#capre felici
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Quando un libro parla proprio di te
ITA: In questo articolo l'autrice recensisce il libro Lontano dalla vetta. Di donne felici e capre ribelli di Caterina Soffici, che racconta del suo anno passato in una baita a 1700 metri di altitudine durante il covid. Il testo si colloca a metà tra un diario ed un saggio, con citazioni e poesie di donne e uomini che con la montagna hanno intrattenuto un rapporto speciale. Racconta il percorso di scoperta della vita in montagna e le relazioni con alcune importanti figure femminili, come la pastora detta la Regina delle caprette; analizza la quotidianità di chi ha fatto della montagna la propria casa in chiave profondamente femminile; descrive le capre come animali intelligenti e ribelli. Il romanzo attraversa le stagioni ed è un percorso di consapevolezza e recupero della connessione con sé stesse/i.
ENG: In this article the author reviews the book Far from the Summit. Of Happy Women and Rebellious Goats by Caterina Soffici, who recounts her year spent in a cabin at 1700 meters above sea level during covid. The text is somewhere between a diary and an essay, with quotes and poems from women and men who had a special relationship with the mountains. It recounts the journey of discovery of life in the mountains and relationships with some important female figures, such as the shepherdess known as the Queen of the goats; it analyzes the everyday life of those who have made the mountains their home, in a deeply feminine way; it describes goats as intelligent and rebellious animals. The novel traverses the seasons and is a journey of awareness and recovery of connection with one self.
🖊️: Sara Marsico
#toponomasticafemminile
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Tonnellate e tonnellate di dipinti, statue, scritti... e chiaramente è colpa del mainstream se la storiografia ci dice che nell'antichità si inculavano felici come matti.
Giulio Cesare, Nerone e Caligola come Elon Musk, Trump, Adolf Hitler erano vittime del complotto mainstream delle demoplutocrazie bla bla bla...
Idem per il covid, per il cambiamento climatico... tutto un complotto dei media della lobby gay comunista.
Chiaro che se lo dai sei top... come per uomo e donna... perchè la biologia e cose e l'ho letto su maschiselvatici.it.
Come far capire che eventualmente anche come etero, non si ha molta pratica con il sesso orale se non eventualmente come atto performativo simbolico.... come quello dello stupro di Palermo che insomma davanti alla figa... mica poteva rifiutarsi.
Il riferimento alla storia e ai "precedenti" come giustificazione è per altro tanto ridicolo come quello alla "natura". Starebbero ancora sugli alberi se fosse per la "natura".
Il problema è che anche sui riferimenti sbajano... perchè o sono delle capre o i loro pregiudizi e l'incapacità a riconoscere errori piegano la realtà a qualsiasi cazzata.
Finalmente uno che lo dica!
Sono solo chiacchiere diffamanti, non provate, messe in giro dall'aristocrazia minacciata, la medesima delle Idi di marzo. Sputtanamento successivamente applicato a Nerone e Caligola, i più "populisti anti casta" tra gli imperatori, cui venne inflitta una vera e propria damnatio memoriae mediante storici prezzolati e/o in conflitto di interessi alla Tacito etc. Mai nulla di nuovo sotto il sole.
Tornando a Cesare, l'unica cosa che dette chiacchiere provano é, altro che cultura bisex o omo tollerata nell'antichità! Il discrimine non era tra uomo e donna ma tra chi lo prendeva e chi lo metteva: che uno lo pigliasse era sputtanamento, metterlo invece, anche ai bambini, era simbolo e rivendicazione di potere. Come in carcere.
#vannacci#gente che non ha ancora capito perchè scopa#forse nemmeno gli piace#giulio cesare#omosessualità
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Uccidere ( pt1)
La definizione di vita secondo il dizionario Treccani è data dalla capacità di essere costituiti chimicamente e fisicamente, di mantenersi e di riprodursi.
Se un alieno dovesse atterrare sul pianeta terra domani, vedrebbe che la specie dominante è quella umana e una minoranza di essa basa la propria vita su regole, schemi e risorse che si è accaparrata e che ha deciso per sè stessa. Siamo l’animale che ha fatto Jackpot, quello che riesce a vivere come cazzo gli pare.
Eppure non siamo felici. Sogniamo di scopare notte e giorno, di ubriacarci, di non lavorare e passiamo le notti su Instagram a guardare paradisi naturali, corpi che avremmo solo se i nostri non fossero guasti da quelle sostanze che assumiamo per svegliarci alla mattina e addormentarci ogni sera.
Immaginiamo per un attimo di entrare dentro le foto su Insta, o su You Porn, o dove vi pare. Di starci dentro, per sempre. Come sarebbe quella vita? Cosa farei tutti i giorni per fare quello che mi piace?
Ho eseguito questo esercizio nel minimi dettagli, e forse in un futuro ne parlerò. Per riassumerlo in una parola, in qualunque scenario possibile dove mi sarei potuto trovare avrei voluto che la parte di me che ha paura, che dubita, etc. morisse.
Ma come? In questa occasione ricordo che mi trovavo a dover scendere in fretta e ho sentito belare da dietro l'angolo. Il sentiero compiva una lunga e stretta curva a picco su una ripida discesa. Dall'altro lato della curva si sentiva belare.
Senza aspettare, mi buttai giù dal sentiero rotolando e incespicando nella legna morta e fradicia di un tardo ottobre, pronta per essere coperta dalla neve invernale.
Arrivato in fondo alla discesa, dove questa si distendeva, in alto sulla strada vidi passare per primi i cani da pastore, poi il gregge. Questi saltavano dalla discesa al sentiero come capre. Quei tre cani in poche falcate avrebbero potuto raggiungermi e sbranarmi, ma non lo facevano il loro compito era quello di proteggere il gregge.
Quelle sono bestie selezionate da migliaia di anni di evoluzione. Sono fatte per cacciare, per uccidere e sono state adattate alla difesa del gregge. Sono il perfetto prodotto di un ambiente naturale che li ha generati.
Nel suo essere il cane da pastore è felice 365 giorni all’anno. Mangia, beve, tiene le pecore in riga, fine. Fa il lavoro di un essere umano, eppure, un essere umano che facesse solo e solamente quello che fa il cane sarebbe considerato infelice o dovrebbe essere molto stupido per non considerare se stesso infelice.
Il segreto a mio avviso è nella capacità di puntare tutti se stessi ad uno scopo. Come fa il cane da pastore. Non dubita, non pensa alla cena, non teme la legna appuntita nel greppo, né le buche. Agisce per uno scopo. Per quello è nato. La sua intera esistenza è stata finalizzata a quello e fa quello per cui è nato in maniera così eccellente da far si che le persone si gettino da un sentiero pur di non incontrarlo.
Solo molte le persone che vorrebbero dagli altri il medesimo interesse che ottiene questo tipo di cane. Molti di noi faticano a credere di esistere. Faticano a far emergere la loro esistenza di fronte a tutti quanti gli altri.
Difende, uccide, protegge, mangia. E ancora.
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Aprile 1860 - La rivolta del convento Gancia; 27 Maggio 1860 l'attacco dei garibaldini al ponte dell'Ammiraglio; Guttuso la lotta al ponte dell'Ammiraglio a cui partecipò suo nonno; Il Castello a Mare di Palermo; Il bombardamento dalle navi borboniche di Palermo; Piazza Quattro Canti il 28 Maggio 1860; Le barricate a via Toledo; Giovanni Fattori : Garibaldi a Palermo; Le rovine del Castello a Mare
Il 26 Maggio 1860 Garibaldi arriva alle porte di Palermo dopo una lunga e difficile marcia di avvicinamento. Ha con sé circa 4000 uomini e deve fronteggiarne 21.000 ben armati e addestrati. Era arrivato cinque giorni prima da Corleone e si era trovato davanti i battaglioni borbonici Re e Regina formati dagli ex soldati mercenari svizzeri che erano stati arruolati nell’esercito regolare. Gli svizzeri, ben armati e fortemente motivati a fermalo lo avevano attaccato ma Garibaldi si era subito disimpegnato. La vittoria a Calatafimi aveva migliorato lo stato d’animo dei rivoltosi aumentando le fila garibaldine con soldati male armati e men che mai disciplinati, ma le munizioni, già scarse a Calatafimi, lo erano ancor di più sulle strade verso Palermo. Garibaldi preferì evitare il combattimento e muoversi sulle montagne che circondano la città perché sapeva che l’unica arma con cui poteva vincere era il popolo di Palermo.
Per diversi giorni fu uno spostarsi da un’altura all’altra, inseguiti da una decina di battaglioni nemici che ogni volta che conquistavano una posizione garibaldina si trovavano davanti le squadre dei picciotti male in arnese che scomparivano nel nulla. I borbonici a Palermo erano concentrati nel Castello a Mare, nel Palazzo dei Normanni o Palazzo Reale e alle porte della città con maggior concentrazione nelle porte occidentali verso Monreale e Corleone dove aspettavano Garibaldi e meno in quelle orientali. I battaglioni scelti inseguirono senza tregua Garibaldi cercando lo scontro definitivo mentre il Generale scompariva ogni volta nel nulla. La situazione non era facile perché i cannoni, la massa disordinata dei volontari, non facilitava i movimenti.
