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Ogni albero è un poeta di Tiziano Fratus: un viaggio poetico nella natura. Recensione di Alessandria today
Tiziano Fratus, con Ogni albero è un poeta, ci conduce in un percorso di riflessione intima e poetica, esplorando il rapporto tra uomo e natura. Il sottotitolo, “Storia di un uomo che cammina nel bosco”, rivela l’anima del libro: un viaggio fatto di osser
La profonda connessione tra uomo e bosco Tiziano Fratus, con Ogni albero è un poeta, ci conduce in un percorso di riflessione intima e poetica, esplorando il rapporto tra uomo e natura. Il sottotitolo, “Storia di un uomo che cammina nel bosco”, rivela l’anima del libro: un viaggio fatto di osservazione, ascolto e immersione nella bellezza e nel mistero delle foreste. Pubblicato da Mondadori, il…
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LA SICILIA SECONDO VINCENT VAN GOGH
Nel febbraio del 1888, Vincent van Gogh lascia Parigi e si trasferisce in un piccolo paesino chiamato Arles nella solare Provenza. Se fino a qualche anno prima aveva dipinto meno di un centinaio di opere, al sole di Arles, Vincent trova la gioia della sua arte, producendo in meno di un anno più di trecento opere. Definisce il suo stile originale e sostituisce i colori oscuri e tenebrosi delle sue prime opere, con una luce accesa e pura. Se il calore mediterraneo di Arles fece questo effetto su Vincent, cosa sarebbe successo alla sua anima tormentata se fosse venuto a contatto con l’abbagliante luminosità siciliana? E ancor di più, come avrebbe reagito la sua ricerca fallita di Dio, il suo difficile cammino nella società del nord Europa alla filosofia siciliana dove “Tutto scorre e nulla resta” per cui non dobbiamo chiederci “Chi siamo e dove andiamo?” ma “Quando si mangia e che cosa c’è da mangiare?”. Forse i suoi tormenti umani ed artistici si sarebbero sciolti di fronte ad una granita al caffè, ad un bicchiere di birra Messina, o ad un tramonto alle Eolie. Seduto su una lunga spiaggia solitaria per dipingere le lunghe onde del mare, sarebbe stato raggiunto dal solito cinico siciliano che senza farsi i cazzi suoi gli avrebbe chiesto se Gauguin se la stesse spassando alla Martinica. Oppure, con la saccenteria degli ignoranti, avrebbe chiesto se nel dipingere avesse copiato i colori densi e pastosi di Monticelli, o se quelle pennellate dense ed intense le facesse così a come venivano, tanto per babbiare (prendere in giro) i critici. Alla fine, in quest’isola dove è l’arte stessa che si intreccia con la natura crea il paesaggio, dove la follia è una ordinaria condizione di uno, nessuno, centomila, alla fine forse la sua anima infelice avrebbe trovato la sua quiete e avrebbe accettato la sua cristiana inquietudine in quanto elogio dell’essere. Infine, invece che piccoli caffè o cieli inquietanti pieni di oscuri uccelli, qui in Sicilia avrebbe incominciato a dipingere le meraviglie luminose dell’isola, affinando quella sua tecnica in cui rinchiudeva le sue angosce e tristezze dentro a dense intense pennellate. Qui, in quest’isola dove la follia è di casa, sulla tela avrebbe raccontato di campi infiniti e dorati, di chiese accese da sole, di piccoli dammusi affacciati sul mare e immacolati sotto un cielo di un azzurro felice e saturo di luce. Avrebbe finalmente toccato e dipinto quella luce che cercava, quella che non aveva trovato né nelle sue infinite letture della bibbia, né tra le cosce delle prostitute che amava o delle donne borghesi che lo avevano rifiutato. Avrebbe capito che solo la natura è reale, ed è il palcoscenico su cui gli uomini, come i pupi dal corpo di legno, recitano passioni ed amori che solo per pochi atti sono eterni e che questa provvisorietà è l’unica certezza che questi pupi hanno, tanto che con essa riempiono la loro arte per viverla all’infinito.
SICILY ACCORDING VINCENT VAN GOGH
In February 1888, Vincent van Gogh left Paris and moved to a small village called Arles in sunny Provence. If until a few years earlier he had painted less than a hundred works, in the sun of Arles, Vincent found the joy of his art, producing more than three hundred works in less than a year. He defined his original style and replaced the dark and shadowy colors of his early works with a bright and pure light. If the Mediterranean heat of Arles had this effect on Vincent, what would have happened to his tormented soul if he had come into contact with the dazzling Sicilian brightness? And even more, how would his failed search for God, his difficult path in northern European society, react to the Sicilian philosophy where "Everything flows and nothing remains" so we should not ask ourselves "Who are we and where are we going?" but "When do we eat and what is there to eat?". Perhaps his human and artistic torments would have melted away in front of a coffee granita, a glass of Messina beer, or a sunset in the Aeolian Islands. Sitting on a long, solitary beach to paint the long waves of the sea, he would have been joined by the usual Sicilian cynic who, without minding his own business, would have asked him if Gauguin was having fun in Martinique. Or, with the know-it-all attitude of the ignorant, he would have asked if in painting he had copied the dense and mellow colors of Monticelli, or if he did those dense and intense brushstrokes as they came, just to mock (mock) the critics. In the end, on this island where art itself intertwines with nature to create the landscape, where madness is an ordinary condition of one, no one, a hundred thousand, in the end perhaps his unhappy soul would have found its peace and accepted its Christian restlessness as a praise of being. Finally, instead of small cafes or disturbing skies filled with dark birds, here in Sicily he would have begun to paint the luminous wonders of the island, refining his technique in which he enclosed his anguish and sadness within dense intense brush strokes. Here, on this island where madness is at home, on canvas he would have told of infinite and golden fields, of churches lit by themselves, of small dammusi overlooking the sea and immaculate under a sky of a happy blue and saturated with light. He would have finally touched and painted that light he was looking for, the one he had not found in his infinite readings of the Bible, nor between the thighs of the prostitutes he loved or of the bourgeois women who had rejected him. He would have understood that only nature is real, and it is the stage on which men, like puppets with wooden bodies, act out passions and loves that are eternal only for a few acts and that this temporariness is the only certainty that these puppets have, so much so that they fill their art with it to live it infinitely.
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Tre metri. Sette passi. Tanto è lungo il corridoio. Il corridoio che separa la mia dalla camera di mio figlio.
Appena sette passi. Così pochi da fare. Così pesanti come macigni, se quello che pensi è contro la natura, contro la morale, contro ogni convenzione.
Quante volte la notte, ho osservato la sua porta chiusa, dalla soglia della mia stanza. Agitata da pensieri immorali. E quei maledetti sette passi, che separavano il mio essere una brava ed amorevole mamma dall’essere una madre snaturata. Una distanza così piccola, una differenza enorme.
Ci sono state notti in cui alcuni di quei passi li ho fatti. Sono arrivata a metà. A volte sono arrivata anche fin dietro la porta. Ho poggiato l’orecchio, ho sentito il suo respiro addormentato. Una notte ho messo anche la mano sulla maniglia. Non l’ho abbassata, è i sette passi li ho fatti a ritroso, tornando nel mio letto.
Letto, dove non riesco a chiudere occhio. Il divorzio da mio marito. La sua fuga con un’altra. Io che resto sola e che giuro che mi dedicherò solo a mio figlio. Lui che diventa rapidamente così bello al miei occhi, così attraente, così sexy, così desiderabile.
E quei tre metri che separano l’amore dal vizio, che mi dico di non percorrere mai, ma nel frattempo mi accarezzo nel mio letto, e raggiungo l’orgasmo, usando uno i quei giochi che già possedevo quando mio marito c’era ancora e la notte mi ignorava.
Sono solo tre metri, ma sono una montagna che sembra impossibile scalare.
Fino a certe letture, certe storie su internet, certe chat con donne sole come me. Non sei la sola a voler fare quei passi.
E alla fine quei sette passi, stanotte, li percorro leggera. Decisa. Mi sono fatta bella, come altre notti in cui poi non ho avuto il coraggio. Ma stanotte ho la voglia e il coraggio. Mi sono fatta arrapante, pronta a sedurlo.
Sette passi percorsi con passo fermo, il tacco che non mi importa che faccia rumore sul parquet.
La maniglia che cigola. Entrare, vedere la luce fioca dell’abat-jour ancora acceso, anche se la notte è alta. Vedere le coperte aggrovigliate ai piedi del letto. Lui nudo, che si masturba.
Non ero la sola a pensare a quei tre metri che ci separavano.
