#lavoro su sé stessi
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Rubami pure l'anima, visto che ci sei. Tanto riusciresti a farla sembrare più interessante tra le tue mani. Sapresti venderla meglio.
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Io dopo più di quattro ore passate davanti alla webcam ad ascoltare discorsi su lavoro, competenze, life skills, l'importanza di prendere decisioni e di avere una relazione sana con sé stessi.
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Il compito principale nella vita di ognuno è dare alla luce se stesso (E. Fromm).
Lo sai che significa?
Tanti pensatori e maestri hanno definito il risveglio di Coscienza come la rinascita di sè stessi. Lo hanno detto con parole varie, ma il concetto finale non cambia. Tuttavia ciò che tanti non capiscono è il principio di azione che questo risveglio comporta.
La ricerca interiore è ormai diventata un rifugio ovattato di paroline coccolose e filosofiche, mentre un lavoro serio di consapevolezzati ti fa passare per l'inferno, o giù di lì.
Non è qualcosa che avviene perché un giorno decidi che ti vuoi aprire alla visione interiore, o magari alla prospettiva spirituale di chissà chi, iniziando a riempire la testa di "pensieri positivi".
Lo Spirito non vuole rammolliti, né convinzioni mentali.
Le persone non si rendono conto che arrivare all'autenticità di sé stesse comporta fare concretamente qualcosa, non restare nella testa.
Devi riconoscere e comprendere quello che vuole la tua Essenza e quello che ti chiede di fare. Devi sapere ascoltare le motivazioni e le sue intenzioni, anche e soprattutto quando ti fanno male.
Devi agire.
Nemmeno valgono certe risposte inutili date da gente che si fa addirittura pagare. Pure a me una "professionista" mi disse che ero un canale di luce, e sai a che mi è servito? A niente. Al buio. Alla cazzata completa. Al sentirmi la mattina seguente ancora più incasinata su quello che dovevo fare davvero.
Le belle etichette che tanto piacciono a chi vuole sentirsi dare ragione e immaginarsi luce cosmica in terra, sono per i distorti.
Mettiti in pratica, esci dall'astratto!
Capisci quanto vuoi essere lusingato oppure quanto vuoi sgretolare le tue maschere, soprattutto vedi dove cade l'indicatore della bilancia, perché è già una spia di quello a cui veramente dai attenzione.
Chi capisce cosa fare delle sue esperienze è già a un buon punto di svolta.
#lavoro interiore#crescita personale#lavoro su di sè#conosci te stesso#crescita interiore#ego#illusioni#maschere#responsabilità#mondo marcio#catene#raccontarsela#discernimento#pratica#spiritualità#consapevolezza#esercizio#paraguri#cazzate#zombie#società#società malata#svegliatevi#aprite gli occhi#sistema#manipolazioni#schiavi#citazioni#risveglio#evoluzione
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Il "Monumento alla nuova generazione: svampiti" di Anna Uddenberg, presentato alla 9a Biennale di Berlino, ci immerge in una profonda riflessione sull'era digitale e sulla costruzione delle identità attraverso gli schermi. Conosciuta per le sue sculture che esplorano l'immagine di sé, il narcisismo e la tecnologia, Uddenberg utilizza il corpo umano come una tela per interrogarsi su come ci proiettiamo sui social media. 🌐📱
Le "teste svampite" che compaiono nell'opera sembrano essere una critica diretta alla vacuità delle identità costruite in un mondo virtuale, dove apparenze e pose dominano la narrazione. Invece di corpi carichi di significato, vediamo figure priva di contenuto reale, che riflettono la superficialità e la disconnessione che spesso regna nelle interazioni digitali. 🤳💭
Situata nel contesto della biennale, l'opera rivela il narcisismo , la costante ricerca di validazione e l'alienazione che nascono quando si cerca di inserirsi in uno stampo virtuale che non riflette l'autenticità dell'essere. Il lavoro di Uddenberg diventa così uno specchio distorto della nostra stessa società digitalizzata, dove le "teste svampite" ci invitano a chiederci quanto di noi stessi rimane dopo aver proiettato un'immagine online. 🔍🧠
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RIPARARE L'AMORE
Allontanare una persona problematica dalla nostra vita, senza aver guardato la situazione fino in fondo, questo è garanzia che ne attireremo un'altra simile.
Non farsi abusare è più che lecito, mettere dei paletti è doveroso, amore e compassione non è permettere agli altri di usarti come un oggetto, ma prima, serve osservare molto bene cosa in noi l'ha attirato/a nella nostra vita, perché la vita non procede mai a caso, la vita sistema bene i suoi pezzi sulla scacchiera.
Ciò che attiri ha a che fare con te, il caso non esiste.
Ci sono delle lezioni da appendere:
- Chi non ama se stesso, dovrà imparare ad accettarsi, ad amarsi e a proteggersi.
- Chi sente di essere stato ferito e vive nella commiserazione e nel risentimento, dovrà imparare a perdonare e a lasciare andare il passato per non trattenere veleno nel cuore, cosi fa un favore a se stesso.
- Chi non ha pazienza, dovrà imparare la pazienza, ad avere pazienza con se stesso e con gli altri.
- Chi è carico di rabbia e di odio, dovrà imparare a mettersi al posto degli altri, la compassione.
- Chi è debole e facilmente influenzabile, dovrà recuperare se stesso ed il suo potere interiore.
- Chi tende ad abusare, dovrà imparare ad amare, e a non usare gli altri per compensare le sue deficienze.
- Chi si attacca morbosamente agli altri, dovrà imparare a stare bene anche in solitudine e ad apprezzarne il sapore, lo stare bene con se stessi.
- Chi soffre di invidia e di gelosia, dovrà imparare a darsi fiducia, ad avere più rispetto di se stesso, e dare più valore alla sua vita.
- Chi tende a combattere gli altri ha un carattere competitivo e ha sempre bisogno di dimostrare se stesso come il migliore rispetto agli altri, egli dovrà armonizzare corpo, mente, cuore, ed energia in relazione agli altri.
- Chi ha paura degli altri e dei loro giudizi, dovrà rafforzare la fiducia in se stesso, imparare a conoscere se stesso ed apprezzare se stesso e le sue qualità.
- Chi è avaro nei sentimenti e nel condividere, dovrà imparare l'apertura e la generosità d'animo.
Qual'è la nostra lezione d'apprendere in questa vita?
E' la nostra Essenza che attira la vita e tutto ciò che dobbiamo ancora vivere, accettare e comprendere per raggiungere la completezza.
RIPARARE AMORE
Ama ed accetta te stesso totalmente.
Poi ama ed accetta gli altri.
Questo è il compito di una persona adulta e matura.
Non provarci neanche a pretendere amore per sentirti amato ed accettato.
Non è così che funziona l'amore.
Come adulto, comincia da te stesso e poi osserva che cosa esattamente ti impedisce di amarti e di accettarti...
Lavora sugli impedimenti, su ciò che si frappone fra te e l'amore, fra te e la fiducia, fra te ed il rispetto, fra te e la libertà di vivere te stesso/stessa pienamente così da non dovere usare qualcuno come biberon.
Questa è la base per vivere delle relazioni sane, profonde, interdipendenti.
Ricomincia da te stesso.
Da Gennaio a Luglio 2025 terrò un MASTER di 7 moduli (un modulo al mese) online dal titolo: "RIPARARE L'AMORE".
Un profondo lavoro su di sé dedicato a chi non crede più nella possibilità di poter vivere una sana relazione intima.
Info e prenotazioni scrivere a: [email protected]
Roberto Potocniak
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Ho appena realizzato che non dico "mamma e papà" da tantissimo tempo. Non perché non ci siano più, sono così fortunata da averli ancora su questa terra. Non perché siano separati, hanno deciso di "tenere insieme la famiglia'
Non so spiegarmi il motivo, ma non lo dico più, da diversi anni. Sembra di tornare bambina solo a pensarlo.
"Mamma e papà" , due parole così famigliari e così distanti. Due pilastri crollati tempo fa, la sensazione che avevo da piccola nel chiedere qualcosa.
"Mamma e papà" e un po' mi trema la voce, come se tutto ciò che viene dopo fosse sbagliato, troppo. Ritrovo la superficie dei sentimenti che provavo da bambina, in casa. Ricordo che quella casa era abbastanza grande da poter scappare quando qualcosa andava storto. Abbastanza grande da nascondersi quando non si volevano sentire le urla.
Ricordo "mamma", chiusa nella sua torre, una persona estroversa che ha scelto di infliggersi una vita introversa. Ricordo i sorrisi spenti, le frasi che avrebbe dovuto dire a sé stessa, i miei tentativi di salvarla da quella vita, i suoi sacrifici per farmi stare bene, il mio senso di colpa nel non riuscire ad accontentarla, l'inizio delle bugie.
E ricordo "papà", stanco di rientro dal lavoro, con la testa ancora piena di compiti da eseguire. Me lo ricordo frustato, nervoso, sempre pronto a esplodere. Mi ricordo che cercavo di alleggerirlo, cercavo di pensarci io. Mi ricordo il suo sguardo, quando sembrava che stessi superando il limite, e quel brivido in me, a metà tra "non vorrei" e "non mi piego". Quante lotte ho affrontato contro di lui, quante volte me ne sono pentita, amaramente.
Mamma e papà, papà e mamma, vi ho delusi vero? Vi ho feriti più di quel che una brava figlia dovrebbe fare? Sono stata troppo per voi? Così tanto da non essere riusciti a crearvi un futuro felice?
Se non ci fossi stata quante cicatrici in meno avreste?
Avrei voluto aiutarvi, ma ero piccola, e poi troppo ribelle per capire che eravate solo sovrastati dalla vita. Che perdevate il controllo perché non ne potevate più. Scusate per tutte le volte in cui non l'ho capito, in cui ho visto solo l'animale rabbioso, e non la fame che aveva.
Mi dispiace non essere stata abbastanza pacata, ubbidiente, diligente.
Ma, mamma, papà, perché non mi avete protetta?
So che non dovrei chiedervelo, so che, dopo tutto ciò che è successo, è la domanda sbagliata. Ma perché? Fingevo già così bene da non farvi preoccupare? O eravate convinti che alla fine, in qualche modo, sarei venuta su da sola? Che mi sarei salvata?
Mamma, papà
Scusatemi se sto sprecando questi giorni, queste settimane, mesi. Scusate per il male che ha subito il corpo che avete creato. Scusate per ciò che è successo nella mente di quella che un tempo era la vostra bambina. Non sono riuscita a proteggervi, e nemmeno a proteggermi.
