuto dei Lavoratori, il Servizio Sanitario Nazionale ed altro. A un certo punto, le idee dei subordinati erano divenute talmente forti da contagiare le fasce vicine ai potenti: nascono organizzazioni come Medicina Democratica tra i medici, Magistratura Democratica tra i magistrati, addirittura Farnesina Democratica tra gli ambasciatori. In Italia come in tutto l’Occidente le élite hanno cominciato ad avere paura e sono passate alla controffensiva.
In che modo?
Hanno lanciato una sorta di controguerriglia ideologica. Hanno studiato Gramsci anche loro e hanno agito per riprendere l’egemonia sul piano delle idee. Partendo dai luoghi dove le idee si generano, ovvero le università. A partire dal Midwest americano, una serie di imprenditori ha cominciato a utilizzare fondazioni per finanziare pensatori, università, convegni, pubblicazioni di libri. Un rapporto del 1971 della Camera di Commercio americana lo scrive chiaramente: “bisogna riprendere il controllo e la cosa fondamentale è innanzitutto il controllo sulle università”. Da imprenditori, hanno trattato le idee come una merce da produrre e vendere: c’è la materia prima, il prodotto confezionato e la distribuzione. Il primo passo è riprendere il controllo delle università dove la materia prima, ovvero le idee, si producono; per il confezionamento si fondano invece i think tank, ovvero i centri studi dove le idee vengono digerite e confezionate in termini comprensibili e affascinanti per i consumatori finali, ai quali saranno distribuiti attraverso giornali, televisioni, scuole secondarie e così via. La guerra si è combattuta sui tre campi della diffusione delle idee, e l’hanno stravinta.
Quali sono le idee delle élite che sono divenute dominanti grazie a questa guerra per l’egemonia?
La guerra dall’alto è stata vinta a tal punto che non usiamo più le nostre parole. Ad esempio, la parola “classe” è diventata una parolaccia indicibile. Eppure Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del mondo, lo ha detto chiaramente: «certo che c’è stata la guerra di classe, e l’abbiamo vinta noi». O come la parola “ideologia”, anche quella una parolaccia indicibile. E allo stesso tempo tutte le parole chiave del sistema di valori neoliberista hanno conquistato il nostro mondo. Ma, innanzitutto, le élite sono riuscite a generare una sorta di rivoluzione antropologica, un nuovo tipo di uomo: l’homo economicous. Spesso si definisce il neoliberismo semplicemente come una versione estrema del capitalismo, ma non è così: tra la teoria liberale classica e quella neoliberista ci sono due concezioni dell’uomo radicalmente differenti. Se nel liberalismo classico l’uomo mitico è il commerciante e l’ideale di commercio è il baratto che si genera tra due individui liberi che si scambiano beni, nel neoliberismo l’uomo ideale diventa l’imprenditore e il mito fondatore è quello della competizione, dove per definizione uno vince e l’altro soccombe.
Quindi rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto siamo diventati un’altra specie umana senza accorgercene?
L’idea che ogni individuo è un imprenditore genera una serie di conseguenze enormi. La precondizioni per poter avviare un’impresa è avere qualcosa da investire, e se non ho capitali cosa investo? A questa domanda un neoliberista risponde: «il tuo capitale umano». Questa è una cosa interessantissima perché cambia tutte le nozioni precedenti. Intanto non vale l’idea del rapporto di lavoro come lo conoscevamo: non esiste più un imprenditore e un operaio, ma due capitalisti, dei quali uno investe denaro e l’altro capitale umano. Non c’è nulla da rivendicare collettivamente: lo sfruttamento scompare, dal momento che è un rapporto tra capitalisti. Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, nella logica dominante, un migrante che affoga cercando di arrivare a Lampedusa diventa un imprenditore di sé stesso fallito, perché ha sbagliato investimento. Se ci si riflette bene, la forma sociale che meglio rispecchia questa idea del capitale umano non è il liberalismo ma lo schiavismo, perché è lì che l’uomo è letteralmente un capitale che si può comprare e vendere. Quindi non credo sia errato dire che, in verità, il mito originario (e mai confessato) del neoliberismo non è il baratto ma lo schiavismo. Il grande successo che hanno avuto i neoliberisti è di farci interiorizzare quest’immagine di noi stessi. È una rivoluzione culturale che ha conquistato anche il modo dei servizi pubblici. Per esempio le unità sanitarie locali sono diventate le aziende sanitarie locali. Nelle scuole e nelle università il successo e l’insuccesso si misurano in crediti ottenuti o mancanti, come fossero istituti bancari. E per andarci, all’università, è sempre più diffusa la necessità di chiedere prestiti alle banche. Poi, una volta che hai preso il prestito, dovrai comportarti come un’impresa che ha investito, che deve ammortizzare l’investimento e avere profitti tali da non diventare insolvente. Il sistema ci ha messo nella situazione di comportarci e di vivere come imprenditori.
Ritiene che l’ideologia neoliberista abbia definitivamente vinto la propria guerra o c’è una soluzione?