- Mamma….sussurra immobilizzandosi. Le dita della mano si aprono, da essere strette intorno al suo pene vanno a coprirlo a cercare di nasconderlo.
Ma io, che ho fatto quei sette passi, non ho paura di farne ancora due, fino al suo letto. Sdraiarsi accanto a lui, guardarlo negli occhi, fiera per aver percorso quei metri, spostargli la mano, sostituirla con la mia. Averlo, finalmente.
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Che si parli di politica internazionale o di genere, di scuola o di gpa, impressiona un fatto, reso evidente dal panottico social. Buona parte dei lavoratori culturali variamente progressisti formatisi a cavallo tra XX e XXI secolo ha ereditato una quantità immane di menzogne novecentesche; ma soprattutto, questi lavoratori culturali non vogliono o non sanno discutere (e spesso è difficile capire se si tratti della solita rigidità gruppettara da posizionamento o di una vera e propria incapacità di pensare, risultante da un curriculum di studi ormai standardizzato). La refrattarietà al dibattito critico si esprime nella tendenziale riduzione di tutto ciò che nella storia è stato pensato, scritto e discusso, alle misere proporzioni da festival pignetesco, retorica LGBTecc., cinica editoria da testimonial, o tlonismo del 2020. Leggere le nuove introduzioni ai classici, in questo senso, è un’esperienza agghiacciante (vedere i temi delle medie di Tobagi, o quel Maicol Pirozzi delle humanities che è Giammei). Non si sa se prevalga la mediocrità o l’omertà. Lo “spazio delle donne” - cioè la rappresentazione mediatica di argomenti importantissimi - è in genere monopolizzato da persone il cui ideale, malgrado il recitato “femminismo”, sembra la boria di un barone universitario maschio nato nel 1902, e abituato, alla prima difficoltà dialettica, a cavarsela con un “io so’ io” belliano. Purtroppo ad ambienti del genere – a roba di agghiacciante conformismo tipo “Bambine ribelli” – si aggrappano anche gli ex radicali, un tempo diffidenti verso l’establishment ‘dde sinistra’. Negli ultimi giorni, il fatto di cui parlo è stato reso visibile dalle polemiche sulla gestazione per altri. Per quel che mi riguarda, e a parte l’avversione per la brutalità meloniana, non ho una posizione sicura (in passato ho condiviso alcune riflessioni molto articolate e chiaroscurate di Claudia Daniela Basta, e continuano a sembrarmi sensate molte perplessità delle femministe storiche). Sono sicuro, invece, di una cosa: non occorre necessariamente accettare tutti gli argomenti di Cavarero (sineddoche) per constatare che il loro livello è infinitamente superiore, e la loro natura infinitamente più laica, di quelli di coloro che liquidano l’opposizione femminista come “oscurantismo”. Il che rende appunto quasi impossibile un dibattito fecondo: da una parte infatti c’è un pensiero meditato, dall’altra prevale una sloganistica d’accatto. In più, gli sloganisti pro-gpa vengono non di rado da esibite letture del femminismo storico, che hanno mitizzato senza però farsi realmente carico delle conseguenze: così oggi, secondo la tipica prassi dei chierici italiani, essendo in disaccordo coi vecchi miti ma mancando di buoni argomenti, devono o ignorarli o rinnegarli in modi da ‘commissariato del popolo’. Purtroppo trovano a volte un appoggio nelle dichiarazioni o avventate o cerchiobottiste di Lea Melandri: che sia sulla politica internazionale sia sulle donne dà la misura dell’enorme disastro, dell’inconsistenza ideologica e della rincorsa allo Spirito Mediatico del Giorno su cui si fonda la ‘cultura’ della nostra sinistra maggioritaria.
Matteo Marchesini
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La mia anima, nota per come ha naufragato tante di quelle volte che il Titanic è nulla, disillusa che Eurocrate a confronto rimane un saggio sognatore, è deceduta l'altro ieri, credo. Anche se l'agonia durava da un bel po'. È deceduta per le complicanze al fegato della vita, per l'ictus al senno della ragione e alla metastasi del cuore atrofizzato dalla mummificazione dei rapporti sociali, sempre più aridi o inesistenti. Era giovane. Si, la mia anima era giovane, diciamo che forse era ingenua. Si ingenua, sognava ancora qualcosa di bello nella sua vita. Anche qui dico un bel: almeno credo. Affabile, impegnata, sincera, timorosa la mia anima non aveva mai dato l’idea dell’inguaribile romantica (seee come no) ma, negli ultimi anni di vita, ha rivelato un lato oscuro della propria natura. Una sua mal celata personalità, quasi junghiana, simile alla temperamento freudiano ma con un pizzico di natura adleriana sotto certi punti di vista, tutte prospettive mentali logicamente. Dovevo comprendere questa sua accozzaglia psicologica, un grumo filisofico alla Kant, emersa durante le letture di Agatha Christie alla ricerca della giustizia. Quella dove i disonesti, gli assassini, pagano sempre pegno. La convinzione che alla fine i buoni trionfino sempre sul male. Purtroppo la sua prolungata esposizione a tali convinzioni si è conclusa l'altro giorno, con un fallimento totale. Non tenedno conto che oltre alle citate sfumature della negativa umanità, ci sono anche gli idioti. E sono una legione infinita. Seppur sconfitta, la coraggiosa anima ha tenuto accesa la fiamma della speranza per qualche attimo. Rimanendo aggrappata alla convinzione che la vita non sia una mera sequela di piccole persone che tendono ad approfittarne, sempre e comunque, di chiunque si pari dinnanzi a loro. Interpellato sulla scomparsa della sua anima, il sottoscritto, famoso imbonitore di sogni infranti nonché Gran Visir della fede perduta, descrivo la mia anima come una che salutava sempre. Che dipingeva la vita come Van Gogh. Ma oggi tutto mi è chiaro. La mia conclusione è che se vogliamo vivere in armonia con l’universo, dobbiamo possedere una fede incrollabile, nel fatto di incontrare meno grattatori di scroto e più persone sensibili. Vogliose, quest'ultime, di condividere sostegno e sogni con chi sia predisposto a tali solidarietà.
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“ Sebbene, oggi, il numero delle prove a sostegno del ruolo fondamentale della cooperazione nell’evoluzione delle specie viventi si sia enormemente arricchito, l’idea continua a essere percepita come del tutto marginale rispetto alla solidità della controparte competitiva. Perché? Sono convinto che la causa principale dello scarso interesse per lo studio della cooperazione come forza evolutiva sia legata al fatto che la maggior parte – quasi la totalità – delle evidenze a sostegno di questa teoria proviene dal mondo delle piante che, come tali, non sono considerate rilevanti. L’antropocentrismo o, a voler essere magnanimi, l’animalocentrismo che affligge il mondo della scienza è un problema serio. La nostra visione del mondo come un luogo in cui i conflitti e le privazioni sono forze basilari che dominano l’evoluzione sono un classico esempio di questa distorsione animale. Modelli matematici molto conosciuti come, ad esempio, quello della competizione interspecifica, diventato poi noto come il modello predatore-preda, sviluppato da Vito Volterra e Alfred Lotka nel 1926, sebbene oggi siano intesi come validi universalmente, sono stati eleborati per descrivere una relazione di tipo animale. Poco dopo la fine della prima guerra mondiale, Umberto D’Ancona, uno dei più importanti zoologi italiani del Novecento, studiando le popolazioni di pesci nel mare Adriatico, aveva notato che le percentuali delle diverse specie pescate mostravano un andamento tipicamente fluttuante. Cercando di capirne di più, ne parlò con Vito Volterra, grande matematico che in seguito sarebbe diventato anche suo suocero, e quest’ultimo sviluppò appunto il modello matematico che spiegava il fenomeno. Al di là della bellezza e del valore indiscutibile del modello predatore-preda, resta il fatto che questo modello, che ha così profondamente influito sullo studio della dinamica delle popolazioni naturali e più in generale, direi, sulla nostra idea di relazioni fra specie, è un modello ideato, sviluppato e sperimentato per rispondere ad esigenze tipicamente animali. Che ha a che fare il modello predatore-preda con il mondo delle piante? Non è l’unico caso, molti altri modelli che hanno avuto un grande peso sulla nostra consapevolezza del funzionamento delle comunità, meno noti al grande pubblico, ma molto influenti fra gli addetti ai lavori, hanno valore quasi unicamente in ambito animale e non possono assolutamente essere considerati di valore generale.
