#inefficienza amministrativa
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pier-carlo-universe · 7 days ago
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Alessandria e l'incompiuta: tra opere pubbliche e promesse mancate
Una riflessione sulla parola “Incompiuta” e il suo significato nella società moderna, con un caso emblematico dal Quartiere Borsalino.
Una riflessione sulla parola “Incompiuta” e il suo significato nella società moderna, con un caso emblematico dal Quartiere Borsalino.La parola “Incompiuta” evoca immediatamente un senso di incompletezza, di potenziale irrealizzato, lasciando in chi la pronuncia o la osserva una sensazione di attesa e frustrazione. Questo termine può essere applicato a molti aspetti della società contemporanea,…
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corallorosso · 5 years ago
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Boabab, terzo giorno di sgomberi: "I diritti dei migranti sono calpestati e umiliati" Per il terzo giorno consecutivo sono continuati gli sgoberi a Piazzale Spadolini, con l'identificazione dei migranti, titolari di asilo politico, accolti da Baobab Experience. Come scrive Baobab sul sito dell'associazione, si tratta di "giovani uomini a cui è stata riconosciuta protezione internazionale o sussidiaria, con diritto all’accoglienza, diritto quotidianamente ignorato, umiliato, calpestato". Continua Baobab: "Mostrano i loro titoli di soggiorno e non capiscono e non possono capire perché li stiano facendo salire su una camionetta in direzione della Questura per stranieri di Roma. Il riconoscimento e la verifica potrebbero essere immediati, eppure li aspetta un’intera mattina e un intero pomeriggio per un controllo punitivo. Il crimine è l’esistenza stessa". "La vita di strada non è una scelta per queste persone; è una costrizione impartita da inefficienza amministrativa e irresponsabilità politica. Per Autorità, alcuni media e sedicenti Comitati di quartiere, l’ineludibile presenza fisica sul territorio significa “bivacco”. Ma a Piazzale Spadolini ci sono ragazzi in cassa integrazione, persone che hanno perso il lavoro a causa del coronavirus, esseri umani che nonostante la propria legalità sul territorio non hanno incontrato altrettanta legalità da parte di nostrani datori di lavoro e sono impiegati, quindi, al nero, per pochi soldi. Ci sono persone che non si sono più potute permettere l’affitto di una stanza. C’è una moltitudine infinita di situazioni individuali, che lo Stato, a tutti i suoi livelli, ha scelto consapevolmente di lasciare indietro. E infine ci sono i transitanti, migranti che vogliono andare altrove in cerca di una vita migliore, alla stregua di tanti giovani italiani. L’talia è per loro solo una penisola del Mediterraneo: le mete sono Francia, Germania, Scandinavia. Contro il loro desiderio, sono rimasti incastrati qui, a causa delle ulteriori restrizioni agli spostamenti decretati per l’emergenza covid, già ostacolati dall’impermeabilità di tante frontiere. Per porre fine al fenomeno dei senza fissa dimora di Tiburtina Est non servono camionette e Forze dell’ordine. Serve ripristinare e ripensare la libertà di movimento. Serve rispettare i diritti di chi ne è titolare e riattribuire dignità e visibilità a coloro che si sono visti spogliare, legge dopo legge, governo dopo governo, di ogni riconoscimento e tutela. Serve politica" (globalist)
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forzaitaliatoscana · 2 years ago
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tifatait · 3 years ago
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SALERNO. LAMBIASE (M5S): "VERDE PUBBLICO, PROVA DI INEFFICIENZA AMMINISTRATIVA" - Agenda Politica | www.agendapolitica.it
SALERNO. LAMBIASE (M5S): “VERDE PUBBLICO, PROVA DI INEFFICIENZA AMMINISTRATIVA” – Agenda Politica | www.agendapolitica.it
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sciscianonotizie · 3 years ago
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Impianto di pubblica illuminazione malfunzionante, Uniti per Baia e Latina interroga il sindaco per eliminare diverse criticità
Friello: “Sono diversi mesi che, in alcuni tratti di strade comunali, ci troviamo in presenza di punti luce che non funzionano.”
Nuova interrogazione del gruppo consiliare “Uniti per Baia e Latina” sulla attività amministrativa portata avanti, begli ultimi quattro mesi, dalla nuova amministrazione Di Cerbo.