Nel pomeriggio del 25 maggio, vi fu la svolta. Garibaldi fece muovere le truppe facendole avviare verso la strada che portava all’interno della Sicilia, quasi a rinunciare alla presa di Palermo e preferire una inutile e dispendiosa guerriglia nel desolato cuore dell’isola. Davanti alle sue truppe marciava il colonnello Orsini, forse il più intelligente dei colonnelli garibaldini, con i cannoni, le vettovaglie, i feriti e i malati e una squadra di picciotti di Corleone. Il muoversi dei carri faceva alzare una grande nube che attirò subito l’interesse dei borbonici che arrivati a Piana degli Albanesi partirono subito all’inseguimento di quello che pensavano un esercito in ritirata. Quando i garibaldini arrivarono verso il ponte sul fosso sul Maganoce le truppe garibaldine si divisero. Orsini con le sue truppe continuò verso l’interno tirandosi dietro i borbonici, mentre il grosso dei garibaldini, silenziosamente e nell’oscurità si inerpicò sulla montagna e attraverso sentieri di capre si diresse verso la parte orientale di Palermo dove arrivò due giorni dopo. A Gibilrossa ai 750 garibaldini si unirono quaranta squadre siciliane formate da nuovi arruolati e dalle squadre che avevano combattuto sui monti per dar loro il tempo di fuggire. Il punto iniziale dell’attacco fu il Ponte dell��Ammiraglio scelto in quanto apparentemente sguarnito. All’alba del 27 Maggio incomincia l’attacco a Palermo. I garibaldini avrebbero dovuto avvicinarsi silenziosamente per effettuare un colpo di mano ma i picciotti, appena videro i borbonici, incominciarono a sparargli insultandoli. Vi fu il caos perché i borbonici contrattaccarono. Nella mischia, il colonnello ungherese Tukory che guidava l’avanguardia fu ferito ad un ginocchio e sarebbe morto qualche giorno dopo per l’infezione derivata dalla ferita. La mischia in prossimità del ponte continuò sanguinosa fino a che Garibaldi non fece attaccare alle spalle i nemici che dovettero ritirarsi. Finalmente la strada era spianata e i garibaldini entrarono a Palermo. Immediatamente le campane di tutte le chiese incominciarono a suonare e il popolo di Palermo scese per strada. Già ad aprile, in attesa di Garibaldi, vi era stato un tentativo di rivolta. Sessanta congiurati, chiusi nel convento de Gancia si erano radunati per fomentare il popolo e ad attaccare il presidio borbonico, ma traditi e circondati dall’esercito vennero uccisi quasi tutti. I tredici risparmiati dalle truppe vennero fucilati (tre volte di seguito) il giorno dopo senza processo nel piazzale davanti al Castello a Mare. Il popolo rimase sconvolto dalla ferocia mostrata dai borbonici in quella occasione e dalle rappresaglie che seguirono. Perciò quando le campane incominciarono a suonare tutti scesero per strada mentre i Principi, chiusi nei loro eleganti palazzi e protetti dalle loro guardie campestri osservavano l’evolversi della situazione. I garibaldini ed i popolani sciamarono per le strade cercando di impedire ai soldati di guardia alle porte di unirsi ai soldati al Castello al Mare e a questi di contrattaccare per unirsi a quelli chiusi nel palazzo dei Normanni. Si incominciò a realizzare delle barricate buttando oggetti di ogni tipo dalle case. Due reduci delle cinque giornate di Milano vedendo i mobili piovere dalle case incominciarono a gridare felici “Siamo a Milano, siamo a Milano”. Non riuscendo a riunirsi con le altre truppe e visto il supporto della popolazione a Garibaldi, venne dato ordine ai cannonieri del Palazzo Reale e a quelli sulle navi borboniche ancorate nel porto di fare fuoco sulla città. Le navi incominciarono a bombardare i quartieri di Palermo presto seguiti dai cannoni del Castello a Mare. L’ammiraglio inglese Mundy, che dalla sua nave osservava la battaglia, scrisse nel resoconto che farà per il suo governo, che i quartieri di Palermo bruciavano con al loro interno intere famiglie e che le atrocità delle truppe regie sulla popolazione erano indescrivibili.
Non era ormai una questione tra garibaldini e militari borbonici ma una resa dei conti tra l’esercito di uno stato ed i suoi cittadini che si stavano ribellando ai suoi soprusi. Malgrado le cannonate i palermitani resistono sulle barricate e tengono diviso l’esercito che si muove in modo incoerente. La situazione arriva presto ad uno stallo. Sia i borbonici che i palermitani stanno finendo le munizioni, nessuno dei due è sicuro di poter prevalere. Viene chiesto all’ammiraglio Mundy di mediare per una tregua. Il comandante borbonico, il generale Lanza, sa che la città è una trappola per i suoi uomini, ritiene che sia meglio ritirarsi a Messina e da li contrattaccare in tutta la Sicilia come era già stato fatto nelle ribellioni del ‘48 che portarono al ritorno dei borbonici a Palermo e ad una strage dei ribelli. La tregua viene concordata ed una volta firmata gli svizzeri che il colonnello Orsini si era portato in giro per la Sicilia, rientrano in città sparando. Vengono fermati e si allontanano con gli altri militari borbonici dalla città. Uscito l’ultimo borbonico dalla città, i Palermitani corsero al Castello al Mare per distruggerlo. Per secoli era stato il cane da guardia dei re napoletani, la prigione dove venivano rinchiusi e torturati i sovversivi, dove venivano impiccati o fucilati i rivoltosi all’ordine imposto dai Principi e dal clero fatto di nobili. Era insomma la Bastiglia dei palermitani e con odio e determinazione, a confermare il completo distacco dai sovrani di Napoli, loro la distrussero. Così Palermo vinse la sua battaglia.
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Un pomeriggio mi sono seduta con le donne maasai sotto un albero su un grande tappeto di mucca, aiutavo ed osservavo i loro magnifici lavori artigianali Una donna lavorava cinte con perline bianche, orecchini dalle mille forme, una bracciali, una donna curava della verdura per la cena e sono sempre circondate da tanti bambini di ogni età insegnando loro le stesse cose... Il bianco è il loro colore preferito dai maasai Tanzania e lo si nota nei loro bracciali, collane, cavigliere e accessori che la tribù maasai indossa quotidianamente. Ne ero affascinata e allo stesso tempo ascoltavo e sentivo il cinguettio di tanti e bellissimi uccelli coloratissimi provenienti dall'albero sopra di noi, alzo la testa e noto che era pieno zeppo di nidi, in quel momento guardavo le donne masai osservavo gli uccellini e mi sentivo in un luogo che mi riempiva di pace e serenità. Verso le 18.00 il sole in Tanzania inizia a tramontare, i piccoli pastori maasai stanno rientrando a casa dal pascolo con il bestiame, in lontananza si notava la polvere di sabbia che si alzava mentre si stavano avvicinando a noi. Le yeyo (donne maasai) iniziano ad alzarsi e a prepararsi ad accogliere il bestiame con ad ognuna il suo compito. Chi aiuta a fare entrare le mucche nel "boma", chi segue capre e pecore, chi corre a liberare piccoli vitelli e agnelli che con cori di belati felici s'attaccano alle mammelle ed iniziano a nutrirsi di latte da mamma.. Donne che entrano nel recinto a mungere le mucche con un recipiente a forma di bottiglia ricavato da un frutto e lavorato per renderlo tale,chi accende il fuoco e chi prepara un chai caldo per tutti, poi chi organizza la cena. Fine parte 1 il racconto proseguirà domani Se vi piacciono i nostri racconti condivideteli, aiutateci a farci conoscere... grazie! maasai-travel.com #treescape #mountains #nature_prefection #savannah #nature #maasai #masaitravellife #landscapelovers #naturewalk #ceremony #culturaltrip #naturelovers #trees #landscapes #landscape #naturediversity #naturegram #natureonly #view #trip #naturephoto #amazing #nature_seekers #naturelove #prilaga #naturelover #treestagram #nature_shooters #landscape_lovers #naturephotography (presso Kiberashi, Dodoma, Tanzania) https://www.instagram.com/p/CDWdd9hDxWC/?igshid=or4ytdn35mjb
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MARRANO
Marrano sono una band originaria di Rimini nata nel 2015 da Andrea, Daniele e Nicola. Dopo la pubblicazione, nel dicembre 2015, del loro EP d’esordio, registrato tra lo Stop Studio Rimini e lo Stonebridge Studio di Cesena e mixato allo Swift Mastering di Londra, negli anni successivi dividono il palco con molti gruppi della scena underground tra cui Gazebo Penguins, Lantern, Futbolìn, Labradors, Mood, Giona, Hallelujah, e molti altri. Nel 2016 si rinchiudono allo Stonebridge di Cesena per registrare il loro primo disco dal titolo “Gioventù Spaccata”, che uscirà nel settembre 2017 e dal quale ne escono tre singoli: BELGRADO, RATICOSA e GUTRO. Anche in questo tour l’attività live intensa, ha dato la possibilità di condividere palchi con artisti e band come Ministri, Andrea Laszlo De Simone, Le Capre a Sonagli, Havah e tanti altri. Nel 2019 si chiudono nuovamente in studio per dar vita al loro secondo disco, “Perdere”, registrato presso il prestigioso Stonebridge Studio di Cesena. L’album vede la pubblicazione il 16 marzo 2020 per Floppy Dischi e Altini Cose. Il primo singolo, GOLF, esce il 29 gennaio. “E’ un disco vero, sofferto, limato nelle sue sfaccettature finché lo ritenevamo giusto, senza mai snaturare la colonna portante che rimane sempre quella: la sincerità. Un disco potente e morbido allo stesso tempo, che speriamo arrivi alle orecchie di tutt*. Siamo molto felici e motivati a presentarlo ovunque”: queste sono le parole sincere Andrea, Daniele e Nicola. Insomma, se non lo avete capito, “Suonare forte, possibilmente fortissimo” è il motto di questi tre ragazzi con le idee chiare e tanta voglia di spaccare il mondo. E il bassista Andrea alle nostre domande risponde così.