Vorrei fosse chiara l’assurdità della faccenda: scoperte ottenute nel mondo vegetale non vengono ritenute meritevoli di alcuna attenzione fin quando non sono replicate in ambito animale; al contrario, modelli ovviamente validi nel solo mondo animale sono, ipso facto, considerati di natura universale. Pensate all’irrazionalità di questa posizione: le scoperte effettuate nell’85% degli esseri viventi (le piante) richiedono, per essere ritenute universalmente valide, di essere confermate nello 0,3% del mondo animale! Non il contrario. E così viviamo con l’idea ridicola e pericolosa che quel che vale per lo 0,3% nobile della vita (gli animali) sia ciò che caratterizza la vita intera e che è meritevole di essere conosciuto, il resto è del tutto marginale. Non so se l’irragionevolezza di questa situazione vi colpisca come colpisce me. Che l’85% del mondo vegetale sia, da solo, la rappresentanza unica e indiscutibile della vita del pianeta non interessa a nessuno. È come se una legge proposta dall’85% dei rappresentanti del nostro Parlamento, per essere definitivamente promulgata, dovesse passare al vaglio di uno 0,3% della stessa rappresentanza parlamentare che, a sua discrezione, può approvarla o respingerla. “
Stefano Mancuso, La pianta del mondo, Laterza (collana i Robinson / Letture), 2022⁷; pp. 81-82.
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Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: Sellerio
Buona lettura a tutti!
PICNIC A HANGING ROCK di Joan Lindsay
“Se Picnic a Hanging Rock sia realtà o fantasia, i lettori dovranno deciderlo per conto proprio. Poiché quel fatidico picnic ebbe luogo nell'anno 1900 e tutti i personaggi sono morti da molto tempo, la cosa pare non abbia importanza”.
All’Appleyard College, una rinomata scuola per signorine di buona famiglia, situata in Australia a poca distanza da Melbourne, si respira un’atmosfera di profonda allegria e di grande trepidazione: è l’alba del 14 febbraio del 1900 e le ragazze, tutte vestite di bianco, si preparano per una scampagnata a Hanging Rock, un immenso gruppo roccioso di origine vulcanica che costituisce il simbolo del paese.
La direttrice, la severa e arcigna Mrs. Appleyard sovrintende ai preparativi, mentre le ragazze si scambiano i biglietti di San Valentino. Tra loro spiccano le tre allieve più grandi: Miranda, la più bella, la più riflessiva e la più amata del collegio, Irma, la più ricca e Marion, la più intelligente. L’attempata Miss Greta McCraw, insegnante di matematica con il naso perennemente infilato in un libro e Mademoiselle Dianne de Poitiers, insegnante di francese e di ballo, giovane, elegante e ricca di fascino, sono le accompagnatrici.
Quella che dovrebbe essere una giornata di festa si trasforma in tragedia: una volta arrivata a destinazione, l’allegra brigata si dispone a trascorrere la giornata oziando, ma Miss McCraw, Miranda, Irma e Marion, seguite dall'insulsa Edith, una ragazza lagnosissima, definita dal narratore l’asina del collegio, si avventurano sulla cima della Hanging Rock e non faranno più ritorno. Soltanto Edith e Irma, in momenti diversi, verranno ritrovate, ma non saranno in grado di spiegare cos’è accaduto alle altre. Nonostante le ricerche, neanche i corpi delle scomparse saranno rinvenuti, come se la montagna le avesse letteralmente inghiottite.
Picnic a Hanging Rock è un mystery d’atmosfera in cui le descrizioni di una natura lussureggiante e selvaggia si alternano agli eventi successivi alla scomparsa delle tre ragazze e della loro insegnante durante la gita organizzata dal collegio. Il romanzo è caratterizzato dal tema del perturbante: la normalità, ciò che ci è familiare, diventa estraneo e spaventoso, provocando ansia e disagio. Una tranquilla gita in montagna non si trasforma in una semplice tragedia, ma in qualcosa di ignoto e terribile con cui tutti i protagonisti del romanzo dovranno fare i conti. La Hanging Rock si erge in lontananza, quasi fosse una creatura senziente in grado di influire in modo determinante sulla vita (e la morte) di tutti i personaggi.
Il manoscritto originale del romanzo comprendeva un finale con la soluzione del mistero: il cosiddetto diciottesimo capitolo. Tuttavia, l’editore convinse la Lindsay a rimaneggiare il romanzo, lasciando il mistero senza soluzione. L’autrice affidò al suo agente il compito di pubblicare il capitolo mancante dopo la sua morte. Ciò è avvenuto nel 1987. L’edizione italiana non comprende il diciottesimo capitolo che, in ogni caso, può essere reperito facilmente online in lingua originale con il titolo The Secret of Hanging Rock.
COSA MI È PIACIUTO
Ho avuto la fortuna di leggere questo romanzo con il gruppo di lettura #oldbutgold gestito da Teresa, Bee Book a Lula e la sottoscritta, al quale si sono unite tante lettrici e alcuni lettori con i quali abbiamo discusso ed esaminato i vari aspetti del romanzo.
Personalmente ne ho amato ogni pagina, soprattutto perché il tema del perturbante, ampiamente trattato nel romanzo, mi ha ricordato L’incubo di Hill House di Shirley Jackson, uno dei miei romanzi prediletti. Inoltre, proprio quest’anno la casa editrice Sellerio ha deciso di ripubblicare una nuova edizione di Picnic a Hanging Rock dalla copertina estremamente evocativa e volevo assolutamente che questo splendido volume facesse parte della mia biblioteca.
COSA NON MI È PIACIUTO
Il romanzo ha pienamente soddisfatto le mie aspettative, ma non ne consiglio la lettura a chi non ama le pagine descrittive e ritiene che ogni mistero debba avere la sua soluzione.
L’AUTORE
Joan Lindsay (1896-1984), scrittrice e commediografa australiana, oltre a Picnic a Hanging Rock (1967), pubblicato per la prima volta da Sellerio nel 1993, oggetto di una celebre versione cinematografica di Peter Weir e di una serie TV nel 2018, ha pubblicato il libro di memorie Time Without Clocks (1962).
LA CASA EDITRICE
La Sellerio è nata nel 1969 a Palermo da Elvira Giorgianni e suo marito Enzo Sellerio su ispirazione di Leonardo Sciascia e dell’antropologo Antonino Buttitta. La casa editrice ottiene visibilità nazionale (e internazionale) con la pubblicazione nel 1978 de “L'affaire Moro” di Sciascia. Cresce il numero delle collane, a cominciare da “La Memoria”, oggi simbolo della produzione selleriana. Fra gli scrittori che hanno collaborato con la casa editrice: Gesualdo Bufalino, lanciato nel 1981, vincitore del Premio Campiello e del Premio Strega, e Andrea Camilleri ("padre" della serie TV Montalbano).
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YURI ANCARANI: "LASCIA STARE I SOGNI"
In una intervista, per altro non molto recente, Yuri Ancarani, videomaker italiano, afferma che tutte le immagini filmiche (o quasi tutte) e tutte le immagini televisive (in questo caso proprio tutte), portano con sé una visione del mondo, accompagnano cioè lo spettatore, in una “narrazione”, come si dice oggi. Ancarani adotta un punto di vista molto diverso: la macchina da presa è spesso fissa e lascia parlare le immagini. La sua mostra al Pac di Milano aperta fino al prossimo 11 giugno, fa il punto su oltre vent’anni di lavoro dell’artista ravennate. “Lascia stare i sogni”, è il significativo titolo di questa interessante rassegna di video che toccano temi molto diversi tra loro, ma che sono legati da questo sguardo, algido ma attento, neutro ma rivelatore, degli stridenti contrasti del nostro vivere. “Il Capo” proiettato su uno schermo gigantesco, accoglie il visitatore con la sua solenne imponenza. Si tratta di un video del 2010 girato in una cava di marmo delle Alpi Apuane, dove un uomo con una mimica più simile a quella di un direttore d’orchestra che di un cavatore di pietre, dirige con sapiente maestria il movimento di escavatori che tagliano e spostano giganteschi e candidi blocchi di marmo. Il sonoro del video è dato solo dai lontani rumori delle macchine che contribuiscono a determinare un doppio e contrapposto effetto di straniamento e nudo realismo proponendoli ad uno spettatore troppo abituato ad immagini commentate come accade nei documentari o nei servizi televisivi. “Piattaforma luna” è ambientato in una camera iperbolica, ambiente claustrofobico in questo caso accentuato da una colonna sonora di Ben Frost.
