#insufficienza renale acuta
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medicomunicare · 9 months ago
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Medicina rigenerativa per il rene: la possibilità che si apre capendo tutti gli stadi molecolari del danno
Come si forma il rene nell’embriogenesi? Il rene dei mammiferi, il metanefro, è il terzo paio di organi escretori a formarsi durante l’embriogenesi e l’unico a persistere nell’animale postnatale. La sua formazione comporta una complessa interazione tra la gemma ureterale ramificata, che formerà i dotti collettori, e il mesenchima circostante, che dà origine a tutti i tipi di cellule epiteliali…
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La mia innata curiosità mi ha spinto in questi giorni, da non esperto, a documentarmi sul coronavirus, per uso personale, poi ho deciso di pubblicare lo scritto. Ho acquisito e verificato tutte le informazioni, prelevandole solo da fonti scientifiche sicure. Informarsi è sempre cosa buona, ma la saggezza suggerisce che quando è in gioco la salute, bisogna rivolgersi SOLO esclusivamente agli specialisti, in primis il medico di famiglia. In Italia sono professionisti eccezionali, in grado di fornire un notevole supporto medico.
Il COVID-19 ("CO" sta per corona, "VI" per virus, "D" per disease [malattia] e "19" per anno in cui si è manifestata) è una malattia infettiva denominata "Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2”, causata da un nuovo coronavirus denominato SARS-CoV-2, che in precedenza non era stato mai identificato nell’uomo. Attualmente non è stata ancora identificata la fonte dell’infezione nella specie umana. La comparsa di un nuovo virus, che in precedenza era presente solo nel mondo animale, è un fenomeno noto come SPILL OVER (salto di specie).
In genere, i SINTOMI SARS-CoV-2, all’inizio si manifestano gradualmente. Quelli lievi più comuni sono: febbre, stanchezza, tosse secca. Alcuni individui possono manifestare una generale sensazione di malessere, dolori muscolari, naso che cola, tosse, gola infiammata, febbre, diarrea. Nei casi più gravi, l'infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte.
Generalmente i sintomi sono lievi nei bambini e nei giovani adulti, mentre i vecchietti sono le persone più fragili. Anche se tutti dobbiamo essere molto prudenti, i vecchietti dovrebbero esserlo maggiormente. Alcune persone (gli asintomatici) s’infettano, ma non sviluppano alcun sintomo.
Secondo i dati attualmente disponibili, sembra che si ammali gravemente, circa una persona su cinque. Nei casi gravi la persona presenta difficoltà respiratorie, che richiede il ricovero in ambiente ospedaliero. Il periodo d’incubazione, cioè il tempo che intercorre fra il contagio e lo sviluppo dei sintomi clinici, può variare tra 2 e 14 giorni.
Attualmente sono ancora in corso studi per comprendere meglio le modalità di trasmissione del virus. Un’ipotesi è che i primi casi umani in Cina, sono derivati da una fonte animale. Attualmente è noto che la trasmissione del SARS-CoV-2 tra le persone, avviene attraverso le goccioline del respiro di persone infette. Le principali vie di trasmissione sono: saliva (tossendo o starnutendo), mani (toccando con le mani contaminate bocca, naso, occhi), contatti diretti (strette di mano, abbracci e baci), tra persone che si trovano in un ambiente chiuso (non prendete pullman, treni, aerei, ecc., per fuggire perché è molto alto il rischio di infettarvi, è più sicuro restare in casa).
“L’OMS considera non frequente l’infezione dal nuovo coronavirus, prima dello sviluppo dei sintomi. La via di trasmissione da temere è soprattutto quella respiratoria, non quella da superfici contaminate. Attualmente è noto che il virus riesce a sopravvivere su una superfice solo per alcune ore, quindi viene suggerito una corretta igiene delle superfici e delle mani, utilizzando disinfettanti in grado di annullare la capacità di infettare del virus”.
Le malattie respiratorie normalmente non si trasmettono con gli alimenti, che comunque devono essere manipolati rispettando le buone pratiche igieniche, evitando il contatto fra alimenti crudi e cotti. La più elementare delle normi è di mantenere una distanza di almeno un metro tra le persone, evitando di dirigere il respiro nella direzione degli altri, perché casualmente potrebbe partire un proiettile salivare.
Il SARS-CoV-2 è un virus RNA a filamento positivo, con aspetto al microscopio elettronico, simile a una corona. Ha un diametro che può variare da circa 80-160 nm e utilizza l’RNA come materiale genetico. Semplificando, per infettare, il virus si avvicina alla cellula con i suoi recettori e inserisce il filamento RNA, che è il suo genoma, all’interno della cellula.
L’RNA non può essere inserito nel nucleo, direttamente nel genoma della cellula, perché è DNA, mentre quello del virus è RNA. Nel virus è presente un enzima che ha la capacità di copiare il filamento di RNA in un filamento di DNA. In seguito, questo filamento di DNA viene di nuovo copiato, creando un filamento di doppio DNA che a questo punto può essere inserito all’interno del DNA del nucleo. Il DNA della cellula viene spezzato e all’interno di esso viene inserito il pezzo di DNA virale.
La cellula quando leggerà il suo DNA per formare l’RNA messaggero (mRNA), legge anche il messaggio contenuto nel DNA virale. L’RNA messaggero, esce dal nucleo portando con sé le informazioni genetiche che servono per costruire nuove entità virali e quindi le proteine pericapside (involucro) e nuovi filamenti di RNA. Queste strutture saranno in seguito assemblate, per costruire nuovi virus che potrebbero avvicinarsi alla membrana e uscire per germinazione oppure restare all’interno della cellula riempiendola fino a farla scoppiare e quindi morire. A.Sammartino
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ammmbeeer · 3 years ago
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le parole giuste
26 marzo 2020
SARS Severe Acute Respiratory Syndrome Sindrome Respiratoria Acuta Grave
COVID COronaVIrus Disease. Influenza; in casi più gravi, insorgenza di SARS (o MERS).
MERS Middle Eastern Respiratory Syndrome Sindrome Respiratoria Mediorientale. Sintomi: febbre, tosse, difficoltà a respirare. Meno frequenti: nausea, diarrea/vomito, insufficienza renale acuta, polmoniti. Si chiama MERS solo perché si è diffusa partendo dal Medioriente.
MERS-CoV Virus di tipo CoronaVirus responsabile della MERS. Probabile la sua provenienza da animali della Penisola Arabica. MERS-CoV è stato riscontrato in cammelli in diversi Paesi.