1 - Ti svegli su un isola deserta. No panic: hai potuto portare con te tre cose e una di queste è un album.
- In teoria se devo portare un album con me è abbastanza semplice la scelta. Un generatore di corrente, uno stereo e Nevermind dei Nirvana…anche perché se no come lo ascolto? :)
2 - On the road: c'è un’ autoradio con dentro una musicassetta. Dentro ci sono almeno tre canzoni da cantare a finestrino aperto.
- A day in the life (The Beatles) - Changes (David Bowie) - Beat It (Micheal Jackson).
3 - Hai rimandato, hai rimandato, ma oggi tocca a te. La playlist dal dentista per non sentire il trapano nelle orecchie.
- Bullshit (Dune Rats) - Waiting room (Fugazi) - No sleep till Brooklyn (Beastie Boys) - Are you gonna be my girl (Jet) - Take me out (Franz Ferdinand) - Pure morning (Placebo)- My name is Jonas (Weezer) - Coffee and TV (Blur) - About a girl (Nirvana) - Loniterp (Verdena) - La canzone di Tom (Il teatro degli orrori)… le ultime due ho voluto inserire del made in italy.
4 - Qual è il tuo memorabilia musicale a cui non potresti mai rinunciare?
- Uomo Donna di Andrea Laszlo De Simone…ho una delle 300 copie prima stampa in vinile :)
5 - Guilty Pleasure : quella canzone che ti fa vergognare, ma che non puoi proprio fare a meno di ascoltare.
- Pippa di meno di Iacchetti, però con allegato il video del Festivalbar 1995.
6 - Film o serie tv : questa volta sceglilo per la colonna sonora.
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Qui sono super mega scontato ma ti dico School of Rock, a distanza di anni quando parte Bonzo goes to Bitburg dei Ramones mi si illuminano ancora gli occhi. Poi vabbè la colonna sonora di Dark è assurda, o magari Stranger Things. 7 - La chiavetta nello spazio : la band o il musicista di cui la terra non ha proprio bisogno.
- Gigi D’Alessio (qui copio la risposta dei Garda1990, ma dopo tutto penso sia l’unico che mette d’accordo un po’ tutti).
8 - Il 1999 per noi Caroline Records è stato l'anno in cui abbiamo cominciato a diventare quello che musicalmente siamo oggi: tu a che punto eri?
- Io scoprivo (un anno dopo, come sempre arrivo tardi) Acida dei Prozac+, al tempo pensavo si chiamasse “acigoaciga” e poi ovviamente What’s my age again dei Blink-182 (evergreen per sempre).
9 - E invece un album degli ultimi 12 mesi che tutti dovrebbero ascoltare?
- Qui gioco in casa, il disco di FADI. Molto figo, suonato molto bene e lui canta con una timbrica soul che non si sentiva da anni (CONSIGLIATISSIMO).
10 - Dal vivo: il miglior concerto che hai visto, quello che rimpiangi di aver perso e quello che non vuoi assolutamente perdere.
- Migliore: Black Sabbath a Bologna 2014 (hanno suonato 1 ora e 20, un singolo dietro l’altro…sembrava che avessero 20 anni, forse la droga ha giocato un ruolo fondamentale). Il rimpianto: Non aver mai visto i Nirvana, chiaramente per questioni anagrafiche …ah, e i Beatles. L’imperdibile: il prossimo che andrò (anzi andremo tutti e tre noi Marrano) sono i Red Hot Chili Peppers ma ormai c’ho perso un po’ le speranze visti i tempi. Spero posticipino il tour al prossimo anno e che Frusciante stia buonino li dov’è. —
▼ foto di Isotta Zucchi
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Testo Masha Mottes, foto Lucia Semprebon
Incontriamo per la prima volta Agitu Ideo Gudeta in una domenica piovosa di febbraio.
Il periodo coincide con quello dei parti delle “sue capre” che per lei non rappresentano solamente una fonte di sostentamento, ma il fulcro della sua vita e della sua storia, da sempre.
L’incontro quindi è necessariamente breve, ma intenso quanto basta per capire quanto amore, entusiasmo e passione animano questa donna, che ci accoglie con il calore e un sorriso che illumina lei e tutto ciò che la circonda.
Già dalle prime parole che ci scambiamo percepiamo positività, determinazione e tanto, tanto coraggio.
Di lì a poco Agitu ci deve lasciare perché è arrivato il momento del parto e letteralmente lei corre dalle sue capre.
Entusiasta come una madre (e un padre) la sera ci manda una foto di due gemelline.
*** *** ***
L’Azienda di Agitu, “La capra felice” (e direi che nome non fu più indovinato vista la vita che conducono questi animali), realizza prodotti biologici, vende a chilometro zero e non effettua dunque spedizioni per quanto riguarda gli alimenti. Agi ci spiega che questo non sempre viene capito dalle persone a causa anche della mala abitudine, che ormai ci ha inculcato il sistema, di trovare qualsiasi prodotto ad ogni distanza ed a ogni stagione; ma per lei questi valori fanno parte della sua filosofia di vita e di conseguenza di quella della sua azienda.
Ha dato un nome a tutte le sue 130 caprette, le quali rispettano un ciclo di produzione naturale, ovvero ad ottobre smettono di lattare e vanno in asciutta. Quando poi non sono più in grado di farlo a causa dell’età, vengono regalate come animali da compagnia anziché venire mandate al macello.
“Il consumatore è abituato a reperire le merci tutto l’anno sui banconi degli ipermercati e questo non rispetta i ritmi della natura. Per avere sempre i prodotti occorre intervenire sugli animali con gli ormoni e in questo modo una capra a 3 anni può essere già arrivata alla fine della sua vita produttiva.”
Le capre sono animali poliesteri: al cambio della luce scattano gli ormoni e, quindi, Agi introduce il maschio per la riproduzione. Naturalmente questo vuole dire sospendere la produzione di latte, yogurt e formaggi che riprende in primavera.
Per chi vuole vendere tutto l’anno è possibile “imbrogliare” il corso della natura, mettendo gli animali al buio e intervenire sul ciclo usando una spugna con degli ormoni.
“Le capre sono animali intelligenti, si riesce ad interagire con loro, le distinguo per nome e conosco il loro carattere. Quando andiamo al pascolo cerco di lasciarle libere, si muovono perpendicolari evitando la salita e sembra incredibile ma quando sono le 17.00 una di loro si gira, trova la strada e andiamo a casa. Le tiene a bada il mio cane: …. non uso le campanelle, sono troppo sensibili al suono, pensate voi di dovervi muovere con un campanello nelle orecchie tutto il giorno …“
Agitu inizia il suo progetto in Trentino in Val di Gresta, lavorando in un bar mezza giornata e passando l’altra mezza a gestire, da sola, 15 capre: giornate piene che prevedono la mungitura alle 4 del mattino e alla sera.
Ci dice:
“Il Trentino mi piace, sono una montanara. Adis Abeba e’ a 2338 mt dal mare, qui ho trovato la mia seconda casa, quando vedo queste montagne mi si apre il cuore”
(e a sentirla parlare così il cuore si apre anche a noi).
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*** *** ***
Ad inizio giugno torniamo da lei e nel frattempo nella sua vita e nella sua azienda sono successe molte cose.
E’ stata raggiunta dalla stampa (interviste su La Stampa e Internazionale) e tv. Pif la riprende mentre svolge la sua attività e finisce su Raitre nella trasmissione “Caro Marziano”.
Agitu nel suo sito ha tutta la rassegna stampa di questi anni, dedicati a far crescere il suo sogno. Ci spiega che la puntata della trasmissione “Mela Verde” del 2015 che si è occupata della sua azienda viene riproposta tutte le estati e ogni volta registra il massimo degli ascolti.
Prosegue a raccontare che è stata ospite di Emma Bonino. A Roma è intervenuta nell’ambito dell’incontro dal titolo “Donne anche noi. Storie di fuga e riscatto” per celebrare l’8 marzo dando spazio alle storie di chi ha lottato per affermarsi nel nostro Paese e chi ancora lotta.