Le guerre delle idee non finiscono mai, sembra che finiscano, ma non è così. Se ci pensiamo, l’ideologia liberista è molto strana, nel senso che tutte le grandi ideologie della storia offrivano al mondo una speranza di futuro migliore: le religioni ci promettevano un aldilà di pace e felicità, il socialismo una società del futuro meravigliosa, il liberalismo l’idea di un costante miglioramento delle condizioni di vita materiali. Il neoliberismo, invece, non promette nulla ed anzi ha del tutto rimosso l’idea di futuro: è un’ideologia della cedola trimestrale, incapace di ogni tipo di visione. Questo è il suo punto debole, la prima idea che saprà ridare al mondo un sogno di futuro lo spazzerà via. Ma non saranno né i partiti né i sindacati a farlo, sono istituzioni che avevano senso nel mondo precedente, basato sulle fabbriche, nella società dell’isolamento e della sorveglianza a distanza sono inerti.
Così ad occhio non sembra esserci una soluzione molto vicina…
Invece le cose possono cambiare rapidamente, molto più velocemente di quanto pensiamo. Prendiamo la globalizzazione: fino a pochi anni fa tutti erano convinti della sua irreversibilità, che il mondo sarebbe diventato un grande e unico villaggio forgiato dal sogno americano. E invece, da otto anni stiamo assistendo a una rapida e sistematica de-globalizzazione. Prima la Brexit, poi l’elezione di Trump, poi il Covid-19, poi la rottura con la Russia e il disaccoppiamento con l’economia cinese. Parlare oggi di globalizzazione nei termini in cui i suoi teorici ne parlavano solo vent’anni fa sembrerebbe del tutto ridicolo, può essere che tra vent’anni lo sarà anche l’ideologia neoliberista.
Intanto chi è interessato a cambiare le cose cosa dovrebbe fare?
Occorre rimboccarsi le maniche e fare quello che facevano i militanti alla fine dell’Ottocento, ovvero alfabetizzare politicamente le persone. Una delle grandi manovre in questa guerra culturale lanciata dal neoliberismo è stata quella di ricreare un analfabetismo politico di massa, facendoci ritornare plebe. Quindi è da qui che si parte. E poi bisogna credere nel conflitto, progettarlo, parteciparvi. Il conflitto è la cosa più importante. Lo diceva già Machiavelli: le buone leggi nascono dai tumulti. Tutte le buone riforme che sono state fatte, anche in Italia, non sono mai venute dal palazzo. Il Parlamento ha tutt’al più approvato istanze nate nelle strade, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Lo Statuto dei Lavoratori non è stato fatto dal Parlamento per volontà della politica, ma a seguito della grande pressione esterna fatta dai movimenti, cioè dalla gente che si mette insieme. Quindi la prima cosa è capire che il conflitto è una cosa buona. La società deve essere conflittuale perché gli interessi dei potenti non coincidono con quelli del popolo. Già Aristotele lo diceva benissimo: i dominati si ribellano perché non sono abbastanza eguali e i dominanti si rivoltano perché sono troppo eguali. Questa è la verità.
[di Andrea Legni]
https://www.lindipendente.online/2023/11/01/la-controrivoluzione-delle-elite-di-cui-non-ci-siamo-accorti-intervista-a-marco-deramo/?fbclid=IwAR0J1ttaujW9lXdoC3r4k5Jm46v3rQM_NMampT4Sd_Q-FX4D-7TFWKXhn3c
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sehnsucht-99 · 2 years ago
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Spiegherei l'amore a un bambino portandolo a osservare un campo di fiori. Amare qualcuno implica avere impegno e costanza proprio come fanno gli amanti dei fiori che tutte le mattine vengono qui per annaffiare i fiori che amano. No! Cosa fai! I fiori non devono essere strappati al loro prato, seppur ne sei innamorato, loro hanno bisogno della loro libertà per poter crescere, non comportarti come un collezionista di fiori. I collezionisti di fiori sono i peggiori, amano così tanto i fiori che li strappano per poi custodirli in quei orrendi libri chiamati erbari. Tra quelle pagine i fiori appassiranno fino a morire, proprio come fa il cuore di una persona che tu vuoi possedere anziché voler amare. Chi comprende questo allora avrà compreso cos'è Amore.
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donaruz · 1 year ago
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Ma tutto quest'odio dove lo mettete?
Avete armadi
borsoni
valigie
credenze
cantine
dove stiparlo?
Come fate a odiare così tanto?
State contaminando tutti
state imbruttendo le meraviglie
che stavano nei cuori
nelle teste delle persone
state corrodendo le parole
i libri
i giornali
le canzoni
i racconti dei nonni
state ripercorrendo gli incubi dei superstiti
calpestando ideali
togliendo la vita
ad anni di progresso sociale
culturale
umano
umanistico
siete i campioni d'odio
avete il primo posto
sul podio
di chi vuol male.
Come fate a far entrare tutto
quel rancore
la frustrazione
gli insulti
dentro le vostre bocche
sulle vostre lingue
senza perdere la voce
senza soffrire di disturbi di coscienza
come fare a crescere un figlio
insegnandogli l'ignoranza?
Non vi siete accorti
che il mare piange
la terra brucia
gli alberi stramazzano
le persone vagabondano
e i bambini
persino loro
non hanno più molto da immaginare
il mondo che abitate
è anche nostro
le persone che incontrate
siamo anche noi
e non ci lasciate più respirare
dovrebbero creare nei luoghi pubblici
le sale per odiatori
e non odiatori
ci state intossicando
ci state uccidendo
ci state mortificando
col fuoco armato
del vostro odiare.
