#latte ci capra
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Ridere fa bene.
Oggi apro le notizie e sempre più penso che le testate le dovrebbero dare i direttori, giornalisti, redattori alle scrivanie dove sono seduti, non ci sono notizie solo gossip, che non è vero, però diciamo che su 10 notizie 6 sono di gossip, ma che cazzo, però ha il suo perché secondo me, il fatto che in questo momento di crisi con i prezzi alle stelle di tutto e la tristezza per un futuro più che incerto, è logico che da qualche parte un sorrisino bisogna trovarlo e dove se non sui giornali? Che fanno concorrenza sempre più al trash più trash, ma vediamo se ridete anche voi. Prima, leggo che Vasco Rossi ha una serie su netflix (che è sempre più merdflix), niente da obiettare o da criticare, ha milioni di fans ci può stare, poi gustibus ma a me fa ridere, pensando che molti grandi hanno solo un mini docufilm fatto anche male. Nell'ultimo anno l'Italia ha perso 14 miliardi, bruscolini che volete che sia, infatti la nana melona dice basta sprechi ahahhahahahh sono troppo comici sti qua al governo, cioè loro che regalano soldi a destra e a manca che neanche Fiorin Serafino ai paesani dopo aver ricevuto l'eredità, ora viene che devono tirare la cinghia e indovinate di chi è la vita a cui si stringerà quella cinta? Negli scontri per accaparrarsi la poltrona più ambita del mondo, quella della stanza ovale a stelle e striscioline di merda, sembra che tutti attacchino Trump, come sparare sulla croce rossa, beh posso capirli col livello medio mentale che c'è da quelle parti è facile che un idiota pieno di soldi riprenda il potere in mano, mi ricorda qualcosa? Dulcis in fundo, ho tenuto quella che mi ha fatto lacrimare di più, tale Rosalba Pippa, che se ti chiami cos�� (anche se non è colpa tua) fai bene a cambiare il nome in Arisa, si si la cantante, dice che è stata schiava sessuale, ma di chi? Cioè sono quasi caduto dalla sedia, ma chi è sto qua che ha lo stomaco come una capra, chi? Voglio vederlo in faccia, poi va bè gossip è gossip per natura ed è inutile come la carta igienica già usata, ma mi fa ridere, per carità rispetto per Arisa anche se è simpatizzante per la melona, però va bè ognuno, ma non me la immagino lei con il collare che viene frustata perché non ha leccato tutto il latte nella ciotola :D hahahahhahah
Passando a qualcosa di serio, sembra che il Boss, Bruce Springsteen, annulla le date del tour perché il medico lo ferma, l'età, anche lui non siamo fatti di ferro. Molti amici stanno condividendo su FB foto (non scattate da loro) di Mick Jagger in giro per Catania, non ci vedo niente di male anche loro hanno diritto ad una vacanza e visto che il cantante degli Stones ama la Sicilia non ci vedo niente di eccezionale, ha anche una casa da qualche parte sulla costa est. Certo trovarsi a un metro da una leggenda è ovvio che un pò ci si sente emozionati, però bisogna anche capire che lui vorrebbe stare tranquillo, lo spero per lui.
Meno male che l'umore è a buon livello perché svegliarsi e vedere a stento la casa di fronte non è bello, eh si, oggi un nebbione da pianura padana, sarà l'eccesso di umidità, boh, mentre da voi leggo che l'estate non vuole andare via, qua già siamo in pieno autunno che Ottobre arriva a metà Settembre, senza contare che già alle 6 di pomeriggio è buio pesto, questo sempre se non è nuvoloso, purtroppo sono le piccole cose che fanno di questo posto una merda, lo so cosa mi vuoi chiedere, dove vado? In Italia neanche il cadavere ci voglio mandare dopo morto, l'Inghilterra a quanto pare è impraticabile se non hai culo, cosa che si sa non ho, altri posti non ho idea, ma per ora resto qua. Per chiudere questo post un pò così tra la risata e la lacrimuccia dico ... niente va, buona giornata :D
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OFMD ficlet - VI
"...e dite un po', Mr. Buttons," esordì Stede un pomeriggio, in piedi accanto al timoniere.
Allacciò le mani dietro la schiena e guardò in alto, verso il cielo che prometteva pioggia. "Com'era, laggiù?"
Buttons volse lentamente gli occhi stralunati sul capitano. "Laggiù?" ripetè.
"Oh, la buona cara madrepatria," offrì Stede facendo un gesto vago della mano verso oriente. "La vecchia Inghilterra."
"Ah, quello non saprei proprio dirvelo, Capitano," replicò Buttons tornando a sprofondare lo sguardo nell'orizzonte. "Casa mia, quella era in Scozia."
"Uh," fece Stede, increspando il labbro, meditabondo. "Una delle prossime sere potremmo leggere il MacBeth, allora."
"Ay. Fatemi allora la cortesia di avvisarmi prima, volete? Invito Karl e Olivia." disse Buttons gravemente. "Si è molto risentita di aver perso Shakespeare, l'ultima volta."
A Stede occorse un istante prima di ricordare che anche Olivia era un gabbiano, ma poi annuì con tutta la convinzione che gli riuscì, "Certo, certo! Naturalmente."
Un'altra pausa di silenzio, mentre in lontananza rumoreggiavano i primi tuoni.
"Non so come mai, ma la immagino sempre così," disse accennando con un ampio gesto il cielo grigio. "L'Inghilterra, intendo. E anche la Scozia, e tutte le isole, insomma. Grigie e un po' - un po' polverose, credo..?"
"Grigie, sì, e azzurre, e verdi, tanto verde quanto questo è blu," assentì Buttons, indicando il mare intorno a loro. "E bianche, bianche da diventarci ciechi, quando nevica."
Stede tacque, cercando di formarsi nella mente l'immagine di un paesaggio candido come l'avorio, come il latte, come la schiuma sulla cresta delle onde.
Spesso aveva sognato di visitare il vecchio mondo, le sue meraviglie che nella sua mente assumevano contorni favolosi: le città immense, le chiese, le piazze adorne di fontane, l'inconcepibile peso di secoli e millenni inciso in ogni pietra.
Da ragazzo, Stede aveva passato ore a cercare sui libri illustrazioni delle rovine di Roma, delle cattedrali francesi, delle brughiere e delle foreste d'Inghilterra: sudando nella torrida estate tropicale aveva cercato di immaginare il freddo inverno nelle lande dell'estremo nord, il profumo dei mirti di un Mediterraneo mai veduto.
Gli era sempre sembrato un mondo lontano tanto quello delle fiabe - e forse, proprio per questo non avrebbe dovuto sorprenderlo, che anche Edward venisse proprio da lì.
"E avete mai visitato Londra, Mr. Buttons? Avete visto il Re?"
"Ah, nay, mi sono imbarcato appena ho saputo fare un nodo a una cima." rispose Buttons inclinando il capo da una parte. "Ma sono stato a Edinburgo, una volta. Per una fiera. Nonna aveva da vendere Lizzie."
"Lizzie..?" indagò cautamente Stede, e Buttons proseguì in tono discorsivo, "Lizzie era la capra di mia nonna. Ogni primavera nonna la vendeva e ogni estate lei risbucava nella stalla. Avevano un accordo, capite."
"Uhm." fece Stede, chiedendosi se non fosse il momento di interrompere la conversazione.
"Mai andato d'accordo con la vecchia Lizzie," proseguì Buttons, meditabondo. "Irritabile. E con quel senso dell'umorismo che si ritrovava. Avete presente, Capitano, quando avete la sensazione spiccata e sputata di parlare con qualcuno che è - con rispetto parlando..." roteò su Stede due occhi sbarrati "...fuori come un pollaio?"
Stede rimase per qualche istante in silenzio, valutando le possibili risposte, e alla fine sospirò pesantemente.
"Non posso dire di averlo presente, Buttons, no." disse in tono sconfitto. "Forse sono soltanto un po' invidioso. Per non aver mai conosciuto altro che le colonie, intendo."
"Mmmh," assentì Mr. Buttons come se la questione gli fosse divenuta improvvisamente chiara, forse troppo chiara..? Stede gli lanciò un'ansiosa occhiata di sottecchi, ma il timoniere continuava a guardare l'orizzonte.
"...Fa un poco strano, vedete." disse dopo un po', a mezza voce. "Ci si sente un po' spaccati in due. Sembra tutto morto e sepolto e come mai successo, e poi una notte apri gli occhi sicuro di aver sentito bramire il cervo dal bosco vicino alla fattoria, finché ti ricordi che non ci sono cervi, nè boschi, nè niente."
Mr. Buttons fece una pausa, mentre il suo sguardo allucinato prendeva una tinta malinconica. "La luna, però, quella c'è sempre, ed è una." disse infine, ciondolando il capo.
Rimasero entrambi in silenzio, mentre dalle nuvole che si erano lentamente addensate cadevano le prime larghe gocce di pioggia.
Si preparava un temporale.
"Oi!" Chiamò d'improvviso Edward saltando sul ponte, il riso nella voce. "Stede! Ti si restringeranno i vestiti addosso, se te ne stai lì sotto la pioggia!"
Era bello, pensò d'improvviso Stede, nell'aria grigia e già satura d'acqua.
"E tu portami un'incerata..!" riuscì a rispondere con un sorriso, mentre guardandolo si domandava se era quello il suo elemento, quelli i suoi cieli, se era nato laggiù dove Stede non era stato mai, nella nebbia e nell'aria sporca, nel tuono, nel lampo e nella pioggia.
