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La via della Musica – 4ª edizione: il 13 aprile a Castellazzo Bormida un viaggio tra Rossini, Verdi, Grieg e Dvořák con Ivana Zincone e Ilaria Davite
Le Associazioni culturali Artemusica e Stabilimento delle Arti di Alessandria, dirette da Ivana Zincone e Michela Maggiolo hanno il piacere di proporre l’ultimo appuntamento de La via della Musica – Quarta Edizione Domenica 13 aprile 2025 – ore 17:00 presso la sede della Fondazione Longo in via Giraudi 461, Castellazzo Bormida. La rassegna è realizzata con il contributo della Fondazione Cassa di…
#Alessandria today#aumenti Irpef#Basilica di Collemaggio#buchi di bilancio#capitale cultura senza idee#Celestino V#cittadini abruzzesi penalizzati#crisi politica Abruzzo#critica istituzionale#cultura giovanile#cultura in Abruzzo#cultura senza progettazione#diritti dei cittadini#disillusione giovanile#disservizi sanitari#fallimento politico#giovani abruzzesi#giunta regionale Abruzzo#giustizia sociale#Google News#inefficienza amministrativa#investimenti culturali#Irpef Abruzzo#italianewsmedia.com#L&039;Aquila Capitale della Cultura#Lava#mala gestione fondi#Partecipazione pubblica.#Pier Carlo#politica in Abruzzo
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Marine Le Pen, leader del Rassemblement National (RN), ha visto la sua figura, già contornata da controversie e dibattiti, finire al centro di una tempesta giudiziaria che non mancherà di sollevare ondate politiche in tutta Europa. L'accusa è pesante: appropriazione indebita di fondi pubblici, un crimine che coinvolge anche altri otto eurodeputati, tutti membri di partiti euroscettici, che avrebbero abusato dei finanziamenti destinati alle loro attività parlamentari per scopi personali.Il processo che si sta celebrando a Parigi ha assunto toni particolarmente intensi. Gli inquirenti accusano Le Pen e i suoi colleghi di aver utilizzato fondi pubblici in maniera illegale, destinandoli a spese private, tra cui il pagamento di salari a membri del suo entourage e altre voci non giustificate, il tutto sotto la copertura di finanziamenti ufficiali per attività legittime legate al loro ruolo di eurodeputati.Questa vicenda non è una semplice questione amministrativa. Si intreccia con una visione più ampia di come vengono gestiti i fondi pubblici in Europa, e si fa portatrice di un messaggio particolarmente velenoso per il sistema politico europeo, un sistema che già da tempo è sotto accusa per la sua opacità e i suoi eccessi.Le richieste avanzate dalla pubblica accusa sono drammatiche e faranno sicuramente tremare la politica francese ed europea. Cinque anni di condanna, di cui tre da scontare con la condizionale, rappresentano una pena che, se dovesse essere confermata, segnerà un duro colpo per Le Pen, che aveva cercato di porsi come alternativa alla classe politica tradizionale, accusata di inefficienza e corruzione.Ma c'è di più. L'accusa ha chiesto anche l'ineleggibilità immediata per la leader del Rassemblement National, con effetto immediato, senza attendere i successivi gradi di giudizio. Una richiesta che se accolta, spazzerebbe via la sua carriera politica in un colpo solo, facendola uscire di scena dalla scena politica europea prima che il caso possa esaurirsi nel lungo percorso giudiziario.Questo processo non riguarda solo Marine Le Pen, ma rappresenta una battaglia simbolica per l’intero Parlamento europeo. Un’istituzione che, tra i suoi membri, ha visto crescere non solo i difensori della costruzione dell’Europa, ma anche gli oppositori più determinati all’integrazione europea. Tra questi, Le Pen è sempre stata una delle voci più forti, un baluardo della destra sovranista, che ha costruito la sua retorica sulla difesa dell’identità nazionale e contro le istituzioni europee, accusate di abusare del potere per gli interessi di pochi.Se l’accusa fosse confermata, l'impatto non riguarderebbe solo il destino politico della leader del RN, ma anche la credibilità di tutte le forze politiche che si battono contro l’Unione Europea. Marine Le Pen, infatti, ha costruito la sua carriera su un discorso di lotta contro la classe dirigente, la quale a suo dire avrebbe condotto l’Europa sulla strada della rovina. Ma ora, proprio lei potrebbe diventare la vittima della stessa logica di corruzione e abuso di potere che ha tanto criticato.Naturalmente, gli avvocati della difesa non ci stanno. Le Pen ha sempre sostenuto di essere vittima di una persecuzione politica, di un’operazione giudiziaria finalizzata a danneggiare la sua immagine e a indebolire la sua battaglia contro l’élite europea. Le Pen non è nuova a questi attacchi e ha spesso utilizzato la sua posizione di bersaglio per galvanizzare la sua base elettorale, accusando la giustizia e il sistema politico di volerla ostacolare.Il processo, infatti, si svolge in un periodo particolarmente delicato. Le elezioni europee sono imminenti, e la politica francese è in fermento. Il Rassemblement