(Simone Carta - da "Appesi a un feeling: Se non sai come dirlo, fallo con una poesia")
Immagine: Dipinto di Álex Alemany
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fridagentileschi · 1 year ago
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ANCHE LA CASA NELLA PRATERIA NELLA LISTA NERA
Nell'elenco idiota degli idioti finti antirazzisti anche la bellissima serie ''la casa nella prateria'' e i libri di Laura Ingalls Wilder a cui la serie e' ispirata. E perche'? Forse perche' le vite dei bianchi sono politicamente scorrette? O perche' lo e' famiglia?
La famiglia Ingalls e' molto unita, molto cristiana, ogni storia e' un messaggio che da valore ai valori,tutte le puntate sono insegnamenti d'amore che nascono nella famiglia per essere moneta corrente nella societa', in alcuni episodi ci sono anche personaggi neri e indiani: viene denunciata l'ingiustizia dell'epoca nei loro confronti ( 1870-1890), ingiustizia a cui gli Ingalls si sottraggono. Ho letto un bellissimo articolo di Melissa Gilbert ( Laura Ingalls nella serie) in cui ammette il suo stupore nel duro attacco alla serie..forse affermare che la famiglia e la spiritualita' sono valori non derogabili e' politicamente scorretto..come affermare che il sole sorge ogni mattina. Il grande scrittore Gilbert K. Chesterton fu un profeta quando disse che si sarebbe dovuto sguainare la spada per osservare che l’erba è verde in primavera.
L’Occidente terminale ha trovato il suo nemico definitivo, l’ultimo da sgominare, la famiglia appunto, con tutti i principi esistenziali, comunitari e morali che rappresenta. Sarebbe più esatto affermare che il nemico del progressismo trasversale – nato a sinistra, pagato a destra, che rappresenta, per disgrazia, l’asse delle società postmoderne- è la natura. L’attacco vero, assoluto, è infatti contro l’impero della natura, il creato dei credenti. Nulla di ciò che ha disposto è approvato dal transumano contemporaneo. I bambini non devono avere un padre e una madre, addirittura non è bene che si distinguano tra maschietti e femminucce; la sessualità tra uomo e donna è solo uno tra i tanti “orientamenti”, il più fastidioso, giacché porta a nascite indesiderate. Chi crede nella famiglia “tradizionale “(a proposito, non cadiamo nella loro trappola, quel modello non è tradizionale, ma naturale!) è uno sfigato.
I toni utilizzati dal nemico che ci vuole distruggere, nemico è chi il nemico fa, sono talmente volgari, disgustosi e sovreccitati da ricordare un pessimo intellettuale del dopoguerra, Ugo Vittorini. Un suo libro sulla resistenza si intitolava Uomini e no. A questo siamo tornati, la qualità di essere umano è revocata senza appello a chi non la pensa come loro. L’intera armata progressista è ormai intrisa dei peggiori istinti che attribuisce all’ odiato Altro. Sono razzisti etici, suprematisti, poiché la loro ragione è unica, autoevidente, non ha bisogno di dimostrazione, tanto meno di abbassarsi alla discussione. I signori del progresso stanno lasciando nelle nostre mani una battaglia fondamentale, per nulla confessionale, anzi laicissima. Le idee di famiglia e di matrimonio sono un elemento centrale dell’ingresso delle comunità umane nella civiltà. Distruggerle significa regredire di migliaia di anni, uscire dal recinto della legge – altra conquista della civilizzazione – e precipitare negli istinti, nella giungla del “poliamore” caro a mondialisti .
I figli sono prodotti da ordinare sul mercato, statura, colore della pelle, sesso, pardon genere. Osceni cataloghi sono disponibili in rete, ma i nazisti non sono loro, i caini antiumani del progresso, bensì chi richiama all’accoglienza della vita, chi smaschera lo schiavismo sessuale, la compravendita di ovuli e sperma, la riduzione zoologica dell’uomo, pratiche come l’utero in affitto che avrebbero fatto indignare Karl Marx. Presto avremo le nozze a tempo, il problema è come fare con i figli. Ma esiste la soluzione: possono essere affidati a cooperative, comuni collettive o allo Stato, imponendo di non farli crescere secondo istinto biologico naturale. Essenziale è che si estirpi la famiglia: totalitarismo disgustoso mascherato da emancipazione.
In tutto questo orrore una serie il cui perno e' la famiglia e' da debellare, censurare, abbattere,insieme alle statue, ai simboli, e all'occidente tutto. Ma noi paladini della civilta' non staremo a guardare inerti, noi combatteremo per difendere la famiglia, i bambini, e la vita: la vera vittima della tagliola del politicamente corretto e del mondialismo.
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Essere mamme mica è facile. Non ti danno le istruzioni, non ti dicono cosa è giusto o cosa no, non ti fanno dei corsi. Al massimo ti spiegano come partorire, e anche quello mica ci serve troppo. O come allattare, e poi tanto va come deve andare. 