Cominciamo da qui: Agitu ci racconta di questa esperienza, del treno preso in giornata per Roma. Al suo arrivo la attendono una marea di giornalisti, il ministro degli Esteri, insomma, non proprio ciò che aveva immaginato.
Tant’è che ci confessa: “per un attimo ho pensato: oh oh qualcosa mi sfugge adesso scappo” e ci travolge con la sua risata. Prosegue:
“Preso coraggio mi sono resa conto dell’opportunità: la conferenza era in diretta ed io ho approfittato per portare fuori la mia Africa, il tema del land grabbing (letteralmente: «accaparramento della terra» – accaparramento delle terre da parte delle multinazionali a scapito dei contadini locali) che mi ha portato lontano dalla mia casa, l’Etiopia, a causa della mia presa di posizione contro questa situazione. In Africa ho lavorato a diversi progetti con i pastori nomadi nell’ottica di creare un’agricoltura sostenibile di auto sostentamento.”
“Sono stata un’attivista nel mio Paese, cominciando le prime manifestazioni nel 2005; in 5 anni di lotta, all’interno di un gruppo formato da 27 persone, abbiamo creato una bella rete. Ma negli anni portare avanti una politica che contrasta il Governo si è fatto sempre più duro. Nel 2010 mi sono dovuta allontanare dal mio Paese; delle persone che formavano il nostro gruppo siamo sopravvissuti in 3: io e due giornalisti australiani.”
Ci racconta come l’uso scriteriato di pesticidi e insetticidi da parte delle multinazionali abbia moltiplicato i casi tumorali, di malformazioni e aborti in un Paese come l’Etiopia, dove non esiste nessun genere di assistenza sanitaria.
Il governo dell’Etiopia nasconde situazioni assurde da anni: i profughi tenuti prigionieri in Somalia e Sud Sudan, le proteste a fuoco contro manifestazioni disarmate di civili universitari e agricoltori, le torture, l’oscurazione della rete internet.
Agitu ha lo status di rifugiata nel nostro Paese dovuto alla persecuzione del Governo nei suoi confronti.
“La mia, come quella di molte altre persone nella mia posizione, non è una storia di fuga desiderata e nel mio intervento durante la premiazione, approfittando della diretta, ho sollevato il punto per cui la collaborazione del governo italiano (ma non solo) con quello Etiope siano causa alla base della migrazione.
Ho parlato a ruota libera cercando di rendere il quadro il più ampio possibile, perché è guardando in questo modo le cose che possiamo interpretare la realtà di questi flussi migratori, non certo attenendoci al populismo che spesso ritroviamo nei canali che dovrebbero occuparsi di informazione“.
Il cosiddetto land grabbing è in sostanza un modo economico e remunerativo di accedere a nuove risorse naturali e di produrre cibo per alcuni Stati poveri di terre coltivabili, quali l’Arabia Saudita, o quelli densamente popolati come il Giappone o la Cina, che da tempo hanno cominciato a comprare ed affittare terreni all’estero per soddisfare il fabbisogno nazionale di cibo.
Tutto questo ha conseguenze pesantissime, soprattutto in Paesi come l’Africa, dove i governi consentono che gli abitanti delle terre cedute o spesso espropriate vengano costretti ad andarsene, se necessario con la forza. Lasciano abitazioni, campi e pascoli oppure vengono reinsediati in zone periferiche, prive di servizi e con infrastrutture inadatte alla vita civile. Possono considerarsi fortunati quindi gli africani che vengono assunti come braccianti e operai dalle imprese straniere, quando queste non favoriscono manodopera proveniente dal loro paese piuttosto che quella locale.
Si crea un circolo vizioso per cui non solo i Governi Africani non investono nel proprio Paese creando infrastrutture e indotto, ma collaborano alla distruzione dell’ autosostentamento di gran parte ei lori cittadini e della società stessa.
L’organizzazione non governativa internazionale Human Rights Watch e il Movimento di solidarietà per una nuova Etiopia sostengono, ad esempio, che tra il 2008 e il 2011 il governo di Addis Abeba ha affittato per periodi di 20, 30 o 99 anni già 3,5 milioni di ettari di foreste.
Un tema molto complesso, che non riguarda soltanto il fatto di destinare vaste estensioni di terra coltivabile a raccolti per l’esportazione, invece che a generi alimentari necessari e al mercato interno, ma implica anche che non ci siano ricavi convenienti utilizzati sul territorio.
Inoltre questa politica in Africa, un Paese colpito da scarsità stagionale e in certi casi permanente di generi alimentari di base, contribuisce a far lievitare i prezzi dei prodotti, avendo ripercussioni pesantissime sulle carestie che colpiscono gli abitanti.
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Questo è il contesto che ha portato Agitu nuovamente qui in Italia. “Nuovamente” perché lei aveva già frequentato l’Università qui: prima a Roma, a 18 anni con una borsa di Studio, e poi in Trentino, dove ha deciso di tornare quando ha dovuto lasciare il suo Paese.
Il lavoro che Agi sta svolgendo qui in Trentino ha a che vedere con competenze sue e dei suoi avi (famiglia di pastori nomadi). Il suo lavoro di recupero e utilizzo di terreni abbandonati è in sostanza l’esatto contrario rispetto a ciò che combatteva in Africa, ovvero la privazione del diritto di lavorare la terra da parte dello Stato nei confronti dei cittadini.
Come percepisci la diffidenza nei confronti del diverso e come e’ stato il tuo impatto di donna nel mondo agricolo locale?
“Devi tirare fuori unghie denti per guadagnare il rispetto. Una volta che hai dimostrato di essere una persona veramente tosta, insieme al rispetto arriva anche il riconoscimento del tuo lavoro.”
Come hai costruito le tue competenze rispetto alla produzione dei formaggi?
“Le ho potute ampliare e rafforzare anche attraverso la rete dei Woofer (solitamente produttori certificati biologici). Avevo interesse verso la produzione di formaggi francesi e sono stata in Francia. Attraverso questo canale la collaborazione si attua in forma di scambio di lavoro, ma anche di insegnamento e di competenze. oltre a divulgare e condividere la quotidianità del lavoro in fattoria.”
Anche Agitu appartiene a questa rete e nel suo sito si trovano le informazioni in proposito.
L’apertura della sua azienda si concretizza anche attraverso alcuni progetti di stage con l’Istituto Agrario di San Michele che le permettono di accogliere in azienda gli studenti. Parliamo della dispersione scolastica e a questo proposito ci dice che ragazzi in apparenza poco dotati secondo gli standard della didattica, dopo due settimane non solo conoscono i nomi delle capre, ma anche le parentele.
Ci sono giornate aperte al pubblico in cui e’ possibile andare al pascolo con le sue capre e con Buba Car, un ragazzo del Gambia rifugiato in Trentino, che una volta terminato il suo percorso è stato scelto e introdotto in azienda da Agitu e da qualche mese lavora con lei.
Vengono anche organizzate giornate in cui i bambini arrivano in visita per fare il formaggio.
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Agi è un vulcano di idee e mette a disposizione le sue competenze e la sua esperienza in altri progetti dedicati ai rifugiati: è stata invitata a Riace, dove ha potuto avere uno scambio con il Sindaco su quella che potrebbe essere un’idea aziendale da sviluppare lì.
Potete trovare i prodotti di Agitu ai mercati agricoli di Trento, Rovereto, Pergine, Bolzano, alla Biocesta del Gusto e nei Gruppi di acquisto solidale.
Chiudiamo l’intervista ad ottobre e ci sono ancora novità: Agitu ha appena realizzato una linea di creme a base di latte di capra non pastorizzato un procedimento in cui sta facendo da pioniera e che sviluppa una sorta di acido ialuronico naturale.
Sarà presente ai mercatini di Natale di Levico Terme con questa linea e lo street food, una novità introdotta recentemente, un’occasione per assaggiare la sua tosella e lo yogurt di capra.
Ci congediamo con un ultimo incontro, in un pomeriggio di ottobre passato al pascolo con le capre felici: un’esperienza di affetto e tenerezza con questi animali, e incredibilmente rilassante. Grazie Agitu!
Alcuni diritti riservati
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LIVINGWOMEN INCONTRA AGITU… E LE SUE CAPRE FELICI Testo Masha Mottes, foto Lucia Semprebon Incontriamo per la prima volta Agitu Ideo Gudeta in una domenica piovosa di febbraio.