National ha già dichiarato che Le Pen continuerà a lottare per i suoi diritti e che la sua battaglia non finirà qui. In effetti, la sensazione è che questo caso non si chiuderà con una sentenza rapida, ma che si trascinerà per mesi, forse anni, alimentando ancora di più la divisione tra chi vede in Le Pen una vittima di un sistema corrotto e chi la considera responsabile di un abuso di potere.In ogni caso, questa vicenda ha il potenziale di ridisegnare il panorama politico europeo. Un’Europa già fragile, che fatica a trovare un equilibrio tra la tradizione dell’integrazione e la crescente onda di nazionalismo, si trova ora a dover fare i conti con un caso che mette in discussione non solo l’integrità di un singolo politico, ma anche la credibilità delle stesse istituzioni che rappresentano.Marine Le Pen, a suo modo, è una delle voci più potenti d’Europa, e il suo caso potrebbe essere uno spartiacque. La sentenza, che giungerà fra qualche tempo, non cambierà solo il suo futuro, ma potrebbe riscrivere le regole di un’intera stagione politica. Read the full article
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Boabab, terzo giorno di sgomberi: "I diritti dei migranti sono calpestati e umiliati" Per il terzo giorno consecutivo sono continuati gli sgoberi a Piazzale Spadolini, con l'identificazione dei migranti, titolari di asilo politico, accolti da Baobab Experience. Come scrive Baobab sul sito dell'associazione, si tratta di "giovani uomini a cui è stata riconosciuta protezione internazionale o sussidiaria, con diritto all’accoglienza, diritto quotidianamente ignorato, umiliato, calpestato". Continua Baobab: "Mostrano i loro titoli di soggiorno e non capiscono e non possono capire perché li stiano facendo salire su una camionetta in direzione della Questura per stranieri di Roma. Il riconoscimento e la verifica potrebbero essere immediati, eppure li aspetta un’intera mattina e un intero pomeriggio per un controllo punitivo. Il crimine è l’esistenza stessa". "La vita di strada non è una scelta per queste persone; è una costrizione impartita da inefficienza amministrativa e irresponsabilità politica. Per Autorità, alcuni media e sedicenti Comitati di quartiere, l’ineludibile presenza fisica sul territorio significa “bivacco”. Ma a Piazzale Spadolini ci sono ragazzi in cassa integrazione, persone che hanno perso il lavoro a causa del coronavirus, esseri umani che nonostante la propria legalità sul territorio non hanno incontrato altrettanta legalità da parte di nostrani datori di lavoro e sono impiegati, quindi, al nero, per pochi soldi. Ci sono persone che non si sono più potute permettere l’affitto di una stanza. C’è una moltitudine infinita di situazioni individuali, che lo Stato, a tutti i suoi livelli, ha scelto consapevolmente di lasciare indietro. E infine ci sono i transitanti, migranti che vogliono andare altrove in cerca di una vita migliore, alla stregua di tanti giovani italiani. L’talia è per loro solo una penisola del Mediterraneo: le mete sono Francia, Germania, Scandinavia. Contro il loro desiderio, sono rimasti incastrati qui, a causa delle ulteriori restrizioni agli spostamenti decretati per l’emergenza covid, già ostacolati dall’impermeabilità di tante frontiere. Per porre fine al fenomeno dei senza fissa dimora di Tiburtina Est non servono camionette e Forze dell’ordine. Serve ripristinare e ripensare la libertà di movimento. Serve rispettare i diritti di chi ne è titolare e riattribuire dignità e visibilità a coloro che si sono visti spogliare, legge dopo legge, governo dopo governo, di ogni riconoscimento e tutela. Serve politica" (globalist)
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SALERNO. LAMBIASE (M5S): "VERDE PUBBLICO, PROVA DI INEFFICIENZA AMMINISTRATIVA" - Agenda Politica | www.agendapolitica.it
SALERNO. LAMBIASE (M5S): “VERDE PUBBLICO, PROVA DI INEFFICIENZA AMMINISTRATIVA” – Agenda Politica | www.agendapolitica.it
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Impianto di pubblica illuminazione malfunzionante, Uniti per Baia e Latina interroga il sindaco per eliminare diverse criticità
Friello: “Sono diversi mesi che, in alcuni tratti di strade comunali, ci troviamo in presenza di punti luce che non funzionano.”
Nuova interrogazione del gruppo consiliare “Uniti per Baia e Latina” sulla attività amministrativa portata avanti, begli ultimi quattro mesi, dalla nuova amministrazione Di Cerbo.
Con proprio interpello, il consigliere Vincenzo Friello ha chiesto al sindaco lumi sull’efficienza dell’impianto della pubblica illuminazione che si presenta in uno stato di totale inefficienza e di trascuranza.
“Sono diversi mesi che, in alcuni tratti di strade comunali, ci troviamo in presenza di punti luce che non funzionano. Nonostante i nostri diversi solleciti a diversi amministratori, tutto tace e nessuno ha avuto l’accortezza e la sensibilità di prendere qualche provvedimento in merito”, spiega il rappresentante della minoranza Friello.