Perché è proprio così, puoi anche pensare di saperle, le cose, di aver letto dei manuali, di aver ricevuto i migliori consigli, di aver studiato nelle migliori università, ma quando poi sei tu, con quell’essere tutto nuovo, si azzera tutto, i libri non servono, i dogmi trovano il tempo che trovano e i consigli ti sembrano sempre sbagliati, e sempre troppo vicini alle critiche. 
Non è facile capire quando un neonato ha fame, ha sete, ha sonno, è stanco o ha bisogno di coccole. )
Ci possono dire quello che vogliono, che basta osservarli, ma la verità è che in preda agli ormoni, e con la fatica, il sonno, i kg di troppo,
come si fa ad osservare, semplicemente? 
Non è facile quando crescono e ci mettono di fronte a nuove sfide, a nuove paure, a nuove domande. Quando ci dobbiamo staccare da loro e non vorremmo, quando ci dobbiamo staccare da loro e non vorrebbero. 
Non è facile essere mamme quando la notte è dolce e amara, è riparo e voglia di fuggire, è bisogno di dormire e bisogno di contemplare.
Non è facile nemmeno quando ti dicono che in fondo l’hai voluto, questo figlio, ed ora di cosa ti lamenti? Non è facile trovare sempre le parole giuste, mantenere il sorriso, non perdere la pazienza, non chiudersi in camera infilando la testa sotto al cuscino. 
Quando ti dicono che non dovresti sgridarlo, che dovrebbe mangiare diversamente, che non ci passi troppo tempo, che ci passi troppo tempo, che è viziato, che non lo stimoli abbastanza, che comunque fai qualcosa che non va c’è sempre, in quei momenti ti rendi conto che
fare la mamma sì, è difficile.
Perché fare la mamma comprende un milione di cose, tra cui nutrire, lavare, coccolare, aiutare, sostenere, capire, divertire, disinfettare, ricucire, colorare, studiare, comprende tutte queste cose insieme e nemmeno i premi Nobel sono capaci di fare tutte queste cose, a meno che non siano mamme. 
Essere mamme non è facile per niente e potranno dirci quello che vogliono, che il nostro non è un lavoro, che in fondo lo fanno tutte le donne del mondo, che abbiamo aiuti… Ma solo una mamma sa quanto è difficile svegliarsi ogni giorno con la consapevolezza di dover crescere un essere umano, di pensare ad ogni singola cosa lo riguardi, dalla bottiglietta dell’acqua alle scarpe, dal disegno per le maestre al regalo per l’amico, dall’appuntamento con la pediatra al corso di nuoto. 
Essere mamme non è per niente facile, ma è il mestiere (non pagato) più bello che si possa immaginare ,ed io non lo cambierei con niente al mondo.
Pensieri a riguardo ?
Ditemi la vostra opinione ❤️
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canesenzafissadimora · 1 year ago
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Ma tutto quest'odio dove lo mettete?
Avete armadi
borsoni
valigie
credenze
cantine
dove stiparlo?
Come fate a odiare così tanto?
State contaminando tutti
state imbruttendo le meraviglie
che stavano nei cuori
nelle teste delle persone
state corrodendo le parole
i libri
i giornali
le canzoni
i racconti dei nonni
state ripercorrendo gli incubi dei superstiti
calpestando ideali
togliendo la vita
ad anni di progresso sociale
culturale
umano
umanistico
siete i campioni d'odio
avete il primo posto
sul podio
di chi vuol male.
Come fate a far entrare tutto
quel rancore
la frustrazione
gli insulti
dentro le vostre bocche
sulle vostre lingue
senza perdere la voce
senza soffrire di disturbi di coscienza
come fare a crescere un figlio
insegnandogli l'ignoranza?
Non vi siete accorti
che il mare piange
la terra brucia
gli alberi stramazzano
le persone vagabondano
e i bambini
persino loro
non hanno più molto da immaginare
il mondo che abitate
è anche nostro
le persone che incontrate
siamo anche noi
e non ci lasciate più respirare
dovrebbero creare nei luoghi pubblici
le sale per odiatori
e non odiatori
ci state intossicando
ci state uccidendo
ci state mortificando
col fuoco armato
del vostro odiare.
Tumblr media
Simone Carta
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infugacolbarone · 1 year ago
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Tumblr media
Sarà un caso ma i romanzi, le poesie e i racconti che ci propina la professoressa Berti sono tutti di scrittori morti da una vita. Dante Alighieri, Petrarca e quell’altro di cui mi sfugge il nome sono del 1300 o giú di lí. Alessandro Manzoni, 1873. Giacomo Leopardi, 1837. Ugo Foscolo, 1827. Per dire: sui libri non c’è nemmeno la foto di questa gente qua! Come fai a capirli, ad appassionarti a loro, a quello che hanno scritto? Io, dirò un’eresia, lo so, ma trovo piú interessante la «Posta di Cioè» della Divina Commedia o dell’Infinito di Leopardi, che sarà anche una poesia immortale, ma dopo che l’ho letta e magari l’ho pure capita tutto finisce lí.
"Caro Cioè, è vero che per far crescere il seno bisogna mangiare molti funghi?"
"Caro Cioè, una curiosità: per fare l’amore bisogna essere nudi?"
Questo ho bisogno di sapere, ora. Non me ne può fregare di meno di quella benedetta siepe di Leopardi!