#oh lord help me I'm so so so back to my bullshit#il mio headcanon è accettare l'ipotesi storica che ed sia nato a bristol#also mi sono resa conto di aver scazzato i tempi nel capitoletto prima#karl a quel punto era ancora very much alive :')#nella nebbia e nell'aria sporca come macbeth#ofmd ficlet#ah altro headcanon buttons è cresciuto in una congrega di streghe#adoro mr buttons#srsly guarderei una serie tutta sua#sarebbe tipo spongebob meets twin peaks meets the texas chainsaw massacre#chef's kiss#ofmd ficlet in italiano
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Fᴏᴄᴀᴄᴄɪᴀ ʟɪʙᴀɴᴇsᴇ ᴀʟʟᴏ Zᴀ’ᴀᴛᴀʀ ᴄᴏɴ Lᴀʙɴᴇʜ ,Pᴏᴍᴏᴅᴏʀɪɴɪ ᴇ Oʟɪᴠᴇ Qualche giorno fa abbiamo pubblicato una ricetta leggermente stravagante a base di Zucchine, Formaggio caprino e Za’atar, premettendo che questa miscela di spezie viene usata più propriamente per la preparazione della classica focaccia libanese “Manakiche Bi Za’atar” con il caratteristico formaggio Lebneh. In molti ci avete scritto per chiedere informazioni, così abbiamo voluto prepararla per voi, corredando il post con il semplicissimo procedimento per realizzare il Lebneh da soli. Ora potrete gustare questa vera prelibatezza mediorientale a casa vostra 😏 Vi occorreranno semplicemente due vasetti da 250g di Yogurt, uno di latte vaccino e l’altro di latte di capra, preferibilmente biologici. Poi unirete i due Yogurt assieme aggiungendo mezzo cucchiaino di sale fino. Ora non vi resta che mescolare, mettere in una garza e strizzare leggermente il siero (non buttatelo, si usa al posto del latte in dolci e pane). Poi metterete la garza in un colino nel frigo, con sotto una ciotola per raccogliere tutto il siero. Va lasciato lì a riposare per 12-18 ore, a seconda della consistenza che gradite. Poi potete consumarlo o farne delle palline che rotolerete nello Za’atar o altre spezie e potrete anche conservare in frigo per una o due settimane senza problemi (sono fantastiche nelle insalate estive e sott’olio si conservano anche qualche mese 😉) 💪🏻Ora che avete il vostro Lebneh e la vostra scorta di Za’atar preparata con la nostra ricetta del post precedente, potete preparare le focaccine semplicemente mescolando 500g Mix per Pizza RIEPER e 380ml acqua tiepida, impastando e lasciando lievitare 30 minuti. Poi stenderete con spessore di circa 4mm e formerete dei dischi di 15-20 cm che basterà cuocere in una padella antiaderente già calda a fiamma alta per 2 minuti, girando a metà cottura e con il coperchio. Focaccine pronte, andranno spennellate di Olio evo e Za’atar in abbondanza. Poi unite Olive, Pomodorini e Lebneh e gustate ancora tiepide con un buon bianco... Parola mia, è un momento perfetto, alla faccia della de Beauvoir 😂 Fateci sapere. Buona giornata ! 🙋🏻♂️🙋🏼♀️😘 (presso Merano, Trentino Alto Adige, Südtirol) https://www.instagram.com/p/CN4D87VFv8E/?igshid=1jqxsx13cdudd
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L’IMPERO DELL’IMPARARE EMPIRICAMENTE
Io me lo immagino cento anni fa George Minot che esclama -- George! William! Dobbiamo fare qualcosa per questi rompicoglioni che ci intasano l’ospedale, tutti pallidi, lamentosi e privi di forze! -- e dopo aver impugnato il suo microscopio in ottone con ingrandimento 5X -- Quell’idiota di Carl Landsteiner dice che non li possiamo curare con trasfusioni di sangue di pecora per colpa di una cosa che lui chiama ‘gruppo sanguigno’ (che razza di nome!) ma io vedo che il loro sangue ha pochi globuli rossi, quindi li dobbiamo rimpiazzare con un’alimentazione speciale! Cosa Suggerite? -- William Murphy alza la mano e dice -- Abbiamo provato a fargli bere un litro di sangue di bue al giorno ma poi cagavano e vomitavano nero; abbiamo fatto seguire loro una dieta a base di fagioli -- mezzo chilo a colazione, mezzo chilo a pranzo e la sera un bicchiere d’acqua -- ma li abbiamo dovuti mettere in isolamento con le finestre sempre aperte e gli è venuta la tubercolosi nel giro di ... -- George Whipple lo interrompe -- E se gli facessimo bere solo latte, magari di capra di montagna? George Minot picchia entrambe le mani sulla scrivania del suo ambulatorio nel Boston City Hospital ed esclama -- Cosa si mangia oggi a pranzo in mensa? -- Ehm... Fegato alla veneziana, credo -- risponde perplesso Whipple -- Bene! -- urla risoluto Minot -- D’ora in poi questi pazienti anemici mangeranno mezzo chilo di fegato a pranzo e mezzo chilo a cena. Crudo, sennò il ferro evapora!
E fu così che centinaia di persone vennero curate da questa grave forma di anemia, non perché il fegato crudo consumato contenesse ferro ma per la presenza di una sostanza che la dieta povera del tempo non forniva in maniera adeguata.
La cianocobalamina, comunemente conosciuta come Vitamina B12.
I dottori George Minot, William Murphy e George Whipple arrivarono a questa scoperta per caso e infatti non era il ferro a essere termolabile alla cottura ma proprio la cianocobalamina, fondamentale per il sistema nervoso ed emopoietico, dalla carenza della quale insorgevano proprio debolezza e anemia.
Naturalmente in seguito si resero conto di questa scoperta casuale e cominciarono ad estrarla da fegato animale e a sommistrarla per bocca o iniezione, senza far vomitare nessuno con preistorici pasti immondi.
E per questo si beccarono il Nobel.
Ragion per cui, se siete vegetariani o vegani dovete SEMPRE integrarla artificialmente, pena la condizione sopra descritta una volta che avrete terminato le scorte epatiche, e per il resto mi aspetto il vostro perdono per aver romanzato in maniera buffona e a tratti imprecisa una scoperta fondamentale per milioni di persone nel mondo.
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UNA CAREZZA "C'est tout ce que j'ai" (E' tutto quello che ho) Scosta piano la coperta che l'avvolge. Contro il suo corpo, dorme un bambino. Avrà quattro/cinque mesi. Poi lo ricopre teneramente. Halima viene dal Camerun. Potrebbe avere 20 anni. Finita in mano ai miliziani libici e rinchiusa nel campo di Zintan. "Venivano e ci trascinavano fuori, in una baracca. Poi abusavano di noi. Quanti ? Non so. Tanti. Ogni notte tanti. Poi un giorno mi hanno fatta salire su di un camion con altri soldati. Mi avevano venduta a nuovi padroni. Riuscii a scappare con un'altra mia amica e dopo un mese sono arrivata qui. Mi hanno portato via tutto. Tutto meno lui. "C'est tout ce que j'ai." E accarezza la coperta, Stringe quel bambino figlio della violenza subita. Halima, una delle tante vittime della guerra. A Medenine li vedi girare per strada, escono dal Centro Al Hamdi che li ospita. Un posto che non esiste più dopo che l'UNHCR lo ha abbandonato perché insufficiente a contenere il flusso dei migranti. Ma molti sono rimasti li. Dormono per terra, nei corridoi, sul tetto. Di giorno escono per cercare un aiuto. Un pane, un po' di latte. - Come lo hai chiamato ? - Non ha un nome, non ho trovato un nome..... ..Tu come ti chiami ? - Khaled.... - Bello Khaled, mi piace....Posso chiamarlo Khaled ? - Certo che puoi - Allora da oggi lui si chiama Khaled E ancora accarezza la coperta, la bacia e mi sorride. Esco, vado a cercare del pane e del latte. Glielo porto. Ho trovato anche un po' di formaggio di capra e qualche arancia. "Merci, baba, à partir d'aujourd'hui, chaque fois que j'appellerai le bébé, je penserai à toi." Penso al piccolo Khaled, a quando uscirà da quella coperta, al mondo che avrà davanti agli occhi...... Quale futuro ? Halima mi sorride ancora. A Khaled, di certo non mancherà mai l'amore di sua madre. Dei bambini giocano per strada. Si rincorrono, si strattonano, ridono forte chiamandosi. Una bambina s'avvicina alla macchina, sorride e piega la testolina in un gesto d'umiltà...... "Bon bon, bon bon ...." Vuole caramelle. Ne abbiamo sempre. Le accarezzo i capelli, lei si ritrae impaurita, poi s'avvicina di nuovo, le afferra e le mostra orgogliosa agli altri Com'é lontana la guerra da quegli occhi. I bambini dimenticano in fretta. Basta una caramella. Basta una carezza a volte per cancellare la tristezza. Basterebbe anche a noi se fossimo capaci di guardarci con amore e con rispetto. Basterebbe sorriderci e scambiarci una carezza per farci sentire amati. Ed invece....... (Claudio Khaled Ser)
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C’è un posto dove si respira un’atmosfera magica e antica, nel territorio dell’Appennino bolognese: si tratta di Castiglione dei Pepoli, piccola perla medievale abitata da poco più di 5.000 anime. La sua ubicazione lo rende una meta incantevole per chi vuole disintossicarsi dallo stress della vita metropolitana. Questo borgo verdeggiante in provincia di Bologna è nato sul declivio del Monte Gatta. Qui, all’estremità nord-orientale del Lago del Brasimone, si può godere dello spettacolo di boschi di faggi e castagni e andare in cerca di funghi: non sono rari, infatti, i porcini che nascono spontanei ai piedi di alberi e attorno alle rocce. Castiglione dei Pepoli: la storia e il nome, cambiato a posteriori La storia di Castiglione dei Pepoli nasce molti secoli fa. Il suo nome, in origine, era Castiglione dei Gatti, dal nome del Monte Gatta. Il borgo, che faceva (e fa) parte della Comunità Montana Alta e Media Valle del Reno, era quasi del tutto ricoperto da boschi: le piccole case si potevano contare sulle dita di una mano. Tuttavia, Castiglione dei Gatti faceva parte della signoria feudale dei Conti Alberti di Prato e Mangone. Era considerato un luogo pregevole e salubre, ma per tutta una serie di vicissitudini, i Conti Alberti dovettero venderlo a una famiglia che avrebbe segnato la storia bolognese: quella dei Pepoli. Questi ultimi ne fecero un feudo colmo di fortificazioni e impianti finalizzati al controllo territoriale. La loro azione cambiò il volto del borgo e proprio per questa ragione, alcuni secoli più tardi (precisamente nel 1863), venne ribattezzato Castiglione dei Pepoli. Per tutto il corso dell’Ottocento, Castiglione dei Pepoli si sviluppò e prosperò: arrivarono le strade carrozzabili, l’illuminazione pubblica e diversi ammodernamenti. La guerra e i vuoti di potere fecero poi rallentare i progressi, ma oggi le cose sono cambiate. Un borgo proiettato nel futuro Castiglione dei Pepoli oggi è uno dei borghi del bolognese maggiormente proiettato nel futuro. Pur mantenendo inalterate le sue aree verdi, infatti, sta investendo nell’ampliamento dei servizi pubblici, con un incremento dei centri culturali e sportivi, e nelle sue bellezze escursionistiche. Ma non è tutto qui: come ci ha rivelato il giornalista Emilio Cucinelli, che di questo prezioso borgo parla nel suo programma Generazione Bellezza in onda su Rai 3, il cuore di Castiglione dei Pepoli sono i giovani, tornati sui loro passi dopo ben quindici anni di spopolamento: Da qualche anno sono tornati i giovani. Quando arrivi a Castiglione, c’è un cammino che ha una narrazione: ci sono due ragazzi che ti accolgono e fanno gustare i loro prodotti locali fatti con le erbe aromatiche. Poi ti raccontano di una ragazza che ha aperto un B&B, di una ragazza che è diventata una “pastora” e fa prodotti a base di latte di capra. Il messaggio che passa è che questi giovani hanno ripreso quegli antichi saperi e stanno restituendo al territorio quello che merita. Dunque, Castiglione dei Pepoli è un borgo del passato che guarda avanti, senza perdere la sua identità: riprendendo gli antichi mestieri e tornando sui campi che erano dei loro nonni, i