“Siamo convinti che tutti noi consiglieri comunali di maggioranza e minoranza, liberamente, abbiamo scelto di metterci a disposizione dei nostri concittadini e della nostra comunità. Se oggi assistiamo ad un comportamento asettico e distante, verso i problemi del nostro Comune, cosa pensate di fare in futuro?”, si chiedono i consiglieri di Uniti per Baia e Latina, Massimo Leardi e Friello.
source https://www.ilmonito.it/impianto-di-pubblica-illuminazione-malfunzionante-uniti-per-baia-e-latina-interroga-il-sindaco-per-eliminare-diverse-criticita/
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/10/04/la-giornata-della-memoria-delle-vittime-meridionali-del-risorgimento-interroga-la-storia-del-processo-unitario/
La Giornata della Memoria delle vittime meridionali del Risorgimento interroga la storia del processo unitario
di Michele Eugenio Di Carlo
Pasquale Soccio, gra…nde letterato garganico del Novecento, scriveva che il Daunus pauper acquae di Orazio e «i briganti dell’arsa Puglia» di Carducci, irrompevano « nel mondo della nuova storia, divenendone per un lustro attori e protagonisti di primo piano». Ora non è più ammissibile ritenere che i briganti del Sud siano stati sic et sempliciter ladri e assassini. Essi si mossero alla rivolta spinti da condizioni di vergognosa e ignobile ingiustizia sociale, relegati all’ultimo stadio della società civile. Usare il termine «civile» per indicare le condizioni di vita del ceto subalterno, costituito in gran parte da braccianti, da contadini, da artigiani pressati e compressi da strutture ancora feudali, notevolmente aggravate con l’avvento dei Savoia e mantenute in essere da una classe privilegiata di galantuomini senza scrupoli alleata con il nuovo potere, è solo un eufemismo spregiudicato. Meglio usare il termine «barbaro» per rappresentare lo status di vita di piccoli contadini e braccianti senza terra, che subito dopo l’occupazione dei Savoia si rivoltarono contro un consolidato e secolare sistema di prevaricazione e di prepotenze che i Borbone si erano, perlomeno, preoccupati di controllare e indebolire. Le rivolte delle masse contadine, iniziate già nell’estate 1860, furono dettate da secolari motivi di contrasto con la nobiltà e con la subentrata borghesia agraria a causa delle questioni demaniali, inerenti principalmente l’uso e la proprietà dei terreni demaniali usurpati e la reintegra negli usi civici negati. E, comunque, queste prime rivendicazioni sociali furono inizialmente prive di indirizzo politico clericale e borbonico e per lo più furono isolate, incerte, occasionali, frammentate e, quindi, facilmente reprimibili dalle truppe garibaldine e dalla Guardia Nazionale dei galantuomini. Franco Molfese, nella Storia del brigantaggio dopo l’Unità, fatta una rassegna dei moti avvenuti durante l’estate nel Beneventano, nell’Irpinia, nel Matese, nel Vastese, nel Molise, dopo accurati studi ha concluso che «furono sommosse sporadiche, provocate perlopiù da contrasti municipali e da motivi di malcontento locali. Da questa sommaria rassegna risulta pertanto abbastanza evidente il carattere spontaneo ed ancora circoscritto dei moti dei contadini, prodottisi nelle provincie continentali liberate, fino al momento della controffensiva militare borbonica. Non è dato rintracciarvi organizzazione e direttive comuni, azioni concordate, né tanto meno obbiettivi insurrezionali; anche il colore antiunitario e filo borbonico veniva generalmente impresso ai movimenti soltanto dalla sobillazione operata dai notabili borbonici e da elementi del clero locale. Cionondimeno questi torbidi indicavano già abbastanza chiaramente qual era lo stato d’animo delle masse contadine, e quali gruppi locali riuscissero più facilmente a guidarle». Tommaso Pedìo, rimpianto docente dell’Università di Bari, indicava sin dal 1941 come «briganti e galantuomini» fossero due classi sociali i cui contrasti avevano già caratterizzato, non solo a metà dell’Ottocento, la vita nelle province napoletane. Accusato di populismo da Giovanni Masi, ripeteva nel 1948 nel testo Brigantaggio meridionale che i briganti non erano altro che una «classe subalterna costretta a subire un sistema economico, sociale e politico che non ammette parità di diritti e di doveri tra i vari ceti sociali, i briganti si ribellano al sistema che ha sempre caratterizzato la società meridionale prima e dopo la caduta dei Borboni. Classe dirigente, egoisticamente unita nella difesa dei propri interessi, i galantuomini, difendono e mantengono, anche nel nuovo regime, la posizione preminente che, prima del 1860, avevano nella vita e nell’economia del proprio paese». Enzo Di Brango e Valentino Romano, intellettuali di rango, nel nuovo testo Brigantaggio e rivolta di classe, riproponendo la corretta tesi di un’invasione piemontese tesa alla colonizzazione del Sud, mettono in primo piano la violenta reazione dei contadini e delle masse subalterne, qualificandola come lotta di classe. Infatti, nella costituzione del nuovo Stato Italiano furono i proprietari terrieri della nuova