Aviaria (H5N1 / “HN51”) "Verosimilmente tutte le specie aviarie sono suscettibili di infezione e tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere gli uccelli il crogiolo evolutivo di origine di tutti i virus influenzali che si sarebbero adattati nel corso di milioni di anni. Gli uccelli selvatici sono i serbatoi naturali (reservoir) del virus, in particolare le specie acquatiche, nei quali circolano tutti i sottotipi conosciuti di Orthomyxovirus di tipo A." "Sebbene il virus influenzale umano derivi, filogeneticamente dal virus influenzale aviario, cioè ne sia una forma modificata abile all'infezione umana, fino al 1997 non erano mai stati descritti o dimostrati casi di trasmissione diretta da uccelli a umani. Il virus aviario può passare agli umani per cause principalmente professionali." [Se vi garba, è tutto preso dalla pagina di Wikipedia "Influenza Aviaria".] Oltre ad H5N1, hanno fatto il salto di specie anche H7N7 (Paesi Bassi, 2003), H9N2 (Hong Kong, 1998-99), e H7N2 e H7N3 (Nord America, 2002-04).
Suina (H1N1 / A-H1N1) A partire dal marzo del 2009 un virus di aviaria incubato da suini ha contagiato degli esseri umani ed è stata dimostrata inoltre la trasmissione da essere umano ad essere umano, diffondendosi in più di 80 paesi. Non vi sono ancora dati certi, ma è dal 1977 che il virus accompagna l'influenza stagionale. Sembra che i sintomi del 2009 siano stati diversi a seconda delle zone in cui il virus si è attivato. Mentre nella zona di probabile origine, in Messico, si è manifestata una sintomatologia con infezioni respiratorie, negli Stati Uniti si sono presentati vomito e problemi gastroenterici. [Sempre Wikipedia, stavolta “Influenza Suina”]
SARS-CoV-1 / SARS-Cov Virus di tipo CoronaVirus (che ha causato un contagio diffuso a più nazioni dal 2002 al 2003, "La Sars") Sintomi: febbre, stanchezza estrema, mal di testa, brividi, dolore muscolare, perdita di appetito, diarrea. Successivamente: tosse secca, difficoltà a respirare, ipossia (da qui il quadro di SARS).
SARS-CoV-2 Virus di tipo CoronaVirus responsabile della COVID-19, una SARS causata da CoronaVirus identificata nel 2019 e a marzo 2020 considearata pandemia globale. Sintomi: variabili. Al termine del periodo di incubazione, di durata variabile da 1 a 14 giorni, i sintomi possono essere: - nessun sintomo; - sintomi influenzali lievi; - febbre, tosse, difficoltà a respirare (SARS); - nei casi più gravi il virus attacca direttamente il tessuto polmonare, causando linfopenia e immagini diagnostiche pari a polmonite diffusa. Le principali differenze con SARS-CoV-1 sono la diversa infettività in rapporto ai sintomi (maggior causa di diffusione i vettori asntomatici) e qualche discrepanza nella resistenza sulle superfici.
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wdonnait · 4 years ago
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Creatinina alta: cosa significa e da cosa può dipendere
Nuovo post pubblicato su https://www.wdonna.it/creatinina-alta-cosa-significa-e-da-cosa-puo-dipendere/108837?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=108837
Creatinina alta: cosa significa e da cosa può dipendere
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Con il termine creatinina si fa riferimento ad un prodotto di rifiuto sintetizzato dal nostro corpo.
La sua creazione avviene nel momento in cui la creatina viene metabolizzata. Quest’ultima svolge un ruolo fondamentale per il nostro organismo, specialmente in termini energetici.
Infatti, risulta essere essenziale quando si effettuano degli sforzi fisici repentini, ad esempio:
Sollevare un peso
I movimenti improvvisi
Gli scatti da corsa
Quando si presentano queste reazioni, il nostro corpo converte una piccola parte di creatina in creatinina. A livello di quantità, il nostro corpo la produce in maniera direttamente proporzionale ad una serie di fattori, tra cui:
L’età
Il sesso
La massa muscolare
Il peso
E tanto altro ancora…
Una volta generata, la creatinina passa dal sangue alle urine. Quando tale processo avviene in maniera errata o incompleta, si va incontro ad alcuni problemi.
Di conseguenza, si inizia a soffrire di creatinina alta o bassa nel sangue, compromettendo in parte il corretto funzionamento dei reni e altre parti del corpo.
Creatinina alta: da cosa può dipendere
Come vi abbiamo già accennato in precedenza, la creatinina alta (nel sangue o nelle urine) può scatenare una vera e propria disfunzione renale.
Tuttavia, le cause della creatinina alta possono essere svariate. Tra le rinomate, troviamo:
Traumi o lesioni
Problemi muscolari dati da sforzi eccessivi
Insufficienza renale (sia acuta che cronica)
I calcoli renali
Assunzione di determinati farmaci
Glomerulonefriti, ossia l’ingrossamento o un danno ai vasi renali
Aterosclerosi o scompenso cardiaco
Oppure:
Pielonefriti, ossia infezioni a carico dei reni
Problemi con il diabete
Ipertiroidismo
Ostruzione del tratto urinario
Diete iperproteiche
Gotta o ipertensione
Ipertrofia muscolare
E tanto altro ancora…
Creatinina alta sintomi
Riuscire ad individuare la creatinina alta non è semplice.
Allo stesso tempo però, spesso può essere accompagnata da una particolare sintomatologia, come ad esempio:
Dolore nella minzione
Stanchezza e spossatezza
Respiro affannoso
Piedi e caviglie gonfie
Mancanza di appetito
Pelle secca o che prude
Crampi muscolari
Creatinina: come si misura
Si parla di creatinina alta, quando risulta essere eccessiva rispetto a quanto previsto.
Ma quali sono i valori standard e come si possono scoprire?
Per misurare la creatinina, basta scegliere una delle seguenti opzioni: 
L’esame delle urine
Gli esami del sangue
La clearance
Il termine clearance fa riferimento ad un test che calcola lo stato di salute dei reni. Si effettua su un campione di urine e va a calcolare la quantità di creatinina, rispetto al sangue o alle urine stesse.