- Stefano Tofani, In fuga col Barone - Nel mondo di Calvino, Einaudi
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worldofdarkmoods · 2 months ago
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Questa è la storia di una ragazza che chiameremo Giulia. Una ragazza cresciuta in un ambiente che le ha insegnato, purtroppo, poco sull'amore e sulla fiducia. Dalla nascita, il suo mondo è stato un campo di battaglia tra i suoi genitori, una guerra senza vincitori, dove l'unica vittima era lei. Erano due persone troppo prese da se stesse, incapaci di vedere il dolore che stavano infliggendo alla figlia. Una situazione complicata, immersa in un conflitto che non le apparteneva. Suo padre, un uomo immaturo, incapace di assumersi responsabilità e ancora legato alla sua famiglia come un bambino, e l'ha segnata profondamente con il suo abuso. Sua madre, affetta da bipolarismo, viveva in balia dei suoi sbalzi d'umore, troppo concentrata sulle proprie sofferenze per preoccuparsi di Giulia. Entrambi avevano trasformato l'infanzia di Giulia in un inferno di cui lei non avrebbe mai voluto ricordarsi.
Così, la responsabilità di crescerla era ricaduta sulla nonna materna. Una donna forte, certo, che le aveva dato una casa e la sicurezza materiale, ma che non aveva saputo colmare il vuoto emotivo che Giulia si portava dentro. Nonostante fosse riconoscente alla nonna per tutto quello che aveva fatto, la loro relazione era fredda, distante. Era come vivere sotto lo stesso tetto con una sconosciuta. Giulia non aveva mai conosciuto la dolcezza e la comprensione, e ogni giorno dentro quella casa sembrava spegnersi sempre di più. 
Crescendo in quell'ambiente, senza l'amore e la guida di un genitore, senza mai sentirsi accolta o compresa, Giulia ha perso presto la fiducia negli altri e in se stessa. Non ha mai conosciuto la stabilità e la tranquillità. Le liti costanti tra i genitori, la freddezza della nonna, e l'indifferenza del mondo esterno hanno forgiato in lei una corazza fatta di sfiducia e paura. Si chiedeva continuamente: “Cosa ho fatto per meritare questo? Perché nessuno ha mai pensato a me?”.
Con un passato così travagliato, Giulia è cresciuta senza mai sapere cosa significasse la felicità. Non ha mai ricevuto l'amore che una bambina ha il diritto di ricevere, né la tranquillità che aiuta a sviluppare la fiducia in se stessi e negli altri. La sua infanzia e adolescenza erano state una continua lotta contro la solitudine e l'angoscia. Non aveva mai potuto contare su nessuno, nemmeno sugli amici o sui ragazzi che aveva incontrato lungo la strada.
Ricorda ancora il giorno in cui la sua migliore amica l'ha abbandonata per un ragazzo dopo anni di amicizia. Era l'ultima persona a cui Giulia si aggrappava con la speranza che, almeno lei, non l'avrebbe lasciata. Ma anche quella relazione si dissolse, come tante altre, e per Giulia fu come cadere in un baratro da cui non sarebbe più riuscita a risalire. Da quel momento, le cose cominciarono a peggiorare.
La fiducia, un concetto che per lei aveva sempre avuto confini sfumati, si frantumò completamente. Desiderava fidarsi di qualcuno, voleva sentire il calore di una presenza accanto a sé, ma non riusciva a lasciarsi andare. 
Giulia non sa cosa sia il vero amore. Le poche idee che ha derivano da libri o film, ma per lei l'amore è sempre rimasto un concetto lontano, qualcosa di irreale, come una favola che esiste solo per gli altri. L'idea dell'amore la spaventava e la affascinava allo stesso tempo. Le piaceva l'idea di avere qualcuno, di sentirsi amata e protetta, ma la paura del contatto fisico, la paura dell'intimità che l'abuso del padre aveva radicato in lei, la paralizzava. Ogni volta che qualcuno si avvicinava troppo, scattava un istinto di difesa, una barriera insormontabile che la isolava dal mondo.
Giulia non sapeva cosa fosse il vero amore, non sapeva nemmeno se esistesse davvero. Era circondata da esempi di relazioni tossiche, manipolative, distruttive. Sua madre e suo padre erano stati il modello peggiore, e la nonna, per quanto le avesse voluto bene, non era stata in grado di darle quell'affetto di cui aveva così disperatamente bisogno. Crescere in un ambiente così disfunzionale l'aveva lasciata confusa e spezzata. Ora, da giovane adulta, si chiedeva se fosse destinata a vivere sempre nella paura, senza mai sperimentare l'amore genuino.
Poi c’è il futuro. Quel pensiero la pesa come una montagna sulle spalle. Giulia ha paura di ciò che verrà perché nessuno le ha mai insegnato a credere in se stessa. Non ha mai ricevuto incoraggiamenti, non è mai stata spinta a seguire i suoi sogni. Anzi, i sogni non li ha mai avuti, perché è difficile sognare quando sei costantemente immersa in una realtà soffocante, dove non ti è mai permesso pensare a te stessa.
Il futuro, per lei, è un'enorme incognita. Nessuno le aveva mai dato fiducia, nessuno l'aveva mai spronata a credere nelle sue capacità o a sognare in grande. Così, aveva imparato a considerarsi "nessuno", una persona senza valore, senza scopo. L'idea di costruirsi una vita, di trovare la felicità, sembrava un sogno irraggiungibile. Si sentiva persa, senza una direzione, e più il tempo passava, più l'angoscia si faceva strada dentro di lei.