ragazzi permettono anche al turismo di prosperare. Tra laghi e boschi: un tuffo nel verde e nel blu Questo splendido borgo è la base di partenza per diverse escursioni a piedi, a cavallo o in mountain bike. Partendo dal centro storico si possono raggiungere frazioni e località come Monte Tavianella, Creda, Sparvo, Roncobilaccio, San Giacomo, Rasora, Lagaro, Baragazza e Monte Baducco. Questi ultimi sono piccoli centri abitati o borgate che, essendo collocati a diverse alture e su diversi versanti dell’Appennino bolognese, permettono di ammirare panorami mozzafiato, sempre diversi. Le escursioni più suggestive sono, però, quelle che portano al parco naturale di Monte Gatta e ai tre specchi d’acqua vicino a Castiglione dei Pepoli. Lago Brasimone, Lago Suviana e Lago Santamaria sono non solo un punto dove andare a trascorrere delle gradevoli giornate, ma durante alcuni periodi dell’anno si trasformano in cornici per manifestazioni culturali e sportive. Castiglione dei Pepoli, una passeggiata tra bellezze storiche e curiosità E se non si ha voglia di camminare o pedalare? Allora non resta che godersi le bellezze artistiche di Castiglione dei Pepoli. In centro, per esempio, è possibile trovare la Chiesa di San Lorenzo, risalente al Cinquecento, e l’Antico Palazzo Comitale. Sempre in centro si possono trovare anche la Torre dell’Orologio e la cosiddetta Palazzina, un vecchio complemento edilizio che resiste all’avanzare dei secoli. Tra gli altri punti di interesse si trovano anche la Torretta, ultimo baluardo delle strategie difensive dei nobili medievali, e la Chiesa Vecchia di origini romaniche: quest’ultima è stata ricostruita con l’apporto della popolazione nel XVII secolo ed è circondata da un bellissimo parco. Infine, una curiosità: a Castiglione dei Pepoli è possibile visitare un Cimitero Sudafricano, costruito durante la guerra per seppellire i soldati stranieri. Uno scorcio di Castiglione dei Pepoli. Fonte: 123rf https://ift.tt/2ZMPT87 Castiglione dei Pepoli, il borgo antico che guarda al futuro C’è un posto dove si respira un’atmosfera magica e antica, nel territorio dell’Appennino bolognese: si tratta di Castiglione dei Pepoli, piccola perla medievale abitata da poco più di 5.000 anime. La sua ubicazione lo rende una meta incantevole per chi vuole disintossicarsi dallo stress della vita metropolitana. Questo borgo verdeggiante in provincia di Bologna è nato sul declivio del Monte Gatta. Qui, all’estremità nord-orientale del Lago del Brasimone, si può godere dello spettacolo di boschi di faggi e castagni e andare in cerca di funghi: non sono rari, infatti, i porcini che nascono spontanei ai piedi di alberi e attorno alle rocce. Castiglione dei Pepoli: la storia e il nome, cambiato a posteriori La storia di Castiglione dei Pepoli nasce molti secoli fa. Il suo nome, in origine, era Castiglione dei Gatti, dal nome del Monte Gatta. Il borgo, che faceva (e fa) parte della Comunità Montana Alta e Media Valle del Reno, era quasi del tutto ricoperto da boschi: le piccole case si potevano contare sulle dita di una mano. Tuttavia, Castiglione dei Gatti faceva parte della signoria feudale dei Conti Alberti di Prato e Mangone. Era considerato un luogo pregevole e salubre, ma per tutta una serie di vicissitudini, i Conti Alberti dovettero venderlo a una famiglia che avrebbe segnato la storia bolognese: quella dei Pepoli. Questi ultimi ne fecero un feudo colmo di fortificazioni e impianti finalizzati al controllo territoriale. La loro azione cambiò il volto del borgo e proprio per questa ragione, alcuni secoli più tardi (precisamente nel 1863), venne ribattezzato Castiglione dei Pepoli. Per tutto il corso dell’Ottocento, Castiglione dei Pepoli si sviluppò e prosperò: arrivarono le strade carrozzabili, l’illuminazione pubblica e diversi ammodernamenti. La guerra e i vuoti di potere fecero poi rallentare i progressi, ma oggi le cose sono cambiate. Un borgo proiettato nel futuro Castiglione dei Pepoli oggi è uno dei borghi del bolognese maggiormente proiettato nel futuro. Pur mantenendo inalterate le sue aree verdi, infatti, sta investendo nell’ampliamento dei servizi pubblici, con un incremento dei centri culturali e sportivi, e nelle sue bellezze escursionistiche. Ma non è tutto qui: come ci ha rivelato il giornalista Emilio Cucinelli, che di questo prezioso borgo parla nel suo programma Generazione Bellezza in onda su Rai 3, il cuore di Castiglione dei Pepoli sono i giovani, tornati sui loro passi dopo ben quindici anni di spopolamento: Da qualche anno sono tornati i giovani. Quando arrivi a Castiglione, c’è un cammino che ha una narrazione: ci sono due ragazzi che ti accolgono e fanno gustare i loro prodotti locali fatti con le erbe aromatiche. Poi ti raccontano di una ragazza che ha aperto un B&B, di una ragazza che è diventata una “pastora” e fa prodotti a base di latte di capra. Il messaggio che passa è che questi giovani hanno ripreso quegli antichi saperi e stanno restituendo al territorio quello che merita. Dunque, Castiglione dei Pepoli è un borgo del passato che guarda avanti, senza perdere la sua identità: riprendendo gli antichi mestieri e tornando sui campi che erano dei loro nonni, i ragazzi permettono anche al turismo di prosperare. Tra laghi e boschi: un tuffo nel verde e nel blu Questo splendido borgo è la base di partenza per diverse escursioni a piedi, a cavallo o in mountain bike. Partendo dal centro storico si possono raggiungere frazioni e località come Monte Tavianella, Creda, Sparvo, Roncobilaccio, San Giacomo, Rasora, Lagaro, Baragazza e Monte Baducco. Questi ultimi sono piccoli centri abitati o borgate che, essendo collocati a diverse alture e su diversi versanti dell’Appennino bolognese, permettono di ammirare panorami mozzafiato, sempre diversi. Le escursioni più suggestive sono, però, quelle che portano al parco naturale di Monte Gatta e ai tre specchi d’acqua vicino a Castiglione dei Pepoli. Lago Brasimone, Lago Suviana e Lago Santamaria sono non solo un punto dove andare a trascorrere delle gradevoli giornate, ma durante alcuni periodi dell’anno si trasformano in cornici per manifestazioni culturali e sportive. Castiglione dei Pepoli, una passeggiata tra bellezze storiche e curiosità E se non si ha voglia di camminare o pedalare? Allora non resta che godersi le bellezze artistiche di Castiglione dei Pepoli. In centro, per esempio, è possibile trovare la Chiesa di San Lorenzo, risalente al Cinquecento, e l’Antico Palazzo Comitale. Sempre in centro si possono trovare anche la Torre dell’Orologio e la cosiddetta Palazzina, un vecchio complemento edilizio che resiste all’avanzare dei secoli. Tra gli altri punti di interesse si trovano anche la Torretta, ultimo baluardo delle strategie difensive dei nobili medievali, e la Chiesa Vecchia di origini romaniche: quest’ultima è stata ricostruita con l’apporto della popolazione nel XVII secolo ed è circondata da un bellissimo parco. Infine, una curiosità: a Castiglione dei Pepoli è possibile visitare un Cimitero Sudafricano, costruito durante la guerra per seppellire i soldati stranieri. Uno scorcio di Castiglione dei Pepoli. Fonte: 123rf Adagiato sul pendio di Monte Gatta, Castiglione dei Pepoli è una borgo di stampo medievale che guarda al futuro: sono tanti, infatti, i giovani tornati per farlo brillare
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Testo Masha Mottes, foto Lucia Semprebon
Incontriamo per la prima volta Agitu Ideo Gudeta in una domenica piovosa di febbraio.
Il periodo coincide con quello dei parti delle “sue capre” che per lei non rappresentano solamente una fonte di sostentamento, ma il fulcro della sua vita e della sua storia, da sempre.
L’incontro quindi è necessariamente breve, ma intenso quanto basta per capire quanto amore, entusiasmo e passione animano questa donna, che ci accoglie con il calore e un sorriso che illumina lei e tutto ciò che la circonda.
Già dalle prime parole che ci scambiamo percepiamo positività, determinazione e tanto, tanto coraggio.
Di lì a poco Agitu ci deve lasciare perché è arrivato il momento del parto e letteralmente lei corre dalle sue capre.
Entusiasta come una madre (e un padre) la sera ci manda una foto di due gemelline.
*** *** ***
L’Azienda di Agitu, “La capra felice” (e direi che nome non fu più indovinato vista la vita che conducono questi animali), realizza prodotti biologici, vende a chilometro zero e non effettua dunque spedizioni per quanto riguarda gli alimenti. Agi ci spiega che questo non sempre viene capito dalle persone a causa anche della mala abitudine, che ormai ci ha inculcato il sistema, di trovare qualsiasi prodotto ad ogni distanza ed a ogni stagione; ma per lei questi valori fanno parte della sua filosofia di vita e di conseguenza di quella della sua azienda.
Ha dato un nome a tutte le sue 130 caprette, le quali rispettano un ciclo di produzione naturale, ovvero ad ottobre smettono di lattare e vanno in asciutta. Quando poi non sono più in grado di farlo a causa dell’età, vengono regalate come animali da compagnia anziché venire mandate al macello.
“Il consumatore è abituato a reperire le merci tutto l’anno sui banconi degli ipermercati e questo non rispetta i ritmi della natura. Per avere sempre i prodotti occorre intervenire sugli animali con gli ormoni e in questo modo una capra a 3 anni può essere già arrivata alla fine della sua vita produttiva.”
Le capre sono animali poliesteri: al cambio della luce scattano gli ormoni e, quindi, Agi introduce il maschio per la riproduzione. Naturalmente questo vuole dire sospendere la produzione di latte, yogurt e formaggi che riprende in primavera.
Per chi vuole vendere tutto l’anno è possibile “imbrogliare” il corso della natura, mettendo gli animali al buio e intervenire sul ciclo usando una spugna con degli ormoni.
“Le capre sono animali intelligenti, si riesce ad interagire con loro, le distinguo per nome e conosco il loro carattere. Quando andiamo al pascolo cerco di lasciarle libere, si muovono perpendicolari evitando la salita e sembra incredibile ma quando sono le 17.00 una di loro si gira, trova la strada e andiamo a casa. Le tiene a bada il mio cane: …. non uso le campanelle, sono troppo sensibili al suono, pensate voi di dovervi muovere con un campanello nelle orecchie tutto il giorno …“
Agitu inizia il suo progetto in Trentino in Val di Gresta, lavorando in un bar mezza giornata e passando l’altra mezza a gestire, da sola, 15 capre: giornate piene che prevedono la mungitura alle 4 del mattino e alla sera.
Ci dice:
“Il Trentino mi piace, sono una montanara. Adis Abeba e’ a 2338 mt dal mare, qui ho trovato la mia seconda casa, quando vedo queste montagne mi si apre il cuore”
(e a sentirla parlare così il cuore si apre anche a noi).
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*** *** ***
Ad inizio giugno torniamo da lei e nel frattempo nella sua vita e nella sua azienda sono successe molte cose.
E’ stata raggiunta dalla stampa (interviste su La Stampa e Internazionale) e tv. Pif la riprende mentre svolge la sua attività e finisce su Raitre nella trasmissione “Caro Marziano”.
Agitu nel suo sito ha tutta la rassegna stampa di questi anni, dedicati a far crescere il suo sogno. Ci spiega che la puntata della trasmissione “Mela Verde” del 2015 che si è occupata della sua azienda viene riproposta tutte le estati e ogni volta registra il massimo degli ascolti.