#mamma#papa#madre#padre#infanzia#ricordi#flashback#lampo#casa#urla#autosifficenza#empatia#riscontro#dolore#piangere#bambina#bambino#piccola#piccolo#famiglia#scelte#cresere#amore#vita#lui#citazioni#morte#vivere#amare#soffrire
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Oltre la salute mentale - Il Tascabile
Nel suo articolo La meditazione che fa bene al capitale, Ronald Purser spiega come la tecnica buddista della Mindfulness sia diventata la ricetta perfetta da vendere sul mercato perché ci rende pacifici, cioè “vuole convincerci che le cause della nostra sofferenza vanno ricercate soprattutto dentro noi stessi, e non nel contesto politico ed economico che determina il modo in cui viviamo”. In questo caso si tratta di una forma mercificata della mindfulness, che di per sé può invece essere un utile strumento per gestire lo stress, l’ansia e modificare alcuni automatismi mentali che ci fanno soffrire. Il problema si presenta quando viene ridotta a una ricetta per il successo e si trasforma nella panacea di tutti mali, o addirittura come una filosofia rivoluzionaria necessaria per cambiare il mondo.
Qualcosa di simile potrebbe succedere con le terapie psicologiche quando si paventa la possibilità di risolvere qualsiasi problema semplicemente iniziando una terapia. Quando problemi strutturali come la povertà, la violenza domestica, lo sfruttamento, la disoccupazione o la distruzione dell’ecosistema diventano questioni personali, allora il campo d’azione si riduce alla depressione, al self empowerment, allo stress da lavoro correlato, all’abuso di sostanze o all’ansia. Il contesto sociale rimane sospeso, lasciando spazio esclusivamente all’interpretazione e gestione dei sintomi della paziente. Il processo clinico della terapia è un’ottima risorsa che aiuta le persone a conoscersi e curarsi ma non può essere la bacchetta magica per risolvere i conflitti che riguardano la collettività. Per esempio, una campagna di sensibilizzazione sul burnout lavorativo lanciata su Instagram propone come unica soluzione rivolgersi a un servizio di psicoterapia online a prezzi calmierati. Organizzarsi per migliorare le condizioni di salubrità, i ritmi di lavoro, la cultura aziendale, ridurre i turni e la competizione sfrenata rimangono invece rimossi dai possibili scenari d’azione.
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🖤I'll steal you💚
.❥Warnings=Slightly suggestive 🔞
.❥Malleus Draconia x gnreader
.❥ Reblog apprezzato, per favore non rubare il lavoro!🤡
.❥pov:You and malleus had a fiery night last night,And he decided he had to continue..🌚
Nel momento in cui suonò la campana, stava aspettando, guardando da lontano. Sei uscito dall'aula e lui ha osservato attentamente i tuoi movimenti. Nel momento in cui hai iniziato a muoverti, ha iniziato a seguirti, volendo raggiungerti il più rapidamente possibile. Ti voleva adesso, non poteva più aspettarti. Non appena ha visto la sua occasione, ti ha afferrato il polso e ti ha trascinato in una zona appartata. Nel momento in cui ti ha trascinato in una zona appartata, tutto ciò che poteva fare era sorriderti. Il tuo corpo era caldo e lui poteva sentire il calore irradiarsi dal tuo corpo. I suoi occhi erano fissi su di te e su ogni piccolo movimento che facevi. Il modo in cui continuavi a muovere il tuo corpo lo stava già facendo impazzire. Appena ti ha visto dirigerti verso il tuo dormitorio, ha dovuto rapirti e portarti da qualche altra parte. Ha avvolto il suo corpo intorno alla tua vita e ti ha avvicinato a lui, il tuo corpo era perfetto. Il modo in cui ti teneva la mano intorno alla vita era come un sentimento possessivo, ti avrebbe rivendicato come suo. Si chinò e ti leccò dolcemente il collo prima di sussurrarti all'orecchio: "Pensi di poter andare nel tuo dormitorio dopo quello che è successo?" Sorride vedendo come le tue emozioni cambiano da sorpreso a imbarazzato e arrabbiato in pochi secondi, “Malleus siamo ancora a scuola, cosa pensi che faremo?!” Disse goffamente e con una voce rotta, il tuo viso era segnato da un piccolo broncio sulle labbra e sulle guance rosse, e i tuoi occhi da cerbiatto guizzavano per controllare se qualcuno ti vedeva, Si sporse un po' più vicino e ti sussurrò in tono canzonatorio " Ti ruberò." Dal modo in cui te lo ha sussurrato sembrava che ti stesse solo prendendo in giro. Ma il modo in cui ti teneva vicino a sé era come se stesse davvero per farlo. Il modo in cui continuavi a guardarti intorno sembrava che stessi aspettando che arrivasse qualcuno, l'idea di ciò lo rendeva ancora più eccitato. L'idea che qualcuno ti sorprendesse era davvero allettante. È inutile, forse non avresti passato quel pomeriggio a studiare...
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I TRE TRADIMENTI
Il primo tradimento
Prendiamo il caso di due persone normali che stanno insieme e che non abbiano ancora fatto un lavoro su di sé.
Non si conoscono, non sanno cosa ci sia dentro di loro, non sanno come funziona il loro inconscio. Non sanno ancora nulla, non hanno le informazioni.
Fai conto che tutti abbiamo delle ferite e ti assicuro che il 90% di noi si relaziona dalla ferita.
Magari non subito, magari non nel momento dell’innamoramento, non nei primi mesi.
Ma anche quando siamo nell’innamoramento, dove si sperimenta l’apertura del cuore e anche uno stato di coscienza molto elevato a seconda di quanto si possa aprire, questo non significa che le nostre ferite e il nostro passato non siano ancora lì ad aspettarci.
È questione di poco tempo e le ferite, piano piano, si faranno avanti.
Per questo lo chiamano periodo “luna di miele”, perché il cuore non può rimanere aperto troppo a lungo a causa delle ferite, a causa del materiale interiore e a causa anche del fatto che non siamo sufficientemente maturi affinché il cuore possa rimanere aperto.
E questo perché non abbiamo ricevuto istruzioni su come mantenere il cuore aperto e su come lavorare sul resto del materiale.
Uno che non sa nulla non si accorge che il cuore, un poco alla volta, tornerà a chiudersi a causa della pressione dal subconscio e di tutto il materiale irrisolto, che di nuovo farà pressione e tornerà a galla.
Indagando a fondo su questa tematica, quello che ho compreso è che il primo tradimento, in amore, in relazione (e nessuno scappa da questo), avviene quando dal cuore, che all’inizio si apre un po’, piano piano torniamo di nuovo, senza accorgercene, nella nostra ferita principale.
Praticamente noi torniamo a come eravamo prima dell’innamoramento: ci torniamo a relazionare dalla ferita principale, esattamente dove siamo sempre stati potentemente identificati.
Può essere la paura dell’abbandono, può essere una forma di egocentrismo o arroganza, può essere un’altra paura, di fatto però, noi torniamo nella nostra ferita principale.
Ed è quando noi torniamo nella nostra ferita principale che cambia tutta la prospettiva, il cuore non è più come prima, comincia a chiudersi. La ferita principale non è guarita.
Il primo tradimento quindi è passare dal cuore, dal relazionarsi dal cuore, alla ferita:
Noi tradiamo quando passiamo dal cuore alla ferita principale.
Rinunciamo all’amore senza accorgercene, ma, giorno dopo giorno, non siamo più nel cuore e cominciamo a relazionarci dalla ferita principale, dalle nostre paure e dalle nostre ossessioni.
Lì stiamo tradendo sia il nostro partner che noi stessi.
E l’altro?
L’altro farà la stessa cosa.
Non appena sentirà che noi stiamo entrando di nuovo nella ferita (questo avviene tutto a livello subconscio) cominceranno le prime dinamiche psicologiche.
E le si può osservare facilmente.
Perché finché sei nel cuore non hai paura di niente: sei felice, sereno, non te ne frega niente di ciò che pensano gli altri…
Poi, magari vai a convivere o inizi a fare progetti e dal bello iniziale, si passa al tornare sotto il controllo delle ferite irrisolte che ti ricordano della loro esistenza.
Il cuore si sposta di nuovo indietro e torneremo a essere dominati dalla paura.
Paura generata appunto dalla ferita, da una delle tante ferite. Ma è quella principale che agisce in maniera molto prepotente.
Cominciamo a metter su gli schemi difensivi e non ce ne accorgiamo, perché questo processo avviene nel tempo - chi più velocemente e chi meno, ma avviene.
Emergono la ferita della non esistenza, la paura dell’abbandono… Qualsiasi tipo di ferita.
Noi parliamo di cinque ferite perché sono quelle principali, ma ce ne sono tantissime.
A me interessa capire il meccanismo, quello che succede e che ho osservato.
Cosa succede quando ti relazioni dalla ferita e torni nella paura di essere ferito?
Semplice.
Tu cominci a chiuderti, a usare i meccanismi psicologici.
Non sei più nel cuore, non ti relazioni più dal cuore, ma ti relazioni attraverso la mente, attraverso i meccanismi, attraverso le reazioni.
E questo, ovviamente, manda in allarme anche le ferite dell’altro, a cui succede la stessa identica cosa.
Anche nell’altro il sistema va in agitazione. Così tutti e due i cuori si chiudono e si ritorna nei vecchi schemi, quelli precedenti all’inizio della relazione.
Prima il cuore era aperto ed era in prima posizione, mentre l’ego e la personalità erano giù. Adesso, dopo un po’, le cose irrisolte vengono a galla e la personalità con le sue ferite “torna su”.
Ecco che regrediamo a come eravamo prima: cominciano le schermaglie, cominciano le paure, cominciano i battibecchi, comincia il fraintendimento, cosa che non succede mai nella fase di vero amore, perché il cuore ha un’intelligenza incredibile e riesce a capire intuitivamente quello che succede nell’altro.
Tutti i nostri pregiudizi, le ferite e le paure dei rapporti precedenti, gli abusi subiti in famiglia cominciano a farsi strada. E il tuo sistema va in protezione.
Per me questo è l’inizio del tradimento, parlando a livello molto profondo ovviamente.
Alle volte la ferita principale, quando scatta, non fa altro che esaltare ancora di più tutto il materiale: si entra così nella dinamica carceriere-carcerato, vittima-carnefice che abbiamo visto prima.
Si entra nel sentirsi non accettati, non amati, invisibili.
E da qui si può arrivare a tagliar fuori completamente la persona, o a volerla dominare, o a trattarla male, o anche ad abbandonarla, a tradirla.
E questa è una conseguenza.
Perché a un certo punto tutti questi meccanismi difensivi, se non si hanno gli strumenti per lavorare su sé stessi (ma più che altro, a monte, se non si hanno gli strumenti proprio per vedere che ci stiamo difendendo dalle nostre paure irrisolte invece di aprirci al partner), questi meccanismi iniziano ad allontanarci l’uno dall’altro.
E quando ci si allontana e non ci si capisce più, la storia può finire in mille modi diversi: tradimento, abbandono, aggressività…
O anche stare insieme passivamente solo per dividere le spese o rompersi le scatole tutto il giorno…
Quindi, non ci interessa il tradimento o l’abbandono in senso classico, ma qual è il processo che abbiamo messo in moto, il processo che non abbiamo visto.