borghesia agraria, eredi della tradizione feudo-nobiliare, a ricevere enormi vantaggi nella conservazione dei terreni demaniali usurpati e nell’acquisizione di nuovi. Un abuso perpetrato a discapito delle previste e legittime «quotizzazioni» dei demani, che dovevano necessariamente favorire e sviluppare la piccola proprietà contadina. Questo atteggiamento prevaricatorio e classista irritò le già amareggiate masse rurali, spingendole sempre più alla rivolta in un tentativo illusorio di raggiungere e conquistare il riconoscimento di diritti sempre più negati, con l’intima e utopica aspirazione di diventare finalmente cittadini a tutti gli effetti, non più sfruttati dai detentori della ricchezza e del potere politico. Atteggiamenti classisti e prevaricatori che determinarono nei decenni successivi nel Sud la manifesta sfiducia nelle principali istituzioni dello Stato, nell’amministrazione della giustizia, negli organi di controllo del fisco, negli organi di polizia, nelle istituzioni bancarie, segnalati già alcuni decenni fa da Aldo de Jaco, che nei suoi studi sul brigantaggio meridionale, pubblicati dagli Editori Riuniti nel 1969, vedeva nel Risorgimento propagandistico e agiografico dei vincitori «una pagina di storia che non si può saltare se non si vuol perdere il senso dei problemi successivi ed anche, per tanta parte, dei problemi dell’oggi del nostro paese». Un paese in cui ancora oggi un’intera classe politica, utilizzando strumentalmente e impropriamente la forma costituzionale del partito, concorre a fondare un sistema di impunità diffuse, appropriandosi di denaro pubblico, elevando a regola fissa la difesa degli interessi privati su quelli pubblici, erigendo a sistema le clientele, affondando la meritocrazia. Un paese che, alimentando nuove ingiustizie sociali e determinando nuovi problemi economici, scarica ancora sul Sud i costi di una lunga e prolungata crisi, causata da evidente incapacità politica e da manifesta inefficienza amministrativa. Ultimo esempio lo scandalo dei concorsi universitari. Il tentativo prolungato e ripetuto in questi ultimi 156 anni di relegare il fenomeno del brigantaggio a semplice cronaca criminale, senza indagare sulle cause che lo provocarono e senza approfondire gli effetti che ha prodotto nella società italiana, col semplice e chiaro scopo di coprire gli interessi untuosi della classe liberal-massonica elitaria al potere, è la conseguenza di una mentalità limitata, oscurantistica e negazionista, che ancora oggi produce i suoi nocivi esiti sulla vita delle attuali depauperate popolazioni del Meridione e sui corretti rapporti tra il Nord e il Sud del paese. Rapporti e condizioni imposte con la forza che rischiano di saltare ora che le regioni Puglia e Basilica hanno promosso una Giornata della Memoria delle vittime meridionali del Risorgimento, scatenando una reazione ancora, come sempre, oscurantistica e negazionista, motivata da pseudo e false motivazioni che vedono apparire all’orizzonte un nuovo regno dei Borbone o la preoccupante organizzazione di un leghismo di matrice sudista. Semplici visioni oniriche di chi ha interesse a non affrontare seriamente la revisione storica del nostro Risorgimento. Bisognerebbe chiedere ai docenti del Disum (dipartimento di studi umanistici) dell’Università di Bari e a quelli che hanno promosso una petizione contro la Giornata della Memoria, agli intellettuali e ai politici meridionali da sempre al servizio di interessi contrari alla loro terra, cos’altro serve raccontare perché si possano finalmente onorare le nostre ingiustamente malfamate vittime del Risorgimento. Serve inevitabilmente una seria revisione storica del nostro processo unitario, che tolga il velo posto sui massacri perpetrati, sulle violenze subite anche da donne e bambini, sui paesi rasi al suolo, sugli incarcerati senza accusa, sui fucilati senza processo, sulla legge Pica, sulle infauste leggi fiscali e doganali che condannarono l’economia, sui milioni di emigrati condannati al destino infame di chi è costretto a lasciare la propria terra.
Michele Eugenio Di Carlo
https://www.change.org/p/il-giorno-della-memoria-per-le-vit
#brigantaggio meridionale#Giornata della Memoria delle vittime meridionali del Risorgimento#Michele Eugenio Di Carlo#Pagine della nostra Storia#Spigolature Salentine
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Nasce "Catanzaro al Centro" | CalabriaWebTv
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Nasce "Catanzaro al Centro" | CalabriaWebTv
Il libero movimento basato sull’idea del fare:“Scandaloso il rimpasto al Comune”
“Di fronte al degrado politico della città capoluogo, le cui pesanti conseguenze toccano la collettività a tutti i livelli, non ultimo sul piano dell’immagine, nasce Catanzaro al Centro un libero movimento di imprenditori, professionisti, esponenti della società civile e semplici cittadini che hanno sempre basato sull’idea del ‘fare’ la propria vita e che, oggi, intendono adoperarsi con la stessa logica per risollevare le sorti dell’intera comunità”.