Con proprio interpello, il consigliere Vincenzo Friello ha chiesto al sindaco lumi sull’efficienza dell’impianto della pubblica illuminazione che si presenta in uno stato di totale inefficienza e di trascuranza.
“Sono diversi mesi che, in alcuni tratti di strade comunali, ci troviamo in presenza di punti luce che non funzionano. Nonostante i nostri diversi solleciti a diversi amministratori, tutto tace e nessuno ha avuto l’accortezza e la sensibilità di prendere qualche provvedimento in merito”, spiega il rappresentante della minoranza Friello.
“Siamo convinti che tutti noi consiglieri comunali di maggioranza e minoranza, liberamente, abbiamo scelto di metterci a disposizione dei nostri concittadini e della nostra comunità. Se oggi assistiamo ad un comportamento asettico e distante, verso i problemi del nostro Comune, cosa pensate di fare in futuro?”, si chiedono i consiglieri di Uniti per Baia e Latina, Massimo Leardi e Friello.
source https://www.ilmonito.it/impianto-di-pubblica-illuminazione-malfunzionante-uniti-per-baia-e-latina-interroga-il-sindaco-per-eliminare-diverse-criticita/
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fondazioneterradotranto · 7 years ago
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/10/04/la-giornata-della-memoria-delle-vittime-meridionali-del-risorgimento-interroga-la-storia-del-processo-unitario/
La Giornata della Memoria delle vittime meridionali del Risorgimento interroga la storia del processo unitario
di Michele Eugenio Di Carlo
Pasquale Soccio, gra…nde letterato garganico del Novecento, scriveva che il Daunus pauper acquae di Orazio e «i briganti dell’arsa Puglia» di Carducci, irrompevano « nel mondo della nuova storia, divenendone per un lustro attori e protagonisti di primo piano». Ora non è più ammissibile ritenere che i briganti del Sud siano stati sic et sempliciter ladri e assassini. Essi si mossero alla rivolta spinti da condizioni di vergognosa e ignobile ingiustizia sociale, relegati all’ultimo stadio della società civile. Usare il termine «civile» per indicare le condizioni di vita del ceto subalterno, costituito in gran parte da braccianti, da contadini, da artigiani pressati e compressi da strutture ancora feudali, notevolmente aggravate con l’avvento dei Savoia e mantenute in essere da una classe privilegiata di galantuomini senza scrupoli alleata con il nuovo potere, è solo un eufemismo spregiudicato. Meglio usare il termine «barbaro» per rappresentare lo status di vita di piccoli contadini e braccianti senza terra, che subito dopo l’occupazione dei Savoia si rivoltarono contro un consolidato e secolare sistema di prevaricazione e di prepotenze che i Borbone si erano, perlomeno, preoccupati di controllare e indebolire. Le rivolte delle masse contadine, iniziate già nell’estate 1860, furono dettate da secolari motivi di contrasto con la nobiltà e con la subentrata borghesia agraria a causa delle questioni demaniali, inerenti principalmente l’uso e la proprietà dei terreni demaniali usurpati e la reintegra negli usi civici negati. E, comunque, queste prime rivendicazioni sociali furono inizialmente prive di indirizzo politico clericale e borbonico e per lo più furono isolate, incerte, occasionali, frammentate e, quindi, facilmente reprimibili dalle truppe garibaldine e dalla Guardia Nazionale dei galantuomini. Franco Molfese, nella Storia del brigantaggio dopo l’Unità, fatta una rassegna dei moti avvenuti durante l’estate nel Beneventano, nell’Irpinia, nel Matese, nel Vastese, nel Molise, dopo accurati studi ha concluso che «furono sommosse sporadiche, provocate perlopiù da contrasti municipali e da motivi di malcontento locali. Da questa sommaria rassegna risulta pertanto abbastanza evidente il carattere spontaneo ed ancora circoscritto dei moti dei contadini, prodottisi nelle provincie continentali liberate, fino al momento della controffensiva militare borbonica. Non è dato rintracciarvi organizzazione e direttive comuni, azioni concordate, né tanto meno obbiettivi insurrezionali; anche il colore antiunitario e filo borbonico veniva generalmente impresso ai movimenti soltanto dalla sobillazione operata dai notabili borbonici e da elementi del clero locale. Cionondimeno questi