Perché ormai ti sarà chiaro che il nostro problema è vedere.
E diventerà ancora più facile recitare gli stessi ruoli che hanno recitato i nostri genitori, se non “vediamo” appunto.
Nell’amore, nell’innamoramento, nell’apertura del cuore non esistono ruoli da giocare: siete tu e l’altro. Puro amore e apertura. Zero ruoli.
Ma piano piano… se non abbiamo tagliato il cordone ombelicale…
Il secondo tradimento
Ora vediamo la cosa da un altro punto di vista, quello del sistema familiare.
Questo è il secondo problema: non ho tagliato veramente il cordone familiare.
E il cordone non si taglia dicendo semplicemente: “non sarò come mio padre o mia madre”, ma facendo un profondo lavoro per portare la tua coscienza fuori dall’inconscio collettivo, fuori dall’inconscio familiare e lavorando fuori dal tuo stesso inconscio. (Lo approfondiremo meglio più in là).
Devi liberare la tua coscienza, cioè il tuo io, da tutti questi strati che ti condizionano.
Se non fai questo (e questo richiede un certo lavoro specifico), inevitabilmente, dopo un po’, ognuno porterà nel rapporto il proprio psicodramma familiare.
Conserviamo i fantasmi di mamma e papà, i fantasmi dei nonni e dei bisnonni da entrambe le parti, e questi premono.
Non ti rendi neanche conto che, da sciolti, liberi, naturali, spontanei, passa un anno, due anni e al terzo si attiverà un meccanismo per il quale si entra nel ruolo dell’una o dell’altra famiglia dei genitori…
Si comincia ad assumere un ruolo.
Lei comincia a essere come la madre o la suocera, lui comincia a essere come il padre o il suocero.
Tieni presente che, quando cominci a entrare nel ruolo, tu sei fuori dal cuore.
Perché il cuore è coscienza.
E la coscienza è libera di manifestare sé stessa: nessun ruolo.
Ma se non abbiamo liberato la coscienza dall’inconscio familiare, allora il nostro inconscio porta i semi della famiglia. E quindi sarà inevitabile che uno dei due, o tutti e due, recitino esattamente il ruolo dei genitori e riprodurranno meccanicamente tutte le dinamiche delle rispettive famiglie. Un mix delle due o più una, o più l’altra, è indifferente.
Quando permettiamo al sistema familiare di interferire con la nostra coscienza, con la nostra unicità?
Quando ci facciamo plasmare da tutte le credenze e abitudini di casa.
E siamo noi a permetterlo davvero?
No, accade semplicemente perché siamo addormentati.
La tua coscienza non è ancora libera di essere sé stessa, il tuo io non è libero, è sotto il potere del tuo inconscio.
Vivi la vita di qualcun altro e nemmeno te ne accorgi.
Questo è essere addormentati.
E cosa vuol dire liberarsi dall’inconscio? Diventare coscienti. Il buio diventa luce.
Diventare consapevoli, coscienti, svegliarsi, significa tirar fuori strati e strati di fango, fino ad arrivare all’acqua sporca, uscire dall’acqua e andare nell’aria, e asciugare la propria anima. Da anima umida ad anima secca, anima che si libera al di sopra dei vari livelli di inconscio.
L’acqua rappresenta i vari livelli di inconscio e il fango è l’inconscio più profondo, quello collettivo, quello più buio.
Via via salendo, poi, c’è l’inconscio personale e, infine, la coscienza diventa sole.
Un sole sott’acqua non può brillare, non può scaldare, non può essere, non può manifestarsi: deve uscire dai vari strati di inconscio.
Ed ecco che arriva la possibilità, attraverso la coscienza pura (quello che tu sei veramente e non quello che hai acquisito nella personalità, ma quello che sei nell’essenza), di relazionarti da cuore a cuore.
Poi chiaramente dovrai finire di tagliare quello che deve essere tagliato, far crescere quello che deve essere fatto crescere e sviluppato… Un po’ alla volta.
Tornando a noi, ecco il secondo tradimento.
Portare il sistema familiare nella relazione.
Anche in questo caso, stiamo tradendo il partner, ma soprattutto stiamo tradendo l’amore.
Si potrà forse dire che qui due persone stanno assieme per vivere la loro vita?
No, perché non vivranno la loro vita, ma quella del loro sistema familiare.
Il terzo tradimento
Tradisce anche chi entra in relazione da una ferita, cioè dalla sua ferita principale, pensando magari che la relazione la guarirà. Sperando che l’altro lo “aggiusti”. Lo faccia sentire bene e felice.
Questo è tradimento puro già in partenza.
Perché se io mi avvicino a te con il bisogno di una relazione, ti sto già tradendo: ti sto usando per tappare le mie ferite. I miei vuoti.
Questo è un altro esempio di tradire prima ancora di cominciare.
Quando noi usiamo un’altra persona per tappare i buchi, per non sentire la ferita o perché abbiamo paura di star da soli.
Stiamo già tradendo la persona, stiamo già tradendo la sua anima, perché non stiamo entrando puliti.
Non che uno debba fare ventimila percorsi prima di relazionarsi, ma un minimo di lavoro su di sé, sì.
Quindi tradisce anche chi non conosce sé stesso e dunque non vede che cosa lo spinge a entrare in una relazione e perché. Anche questo è tradimento.
Siamo noi, relazionandoci dalle nostre ferite e paure e condizionamenti, a creare le condizioni per essere lasciati o per essere traditi, perché abbiamo tradito e mentito inconsciamente non entrando in relazione dal cuore, ma dal bisogno, dalla paura, dalla ferita, dai bisogni infantili insoddisfatti e da tutto il materiale irrisolto.
Qui noi abbiamo tradito l’amore, fin dal principio.
E poi, ovviamente, chi tradisce se stesso, non è chiaro con se stesso, non è onesto con se stesso e non si conosce, tradisce anche l’altro, perché non vede cosa sta facendo.
Non vede che va in protezione, non vede che reagisce dalla ferita. Non vede migliaia di cose.
Se sei onesto e accetti di vederlo in te, cerchi di capire e di non sbagliare più.
Ma non puoi dire: “non sbaglierò più” e basta, perché se non vedi continuerai a farlo anche se non vuoi.
Noi continuiamo sempre a ripetere i soliti errori perché non vediamo causa, condizione, effetto.
ROBERTO POTOCNIAK
Immagine #giuliajrosa
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I TRE TRADIMENTI
Il primo tradimento
Prendiamo il caso di due persone normali che stanno insieme e che non abbiano ancora fatto un lavoro su di sé.
Non si conoscono, non sanno cosa ci sia dentro di loro, non sanno come funziona il loro inconscio. Non sanno ancora nulla, non hanno le informazioni.
Fai conto che tutti abbiamo delle ferite e ti assicuro che il 90% di noi si relaziona dalla ferita.
Magari non subito, magari non nel momento dell’innamoramento, non nei primi mesi.
Ma anche quando siamo nell’innamoramento, dove si sperimenta l’apertura del cuore e anche uno stato di coscienza molto elevato a seconda di quanto si possa aprire, questo non significa che le nostre ferite e il nostro passato non siano ancora lì ad aspettarci.
È questione di poco tempo e le ferite, piano piano, si faranno avanti.
Per questo lo chiamano periodo “luna di miele”, perché il cuore non può rimanere aperto troppo a lungo a causa delle ferite, a causa del materiale interiore e a causa anche del fatto che non siamo sufficientemente maturi affinché il cuore possa rimanere aperto.
E questo perché non abbiamo ricevuto istruzioni su come mantenere il cuore aperto e su come lavorare sul resto del materiale.
Uno che non sa nulla non si accorge che il cuore, un poco alla volta, tornerà a chiudersi a causa della pressione dal subconscio e di tutto il materiale irrisolto, che di nuovo farà pressione e tornerà a galla.
Indagando a fondo su questa tematica, quello che ho compreso è che il primo tradimento, in amore, in relazione (e nessuno scappa da questo), avviene quando dal cuore, che all’inizio si apre un po’, piano piano torniamo di nuovo, senza accorgercene, nella nostra ferita principale.
Praticamente noi torniamo a come eravamo prima dell’innamoramento: ci torniamo a relazionare dalla ferita principale, esattamente dove siamo sempre stati potentemente identificati.
Può essere la paura dell’abbandono, può essere una forma di egocentrismo o arroganza, può essere un’altra paura, di fatto però, noi torniamo nella nostra ferita principale.
Ed è quando noi torniamo nella nostra ferita principale che cambia tutta la prospettiva, il cuore non è più come prima, comincia a chiudersi. La ferita principale non è guarita.
Il primo tradimento quindi è passare dal cuore, dal relazionarsi dal cuore, alla ferita:
Noi tradiamo quando passiamo dal cuore alla ferita principale.
Rinunciamo all’amore senza accorgercene, ma, giorno dopo giorno, non siamo più nel cuore e cominciamo a relazionarci dalla ferita principale, dalle nostre paure e dalle nostre ossessioni.
Lì stiamo tradendo sia il nostro partner che noi stessi.
E l’altro?
L’altro farà la stessa cosa.
Non appena sentirà che noi stiamo entrando di nuovo nella ferita (questo avviene tutto a livello subconscio) cominceranno le prime dinamiche psicologiche.
E le si può osservare facilmente.
Perché finché sei nel cuore non hai paura di niente: sei felice, sereno, non te ne frega niente di ciò che pensano gli altri…
Poi, magari vai a convivere o inizi a fare progetti e dal bello iniziale, si passa al tornare sotto il controllo delle ferite irrisolte che ti ricordano della loro esistenza.
Il cuore si sposta di nuovo indietro e torneremo a essere dominati dalla paura.
Paura generata appunto dalla ferita, da una delle tante ferite. Ma è quella principale che agisce in maniera molto prepotente.
Cominciamo a metter su gli schemi difensivi e non ce ne accorgiamo, perché questo processo avviene nel tempo - chi più velocemente e chi meno, ma avviene.
Emergono la ferita della non esistenza, la paura dell’abbandono… Qualsiasi tipo di ferita.
Noi parliamo di cinque ferite perché sono quelle principali, ma ce ne sono tantissime.
A me interessa capire il meccanismo, quello che succede e che ho osservato.
Cosa succede quando ti relazioni dalla ferita e torni nella paura di essere ferito?
Semplice.
Tu cominci a chiuderti, a usare i meccanismi psicologici.
Non sei più nel cuore, non ti relazioni più dal cuore, ma ti relazioni attraverso la mente, attraverso i meccanismi, attraverso le reazioni.
E questo, ovviamente, manda in allarme anche le ferite dell’altro, a cui succede la stessa identica cosa.