E poi c'è la paura più grande: quella di se stessa. Giulia ha sempre avuto pensieri oscuri, immagini di morte che le attraversano la mente come nuvole minacciose. Ha sempre temuto di cadere in una profonda depressione, di essere inghiottita da quel vuoto che sente dentro. Ma ora, più che mai, sente di essere arrivata al limite. Si guarda allo specchio e non si riconosce. Si sente vuota, come se nulla avesse più senso. Non ha più energie, non ha più speranze, e pensa sempre più spesso di voler sparire, di smettere di lottare contro un dolore che sembra non avere mai fine.
Giulia si sente come se la vita le fosse stata negata prima ancora di poterla vivere davvero. Ha sempre avuto paura di cadere, e ora si sente come se stesse già precipitando in un abisso da cui non riesce a uscire.
Il pensiero della morte cominciava ad essere una costante. Il dolore era insopportabile, il vuoto troppo profondo, e l'idea di sparire sembrava l'unica soluzione per porre fine a quel tormento. Non era tanto una volontà di farla finita, quanto piuttosto un desiderio di smettere di soffrire, di non dover più lottare contro le sue paure e le sue insicurezze.
Giulia si sentiva intrappolata in un corpo che non riconosceva, in una mente piena di pensieri oscuri. Non sapeva cosa fosse la felicità, non sapeva cosa significasse sentirsi vivi. Ogni giorno era una lotta contro se stessa, contro quel vuoto che la divorava dall'interno. E mentre il mondo intorno a lei continuava a girare, lei si sentiva sempre più invisibile, come se la sua esistenza non avesse più senso. 
Non sa cosa significhi essere felice, non sa cosa significhi amare o fidarsi, ma dentro di sé una piccola scintilla, quasi impercettibile, le dice che potrebbe esserci di più. Vorrebbe fidarsi di qualcuno, vorrebbe provare a credere che l'amore esista, che la vita possa essere diversa. Ma quella scintilla è soffocata dalle ombre del suo passato, dal dolore che ha subito, e dalla paura che nulla possa mai cambiare.
Ora Giulia si trova sospesa tra la voglia di sparire e quella di aggrapparsi a una speranza. Ma ogni giorno è più difficile. Si sente svuotata, spezzata, e teme che la sua vita, così come è sempre stata, non possa mai essere diversa. 
Eppure, in fondo al cuore, c'era una piccola parte di lei che desiderava ancora trovare un motivo per andare avanti, una scintilla che sperava di poter accendere. Ma quella scintilla era fragile, quasi invisibile, e Giulia non sapeva più se avrebbe mai trovato la forza per farla brillare.
-Anonimo🖤
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bibliotecasanvalentino · 1 year ago
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m2024a · 9 months ago
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https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/02/la-poesia-deve-alzare-le-proprie.html La poesia deve alzare le proprie barricate contro l'invasione dell'antiumanesimo Soltanto chi come me, o come qualcuno dei miei lettori, ama davvero la letteratura si rende conto, senza ipocrisia, che nella società odierna e per le attuali classi dirigenti la letteratura è diventata un impiccio, un residuato, qualcosa da portare in cantina a riempirsi di polvere. Oggi è, o sembra, tutto finito. Inutile ricordare agli uomini della politica e dell'economia, qualunque sia il loro colore politico, che se l'Italia non è rimasta una espressione geografica, ed è nata in quanto entità storica e statuale è stato soprattutto perché l'hanno sognata, preconizzata, amata i poeti, da Dante a Petrarca, da Foscolo a Manzoni al giovane Leopardi, da Carducci a D'Annunzio, da Ungaretti a Pasolini. Inutile ricordare che l'Italia è prima di tutto la sua lingua meravigliosa e dorata, è il suo patrimonio inesauribile d'anima, d'arte, di poesia, di musica. Sembra che sia chiaro soltanto tra i pochissimi grandi uomini rimasti in Italia, penso a Riccardo Muti. Sono venuti in odio i modelli eccellenti, erosi da un falso egualitarismo straccione, e dal dominio dei social, dove «uno vale uno» e il primo pirla può impunemente apostrofare un premio Nobel: fenomeno che condannò anche Umberto Eco, non sospettabile certo di simpatie per gli «apocalittici» nemici della modernità. La scuola, disastrata in maniera equanime da governi di sinistra e di destra sino all'abominio grillino dei banchi a rotelle, ha ridotto lo studio della letteratura a pochi autori, spesso soltanto del Novecento, ignorando i classici e il loro splendore e, di fronte ad ancora tanti bravissimi insegnanti, c'è sempre qualcuno (a volte ministri come il non rimpianto Franceschini) che preme per dare più spazio a fumettisti, saltimbanchi, cuochi, comici, rapper, trapper, cantautori, dj, influencer: seguendo pedissequamente ogni moda. Si è inventato il binomio scuola lavoro, come se l'insegnamento invece di formare prima di tutto esseri umani nella loro interezza dovesse formare pizzaioli, con tutto il rispetto per la categoria. Il lavoro della scuola era far crescere il sapere e l'anima del ragazzo, la sua comprensione di se stesso, della società, della storia, del mondo. E niente poteva farlo meglio di quell'antico ma sempre nuovo sistema di conoscenza che è la Letteratura. Niente formava di più e più in profondità che leggere poesie e romanzi, grandi strumenti di educazione al destino. Niente formava di più che il pensiero dei grandi, da Machiavelli a Galileo, da Vico a De Sanctis. Intendiamoci, non è che oggi non ci siano più quelli che scrivono poesie e romanzi. Ormai il 90 per cento degli italiani ha pubblicato un romanzo, i social diffondono a piene mani poesia, e chiamano poesia