torbidi indicavano già abbastanza chiaramente qual era lo stato d’animo delle masse contadine, e quali gruppi locali riuscissero più facilmente a guidarle». Tommaso Pedìo, rimpianto docente dell’Università di Bari, indicava sin dal 1941 come «briganti e galantuomini» fossero due classi sociali i cui contrasti avevano già caratterizzato, non solo a metà dell’Ottocento, la vita nelle province napoletane. Accusato di populismo da Giovanni Masi, ripeteva nel 1948 nel testo Brigantaggio meridionale che i briganti non erano altro che una «classe subalterna costretta a subire un sistema economico, sociale e politico che non ammette parità di diritti e di doveri tra i vari ceti sociali, i briganti si ribellano al sistema che ha sempre caratterizzato la società meridionale prima e dopo la caduta dei Borboni. Classe dirigente, egoisticamente unita nella difesa dei propri interessi, i galantuomini, difendono e mantengono, anche nel nuovo regime, la posizione preminente che, prima del 1860, avevano nella vita e nell’economia del proprio paese». Enzo Di Brango e Valentino Romano, intellettuali di rango, nel nuovo testo Brigantaggio e rivolta di classe, riproponendo la corretta tesi di un’invasione piemontese tesa alla colonizzazione del Sud, mettono in primo piano la violenta reazione dei contadini e delle masse subalterne, qualificandola come lotta di classe. Infatti, nella costituzione del nuovo Stato Italiano furono i proprietari terrieri della nuova borghesia agraria, eredi della tradizione feudo-nobiliare, a ricevere enormi vantaggi nella conservazione dei terreni demaniali usurpati e nell’acquisizione di nuovi. Un abuso perpetrato a discapito delle previste e legittime «quotizzazioni» dei demani, che dovevano necessariamente favorire e sviluppare la piccola proprietà contadina. Questo atteggiamento prevaricatorio e classista irritò le già amareggiate masse rurali, spingendole sempre più alla rivolta in un tentativo illusorio di raggiungere e conquistare il riconoscimento di diritti sempre più negati, con l’intima e utopica aspirazione di diventare finalmente cittadini a tutti gli effetti, non più sfruttati dai detentori della ricchezza e del potere politico. Atteggiamenti classisti e prevaricatori che determinarono nei decenni successivi nel Sud la manifesta sfiducia nelle principali istituzioni dello Stato, nell’amministrazione della giustizia, negli organi di controllo del fisco, negli organi di polizia, nelle istituzioni bancarie, segnalati già alcuni decenni fa da Aldo de Jaco, che nei suoi studi sul brigantaggio meridionale, pubblicati dagli Editori Riuniti nel 1969, vedeva nel Risorgimento propagandistico e agiografico dei vincitori «una pagina di storia che non si può saltare se non si vuol perdere il senso dei problemi successivi ed anche, per tanta parte, dei problemi dell’oggi del nostro paese». Un paese in cui ancora oggi un’intera classe politica, utilizzando strumentalmente e impropriamente la forma costituzionale del partito, concorre a fondare un sistema di impunità diffuse, appropriandosi di denaro pubblico, elevando a regola fissa la difesa degli interessi privati su quelli pubblici, erigendo a sistema le clientele, affondando la meritocrazia. Un paese che, alimentando nuove ingiustizie sociali e determinando nuovi problemi economici, scarica ancora sul Sud i costi di una lunga e prolungata crisi, causata da evidente incapacità politica e da manifesta inefficienza amministrativa. Ultimo esempio lo scandalo dei concorsi universitari. Il tentativo prolungato e ripetuto in questi ultimi 156 anni di relegare il fenomeno del brigantaggio a semplice cronaca criminale, senza indagare sulle cause che lo provocarono e senza approfondire gli effetti che ha prodotto nella società italiana, col semplice e chiaro scopo di coprire gli interessi untuosi della classe liberal-massonica elitaria al potere, è la conseguenza di una mentalità limitata, oscurantistica e negazionista, che ancora oggi produce i suoi nocivi esiti sulla vita delle attuali depauperate popolazioni del Meridione e sui corretti rapporti tra il Nord e il Sud del paese. Rapporti e condizioni imposte con la forza che rischiano di saltare ora che le regioni Puglia e Basilica hanno