Anche nell’altro il sistema va in agitazione. Così tutti e due i cuori si chiudono e si ritorna nei vecchi schemi, quelli precedenti all’inizio della relazione.
Prima il cuore era aperto ed era in prima posizione, mentre l’ego e la personalità erano giù. Adesso, dopo un po’, le cose irrisolte vengono a galla e la personalità con le sue ferite “torna su”.
Ecco che regrediamo a come eravamo prima: cominciano le schermaglie, cominciano le paure, cominciano i battibecchi, comincia il fraintendimento, cosa che non succede mai nella fase di vero amore, perché il cuore ha un’intelligenza incredibile e riesce a capire intuitivamente quello che succede nell’altro.
Tutti i nostri pregiudizi, le ferite e le paure dei rapporti precedenti, gli abusi subiti in famiglia cominciano a farsi strada. E il tuo sistema va in protezione.
Per me questo è l’inizio del tradimento, parlando a livello molto profondo ovviamente.
Alle volte la ferita principale, quando scatta, non fa altro che esaltare ancora di più tutto il materiale: si entra così nella dinamica carceriere-carcerato, vittima-carnefice che abbiamo visto prima.
Si entra nel sentirsi non accettati, non amati, invisibili.
E da qui si può arrivare a tagliar fuori completamente la persona, o a volerla dominare, o a trattarla male, o anche ad abbandonarla, a tradirla.
E questa è una conseguenza.
Perché a un certo punto tutti questi meccanismi difensivi, se non si hanno gli strumenti per lavorare su sé stessi (ma più che altro, a monte, se non si hanno gli strumenti proprio per vedere che ci stiamo difendendo dalle nostre paure irrisolte invece di aprirci al partner), questi meccanismi iniziano ad allontanarci l’uno dall’altro.
E quando ci si allontana e non ci si capisce più, la storia può finire in mille modi diversi: tradimento, abbandono, aggressività…
O anche stare insieme passivamente solo per dividere le spese o rompersi le scatole tutto il giorno…
Quindi, non ci interessa il tradimento o l’abbandono in senso classico, ma qual è il processo che abbiamo messo in moto, il processo che non abbiamo visto.
Perché ormai ti sarà chiaro che il nostro problema è vedere.
E diventerà ancora più facile recitare gli stessi ruoli che hanno recitato i nostri genitori, se non “vediamo” appunto.
Nell’amore, nell’innamoramento, nell’apertura del cuore non esistono ruoli da giocare: siete tu e l’altro. Puro amore e apertura. Zero ruoli.
Ma piano piano… se non abbiamo tagliato il cordone ombelicale…
Il secondo tradimento
Ora vediamo la cosa da un altro punto di vista, quello del sistema familiare.
Questo è il secondo problema: non ho tagliato veramente il cordone familiare.
E il cordone non si taglia dicendo semplicemente: “non sarò come mio padre o mia madre”, ma facendo un profondo lavoro per portare la tua coscienza fuori dall’inconscio collettivo, fuori dall’inconscio familiare e lavorando fuori dal tuo stesso inconscio. (Lo approfondiremo meglio più in là).
Devi liberare la tua coscienza, cioè il tuo io, da tutti questi strati che ti condizionano.
Se non fai questo (e questo richiede un certo lavoro specifico), inevitabilmente, dopo un po’, ognuno porterà nel rapporto il proprio psicodramma familiare.
Conserviamo i fantasmi di mamma e papà, i fantasmi dei nonni e dei bisnonni da entrambe le parti, e questi premono.
Non ti rendi neanche conto che, da sciolti, liberi, naturali, spontanei, passa un anno, due anni e al terzo si attiverà un meccanismo per il quale si entra nel ruolo dell’una o dell’altra famiglia dei genitori…
Si comincia ad assumere un ruolo.
Lei comincia a essere come la madre o la suocera, lui comincia a essere come il padre o il suocero.
Tieni presente che, quando cominci a entrare nel ruolo, tu sei fuori dal cuore.
Perché il cuore è coscienza.
E la coscienza è libera di manifestare sé stessa: nessun ruolo.
Ma se non abbiamo liberato la coscienza dall’inconscio familiare, allora il nostro inconscio porta i semi della famiglia. E quindi sarà inevitabile che uno dei due, o tutti e due, recitino esattamente il ruolo dei genitori e riprodurranno meccanicamente tutte le dinamiche delle rispettive famiglie. Un mix delle due o più una, o più l’altra, è indifferente.
Quando permettiamo al sistema familiare di interferire con la nostra coscienza, con la nostra unicità?
Quando ci facciamo plasmare da tutte le credenze e abitudini di casa.
E siamo noi a permetterlo davvero?
No, accade semplicemente perché siamo addormentati.
La tua coscienza non è ancora libera di essere sé stessa, il tuo io non è libero, è sotto il potere del tuo inconscio.
Vivi la vita di qualcun altro e nemmeno te ne accorgi.
Questo è essere addormentati.
E cosa vuol dire liberarsi dall’inconscio? Diventare coscienti. Il buio diventa luce.
Diventare consapevoli, coscienti, svegliarsi, significa tirar fuori strati e strati di fango, fino ad arrivare all’acqua sporca, uscire dall’acqua e andare nell’aria, e asciugare la propria anima. Da anima umida ad anima secca, anima che si libera al di sopra dei vari livelli di inconscio.
L’acqua rappresenta i vari livelli di inconscio e il fango è l’inconscio più profondo, quello collettivo, quello più buio.
Via via salendo, poi, c’è l’inconscio personale e, infine, la coscienza diventa sole.
Un sole sott’acqua non può brillare, non può scaldare, non può essere, non può manifestarsi: deve uscire dai vari strati di inconscio.
Ed ecco che arriva la possibilità, attraverso la coscienza pura (quello che tu sei veramente e non quello che hai acquisito nella personalità, ma quello che sei nell’essenza), di relazionarti da cuore a cuore.
Poi chiaramente dovrai finire di tagliare quello che deve essere tagliato, far crescere quello che deve essere fatto crescere e sviluppato… Un po’ alla volta.
Tornando a noi, ecco il secondo tradimento.
Portare il sistema familiare nella relazione.
Anche in questo caso, stiamo tradendo il partner, ma soprattutto stiamo tradendo l’amore.
Si potrà forse dire che qui due persone stanno assieme per vivere la loro vita?
No, perché non vivranno la loro vita, ma quella del loro sistema familiare.
Il terzo tradimento
Tradisce anche chi entra in relazione da una ferita, cioè dalla sua ferita principale, pensando magari che la relazione la guarirà. Sperando che l’altro lo “aggiusti”. Lo faccia sentire bene e felice.
Questo è tradimento puro già in partenza.
Perché se io mi avvicino a te con il bisogno di una relazione, ti sto già tradendo: ti sto usando per tappare le mie ferite. I miei vuoti.
Questo è un altro esempio di tradire prima ancora di cominciare.
Quando noi usiamo un’altra persona per tappare i buchi, per non sentire la ferita o perché abbiamo paura di star da soli.
Stiamo già tradendo la persona, stiamo già tradendo la sua anima, perché non stiamo entrando puliti.
Non che uno debba fare ventimila percorsi prima di relazionarsi, ma un minimo di lavoro su di sé, sì.
Quindi tradisce anche chi non conosce sé stesso e dunque non vede che cosa lo spinge a entrare in una relazione e perché. Anche questo è tradimento.
Siamo noi, relazionandoci dalle nostre ferite e paure e condizionamenti, a creare le condizioni per essere lasciati o per essere traditi, perché abbiamo tradito e mentito inconsciamente non entrando in relazione dal cuore, ma dal bisogno, dalla paura, dalla ferita, dai bisogni infantili insoddisfatti e da tutto il materiale irrisolto.
Qui noi abbiamo tradito l’amore, fin dal principio.
E poi, ovviamente, chi tradisce se stesso, non è chiaro con se stesso, non è onesto con se stesso e non si conosce, tradisce anche l’altro, perché non vede cosa sta facendo.
Non vede che va in protezione, non vede che reagisce dalla ferita. Non vede migliaia di cose.
Se sei onesto e accetti di vederlo in te, cerchi di capire e di non sbagliare più.
Ma non puoi dire: “non sbaglierò più” e basta, perché se non vedi continuerai a farlo anche se non vuoi.
Noi continuiamo sempre a ripetere i soliti errori perché non vediamo causa, condizione, effetto.
ROBERTO POTOCNIAK
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And counting
Sono tornato in studio, scrivania-a-scrivania con mia moglie. Su sua espressa richiesta. A parte il fatto che la powerline ogni tanto fa le bizze e i battibecchi giocoforza più frequenti, non si sta male: sono anche riuscito a collegare un modulo audio esterno al mio PC per registrare senza fare scambi di cavi ogni volta, e conto di ricominciare a suonicchiare per divertimento e per registrare qualcosa. Devo comprare delle tendine perché la luce alle spalle mi si riflette sul monitor. Ho portato il giradischi vicino a me e finalmente posso ricominciare a mettere su dei 33 giri; mi mancava, e in salotto proprio non era possibile. Next step, far stare almeno una delle mie due librerie alle mie spalle. Sono rientrato al lavoro senza troppa convinzione. Stasera ho un aperitivo con il collega che ci abbandona dopo 10 anni per andarsene in Svizzera a rifarsi una vita. Domani festeggio 11 anni di matrimonio. E' uscita l'ultima stagione di Disenchanted, ho ripreso a correre sul tapis roulant, ho sempre sonno ma lotto per restare sveglio. Senza falsi pudori e giri di parole, se i miei continui sogni erotici vogliono dire qualcosa ho un gran bisogno di scopare spegnendo il cervello e concentrandomi solo sul piacere fisico. Ma pure lì, tocca aver pazienza e provvedersi da sé nel frattempo, ché i bisogni sono evidentemente non gli stessi per tutti. Magari mi rimetto a disegnare un po' prima dell'Inktober, giusto per non arrivarci in condizioni di merda.
E' settembre. Andiamo, diceva quello, è tempo di migrare.
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Rosso, Bianco e Sangue Blu: la rom-com LGBTQ+ bestseller del NY Times disponibile su Prime Video
La Storia, eh? Scommetto che potremmo scriverne un po', noi due È una delle citazioni più amate dai fan di Red, White & Royal Blue (Rosso, bianco e sangue blu in italiano), il libro di Casey McQuiston che tanto successo ha riscosso fin dalla sua pubblicazione nel 2019, scalando anche le classifiche dei bestseller del NY Times. E dopo aver conquistato i lettori in forma cartacea, è proprio la storia d'amore di Alex e Henry che è possibile vedere anche in versione cinematografica grazie a Prime Video.