Toni freddi e scostanti caratterizzano due video paralleli (nella sala 4 del Pac), si tratta di "San Siro" e "San Vittore" com un accostamenti che non è certo frutto del caso. Nel primo, il tempio del calcio, è rivelato attraverso le strutture architettoniche e le infrastrutture tecnologiche come cavi, tombini, porte di sicurezza, sotterranei, ripresi negli attimni che precedono l'inzio di una partita. Di contro, "San Vittore", propone una apparentemente asettica descrizione visiva di tutti i controlli a cui sono sottoposti i minori per poter visitare i propri genitori detenuti nella strutture carcerarie. Un video che nella sua scarna oggettività presenta, senza ombra di retorica o di didattico paternalismo, una realtà crudele e disumana. Il nome della psicanalista Marina Valcarenghi è abbastanza noto da non necessitare di ulteriori parole. Su di lei Yuri Ancarani propone il video di un magnifico monologo tenuto nel “Cortile della legnaia” dell’Università Statale di Milano dal titolo “Il popolo delle donne”. Letture di testimonianze di tribunali, discorsi astrattamente teorici e ferite legate alla sua esperienza sul campo con al centro la violenza uomo vs donna, ma anche sull’istinto della violenza tout court. Anche qui si tratta di una osservazione imparziale su tema di scottante attualità. Tra i notevolissimi video in proiezione, "The Challenge" è certamente il più intimamente misterioso e in un certo senso il più surreale. Ma Ancarani non lavora sulla suerraltà, bensi su realtà che tendono ad apparire come delle iperrealtà. Le immagini sono quelle del deserto del Qatar durante i preparativi di una competizione di falconeria (con citazione per la Land Art attraverso la celeberrima stele di Richard Serra). Le immagini della competizione sono inframezzate da sequenze che sembrano ruotare attorno al culto del motore e della velocità, nonché una stridente fascinazione nel rapporto natura/tecnologia. In particolare un raduno di motociclisti in un deserto texano, e una Lamborghini che trasporto un ghepardo. In entrambi i video è la rigorosa e simmetrica geomteria della stara a rendere iconicamente assai pregevoli le immagini e a dettarne il ritmo narrativo. Con "Wipping Zombie", titolo tratto dal nome di una danza tradizionale haitiana. Una espressività corporea di una lotta e che rimanda alla violenza coloniale subita dai nativi e che vorrebbe tendere a esorcizzare la violenza subita. Ma in "Wipping Zombie" c'è dell'altro, come la reiterizzazione di gesti quotidiani come battere una lamiera, per trasformare un barile in un materiale utile alla vita quotidiana, che denuncia silenziosamente la povertà e la vita pedestre delle popolazioni e locali. C'è un filone e una tradizione piuttosto consolidata su queste tematiche che coinvolge opere di celebrati videomakers come Ben Rivers o Neil Beloufa. Molte altri i video proiettati nelle sale in una delle mostre più interessanti presentate al Pac che negli ultimi sembra aver spostato, cime molte altre istituzioni museali ed espositive, il suo baricentro verso esperienze artistiche a carattere etnico e fortemente politiche nonché verso quelle che un tempo risultavano essere le periferie del mondo (e non solo in senso geografico).
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Delitto e castigo - Frasi e pezzi
Durante le letture, mi capita di segnarmi pagine o frasi. Mi piace trascriverle e tenerle da parte, come un archivio prezioso di frasi che, esclusivamente per me, significano qualcosa.
In questo post ci sono le frasi di Delitto e castigo.
“A tutto finisce per abituarsi, questa carogna che è l’uomo!”
“Il suo delitto, per lui consisteva unicamente nel fatto di non aver saputo reggerne il peso, e quindi di essersi costituito e di aver confessato.”
“Che strano! Che cos’è che fa più paura alla gente? Una nuova iniziativa, una parola nuova…”
“Aveva sposato il primo marito, un ufficiale di fanteria, per amore, e con lui era fuggita dalla casa paterna. Amava il marito immensamente, ma lui si era dato al gioco, era finito sotto processo, e ne era morto. Alla fine lui la picchiava; e anche se lei non lasciava correre, cosa che so per certo e in base ai documenti, lo ricorda ancora con le lacrime agli occhi e me lo rinfaccia, e io sono contento, contento, giacché almeno nei sogni si vede felice”
“Ascolta ancora. Dall'altra parte, forze giovani, fresche, che vanno perdute inutilmente senza sostegno, e a migliaia, e ovunque! Cento, mille buone azioni e imprese, che si possono organizzare e aggiustare con i soldi della vecchia, destinati al monastero! Centinaia, forse migliaia di esistenze indirizzate sulla giusta strada; decine di famiglie salvate dalla miseria, dalla degradazione, dalla rovina, dal vizio, dagli ospedali per le malattie veneree: e tutto questo con i suoi soldi. Uccidila e prendi i suoi soldi per consacrarti poi con il loro aiuto al servizio di tutta l'umanita e della causa comune; che ne pensi: un unico, minuscolo delitto non sarà forse espiato da migliaia di buone azioni? Per una sola vita, migliaia di vite salvate dalla putrefazione e dalla corruzione. Una sola morte e cento vite in cambio: dopotutto é aritmetica! E poi che cosa significa, sulla bilancia generale, la vita di questa vecchiaccia tisica, stupida e malvagia? Non pit della vita di un pidocchio, di uno scarafaggio, anzi non vale neppure quella, perché la vecchiaccia é dannosa. Rovina la vita altrui: giorni fa a Lizaveta ha morso un dito per la rabbia; per poco non gliel’hanno dovuto tagliare!“
“È interessante, a questo proposito, considerare il carattere di tutte le decisioni <definitive> già prese da Raskolnikov. Avevano una strana proprietà: non appena diventavano definitive, subito gli sembravano assurde e mostruose.”
“Basta conservare il dominio completo della volontà e della ragione e, a suo tempo, saranno tutte superate, via via che mi si porrà davanti ogni singolo particolare dell’impresa…”
“«Basta! - disse con decisione e solennità, — via i miraggi, via le paure fittizie, via i fantasmi!... C’è la vita! Non ho forse vissuto, poco fa? La mia vita non è morta insieme a quella vecchia bacuccal A lei il regno dei cieli e... basta, mia cara, è ora di riposare in pace! Ora viene il regno della ragione e della luce e... e della volontà, e della forza... e ora vedremo! Ora ci misureremo! — aggiunse con arroganza, quasi rivolgendosi a qualche forza oscura e sfidandola. - E pensare che avevo già acconsentito a vivere in mezzo metro di spazio!»”
“Cosa credete?” gridava Razumichin ancora più forte. “Credete che io me la prenda perché le sparano così grosse? Nemmeno per sogno! Mi piace, quando si dicon corbellerie! Dire corbellerie è l’unico privilegio umano nei confronti di tutti gli altri esseri viventi. A furia di dirne, si arriva alla verità. Si è uomini appunto perché si dicono corbellerie; non si è mai raggiunta nessuna verità senza aver prima sbagliato quattordici volte, e forse anche centroquattordici; a suo modo, è una cosa onorevole.“
“Non è davanti a te che mi sono inginocchiato, ma a tutta la sofferenza umana”.
“La natura è uno specchio, uno specchio, e dei più trasparenti! Guardati dentro e ammirati, ecco come stanno le cose!”
“Ma io mi sono incattivito e non ho voluto. Proprio incattivito (è una bella parola!) Allora, come un ragno, mi sono rintanato nel mio buco. Tu ci sei stata nella mia cuccia per cani, hai visto... E sai, Sonja, che i soffitti bassi e le stanze anguste opprimono I'anima e la mente? Oh, come odiavo quella cuccia! Eppure non volevo uscirne. Apposta non volevo! Per giornate intere non uscivo, e non volevo lavorare, e non volevo neanche mangiare, me ne stavo sdraiato e basta. Se Nastas “ja mi portava qualcosa, mangiavo, se non me lo portava, la giornata passava così; apposta non chiedevo niente, per rabbia! Di notte non avevo luce, stavo disteso al buio, ma non volevo guadagnare i soldi per le candele. Dovevo studiare, ma ho venduto i libri; e sul mio tavolo, sugli appunti e sui quaderni, anche adesso c’¢ un dito di polvere. Preferivo stare sdraiato a pensare. E pensavo sempre... E facevo sempre certi sogni, sogni strani, diversi, non staro a dirti quali! E allora ho cominciato anche a immaginare che… No, non è così! Di nuovo racconto male! Vedi, allora continuavo a domandarmi: perché sono cosi stupido? Perché, se gli altri sono stupidi e io so per certo che lo sono, non voglio essere più intelligente? Poi ho scoperto, Sonja, che ad aspettare che tutti diventino intelligenti, ci vorrebbe troppo tempo... Poi ho anche scoperto che questo non sarà mai, che gli uomini non cambieranno e che nessuno può trasformarli, e che sarebbe tutta fatica sprecata! Si, è cosi!”