Prosegue a raccontare che è stata ospite di Emma Bonino. A Roma è intervenuta nell’ambito dell’incontro dal titolo “Donne anche noi. Storie di fuga e riscatto” per celebrare l’8 marzo dando spazio alle storie di chi ha lottato per affermarsi nel nostro Paese e chi ancora lotta.
Cominciamo da qui: Agitu ci racconta di questa esperienza, del treno preso in giornata per Roma. Al suo arrivo la attendono una marea di giornalisti, il ministro degli Esteri, insomma, non proprio ciò che aveva immaginato.
Tant’è che ci confessa: “per un attimo ho pensato: oh oh qualcosa mi sfugge adesso scappo” e ci travolge con la sua risata. Prosegue:
“Preso coraggio mi sono resa conto dell’opportunità: la conferenza era in diretta ed io ho approfittato per portare fuori la mia Africa, il tema del land grabbing (letteralmente: «accaparramento della terra» – accaparramento delle terre da parte delle multinazionali a scapito dei contadini locali) che mi ha portato lontano dalla mia casa, l’Etiopia, a causa della mia presa di posizione contro questa situazione. In Africa ho lavorato a diversi progetti con i pastori nomadi nell’ottica di creare un’agricoltura sostenibile di auto sostentamento.”
“Sono stata un’attivista nel mio Paese, cominciando le prime manifestazioni nel 2005; in 5 anni di lotta, all’interno di un gruppo formato da 27 persone, abbiamo creato una bella rete. Ma negli anni portare avanti una politica che contrasta il Governo si è fatto sempre più duro. Nel 2010 mi sono dovuta allontanare dal mio Paese; delle persone che formavano il nostro gruppo siamo sopravvissuti in 3: io e due giornalisti australiani.”
Ci racconta come l’uso scriteriato di pesticidi e insetticidi da parte delle multinazionali abbia moltiplicato i casi tumorali, di malformazioni e aborti in un Paese come l’Etiopia, dove non esiste nessun genere di assistenza sanitaria.
Il governo dell’Etiopia nasconde situazioni assurde da anni: i profughi tenuti prigionieri in Somalia e Sud Sudan, le proteste a fuoco contro manifestazioni disarmate di civili universitari e agricoltori, le torture, l’oscurazione della rete internet.
Agitu ha lo status di rifugiata nel nostro Paese dovuto alla persecuzione del Governo nei suoi confronti.
“La mia, come quella di molte altre persone nella mia posizione, non è una storia di fuga desiderata e nel mio intervento durante la premiazione, approfittando della diretta, ho sollevato il punto per cui la collaborazione del governo italiano (ma non solo) con quello Etiope siano causa alla base della migrazione.
Ho parlato a ruota libera cercando di rendere il quadro il più ampio possibile, perché è guardando in questo modo le cose che possiamo interpretare la realtà di questi flussi migratori, non certo attenendoci al populismo che spesso ritroviamo nei canali che dovrebbero occuparsi di informazione“.
Il cosiddetto land grabbing è in sostanza un modo economico e remunerativo di accedere a nuove risorse naturali e di produrre cibo per alcuni Stati poveri di terre coltivabili, quali l’Arabia Saudita, o quelli densamente popolati come il Giappone o la Cina, che da tempo hanno cominciato a comprare ed affittare terreni all’estero per soddisfare il fabbisogno nazionale di cibo.
Tutto questo ha conseguenze pesantissime, soprattutto in Paesi come l’Africa, dove i governi consentono che gli abitanti delle terre cedute o spesso espropriate vengano costretti ad andarsene, se necessario con la forza. Lasciano abitazioni, campi e pascoli oppure vengono reinsediati in zone periferiche, prive di servizi e con infrastrutture inadatte alla vita civile. Possono considerarsi fortunati quindi gli africani che vengono assunti come braccianti e operai dalle imprese straniere, quando queste non favoriscono manodopera proveniente dal loro paese piuttosto che quella locale.
Si crea un circolo vizioso per cui non solo i Governi Africani non investono nel proprio Paese creando infrastrutture e indotto, ma collaborano alla distruzione dell’ autosostentamento di gran parte ei lori cittadini e della società stessa.
L’organizzazione non governativa internazionale Human Rights Watch e il Movimento di solidarietà per una nuova Etiopia sostengono, ad esempio, che tra il 2008 e il 2011 il governo di Addis Abeba ha affittato per periodi di 20, 30 o 99 anni già 3,5 milioni di ettari di foreste.
Un tema molto complesso, che non riguarda soltanto il fatto di destinare vaste estensioni di terra coltivabile a raccolti per l’esportazione, invece che a generi alimentari necessari e al mercato interno, ma implica anche che non ci siano ricavi convenienti utilizzati sul territorio.
Inoltre questa politica in Africa, un Paese colpito da scarsità stagionale e in certi casi permanente di generi alimentari di base, contribuisce a far lievitare i prezzi dei prodotti, avendo ripercussioni pesantissime sulle carestie che colpiscono gli abitanti.
*** *** ***
Questo è il contesto che ha portato Agitu nuovamente qui in Italia. “Nuovamente” perché lei aveva già frequentato l’Università qui: prima a Roma, a 18 anni con una borsa di Studio, e poi in Trentino, dove ha deciso di tornare quando ha dovuto lasciare il suo Paese.
Il lavoro che Agi sta svolgendo qui in Trentino ha a che vedere con competenze sue e dei suoi avi (famiglia di pastori nomadi). Il suo lavoro di recupero e utilizzo di terreni abbandonati è in sostanza l’esatto contrario rispetto a ciò che combatteva in Africa, ovvero la privazione del diritto di lavorare la terra da parte dello Stato nei confronti dei cittadini.
Come percepisci la diffidenza nei confronti del diverso e come e’ stato il tuo impatto di donna nel mondo agricolo locale?
“Devi tirare fuori unghie denti per guadagnare il rispetto. Una volta che hai dimostrato di essere una persona veramente tosta, insieme al rispetto arriva anche il riconoscimento del tuo lavoro.”
Come hai costruito le tue competenze rispetto alla produzione dei formaggi?
“Le ho potute ampliare e rafforzare anche attraverso la rete dei Woofer (solitamente produttori certificati biologici). Avevo interesse verso la produzione di formaggi francesi e sono stata in Francia. Attraverso questo canale la collaborazione si attua in forma di scambio di lavoro, ma anche di insegnamento e di competenze. oltre a divulgare e condividere la quotidianità del lavoro in fattoria.”
Anche Agitu appartiene a questa rete e nel suo sito si trovano le informazioni in proposito.
L’apertura della sua azienda si concretizza anche attraverso alcuni progetti di stage con l’Istituto Agrario di San Michele che le permettono di accogliere in azienda gli studenti. Parliamo della dispersione scolastica e a questo proposito ci dice che ragazzi in apparenza poco dotati secondo gli standard della didattica, dopo due settimane non solo conoscono i nomi delle capre, ma anche le parentele.
Ci sono giornate aperte al pubblico in cui e’ possibile andare al pascolo con le sue capre e con Buba Car, un ragazzo del Gambia rifugiato in Trentino, che una volta terminato il suo percorso è stato scelto e introdotto in azienda da Agitu e da qualche mese lavora con lei.
Vengono anche organizzate giornate in cui i bambini arrivano in visita per fare il formaggio.
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Agi è un vulcano di idee e mette a disposizione le sue competenze e la sua esperienza in altri progetti dedicati ai rifugiati: è stata invitata a Riace, dove ha potuto avere uno scambio con il Sindaco su quella che potrebbe essere un’idea aziendale da sviluppare lì.
Potete trovare i prodotti di Agitu ai mercati agricoli di Trento, Rovereto, Pergine, Bolzano, alla Biocesta del Gusto e nei Gruppi di acquisto solidale.
Chiudiamo l’intervista ad ottobre e ci sono ancora novità: Agitu ha appena realizzato una linea di creme a base di latte di capra non pastorizzato un procedimento in cui sta facendo da pioniera e che sviluppa una sorta di acido ialuronico naturale.
Sarà presente ai mercatini di Natale di Levico Terme con questa linea e lo street food, una novità introdotta recentemente, un’occasione per assaggiare la sua tosella e lo yogurt di capra.
Ci congediamo con un ultimo incontro, in un pomeriggio di ottobre passato al pascolo con le capre felici: un’esperienza di affetto e tenerezza con questi animali, e incredibilmente rilassante. Grazie Agitu!
Alcuni diritti riservati
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LIVINGWOMEN INCONTRA AGITU… E LE SUE CAPRE FELICI Testo Masha Mottes, foto Lucia Semprebon Incontriamo per la prima volta Agitu Ideo Gudeta in una domenica piovosa di febbraio.
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Diario alimentare pt.3
Colazione:
Tè senza latte né zucchero
Metà cornetto alla marmellata
Pranzo:
Petto di pollo al forno
Polenta con carote e pomodorini
Una pesca
Merenda:
Cono gelato alla panna
(vomitato immediatamente)
Cena:
Minestrina
Una fetta di salame
Due fette di prosciutto cotto
Formaggio di capra light
Un kiwi
Attività fisica:
Due ore e trenta di camminata
Cinquanta flessioni a muro
Note:
Oggi ho mangiato un sacco, meno male che ho compensato con l'attività fisica e "eliminando" il gelato.
Odio vomitare, perché via del fatto che può fare ingiallire I denti e mi fa bruciare la gola.
Preferirei stare a digiuno, piuttosto, anche se comunque in quel modo ho l'illusione di mangiare qualcosa.
Ho l'impressione che se vivessi da sola potrei mangiare in modo sano, magari di meno ma almeno senza avere una sorta di dca, e soprattutto essere vegetariana.
Oggi i miei mi hanno detto che sembro dimagrita, ma io non riesco a vederlo.
Non mi peso da un anno e sono terrorizzata dal farlo, non conto più le calorie perché ci stavo impazzendo.
Non voglio tornare a quell'incubo.
Voglio solo sentirmi bene, leggera e senza sentire la fame.
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EDSXEROS
La foresta incantata
«Allora Tea è tutto chiaro?»
«Sì mamma, cammino fino al villaggio senza fermarmi, torno prima che faccia buio e non parlo con gli sconosciuti» ripeto alzando gli occhi al cielo.
«Brava ragazza! Ora prendi la borsa e porta a casa più provviste possibili, mi raccomando.»
Annuisco mentre afferro il manico della sacca per metterla a tracolla, strattono il cuoio assicurandomi sia ben saldo sulla spalla.
«Indossa questo, copri il viso e testa bassa» appoggia il mantello nero sul busto, alza il cappuccio per nascondere la mia faccia il più possibile.
«Io non capisco...» protesto nonostante la mia completa obbedienza a lei.
«Un giorno ti spiegherò.» accarezza i miei capelli e poi mi invita a uscire.
Mi chiudo la porta alle spalle, lascio mia madre sola, anche se non sono tranquilla. Abitiamo al limitare del bosco, un luogo sperduto che ci illude sicurezza, dettaglio falso, visto i cacciatori che si aggirano ogni giorno. A poche miglia di distanza c’è il villaggio Navàl, due volte al mese lo raggiungo per vendere i nostri prodotti fatti con latte di capra. Con le monete ricavate possiamo permetterci di comperare farina, pasta, uova e sapone.