Così spiega una nota di presentazione del neonato movimento “Catanzaro al Centro”. “L’amministrazione comunale in carica – prosegue il comunicato – ha già ampiamente dimostrato la propria inefficienza nel dare soluzioni alle esigenze della comunità, ulteriormente aggravata dall’incapacità di dare risposte al turbinio di scandali televisivi che, nelle ultime settimane hanno portato Catanzaro, suo malgrado, agli onori della cronaca nazionale.
Normalmente, in questi casi, i responsabili di tanto sfacelo se ne sarebbero già andati a casa motu proprio. Non nella nostra città, evidentemente, dove si preferisce restare attaccati alla poltrona qualunque cosa accada”.
“Un consiglio comunale che non si riunisce oramai da tre mesi – è l’affondo del movimento – un sindaco che sembra letteralmente sparito nel nulla, la farsa delle annunciate (minacciate) dimissioni dei consiglieri ed assessori di Forza Italia quale sfiducia al sindaco ed all’amministrazione tutta sottolineando (testualmente) ‘con preoccupazione anche la paralisi politico-amministrativa degli ultimi mesi, determinata da un’ossessiva ricerca di spazi personali che ha sottratto energia ed impegno all’azione di governo���.
E quando tutti aspettavano che la parola tornasse ai cittadini ecco le alchimie politiche: Modestina Migliaccio è il solo assessore a dare le dimissioni insieme a cinque consiglieri della minoranza.
Due consiglieri di Forza Italia, dopo aver sottoscritto le dimissioni (senza formalizzarle) ci ripensano e folgorati sulla via di Damasco lasciano il partito per rafforzare, dal gruppo misto, la maggioranza del sindaco. Il documento annunciato dai forzisti resta nel cassetto, il sindaco ritira le deleghe a tutti gli assessori e si proietta verso l’ultimo penoso atto.
A seguito di incontri riservatissimi, infatti, si ritrova la ‘quadra’ che consente di varare la ‘nuova’ giunta che, in perfetto stile di gattopardesca memoria, altra non è che la vecchia con il solo ingresso di Gabriella Celestino nel ruolo di vicesindaco.
Ci chiediamo – s’interroga il movimento – cos’è cambiato in due settimane? Quanto la nuova geografia politica regionale ha influito su queste determinazioni? Com’è possibile restituire le deleghe (che ricordiamo essere incarichi fiduciari) a chi prima aveva firmato un documento di sfiducia? Tatticismi, interessi, attaccamento alla poltrona, accordi di non belligeranza… o tutto questo insieme? Cos’altro deve accadere in questa città per risvegliare il senso di dignità dei nostri amministratori?”.
“Il movimento Catanzaro al Centro pertanto – conclude la nota – invita l’attuale amministrazione ad un epilogo quantomeno dignitoso di questa consiliatura, rassegnando in blocco le dimissioni per restituire la parola ai cittadini, e chiede a tutte le forze sane della città di unirsi a questo appello. Catanzaro merita sicuramente tanto di più rispetto allo squallore manifestato da questa tristissima e fallimentare consiliatura”.
“Catanzaro al Centro”
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Mobilità e Trasparenza Sole 24Ore del 6 Ottobre 2017
Quando il Sole ha pubblicato a fine luglio l’articolo sulla perpetua discussione sulle carriere universitarie con il sommario “quarant’anni persi” sono rimasto sorpreso. Un titolo un po’ forte, ho pensato, ma si sa, i titolisti devono catturare l’attenzione del lettore.
Ne è nato un thread e gli interventi che ne sono seguiti hanno disegnato un panorama in chiaroscuro della nostra accademia con diverse sottolineature sui temi delle risorse, del blocco degli scatti, del reclutamento, del dottorato, della valutazione e dell’ANVUR, ecc. Andava tutto bene, si stava riflettendo in modo utile – e certamente non solo sul Sole 24 ore – sul presente e sul futuro dell’università, sulla necessità di aumentare in modo significativo l’investimento in ricerca e didattica, e sul ruolo dell’università in una società colta, scientificamente e tecnicamente in grado di confrontarsi con i paesi evoluti.
Poi è arrivata l’ennesima “concorsopoli”, con tanto – e questa è stata certamente la novità più eclatante – di arresti domiciliari e sospensione dal servizio per un numero ampio di illustri colleghi. Abbiamo ricominciato a parlare di concorsi, di ricorsi e di terapie più o meno fantasiose per “curare” questo male cronico della accademia italiana. E tutti i ragionamenti hanno fatto un salto indietro, come nel gioco dell’oca. Altro tempo perso ?
Proviamo a rispondere, ma prima, però, mettiamo in chiaro una cosa: l’università italiana funziona. A dirlo non siamo noi, ce lo dicono le valutazioni internazionali e ce lo dice la vasta rete di relazioni scientifiche che coinvolgono i nostri studiosi e ricercatori. E questo nonostante la scarsità di finanziamenti, l’obsolescenza di molte strutture e la irrazionale distribuzione delle risorse, le sacche di inefficienza, il numero stravagante di settori disciplinari, la burocrazia soffocante e in continua espansione, ecc..