Riguardo i valori invece, va innanzitutto specificato che non sono sempre universali. Essi infatti, possono variare a seconda di due fattori essenziali:
L’età di riferimento
Il sesso della persona
Di conseguenza, i più idonei sarebbero: 
Per gli uomini:
1-2 anni: da 0.1 a 0.4 mg/dl
3-4 anni: da 0.1 a 0.5 mg/dl
5-9 anni: da 0.2 a 0.6 mg/dl
10-11 anni: da 0.3 a 0.7 mg/dl
12-13 anni: da 0.4 a 0.8 mg/dl
14-15 anni: da 0.5 a 0.9 mg/dl
Età adulta: da 0.8 a 1.3 mg/dl
Per le donne:
1-3 anni: da 0.1 a 0.4 mg/dl
4-5 anni: da 0.2 a 0.5 mg/dl
6-8 anni: da 0.3 a 0.6 mg/dl
9-15 anni: da 0.4 a 0.7 mg/dl
Età adulta: dai 0.6 a 1.1 mg/dl
Ovviamente, ci teniamo a ribadire che si tratta di valori del tutto approssimativi. Sarà poi il dottore di riferimento a fornirvi una corretta diagnosi.
Tra l’altro, va detto che possono presentarsi alcune anomalie a seguito di elementi che non c’entrano affatto con un problema reale di creatinina. Tra i più comuni troviamo: la febbre, l’ipertensione o uno stato di disidratazione del paziente.
Creatinina diagnosi 
Come vi abbiamo già detto in precedenza, la creatinina si può misurare attraverso la clearance.
Quest’ultima misura la quantità di sangue depurato dalla creatinina, in termini di proporzioni e unità temporali.
Risulta fondamentale che la creatinina espulsa attraverso le urine sia uguale a quella che è passata nei reni, facendo riferimento allo stesso intervallo temporale. Tuttavia, per un calcolo ottimale, bisogna seguire una formula ben precisa.
A questo punto ci si chiede: cosa deve fare il paziente prima di sottoporsi all’esame clinico?
Innanzitutto, è necessario che raccolga le urine e si appresti ad un prelievo di sangue. 
Il contenitore delle urine dovrà essere sterile a bocca larga, facilmente reperibile in farmacia. In alternativa, si può optare per delle provette specifiche.
Inoltre, risulta importante evitare di svolgere attività fisica nelle ore antecedenti alla clearance. Questo perché sottoponendo il corpo a grossi sforzi fisici, potrebbe compromettere l’esito dell’esame.
Tra l’altro, sarà fondamentale interrompere l’assunzione di caffè, alcol e determinati farmaci, ad esempio quelli a base di cortisone.
Creatinina alta: dieta da seguire
In alcuni casi, basta apportare alcune modifiche alimentari per ottenere un netto miglioramento di salute.
Per quanto riguarda la dieta per creatinina alta, non possiamo fornirvi un piano alimentare (in quanto risulta essere strettamente soggettivo). Allo stesso tempo però, vi consigliamo una serie di alimenti che si rivelano “alleati” in caso di insufficienza renale. Ecco degli esempi:
La pasta, il riso, il pane
Carne bianca
Pesce (ad esclusione di quello grasso)
Verdure fresche e salutari
Frutta di stagione, senza aggiunta di latte
Olio extra vergine d’oliva
Al contrario, si sconsiglia di limitare il consumo di:
Carni grasse
Legumi
Sale e zucchero e salse
Caffè, dolci, marmellate
Snack salati
Insaccati
Dadi per brodo
Ci teniamo a ribadire che queste raccomandazioni non vanno a sostituire in alcun modo il supporto di un nutrizionista o un dietologo. Pertanto, non vanno seguite alla lettera ma servono giusto come fonte di consultazione.
Ovviamente, ad una buona alimentazione, bisognerà integrare delle norme comportamentali. Di conseguenza, per contrastare la creatinina alta, sarà necessario:
Ridurre il consumo di alcol
Non fumare
Svolgere regolare attività fisica (senza esagerare)
Prestare attenzione ai farmaci
Abbandonare lo stile di vita sedentario
Creatinina bassa: cosa fare
Una volta effettuata la diagnosi, il medico potrebbe rivelarci l’esito opposto. Infatti, non è soltanto la creatinina alta a generare problemi ma anche quella bassa.
Generalmente non dovrebbe preoccupare, perché può essere strettamente interconnessa a una stanchezza generale.
In alternativa, una delle cause scatenanti è la riduzione muscolare, data dall’invecchiamento.
In rari casi però, la creatinina bassa rappresenta il campanello d’allarme per qualcosa di più complesso, come ad esempio:
Una distrofia muscolare
L’ipotiroidismo
La leucemia
L’anemia;
La mioglobinuria
Un’insufficienza renale
E tante altre patologie…
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petshopstore · 7 years ago
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Insufficienza renale del gatto: cause, sintomi ed alimentazione
See on Scoop.it - Cani e gatti, alimentazione, educazione, cura
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L'insufficienza renale del gatto è una patologia che causa serie difficoltà di espulsione delle scorie dell'organismo mediante minzione. E' una delle malattie dei gatti che colpisce con maggiore frequenza i felini in età avanzata, ma la scienza sta registrando sempre più casi di insufficienza renale nei gatti giovani. L'insufficienza renale nel gatto può essere di due tipologie. La malattia può presentarsi nella forma acuta (IRA) o nella forma cronica (IRC).
Pet Shop Store's insight:
L'insufficienza renale del gatto è una patologia che causa serie difficoltà di espulsione delle scorie dell'organismo mediante minzione. E' una delle malattie dei gatti che colpisce con maggiore frequenza i felini in età avanzata, ma la scienza sta registrando sempre più casi di insufficienza renale nei gatti giovani. L'insufficienza renale nel gatto può essere di due tipologie. La malattia può presentarsi nella forma acuta (IRA) o nella forma cronica (IRC).