Percorro il sentiero con passo sicuro, conosco a memoria qualsiasi albero, cespuglio e persino alcuni animaletti che hanno deciso di stabilirsi qui. Saluto la civetta che ulula, seguo lo scoiattolo viola che zampetta fino alla tana e sorpasso una colonia di formiche grandi quanto un topo comune.
Siamo nella Foresta Incanto. Il nome è ingannatore, dovrebbe chiamarsi Foresta degli Orrori, visto che qualunque forma di vita viene trasformata a piacimento degli stregoni in essere spregevoli. Di giorno sembra un normale bosco, ma di notte si traveste in una vera e proprio selva pericolosa. È durante le ore più scure che avviene il sortilegio, il mutamento. Gli stregoni, immuni al loro potere, hanno canalizzato la forza della luna sulle loro dita lunghe imbrattate di simboli, si sono impossessati della luce della stella più luminosa per creare questa campo attorno a tutto la legione. Se rimani fuori di notte sai già cosa ti aspetta al mattino. Civili e animali, nessuna distinzione.
Di tutti gli abitanti sono una delle poche sopravvissute alla notte, nemmeno mia madre riesce a comprendere come sia scampata ai malefici. Da piccola sono uscita di casa e mi sono persa nel bosco, sono stata trovata la mattina successiva per caso, senza graffi e ancora nella mia sembianza umana. Sono passati dieci anni da allora.
Cammino distratta e come sempre affascinata dai molti colori che albeggiano tra i rami, l’aria sa di muschio e viole selvatiche. Osservo la natura, silenziosa.
All’improvviso, poco distante, uno strano brusio rompe la quiete e cattura la mia attenzione.
Corro incontro a quel fruscio, incurante del pericolo o della paura che attaglia lo stomaco, l’adrenalina prende il sopravvento del mio corpo. Il cappuccio vola all’indietro, i capelli svolazzano liberi. La curiosità domina su ciascun istinto di sopravvivenza.
Supero arbusti, radici, tronchi secchi e arrivo in uno spazio aperto, una sorta di cerchio delineato dagli alberi. Mi blocco quanto al centro scorgo un uomo. Assottiglio gli occhi, vorrei capire chi è. Le foglie si muovono in balia di piccoli vortici invisibili, centinai di rametti volteggiano sospesi tutti intorno alla figura. Lo studio con attenzione. È alto.
«Oddio.» sussurro portando una mano sul petto quando capisco di chi si tratta. Non è un uomo qualsiasi, lo riconoscerei tra milioni anche a questa distanza, per la sua stazza, per la sua aurea potente così in contrasto con l’essenza della vita stessa. L’uomo al centro è Bahrut, il sommo Stregone della Foresta Incanto.
Starà facendo qualche stregoneria, penso.
Non dovrei essere qui, devo sparire subito. Muovo il collo in cerca di una via d’uscita, ma i suoi occhi si inchiodano nei miei bloccando qualsiasi mossa.
«E tu ragazzina chi saresti?» domanda con voce dura e profonda.
Guardo prima a destra e poi a sinistra, faccio qualche passo indietro, eppure le sue parole ancora mi frenano la mia fuga. La paura tende i muscoli, le pupille sbarrate sono ipnotizzate dalla sua magnificenza.
«Se pensi di potertene andare via senza ripercussioni, sei poco astuta. Lo sai chi sono?» ora la sua attenzione è rivolta totalmente a me. Avanza imponente, il suo corpo statuario è leggiadro nonostante la sua grandezza.
Io rimango immobile, ammaliata.
Rispondo con un cenno del capo. Prego che non si accorga della mia agitazione mista a inquietudine. Non lo temo, anche se visto da vicino è altero, sono più preoccupata che scopra il mio segreto.
Alza la mano destra, le dita ricoperte da anelli dorati con diamanti incastonati. Invoca i suoi poteri, pronuncia frasi in lingua antica, e dopo pochi secondi dal suo palmo si plasma un fascio di luce, metà bianco e metà nero, rimbalza nel cielo per poi riversarsi sul mio corpo.
Un vortice d’aria gelida mi solleva a mezz’aria, oltrepassa i vestiti e sfiora la pelle come una piuma, inizia dai piedi. Procede sui polpacci, poi sulle cosce, nessun lembo è lasciato vergine a questo tocco. esplode sulla mia intimità, con più vigore. Intravedo Bahrut accigliarsi.
Adesso il soffio dello stregone è mite, avanza verso il petto, vortica sui seni per risalire sul collo e arrivare fino alla bocca dove la riempie. Ingoio la sua forse malefica. I miei occhi non lasciano quelle pozze nere striate d’oro. C’è una connessione con questo uomo che non capisco. Un’invisibile corda mi unisce a lui. Ma forse è la sua magia.
Una strana sensazione muove le viscere del basso ventre. Un formicolio striscia dalla pancia, arriva alla gola e un gemito strozzato esce incontrollato. Le guance divampano per l’imbarazzo. Spero non mi scopra. Continua la sua litania alzando di diversi toni la voce.
«Dris, Maricas, Fortis, Voltres. Summos, Vortica, Aldris.»
Vengo percossa da brividi, i miei arti sono in ipotermia. La luce è sempre più intensa, ma oltre a volare e raffreddare il fuoco che sento non succede nient’altro. Se questa è la fine vorrei continuate in eterno così. Mai provato nulla del genere.
Bahrut sa che qualcosa non va.
Il vento cessa, il freddo svanisce e io mi ritrovo a cadere su un mucchio di foglie dai colori autunnali.
«Aia!» urlo massaggiandomi il fianco che ha sbattuto contro il terreno. Mi rialzo con coraggio, sistemo la borsa e il mantello come se nulla fosse. Tolgo qualche legnetto dai capelli e guardo lo stregone.
«Com’è possibile? Dovresti essere una volpe ora. Chi sei ragazzina?» la durezza di prima si affievolisce.
«Sono Tea. Tea di Palabras, sommo Bahrut» rispondo inchinandomi al suo cospetto.
Lo stupore che si dipinge sul suo volto, però, non lo comprendo, dovrebbe essere arrabbiato oppure dovrebbe uccidermi per aver scoperto chi e cosa sono. Nessuno è diverso qui. O sei stregone. O sei un mutante. O sei un semplice umano.
Più mi osserva e più il suo sguardo si addolcisce, fino a quanto la bocca si apre in un ampio sorriso. Le sensazioni di prima sono ancora vigili, basta poco per riaccendere ciò che ho appena provato.
Non capisco.
«Tea... sei tu. Sei proprio tu!» si avvicina, chiude il viso nei suoi grandi palmi, poi avvolge le sue braccia attorno al mio esile corpo stringendomi in un caldo abbraccio pieno d’affetto «Pensavo fossi morta.»
***********
Tea è viva.
La mia amata, è proprio davanti a me. Non ho dubbi che sia lei, la sentirei in ogni luogo e tempo.
Dall’ultima volta che l’ho vista, però, è cresciuta e bene direi.
Ho setacciato l’intera Foresta Incanto per trovarla, ho inviato truppe di praticanti in villaggi oltre i confini, ma mai nessuno ha saputo darmi informazioni su di lei. E ora, così dal nulla, sbuca tra gli alberi e si inchina al mio cospetto. L’impulso di avvertirmi sulle sue labbra è forte, ciononostante mi limito ad abbracciarla spiazzando prima lei e poi me. Un gesto irrispettoso e fuori luogo visto come stanno le cose.
Ma tenerla stretta con il suo petto appiccicato al mio è un privilegio che non pensavo di poter ancora avere. Nei miei centonovanta anni non sono mai stato così sopraffatto dalle mie stesse emozioni come in questo momento.
«Sei davvero tu?» chiedo facendole fare un passo indietro.
«Sono Tea, sì... ma credo che lei, sommo Bahrut, abbia sbagliato persona. Abito al limitare del bosco e non ci siamo mai incontrati prima. Sicuramente si starà confondendo.»
Ha dimenticato?
«Oh mia cara Tea, sono sicuro di chi tu sia. Tu sei quella che cerco. Non so tu dove abbia vissuto fino a questo momento, ma è dieci anni che cerco tue traccie.»
Non è più quella bambina dai capelli sempre legati e i vestiti strappati durante le sue scorribande nei boschi, la donna che mi ritrovo davanti sembra smarrita, ha lo sguardo di chi ha perso la sua identità. Senza contare l’incredulità negli occhi, è la parte più dolorosa, il suo non riconoscermi colpisce la mia essenza e la fa vacillare.
Si è dimenticata del nostro amore? Della passione dei nostri corpi congiunti?
Il suo essere così stupita è la conferma che qualcuno le abbia fatto un incantesimo di sbiadimento per farle dimenticare chi è e da dove viene, non ci sono altre spiegazioni. Quando l’ho stretta ho percepito un’aurea sconosciuta, un potere d’altri tempi.
«Tu sei Tea di Valdast, erede della dinastia Castar e futura moglie del sottoscritto. Sei la mia promessa sposa fin dal tuo primo vagito.» Forse rivelare una verità così drastica l’aiuterà a ricordare.
«Io non... non può essere, mia madre è una semplice contadina...» sibila con occhi sgranati e guance arrossate, visibilmente in turbata.
tenta di indietreggiare, di allontanarsi, ma tengo ben salda la presa sulle sue spalle. Non mi sfuggirà di nuovo.
«Non dovrei parlare con gli sconosciuti, tra poco farà buio e io... devo tornare a casa.»
«Sei immune ai sortilegi. Nessuna magia può mutare la tua essenza» butto lì la sua vera natura.
«Come fa a saperlo?»
«Sei la discendente diretta di uno dei più potenti Asteri esistenti al mondo, umani prescelti ai quali la magia non fa nessun effetto, immortali, proprio come noi stregoni» porto il viso alla sua altezza, il fiato si mescola al suo, sa di rose come allora, è così minuta e fragile eppure, se solo lo volesse, potrebbe abbattermi con un solo schiocco di dita. So che buttarle addosso la realtà in questo modo è destabilizzante, e forse non troppo funzionale. Ma non c’è tempo, se i farabutti che l’hanno rapita non la vedono arrivare, di certo la verranno a cercare. Perciò deve sapere, e cosa più importante io tornerò a casa con lei al mio fianco. Persone come lei, con i loro poteri sono rari e preziosi, averli vicino possono essere un arma di difesa senza eguali.
«Ha sbagliato sommo Bahrut» sgancia il suo sguardo ambrato dal mio rivolgendolo al terreno sotto ai suoi piedi «avrei dovuto camminare sul sentiero senza fare deviazioni, l’avevo promesso, ma la mia curiosità, accidenti, mi ha portato qui al suo cospetto e ora sarò condannata» sussurra e con dita tremanti porta una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio.
Osservo questa ragazza, la pelle candita, le labbra rosso naturale che farebbero capitolare qualsiasi uomo nei paraggi. Così incantevole, e ho la fortuna di averla, se solo ricordasse.