#acido ialuronico naturale#adis abeba#agitu#agitu ideo gudeta#agricoltura sostenibile#blog#capre felici#Donne anche noi#emma bonino#etiopia#formaggi di capra trentini#immigrazione femminile#intervista agitu#Italia#la capra felice#land grabbing#latte ci capra#livingwomen#mercatini trentini di natale#migranti#natura#radicali italiani#Trentino#valli trentine#vivere in trentino#wordpress
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...pensare che questo centinaio di pagine taglienti e dure siano l'esordio in prosa di Pavese...stupisce...da questo libro esce così il narratore di ottime storie e poeta di impressioni, musicali e vive, colorate e tragiche...Paesi tuoi è un'opera che col passare del tempo ha visto mutare il suo intento. Quando venne dato alle stampe sicuramente era la denuncia l'aspetto preponderante. Pavese ha portato davanti agli occhi di tutti una realtà sconosciuta o volutamente ignorata. Oggi la denuncia assume il sapore del documentario, ci presenta uno spaccato della vita rurale degli anni '30 quando ancora il divario tra città e campagna era rigido come i valori tradizionali ereditati dalla notte dei tempi. Lo stile di scrittura ti fa sentire buttato per caso in mezzo a parole e descrizioni che subito si fanno concrete e reali e appaiono davanti agli occhi...ci si trova quasi spaesati ed illanguiditi dall'assolato paesaggio descritto, dall'odore di fieno che eccita il sangue, da quei prati e quelle canne dove è facile portarsi una donna per essere felici. In contrasto con questo languore da vacanza spensierata, un poco idilliaca, c'è però il forte senso di disgusto, quasi di nausea, dovuto all'odore del letame, alle mosche, ai lavori da fare, alle donne contadine così spesse e nere da sembrare capre e, in più, resta sempre il fiato sul collo di una vicenda poco chiara, iniziata al principio del libro, continuamente accennata e destinata a concludersi male alla fine...Bello e affascinante...da leggere. #libridisecondamano#ravenna #bookstagram #booklovers #bookstore #instabook #igersravenna #ig_books #libri #instaravenna #consiglidilettura #cesarepavese https://www.instagram.com/libreria_scattisparsi/p/CYqNGqMIfsH/?utm_medium=tumblr
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Ignoranti e felici
È tutta questione di… resistenza.
In televisione, in radio, nel web, incontriamo, con una certa frequenza, individui che parlano dimostrando un’ignoranza abissale. Anzi, direi una analfabetizzazione quasi totale. Strafalcioni sintattici e grammaticali, ignoranza totale circa la storia, la geografia e l’economia. Chi più ne ha più ne metta. Questo produce in noi la subdola convinzione che si possano esprimere giudizi avventati di fronte a tutti, anche a coloro che fanno ed hanno fatto della ricerca scientifica il proprio stile di vita. Se anche i rappresentanti politici, che dovrebbero narrare almeno un minimo livello di conoscenza alfabetica del mondo, sono capre travestite da esseri umani, il messaggio reale è chiaro. Tutti possono dire la loro su tutto, anche su argomenti di cui non hanno la minima conoscenza. E così, assistiamo al pullulare quotidiano di sempre nuove capre che si travestono da scienziati, senza intelligenza, esaltatati dalla sola idea di essere mediatici, ed esponenti di una crassa ignoranza. Certo hanno il loro pubblico, e ciò è forse peggio.
Il fatto è che simili atteggiamenti si riscontrano nella vita quotidiana e non di rado incontriamo persone che discutono arrogantemente di fisica, neuroscienze, economia, sociologia e meccanica quantistica. Un altro mondo, rispetto a quello nel quale sono cresciuto, dove mi veniva detto che quando non si sanno le cose è meglio tacere. Ma oggi, non importa affatto il contenuto di un messaggio, mentre è importante avere follower e audience. Questo è il vero e più grave trash, rispetto a quello che invece crediamo essere.
Per fortuna, conosco Sant’Agostino, il quale parlava di aurea solitudo, come di un vero e proprio vaccino contro questi para-individui. Certo, consiglio a tutti di fuggire da simili esemplari, altrimenti il proprio livello di umiltà, necessario in qualsiasi forma di sviluppo mentale, verrebbe definitivamente compromesso dalla loro frequentazione. Lasciateli convinti di essere quello che non saranno mai, perché tanto avranno sempre qualcuno che li segue, credendo di migliorare.
D’altra parte, la selezione naturale dovrà pur continuare a lavorare, o no?
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GIULIA: Maggio 2016. È allora che ti conobbi. Alberto. Eri la mia prima storia. La mia prima cotta. Mi venivi a prendere a casa la sera con il tuo vespa bianco, dopo che entrambi avevamo studiato tutto il pomeriggio. Mi accompagnavi agli allenamenti di pallavolo e mi aiutavi a superare tutte le critiche dello sport. Ero innamorata di te, tant'è che volevo che tu smettessi di fumare perché ti volevo con me il più possibile, per tutta la vita. Fosse stato per me probabilmente anche oggi saremmo assieme. Invece no… Passai un bellissimo mese con te ma qualcosa ad un tratto cambiò Io ero piccola e infantile, non avevo bisogno del contatto fisico, mi bastava vederti e parlarti. Il giorno del primo scritto degli esami di terza media scoprii che tu avessi chiuso con me. Senza dirmi nulla, tu avevi iniziato ad uscire con una mia amica. Non mi hai dato spiegazioni. Sei sparito. Sei stato la mia prima delusione d’amore. Eri interessato a Francesca. Era inutile chiedermi cosa lei avesse in più di me. Perché aveva un fisico stupendo, dei genitori concessivi e soprattutto sapeva baciare, non come la sottoscritta. Così oltre all'ansia degli esami dovetti convivere anche con la tristezza che tu non fossi più mio. Passarono i giorni e dopo ogni esame tu eri fuori da scuola ad aspettare Francesca. Quanto soffrivo nel vedere voi due abbracciati. Mi son sempre tenuta tutto dentro, non ho mai confidato a nessuno di quanto stessi male. Di notte piangevo e di giorno mascheravo tutto ciò che io provassi. Gli esami terminarono e io uscii con un voto eccezionale: 10! Scaricai tutta l'ansia e la tristezza nello studio ma continuai anche a uscire con i miei amici, nonostante fossi obbligata ad incontrarti ogni sera. Dopo un po di giorni Francesca partì per Dublino e tu mi chiesi di uscire. Ancora annebbiata dalla cotta, accettai. Andammo in centro a Bergamo e finimmo in città alta, posto dove tu portavi tutte le tue ragazze. Giravamo mano nella mano, scattavamo foto e mettemmo il telefono off-line. Ero così felice che non pensai al fatto che tu fossi fidanzato. Ci divertimmo moltissimo. Così il giorno successivo, quello dopo e l'altro ancora ci vedemmo. Finché una sera non rimanemmo soli al casello. Io e te. Su uno scivolo. Lì qualcosa scattò e ci fu il nostro primo bacio, se così si può definire. Tu mi presi per i fianchi, il respiro si fece affannato e il cuore batteva a mille. Mi guardasti e mi dissi “io però voglio fare una cosa” e le nostre labbra si toccarono e le lingue si incrociarono. Ero presa dall'euforia. Pensavo fossi di nuovo mio. Avrei voluto gridarlo al mondo. Ma tu eri fidanzato. Dovevo tacere, fingere che tutto ciò non fosse mai accaduto. Così nascondemmo tutto per qualche settimana finché finalmente Francesca tornò da Dublino e noi potemmo iniziare a uscire liberamente. Pensavo che tutta quella felicità non sarebbe mai finita. Ero talmente innamorata di te che mi sembrava di aver ripreso semplicemente ciò che fosse mio. Non riuscivo a pensare di aver fatto qualcosa di male e tutti i miei amici erano felici di questa mia prima storia d’ “amore”. Poi tu partisti per andare al mare e io rimasi sola a Bagnatica. Con me c'erano i miei amici ma ben presto li persi. Iniziai a uscire ma per Bagnatica si respirava una grande tensione. In pochi mi salutavano e molti mi evitavano. Finché un giorno ricevetti un messaggio di controllare Ask.fm. Io non avevo un account su questo social ma è possibile accedervi anche da Google e così inizia a guardare i profili di Francesca e dei suoi amici.
«roito di merda» «puttana» «grassona» «ruba fidanzati» «zoccola» «cagna» foto di capre pubblicate taggandomi «non venire più a bagnatica se no ti picchiamo» “Giulia sparisci” “chi ti vuole” “scompari” “scusa se non parlo con te ma a differenza tua non abbaio””troia” “la dai a tutti” Credevo di essere forte e che avrei superato tutto. HO TUTTO SOTTO CONTROLLO!!! All’inizio mi lasciavo scivolar addosso tutti quei brutti commenti, mi entravano da un orecchia e mi uscivano dall’altra. O meglio, questo è quello che volevo far credere. Tutti quei commenti dentro mi stavano distruggendo, pensavo di essere veramente io quella sbagliata. Mi rincorrevano con guinzagli e mi abbaiavano contro.
Ero ormai convinta di essere un errore, uno scherzo della natura. Mi vergognavo dei pantaloncini corti e pure di quelli lunghi, era tutto sfacciato per loro. Ask, instagram e snapchat era innondati di mie foto e di insulti, tutto per me. I miei amici mi abbandonarono, e un po li capii. Anche io mi vergognavo di me, anche io trovavo sbagliato ogni mio singolo comportamento. Anche io se avessi potuto mi sarei abbandonata, lasciata sola in un angolo.