“Però io dico: se si riesce a convincere logicamente una persona che, in fondo, non ha nessun motivo di piangere, quella smetterà di piangere. È evidente. O forse, secondo voi, non dovrebbe smettere?” “Se fossi così, vivere sarebbe molto più facile,” rispose Raskolnikov.
“... che se per caso potessi esserti utile in qualche modo o se ti servisse… tutta la mia vita, o qualunque cosa… non hai che da chiamarmi, ed io verrò. Addio!”
“Lo so che non ci credete, ma non dovete cavillare troppo; abbandonatevi alla vita, senza ragionare; non preoccupatevi; vi porterà certamente sulla riva e vi rimetterà in piedi.”
“Raskolnikov rimase in ospedale per tutta la fine della quaresima e la Settimana Santa. Ormai convalescente, ricordava i sogni che aveva fatto quando aveva la febbre e delirava. Aveva sognato, durante la malattia, che tutto il mondo era condannato a esser vittima di un’epidemia letale spaventosa, inaudita e mai vista, che avanzava verso Europa dalle profondità dell’Asia. Tutti dovevano morire, tranne alcuni, pochissimi eletti. Erano comparse delle specie di nuove trichine, esseri microscopici che si insediavano nei corpi degli uomini. Ma questi esseri erano spiriti, dotati d’intelletto e volontà. Chi li aveva accolti in sé diventava subito indemoniato e folle. Ma mai, mai uomini si erano creduti così intelligenti e incrollabili nella verità, come si credevano quegli infettati. Mai avevano considerato più incrollabili le loro sentenze, le loro deduzioni scientifiche, le loro convinzioni morali e le loro fedi. Interi villaggi, intere città e popoli erano contagiati e impazzivano. Tutti erano inquieti, gli uomini non si capivano fra loro, ciascuno si credeva I'unico depositario della verità, e si angosciava, guardando gli altri, si batteva il petto, piangeva e si torceva le mani. Non sapevano chi e come giudicare, non riuscivano a mettersi d’accordo su cosa considerare male e cosa bene. Non sapevano chi condannare, chi assolvere. Gli uomini si ammazzavano a vicenda con rabbia insensata. Si radunavano a eserciti interi uno contro l'altro, ma gli eserciti, già in marcia, a un tratto cominciavano a distruggersi da sé, i ranghi si scioglievano, i soldati si scagliavano uno contro l'altro, si pugnalavano e si sgozzavano, si mordevano e divoravano a vicenda. Nelle città per tutto il giorno le campane suonavano a martello: chiamavano tutti a raccolta, ma nessuno sapeva chi chiamava e perché, e tutti erano allarmati. Abbandonarono i mestieri pitt comuni, perché ciascuno proponeva le sue idee, le sue modifiche, e non riuscivano a mettersi d’accordo; i lavori agricoli si fermarono. Qua e 1a gli uomini si radunavano a gruppi, concordavano un’azione comune, giuravano di non separarsi: ma subito dopo iniziavano qualcosa di completamente diverso da cid che avevano appena deciso, prendevano ad accusarsi l'un l'altro, si azzuffavano e si massacravano. Incominciarono gli incendi, incominciò la carestia. Tutto e tutti perivano. La piaga si diffondeva e avanzava sempre di più. In tutto il mondo potevano salvarsi solo alcuni uomini: erano i puri e gli eletti, predestinati a dare inizio a una nuova stirpe di uomini e a una nuova vita, a rinnovare e purificare la terra, ma nessuno aveva mai visto questi uomini, nessuno aveva mai sentito le loro parole e le loro voci.”
“Quella sera, tuttavia, non gli era possibile pensare a lungo ad una sola cosa, né concentrarsi in un solo pensiero; non riusciva a ragionare su nessun problema: poteva soltanto sentire…”
“Ma qui, ormai, comincia una nuova storia, la storia della rinascita di un uomo, della sua graduale trasformazione, del suo lento passaggio da un mondo a un altro mondo, del suo incontro con una realtà nuova e fino a quel momento completamente ignorata. Potrebbe essere l’argomento di un nuovo racconto; ma il nostro, intanto, è finito”.
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Kinds of kindess, davvero parla di gentilezza?
Dopo il successo di Povere Creature! Yorgos Lanthimos è tornato al cinema con un film decisamente nel suo stile. Mentre il primo è stato apprezzato per tutte le sue patinature realizzate per ciò che voleva vedere il pubblico, Kinds of Kindness è decisamente un ritorno al suo stile più crude e reale che hanno reso la sua regia così singolare.
SPOILER ALERT: ATTENZIONE DA QUI IN POI POTREBBERO ESSERCI SPOILER DEL FILM.
Kinds of Kindness è un’antologia di tre storie di circa un’oretta ciascuna, autoconclusive. Gli attori sono sempre gli stessi ma i personaggi cambiano in ogni storia, fatta eccezione per uno.
Questo fa pensare che l’universo narrativo delle tre storie sia lo stesso e che siano legate tra di loro in un modo totalmente non convenzionale e contorto. Tutte e tre le storyline (l’ultima la mia preferita) non hanno nulla a che fare con la gentilezza decantata nel titolo del film bensì dimostrano come l’essere umano sia un animale sociale e socievole per antonomasia.
Lanthimos nel suo film parla della solitudine, dell’isolamento (a volte forzato) di ogni persona e del bisogno di avere qualcuno accanto che lo accetti e lo ami.
Certo il messaggio viene declinato in maniera diversa e in ogni arco narrativo rappresentato si nota la natura distorta della rappresentazione dei sentimenti umani, impossibile non citare l’estenuante bisogno di controllo.
È quasi come se il regista volesse denunciare la tossicità e la crudeltà dei legami che si basano sempre (nel suo universo) sul legame tra chi ha il potere e chi ne è succube e dipendente.
Il filo narrante del film è sicuramente l’immagine che si dà della manipolazione, l’utilizzo del primo piano è un modo perfetto per comprendere la soffocante pressione dei protagonisti. In ogni storia questi infatti vengono schiacciati sempre di più dalle loro responsabilità e dalla loro paura di rimanere da soli, di deludere chi crede in loro, anche a costo di compiere azioni riprovevoli.
Non è decisamente un film per tuttə, ed è un’opera che ha bisogno di tempo per essere assorbita e compresa.
Temi come l’identità, la fede (in qualcosa, non per forza religiosa) e la condizione umana sono l’ordine del giorno, d’altronde è proprio di Lanthimos il talento di raccontare temi in maniera quasi disturbante, riuscendo a inserire del sarcasmo che rende il film più “leggero” da digerire.
Il sottotesto del film può avere innumerevoli letture e forse semplicemente con i vari tipi di gentilezza (per questo kinds of kindness) si vuole raccontare di quei rapporti squilibrati dove dietro un sorriso si cela qualcuno disposto a controllare e annullare totalmente il sottomesso.
Non sarebbe la prima volta (e non lo sarà di certo in futuro) in cui il regista dietro a una rappresentazione di potere e manipolazione, racconti le dinamiche di soggiogazione nella maniera più cruda possibile.
Direi un 4 su 5 per me.
Lanthimos è sicuramente nel periodo più brillante della sua carriera, sulla cresta dell’onda e sono sicura che anche con le prossime opere riuscirà a stupire e a raccontare le innumerevoli debolezze di cui l’animo umano è dipendente.
Isabella R.
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I sonetti di William Shakespeare: quali sono i più famosi?