Fin dalla prima volta in cui l’ho vista l’ho amata. Aveva pochi giorni, eppure, i suoi occhi mi hanno portato in mondi lontani, mi hanno dato la carica necessaria per diventare il migliore ed essere all’altezza di questa giovane così pura. Dieci anni fa è iniziato il calvario, proprio il giorno in cui avrebbe dovuto fare il suo ingresso ufficiale come erede a capo del villaggio, essere presentata come mia futura moglie. Durante la notte, poco prima dell’alba, è scomparsa senza lasciare traccia.
Aveva solo sedici anni.
Continua a fissarmi con ammirazione mista a spavento, la capisco. Non deve essere facile essere catapultata in una storia a cui non senti di appartenere.
«Tu non verrai condannata, anzi, sarai protetta e verrai finalmente riportata a casa. La tua famiglia, il tuo regno, sono tutti addolorati dalla tua improvvisa scomparsa, aspettano solo il tuo ritorno. I tuoi genitori non si sono mai dati pace.»
Degli strani rumori alla nostra destra attirano la nostra attenzione, lei si stringe nel mantello, alza il cappuccio e l’istinto di protezione ha il sopravvento sui miei movimenti. Scatto in avanti, le afferro un braccio spostandola dietro di me. Ha il fiato corto e trema.
«Resta nascosta alle mie spalle, non ti succederà nulla, promesso» ordino e la rassicuro al tempo stesso.
Ruoto la mano, piego le dita in posizione d’attacco e inizio a invocare il potere della linfa. Lo scricchiolare dei rametti è sempre più vicino, Tea si aggrappa alla mia giacca mentre affondo i piedi nel terreno umido cercando di attingere al potere il più possibile. Mi volto un attimo per osservarla, il terrore che le scorre addosso è un allarme che mi intima di fare del mio meglio, la sua vita è più preziosa della mia.
«Non ti muovere, capito?» mormoro a denti stretti, lei ubbidisce facendo un gesto d’assenso con la testa. Riporto la mia concentrazione sull’obiettivo in avvicinamento.
Sono in allerta, pronto al combattimento. Pronuncio l’incantesimo in asteriano, allungo l’altro braccio in avanti, quando all’improvviso una volpe fa capolino nella radura.
Un respiro di sollievo libera il petto dal senso di agitazione che stava ostruendo la gola.
«Falso allarme» la tranquillizzo.
«Grazie sommo Bahrut» si allontana «però, le tue parole mi confondono, non so cosa pensare, fare o a chi credere. Tu parli dei miei genitori, ma ho una mamma che mi aspetta nella nostra casa nella parte più buia della foresta. Affermi che sarò tua moglie, ma io non ti conosco abbastanza. Forse non sono quella che tu credi che io sia. Mia madre ha detto che...»
Bastano queste poche parole a farmi reagire, non le lascio finire la frase.
Poso le mie labbra sulle sue.
Rivederla ha riaperto tutto quello che ho sempre provato per questa ragazza. L’ho vista crescere, l’ho protetta e le sono stato accanto in ogni singolo giorno della sua esistenza fino alla sua scomparsa.
Come può dire di non conoscermi? Non prova ciò che siamo destinati a essere?
Ritrovarmela davanti è stato così improvviso che il mio istinto ha fatto l’ultima cosa che, forse, avrei dovuto fare. C’erano altri modi per farle tornare la memoria. Ho scelto quello più facile, quello che mi avrebbe ridato la forza necessaria a mostrarle ciò di cui parlo.
Ho suggellato con un bacio i ricordi da riportare di nuovo in vita.
La sua bocca è calda. Ostile. Premo con più forza mentre il suo profumo m investe, sono un guerriero disarmato pronto a rivendicare ciò che mi appartiene, con dolcezza e amore. Libero i capelli dal tessuto scuro, li librano al vento sfiorando la mia pelle. Ho un sussulto. Quanto mi è mancata.
Chiudo il visto tra i palmi, attendo una reazione. Mentre cerco di farmi strada, la sento irrigidirsi. Deve abituarsi al mio fuoco che brucia per lei. Non voglio forzarla o farle pensare che sia uno stregone corrotto. Perciò aspetto, lascio che siano le mie emozioni a parlare per me.
Premo la bocca sulla sua delicatamente. Immobile, ascolto il suo respiro e i suoi movimenti. Ancora una leggera pressione e finalmente schiude le labbra. La lingua invade la bocca, trova la sua pronta a ruotare con la mia. Lambisco, risucchio. Inspiro il suo respiro. Assaggio il suo sapore, diverso da allora ma sempre lo stesso. Con la mano destra scendo fino a raggiungere il suo seno. Lo sfioro e lei sussulta. Memore di ciò che aveva provato poco prima sotto effetto del mio incantesimo. Il suo gemito è riecheggiato in tutto il bosco, arrivando a me come un colpo ben assestato nelle parti basse. Vorrei essere io a farti gemere con il mio tocco, ricordando a entrambi com’era stato fare l’amore la prima volta, la sera prima di lasciarmi per dieci lunghi anni. Di come la sua lingua tracciava scie sui miei muscoli, mentre le sua dita tracciavano i contorni dei tatuaggi. Di come assaggiavo la sua intimità, morbida e candida. Il suo dono in segno del nostro amore è stato donarmi la sua verginità dapprima alla mia bocca, rivendita poi dal mio membro. Spero che nessuno l’abbia avuta in questi anni, l’importante è riaverla nella mia vita.
Amo Tea da sempre. Non ho smesso di farlo in tutti questi anni e mai smetterò.
«Oddio, mi sei mancata così tanto» rivelo prendendo fiato. Il suo petto si alza e si abbassa. Un luccichio di lussuria brilla nei suoi occhi.
Incollo di nuovo le labbra alle sue. Con le braccia le cingo la vita e l’attiro contro il mio petto ampio.
Di nuovo vicini.
Di nuovo cuore contro cuore.
Di nuovo mia.
Sentirla accanto fa vibrare tutto il corpo, che si risveglia dopo un lungo letargo. Una scarica si diffonde da me a lei.
Con il passare dei secondi l’essenza di Tea si rilassa, i muscoli si distendono, fino a lasciarsi trasportare dal nostro incontro.
La lingua accarezza la sua, si muove lenta e con delicatezza. Con cura prende confidenza con questa bocca sconosciuta e la fa sua. Porto la mano sinistra dietro il suo collo, faccio vagare i polpastrelli fino a trovare il punto giusto, lei asseconda la mia richiesta e inclina la testa all’indietro. Io marchio la sua pelle.
Un bacio per farle ricordare.
Un contatto per riportarla al suo posto in questo mondo.
Un lambire che sa di speranza, di futuro e di casa.
Il bacio è sempre più intenso, ormai entrambi in balia di questa burrasca.
Una luce viola traspare da dietro le sue palpebre, segno che sta rammentando chi è.
Le sue mani si aggrappano al mio cappotto, fa leva per alzarsi in punta di piedi. Mi viene incontro e si prende ciò che vuole. E io la lascio fare.
Il bagliore, ora, è intenso. Ci siamo quasi.
Tea si stacca di colpo.
«Ora ricordo. Ricordo tutto!» esclama euforica.
«Sei tornata mio piccolo fiore» le sorrido e le poso un ultimo bacio sulla fronte.
«Sì, Bahrut, mio stregone, e so chi mi ha fatto questo, ma prima ho bisogno di sentirti.»
Con una spinta cado a terra di schiena con il suo peso addosso.
Ecco la mia selvaggia passionale.
Sale a cavalcioni su di me e inizia a togliermi i vestiti.
«Come ho fatto tutti questi anni senza di te?»
«Annegavamo, mia Tea.»
«Voglio che mi faccia dimenticare il male che mi è stato fatto, voglio che in questa radura tu prenda tutta la forza della linfa possibili e che mi scagli contro l’energia necessaria per avvolgere il mio corpo. Prenditi ciò che è di tuo diritto. Ti appartengo, come tu appartieni a me. Ora fammi sentire la disperazioni di questi dieci lunghi anni» implora suadente.
Raddrizzo la schiena, le foglie si innalzano riunendosi attorno a noi e formando una sfera, nessuno potrà avvicinarsi e vederci.
Tolgo gli strati che ci separano, infilo la mano nei pantaloni e inizio ad accarezzare il clitoride. Frego, pizzico e affondo le dita nella sua intimità umida pronta ad accogliermi. Invoco l’aria, un mulinello freddo contrasta il caldo. Un soffio d’alito al muschio la fa rabbrividire. Poi risale sotto la camicia di lino grezzo, si sofferma sui capezzoli già turgidi. La corsa finisce sulla sua bocca.
«Come la prima volta» esala prima di ingoiare il vortice gelido. Deglutisce e io la imito, solo che il mio è a vuoto. È ancora più bella.
«Entra dentro di me, fino in fondo» avvolge le mie due virilità e le massaggia.
«Preparati a urlare mio dolce fiore.» Affoga il desiderio nella mia asta scortandola all’ingresso della sua intimità, lascia scivolare la durezza fino a quando i nostri corpi lo permettono. Gode riempita di me. Si concede qualche istante, si abitua, e poi inizia a muoversi sopra. Invoca la terra, che trema sotto di noi. Invoca il sole che arde sui nostri corpi ormai nudi. Invoca la vita stessa che fa scorrere nelle nostre vene. Riversa i suoi poteri su di noi. Le spinte sono sempre più frenetiche. Siamo spogliati da una forza vitale senza eguali, che solo lei è può celebrare. Una trasporto che annienta ogni barriera, un’amore capace di risvegliare i desideri più reconditi.
L’orgasmo dirompente investe l’intero bosco. I gemiti risuonano fino ai villaggi lontani.
Tutti gli esseri viventi sanno del nostro ricongiungimento.
Tea e Bahrut sono tornati.
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Prima di immergermi in un “continuo spazio tempo”, dedicato al mio ultimo libro #lastagionedelpane - e le varie presentazioni - vi voglio dare alcuni “consigli per gli acquisti”, come direbbe Maurizio Costanzo 😂😂😂, per gite fuori porta lo aggiungo io. Perché un piccolo giro a @latteria_di_scalve , regala non solo i loro formaggi buonissimi, ma un bel tour fra i monti Lombardi. Fermo restando che consegnano anche a domicilio, perché rinunciare ad una passeggiata in montagna? Adesso poi comincia la stagione del #foliage , sapete che foto pazzesche ci scappan fuori? Comunque, sia che andiate o che, incuriositi, optate per un ordine, dovete assaggiare la premiatissima formaggella di Scalve, il loro “capra”, la slinzega (sapete cos’è vero? No? Una sorta di bresaola, ma più buona), le creste scalvine (tortelloni), il burro e latte fresco….. poi tutto il resto. Chiedete di Lorenzo, lui è sempre sul pezzo. Buon mercoledì! #cheese #cheeselover #latteriadiscalve #lombardiadascoprire #chezbabs #barbaratorresan #photographer #foodphotographer #foodphotography #foodphotographyandstyling #foodstyling #stillifefood #seekthesemplicity #foodblogfeed #clementinedaily #verilymoments #instafood #instagood #f52grams #f52community #onthetable #thefeedfeed #foodie #asimplekitchen #foodandwine #bonappetitt #lifestyle #mystyle (presso Latteria Sociale Montana di Scalve) https://www.instagram.com/p/CUrqP2yADK5/?utm_medium=tumblr
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A parte che la domanda iniziale era un'altra.. Comunque il bimbo mangia tutto e tanto, ho solo problemi a fargli accettare il biberon e qualsiasi altro latte, si fa venire i conati di vomito
alla domanda iniziale ho risposto all’inizio.