anche ogni incolpevole vagito e belato sentimentale. Ci sono in giro migliaia di sedicenti autori che scrivono tutti allo stesso modo, carino e insignificante, quasi sempre lontani da ogni scossa metafisica, da ogni senso del mistero, da ogni empito fantastico, e riducono il romanzo a qualche bella frase, a qualche trovata, o a tanto lacrimoso patetismo autobiografico. Eppure in questo mare magnum, dove nessuno distingue più niente da niente, ci sono ancora libri appassionanti e autori veri. Fiorisce la letteratura di genere, dove almeno persistono i temi eterni del male, della giustizia, della verità, e che il mercato premia (cosa che è vano vituperare): io leggo con piacere per esempio Donato Carrisi, e quando mi è capitato di conversare con Maurizio De Giovanni ho toccato con lui temi a me cari come il mito con più vivacità che con autori snobbetti e un po' premiati, magari usciti dalla celebratissima scuola Holden. Poeti veri e grandi, penso ad esempio a Milo De Angelis, esistono ancora. E ogni giorno ricevo testi di giovani che credono nella poesia e scrivono in cerca di nuove forme del vivere e di assoluto. Scrittori di alta qualità ci sono, Sandro Veronesi, Antonio Scurati, Eraldo Affinati, per esempio. E ci sono i critici, penso a Giorgio Ficara, a Alfonso Berardinelli, a Massimo Onofri, a Silvio Perrella, per altro saggisti e scrittori in proprio: ma esiste sempre di meno lo spazio editoriale e istituzionale per esercitare l'importantissimo compito della critica, vagliare la produzione letteraria, individuare i valori più forti, non transeunti, seguire gli autori, sostenere una tendenza. Oggi tutto è effimero, volatile, virtuale. Leggero: ma non si dica con criminale menzogna che è la leggerezza di Italo Calvino: tutt'al più è quella di Luciana Littizzetto. A cui preferisco le giovani tiktoker, che quando cinguettano innamorate di un titolo possono anche riservare sorprese, magari stanno rileggendo e rinverdendo un classico... Il vuoto è prima di tutto un vuoto sociale, culturale, spirituale. Ed è da connettersi al crollo dell'umanesimo, che dalla Firenze del Rinascimento sino all'esistenzialismo di Sartre e di Camus aveva innervato la cultura europea. Per molti esponenti del mondo intellettuale l'essere umano non è più al centro della società, l'essere umano intero, in carne ed ossa, con i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue debolezze, la sua follia, la sua capacità di ribellione, di autodeterminazione del proprio futuro. Ed è caduto a picco il senso della Tradizione, che è da modaioli imbecilli vedere come passato e polvere, mentre è conoscenza attiva e critica delle radici e insieme forza propulsiva per proseguire nella costruzione di una civiltà. La letteratura è stata a lungo il midollo spinale (l'espressione è di Jacques Attali) di una Nazione. E certamente di quella Europa che per primo Victor Hugo sognò come «Stati Uniti d'Europa». Senza letteratura, senza poesia, senza il primato dello spirito si configura una società non liquida, come vuole una celebre definizione sociologica, ma smidollata, un'Europa vaso di coccio tra le Potenze del nuovo ordine mondiale, prona di fronte alle insidiose idiozie nichiliste della cosiddetta cancel culture che ha soffiato dall'America in questi anni e alla fine si è rivelata una cultura della cancellazione, o del tentativo di cancellazione, guarda caso, proprio della parte gloriosa della cultura europea, oggi indifesa, incapace di reagire, di ritrovare l'orgoglio e l'amore di se stessa. Per la prima volta nella storia dell'umanità al vertice dei valori, come potere assoluto e incontestabile, è rimasta l'economia, declinata come finanza e profitto. E per la prima volta nella storia dell'umanità tutto il resto viene considerato un ingombro, qualcosa di attardato e inutile: il sacro, l'ideale, la gratuità, il valore, l'onore, la bellezza spirituale, la ribellione: il tesoro millenario della letteratura, da Omero a Borges. Il primato totalitario del profitto non ha niente a che fare col liberalismo che conosco io, quello di Benedetto Croce, Panfilo Gentile, Salvador De Madariaga. È in realtà un feticcio, un idolo, un Vitello d'Oro senza nessun Mosè in vista pronto ad abbatterlo: una irresistibile forza disumanizzante. Il pericolo, senza un nuovo umanesimo per il XXI secolo, è che si corra verso un'era di uomini-macchina, in balia di piccoli desideri indotti dalla pubblicità (e non so ancora per quanto dai miserabili imbonitori elettronici detti influencer), un'era di esseri privi di carne, di anima, di sesso, di radici, di sogni, vacui consumatori di tempo libero, prodotti deperibili e altrettanto deperibili ideologie. Uno strumento di opposizione, di resistenza e forse di contrattacco rispetto alle forze dell'antiumanesimo è la voce legislatrice (anche se mai riconosciuta come tale) della poesia, quell'antico e attualissimo sistema di conoscenza dell'anima e dell'universo che chiamiamo letteratura. Per questo nel disegno dei dominatori tecnologici ed economici del mondo poesia e letteratura non devono valere più niente, non devono avere spazio né ascolto. O, come ho appreso interrogando Chat GPT, opere poetiche e narrative potranno essere prodotte, pulite e anestetizzate, dalla IA, «assolutamente sì». Non so se un disegno così riuscirà. Dico soltanto che se riuscirà, quando saranno abbattute le statue di Virgilio, Dante, Shakespeare, Michelangelo, Goethe, Beethoven, Voltaire, Tolstoj la civiltà europea sarà finita. A me questo disegno non piace, e sono disposto, cari lettori, ad avversarlo sino all'ultimo sangue. All'ultima pagina.