Così scappai, andai al mare ma anche lì mi continuavano ad arrivare messaggi. Un giorno mi svegliai e c'era una notifica, un ragazzo veramente bello mi aveva scritto. Non lo conoscevo ma questa cosa mi intrigava. Così gli risposi e inizia a confidargli tutto di me. Dai miei problemi con Francesca e i suoi amici alla storia con Alberto. Mi propose di cambiare, di ascoltare ciò che dicessero e di trarne una nuova me. Fin che un giorno non iniziò a insultarmi e passò il mio numero a molte ragazze. Ricevevo messaggi con insulti e minacce. Solo dopo scoprii che il ragazzo che mi aveva scritto era in realtà la cugina di Francesca. Non volli più uscire e purtroppo finì anche la storia con Alberto dovuta alla mia reclusione in casa.
Iniziarono a nascere i primi strani pensieri, quelli che mi spingevano a farmi del male. Per molto tempo sono stata più forte io. Ma tutti gli insulti non finivano e presa da un attacco di panico, forse il mio primo, raccontai tutto a mia mamma. Un attacco di panico per me è una cosa strana, perché inizia con il “voglio morire” e durante provo tanta paura di andarmene davvero. Così tanta da farmi del male e a suo volta mi viene voglia di morire. E’ un circolo vizioso.
Mia mamma si agitò talmente tanto che decisi di non raccontarle più nulla. Mi dovetti tenere nuovamente tutto dentro. Mi sentivo sola. Ma in realtà non lo ero perché con me camminavano tutti gli insulti e le prese in giro. Arrivò settembre e gli insulti, le minacce e le prese in giro non erano ancora finite. Così iniziai a dare il meno possibile nell'occhio. Uscivo poco, non attiravo l'attenzione. Sul pullman venivo derisa e in pochi mi rivolgevano ancora la parola. L'arrivo nella nuova scuola fu veramente traumatico, avevo paura che chiunque potesse trovare sui social gli insulti e le cazzate scritte su di me e che potesse giudicarmi. Così mi chiusi a riccio e cercai di non socializzare con nessuno. Lo sport andava male, il campionato di motocross era finito e la pallavolo andava uno schifo. La mia allenatrice mi odiava, non mi calcolava ed ero sempre isolata dal gruppo. Così decisi di abbandonare anche lo sport e di dedicarmi solo ed esclusivamente alla scuola. Ogni volta che io mettessi piede fuori casa iniziavano gli insulti. Dentro di me tutto era uno schifo, stavo veramente male e nessuno mi capiva. Così inizia a dar retta agli insulti, che ogni sera prima di dormire rileggevo. Così smisi di parlare con qualsiasi ragazzo, mi iniziai a vestire da maschiaccio e inizia a mangiare sempre meno. Per i miei genitori era semplicemente l’adolescenza, per gli altri un capriccio, per me la mia fine. Sopportai. Sopportai molto. Ma un tratto scoppiai. Ciò che venne dopo furono la depressione, l'anoressia, l'autolesionismo e una grande voglia di morire.
Ora sono qui però. Che vi racconto la mia storia. Quindi ne la depressione ne l’anoressia ne l’autolesionismo ma soprattutto neanche la voglia di morire hanno prevalso su di me. Quando mi sono resa conto di aver toccato il fondo ho iniziato a lasciarmi aiutare. Ho raccontato la mia storia ai miei genitori, a psicologi e neuropsichiatri e mi son fatta un bel tour per molti ospedali della Lombardia. Ho conosciute altre ragazze vittime di bullismo che mi hanno dato forza. Dai nostri errori ho imparato a non mollare più, a reagire e a non tener tutto dentro. Ora ho una vita nuova ma abito sempre nello stesso posto, esco con nuovi ragazzi ma incontro ancora quelli che tutt’oggi si ostinano a insultarmi. Ciò che è cambiato sono io. Sono più forte, ho voglia di vivere e di farlo al meglio, sbattendomene dei giudizi irrilevanti di chi non mi conosce. Se oggi sono qui è perché ogni giorno mi sono posta un obbiettivo e negli ultimi mesi il mio unico desiderio è quello di aiutare chiunque stia vivendo una situazione difficile, simile alla mia. Sono veramente fiera di me e di tutti quei ragazzi che trovano il coraggio di scrivermi e di chiedermi aiuto. Spero di essere un esempio.
FRANCESCA: “Ero arrabbiata già con te dal mio compleanno, a dicembre 2015. Questo perché quel giorno tu avevi allontanato da me un delle persone a cui tenevo maggiormente. Tu infatti sei stata al gioco di un altro ragazzo invece che a quello del mio amico al quale interessavi. Avevo paura di rimanere sola. Lui valeva molto per me. Ed era triste e distante da me. Mi sentivo come se tu mi avessi privato di qualcosa. Non provavo propriamente rabbia. Ero infastidita. Da lì sono iniziati i problemi con lui e con la scuola e la causa, anche se indirettamente, eri tu. Poi due anni fa, quando ero in vacanza ed ero fidanzata con Alberto, lui mi lasciò. Venni a scoprire molte cose che furono successe tra voi. Quindi mi incazzai moltissimo con te perché sentivo che per la seconda volta tu mi avessi portato via una cosa mia. A dir la verità io non ti ho deriso per molto. Ti ho dato della troia per un settimana massimo perché sentivo che tu mi avessi veramente mancato di rispetto. Raccontando poi la mia storia ai miei amici loro reagirono male ed iniziarono ad insultarti. Per dimostrare che fossero dalla mia parte e semplicemente per darti contro. Io smisi presto e cambiai compagnia. Solo molto tempo dopo scoprii che tu ti fossi ammalata anche per colpa mia. Provai uno strano sentimento, non mi sentivo del tutto in colpa perché non pensavo fossero stati solo i miei insulti a farti ammalare. Non mi ero resa conto tu fossi malata finché un giorno non ti vidi alla Migross con tua madre: magrissima, pallida e con il viso sciupato. Mi si è gelato il sangue e sono stata malissimo quando ti ho visto così. Era 12 anni che ti conoscevo e vederti così mi ha fatto rimanere di sasso.”
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Non toccarmi i dati sensibili
Monta GIUSTAMENTE l’ostilità generalizzata alla APP IMMUNI e similari - capre non-ho-nulla-da-nascondere e boccaloni prima-la-sicurezza ovviamente a parte.
L’obiezione tranquillizzante dei ben-pensanti da osteria, cioè che la stragrande maggioranza dellaggente a partire dai ggiovani che-sono-il-futuro, la dia già via gratis (la sua privacy) alle Google etc., dal mio punto di vista NON vuol dire nulla. A parte che con le Feisbuk e Instagram è uno scambio volontario in cambio di qualcos’altro, reale o percepito, l’obiezione è ottocentesca quanto sostenere che darla via una volta è come darla a tutti.
L’idea di mettere in mano allo Stato dati personali sensibili e di più, fa GIUSTAMENTE accapponare la pelle: se vivessimo in uno Stato efficiente e capace, sarebbe il modo perfetto per instaurare un distopico fasciocomunismo scientifico senza scampo.
L’aggravante è che purtroppo l’Italì non è una Corea del Nord, Stato canaglia in mano a dei terroristi: è FIN PEGGIO, è uno Stato da operetta in mano a dei terronisti. Quindi è certo che tutti quei dati finirebbero presto in mano altro che alle Cambridge Analytica: ai camorristi, ai call centers degli amichetti e (non ��o”) ai cinesi.
Il punto imho è che questi terronisti già possono navigare nei vostri conti correnti e, tramite tessera sanitaria, se solo fossero capaci (per fortuna non lo sono), potrebbero già saper ben più di quanto dichiareremmo mai a IMMUNI, senza dircelo.
Volenti o nolenti siamo già dentro ALLA MATRICE. E’ solo una questione di tempo, e di deficienza o efficienza degli Stati. Ecco perché dovreste essere felici di vivere in Italì e NON dovreste scaricare IMMUNI.
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La donna che sussurrava alle capreMettere il benessere dei capi e la qualità dei prodotti finali dell'allevamento al primo posto. La storia dell'azienda agricola La Capra Felice
Se ad Heidi, la bambina protagonista di un noto cartone animato, le caprette facevano "Ciao", nella Valle dei Mòcheni in provincia di Trento c'è un'azienda agricola dove le capre sono felici perché libere di pascolare tutto il giorno. Qui la protagonista è Agitu Idea Gudeta, un'etiope di quasi quaranta anni che, trasferitasi in Trentino, da qualche anno porta avanti la sua missione: vivere in armonia con la natura recuperando terreni abbandonati e salvando la capra Pezzata Mochena dal rischio estinzione.