Se il bambino mangia tutto non c’è nessun problema, il latte non è indispensabile, allattare a quell’età è solo per piacere per la madre e il bambino, non è un dovere
EDIT: prima che mi massacriate gridando “molte donne non possono allattare”, sto parlando di nutrizione del bambino, che prima dei sei mesi deve (DEVE) nutrirsi solo di latte materno. In caso di impossibilità fisica della madre ci si deve (CI SI DEVE) rivolgere ai latti di formula per quell’età, non al latte vaccino né a quello di soia (né a quello di capra, di asina o di chissà che altro)
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Sono passati cinque mesi dalle proteste degli allevatori sardi contro il crollo del prezzo del latte di capra e di pecora: se ne era parlato molto, lo scorso febbraio, perché in alcuni casi le proteste erano state particolarmente aggressive e vistose, con blocchi stradali, manifestazioni e minacce verso chi non protestava, e perché la questione del latte era diventata centrale anche per le elezioni regionali, poi vinte da Christian Solinas, di centrodestra e sostenuto dalla Lega. Durante la campagna elettorale, a seguito delle proteste, il ministro dell’Interno Matteo Salvini e il ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio, entrambi leghisti, avevano incontrato a Roma una delegazione di pastori insieme a rappresentanti di consorzi, imprenditori, cooperative e industriali. Salvini aveva promesso che avrebbe trovato «una soluzione entro 48 ore per restituire dignità e lavoro ai sardi», e che non si sarebbe alzato dal tavolo delle trattative finché il prezzo del latte non fosse passato da 60 centesimi a 1 euro al litro. Non è successo. Poiché le promesse non sono state mantenute, i pastori hanno fatto sapere di essere pronti a riprendere la protesta. Chiedono che il latte di capra e di pecora – venduto prevalentemente all’industria casearia – venga pagato di più ai produttori, e sostengono che i grandi produttori di formaggi si siano accordati per fare abbassare i prezzi del latte. A febbraio il prezzo era crollato a 60 centesimi al litro, non sufficiente secondo loro nemmeno a coprire le spese di produzione. ...Uno dei portavoce del Movimento, intervistato su Lettera 43, ha spiegato: «Mi chiedo com’è possibile che non si vogliano scoprire le responsabilità della crisi di un intero settore. Che senso ha insabbiare tutto?». Ha detto che in Consiglio regionale non si parla di loro ma solo di vitalizi, e rispondendo a una domanda diretta sugli impegni presi da Salvini ha dichiarato: «Siamo stanchi e delusi da tutti, presi in giro. Però basta con questo ritornello che abbiamo votato Salvini e che quindi “ben ci sta”, come leggiamo ogni giorno sui social, anche nel nostro gruppo Facebook». Sulla ripresa delle proteste: «Aspettiamo le assemblee, ma l’umore è davvero a terra».
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E va bene, abbiamo smesso di giocare. Ma io vi voglio dire una cosa, una verità.
Io penso che questa cosa -sopportabile – del parto che sta per affrontare Beatrice sia una barbarie… ora Beatrice non ti mettere a piangere per favore…L’abbiamo affrontata tutte e siamo tutte qua…
Ma perché non dire che una bella scopata senza conseguenze è più piacevole? Sì sì, certo… è triviale, è il punto di vista di un uomo, di un amante ma è superiore al nostro. È moderno, essenziale. E perché no? Piacevole .
Ma non è questo il punto. Perché si deve soffrire in questo modo, rinunciare a suonare il pianoforte, sopportare di essere tradite? Dov’è la ragione di tutto questo? Non c’è! Non c’è!
Noi siamo delle creature primitive, questa è la ragione. Abitiamo ancora nelle caverne. Noi non vogliamo ciò che è semplice, efficiente. No, noi amiamo le cose contorte, complicate, come il tormento che Gabriella dà a Sandro. Non possiamo diventare moderne, ha ragione Claudia. Se diventiamo moderne, smettiamo di essere donne.
Ma come si può essere moderne quando l’utero si deve aprire di dieci, dodici centimetri per far passare la testa del bambino -scusa, non piangere Beatrice, è la pura verità… Quando ti verrà da pisciare e cacare senza vergogna in faccia al dottore!
Noi siamo la barbarie del mondo: facciamo l’esperienza più antica che c’è, l’unica rimasta, contenere un altro. Il latte esce dal capezzolo che è simile a quello di una capra! La mia portiera, quando ho partorito, ha chiesto a mio marito: “Ha sgravato la signora?”. Noi godiamo a vedere il nostro corpo gonfio come un pallone, a essere abitate da un alieno, a rinunciare al talento, alla libertà. Noi vogliamo essere legate a qualcuno anche se ci strozza. Vogliamo essere di qualcun altro. E non c’è fine, non c’è rimedio…
A chi toccava dare le carte?
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Paola Cortellesi - Due partite
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Testo Masha Mottes, foto Lucia Semprebon
Incontriamo per la prima volta Agitu Ideo Gudeta in una domenica piovosa di febbraio.
Il periodo coincide con quello dei parti delle “sue capre” che per lei non rappresentano solamente una fonte di sostentamento, ma il fulcro della sua vita e della sua storia, da sempre.
L’incontro quindi è necessariamente breve, ma intenso quanto basta per capire quanto amore, entusiasmo e passione animano questa donna, che ci accoglie con il calore e un sorriso che illumina lei e tutto ciò che la circonda.
Già dalle prime parole che ci scambiamo percepiamo positività, determinazione e tanto, tanto coraggio.
Di lì a poco Agitu ci deve lasciare perché è arrivato il momento del parto e letteralmente lei corre dalle sue capre.
Entusiasta come una madre (e un padre) la sera ci manda una foto di due gemelline.
*** *** ***
L’Azienda di Agitu, “La capra felice” (e direi che nome non fu più indovinato vista la vita che conducono questi animali), realizza prodotti biologici, vende a chilometro zero e non effettua dunque spedizioni per quanto riguarda gli alimenti. Agi ci spiega che questo non sempre viene capito dalle persone a causa anche della mala abitudine, che ormai ci ha inculcato il sistema, di trovare qualsiasi prodotto ad ogni distanza ed a ogni stagione; ma per lei questi valori fanno parte della sua filosofia di vita e di conseguenza di quella della sua azienda.
Ha dato un nome a tutte le sue 130 caprette, le quali rispettano un ciclo di produzione naturale, ovvero ad ottobre smettono di lattare e vanno in asciutta. Quando poi non sono più in grado di farlo a causa dell’età, vengono regalate come animali da compagnia anziché venire mandate al macello.
“Il consumatore è abituato a reperire le merci tutto l’anno sui banconi degli ipermercati e questo non rispetta i ritmi della natura. Per avere sempre i prodotti occorre intervenire sugli animali con gli ormoni e in questo modo una capra a 3 anni può essere già arrivata alla fine della sua vita produttiva.”
Le capre sono animali poliesteri: al cambio della luce scattano gli ormoni e, quindi, Agi introduce il maschio per la riproduzione. Naturalmente questo vuole dire sospendere la produzione di latte, yogurt e formaggi che riprende in primavera.
Per chi vuole vendere tutto l’anno è possibile “imbrogliare” il corso della natura, mettendo gli animali al buio e intervenire sul ciclo usando una spugna con degli ormoni.
“Le capre sono animali intelligenti, si riesce ad interagire con loro, le distinguo per nome e conosco il loro carattere. Quando andiamo al pascolo cerco di lasciarle libere, si muovono perpendicolari evitando la salita e sembra incredibile ma quando sono le 17.00 una di loro si gira, trova la strada e andiamo a casa. Le tiene a bada il mio cane: …. non uso le campanelle, sono troppo sensibili al suono, pensate voi di dovervi muovere con un campanello nelle orecchie tutto il giorno …“
Agitu inizia il suo progetto in Trentino in Val di Gresta, lavorando in un bar mezza giornata e passando l’altra mezza a gestire, da sola, 15 capre: giornate piene che prevedono la mungitura alle 4 del mattino e alla sera.
Ci dice:
“Il Trentino mi piace, sono una montanara. Adis Abeba e’ a 2338 mt dal mare, qui ho trovato la mia seconda casa, quando vedo queste montagne mi si apre il cuore”
(e a sentirla parlare così il cuore si apre anche a noi).
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Ad inizio giugno torniamo da lei e nel frattempo nella sua vita e nella sua azienda sono successe molte cose.
E’ stata raggiunta dalla stampa (interviste su La Stampa e Internazionale) e tv. Pif la riprende mentre svolge la sua attività e finisce su Raitre nella trasmissione “Caro Marziano”.
Agitu nel suo sito ha tutta la rassegna stampa di questi anni, dedicati a far crescere il suo sogno. Ci spiega che la puntata della trasmissione “Mela Verde” del 2015 che si è occupata della sua azienda viene riproposta tutte le estati e ogni volta registra il massimo degli ascolti.
Prosegue a raccontare che è stata ospite di Emma Bonino. A Roma è intervenuta nell’ambito dell’incontro dal titolo “Donne anche noi. Storie di fuga e riscatto” per celebrare l’8 marzo dando spazio alle storie di chi ha lottato per affermarsi nel nostro Paese e chi ancora lotta.
Cominciamo da qui: Agitu ci racconta di questa esperienza, del treno preso in giornata per Roma. Al suo arrivo la attendono una marea di giornalisti, il ministro degli Esteri, insomma, non proprio ciò che aveva immaginato.
Tant’è che ci confessa: “per un attimo ho pensato: oh oh qualcosa mi sfugge adesso scappo” e ci travolge con la sua risata. Prosegue:
“Preso coraggio mi sono resa conto dell’opportunità: la conferenza era in diretta ed io ho approfittato per portare fuori la mia Africa, il tema del land grabbing (letteralmente: «accaparramento della terra» – accaparramento delle terre da parte delle multinazionali a scapito dei contadini locali) che mi ha portato lontano dalla mia casa, l’Etiopia, a causa della mia presa di posizione contro questa situazione. In Africa ho lavorato a diversi progetti con i pastori nomadi nell’ottica di creare un’agricoltura sostenibile di auto sostentamento.”
“Sono stata un’attivista nel mio Paese, cominciando le prime manifestazioni nel 2005; in 5 anni di lotta, all’interno di un gruppo formato da 27 persone, abbiamo creato una bella rete. Ma negli anni portare avanti una politica che contrasta il Governo si è fatto sempre più duro. Nel 2010 mi sono dovuta allontanare dal mio Paese; delle persone che formavano il nostro gruppo siamo sopravvissuti in 3: io e due giornalisti australiani.”
Ci racconta come l’uso scriteriato di pesticidi e insetticidi da parte delle multinazionali abbia moltiplicato i casi tumorali, di malformazioni e aborti in un Paese come l’Etiopia, dove non esiste nessun genere di assistenza sanitaria.
Il governo dell’Etiopia nasconde situazioni assurde da anni: i profughi tenuti prigionieri in Somalia e Sud Sudan, le proteste a fuoco contro manifestazioni disarmate di civili universitari e agricoltori, le torture, l’oscurazione della rete internet.