I sonetti di William Shakespeare rappresentano una delle massime espressioni della poesia lirica del Rinascimento inglese. Questi 154 poemi sono carichi di emozione, bellezza e complessità, esplorando temi come l'amore, il tempo, la bellezza e la mortalità. Alcuni di questi sonetti hanno raggiunto una notorietà che li colloca tra le opere più celebri della letteratura mondiale. Sonetti di William Shakespeare: i più famosi Il Sonetto 18 è forse il più celebre di tutti. Con il suo incipit "Shall I compare thee to a summer's day?" ("Dovrei paragonarti a un giorno d'estate?"), Shakespeare esplora la bellezza eterna, superiore persino alla bellezza naturale che è soggetta al cambiamento e al decadimento. Il poeta assicura l'immortalità del suo amato attraverso la potenza della sua poesia, che sopravviverà al passare del tempo. Altrettanto famoso è il Sonetto 116, una meditazione sull'essenza dell'amore vero e costante che non "altera quando trova alterazione" o vacilla "anche se rovina il suo vero centro". Il sonetto è spesso citato nelle cerimonie nuziali per il suo ideale di amore incondizionato e immutabile. Il Sonetto 130 sfida le convenzioni dei sonetti d'amore del tempo, prendendo in giro la tendenza dei poeti a usare iperboli e confronti esagerati per descrivere la loro amata. Invece, Shakespeare descrive la sua dama con termini realistici, sostenendo che il suo amore è speciale proprio per la sua autenticità e la sua "vera" bellezza. Tempo e perpetuità Un altro tema ricorrente è il conflitto tra il tempo e la perpetuità. Nel Sonetto 60, Shakespeare contempla la natura effimera dell'esistenza umana, paragonando la vita all'onda che si infrange sulla riva, destinata a scomparire. Tuttavia, c'è anche una sfida al tempo, poiché la poesia stessa diventa un mezzo per superare la mortalità e preservare la memoria. Il Sonetto 73 tocca il tema dell'invecchiamento con immagini potenti di autunno, tramonto e fuoco morente. È una riflessione sulla fugacità della vita e offre una visione commovente di come la consapevolezza della mortalità può intensificare l'amore e l'apprezzamento degli altri nei confronti dell'individuo. I sonetti di Shakespeare non sono solo testimonianze d'amore, ma anche di sofferenza, gelosia e persino di rimorso, come mostrato nel Sonetto 29. Qui, il poeta esprime la sua depressione e la sua invidia verso la fortuna altrui, ma poi trova sollievo e redenzione nel pensiero dell'amore del suo amato. Maestria linguistica La forma del sonetto, con la sua struttura rigorosa di 14 versi divisi in tre quartine e un distico finale, offre a Shakespeare un frame entro cui svolgere la sua maestria linguistica. La rima e il metro (generalmente l'iambic pentameter) creano un ritmo che sottolinea l'arguzia e la profondità dei pensieri del poeta. In conclusione, i sonetti di Shakespeare rimangono un pilastro della poesia inglese non solo per la maestria della loro forma, ma anche per la loro universale risonanza emotiva. Da letture scolastiche a letture private, da matrimoni a commemorazioni, questi sonetti continuano ad affascinare, ispirare e commuovere lettori di ogni epoca. Foto di WikiImages da Pixabay Read the full article
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Dieci favole per bambini - Lezioni di vita. Recensione di Alessandria today
"Dieci favole per bambini: Lezioni di vita" è un libro incantevole in cui ogni racconto diventa un’avventura educativa. Attraverso personaggi saggi e coraggiosi, queste storie esplorano dilemmi morali e valori universali, trasmettendo messaggi profondi e
Autore: Fiorenza SalamanoPubblicazione: 8 ottobre 2024Formato: Copertina flessibile, stampa grandeGenere: Letteratura per l’infanzia, educativo Sinossi. “Dieci favole per bambini: Lezioni di vita” è un libro incantevole in cui ogni racconto diventa un’avventura educativa. Attraverso personaggi saggi e coraggiosi, queste storie esplorano dilemmi morali e valori universali, trasmettendo messaggi…
#Alessandria today#coraggio e amicizia#crescita e apprendimento#crescita personale per bambini#Dieci favole per bambini#educazione attraverso storie#educazione civica per bambini#educazione emotiva#favole etiche#favole moderne#favole per la famiglia#fiabe con illustrazioni vivaci#Fiorenza Salamano#Google News#illustrazioni per bambini#insegnamenti per il futuro.#insegnamenti sulla natura#insegnamenti universali#italianewsmedia.com#letteratura per l’infanzia#letture consigliate per famiglie#letture creative#Letture per bambini#Lezioni di Vita#lezioni di vita per l’infanzia#libri di fiabe#libri educativi#libri illustrati#libri per bambini#libri scolastici
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RaccontiMiniati
Dall’altro lato alla stessa velocità
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Mercoledì 6 marzo alle ore 18 sulla pagina Facebook dello studio erAArte, sarà visibile online il RaccontoMiniato “Dall’altro lato alla stessa velocità”.
I RaccontiMiniati sono anche visibili in presenza a Bologna presso lo studio erAArte in via Nazario Sauro 7/A.
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RaccontiMiniati
(Collezionismo illuminato)
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Con RaccontiMiniati proponiamo una nuova forma di lettura e di collezionismo, presentando eventi multisensoriali che hanno la capacità di trasportare gli osservatori in luoghi dove il tempo permane sensibile.
I racconti sono strutturati per coinvolgere senza artifici tecnologici invasivi, stimolano le nostre qualità naturali con una dinamica che non prevede movimento ma che sollecita le nostre singolarità profonde a risvegliarsi in altre dimensioni.
Ogni testo di questa proposta si trasferisce su schermo digitale e la sua natura verbale si integra con immagini, suoni e movimento, dando vita a un’esperienza innovativa di lettura antica. Prima della stampa i testi miniati erano preziosi, alle parole veniva affiancata l’immagine e la pagina assumeva un valore unico, la pergamena assorbiva i colori e le forme create dagli amanuensi e le restituiva come preziosità.
Su questi concetti abbiamo sviluppato RaccontiMiniati per interagire con gli amanti della letteratura e dell'arte, offrendo la possibilità di collezionare racconti brevi su Pen Drive. “Letture di luoghi sottili”, dove tempo, ritmo e percezione, preservano integri i valori etici e le virtù della cultura classica dell’immaginario.
Viaggi inconsueti che producono inconsuete curiosità, dove la letteratura diventa arte e l'arte diventa letteratura.
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Recensione … Intervista a Babbo Natale di Maria Cristina Buoso
Ciao, voglio ringraziare Francesca Daniele per la bella recensione che ha fatto sulla sua pagina Le Letture di Golg del mio libro per bambini. Sono in compagnia con altri autori … buon ascolto 🙂 @francescadaniele73 #blogger #booktok #booktokeritalia #booktoker #collaborazioni #mesedidicembre #recensioni #romance #fantasy #storico #gayromance #natura #novelle #novelledinatale…
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I Segni dei Tempi: Il viaggio oltre tombale del Faraone Silvio Berlusconi
Un antico passato in numeri che tenta di emergere con l'Intelligenza Artificiale? Il massone Silvio Berlusconi. Il Fratello Silvio Berlusconi è stato iniziato dalla loggia massonica del Grande oriente d'Italia Democratico, come attesta la lettera aperta del 26 luglio 2010 del suo leader Gioele Magaldi e fa riferimento all'interesse che Berlusconi nutre per l'esoterismo in generale. Il massone, quindi, elenca in punti gli aspetti del Silvio Segreto cominciando dalla "natura iniziatica e massonica del complesso di Villa Certosa in Sardegna" e del mausoleo funebre presente all'interno di Villa San Martino ad Arcore. Il massone Magaldi continua rivelando gli interessi del Presidente del Consiglio per l'astrologia e cita alcune letture del mondo massonico a cui Berlusconi si sarebbe ispirato per utilizzare le televisioni al fine di condizionare le masse di spettatori. L'ultimo punto, invece, riguarda la gestione del potere imprenditoriale, mediatico e politico che, stando alla lettera, "è stata scandita da rapporti e relazioni con precisi personaggi, cenacoli e logge dell'establishment massonico mondiale"1.
Il Mausoleo, per Berlusconi è come una piramide alla stregua di quelle che si facevano erigere gli antichi faraoni d'Egitto, per far da loro sacelo tombale, similmente ad una barca per il viaggio per la sua rinascita stellare e del fatto che il loro "ka" sarebbe diventato un "Luminoso" della Duat, come una stella della costellazione di Orione. Il "ka" è l'energia vitale e impersonale. Tramandata da genitori a figli, sopravviveva alla morte della persona e doveva essere nutrita per permettere al defunto di vivere nell'aldilà. Il primo segno. Ad Apricena la prima Via Silvio Berlusconi: l'annuncio ufficiale Apricena, in Puglia, nella provincia di Foggia, è la prima città a intitolare una sua strada a Silvio Berlusconi, scomparso il 12 giugno scorso all’età di 86 anni. A dare l’annuncio ufficiale della decisione presa è stato il sindaco del comune nel Foggiano, Antonio Potenza. L’annuncio del sindaco di Apricena sulla strada intitolata a Berlusconi Il sindaco di Apricena, Antonio Potenza, eletto nel 2019 in una lista civica vicina al centrodestra, ha spiegato in alcune dichiarazioni riportate dall’agenzia ‘AGI’: “Come comunità nazionale, abbiamo assistito al tripudio di affetto nei confronti del Presidente Silvio Berlusconi, a poche ora dai suoi funerali di Stato e dalla proclamazione del lutto nazionale dopo la scomparsa nella giornata di lunedì”. Poi l’annuncio sull’omaggio della città a Silvio Berlusconi: “La nostra città ha deciso di cristallizzare quest’ondata di affetto nei confronti dello statista, imprenditore, leader politico e presidente del Consiglio che più di ogni altro ha fatto parlare di sé in tutto il mondo e che tanto ha fortemente contribuito alla storia del Paese intitolandogli una via del nostro centro abitato”. Il primo cittadino di Apricena, Antonio Potenza, ha infine aggiunto: “La Giunta comunale da me presieduta ha deliberato la reintitolazione dell’attuale ‘Via Modena’ in ‘Via Silvio Berlusconi’. Appena possibile, procederemo con una cerimonia pubblica in cui sarà ufficialmente intitolata questa strada al Cavaliere Berlusconi”2. Il secondo segno riportato sulla carta topografica di Apricena Un triangolo aureo la chiave geometrica della piramide egizia di Cheope
Figura 1: Estratto della mappa di Apricella (Foggia). La via di Berlusconi è come l'albero di una vela di una barca e corrisponde al segno regale di un triangolo all'insegna della Sezione Aurea.