Leggi di più su: https://agronotizie.imagelinenetwork.com/zootecnia/2019/07/11/la-donna-che-sussurrava-alle-capre/63494
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BIANCO DI SICILIA
Bianco, il sale sparso nelle saline con il cielo spezzettato nelle acque quiete, l’incanto del passato, il senso dell’eternità. Bianco le scogliere di Cala li Turchi, un cuneo di bianco assoluto insinuato tra l’azzurro del cielo ed il blu del mare. Bianco velo di sposa, promessa d’amore pura e intoccata, damigelle felici, un padre che invecchia d’improvviso un amore che nasce per conquistarsi l’eternità. Bianca pomice e bianca lava, spiagge bianche come la cenere, come ossa macinate degli antichi ciclopi. Bianca l’uva, profumo della terra, sapore di fiori e di cicale instancabile calura, zucchero, ebrezza e gioia. Bianca tovaglia tra bianchi piatti, cibo dono del mare, vino sangue della terra, lo stare insieme, insieme mangiare e ricordare essere e restare Bianca crema di ricotta di pecora, da bianco latte e candide capre, purezza e dolcezza, naturalezza e semplicità, gusto, assoluto e infinito. Bianco, il colore dell’arte, il colore che riassume tutti gli altri colori così come l’arte riassume tutti le nostre emozioni. Bianco, il colore delle case sulle nere piccole isole, riflesso come schiuma di mare su uno scoglio assolato. Bianche le nuvole in alto a sfiorare i monti rossi di felci e di verde stentato, a sfiorare il mare a sciogliersi nel vento come i dolori di oggi e le gioie di domani. Bianca la pagina, con fila oscura di parole, che escono da questo mio bianco cuore ed entrano nella tua anima bianca.
White, salt scattered in the salt marshes with the broken sky in the still waters, the charm of the past, the sense of eternity. White the cliffs of Cala li Turchi, a wedge of absolute white insinuated between the blue of the sky and the blue of the sea. White veil of bride, promise of pure and untouched love, happy bridesmaids, a father who suddenly ages a love that is born to conquer eternity. White pumice and white lava, white beaches like ashes, like ground bones of the ancient cyclops. White grapes, scent of the earth, flavor of flowers and tireless cicadas heat, sugar, jealousy and joy. White tablecloth between white dishes, food gift of the sea, wine blood of the earth, being together, eating and remembering to be and stay together White cream of sheep’s milk ricotta, from milky white and white goats, purity and sweetness, naturalness and simplicity, taste, absolute and infinite. White, the color of art, the color that sums up all the other colors as well as art summarizes all our emotions. White, the color of the houses on the black little islands, reflected like sea foam on a sunny rock. White clouds above to touch the red mountains of ferns and stunted green, to touch the sea to melt in the wind like the pains of today and the joys of tomorrow. White the page, with a dark line of words, coming out of this heart of mine and entering in your white soul.
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Chi sono?
Ho 27 anni e il mio armadio è composto dal 60% da t-shirt di gruppi musicali Dormo con un peluche di Nemo e uno pterodattilo di nome Pter I miei pigiami,come il mio intimo, sono quasi esclusivamente di star wars, harry potter o con dei gatti grassi e tenerissimi Piango guardando i film, durante le scene d'amore, quando muore qualcuno, quando ci sono persone anziane o quando qualche animale viene abbandonato.. Non posso fare a meno di fare una faccia da pirla quando vedo un gattino Non mangio il pesce se lo vedo intero nel piatto, e vado in panico guardando gli occhi degli scampi o dei gamberoni cotti Adoro le orchidee e gli iris Sono brava a cucinare anche se ogni tanto faccio degli esperimenti che falliscono clamorosamente, tipo quella volta che ho dovuto buttare una pentola Mi faccio dei film mentali e mi candido da sola all'oscar come miglior sceneggiatura Divento permalosissima quando mi accorgo che qualcuno mi sta sfottendo la R moscia Mi piace avere sempre ragione, è praticamente sempre così... però mi faccio ridere da sola quando provo a chiedere scusa perché mi accorgo di essermi comportata da stupida Fare un regalo a qualcuno a cui tengo fa quasi più felice me che l'altra persona Faccio finta di essere dura e tutta d'un pezzo ma se mi baci quando non me l'aspetto divento rossa Pizza, coperta e film sono una combo mondiale per me Ho smesso di giocare a pallavolo da 3 anni ma se vedo una partita in TV non posso fare a meno di avere i brividi Sono un po' lunatica ma ne sono consapevole Io parlo con gli occhi, non riesco a mentire Non dirò mai di no a qualsiasi cosa con dei pistacchi.. o delle fragole... Sono indipendente in tutto ma se chiedo aiuto è perché mi serve davvero Amo l'hard rock, ma se parte Antonello Venditti alla radio canto come se non ci fosse un domani Mi manca un bacio da pelle d'oca Sono strana, particolare.. mi piacciono le battute stupide, ridere e scherzare... amo essere felice Sono testarda e voglio arrivare a realizzare tutto quello che ho in mente, ad ogni costo Non resisto ai video di Maccio Capatonda e alle compilation del Piccol.. i video delle capre che urlano mi fanno ridere come una rimbambita Conosco a memoria Sister Act e la spada nella roccia Ho una fissa morbosa per il serale di Amici di Maria De Filippi Sono la persona su cui si può sempre contare Mi sono innamorata poche volte, forse una soltanto, e ci ho messo tutto il cuore e tutta l'anima.. io penso tantissimo Io sono una sempre pronta a partire e fare nuove esperienze Io sono quella pazza a volte un po' incosciente ma sono anche un'educatrice per bambini e ragazzi Io sono dolce ma drasticamente sincera Io sono tante, forse troppe cose.. ma non sono più quella che si mette da parte per far felici gli altri.. non sono quella persona che si è annullata per colpa di un cretino che le ha solo fatto perdere tante cose, soprattutto tempo. Io sono quella persona che sta bene da sola. Non dico sola per sempre, solo finché non troverò qualcuno che unisca le sue stranezze alle mie.
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Testo Masha Mottes, foto Lucia Semprebon
Incontriamo per la prima volta Agitu Ideo Gudeta in una domenica piovosa di febbraio.
Il periodo coincide con quello dei parti delle “sue capre” che per lei non rappresentano solamente una fonte di sostentamento, ma il fulcro della sua vita e della sua storia, da sempre.
L’incontro quindi è necessariamente breve, ma intenso quanto basta per capire quanto amore, entusiasmo e passione animano questa donna, che ci accoglie con il calore e un sorriso che illumina lei e tutto ciò che la circonda.
Già dalle prime parole che ci scambiamo percepiamo positività, determinazione e tanto, tanto coraggio.
Di lì a poco Agitu ci deve lasciare perché è arrivato il momento del parto e letteralmente lei corre dalle sue capre.
Entusiasta come una madre (e un padre) la sera ci manda una foto di due gemelline.
*** *** ***
L’Azienda di Agitu, “La capra felice” (e direi che nome non fu più indovinato vista la vita che conducono questi animali), realizza prodotti biologici, vende a chilometro zero e non effettua dunque spedizioni per quanto riguarda gli alimenti. Agi ci spiega che questo non sempre viene capito dalle persone a causa anche della mala abitudine, che ormai ci ha inculcato il sistema, di trovare qualsiasi prodotto ad ogni distanza ed a ogni stagione; ma per lei questi valori fanno parte della sua filosofia di vita e di conseguenza di quella della sua azienda.
Ha dato un nome a tutte le sue 130 caprette, le quali rispettano un ciclo di produzione naturale, ovvero ad ottobre smettono di lattare e vanno in asciutta. Quando poi non sono più in grado di farlo a causa dell’età, vengono regalate come animali da compagnia anziché venire mandate al macello.
“Il consumatore è abituato a reperire le merci tutto l’anno sui banconi degli ipermercati e questo non rispetta i ritmi della natura. Per avere sempre i prodotti occorre intervenire sugli animali con gli ormoni e in questo modo una capra a 3 anni può essere già arrivata alla fine della sua vita produttiva.”
Le capre sono animali poliesteri: al cambio della luce scattano gli ormoni e, quindi, Agi introduce il maschio per la riproduzione. Naturalmente questo vuole dire sospendere la produzione di latte, yogurt e formaggi che riprende in primavera.
Per chi vuole vendere tutto l’anno è possibile “imbrogliare” il corso della natura, mettendo gli animali al buio e intervenire sul ciclo usando una spugna con degli ormoni.
“Le capre sono animali intelligenti, si riesce ad interagire con loro, le distinguo per nome e conosco il loro carattere. Quando andiamo al pascolo cerco di lasciarle libere, si muovono perpendicolari evitando la salita e sembra incredibile ma quando sono le 17.00 una di loro si gira, trova la strada e andiamo a casa. Le tiene a bada il mio cane: …. non uso le campanelle, sono troppo sensibili al suono, pensate voi di dovervi muovere con un campanello nelle orecchie tutto il giorno …“
Agitu inizia il suo progetto in Trentino in Val di Gresta, lavorando in un bar mezza giornata e passando l’altra mezza a gestire, da sola, 15 capre: giornate piene che prevedono la mungitura alle 4 del mattino e alla sera.
Ci dice:
“Il Trentino mi piace, sono una montanara. Adis Abeba e’ a 2338 mt dal mare, qui ho trovato la mia seconda casa, quando vedo queste montagne mi si apre il cuore”
(e a sentirla parlare così il cuore si apre anche a noi).
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*** *** ***
Ad inizio giugno torniamo da lei e nel frattempo nella sua vita e nella sua azienda sono successe molte cose.