Agitu ha lo status di rifugiata nel nostro Paese dovuto alla persecuzione del Governo nei suoi confronti.
“La mia, come quella di molte altre persone nella mia posizione, non è una storia di fuga desiderata e nel mio intervento durante la premiazione, approfittando della diretta, ho sollevato il punto per cui la collaborazione del governo italiano (ma non solo) con quello Etiope siano causa alla base della migrazione.
Ho parlato a ruota libera cercando di rendere il quadro il più ampio possibile, perché è guardando in questo modo le cose che possiamo interpretare la realtà di questi flussi migratori, non certo attenendoci al populismo che spesso ritroviamo nei canali che dovrebbero occuparsi di informazione“.
Il cosiddetto land grabbing è in sostanza un modo economico e remunerativo di accedere a nuove risorse naturali e di produrre cibo per alcuni Stati poveri di terre coltivabili, quali l’Arabia Saudita, o quelli densamente popolati come il Giappone o la Cina, che da tempo hanno cominciato a comprare ed affittare terreni all’estero per soddisfare il fabbisogno nazionale di cibo.
Tutto questo ha conseguenze pesantissime, soprattutto in Paesi come l’Africa, dove i governi consentono che gli abitanti delle terre cedute o spesso espropriate vengano costretti ad andarsene, se necessario con la forza. Lasciano abitazioni, campi e pascoli oppure vengono reinsediati in zone periferiche, prive di servizi e con infrastrutture inadatte alla vita civile. Possono considerarsi fortunati quindi gli africani che vengono assunti come braccianti e operai dalle imprese straniere, quando queste non favoriscono manodopera proveniente dal loro paese piuttosto che quella locale.
Si crea un circolo vizioso per cui non solo i Governi Africani non investono nel proprio Paese creando infrastrutture e indotto, ma collaborano alla distruzione dell’ autosostentamento di gran parte ei lori cittadini e della società stessa.
L’organizzazione non governativa internazionale Human Rights Watch e il Movimento di solidarietà per una nuova Etiopia sostengono, ad esempio, che tra il 2008 e il 2011 il governo di Addis Abeba ha affittato per periodi di 20, 30 o 99 anni già 3,5 milioni di ettari di foreste.
Un tema molto complesso, che non riguarda soltanto il fatto di destinare vaste estensioni di terra coltivabile a raccolti per l’esportazione, invece che a generi alimentari necessari e al mercato interno, ma implica anche che non ci siano ricavi convenienti utilizzati sul territorio.
Inoltre questa politica in Africa, un Paese colpito da scarsità stagionale e in certi casi permanente di generi alimentari di base, contribuisce a far lievitare i prezzi dei prodotti, avendo ripercussioni pesantissime sulle carestie che colpiscono gli abitanti.
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Questo è il contesto che ha portato Agitu nuovamente qui in Italia. “Nuovamente” perché lei aveva già frequentato l’Università qui: prima a Roma, a 18 anni con una borsa di Studio, e poi in Trentino, dove ha deciso di tornare quando ha dovuto lasciare il suo Paese.
Il lavoro che Agi sta svolgendo qui in Trentino ha a che vedere con competenze sue e dei suoi avi (famiglia di pastori nomadi). Il suo lavoro di recupero e utilizzo di terreni abbandonati è in sostanza l’esatto contrario rispetto a ciò che combatteva in Africa, ovvero la privazione del diritto di lavorare la terra da parte dello Stato nei confronti dei cittadini.
Come percepisci la diffidenza nei confronti del diverso e come e’ stato il tuo impatto di donna nel mondo agricolo locale?
“Devi tirare fuori unghie denti per guadagnare il rispetto. Una volta che hai dimostrato di essere una persona veramente tosta, insieme al rispetto arriva anche il riconoscimento del tuo lavoro.”
Come hai costruito le tue competenze rispetto alla produzione dei formaggi?
“Le ho potute ampliare e rafforzare anche attraverso la rete dei Woofer (solitamente produttori certificati biologici). Avevo interesse verso la produzione di formaggi francesi e sono stata in Francia. Attraverso questo canale la collaborazione si attua in forma di scambio di lavoro, ma anche di insegnamento e di competenze. oltre a divulgare e condividere la quotidianità del lavoro in fattoria.”
Anche Agitu appartiene a questa rete e nel suo sito si trovano le informazioni in proposito.
L’apertura della sua azienda si concretizza anche attraverso alcuni progetti di stage con l’Istituto Agrario di San Michele che le permettono di accogliere in azienda gli studenti. Parliamo della dispersione scolastica e a questo proposito ci dice che ragazzi in apparenza poco dotati secondo gli standard della didattica, dopo due settimane non solo conoscono i nomi delle capre, ma anche le parentele.
Ci sono giornate aperte al pubblico in cui e’ possibile andare al pascolo con le sue capre e con Buba Car, un ragazzo del Gambia rifugiato in Trentino, che una volta terminato il suo percorso è stato scelto e introdotto in azienda da Agitu e da qualche mese lavora con lei.
Vengono anche organizzate giornate in cui i bambini arrivano in visita per fare il formaggio.
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Agi è un vulcano di idee e mette a disposizione le sue competenze e la sua esperienza in altri progetti dedicati ai rifugiati: è stata invitata a Riace, dove ha potuto avere uno scambio con il Sindaco su quella che potrebbe essere un’idea aziendale da sviluppare lì.
Potete trovare i prodotti di Agitu ai mercati agricoli di Trento, Rovereto, Pergine, Bolzano, alla Biocesta del Gusto e nei Gruppi di acquisto solidale.
Chiudiamo l’intervista ad ottobre e ci sono ancora novità: Agitu ha appena realizzato una linea di creme a base di latte di capra non pastorizzato un procedimento in cui sta facendo da pioniera e che sviluppa una sorta di acido ialuronico naturale.
Sarà presente ai mercatini di Natale di Levico Terme con questa linea e lo street food, una novità introdotta recentemente, un’occasione per assaggiare la sua tosella e lo yogurt di capra.
Ci congediamo con un ultimo incontro, in un pomeriggio di ottobre passato al pascolo con le capre felici: un’esperienza di affetto e tenerezza con questi animali, e incredibilmente rilassante. Grazie Agitu!
Alcuni diritti riservati
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LIVINGWOMEN INCONTRA AGITU… E LE SUE CAPRE FELICI Testo Masha Mottes, foto Lucia Semprebon Incontriamo per la prima volta Agitu Ideo Gudeta in una domenica piovosa di febbraio.
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Azienda Agricola Mario Rivetti Cascina Serre Langhe Favorita DOC.
Un incontro fra territori a casa mia post tour nelle langhe, Favorita e la Robiola di Roccaverano DOP, formaggio grasso, fresco o a breve stagionatura, a pasta molle, prodotto nelle province di Asti e Alessandria, con solo latte di capra, o misto con vacca.
Vi dò alcune informazioni di produzione: si presenta nella tipologia fresco, con maturazione di 4-10 giorni; affinato, se oltre 11 giorni; denota aromi sensazionali e la pasta è morbida, umida, untuosa e adesiva.
Vi ricordo essere un Presidio Slow Food.
Adoro questa tipologia di formaggio, spesso presente nei miei taglieri, o nel carrello dei formaggi a fine pasto.
A volte compone dei piatti, ma sinceramente preferisco degustarlo in purezza.
Vengo accolta da questa frase: “Il vino si fa in vigna” lo dicono con fermezza le due figlie di Mario Rivetti ( fondatore dell'azienda, mancato prematuramente ) Anna Maria e Loredana, facendomi vedere immediatamente il panorama dalle loro vigne.
Dietro la cantina ci sono nuovi lavori di ampliamento del vigneto, subito mi hanno messo nella condizione di osservare e raccogliere pezzi di terriccio, precisamente di argilla blu.
In questo suolo chiaro emergono macchie di sfumature di questo colore che danno personalità e caratterizzazione al territorio, destano curiosità ed attenzione poichè mi viene raccontato che la configurazione geologica del Piemonte comprende una quasi completa sezione della Crosta Terrestre.
La struttura inefetti delle Langhe di Barolo e Barbaresco si è creata durante il periodo del Miocene, 15 milioni di anni fa, si espande dalle rocce del profondo mantello litosferico al basalto oceanico, dalle rocce plutoniche e vulcaniche continentali alle rocce sedimentarie composte da carbonato di calcio e silicio.
In questo preciso territorio si depositarono un substrato di argilla, marne calcaree, appunto marne argillose blu e gesso solforato.
Siete curiositi di sapere se il vino rappresenta queste componenti morfologiche?
Ebbene si, abbiamo trovato vini freschi, con buona spalla acida, sapidi, vini da lungo affinamento per i requisiti appena descritti, buona massa, estratto secco elegante e corposo, quasi vini salati, ma ben bilanciati.
Cantina che si è avvicinata ad una agricoltura ecosostenibile, con la riduzione dell’utilizzo di prodotti chimici a favore di soluzioni agronomiche e naturali.
Vigneti presenti nei terreni dove terminano i cru di barolo e iniziano quelli di barbaresco: una collina appena fuori Alba, il Bricco Capre, che condivide con i grandi nomi del vino l’aria, la terra, la cultura, l'esposizione e il terroir unico delle Langhe.
La missione della famiglia è la sostenibilità ambientale ed il rispetto della vigna.
In cantina a condurre la degustazione anche il marito di Anna Maria, Giuseppe, che ringrazio personalmente per gli assaggi fatti delle masse direttamente da legno e acciaio.
Per me è sempre un'esperienza unica essere condotta ed impartita su questi assaggi, cercando di carpire le potenzialità qualitative, crescita ed evoluzione.
Il vino è movimento, è personalità, è espansione di materia fluttuante che regna sovrana ad ogni sorso.
La favorita in degustazione oggi è verticale, molto signorile ed elegante, mughetto,geranio e muschio bianco, pera, mela e profumi vegetali, verdi e freschi.
In bocca è decisa, fresca, con aromi che corrispondono ai descrittori olfattivi.
L'abbinamente è risultato buono e goloso.
Vale la pena di visitare la cantina, sarete accolti da una famiglia giovane e determinata a rappresentare una terra, una filosofia e delle vite.
Grazie dell'accoglienza e di tutte le bottiglie che mi avete aperto senza alcuna riserva.
Per riferimento il sito è: http://www.mariorivetti.it
Di Carol Agostini
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La maggior parte di noi utilizza lametta o ceretta per depilare le ascelle, soprattutto in estate, il momento in cui ci esponiamo di più. Il deodorante Maien è uno dei più delicati, non irrita le zone trattate e allontana i cattivi odori a lungo grazie alla propoli, potente antibatterico e antisettico naturale 👍🌱 . . . #biobeautyblogger #natura #naturale #cosmeticigreen #cosmeticinaturali #latte #lattedicapra #capra #capre #beauty #milk #goatmilk #beautybloggers #blogger #theskincrew #propoli #italia #italy #passione #naturelover #lavoro #dedizione #skincare #campagna #maienfeld #heidi #deodorante #cremacorpo #deo #bio (presso The skin crew) https://www.instagram.com/p/CDdmS6vIi80/?igshid=c4crsdvfk8w5
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