promosso una Giornata della Memoria delle vittime meridionali del Risorgimento, scatenando una reazione ancora, come sempre, oscurantistica e negazionista, motivata da pseudo e false motivazioni che vedono apparire all’orizzonte un nuovo regno dei Borbone o la preoccupante organizzazione di un leghismo di matrice sudista. Semplici visioni oniriche di chi ha interesse a non affrontare seriamente la revisione storica del nostro Risorgimento. Bisognerebbe chiedere ai docenti del Disum (dipartimento di studi umanistici) dell’Università di Bari e a quelli che hanno promosso una petizione contro la Giornata della Memoria, agli intellettuali e ai politici meridionali da sempre al servizio di interessi contrari alla loro terra, cos’altro serve raccontare perché si possano finalmente onorare le nostre ingiustamente malfamate vittime del Risorgimento. Serve inevitabilmente una seria revisione storica del nostro processo unitario, che tolga il velo posto sui massacri perpetrati, sulle violenze subite anche da donne e bambini, sui paesi rasi al suolo, sugli incarcerati senza accusa, sui fucilati senza processo, sulla legge Pica, sulle infauste leggi fiscali e doganali che condannarono l’economia, sui milioni di emigrati condannati al destino infame di chi è costretto a lasciare la propria terra.
Michele Eugenio Di Carlo
https://www.change.org/p/il-giorno-della-memoria-per-le-vit
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calabriawebtvcom · 5 years ago
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Nasce "Catanzaro al Centro" | CalabriaWebTv
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Nasce "Catanzaro al Centro" | CalabriaWebTv
Il libero movimento basato sull’idea del fare:“Scandaloso il rimpasto al Comune”
“Di fronte al degrado politico della città capoluogo, le cui pesanti conseguenze toccano la collettività a tutti i livelli, non ultimo sul piano dell’immagine, nasce Catanzaro al Centro un libero movimento di imprenditori, professionisti, esponenti della società civile e semplici cittadini che hanno sempre basato sull’idea del ‘fare’ la propria vita e che, oggi, intendono adoperarsi con la stessa logica per risollevare le sorti dell’intera comunità”.
Così spiega una nota di presentazione del neonato movimento “Catanzaro al Centro”. “L’amministrazione comunale in carica – prosegue il comunicato – ha già ampiamente dimostrato la propria inefficienza nel dare soluzioni alle esigenze della comunità, ulteriormente aggravata dall’incapacità di dare risposte al turbinio di scandali televisivi che, nelle ultime settimane hanno portato Catanzaro, suo malgrado, agli onori della cronaca nazionale.
Normalmente, in questi casi, i responsabili di tanto sfacelo se ne sarebbero già andati a casa motu proprio. Non nella nostra città, evidentemente, dove si preferisce restare attaccati alla poltrona qualunque cosa accada”.
“Un consiglio comunale che non si riunisce oramai da tre mesi – è l’affondo del movimento – un sindaco che sembra letteralmente sparito nel nulla, la farsa delle annunciate (minacciate) dimissioni dei consiglieri ed assessori di Forza Italia quale sfiducia al sindaco ed all’amministrazione tutta sottolineando (testualmente) ‘con preoccupazione anche la paralisi politico-amministrativa degli ultimi mesi, determinata da un’ossessiva ricerca di spazi personali che ha sottratto energia ed impegno all’azione di governo’.
E quando tutti aspettavano che la parola tornasse ai cittadini ecco le alchimie politiche: Modestina Migliaccio è il solo assessore a dare le dimissioni insieme a cinque consiglieri della minoranza.
Due consiglieri di Forza Italia, dopo aver sottoscritto le dimissioni (senza formalizzarle) ci ripensano e folgorati sulla via di Damasco lasciano il partito per rafforzare, dal gruppo misto, la maggioranza del sindaco. Il documento annunciato dai forzisti resta nel cassetto, il sindaco ritira le deleghe a tutti gli assessori e si proietta verso l’ultimo penoso atto.
A seguito di incontri riservatissimi, infatti, si ritrova la ‘quadra’ che consente di varare la ‘nuova’ giunta che, in perfetto stile di gattopardesca memoria, altra non è che la vecchia con il solo ingresso di Gabriella Celestino nel ruolo di vicesindaco.