Se normalizziamo i nostri risultati rispetto allo sforzo finanziario del Paese, alcune delle nostre università salgono tra le prime nel mondo. In termini di numero di pubblicazioni e di qualità delle pubblicazioni siamo addirittura superiori, nel confronto pro-capite, ai ricercatori di paesi più avanzati del nostro. I nostri laureati sono ambiti all’estero e sono in grado di ottenere risultati enormi. Siamo un paese “generoso”: investiamo molto nella loro formazione e non chiediamo nulla in cambio.
Dato questo doveroso riconoscimento al lavoro di docenti e ricercatori il problema dei concorsi universitari ci rimane incollato addosso. Ed è un problema che non risolveremo – nell’opinione di chi scrive e anche di molti altri commentatori – fino a quando all’università saremo costretti a “cooptare mediante concorso”. Costretti a praticare un ossimoro da una percezione errata del lavoro accademico.
Il professore universitario insegna e fa ricerca. E’ la ricerca il grande discrimine, la caratteristica peculiare, la grande differenza con i docenti delle scuole primarie e secondarie (ai quali non vogliamo togliere nulla, perché sono proprio loro a gettare le basi sulle quali noi costruiamo). Ed è proprio la ricerca che rende indispensabile la cooptazione: un ateneo, un dipartimento deve poter scegliere il tipo di competenza che serve perché i ricercatori non sono intercambiabili.E’ un concetto difficile da assimilare per chi non conosce le università del mondo o è legato a una visione burocratica della docenza. Eppure tutti ci stupiremmo se un direttore d’orchestra, in cerca di un violinista, assumesse invece un altro pianista, perché è il migliore, o se una squadra di calcio comprasse il migliore attaccante del mondo, quando ha bisogno di un portiere. Invece all’università si dovrebbe assumere solo “il più bravo”, magari sulla base di qualche indice numerico (I.F.; C.I.; H-. ecc.), non importa se in un campo di ricerca che al dipartimento non interessa o che è già ampiamente presidiato o che richiederebbe strumentazioni e infrastrutture non disponibili.
Per questo è stato introdotto un passaggio a monte: la abilitazione scientifica nazionale (ASN). Non un concorso (come purtroppo la maggior parte della stampa ha riportato commentando l’inchiesta di Firenze) ma una “patente” per accedere ai concorsi successivi banditi sulle necessità di ricerca e didattica dei dipartimenti. L’ASN non è a numero chiuso, richiede che venga superata una soglia di qualità/quantità di produzione scientifica per potersi poi presentare ai concorsi. La mancata abilitazione preclude la possibilità di partecipare a qualsiasi competizione. E’ come la qualificazione per una gara sportiva internazionale, o per un concorso canoro. Solo se ti qualifichi potrai partecipare ai concorsi che verranno.
L’inchiesta di Firenze sembra spingere a rimettere tutto in discussione. La stampa e i social network sono pieni di commenti indignati, di polemiche e di proposte contraddittorie.
C’è, per esempio, chi pensa che tutti i mali scaturiscano dal fatto che i professori universitari non sono contrattualizzati. Non sarebbe tutto più facile – qualcuno si chiede - se, come nella scuola media, si entrasse per concorso, si andasse avanti per anzianità e graduatoria e ci si muovesse per trasferimento basato sul punteggio? In fondo questo è il modo in cui opera il comparto del pubblico impiego di cui l’università fa parte.
C’è anche chi sostiene una liberalizzazione totale. Come sarebbe l’università se si muovesse in totale autonomia amministrativa e finanziaria, ricevendo sostegno dal governo sulla base di accordi di programma, operando sulla base della capacità di acquisire tasse universitarie, e finanziamenti pubblici e privati, nazionali e internazionali?
Non credo sia una buona idea rimettere tutto in discussione. Se lo facessimo bloccheremmo di nuovo il turnover universitario e aumenteremmo gli anni da buttare via. E’ tuttavia possibile agire da subito nell’ambito della normativa attuale su due “fondamentali” del reclutamento: mobilità e trasparenza.
Per incentivare la mobilità (e contrastare i rapporti di fedeltà accademica) è sufficiente eliminare l’oggettivo vantaggio economico per le casse degli atenei derivante dalla promozione di interni. Meglio ancora se si renderà vantaggioso chiamare ricercatori e professori da altre sedi con risorse ad hoc di mobilità e di installazione.
Per elevare il livello di trasparenza dei momenti concorsuali basta esporre i CV dei candidati – come le partecipazioni di matrimonio - in modo che tutti possano rendersi conto di quali competenze sono a confronto (e non si tiri fuori la “privacy”: sono concorsi per ruoli pubblici), chiedere referenze, e chiamare tutti i candidati a svolgere seminari pubblici dipartimentali. Chi partecipa potrà porre domande e valutare le risposte che riceve. Le commissioni decideranno in piena autonomia ma con maggiore “accountability”. Non sono idee originali: si fa così in molti dei paesi con i quali ci confrontiamo.
Due “accorgimenti” semplici ma … elettoralmente impopolari. Eppure, da soli potrebbero contribuire ad arrestare una deriva che sta allontanando l’università italiana da quelle dei paesi più avanzati.