Il vero amore non è sempre diplomatico
Rosso, Bianco e Sangue Blu: un frame del film
Impossibile non iniziare con la tagline del libro, specialmente considerato il fatto che Rosso, Bianco e Sangue Blu è è un'opera che fa delle battute memorabili, dei giochi di parole e dell'ironia uno dei suoi più grandi punti di forza. È infatti una storia carica (a volte, forse, anche troppo) di humor e citazioni di ogni tipo quella di Alex Claremont Diaz (Taylor Zakhar Perez), il figlio della Presidente degli Stati Uniti, e Henry George Edward James Hanover Stuart Fox (Nicholas Galitzine) - era giusto precisare - il Principe d'Inghilterra. Due figure politiche di spicco, ma soprattutto due giovani uomini che si ritrovano a dover soppesare i propri sentimenti assieme ai loro doveri, e che tra un incontro di Stato e l'altro, tra un messaggio e un'email, una catastrofe dolciaria e uno scandalo mediatico, costruiranno uno dei rapporti più idealizzati dai lettori odierni.
Rosso, Bianco e Sangue Blu: una scena del film
Perché anche se abbiamo ormai superato la soglia del ventennio degli anni 2000, quella in cui viviamo resta una società dalle mille contraddizioni, e per quanto si possa andare avanti, ci sarà sempre qualcosa in cui non saremo mai davvero tutti al passo. Il discorso LGBTQ+ in Rosso, Bianco e Sangue Blu ha ovviamente la sua rilevanza, e viene contrapposto alla tradizione più nel caso di Henry e della monarchia che in quello di Alex (figlio di un Presidente donna e di un Senatore di origini latinoamericane), ma è la ricerca di sé stessi e della propria identità, la volontà di ascoltare e comprendere il proprio cuore, a rappresentare l'elemento centrale del racconto.
Spazio, dunque, alle domande sulla propria sessualità, anche se i protagonisti sembrano avere già un'idea abbastanza chiara. Spazio anche alla conversazione generata da tali "rivelazioni" che, fedele all'opera originale, non occupano in verità più di qualche pagina, come nel caso del coming out di Alex con sua madre, ma soprattutto ci si concentra sullo sviluppo del rapporto tra i due e sulle possibili implicazioni, in ambito politico e quotidiano, di una relazione tra figure di rilievo quali sono.
Certo, il rischio di risultare eccessivamente didascalici è in agguato, e non sempre si riesce ad evitarlo, ma nel grande schema delle cose, sta a voi decidere quanto andrà ad influire sul vostro godimento dell'opera.
Dalla pagina allo schermo
Rosso, Bianco e Sangue Blu: un'immagine del film
Uno degli aspetti su cui la trasposizione di Rosso, Bianco e Sangue Blu diretta da Matthew López sembra aver riversato maggior impegno è stato rendere il più tangibile possibile il legame che man mano si viene a creare tra Alex e Henry, trovando anche interessanti soluzioni registiche nella realizzazione degli scambi di battute tra i due durante la corrispondenza virtuale che solidifica la loro semplice attrazione prima, vera e propria relazione poi. Funzionano le personificazioni dei messaggi, e in generale gli espedienti grafici adottati, che poggiano molto sul lavoro dei due interpreti, la cui chimica è abbastanza evidente; tuttavia a volte sono presenti momenti un tantino troppo melensi. Sebbene il regista abbia indicato Zakhar Perez come l'attore in partenza più simile al suo personaggio, è Galitzine quello che sembra essersi calato davvero alla perfezione nel ruolo, aiutato forse anche dal fatto che di principi, ormai, sta diventando abbastanza esperto (l'ultimo adattamento di Cenerentola vi ricorda nulla?).
Rosso, Bianco e Sangue Blu: un momento del film
Può lasciare, invece, perplessi la gestione dei tempi, con i primi 40 minuti del film occupati da un susseguirsi di eventi presentati in maniera alquanto sbrigativa, come se non si vedesse l'ora di lasciarsi alle spalle i "convenevoli" e dedicarsi al resto della narrazione (anche in questo caso l'adattamento è fedele al romanzo d'origine). A risentirne è però il pacing della pellicola che, a causa di tale sbilanciamento, può creare scompenso nella percezione dello spettatore. Saranno forse anche le scelte di montaggio che non contribuiscono a un risultato perfettamente omogeneo in alcuni casi, ma queste potrebbero magari rappresentare un plus per alcuni.
Rosso, Bianco e Sangue Blu: una foto del film
La maggior parte delle dinamiche e le interazioni tra i vari personaggi (almeno quelli che son stati mantenuti), a ogni modo, trovano con facilità la loro strada per il piccolo schermo, come ad esempio quella tra il braccio destro del Presidente Zahra (Sarah Shahi) e Alex, o quella tra quest'ultimo e l'agente della sicurezza Amy Gupta, sempre in grado di strappare un sorriso.
In conclusione Rosso, Bianco e Sangue Blu non innalzo a capolavoro né demonizzo la nuova produzione targata Prime Video, che fa il suo senza infamia e senza lode. Ma se, alla fine della visione, ciò che più vi sono rimasti sono l'umanità e il calore che il film si prefigge di trasmettere allo spettatore, allora la si può definire una rom-com piuttosto riuscita, al netto di tutti i difetti che può presentare.
Perché ci piace 👍🏻
La sensazione di tenerezza che è in grado di trasmettere.
Le trovate registiche utilizzate per rendere determinati passaggi della storia.
Buona chimica tra gli attori.
Cosa non va 👎🏻
Utilizzo dei tempi filmici e pacing del racconto.
Scelte di montaggio opinabili.
A volte eccessivamente didascalico, a volte un po' (troppo) melenso e artificioso.
#red white and royal blue#rosso bianco e sangue blu#recensione#review#prime video#alex and henry#taylor zakhar perez#nicholas galitzine#uma thurman
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Lontano da tutti
Sono stato spesso critico nei confronti di chi rifiutava la possibilità di emigrare. Mi è sempre stato facile dire “vai, costi quel che costi”. E pensare che chi non andava via, non aveva palle. Ho sempre infangato, a volte anche immeritatamente, la mia terra natia - sia Napoli, sia la Campania, sia l’Italia. Oggi, dopo appena pochi mesi lontano da casa, capisco tante cose. Capisco quanto non sia per tutti, in primis. Capisco quanto non sia facile rinunciare a parlare la propria lingua, ad impararne una seconda o una terza e capisco tutte le difficoltà di comunicazione che si possono avere nel parlare con un interlocutore che parla, nella migliore delle ipotesi, una lingua comune alla tua, ma non la sua, non la tua. Capisco quanto sia difficile integrarsi, o almeno quanto possa esserlo, in un nuovo ambiente. Quanto possa mancarti casa, gli amici, la famiglia, le vecchie abitudini. Capisco quanto il lavoro non sia tutto, quanto non sia tutto nemmeno uno stato o una città apparentemente più civile, più attrezzata, più avanti sotto alcuni aspetti. Perché poi, inevitabilmente, l’occhio cade, quando ti manca casa, su quello che invece non va. E allora le auto elettriche, il benessere e tutto il resto vanno a farsi benedire, perché hai visto che quando portano un antipasto a centrotavola mangiano tutti con la propria posata nell’unico piatto portato, vedi la gente comprare frutta e verdura senza l’uso di guanti e a volte senza l’uso di buste. Ti inizi a chiedere chi ha torto, chi ha ragione. Se siamo noi italiani ad essere troppo precisi, pignoli, paurosi e quant’altro, perché magari loro - e li chiami loro come se fossero extraterrestri - campano lo stesso, non muoiono a vent’anni, quindi forse tutti i germi e i batteri che passano tra le mani tue, del cassiere e la bilancia non sono così mortali. Così come non muori giovane tu se partecipi ad un pranzo e mangi nello stesso piatto con altre cinque persone. In chiusura di questo pensiero, ironicamente, ma nemmeno troppo, mi viene da dire che è per questo che gli arabi devono offrire centinaia di milioni ai calciatori a fine carriera per convincerli e che magari, gli stessi calciatori, convinti oppure no, quando atterrano in terra straniera, nonostante magari fossero stati giramondo già da anni, vivono lo stesso mio identico disagio. Insomma, quasi quasi, cento milioni all’anno non bastano, ma leniscono le sofferenze. Anzi, a parziale rettifica: cento milioni all’anno bastano a lenire le sofferenze, ma a meno che tu non sia una persona votata al viaggio, al cambiamento, a cui non piace mettere radici, cosmopolita e progressista, risulta davvero che i soldi non facciano la felicità, nemmeno così tanti. Come mi ha fatto pensare la mia più cara amica, nonché dolce metà, è così che si impara qualcosa su sé stessi. Non si torna per forza cambiati, ma si torna più consapevoli. E non è una sconfitta. Capire che qualcosa non fa per te, non ti rende meno degno dell’esperienza che hai fatto. Allora, dopo questo passo, aspetto e mi aspetto di fare i successivi. E un giorno, spero, che il percorso si chiuda con un cerchio o anche un ellisse, così che dall’altro lato della curva possa vedermi lontano da me, mentre sono stato lontano da tutti. E in questo modo potrò scoprire qualcos’altro di me, come uno specchio del tempo, che ingrandisce i dettagli e li evidenzia, senza giudizio e senza sconti, senza pietà e senza cattiveria.
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L'ILLUSIONE PIÙ PERICOLOSA
L'illusione più pericolosa è quella per cui scambiamo il bisogno di attenzioni e riconoscimento con il bisogno di amore e di cure.
Per quante attenzioni e riconoscimenti gli altri potranno donarci, esse non riempiranno mai il vuoto d'amore che sentiamo.
Questo accade anche con il bisogno di essere sostenuti, compresi o accuditi.
La persona mette in atto un meccanismo difensivo chiamato "spostamento", attraverso il quale nega il bisogno di base che è stato frustrato anticamente, e rispetto al quale dunque si è sentito ferito, come appunto può essere appunto quello di amore, convertendolo in un bisogno che può essere più facilmente soddisfatto, anche perché socialmente accettato e promosso, come quello di riconoscimento.
Si sforza in tutti i modi di essere generoso, di raggiungere risultati, di produrre, di compiacere, di essere il bravo bambino o la brava bambina, così da avere su di sé gli occhi dell'altro.
Tuttavia, tale sostituzione non può funzionare.
Innanzitutto perché il bisogno di amore può essere soddisfatto solo da ciò che la persona prova per noi, come un sentimento, e non da un fare-per-ottenere.
In secondo luogo, perché la fame d'amore di cui si ha bisogno si riferisce al nostro bambino ferito, non all'adulto che siamo ora.
È la fame di amore del bambino nei confronti del genitore, che vuole essere amato per ciò che è, e non per ciò che fa, appunto.
Ma siccome l'essere ciò che si è, è stato o negato o criticato, anche a partire dai suoi bisogni frustrati, il bambino si impegna in una manovra in cui ha una certa presa, un certo controllo, come quella del fare-per-ottenere, al fine di soddisfare in modo indiretto quel bisogno originario.