Ci chiediamo – s’interroga il movimento – cos’è cambiato in due settimane? Quanto la nuova geografia politica regionale ha influito su queste determinazioni? Com’è possibile restituire le deleghe (che ricordiamo essere incarichi fiduciari) a chi prima aveva firmato un documento di sfiducia? Tatticismi, interessi, attaccamento alla poltrona, accordi di non belligeranza… o tutto questo insieme? Cos’altro deve accadere in questa città per risvegliare il senso di dignità dei nostri amministratori?”.
“Il movimento Catanzaro al Centro pertanto – conclude la nota – invita l’attuale amministrazione ad un epilogo quantomeno dignitoso di questa consiliatura, rassegnando in blocco le dimissioni per restituire la parola ai cittadini, e chiede a tutte le forze sane della città di unirsi a questo appello. Catanzaro merita sicuramente tanto di più rispetto allo squallore manifestato da questa tristissima e fallimentare consiliatura”.
“Catanzaro al Centro”
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italianaradio · 5 years ago
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SIDERNO La sentenza del Tar respinge il ricorso dell’amministrazione Fuda e lancia un triste monito a chi vorrà candidarsi in futuro
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SIDERNO La sentenza del Tar respinge il ricorso dell’amministrazione Fuda e lancia un triste monito a chi vorrà candidarsi in futuro
SIDERNO La sentenza del Tar respinge il ricorso dell’amministrazione Fuda e lancia un triste monito a chi vorrà candidarsi in futuro
SIDERNO La sentenza del Tar respinge il ricorso dell’amministrazione Fuda e lancia un triste monito a chi vorrà candidarsi in futuro Lente Locale
di Gianluca Albanese
SIDERNO – «In conclusione, il fatto che varie delle circostanze segnalate nella relazione della Commissione non abbiano un significato univoco e non si spieghino, necessariamente, con fenomeni di condizionamento di tipo mafioso, non inficia la legittimità dell’impugnato decreto di scioglimento del Comune di Siderno, che si fonda comunque su dati oggettivi, i quali a loro volta, nell’ambito di una valutazione globale e unitaria, illuminano di significato anche le altre situazioni di cui sopra si è dato conto, che apparentemente, se considerate in modo atomistico, potrebbero trovare giustificazione anche nella casualità o nella semplice inefficienza amministrativa nella gestione della attività dell’Ente».
E’ il passaggio della sentenza del Tar del Lazio (Presidente Ivo Correale, consiglieri Roberta Cocchese e Roberta Ravasio) pubblicata oggi, che prelude al pronunciamento in cui viene respinto il ricorso presentato da consiglieri e assessori dell’ex amministrazione comunale di Siderno con a capo il sindaco Pietro Fuda, presentato per ottenere l’annullamento del D.P.R. del 9 agosto 2018 col quale veniva disposto lo scioglimento del consiglio comunale per inflitrazioni mafiose, ai sensi dell’articolo 143 del Testo Unico degli Enti Locali, e degli atti propedeutici allo stesso.
Abbiamo preferito aprire così il nostro pezzo, per fare capire in quali circostanze sia maturata una sentenza che, come tutte le sentenze, non va commentata, ma rispettata. Ma che, al contempo, merita un ulteriore approfondimento per far capire dentro quale quadro normativo e giurisprudenziale deve operare chi amministra, nell’anno del Signore 2019, un Comune in cui è acclarata la presenza di una forte e radicata cosca di ‘ndrangheta. 
Già, perché tra i «dati oggettivi» richiamati nello stralcio sopra esposto, non ci sono le condotte personali, amministrative, professionali e politiche degli amministratori sciolti per infiltrazioni mafiose, ma le parentele acquisite, le snervanti attese di ricezione di interdittive antimafia dalla Prefettura per le ditte aggiudicatarie dei lavori, o i semplici rinnovi di concessioni demaniali che si sono ripetuti nel tempo, anche in costanza di gestioni commissariali.