Sole24Ore del 6 Ottobre
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Aumenti Irpef, sanità al collasso e cultura abbandonata: l’Abruzzo paga un prezzo altissimo per l’inefficienza politica. È tempo di rompere il silenzio. Scopri di più su Alessandria today.
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Marine Le Pen, leader del Rassemblement National (RN), ha visto la sua figura, già contornata da controversie e dibattiti, finire al centro di una tempesta giudiziaria che non mancherà di sollevare ondate politiche in tutta Europa. L'accusa è pesante: appropriazione indebita di fondi pubblici, un crimine che coinvolge anche altri otto eurodeputati, tutti membri di partiti euroscettici, che avrebbero abusato dei finanziamenti destinati alle loro attività parlamentari per scopi personali.Il processo che si sta celebrando a Parigi ha assunto toni particolarmente intensi. Gli inquirenti accusano Le Pen e i suoi colleghi di aver utilizzato fondi pubblici in maniera illegale, destinandoli a spese private, tra cui il pagamento di salari a membri del suo entourage e altre voci non giustificate, il tutto sotto la copertura di finanziamenti ufficiali per attività legittime legate al loro ruolo di eurodeputati.Questa vicenda non è una semplice questione amministrativa. Si intreccia con una visione più ampia di come vengono gestiti i fondi pubblici in Europa, e si fa portatrice di un messaggio particolarmente velenoso per il sistema politico europeo, un sistema che già da tempo è sotto accusa per la sua opacità e i suoi eccessi.Le richieste avanzate dalla pubblica accusa sono drammatiche e faranno sicuramente tremare la politica francese ed europea. Cinque anni di condanna, di cui tre da scontare con la condizionale, rappresentano una pena che, se dovesse essere confermata, segnerà un duro colpo per Le Pen, che aveva cercato di porsi come alternativa alla classe politica tradizionale, accusata di inefficienza e corruzione.Ma c'è di più. L'accusa ha chiesto anche l'ineleggibilità immediata per la leader del Rassemblement National, con effetto immediato, senza attendere i successivi gradi di giudizio. Una richiesta che se accolta, spazzerebbe via la sua carriera politica in un colpo solo, facendola uscire di scena dalla scena politica europea prima che il caso possa esaurirsi nel lungo percorso giudiziario.Questo processo non riguarda solo Marine Le Pen, ma rappresenta una battaglia simbolica per l’intero Parlamento europeo. Un’istituzione che, tra i suoi membri, ha visto crescere non solo i difensori della costruzione dell’Europa, ma anche gli oppositori più determinati all’integrazione europea. Tra questi, Le Pen è sempre stata una delle voci più forti, un baluardo della destra sovranista, che ha costruito la sua retorica sulla difesa dell’identità nazionale e contro le istituzioni europee, accusate di abusare del potere per gli interessi di pochi.Se l’accusa fosse confermata, l'impatto non riguarderebbe solo il destino politico della leader del RN, ma anche la credibilità di tutte le forze politiche che si battono contro l’Unione Europea. Marine Le Pen, infatti, ha costruito la sua carriera su un discorso di lotta contro la classe dirigente, la quale a suo dire avrebbe condotto l’Europa sulla strada della rovina. Ma ora, proprio lei potrebbe diventare la vittima della stessa logica di corruzione e abuso di potere che ha tanto criticato.Naturalmente, gli avvocati della difesa non ci stanno. Le Pen ha sempre sostenuto di essere vittima di una persecuzione politica, di un’operazione giudiziaria finalizzata a danneggiare la sua immagine e a indebolire la sua battaglia contro l’élite europea. Le Pen non è nuova a questi attacchi e ha spesso utilizzato la sua posizione di bersaglio per galvanizzare la sua base elettorale, accusando la giustizia e il sistema politico di volerla ostacolare.Il processo, infatti, si svolge in un periodo particolarmente delicato. Le elezioni europee sono imminenti, e la politica francese è in fermento. Il Rassemblement National ha già dichiarato che Le Pen continuerà a lottare per i suoi diritti e che la sua battaglia non finirà qui. In effetti, la sensazione è che questo caso non si chiuderà con una sentenza rapida, ma che si trascinerà per mesi, forse anni, alimentando ancora di più la divisione tra chi vede in Le Pen una vittima di un sistema corrotto e chi la considera responsabile di un abuso di potere.In ogni caso, questa vicenda ha il potenziale di ridisegnare il panorama politico europeo. Un’Europa già fragile, che fatica a trovare un equilibrio tra la tradizione dell’integrazione e la crescente onda di nazionalismo, si trova ora a dover fare i conti con un caso che mette in discussione non solo l’integrità di un singolo politico, ma anche la credibilità delle stesse istituzioni che rappresentano.Marine Le Pen, a suo modo, è una delle voci più potenti d’Europa, e il suo caso potrebbe essere uno spartiacque. La sentenza, che giungerà fra qualche tempo, non cambierà solo il suo futuro, ma potrebbe riscrivere le regole di un’intera stagione politica. Read the full article
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Comiso. On. Assenza: "Un'amministrazione alla deriva tra confusione e inefficienza. Potabilità dell’acqua e Mercato sempre più nel caos"
Comiso. On. Assenza: “Un’amministrazione alla deriva tra confusione e inefficienza. Potabilità dell’acqua e Mercato sempre più nel caos” was originally published on ITALREPORT
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ZTL, maggioranza, minoranza? Se il sindaco non ha i numeri si dimetta.