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notizieoggi24-blog · 6 years ago
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Formaggi francesi contaminati, il ministero della Salute sospetta di virus Escherichia coli
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Il formaggio morbido francese "Bisù" è stato sottoposto a sequestro dal ministero della Salute, per alcuni sospetti di contaminazione dal batterio dell'Escherichia coli. L'allerta sarebbe stata lanciata dalla Francia, che ha ipotizzato la contaminazione di alcuni formaggi già in vendita. Secondo la nota del ministero della Salute, si fa riferimento a casi di "sindrome emolitica uremica", che riguarda i lotti numero 19066, 19087, 19102. Il ministero avverte i consumatori che hanno già acquistato il prodotto di non usufruirne e di riportarlo al punto vendita. Ci sono alcuni marchi noti tra i rivenditori del formaggio contaminato, come Carrefour, Lidl ed Auchan. Sono state allertate le regione, affinché gli assessori alla Salute possano procedere con le verifiche del caso. Dalla Francia è stata lanciata un'allerta rapida, con il batterio che si manifesta a livello sanguigno, con problemi al sangue, di riduzione delle piastrine ed anomia ed ai reni, con insufficienza renale acuta. Read the full article
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aletheiaonline · 5 years ago
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Vademecum sul Coronavirus
Coronavirus Sintomi e diagnosi I sintomi più comuni di un’infezione da coronavirus nell’uomo includono febbre, tosse, difficoltà respiratorie. Nei casi più gravi, l’infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte. In particolare:
I coronavirus umani comuni di solito causano malattie del tratto respiratorio superiore da lievi a moderate,…
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allnews24 · 7 years ago
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Molinette, successo per il trapianto di rene da donatore dializzato
Molinette, successo per il trapianto di rene da donatore dializzato
Per la prima volta in Italia  è stato effettuato con successo un trapianto di rene su una donna da un donatore dializzato per insufficienza renale acuta, presso l’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino. E’ il caso di un eccezionale trapianto di reni effettuato alle Molinette due settimane fa. Il donatore, deceduto in un ospedale piemontese per una patologia congenita, nel suo…
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occhidibimbo · 7 years ago
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La preeclampsia o gestosi in gravidanza
Cosa si intende per pressione alta Quando parliamo di pressione arteriosa dobbiamo innanzitutto tener conto di due parametri: la pressione diastolica (o minima) e la pressione sistolica (o massima), che corrispondono rispettivamente alle fasi di diastole e sistole cardiache, ovvero alla forza che il sangue esercita sulle pareti delle arterie tra un battito e l’altro del cuore (nel caso della pressione minima) o quando il cuore si contrae (nel caso della pressione massima). Possiamo parlare di pressione arteriosa alta o ipertensione quando con un misuratore di pressione si rilevano valori della pressione superiori ai valori normali, e nello specifico: Ipertensione diastolica (quella che viene definita come “una minima alta”); Ipertensione sistolica (quando i valori della pressione massima sono oltre la norma); Ipertensione sisto-diastolica (quando entrambi i valori sono oltre la norma). I valori della pressione variano in base all’età e al sesso, oltre che ad essere influenzati da alcune patologie. In generale, la pressione arteriosa diastolica si situa tra i 60-90 mm Hg, mentre la sistolica tra i 100-140. Molto spesso i fattori di rischio che possono portare a una pressione arteriosa alta vanno ricercati in varie situazioni del nostro stile di vita e squilibri nella nostra dieta. Tra queste, sedentarietà, obesità, alcol e fumo, sostanze stupefacenti, eccesso di sodio o di zucchero, carenza di potassio o di vitamina D, stress e assunzione di alcuni farmaci. Nel caso in cui si manifesti in gravidanza, se associata a proteinuria, l’ipertensione provoca gravi rischi per la salute della futura mamma e del bambino, facendo insorgere quella che fino a qualche tempo fa veniva chiamata gestosi e che viene indicata come preeclampsia.
La pressione arteriosa durante la gravidanza
Durante la gravidanza la pressione arteriosa subisce dei cambiamenti. Nei primi due trimestri di gravidanza, infatti, soprattutto la minima tende a diminuire, per poi risalire verso la fine della gestazione. Il problema sorge se, dopo la ventesima settimana, la pressione si alza improvvisamente e nel contempo vi è una concentrazione anomala di proteine nelle urine, ovvero quella che viene indicata come proteinuria e che indica un difetto di funzionamento dei capillari dei reni che disperdono nell’urina proteine del sangue.
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In questo caso, se la donna in gravidanza presenta una pressione arteriosa uguale e superiore a 140/90 mm Hg o ha un rialzo improvviso di almeno 30 mm Hg della pressione minima e 15 mm Hg della massima, oltre che una proteinuria (oltre i 290 mg/l), si parla di preeclampsia (o toxemia gravidarium), chiamata comunemente in passato gestosi, una condizione clinica che va tenuta sotto stretto controllo, in quanto l’ipertensione provoca gravi rischi per la salute sia per la mamma sia per il nascituro. Cause e fattori di rischio della preeclampsia Benché la preeclampsia sia un disturbo che da sempre ha interessato le donne in gravidanza (se ne hanno notizie già dall’antica Grecia) e che ogni anno colpisca dal 3 al 5% delle donne che aspettano un bambino, a tutt’oggi le cause di questa patologia tipica della specie umana (non interessa infatti altri mammiferi) che dipende da un danno alle pareti dei vasi sanguigni della placenta non sono state ancora chiarite. In Italia l’incidenza della preesclampsia è piuttosto bassa, mentre in altri Paesi come ad esempio gli Stati Uniti la percentuale raggiunge valori molto più elevati. Questa patologia, inoltre, si verifica con più frequenza in caso di parti gemellari e per le primipare, ovvero per le donne che partoriscono per la prima volta, nonché in donne molto giovani o over 40. Tra i fattori di rischio accertati, l’obesità, ipertensione che sussisteva già prima della gravidanza, diabete, lupus eritematoso e patologie cardiovascolari quali ad esempio la trombofilia ereditaria (un difetto congenito dei meccanismi di coagulazione del sangue).