Lo dice chiaramente un altro stralcio della sentenza, in cui si evidenzia come «il quadro fattuale posto a sostegno del provvedimento di scioglimento ex art. 143 cit. deve essere valutato non atomisticamente ma nella sua complessiva valenza dimostrativa, dovendosi tradurre in un prudente apprezzamento in grado di lumeggiare, con adeguato grado di certezza, le situazioni di condizionamento e di ingerenza nella gestione dell’ente che la norma intende prevenire». Insomma, secondo la sentenza «Assumono rilievo, ai fini di che trattasi, situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere – nel loro insieme – plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata (tra cui, in misura non esaustiva: vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni) e ciò pur quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione».«La “ratio” della norma non è punitiva del comportamento degli amministratori, ma è preventiva, essendo funzionale ad evitare che la criminalità organizzata di stampo “mafioso” possa trarre giovamento dalla esistenza e dalla vita degli enti comunali, asservendo gli stessi ai loro scopi».
Insomma, sapevamo che per subire lo scioglimento di un consiglio comunale per inflitrazioni mafiose non bisogna essere intranei o contigui alla ‘ndrangheta; e nemmeno aver commesso atti che favoriscano l’organizzazione criminale in maniera netta e inequivocabile. Basta l’asserito e percepito pericolo di condizionamento che, nel caso di Siderno, o di altri centri in cui la presenza della ‘ndrangheta è forte e organizzata su scala mondiale, come Marina di Gioiosa, San Luca, Africo, Platì ecc. è condizione sufficiente e primaria per procedere allo scioglimento. Quanto basta a scoraggiare le buone intenzioni di chi, fra meno di un anno, sarà chiamato a candidarsi per il rinnovo del civico consesso e che nonostante una condotta di vita cristallina e lontana anni luce da frequentazioni e contiguità con la ‘ndrangheta potrebbe correre. 
Altro che principio della responsabilità penale individuale o della presunzione di innocenza prima di una sentenza penale passata in giudicato! Ciò che amareggia – non tanto nell’esaminare la sentenza pubblicata oggi, quanto l’intero quadro normativo e giurisprudenziale che disciplina l’attività degli enti locali, è quello di vedere il proprio nome citato in un procedimento di scioglimento, nonostante una vita passata all’insegna dei valori di onestà, probità e legalità.
E’ l’altro volto della legge «Quello che non protegge», cantava Fabrizio De Andrè. Ed è così per tutti, rappresentando un potenziale pericolo per chiunque verrà eletto ad amministrare, compresi quelli che, per il gioco delle parti tipico di una dialettica aspra oltre misura, pensa di trarre giovamento da provvedimenti come quello pubblicato in data odierna. E che soprattutto potrebbe scoraggiare chi davvero vorrebbe candidarsi e, una volta eletto, spendersi per il bene della propria comunità.
Nel procedimento confluito nella sentenza che rigetta il ricorso, l’ex amministrazione eletta nel 2015 con oltre l’80% dei consensi dei cittadini, ha avuto contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Reggio Calabria e il Comune di Siderno, rappresentato dalla Commissione Straordinaria attualmente in carica. Ognuno di questi soggetti istituzionali ha corroborato le ragioni dello scioglimento, ottenendo il respingimento di un ricorso con una sentenza in cui si è trattato di analizzare i singoli atti impugnati e i risconti oggettivi, e nella quale l’espressione ricorrente usata è che pur non contenendo singole condotte censurabili, da parte degli ex amministratori, «la vicenda appare significativa nell’ottica di una valutazione globale».
Proprio così: i singoli fatti dicono poco o nulla, ma se esaminati nel loro complesso dal Tar, alla luce del vigente quadro normativo, descrivono un Comune talmente permeato dagli interessi delle cosche di ‘ndrangheta da confermare la bontà della scelta di scioglierne gli organi democraticamente eletti. Insomma, ogni singolo atto viene letto con la lente di una comunità succube e asservita ai desiderata della ‘ndrangheta. Tant’è.
Sono tanti gli esempi citati nell’articolata sentenza. 