Tuttavia, se io ho bisogno di muovermi, ma questo movimento mi viene impedito, non posso soddisfare questo mio bisogno semplicemente vedendo qualcuno che corre sullo schermo.
Non sarò mai soddisfatto.
Il sistema di difesa della sostituzione cerca da una parte di soddisfare quel bisogno frustrato, e al tempo stesso lo nega proprio in quanto meccanismo difensivo.
Questo perché la consapevolezza del vuoto d'amore, e la possibilità di riempirlo ora, sarebbero troppo dolorosi, in quanto risveglierebbero la ferita dell'amore negato o comunque la paura di una nuova insoddisfazione, che la persona non si può permettere e che ha subito molto tempo fa.
Così, si viene a creare un circolo vizioso tra l'impossibilità di soddisfare direttamente il bisogno di amore, la cui spinta rimane sempre presente, e l'insoddisfazione cronica di soddisfarlo in modo indiretto, la quale genera una irritazione e un nervosismo che finiscono per esaurire la persona stritolandola in questa forbice.
L'illusione creata da tale meccanismo di difesa, è pericolosa perché rischiamo di rincorrere farfalle, sfinendoci per qualcosa che non ci serve davvero, e che ci ha solo permesso di sopravvivere a noi stessi e alle nostre ferite.
Il problema è che, sebbene questa difesa sia stata un sistema di adattamento funzionale, un suo rafforzamento rischia di farci avvitare su di essa, allontanandoci dalla nostra vera natura e bisogni.
Quando dopo tanti sforzi sentiamo che la nostra vita comincia a essere per noi pesante e insoddisfacente, a volte, è proprio per questo o per altri meccanismi di compensazione.
Pensate alle star, ai grandi proprietari o direttori di imprese: hanno soldi, potere, relazioni in abbondanza.
Eppure, quanto spesso si sentono soli, depressi e insoddisfatti?
Lo sforzo principale, prima di qualunque obiettivo esterno, è interiore: trovare il proprio sé e liberarlo.
Dopo aver fatto questo lavoro sull'essere, puoi anche fare il lavoro più umile del mondo.
Ma sarai felice e grato della vita ogni giorno.
Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
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TMAGP004 - Prendendo Note
[Episodio precedente] [Indice TMAGP]
[Il decrepito computer dell’O.I.A.R. si accende e inizia a registrare]
[Sentiamo il rumore di tastiere, e Sam che canticchia tra sé e sé]
[Qualcuno si avvicina a passi pesanti]
ALICE
(sussurrando) Ma che cavolo, Sam.
SAM
Cosa?
ALICE
Non azzardarti a dirmi ��Cosa?’. Sono stata io a inventare ‘Cosa?’.
SAM
(A voce più bassa) Ch– Io… in tutta sincerità, non so di che cosa stai parlando!
ALICE
Ho appena ricevuto un avviso di sicurezza.
SAM
Su di me?
ALICE
Qualcuno stava provando ad accedere a dei file riservati. E io scommetto che sei tu.
SAM
Perché mai dovrebbero arrivare a te questi avvisi?
ALICE
Non dovrebbero! Ma dovresti essere strafelice che questo sistema non funziona come dovrebbe. Se Colin lo venisse a sapere avrebbe un attacco isterico!
SAM
Già, beh, grazie, allora?
ALICE
A quanto pare hai fatto una ricerca per i file con i termini…(sposta dei fogli)“Magnus” e “Protocollo”?
SAM
(Sorpreso) È per questo? Cioè, sì, okay, ho trovato un caso che citava l’Istituto Magnus e poi l’ho cercato e ho trovato alcuni file nel sistema che dicevano di applicare, (voce teatralmente severa) “Il Protocollo.” Perché dovrebbe essere riservato?
ALICE
Perché lavoriamo per il governo, e il governo ama i segreti, cretino!
SAM
Va bene! Sì, ho capito…
[Pausa]
ALICE
(meno arrabbiata) Senti, Sam. Non so cosa sia “Il Protocollo”, ma un paio di quelli della vecchia guardia lo ha nominato nel corso degli anni. Da come ne parlavano… è roba seria! Non vuoi nemmeno farti beccare vicino a quel genere di cose, men che meno a cercarla direttamente.
SAM
Beh, cioè, non è come se stessi -
ALICE
Non puoi andare a ficcanasare in questo genere di cose. Non se vuoi tenerti il posto… o la testa.
SAM
(leggermente divertito) Okay, okay! Ho capito. Considerami spaventato a dovere.
ALICE
Sono seria. Non voglio che tu finisca nei guai, chiaro?
SAM
(ha capito) Voglio dire… quanto nei guai?
ALICE
So solo che era coinvolta la Starkwall.
SAM
Starkwall? …Aspetta, Starkwall? Come la Starkwall del “Massacro di Piazza San Pedro!”
ALICE
La milizia privata, sì.
[Passi che si avvicinano in lontananza]
SAM
(urla-sussurrando) Pensavo fosse un “noioso lavoro d’ufficio”!?
ALICE
(urla-sussurrando) Lo era finché tu non ti sei messo a ficcanasare!
[Passi, Gwen si siede vicino a loro]
[Sam si schiarisce la gola]
[Pausa piena d’imbarazzo]
GWEN
Almeno potreste far finta che non stavate parlando di me.
ALICE
Oh, cavolo, ci hai beccati! Stavo solo dicendo a Sam quanto è importante che si concentri sul suo lavoro, altrimenti rimarrà intrappolato qui per sempre come te.
GWEN
Ma certo. Beh, abbassate la voce. Qui c’è gente che sta cercando di lavorare per davvero. Nel nostro posto di lavoro. Che ci paga.
SAM
Sì, ricevuto.
[Gwen fa un doppio clic al suo computer]
NUOVA VOCE DEL COMPUTER
Mio caro nipote -
ALICE
(ad alta voce sopra l’audio) Hey! Augustus! È una vita che non lo sentivo!
VOCE DEL COMPUTER (AUGUSTUS)
Se stai leggendo queste parole allora io me ne sarò già andato, e non potrò offrirti alcuna garanzia sulla -
SAM
(Sopra l’audio) Allora, questa è, tipo, una voce rara?
[Gwen preme spazio, irritata]
[La voce si ferma]
ALICE
Tipo. Di solito sono solo Chester o Norris. Augustus è come un avvenimento speciale.
GWEN
Uno, non hanno dei nomi. Smettila di dargli dei nomi. Due, mi lasciate per favore continuare a lavorare.
SAM
Mi dispiace.
ALICE
A me no.
[Gwen fa un respiro per calmarsi, poi pigia di nuovo spazio]
VOCE DEL COMPUTER (AUGUSTUS)
Mio caro nipote, [ndt: nipote di zio]
Se stai leggendo queste parole allora io me ne sarò già andato, e non potrò offrirti alcuna garanzia sulla loro veridicità. Dovreai semplicemente confidare nella loro autenticità e contenuto.
Tieni per te ciò che leggerai, e mantieni il segreto, per tutta la tua vita.
Devo sperare che la misera eredità che posso offrirti evochi un minimo di quell’affetto familiare che negli anni passati non mi sono curato di mostrare.
[La voce di Augustus si fa immediatamente umana; sembra un raffinato signore di una certa età]
Nipote, a te lascio il mio violino, uno strumento di altissima fattura.
Confesso di aver un tempo contemplato l’idea di distruggerlo, o di gettarlo tra le fiamme, ma certe volte sono stato definito bramoso, e forse tale accusa ha del fondamento, poiché adesso io non riesco a farlo.
Nell’ultimo paio di settimane qui è caduta molta pioggia, che si è rivelata stranamente affine alla mia vena sentimentale, ed ha portato con sé un pizzico di nostalgia per quell’estate uggiosa che hai trascorso da me.
Mi fa piacere pensare che potrei aver lasciato su di te una qualche impronta di me stesso nel periodo passato insieme, e forse in questo modo cerco di continuare a possedere il mio prezioso violino.
Non ho mai raccontato ad anima viva di come sono entrato in possesso di questo violino, ma devo confidarti la verità che cela, poiché questo, e la sua storia, adesso sono tuoi.
Ero un giovanotto, più giovane di te ormai, quando venni convocato a dare prova del mio talento di fronte all’Orchestra Reale di Corte del Palatinato.
Anche se devo confessare che il pensiero di abbandonare le comodità materiali di Alnwick Abbey mi intimoriva, in verità, ebbi poca voce in capitolo, e il privilegio di tale invito mi era ben evidente.
Il mio maestro di violino, un certo (sprezzante) “Oliver Bardwell”, covava la convinzione che tale onore fosse puramente frutto del suo talento di insegnante, piuttosto che il risultato delle mie capacità e dei miei sforzi.
Bardwell, un uomo eccezionalmente seccante, godeva nel ricordarmi che, sebbene mio padre fosse un Lord, il disdicevole contesto della mia nascita faceva sì che io non potessi fare affidamento sul suo titolo per garantirmi un futuro.
Durante quei momenti di crudeltà da parte di Bardwell, confesso che nella mia immaginazione contemplavo con piacere le macabre o grottesche sorti che potevano capitargli durante il viaggio, puramente per caso… oppure per mano mia.
Ciò nonostante, fu sia con apprensione che gioia nel cuore che osservai Alnwick Abbey farsi sempre più piccola. Il mio itinerario era diretto a Mannheim, una destinazione dove sentivo con una certezza tipica della gioventù che il mio talento sarebbe stato finalmente riconosciuto.
Per quel che riguarda il mio intoccabile padre, con la sua incrollabile certezza della sua celestiale importanza, anche lui scomparve all'orizzonte, circondato dai miei inutili fratellastri, che aspettavano con impazienza la loro eredità.
Naturalmente, fu il signor Bardwell a farsi carico del ruolo di accompagnatore per il mio viaggio attraverso il continente, senza dubbio coltivano i suoi sogni di innalzarsi grazie ai miei imminenti successi.
Feci poca attenzione agli sproloqui o alla sua ambizione, trascorrendo quelle settimane di viaggio a raffinare i movimenti delle dita sul collo consumato del mio adorato Rogeri, almeno per quanto la carrozza traballante lo permettesse.
Purtroppo, con il lungo andare del viaggio, le perfette buone maniere e la patina di raffinatezza di Bardwell si erosero poco a poco, e quando la calura estiva lasciò il posto al fresco dell’autunno, i suoi modi si inasprirono non poco, una metamorfosi spronata da ogni sobbalzo e scossone della vecchia carrozza.
Presto, un'inquietudine febbrile si posò su di lui come un velo di tulle, e i suoi occhi, un tempo acuti, si annebbiarono con un luccichio frenetico, quasi maniacale.
Guardavo con crescente preoccupazione mentre le ombre danzavano sulle pareti dei suoi pensieri, la loro forma e natura a me celate salvo per quanto riuscivo a cogliere del suo borbottio a malapena percepibile all’udito. In alcuni momenti sembrava quasi che stessi ascoltando della musica lontana, anche se il mio strumento sedeva silenzioso accanto a me.