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intotheclash · 1 year ago
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Il progetto l’ho già esposto altrove, ed è semplice. Mi basta da un massimo di duecento a un minimo di cinque specialisti preparati e volenterosi, e un mese di tempo, poi in Italia ci sarebbe il vuoto. E nemmeno con troppe perdite: diciamo una trentina, e nessuno dei nostri. Con trenta omicidi ben pianificati io ti prometto che farei il vuoto, in Italia. Ma il guaio è dopo, perché in quel vuoto si ficcherebbero automaticamente altri specialisti della dirigenza. Non puoi scacciarli perché questo è il loro mestiere, e si sono specializzati sugli stessi libri di quelli che dirigono adesso, ragionano con lo stesso cervello di quelli di ora, e farebbero le stesse cose. Lo so, sarebbero più onesti, dici tu, più seri, ma per ciò appunto più pericolosi. Farebbero crescere le medie, sul serio, la produttività, i bisogni mai visti prima. E la gente continuerebbe a scarpinare, a tafanarsi, più di prima, a dannarsi l’anima.
Luciano Bianciardi - La vita agra
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libero-de-mente · 8 months ago
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Ho un sogno
Non mi serve chiudere gli occhi per immaginarti, lo posso fare benissimo anche a occhi aperti.
Sogno il tuo sorriso. Sono così indifeso davanti a un tuo sorriso.
Quello di quando sei felice, ti si illuminano anche gli occhi, però mi ricordo anche quello di circostanza, mentre dentro sei sull'orlo di un precipizio.
Penso alle tue mani, alla sensibilità che sta nei loro palmi fino alle punte delle dita. Al fatto che cercando di intrecciare le tue mani con le mie, creavi una protezione per entrambi. La parte sensibile all'interno, il dorso delle mani all'esterno.
Serbo gelosamente il ricordo dei tuoi occhi. Ho letto molti libri, fino alla fine per poi riporli su uno scaffale, ma non riesco mai a smettere di leggere i tuoi occhi. Come ho visto molti cieli, molte stelle, ma non ho mai trovato qualcosa che potesse avvicinarsi a quello che vedo nei tuoi occhi.
Sono rimasto impresso dalla tua mente, il tuo pensiero. Quando metti in mostra il tuo cervello non c'è corpo che tenga. Lo spessore che dimostri di avere è incredibile, arrivi con i tuoi ragionamenti a grandi profondità, dove il mio cervello non ci arriva per mancanza di ossigeno. Dovendo risalire nella superficialità per "respirare".
Ammetto che il tuo corpo lo guardo, quando vuoi essere osservata. Quando lo permetti. Non ho mai visto nulla di così interessante in tutto il creato. Ho visto paesaggi mozzafiato, panorami spettacolari.
Ma insenature, rilievi, foreste, mari e laghi non mi hanno mai lasciato a bocca aperta come l'ammirare il tuo corpo.
Sei stata tante cose in vita, ti ho visto da giovane e poi crescere. Sei stata anche figlia, a volte senza genitori, sei stata anche madre, a volte senza figli, sei stata anche compagna, a volte in solitudine.
Ti hanno messo in condizioni d'inferiorità, ma hai lottato. Ti hanno inflitto umiliazioni, ma hai reagito. Hai raggiunto i vertici della scala sociale, spesso sapendo mantenere l'umiltà imparata nella sofferenza.
Non chiudo gli occhi per ricordarti, basta tenerli aperti e ti vedo. Ovunque tu sia, ovunque io mi trovi.
Perché al mondo ci sono davvero tante Donne. Io sono contento di vivere in un mondo deve esisti tu Donna, che rendi la vita una cosa meravigliosa.
Ho un sogno, quello di non doverti vedere più manifestare per ottenere un diritto, una Legge che ti protegga oppure difendere le tue scelte di vita.
Questo è un mio sogno. Da uomo sarò al tuo fianco.
Dedicato in particolare a donne che non ci sono più, a quelle che subiscono violenze in paesi dove sono merce di scambio, a quelle che imbracciano un fucile per la loro libertà e a quelle sfruttate come carne da macello. Che un giorno tutto questo finisca.
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