ACIREALE – La bellezza e la vivibilità di una città si valuta attraverso l’analisi di indici di misurazione ben precisi: dalla qualità dell’aria, ai parcheggi, mezzi pubblici, parchi, luoghi per la socializzazione, zone a traffico limitato, aree pedonali, piste ciclabili, vocazione e progettualità. Appare, quindi, evidente che l’argomento ZTL è centrale nella vita amministrativa dei governi locali, appare altrettanto evidente che lo stallo che per questa materia regna ad Acireale è un chiaro sintomo di indecisione, inefficienza, difficoltà a sostenere il provvedimento con il sostegno di una maggioranza solida e ben motivata.
Andiamo alla motivazione. La ZTL e le aree pedonali vengono istituite da oltre venti anni a questa parte in tutti i comuni italiani per ragioni che sono ovvie e razionali. La protezione dei beni architettonici che subiscono danni irreversibili dall’inquinamento da traffico urbano, per la salute pubblica, per aprire spazi favorevoli alla microeconomia cittadina, per dare ai visitatori l’immagine di una città che preserva dei luoghi e li dona alla collettività. Altri motivi insistono per la formulazione di aree pedonali o con flusso ridotto del traffico privato, come ad esempio incentivare l’uso del mezzo pubblico, ridurre l’inquinamento acustico e dell’aria, spingere ad intraprendere con attività di bike sharing, incrementare e sostenere l’apertura di luoghi per l’accoglienza e per la ristorazione. Insomma tante buone motivazioni fanno si che le aree pedonali e le ZTL sono, da anni, al centro delle scelte amministrative; da nord a sud.
Ed allora è vero che decidere per l’istituzione della ZTL oppure lasciare tutto come è adesso è certamente una scelta politica di primo piano. I governi delle città, i sindaci, le giunte amministrative si valutano per i risultati che raggiungono proprio in riferimento agli indici di vivibilità. Ad Acireale siamo così sicuri che la maggioranza consiliare che sostiene il sindaco Barbagallo è coesa intorno a questo possibile provvedimento? Noi crediamo che la liste che sostengono il sindaco Barbagallo per la loro evidente eterogeneità non consegneranno a questa giunta la maggioranza per l’eventuale provvedimento sulla ZTL e crediamo anche che un simile provvedimento deve passare dal consiglio comunale, discusso e votato. Una conta va fatta e la ZTL è l’occasione giusta per capire se i consiglieri di maggioranza davanti ad un provvedimento così importante e tormentato si presenterà unita o disgregata. Siamo convinti, infine, che se il sindaco non dovesse avere con se una maggioranza coesa dovrebbe dimettersi perché davanti ad una scelta che tocca il cuore della città e la salute dei cittadini o si ha la maggioranza o si lascia la poltrona.
(mAd)
ZTL, maggioranza, minoranza? Se il sindaco non ha i numeri si dimetta. was originally published on Fancity Acireale
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Roggero, capogruppo Lega in Comune Alessandria, Amag: "Oggi via libera all'assunzione di un altro manager da 200 mila euro l'anno, nonostante il parere negativo del collegio sindacale e il rischio di esuberi del personale?"
Presentata comunicazione urgente al consiglio comunale
Presentata comunicazione urgente al consiglio comunale “Quanto sta succedendo in Amag in queste ore è assolutamente inaccettabile. Da un lato l’azienda, con comunicati surreali, attacca pubblicamente i sindacati, colpevoli di aver indetto per il 10 di febbraio una giornata di sciopero, con motivazioni e preoccupazioni legate al futuro dei lavoratori del gruppo non solo legittime, ma per quanto…
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Alessandria e l'incompiuta: tra opere pubbliche e promesse mancate
Una riflessione sulla parola “Incompiuta” e il suo significato nella società moderna, con un caso emblematico dal Quartiere Borsalino.
Una riflessione sulla parola “Incompiuta” e il suo significato nella società moderna, con un caso emblematico dal Quartiere Borsalino.La parola “Incompiuta” evoca immediatamente un senso di incompletezza, di potenziale irrealizzato, lasciando in chi la pronuncia o la osserva una sensazione di attesa e frustrazione. Questo termine può essere applicato a molti aspetti della società contemporanea,…
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L’incoerente punzecchiatura di Fratelli d’Italia: il PD di Casale Monferrato risponde sulla gestione dell’acqua pubblica
Acqua pubblica e ATO: il PD rivendica coerenza, mentre il centrodestra cambia posizione
Acqua pubblica e ATO: il PD rivendica coerenza, mentre il centrodestra cambia posizione Il Partito Democratico di Casale Monferrato ribadisce con fermezza la sua posizione sulla gestione pubblica dell’acqua, una linea che – come sottolineato dal partito – è sempre stata chiara, coerente e supportata da dichiarazioni pubbliche costanti nel tempo. In un contesto politico locale caratterizzato da…
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