Figura 2: Dal triangolo aureo ABC si ricava il triangolo ACD , la sagoma della Piramide di Cheope. Il potere della parabola nella Grande Piramide C’è propensione che la piramide di Cheope della piana di Giza d'Egitto, col suo intero complesso, costituisca un ideale modello di una prodigiosa macchina energetica rivolta ad una probabile rigenerazione vitale di natura metafisica. Infatti il suo scopo era di costituire il sacello tombale del faraone Cheope per renderlo immortale, anche se in effetti non si è mai trovato alcuna prova in merito, nel sarcofago della Camera cosiddetta del Re posta in sede della torre dello Zed.
Dunque se la piramide è una ipotetica “macchina” deve pur rientrare in una concezione che possa essere formulata in termini matematici e naturalmente essere intravista con l’ausilio di una ipotetica geometria. Oltre a tutto ciò non si può trascurare il fatto che la piramide non è stata mai posta in relazione con una barca trovata in una fossa sul lato sud di essa dagli archeologi nel 1954.
Figura 3: La barca solare di Cheope. (fig. 3) Racchiusa in una camera ermeticamente sigillata, la barca era scomposta in 1224 pezzi, il cui legno si è conservato intatto per più di 4600 anni. In proposito sono state formulate due ipotesi sulla valenza religiosa dell'oltretomba egizio di questa barca: la prima, quella più antica e risalente alla I dinastia, descrive una rinascita stellare del sovrano e del fatto che il suo "ka" sarebbe diventato un "Luminoso" della Duat, come una stella della costellazione di Orione; la seconda espone, invece, il nuovo credo religioso, che indicava l'oltretomba ad occidente, dove ogni giorno il Sole personificato nel Dio Atum che tramonta. È evidente che i testi delle piramidi risentono della teologia di Ra e del credo che il sovrano, dopo la sua rinascita, avrebbe seguito l'orbita del Sole in processione dietro le barche sacre degli dei5. Traducendo ora questa simbolica barca solare in una ideale concezione geometrica, relativa ad un’altrettanta ipotesi di natura metafisica, potremmo immaginare che il complesso piramidale siffatto cheopiano, poggia su una base a mo’ di una sorta di barca che viaggia idealmente nel tempo. A ragione di ciò, dunque, non scandalizza intravedere il complesso piramidale unito ad una parabola geometrica sottostante, così come è stata considerata dal punto di vista della geometria dellla fig. 4 con la quale immagino delle correlazioni funzionali con le due Camere del Re e della Regina al suo interno.
Figura 4: Piramide di Cheope. Sezione trasversale. A sostegno di questa ipotesi, che in effetti non ha riscontri reali in sede della base strutturale, è la presenza in loco di una barca ritenuta del faraone Cheope che, ovviamente costituisce il simbolo per la supposta barca metafisica per viaggiare dopo la sua morte verso la rinascita corporea, secondo la religione del suo tempo, accennata in precedenza. Di qui, in un lampo, ecco disporsi le cose in merito, associate alla ipotetica energia circolante nella piramide (su cui molti studiosi sono concordi), e tutto per merito di una prodigiosa parabola, reale configurazione geometrica della barca osiderea. Ma c’è di più sull’apporto di questa parabola, considerato che la piramide-macchina è “solare” e deve in qualche modo captare le energie solari del dio Ra e convertirle al suo centro focale, in sede della Camera della Regina, naturalmente la dea Iside. Intanto, con la fig. 4 sono mostrati i dati geometrici della fig. 3, utilizzando la concezione del rapporto aureo su cui c’è concordanza: y² = 2 p x, dove p = 1 (equazione della parabola) ya = √ = 0,786151377... xa = ya² / 2 = 0,309016994...
Figura 5: Geometria della piramide di Cheope con l'ausilio di una piramide particolare, il tutto all'insegna della sezione aurea. phi = 38,17270763...° 180° – 4phi = 27,30916948...° yi = tang (180° – 4 phi) = 0,516341175... xi = yi² / 2 = 0,133304104... d = yR = 0,080615621… xR = d²/ 2 = 0,003711446… La luminosità è un requisito fondamental delle gemme preziose e le loro studiate sfaccettature moltiplicano i giochi di luce scomposta nei suoi colori, cosiddetti dell’iride, all’interno per sprigionarsi in modo sfolgorante all’esterno (fig. 6). Nulla allora che meravigli, dunque, vedere la piramide di Cheope come uno speciale cristallo e costatare subito una particolare proprietà dovuta a un ipotetico raggio di luce che interagisce in esso.
Figura 6: Taglio di una pietra preziosa. Gioco di luce con la scomposizione nei colori dell’iride. Dalle illustrazioni 2 e 3 si può capire di seguito cosa si tratta. Il raggio IP è normale alla parabola e si imbatte di ritorno sulla parete C’B’ riflettendosi in Q della parete opposta C’A’. Prosegue da qui la riflessione luminosa, supposta energetica, in modo verticale fino in fondo sulla parabola in R. Si sa che tutti i raggi verticali confluenti su una parabola si riflettono convergendo nel fuoco relativo, che nel nostro caso è il punto F. Naturalmente si è capito che il punto I di partenza del supposto raggio luminoso è unico in modo che la sua inclinazione riferita alla verticale sia 180° – 4 phi come indicato sulle figure 15 e 16. Phi è il semi-angolo al vertice della piramide. Il simbolo di phi è φ. Nessun commento su questo raggio salvo a vedere ora il raffronto con lo spaccato della piramide di Cheope (fig. 7), in cui si vedono i vari elementi che vi fanno parte: la tomba del Re e della Regina, la Grande Galleria ed altro.
Figura 7: Lo scettro di Osiride e dei faraoni. Ed ecco il fatto meraviglioso che spiega il titolo di questo capitolo: Una parabola per il mistero della Grande Piramide! Due cose in una: il fuoco F della parabola di arco A’OB’, su cui è posta la piramide A’B’C’, coincide con un certo punto della tomba della Regina e il raggio verticale QR della ipotetica luce, all’interno della piramide in questione, coincide con l’asse della tomba del Re, lo Zed (fig.7). In merito allo Zed (fig. 8) e alla funzione piezoelettrica del sistema dei ranghi di basalto, ritenuti la fonte di energia circolante nella piramide, in relazione al potere che serve per la rigenerazione vitale alla base del potere che vi deriva, mi fa pensare alla spiegazione in che modo le ossa si rigenerano. Il modo con cui molti organismi viventi usano la piezoelettricità è molto interessante: le ossa agiscono come dei sensori di forza. Applicando una forza, le ossa producono delle cariche elettriche proporzionali alla loro sollecitazione interna.
Figura 8: sezione trasversale dello Zed. Queste cariche stimolano e causano la crescita di nuovo materiale osseo, rinforzando la robustezza della struttura ossea in quelle zone in cui la deflessione interna è più elevata. Ne risultano strutture con minimo carico specifico e, pertanto, con eccellente rapporto peso-resistenza6. Un’altra cosa è possibile suggerire come riscontro ideografico fra i geroglifici egizi, con il raggio energetico verticale QR della fig. 5 sopra analizzato. Mi viene di intravederlo nello Scettro o Wзs nella mano del dio dei morti Osiride e di altri dei egizi, nonché in quella dei faraoni assisi sul trono. La cima di questo scettro termina con una sorta di maniglia di traverso particolarmente sagomata che può benissimo riferirsi alla parete della piramide dove il raggio si riflette; mentre la parte terminale è munita di una forcina a due punte che potrebbe riferirsi alla riflessione del raggio energetico. Il terzo segno. La nuova via Berlusconi sostituisce la vecchia via Modena La nuova via Berlusconi di Apricena sostitusce la vecchia via Modena, come a dare un terzo segno, che vuol dire? Forse il segno va ricercato nell'origine del nome Modena. La teoria che più colpisce è quella che lega la città di Modena al nome latino Mutina: l'etnico era Mutinenses, Mutinensis o Multinenses. A sua volta è un toponimo che viene messo in relazione ad una divinità etrusca, il dio Math che era il dio etrusco della morte. E così la parola Modena potrebbe derivare da mutanu, ovvero epidemia, tomba. Dalla tomba di Modena tenta di riemergere la Morte con un popolo di robot dotati di intelligenza artificiale?