Come prevenire e curare la preeclampsia
In alcuni casi la preeclampsia si manifesta in forma lieve, mentre in altri subito in forma grave. Nei casi di preeclampsia lieve vengono innanzitutto prescritti riposo assoluto, controlli frequenti sia della pressione che delle urine e assunzione di farmaci ad azione ipotensiva. Nel caso di una grave preeclampsia può venir somministrato anche solfato di magnesio, utile per la prevenzione o il trattamento delle convulsioni. Studi recenti indicano che un trattamento a base di eparina e aspirina a basso dosaggio nelle prime dodici-quattordici settimane di gravidanza può ridurre il rischio di sviluppare preeclampsia in donne a rischio, mentre non ha alcun effetto nel caso in cui la malattia si sia già manifestata. In ogni caso, l’evoluzione di questa patologia è imprevedibile e può degenerare rapidamente. È dunque importante che le future mamme si attengano a controlli a intervalli periodici della pressione e a esami delle urine, in modo da poter eventualmente effettuare una diagnosi precoce. Questa malattia, infatti, non sempre presenta sintomi evidenti, ed è quindi molto importante monitorare che non vi siano ipertensione e proteinuria. Altrettanto importante che le donne in gravidanza facciano presente al proprio medico sintomi che possono far sospettare una preeclampsia, quali dolori addominali (soprattutto mal di stomaco), mal di testa, disturbi visivi (macchie scure o luminose davanti agli occhi oppure offuscamento della vista), oliguria (scarsa quantità di urine) e convulsioni. Tra le conseguenze dell’insorgenza di questa patologia, oltre al parto prematuro e a un malfunzionamento della placenta che può determinare un ritardo o addirittura un arresto della crescita del feto e, nei casi più gravi, danni neurologici e morte, vanno segnalati la sindrome HELLP (che oltre ai sintomi dell’eclampsia presenta anche emolisi e che si verifica nel 10-20% delle donne con preeclampsia grave o eclampsia), distacco della placenta, insufficienza renale acuta o epatica, edema polmonare, emorragia cerebrale e convulsioni. Questi ultimi sono tra i sintomi più evidenti di eclampsia gravidica, ovvero la peggior complicanza che può svilupparsi dalla preeclampsia. Purtroppo, proprio per le sue gravi complicanze, la preeclampsia è una delle cause principali di mortalità materna in gravidanza e durante il parto. In realtà l’unica terapia che sembra realmente efficace per questa patologia è il parto con l’espulsione della placenta, in quanto è proprio nella placenta che si trova la causa di questa malattia. Il problema sorge quando il parto dovrebbe essere indotto troppo precocemente, quando cioè il feto non ha ancora completato il suo sviluppo. È per questo motivo che, in caso di insorgenza precoce della malattia, si cercano di tenere sotto controllo le condizioni della mamma e di allungare il più possibile i tempi, di modo che il feto possa raggiungere uno sviluppo sufficiente prima del parto. Nei casi più gravi è consigliato il ricovero in un centro altamente specializzato dove in caso di urgenza si possa intervenire tempestivamente con un parto cesareo e avere tutti i mezzi necessari per assistere in modo adeguato il neonato prematuro e la mamma. Anche se generalmente le quarantotto ore successive al parto sono considerate le più pericolose, solitamente dopo il parto i sintomi si attenuano spontaneamente. Anche se poco frequente, in alcuni casi questa condizione può verificarsi anche dopo diverso tempo dalla nascita del bambino (preeclampsia post partum) ed è per questo motivo che sono consigliati controlli periodici e regolari misurazioni della pressione anche successivamente al parto. Read the full article
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medicomunicare · 2 years ago
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Il problema del danno renale acuto: non solo clinico, ma anche economico e di opzioni preventive e di supporto
Il problema del danno renale acuto: non solo clinico, ma anche economico e di opzioni preventive e di supporto
Il Danno renale acuto o AKI – una situazione comune che si verifica in circa il 20% dei ricoveri ospedalieri di emergenza nel Regno Unito. La condizione è solitamente causata da altre malattie che riducono il flusso sanguigno al rene o dalla tossicità derivante da alcuni farmaci. L’AKI deve essere trattato rapidamente per prevenire la morte. Anche se i reni si riprendono, l’AKI può causare danni…
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media4health · 8 years ago
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Edoxaban nei pazienti anziani, fragili e ad alto rischio
Congresso ANMCO 2017. Fibrillazione atriale e TEV, edoxaban vince la sfida del trattamento di pazienti anziani, fragili e ad alto rischio
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Dati real world indicano che i NAO sono spesso utilizzati a dosaggi più bassi di quelli raccomandati, spesso a causa dell’avanzata età del paziente e della presenza di comorbilità, eppure l’utilizzo improprio dei bassi dosaggi aumenta il rischio di eventi tromboembolici. Edoxaban invece dimostra la stessa efficacia e un maggior profilo di sicurezza della terapia standard con warfarin proprio nei pazienti più fragili e anziani, anche a dosaggio ridotto. Al Congresso ANMCO presentati due casi “real life”.
Rimini, 12 maggio 2017 – Edoxaban (LIXIANA®), ultimo arrivato in ordine di tempo nel panorama dei NAO, si è dimostrato altrettanto efficace e più sicuro del warfarin nella prevenzione di ictus ed embolia sistemica nei pazienti affetti da fibrillazione atriale e nel trattamento e nella prevenzione di recidive della tromboembolia venosa, anche nei pazienti molto anziani e fragili, e in generale nei pazienti che richiedono un dosaggio ridotto perché ad alto rischio di sanguinamenti. E’ quanto illustrato oggi durante il simposio interattivo “Verso un’anticoagulazione sempre più orientata al paziente: cosa aggiunge edoxaban”, promosso dall’azienda farmaceutica Daiichi Sankyo nella cornice del Congresso dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) in corso a Rimini. Nel meeting sono stati presentati due casi reali di pazienti fragili trattati con edoxaban, uno per la FANV e l’altro per la TEV, ciascun caso con 4 snodi decisionali sui quali il pubblico è stato invitato a esprimersi tramite voto elettronico per scoprire poi la risposta che ha ottenuto più voti e quella operata dal clinico che ha trattato il paziente.
Bassi dosaggi: l’utilizzo improprio nel real world. Sebbene ormai sia riconosciuta l’efficacia e la sicurezza sulla popolazione generale dei nuovi anticoagulanti orali attualmente disponibili, il trattamento dei soggetti più fragili e anziani rappresenta per gli specialisti una sfida difficile e non ancora vinta. Dati real world indicano infatti che i NAO sono spesso utilizzati a dosaggi più bassi di quelli raccomandati. Le comorbilità dei pazienti svolgono spesso un ruolo chiave in questa scelta, eppure l’utilizzo improprio dei bassi dosaggi, non rispettando le indicazioni delle schede tecniche, mette il paziente a rischio di eventi tromboembolici.
Le indicazioni per la dose ridotta di 30 mg di edoxaban sono chiare e semplici: pazienti con compromissione renale da moderata a severa (CrCL 15–50 ml/min), peso corporeo ≤ 60 kg o trattamento concomitante con inibitori della P-gp.
Edoxaban è il NAO testato sul più ampio numero di pazienti (sia con FANV che con TEV) appartenenti a queste categorie, grazie ad analisi pre-specificate su sottogruppi più a rischio di sanguinamenti (anziani, pazienti con insufficienza renale moderata-severa, pazienti in trattamento concomitante con aspirina, diabetici, e con elevata prevalenza di cardiopatia ischemica), e alcuni dei quali trattati con la dose ridotta di 30 mg.
Un’ulteriore sfida per i clinici è rappresentata, inoltre, dai pazienti affetti da fibrillazione atriale che vanno incontro a una procedura di cardioversione elettrica, che spesso viene preceduta da un ecocardiogramma transesofageo (TEE), e anche in questi casi edoxaban sia nel dosaggio pieno che in quello ridotto, ha mostrato risultati consistenti prima nello studio ENSURE-AF e poi nella pratica clinica.