E’ stata raggiunta dalla stampa (interviste su La Stampa e Internazionale) e tv. Pif la riprende mentre svolge la sua attività e finisce su Raitre nella trasmissione “Caro Marziano”.
Agitu nel suo sito ha tutta la rassegna stampa di questi anni, dedicati a far crescere il suo sogno. Ci spiega che la puntata della trasmissione “Mela Verde” del 2015 che si è occupata della sua azienda viene riproposta tutte le estati e ogni volta registra il massimo degli ascolti.
Prosegue a raccontare che è stata ospite di Emma Bonino. A Roma è intervenuta nell’ambito dell’incontro dal titolo “Donne anche noi. Storie di fuga e riscatto” per celebrare l’8 marzo dando spazio alle storie di chi ha lottato per affermarsi nel nostro Paese e chi ancora lotta.
Cominciamo da qui: Agitu ci racconta di questa esperienza, del treno preso in giornata per Roma. Al suo arrivo la attendono una marea di giornalisti, il ministro degli Esteri, insomma, non proprio ciò che aveva immaginato.
Tant’è che ci confessa: “per un attimo ho pensato: oh oh qualcosa mi sfugge adesso scappo” e ci travolge con la sua risata. Prosegue:
“Preso coraggio mi sono resa conto dell’opportunità: la conferenza era in diretta ed io ho approfittato per portare fuori la mia Africa, il tema del land grabbing (letteralmente: «accaparramento della terra» – accaparramento delle terre da parte delle multinazionali a scapito dei contadini locali) che mi ha portato lontano dalla mia casa, l’Etiopia, a causa della mia presa di posizione contro questa situazione. In Africa ho lavorato a diversi progetti con i pastori nomadi nell’ottica di creare un’agricoltura sostenibile di auto sostentamento.”
“Sono stata un’attivista nel mio Paese, cominciando le prime manifestazioni nel 2005; in 5 anni di lotta, all’interno di un gruppo formato da 27 persone, abbiamo creato una bella rete. Ma negli anni portare avanti una politica che contrasta il Governo si è fatto sempre più duro. Nel 2010 mi sono dovuta allontanare dal mio Paese; delle persone che formavano il nostro gruppo siamo sopravvissuti in 3: io e due giornalisti australiani.”
Ci racconta come l’uso scriteriato di pesticidi e insetticidi da parte delle multinazionali abbia moltiplicato i casi tumorali, di malformazioni e aborti in un Paese come l’Etiopia, dove non esiste nessun genere di assistenza sanitaria.
Il governo dell’Etiopia nasconde situazioni assurde da anni: i profughi tenuti prigionieri in Somalia e Sud Sudan, le proteste a fuoco contro manifestazioni disarmate di civili universitari e agricoltori, le torture, l’oscurazione della rete internet.
Agitu ha lo status di rifugiata nel nostro Paese dovuto alla persecuzione del Governo nei suoi confronti.
“La mia, come quella di molte altre persone nella mia posizione, non è una storia di fuga desiderata e nel mio intervento durante la premiazione, approfittando della diretta, ho sollevato il punto per cui la collaborazione del governo italiano (ma non solo) con quello Etiope siano causa alla base della migrazione.
Ho parlato a ruota libera cercando di rendere il quadro il più ampio possibile, perché è guardando in questo modo le cose che possiamo interpretare la realtà di questi flussi migratori, non certo attenendoci al populismo che spesso ritroviamo nei canali che dovrebbero occuparsi di informazione“.
Il cosiddetto land grabbing è in sostanza un modo economico e remunerativo di accedere a nuove risorse naturali e di produrre cibo per alcuni Stati poveri di terre coltivabili, quali l’Arabia Saudita, o quelli densamente popolati come il Giappone o la Cina, che da tempo hanno cominciato a comprare ed affittare terreni all’estero per soddisfare il fabbisogno nazionale di cibo.
Tutto questo ha conseguenze pesantissime, soprattutto in Paesi come l’Africa, dove i governi consentono che gli abitanti delle terre cedute o spesso espropriate vengano costretti ad andarsene, se necessario con la forza. Lasciano abitazioni, campi e pascoli oppure vengono reinsediati in zone periferiche, prive di servizi e con infrastrutture inadatte alla vita civile. Possono considerarsi fortunati quindi gli africani che vengono assunti come braccianti e operai dalle imprese straniere, quando queste non favoriscono manodopera proveniente dal loro paese piuttosto che quella locale.
Si crea un circolo vizioso per cui non solo i Governi Africani non investono nel proprio Paese creando infrastrutture e indotto, ma collaborano alla distruzione dell’ autosostentamento di gran parte ei lori cittadini e della società stessa.
L’organizzazione non governativa internazionale Human Rights Watch e il Movimento di solidarietà per una nuova Etiopia sostengono, ad esempio, che tra il 2008 e il 2011 il governo di Addis Abeba ha affittato per periodi di 20, 30 o 99 anni già 3,5 milioni di ettari di foreste.
Un tema molto complesso, che non riguarda soltanto il fatto di destinare vaste estensioni di terra coltivabile a raccolti per l’esportazione, invece che a generi alimentari necessari e al mercato interno, ma implica anche che non ci siano ricavi convenienti utilizzati sul territorio.
Inoltre questa politica in Africa, un Paese colpito da scarsità stagionale e in certi casi permanente di generi alimentari di base, contribuisce a far lievitare i prezzi dei prodotti, avendo ripercussioni pesantissime sulle carestie che colpiscono gli abitanti.
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Questo è il contesto che ha portato Agitu nuovamente qui in Italia. “Nuovamente” perché lei aveva già frequentato l’Università qui: prima a Roma, a 18 anni con una borsa di Studio, e poi in Trentino, dove ha deciso di tornare quando ha dovuto lasciare il suo Paese.
Il lavoro che Agi sta svolgendo qui in Trentino ha a che vedere con competenze sue e dei suoi avi (famiglia di pastori nomadi). Il suo lavoro di recupero e utilizzo di terreni abbandonati è in sostanza l’esatto contrario rispetto a ciò che combatteva in Africa, ovvero la privazione del diritto di lavorare la terra da parte dello Stato nei confronti dei cittadini.
Come percepisci la diffidenza nei confronti del diverso e come e’ stato il tuo impatto di donna nel mondo agricolo locale?
“Devi tirare fuori unghie denti per guadagnare il rispetto. Una volta che hai dimostrato di essere una persona veramente tosta, insieme al rispetto arriva anche il riconoscimento del tuo lavoro.”
Come hai costruito le tue competenze rispetto alla produzione dei formaggi?
“Le ho potute ampliare e rafforzare anche attraverso la rete dei Woofer (solitamente produttori certificati biologici). Avevo interesse verso la produzione di formaggi francesi e sono stata in Francia. Attraverso questo canale la collaborazione si attua in forma di scambio di lavoro, ma anche di insegnamento e di competenze. oltre a divulgare e condividere la quotidianità del lavoro in fattoria.”
Anche Agitu appartiene a questa rete e nel suo sito si trovano le informazioni in proposito.
L’apertura della sua azienda si concretizza anche attraverso alcuni progetti di stage con l’Istituto Agrario di San Michele che le permettono di accogliere in azienda gli studenti. Parliamo della dispersione scolastica e a questo proposito ci dice che ragazzi in apparenza poco dotati secondo gli standard della didattica, dopo due settimane non solo conoscono i nomi delle capre, ma anche le parentele.
Ci sono giornate aperte al pubblico in cui e’ possibile andare al pascolo con le sue capre e con Buba Car, un ragazzo del Gambia rifugiato in Trentino, che una volta terminato il suo percorso è stato scelto e introdotto in azienda da Agitu e da qualche mese lavora con lei.
Vengono anche organizzate giornate in cui i bambini arrivano in visita per fare il formaggio.
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Agi è un vulcano di idee e mette a disposizione le sue competenze e la sua esperienza in altri progetti dedicati ai rifugiati: è stata invitata a Riace, dove ha potuto avere uno scambio con il Sindaco su quella che potrebbe essere un’idea aziendale da sviluppare lì.
Potete trovare i prodotti di Agitu ai mercati agricoli di Trento, Rovereto, Pergine, Bolzano, alla Biocesta del Gusto e nei Gruppi di acquisto solidale.
Chiudiamo l’intervista ad ottobre e ci sono ancora novità: Agitu ha appena realizzato una linea di creme a base di latte di capra non pastorizzato un procedimento in cui sta facendo da pioniera e che sviluppa una sorta di acido ialuronico naturale.
Sarà presente ai mercatini di Natale di Levico Terme con questa linea e lo street food, una novità introdotta recentemente, un’occasione per assaggiare la sua tosella e lo yogurt di capra.
Ci congediamo con un ultimo incontro, in un pomeriggio di ottobre passato al pascolo con le capre felici: un’esperienza di affetto e tenerezza con questi animali, e incredibilmente rilassante. Grazie Agitu!
Alcuni diritti riservati
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LIVINGWOMEN INCONTRA AGITU… E LE SUE CAPRE FELICI Testo Masha Mottes, foto Lucia Semprebon Incontriamo per la prima volta Agitu Ideo Gudeta in una domenica piovosa di febbraio.
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