Ho accennato alle macabre fantasie che occasionalmente occupavano la mia giovane mente, ma devi credermi, nipote, quando dico che non ho avuto alcun ruolo nella sua morte. Non so che cosa sia stato alla fine a causare l’episodio frenetico che lo colpì quella notte. Aveva dormito poco nella settimana precedente, e l’affaticamento dei suoi nervi era evidente.
Fu quando sbagliai la posizione delle dita di quello che sarebbe dovuto essere un semplice esercizio, un errore che attribuisco agli sballottamenti della carrozza, che balzò in piedi. Dalla sua bocca uscivano fiotti di parole, prive di coerenza, una sinfonia di follia diretta da un invisibile maestro nella sua immaginazione.
Era come se degli spettri si agitassero proprio dietro la sua vista e gli avessero afferrato le mani, muovendole liberamente mentre il signor Bardwell cercava la salvezza, da quei fantasmi che perseguitavano i suoi sogni ad occhi aperti.
Spesso mi chiedo se avessi potuto fare qualcosa per salvargli la vita. Ma ero giovane e terrorizzato, e sono rimasto a guardare in muto sbalordimento.
Mentre la tempesta nella sua mente si avvicinava a un crescendo, Bardwell afferrò la maniglia della porta della carrozza, l’aprì all’improvviso, e, senza esitazione, si gettò di testa nelle tenebre della notte.
Il cocchiere, accortosi immediatamente di quanto era successo, arrestò di colpo la carrozza, e affrontammo il cupo spettacolo che si trovava di fronte a noi.
Una roccia, macchiata con i disgustosi resti della mente disturbata del mio maestro e dei frammenti del suo cranio fratturato, faceva macabramente da lapide, svettando sopra il corpo senza vita dell’odioso signor Bardwell.
Nella mia ingenuità mi girai verso il cocchiere per chiedergli cosa avremmo dovuto fare. Purtroppo, mi accorsi subito di quale sospetto si era impossessato di lui.
Aveva assistito alle numerose e accese discussioni tra me e il signor Bardwell, e quando mi avvicinai, divenne evidente che non vedeva un giovane terrorizzato e smarrito, ma un violento assassino.
Una paura animale si impossessò dell’uomo, e agì d’impulso. Non parlerò di quanto avvenne dopo, ma basti dire che mi ritrovai da solo, a vagare nella notte.
Per quanto tempo camminai in quel bosco, non saprei dirlo. Ero come intorpidito, e l’oscurità avvolgeva ogni cosa.
Non so se definirlo una fortuna o una sventura, quel capriccio del destino che mi salvò, ma dopo un po’ di tempo vidi tra gli alberi il tremolio di un fuoco e una figura, accovacciata lì vicino per scaldarsi.
Un gentiluomo dai modi sorprendente raffinati, a quanto pareva, sedeva lì, creando una distinta sagoma contro la luce del fuoco.
“Spreekt u Engels?” chiesi in un Olandese tentennante, i distaccati insegnamenti del signor Bardwell mi avevano lasciato ancora ignorante del Tedesco.
“Ah, un altro Britannico,” fu la sua calorosa risposta, accompagnata da una risata cordiale.
“Dal tuo aspetto sembri affamato,” continuò, e mi offrì dei rozzi bocconcini di carne allo spiedo, quasi carbonizzati dalle fiamme.
Ormai privo di cautela, e con un'acuta consepevolezza del mio stomaco vuoto, accettai la carne bruciata senza cerimonie.
Seduto accanto al fuoco, mi chiese con tatto come avessi fatto a finire lì, e mi ritrovai a raccontargli, più sinceramente di quanto volessi, la vera storia, senza abbellimenti, di non solo la notte appena trascorsa, ma della mia vita fino a quel momento.
Ascoltò il mio racconto con attenzione, il suo sguardo non vacillò nemmeno una volta e sembrava gentile. Poi sospirò.
“Oh, sembrerebbe che la sorte ti abbia abbandonato,” disse tra sé e sé, la sua espressione imperscrutabile e il suo tono stranamente cospiratorio.
“Davvero, a mio avviso serve proprio un colpo di fortuna.”
Mi dissi d’accordo, e il sorriso che gli attraversò il volto, come se il mio parere avesse sancito un qualche patto tra di noi, fu davvero strano.
Lo sconosciuto portò una mano dietro il ceppo su cui sedeva e prese un sacco dalla forma insolita. Riuscii a vedere, al suo interno, una varietà di oggetti, che andavano da coltelli malconci a porcellane sbeccate a gioielli bellissimi, piccole figure di avorio e anche un assortimento di dadi per il gioco d’azzardo.
“La fortuna può assumere una miriade di forme,” proclamò lui, in un modo caloroso ed invitante, “e oggi assume la forma di un semplice viaggiatore che ti offre la sua merce. Avevi detto che suoni il violino, se non erro?”
[Una breve sequenza di note si intreccia con le parole che seguono]
Affondò la mano nella sua curiosa sacca, e dopo aver cercato per un momento o due, tirò fuori uno strumento la cui altissima qualità era talmente evidente che la fatalità della sua apparizione sembrò quasi ultraterrena.
Posò un archetto sulle corde, e con un unico fluido movimento, eseguì una riecheggiante nota doppia che risuonò con un tono soddisfacente.
Non disse una parola mentre lo esaminavo, non gli attribuì una storia, nessun famoso artigiano o mastro liutaio.
Il collo, un esempio di perfetta simmetria, conduceva l’occhio dalla ricca sfumatura di cremisi della parte superiore della cassa armonica che lasciava spazio al mogano naturale scendendo verso il basso.
“Ah, è questo il volto della fortuna oggi?” chiese lui, osservando mentre le mie dita percorrevano la lunghezza delle corde.
In quel momento un urlo di dolore irruppe dalla mia gola, un urlo che che sorprese anche me, quando mi resi conto che mi ero tagliato il polpastrello sulle corde.
Il mercante si limitò a sorridere, guardandomi come uno potrebbe guardare un bambino che ha toccato una pentola sul fuoco.
“Non ho niente da offrire in cambio,” confessai, non ero abituato a trovarmi senza mezzi, e feci per restituirgli il violino.
“Allora non consideriamolo un acquisto, ma un dono, da un vero amico.” Le sue parole erano piene di calore, eppure avevano una connotazione che sembrava sfuggire alla mia comprensione.
Prima che potessi fare altre domande, quest’uomo, il cui nome non avevo mai pensato di chiedere, fece un gesto verso il sentiero e, iniziando già a gettare della terra sul fuoco, mi rassicurò che la mia destinazione si trovava a poche ore di camminata.
Come stordito allora lasciai il mio compagno, e presto divenne evidente che aveva detto il vero, e che questa sventura era avvenuta a meno di un giorno dalla fine del mio viaggio.
E così in fine giunsi alla Scuola di Manheim, quella culla di virtuosi che avrebbero onorato i palchi più importanti di tutta Europa, attratto dalle sue promesse. I luminari che aveva formato, nomi illustri come Grua, Stamitz, Richter, e Fraänzl, rendevano la possibilità di essere ammesso alla scuola, e ai loro ranghi, ammaliante.
Non si parlò di come ero arrivato, né di quanto mi fosse successo durante il viaggio, e dopo qualche giorno venni condotto in una sala meravigliosa, dove sedeva il gruppo che mi avrebbe valutato. Un tremore di apprensione mi percorse il corpo quando mi ritrovai di fronte alla giuria silenziosa, e fu con una nuova sensazione di insicurezza che impugnai il mio nuovo strumento.
Il suo collo, più sottile di quello del precedente, era strano nella mia presa, e quando iniziai le mie dita tentennano cercando di far presa sulle corde.
Tentai la prima delle esecuzioni che avevo provato e riprovato, ma suonavo in maniera poco elegante e approssimativa, evocando solo qualche sussurro sprezzante, e un borbottio di derisione dal mio pubblico.
Sentii un’ondata di indignazione e paura, causata dalla consapevolezza che io, il peccato di mio padre, che aveva commesso cose orribili per raggiungere quella sala, non sarei mai potuto tornare a casa in disgrazia.
Eseguii una ‘jete,’ una prepotente richiesta musicale della loro attenzione, una dichiarazione che dovevo essere visto e sentito.
Una raffica veloce e perfetta di undici note, dopo la quale non rimase nessun mormorio, nessun sussurro. Avevo la loro più totale attenzione.
In quell’istante di silenzio, un lancinante dolore si propagò dal mio anulare sinistro.
Quando aprii gli occhi, vidi del sangue gocciolare sul collo del violino da dove sarebbe dovuta essere la mia pelle, in quanto lo strato più superficiale del polpastrello ciondolava, strappato e a malapena ancora appeso come pergamena strappata.
Il dolore e il panico esplosero, ma non avevo altre opzioni se non suonare, e suonare le melodie più ambiziose che la mia mente potesse richiamare.
All’inizio lentamente, in quanto sentivo le corde correre lungo la mia carne insanguinata, poi accelerando velocemente, crescendo misti a diminuendo, una danza di ordini e sottomissione eseguita sulle corde.
Doppie note, pizzicato con la mano sinistra, e staccati strazianti si alternarono in una rapida successione, ogni nota evocava qualcosa di profondo e primordiale. Potevo vedere lo sbalordimento sui volti del mio pubblico, e qualcosa non dissimile dal terrore, e quando infine risuonarono le ultime note, si poteva sentire il respiro che la sala aveva trattenuto.
Fui, ovviamente, accettato, e il mio talento venne riconosciuto come singolare.
Eppure un sospetto si insinuò in me. Mi resi conto che i ruoli di ‘musicista’ e ‘strumento’ non fossero così ben definiti con questo affamato violino. Era una creatura con i propri bisogni e i propri scopi.
I bisogni erano abbastanza semplici. Sangue. Carne. Non in quantità eccessive, all’inizio. Sella pelle grattata via e tagliata e che cantava per il dolore. E le ricompense erano grandi, in quanto con ogni esibizione, la sofferenza si mescolava alla melodia, e le mie dita sanguinanti inumidivano quelle corde.
Anche il mio pubblico mostrò un notevole appetito per la mia arte, e mentre progredivo lungo il percorso scolastico la mia reputazione iniziò a crescere.
Ero richiesto, osannato, celebrato. E per tutto il tempo, sanguinavo. Quelli che mi ascoltavano si erano mai veramente accorti del mio sacrificio?
Vedevano la lenta trasformazione delle mie dita, mentre ogni sonata estraeva il suo prezzo? Gli applausi mi seguivano mentre ogni lunga nota era accompagnata dal mio sangue vitale, e dal mio dolore.
Eppure continuai a suonare per loro. Come avrei potuto fare altrimenti?