Edoxaban per il paziente con FANV anziano, fragile e sottoposto a cardioversione. Il primo caso reale, illustrato dalla dott.ssa Roberta Rossini, Dirigente Medico I livello, USC di Cardiologia dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ha riguardato un soggetto che racchiude tutte le criticità che si trovano ad affrontare gli specialisti: paziente anziano, fragile, con insufficienza renale, in trattamento con aspirina, che deve essere sottoposto a cardioversione in elezione.
Già nello studio ENSURE-AF, edoxaban ha mostrato un livello di efficacia e sicurezza comparabile a una somministrazione di enoxaparina/warfarin per la prevenzione dell’ictus e di altre complicanze tromboemboliche, e ha fatto registrare un’incidenza numericamente inferiore di mortalità cardiovascolare (0,1% vs. 0,5%, rispettivamente), emorragie gravi ed emorragie fatali (0,3% vs. 0,5%, rispettivamente) con un net clinical outcome di 0,7 % vs 1,4 % per warfarin/enoxaparina. “Pur essendo l’ultimo arrivato, edoxaban è destinato a rivestire un ruolo molto importante nello scenario della gestione della fibrillazione atriale. La cardioversione, ad esempio, è una procedura che richiede particolare cautela, perché può comportare il rischio di eventi ischemico/emorragici, specie nei primi giorni dopo la procedura. Per tale motivo, nella pratica clinica, spesso si esegue un eco transesofageo prima di una cardioversione elettrica di FANV, pur in presenza di una anticoagulazione efficace nelle settimane precedenti alla procedura. Ad eccezione di alcune analisi post-hoc, sono stati condotti fino ad ora solo due studi clinici randomizzati che hanno testato i NAO in pazienti candidati a cardioversione elettrica per FA, uno di questi è stato condotto proprio con edoxaban. Lo studio ha dimostrato che edoxaban risulta un’alternativa efficace e sicura al trattamento convenzionale, consentendo l’esecuzione di una cardioversione elettrica con, ma anche senza, l’impiego di ecocardiogramma transesofageo”, ha spiegato la dott.ssa Rossini.
La relatrice si è inoltre soffermata sui problemi della gestione dell’anticoagulazione nei pazienti anziani, i quali presentano un alto rischio trombotico e sono anche frequentemente sottotrattati o non trattati adeguatamente secondo le indicazioni. ” Il paziente anziano rappresenta, ancora oggi, un’importante sfida per il cardiologo, specie in merito alla gestione di terapia antitrombotica. Il paziente anziano presenta un rischio ischemico maggiore, ma è anche quello che, a causa della molteplici comorbidità, può sviluppare un maggior rischio emorragico. Il trial su edoxaban è lo studio che ha arruolato il maggior numero di pazienti anziani, dimostrando che il profilo di efficacia e sicurezza rimane inalterato a prescindere dall’età, con un trend di sicurezza addirittura migliore rispetto a warfarin; risultati peraltro confermati anche con il dosaggio di 30 mg, in pazienti che richiedono una riduzione della posologia perché affetti da insufficienza renale”. Inoltre sicurezza ed efficacia di edoxaban rispetto a warfarin ben gestito risultano costanti, a prescindere dall’età del paziente, dalla somministrazione concomitante di terapia antipiastrinica, e dalla presenza o meno di scompenso, più o meno grave.
Edoxaban per il paziente con TEV (embolia polmonare severa), anziano e fragile. Il secondo caso, illustrato dalla dott.ssa. Cecilia Becattini, Professore Associato di Medicina Vascolare e d’Urgenza all’Università di Perugia, ha riguardato un altro paziente fragile con embolia polmonare a rischio intermedio/intermedio-alto, anziano, con insufficienza renale, clearance della creatinina borderline intorno ai 30ml/min, e scompenso cardiaco. Un caso emblematico che ha confermato i risultati ottenuti da edoxaban nel trial HOKUSAI-VTE che, grazie al lead-in di eparina, ha ottenuto una maggior aderenza alle linee guida e ha potuto arruolare il più alto numero con embolia polmonare estesa, rispetto a quelli di altri NOAC, dimostrando la stessa efficacia e una sicurezza superiore rispetto al warfarin, anche con il dosaggio ridotto a 30 mg.
Edoxaban ha infatti dimostrato risultati di efficacia e sicurezza consistenti in un ampio spettro di pazienti, inclusi quelli fragili che, a causa delle loro condizioni cliniche, rispondevano ai criteri per l’assunzione del dosaggio ridotto. In questi casi, edoxaban si è dimostrato altrettanto efficace e più sicuro del warfarin nella riduzione dei sanguinamenti (7,9% vs 12,8% rispettivamente), mostrando la stessa efficacia nel prevenire le recidive di TEV rispetto ai soggetti trattati con la dose piena di 60 mg di edoxaban. Nei pazienti con embolia polmonare severa e disfunzione ventricolare destra (NT-proBNP ≥500 pg/ml), edoxaban ha dimostrato il dimezzamento di recidive di TEV con una contemporanea riduzione statisticamente significativa di sanguinamenti clinicamente rilevanti.
Inoltre, nei pazienti che necessitano di proseguire la terapia dopo la fase acuta di 3 mesi, edoxaban mantiene il suo profilo di efficacia rispetto al warfarin, ma determina una riduzione significativa dei sanguinamenti maggiori (0,3% vs 0,7% rispettivamente).
Monosomministrazione giornaliera per una maggiore compliance e sicurezza. Edoxaban (LIXIANA®) è anche un anticoagulante orale comodo e maneggevole, grazie alla monosomministrazione giornaliera e alle scarse interazioni farmacologiche. Esso è infatti l’unico NAO ad avere uno studio di fase II dose-finding in cui vengono messi a confronto i regimi di monosomministrazione e doppia somministrazione giornaliere in pazienti con FANV. Lo studio ha dimostrato che i soggetti che assumevano edoxaban una volta al giorno (60 mg in monosomministrazione) presentavano un minor numero di eventi emorragici rispetto ai pazienti cui è stato somministrato il farmaco due volte al giorno (30 mg in doppia somministrazione).
Dunque la monosomministrazione giornaliera di LIXIANA® ha il vantaggio clinicamente provato di una maggiore compliance alla terapia rispetto alla doppia somministrazione, e questo, nella pratica quotidiana, determinerebbe un beneficio per diverse tipologie di pazienti: anziani e soggetti con comorbilità che usano comunemente terapie farmacologiche complesse con più farmaci che possono influenzarne negativamente l’aderenza, pazienti con sospetta bassa compliance, nonché giovani lavoratori attivi, riluttanti ad assumere farmaci.