L’intelligenza artificiale è un argomento estremamente dibattuto in questo periodo, sia per le opportunità che offre, sia i rischi ad essa associata. Vediamo nel dettaglio quali sono questi ultimi. Sempre più spesso si sente parlare di intelligenza artificiale e dei rischi che essa comporta per l’uomo. Per esempio non molto tempo fa un gruppo di esperti, tra cui Elon Musk, ha pubblicato una lettera su Future of Life dove era chiesta l’interruzione momentanea dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, così da permettere a chi di dovere di regolamentarla e mitigarne i rischi. Ancora oggi molte persone non sono in grado di identificare questi rischi in maniera chiara. Ma conoscerli e comprenderli è fondamentale per limitare le possibilità che questi si concretizzino. Vediamo quali sono alcuni tra quelli considerati più pericolosi. Intelligenza artificiale: i 10 rischi più pericolosi Quali sono i rischi più pericolosi collegati all’intelligenza artificiale? Alcuni tra questi è più probabile che si concretizzino, mentre per altri la possibilità è più remota. A tutti questi e a quelli che nasceranno in futuro, comunque, è necessario prestare grande attenzione e - se possibile - provare a limitarli. 1) Dipendenza Affidarsi eccessivamente all’intelligenza artificiale può rappresentare un grande rischio per l’umanità, poiché essa potrebbe perdere la capacità di pensare e trovare soluzioni creative. Se la civiltà umana è stata in grado di crescere e svilupparsi in maniera così esponenziale nel corso degli anni, una grande parte del merito lo deve alla sua capacità di pensare in maniera critica e spontanea. Lasciare all’intelligenza artificiale la possibilità di «pensare» al posto dell’uomo potrebbe portare la società a perdere la sua capacità di escogitare soluzioni creative, fondamentali per lo sviluppo e la sopravvivenza della società umana. 2) Perdita del lavoro Questo è forse uno dei rischi più concreti e anche più discussi nell’ultimo periodo. Molti esperti temono fortemente che l’intelligenza artificiale possa portare un grandissimo numero di persone a perdere il loro posto di lavoro e ad essere sostituite dalle macchine. Effettivamente questo rischio si è in parte già concretizzato: oggi molti chatbot svolgono compiti di assistenza alla clientela che un tempo erano ad esclusivo appannaggio delle persone. Il rischio, in questo caso, non è che il normale progresso della tecnologia porti alcuni lavori a diventare obsoleti, ma che questo avvenga troppo rapidamente facendo perdere il lavoro a molte persone nello stesso periodo e rendendo complesse le pratiche di reintegrazione nel mondo del lavoro. 3) Crescita delle disuguaglianze L’intelligenza artificiale potrebbe contribuire ad aumentare le disuguaglianze nella società. Per capire come, è possibile pensare al medesimo strumento in mano ad una persona normale oppure in mano ad una grande azienda: una persona comune potrà sicuramente trarre dei vantaggi dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale, ma questi saranno sicuramente insignificanti rispetto a quelli che potrebbe avere una grande azienda tech, i cui introiti potrebbero crescere in maniera ben più vertiginosa grazie all’impiego di queste tecnologie. 4) Privacy Un altro aspetto che preoccupa molti esperti è quello della privacy. Ad oggi molti dei sistemi di intelligenza artificiale utilizzati quotidianamente dalle persone sono alimentati con grandi masse di dati presi da internet in maniera pressoché casuale, il che può comportare anche gravi violazioni della privacy delle persone. Read the full article
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Manzoni 150 a Milano
Da maggio a dicembre Milano omaggerà uno dei più grandi scrittori italiani, Alessandro Manzoni, con numerosi eventi in occasione dei 150 anni dalla morte dell'autore. Il 22 maggio, giorno della scomparsa dello scrittore nel 1873, ci sarà l’ingresso gratuito fino alle 22 a Casa Manzoni, la deposizione della corona sulla tomba dello scrittore al Famedio e il Requiem di Verdi eseguito dall’Orchestra Sinfonica di Milano in Duomo, oltre al primo giorno di emissione e annullo del francobollo dedicato all’anniversario. Cuore delle celebrazioni è Casa Manzoni in via Morone 1, residenza dello scrittore e della sua famiglia dal 1813 fino alla morte, che accoglie il Museo Manzoniano, il cui percorso museale, riallestito nel 2015, propone una visita in dieci sezioni, che ripercorrono, tra gli arredi e le opere d’'arte esposte nelle sale, diversi itinerari nella vita e nell’opera dello scrittore, dalla famiglia ai ritratti, dai paesaggi del romanzo alla sua passione per la botanica, dagli amici agli scrittori che lo presero a modello, dalla camera da letto allo studio in cui scrisse I promessi sposi. Tra le molte iniziative in calendario, Casa Manzoni ospiterà in autunno due mostre, Ove natura a sé medesma piace, sui paesaggi della Lombardia manzoniana e Dialetti e lingue d’Italia nella Casa di Alessandro Manzoni, mentre durante l’estate verranno promosse letture teatrali dell’opera e sulla figura dello scrittore. Il Duomo sarà uno dei luoghi delle celebrazioni dove, sotto la direzione artistica affidata a Massimiliano Finazzer Flory, dal 9 al 31 maggio 2023 e dalle 18.45 alle 20, si terrà la lettura integrale de I promessi sposi, che il 26 maggio, si sposterà in Piazza San Fedele, in prossimità della chiesa cara a Manzoni, e coinvolgerà attori e talenti emergenti dai principali teatri italiani e milanesi. La lettura de I promessi sposi in Duomo sarà trasmessa in diretta streaming sul canale YouTube Duomo Milano Tv. Dal 4 maggio all'8 luglio sarà aperta al pubblico la mostra Manzoni 1873-2023. La peste ‘orribile flagello’ tra vivere e scrivere” alla Biblioteca Nazionale Braidense, che ripercorre la figura dell’importante autore in modo originale, mediante due momenti della sua scrittura segnati dalla peste, I Promessi Sposi e Storia della Colonna Infame. In Pinacoteca Ambrosiana sarà inaugurata il 4 maggio la mostra I libri di Don Ferrante nella Biblioteca Ambrosiana, che cerca di ricostruire, con il materiale presente, la “raccolta di libri considerabile, poco meno di trecento volumi” di Don Ferrante che Manzoni descrive nei Promessi Sposi. Dal 3 maggio, e fino al 4 giugno, al Museo del Risorgimento sarà allestito il progetto Sulle orme di Manzoni. Un percorso tra opere, libri e documenti d’archivio al Museo del Risorgimento, un approfondimento sugli eventi raccontati dalle opere esposte nella collezione del museo, con una selezione di documenti delle Civiche Raccolte Storiche. Non mancheranno iniziative legate a curiosità sulla figura di Manzoni, come, dal 14 novembre al 7 gennaio, l’esposizione al Museo di Storia Naturale della Robinia del Manzoni, cioè due tronchi intrecciati dallo stesso Manzoni quando erano giovani piante nel giardino della villa di Brusuglio e che divennero il simbolo del profondo legame con Enrichetta Blondel, e un approfondimento delle attività dello scrittore nella veste di botanico e primo coltivatore della robinia in Lombardia. Il 26 e il 27 maggio nei luoghi manzoniani, tra Corsia dei Servi, piazza Duomo, Piazza San Fedele e Piazza Belgioioso, si potrà assistere al Festival Diffuso Notte Manzoniana, con performance teatrali e letture di attori in costume. Dal 5 al 31 maggio il Centro San Fedele proporrà una serie di appuntamenti, come un ciclo di film presso il cineforum dell’auditorium e alcune serate in chiesa, in collaborazione con la Fondazione Carlo Maria Martini per valorizzare gli scritti del cardinale in cui si rintracciano echi manzoniani. Se dal 3 al 14 maggio al Pacta dei Teatri è protagonista La monaca di Monza alias suor Virginia Maria alias Marianna Leyva in autunno il Piccolo Teatro Grassi dedica a Manzoni dal 12 al 22 ottobre lo spettacolo I promessi sposi alla prova di Giovanni Testori e il 20 novembre l’evento Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno. Serata manzoniana. Read the full article
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