Ero fiero, un uomo indipendente, le mie più grandi ambizioni realizzate. Eppure, mentre venivo ricoperto di ammirazione, non fui mai elevato oltre i confini delle mie origini. Il raffinato mondo dei miei nobili patroni mi era inaccessibile.
Ricevetti una discreto patrimonio, un po’ di fama accompagnava il mio nome, ma non mi fu mai concesso di sfuggire del tutto alla condizione della mia nascita.
Fu solo allora, nelle profondità del mio dolore e della mia amarezza, che scoprii una verità nascosta. Una verità che adesso ti consegno, assieme al violino.
Il sangue per le sue corde non deve necessariamente essere tuo.
Non fu il semplice altruismo a portarmi ad accettare posizioni di tutoraggio in quelle trafficate città in cui offrivo i miei servigi, dando un’educazione musicale ai poveri e ai facilmente dimenticati, senza chiedere niente in cambio. Niente tranne che per uno studente ogni tanto, di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza.
Forse per questo sbiancherai, e mi condannerai come un mostro. Ma scoprirai che nutrire questo strumento, adesso tuo, è di vitale importanza. Solo una volta l’ho suonato senza pagare il suo prezzo: avvolgendo le dita in spesse bende affinché le sue corde affilate mi tagliassero.
Avevo pensato che avrei suonato in maniera smorta, che alla mia performance sarebbe mancata l’ispirazione. Eppure la musica che venne dal mio strumento quel giorno fu in qualche modo più bella di quanto non fosse mai stata. Era vivace, pulsante, portava con sé uno spirito di movimento, un irresistibile bisogno di danzare. Guardai verso il mio pubblico, un piccolo gruppo di borghesi Austriaci minori, e vidi nei loro occhi uno sguardo strano e familiare. Uno che non vedevo da molti, molti anni. Non da quella notte nella carrozza con lo sventurato signor Bardwell.
Poi si scagliarono gli uni contro gli altri, una danza di denti e unghie, strappando e tirando. Guardavo mentre un uomo che soffriva di gotta vestito di seta smeraldo succhiava gli occhi dalla testa del figlio e li schiacciava nella bocca come ciliegie mature. Una riservata giovane donna ornata d’oro strappò le gote del suo promesso mentre cantava seguendo la musica che non riuscivo a smettere di suonare. Fu solo quando un candelabro venne ribaltato e la stanza fu avvolta dalle fiamme che riuscii finalmente a interrompere la mia esibizione, e a fuggire.
Forse tu darai prova di maggiore forza di volontà, e riuscirai a distruggere questa cosa affamata fatta di legno e intestini di gatto.
Ma io non posso farlo. E non intendo farlo. Poiché la mia musica, ah, la mia divina musica, è davvero un balsamo per le ferite mai rimarginate della mia esistenza.
Nelle sue celestiali melodie ho trovato conforto, un rifugio tessuto da fili eterei.
E forse lo troverai anche te.
Nutri il mio violino, nipote, poiché io gli ho dato tutto ciò che possiedo e ancor di più.
[Sam hai i brividi]
[Gwen continua a scrivere mentre parlano]
ALICE
Il caro nonno Augustus racconta sempre delle storie così carine.
SAM
Perché mai qualcosa del XVIII secolo dovrebbe finire nella lista di Freddy?
ALICE
(con un ghigno) Ti avevo detto che Gwen era rimasta indietro.
GWEN
(Irritata) Qualcuno ha probabilmente digitalizzato un vecchio reperto storico ed è finito nel motore di ricerca.
ALICE
E fu così che venne risolto il mistero della Lettera Alquanto Vecchia. Cavolo, ho i brividi.
GWEN
Forse se lavorassi per davvero ti scalderesti.
[Sam ridacchia]
ALICE
(a Sam) Sì, potresti ritrovarti un reperto storico per errore. Non perderei tempo a catalogarlo o a valutarlo.
GWEN
Mentre io consiglierei al nostro nuovo collega di ricordare che viene pagato proprio per fare questo. Tra l’altro, serve comunque per il tuo punteggio.
ALICE
E a te serve davvero quel punteggio, no, Gwen?
GWEN
Serve a tutti.
ALICE
Non a me!
[Alice pigia un bottone e il suo pc si spegne]
Ho finito. Sam?
[Alice prende le sue cose]
SAM
Più o meno…
ALICE
Allora vi invito gentilmente a togliervi dalle scatole ed andare a casa a riflettere su quanto sia importante concentrarsi sul proprio lavoro.
SAM
Sì. …sì.
[Anche lui prende le sue cose]
Vieni, Gwen?
GWEN
Non ancora.
ALICE
(allonanandosi) Proprio come avevo detto. A presto, Gwendoline cara, adios.
SAM
(la segue, silenzioso) A domani.
GWEN
(continua a lavorare) Hmmmm.
[I passi di Sam ed Alice svaniscono mentre escono]
[Silenzio, tranne per Gwen che scrive]
[Un Ding! Improvviso, come la notifica di un’email]
GWEN
Hmmmm?
[Fa un doppio clic]
[Inizia una registrazione, la qualità dell’audio è pessima]
KLAUS
(video, supplicando) Ti prego. Ti prego, non devi farlo!
LENA PIÙ GIOVANE
(video) Sappiamo entrambi che devo.
GWEN
(Riconoscendola) Lena?
KLAUS
(video) Po-Potrei sparire di nuovo! Non lo saprebbero mai!
GWEN
Ma che diavolo?
[Il computer si spegne]
[Traduzione di: Victoria]
[Episodio successivo]
#the magnus protocol#il protocollo magnus#tmagp ita#tmagp#traduzione italiana#gli archivi magnus#tmagp 004
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QUEEN BEE CHALLENGE per The Sims 4 Ho trovato la versione inglese della mia sfida preferita adattata per The Sims 4!
Quindi l'ho tradotta in italiano, e, dato che la sto giocando, ha aggiunto delle migliorie e rifinito le regole, che a tratti erano poche e poco chiare.
Ci tengo a ricordarvi che la sfida è stata creata originariamente da tacos4sims (Queen Bee Challenge per The Sims 2) e adattata da Micemsims (Queen Bee Challenge per The Sims 4).
Se volete tentarla, non posso che augurarvi un buon divertimento!
LA SFIDA
Lo scopo è di popolare la vostra nuova partita/alveare allevando 60 bambini/api con 10 diversi uomini/api operaie.
PRIMA DI COMINCIARE
- Create un nuovo salvataggio.
- Trasferite almeno 10 sim maschi nelle varie case dello scenario. Possono essere townie generati dal gioco, sim dalla galleria, o townie che create voi stessi.
COMINCIARE LA SFIDA
- Create una giovane adulta femmina nel CAS, che sarà chiamata Ape Regina. Può avere qualsiasi aspirazione e tratto che volete.
- Trasferitela in un lotto che sia almeno 50x40 Ecco l'elenco dei lotti:
• Punta dell'oracolo gemello Newcrest
• La residenza Bailey Moon Del Sol Valley
• La Tana dei Ward Del Sol Valley
• Verde Vacuo Del Sol Valley
• Vecchia Penelope Strangerville
• Biblioteca d'alloro Britechester
• Parco dell'isola di volpe Henford on Bagley
• La residenza ito Henford on Bagley
• Viottolo del vecchio mulino 2 Henford on Bagley
• La coppia Serena Tartosa
• Celebrazioni d'amore Tartosa
• Bar & Bunker Tristo incisivo Moonwood Mill
• Parco Trotter Coplerdale
• Residenza Robles San Sequoia
• Residenza Michaelson
REGOLE
- La vostra Ape Regina deve far trasferire in casa con sé un sim maschio, preferibilmente il prima possibile.
- I due non possono sposarsi né fidanzarsi. L'uomo può solo coabitare. Può comunque aiutare a predersi cura dei bambini, trovarsi un lavoro ecc.
- I due sim avranno sei figli insieme. Quando il sesto figlio diventa neonato, l'uomo deve trasferirsi in una nuova casa e prendere con sé tutti i suoi 6 figli. A questo punto, l'Ape Regina deve far traferire da sé un altro fuco ed avere assieme ad esso altri 6 figli, e così via.
- Non potete giocare coi futuri fuchi prima che si trasferiscano a casa dell'Ape Regina.
- Niente matrimoni né fidanzamenti finché la vostra Ape Regina non ha partorito tutti i 60 figli/api.
- I fuchi e i figli non possono trasferirsi, avere figli né sposarsi con nessun altro prima di essere andati ad abitare fuori dalla casa dell'Ape Regina. Allo stesso modo, nessuno può trasferirsi nell'unità familiare dell'Ape Regina, se non il nuovo fuco quando il precedente ha terminato il suo "lavoro" ed è stato trasferito.
- La Pozione della Giovinezza e l'Essenza di Vita dalla pianta mucca sono permesse, anzi sono indispensabili per completare la sfida: perfino nell'eventualità che aveste 30 paia di gemelli, ogni gravidanza dura 3 giorni.
- Non si può usare il premio "Fertile" per nessuno dei due genitori, né il tratto del lotto "Su una linea temporale" né alcun altro stratagemma per forzare parti gemellari/trigemellari. Se avvengono, devono essere "spontanei".
- Vietato l'uso di cheat e/o hack che possano facilitare il gioco (per esempio, aumentare i fondi di famiglia, migliorare i bisogni ecc.).
FACILITAZIONI
- I neonati possono passare alla fase di vita successiva quando scadono le 48 ore dopo il parto (cioè quando appare il messagio che è il compleanno del bebè)
- Lattanti possono passare di età una volta ottenute 3 pietre miliari di ogni categoria
• Motricità basilare
• Motricità fine
• Prime volte
• Vita (sono solo due ovvero quello della nascita)
• Sociale
Trovate la lista pietre miliari qui
- I bebè possono passare alla fase di vita successiva se hanno massimizzato, cioè portato a livello 5, almeno un'abilità.
- I bambini possono passare alla fase di vita successiva se hanno completato la loro aspirazione e se hanno il 10 in pagella.
TERMINARE LA SFIDA
La sfida è completata quando il sessantesimo figlio dell'Ape Regina diventa neonato, e la decima famiglia si trasferisce fuori dall'unita familiare dell'Ape Regina.
Se l'Ape Regina diventa anziana prima di aver partorito il sessantesimo figlio, la sfida è da considerarsi fallita. La sfida fallisce anche nel caso in cui l'Ape Regina o il fuco attuale muoiano prima che l'Ape Regina abbia partorito il sessantesimo figlio.
IMPOSTAZIONI DI GIOCO
Prima di cominciare a giocare, nelle opzioni della modalità di gioco impostate le opzioni di gioco come segue:
- Autonomia: Totale
- Passaggio di età automatico (Sim usati in gioco): Solo unità familiare attiva
- Passaggio di età automatico (Sim non usati in gioco): NO (non spuntato)
- Durata della vita del Sim: normale
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