Fonte: Daiichi Sankyo
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okmugello · 8 years ago
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Obbligo vaccinale. Interessante intervento sulle motivazioni di chi è contrario
Obbligo vaccinale. Interessante intervento sulle motivazioni di chi è contrario
Volentieri oggi (mercoledì 29 marzo) OK!Mugello pubblica il bell’intervento di Alessandra Ghisla. Una spiegazione molto chiara delle motivazioni e delle ragioni di chi protesta contro l’obbligo vaccinale:
Alterazioni ematologiche, sonnolenza, nausea, vomito, orticaria, arrossamento cutaneo, porpora trombocitopenica, broncospasmo, insufficienza renale con necrosi tubulare acuta, aritmie cardiache,…
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amicodottore-blog · 8 years ago
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Inibitori diretti della renina: Aliskiren
L'Aliskiren (INN) è il primo principio attivo della classe di farmaci noti come inibitori diretti della renina. È commercializzato in U.S.A con il nome di Tekturna e in Europa, compresa l'Italia, con il nome di Rasilez. È stato approvato nel 2007 dalla Food and Drug Administration per il trattamento dell'ipertensione primaria.
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La renina è il primo enzima del sistema renina-angiotensina-aldosterone che ha un ruolo nel controllo della pressione arteriosa. Viene secreto dall'apparato iuxtaglomerulare renale in seguito a stimolazione simpatica (la noradrenalina attiva i recettori di tipo beta) in genere provocata da un abbassamento della pressione arteriosa, converte l'angiotensinogeno (proteina inattiva prodotta dal fegato e normalmente circolante) in Angiotensina 1, che viene poi convertita dall'enzima ACE ("enzima che converte l'Angiotensina") in Angiotensina 2, proteina attiva dalle capacità vasocostrittrici e stimolante la produzione di aldosterone dalla corteccia surrenale, che a sua volta stimola il riassorbimento di sodio con incremento della ritenzione idrica, espansione del volume plasmatico e così aumento dei valori pressori.
L'Aliskiren si lega alla tasca secondaria S3bp della renina.
Diversi farmaci controllano la pressione arteriosa interferendo con l'angiotensina o l'aldosterone, tuttavia quando questi sono usati in cronico, vi può essere un aumento della produzione di renina come risposta del nostro organismo. L'aumento della renina nel sangue può re-innalzare i livelli di pressione arteriosa: la ricerca si è indirizzata verso la produzione di un farmaco che inibisse direttamente la renina e l'Aliskiren è il primo di questi farmaci.
L'assunzione del farmaco riduce significativamente l'albuminuria in pazienti trattati con terapia antipertensiva ottimale.
La Commissione Europea per il Farmaco ha approvato la commercializzazione delle associazioni di Aliskiren con Idroclortiazide, con Amlodipina e con entrambi i farmaci.
Reazioni avverse
Le evidenze suggeriscono rischi di eventi avversi (ipotensione, sincope, ictus, iperkaliemia e alterazioni della funzionalità renale, inclusa insufficienza renale acuta) quando aliskiren è assunto in combinazione con ACE-inibitori o ARB (farmaci antagonisti del recettore per l'angiotensina).  Specialmente in pazienti con diabete di tipo I e II o con insufficienza renale. Sebbene, per altri gruppi di pazienti, siano disponibili minori evidenze non si possono escludere eventi avversi e quindi il CHMP (Committee for Medicinal Products for Human Use) non raccomanda l'uso di questa associazione.
Angioedema
Iperpotassiemia
Ipotensione
Diarrea ed altri sintomi gastrointestinali
Cefalea
Vertigine
Tosse
Rash cutaneo
Controindicazioni
Gravidanza
Allattamento
Pazienti con Diabete di tipo I e II in trattamento con un ACE-inibitore o un ARB
Pazienti con Insufficienza renale da moderata a grave in trattamento con un ACE-inibitore o un ARB
Interazioni farmacologiche
riduce la concentrazione di Furosemide
può aumentare la concentrazione di Atorvastatina
possibile interazione con Ciclosporina
particolare attenzione nell'utilizzo con Ketoconazolo
Ipertensione: il killer silenzioso da prevenire.
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wdonnait · 5 years ago
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Emocromocitometrico : cos'è e cosa comprende
Nuovo post pubblicato su https://www.wdonna.it/emocromocitometrico-cose-e-cosa-comprende/106561?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=106561
Emocromocitometrico : cos'è e cosa comprende
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L’esame emocromocitometrico (o più semplicemente emocromo) è uno dei più noti quando si effettuano le analisi del sangue. 
Il suo obiettivo, è quello di valutare lo stato di salute di un paziente, basandosi su una serie di parametri, come ad esempio:
Il numero delle cellule ematiche, e dunque globuli bianchi (leucociti), globuli rossi (eritrociti) e piastrine (trombociti)
La proporzione del volume di sangue data dagli eritrociti
La percentuale dettagliatadei globuli bianchi, che si possono classificare in linfociti, monociti, neutrofili, basofili ed eosinofili. 
Esame emocromocitometrico mcv
Confrontando i risultati dell’emocromocitometrico, possiamo notare che non sono soltanto i globuli bianchi a ricevere una particolare attenzione, bensì anche i globuli rossi e le piastrine.
Infatti, con la sigla MCV si fa riferimento alla misura delle dimensioni medie dei globuli rossi. Come molti di voi già sanno, i globuli rossi, sono le cellule del sangue più diffuse.
Osservandole al microscopio, sarà possibile appurare la loro forma biconcava (ossia leggermente schiacciata nella parte centrale) e il colore rosso, dato dalla presenza dell’emoglobina. Quest’ultima è una delle proteine più importanti in assoluto, in quanto consente il trasporto dell’ossigeno nel sangue e contiene ferro.
Il midollo osseo deve produrre costantemente questi globuli, poiché vengono eliminati dalla milza ogni quattro mesi circa. Senza contare il fatto che una parte di essi li perdiamo ogni volta che sanguiniamo.
Valutare le loro dimensioni attraverso l’MCV, ci fa capire nel dettaglio il nostro stato di salute. 
Esame emocromocitometrico mon
Attraverso l’esame emocromocitometrico, si ha modo di calcolare anche il MON. Cosa indica questa sigla?
Essa fa riferimento ai monociti, ossia un tipo di globuli bianchi molto importanti, in quanto adibiti alle nostre difese immunitarie. Inoltre, fanno particolare riferimento a infezioni, fagogitosi (ossia la capacità cellulare di inglobare dei virus), la coagulazione (attività svolta dalle piastrine) e altri fattori patologici, come ad esempio l’arteriosclerosi. 
Emocromo completo cosa comprende
Come vi abbiamo accennato in precedenza, l’emocromo (o esame emocromocitometrico), mira all’analisi dello stato di salute generale di un essere umano.
Oltre a basarsi sul numero delle cellule ematiche, la proporzione del volume di sangue occupata dagli eritrociti e la formula leucocitaria, l’emocromo analizza le caratteristiche dei globuli rossi e delle piastrine.
Prima vi abbiamo parlato dell’MCV, ossia la misura media dei globuli rossi ma in realtà esistono altri valori essenziali, per far sì che un esame di emocromo risulti completo. Eccone alcuni:
Contenuto medio dell’emoglobina nei globuli rossi (MCH) 
Concentrazione media di emoglobina nelle emazie (MCHC) 
Misura delle dimensioni medie di una piastrina (MPV) 
La variabilità delle dimensioni dei globuli rossi (RDW)
Quest’esame, viene vivamente consigliato periodicamente, specialmente per chi soffre di alcune patologie o manifesta una serie di sintomi sospetti. Nella tabella seguente, vi mostriamo i valori medi che dovrebbero apparire nei risultati di emocromocitometrico (alcuni variano in base al sesso o ad altri fattori):
Ematocrito (Hct) 40-54% (uomo) 38-47% (donna)
Emoglobina (Hb) 13,5-18 g/dl (uomo) 12-16 g/dl (donna)
Eritrociti/μl (RBC) 4,6-6,2 x 106 (uomo) 4,2-5,4 x 106 (donna)
Volume corpuscolare medio (MCV) 80-98 fl (uomo) 81-99 fl (donna)
Emoglobina corpuscolare media (MCH) 26-32 pg (uomo) 26-32 pg (donna)
Concentrazione emoglobinica corpuscolare media (MCHC) 32-36% (sia per gli uomini che per le donne)
Ampiezza di distribuzione degli eritrociti (RDW) 11,6-14,6% (uomini e donne)
Reticolociti 0,5-2,5%
Valori emocromo in caso di tumore
Quando l’esame emocromocitometrico presenta delle anomalie, è bene rivolgersi al medico. Egli saprà analizzare al meglio la situazione e definire se alla base di tutto c’è una situazione tranquillamente risolvibile (ad esempio attraverso dei farmaci) o più complessa.
Nei casi più gravi, un emocromo dai valori sballati potrebbe essere la spia di un tumore. Ovviamente non è una cosa certa: per poter fare una diagnosi ben precisa, sarà necessario sottoporsi ad ulteriori esami clinici.
Di conseguenza, non esistono dei valori precisi di emocromo che indicano un tumore, al massimo lasciano dei sospetti. Questo perché la possibilità che l’emocromocitometrico risulti sballato non è bassa.
Spesso infatti, il paziente può semplicemente soffrire di qualche infezione, carenza di ferro, anemia e altre patologie. Pertanto, non ha senso cadere in inutili allarmismi ancor prima di saperne di più.
Emocromo basso
L’emocromo basso si verifica quando il valore dei globuli rossi risulta essere inferiore rispetto al previsto. Tale fenomeno è dato da una scarsa presenza di emoglobina.
Di conseguenza, potrebbe essere correlato ad una serie di problematiche, tra cui:
Anemia
Emolisi
Disturbi al midollo osseo
Infiammazioni 
Ulcere
Emorroidi
Insufficienza renale
Perdite di sangue anomale
E tanto altro ancora… 
Tuttavia, bisogna tenere a mente che alcune donne presentano un emocromo basso dopo aver effettuato l’esame con il ciclo mestruale. Quest’ultimo potrebbe influire notevolmente sull’esito, mostrando dei valori sballati (ad esempio la carenza di ferro). L’emocromo basso può inoltre dipendere da una serie di carenze alimentari: vitamina B12, folati e via dicendo.
Se i valori sballati dovessero invece riguardare i globuli bianchi, è probabile che sia proprio una questione di costituzione (purché la differenza non sia eccessiva) o qualche malattia autoimmune. In ogni caso, non si possono effettuare delle diagnosi affrettate basandosi semplicemente su dei valori.
Pertanto, come vi abbiamo accennato in precedenza, è preferibile sottoporsi ad ulteriori accertamenti. 
Emocromo alto
Allo stesso tempo, può succedere che una persona si ritrovi con la problematica opposta, ossia l’emocromo alto.
Questo caso è molto più raro ma non di certo impossibile: nell’eventualità in cui un soggetto dovesse presentare un eccessivo numero di globuli rossi e di dimensioni ridotte, è probabile che sia affetto da anemia mediterranea.
In alternativa, bisogna prendere in considerazione altri fattori, tra cui:
Uno stato di disidratazione, generato da virus intestinale e diarrea frequente
Tabagismo, ossia l’inalazione del fumo di tabacco, in maniera tossica e assidua
L’assunzione di eritropoietina, un ormone adibito alla regolarizzazione dei globuli rossi
La mancanza di ossigeno, causata da fattori ignoti
Quando i valori alti di emocromo coinvolgono i globuli bianchi, potrebbe trattarsi di semplice stress, oppure infiammazioni, ustioni e in rari casi leucemia. Invece, se l’emocromocitometrico dovesse rilevare un’alta presenza di piastrine, si parla di trombocitosi ed è probabile che abbia a che fare con le seguenti condizioni:
Post intervento
Post partum
Iniezione di adrenalina
Stress acuto
Necrosi tissutale
Emorragia acuta
Malattie infiammatorie intestinali
E tanto altro ancora…
Ricordatevi sempre che riscontrare dei valori sballati di emocromo può capitare a tutti, l’importante è sapersi documentare e approfondire, in modo da poter individuare le cause e le cure più idonee.
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medicomunicare · 2 months ago
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Lesione renale acuta e aumento del rischio di alcune forme di demenza: un legame preoccupante
Panoramica sulla lesione renale acuta La lesione renale acuta (AKI, dall’inglese Acute Kidney Injury) è una condizione medica caratterizzata da un’improvvisa riduzione della funzione renale, che porta a un accumulo di prodotti di scarto nel sangue e a uno squilibrio nei liquidi corporei. Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha evidenziato un possibile legame tra l’AKI e un aumento del…
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