Dall’asserita cattiva gestione finanziaria che l’ex amministrazione contesta dicendo che il saldo di cassa è stato abbondantemente rimpinguato, stabilendo altresì protocolli d’intesa per le gestione dei beni confiscati alla ‘ndrangheta, nominando altresì un responsabile dell’anticorruzione, ai lavori affidati (lungomare, palasport, acquedotto, raccolta rifiuti, illuminazione, pulizia spiagge ecc.) in cui, in larga parte, si contesta all’ex amministrazione comunale la scelta di aver affidato lavori di somma urgenza a ditte già gravate in passato da interdittive antimafia della Prefettura e che erano in attesa di giudizio su ricorsi effettuati. Poco importa che alcune delle ditte citate nella sentenza, abbiano lavorato in passato con la precedente Commissione Straordinaria insediatasi dopo lo scioglimento del consiglio comunale nel 2012. Ciò che importa è che chi è stato eletto nel 2015, secondo le tesi che hanno condotto allo scioglimento, non avrebbe dovuto affidare gli incarichi (poi revocati dopo la ricezione – in molti casi tardiva – dell’interdittiva antimafia) perchè in attesa di giudizio su ricorsi o per situazioni pregresse. 
Una pretesa, quella che si evince nella sentenza, che se osservata in maniera pedissequa, condannerebbe qualsiasi amministratore quantomeno all’immobilismo.
Significativi, poi, appaiono i passaggi sulla società che aveva in gestione il centro polifunzionale, morosa da lustri per quanto riguarda il canone da corrispondere al Comune. Nulla questio sui crediti accumumulati dall’Ente nei decenni precedenti. Chi, invece, come l’amministrazione Fuda, pur con qualche tentennamento iniziale, aveva avviato azioni di riscossione dei crediti (dei quali recuperò anche una piccola parte) arrivando a fare sgomberare l’immobile, viene punita asserendo presunti interessi della ‘ndrangheta. Idem per l’illuminazione votiva, su cui l’amministrazione sciolta ad agosto 2018 era intervenuta, dopo che lo stesso soggetto avrebbe gestito in regime di monopolio l’attività ininterrottamente dal 1967, pagando un canone irrisorio al Comune. 
Sembra impossibile ma è così.
Così come appare inverosimile sostenere che alcuni ex amministratori che negli anni precedenti sposarono donne imparentate con soggetti ritenuti intranei alla ‘ndrangheta o la cui sorella sposò un parente diretto dei vertici dei Commisso siano in maniera oggettiva condizionabili dalla cosca. Poco importano le loro vite di professionisti, politici e amministratori di specchiata moralità. No, quel che viene loro contestato è quello di non aver saputo rescindere legami di sangue tra un fratello e una sorella al di sopra di ogni sospetto, o normali rapporti di affinità con parte della parentela acquisita. Tutto questo, indipendentemente dai singoli atti amministrativi compiuti.
Ce n’è abbastanza, dunque, per comprendere come le leggi attualmente in vigore favoriscano una cultura del sospetto, dell’asserito periculum in mora, delle grandi semplificazioni e dei sillogismi difficili da dimostrare, che stentiamo a credere che si possa tornare, non tanto a breve termine, quanto nel medio-lungo periodo, a una normale dialettica politica a Siderno e nei centri che vivono condizioni analoghe a meno che – e qua riprendiamo una nostra convinzione espressa lo scorso mese di luglio in occasione della manifestazione pubblica in ricordo dell’ex sindaco Oreste Sorace – tutte le forze politiche cittadine riescano a unirsi per presentare un’unica lista di persone al di sopra di ogni sospetto capaci di far restituire alla comunità che ha conosciuto tempi migliori e tradizioni democratiche da far invidia, quello che adesso, alla luce del vigente quadro normativo, manca: la sovranità e il sacrosanto diritto di eleggere i propri rappresentanti in consiglio comunale. Una sfida difficile – ce ne rendiamo conto – ma che al momento è priva di alternative per ridare ai sidernesi quello che in una democrazia è un diritto basilare e inalienabile. 
SIDERNO La sentenza del Tar respinge il ricorso dell’amministrazione Fuda e lancia un triste monito a chi vorrà candidarsi in futuro Lente Locale
SIDERNO La sentenza del Tar respinge il ricorso dell’amministrazione Fuda e lancia un triste monito a chi vorrà candidarsi in futuro Lente Locale
di Gianluca Albanese SIDERNO – «In conclusione, il fatto che varie delle circostanze segnalate nella relazione della Commissione non abbiano un significato univoco e non si spieghino, necessariamente, con fenomeni di condizionamento di tipo mafioso, non inficia la legittimità dell’impugnato decreto di scioglimento del Comune di Siderno, che si fonda comunque su dati oggettivi, i […]
SIDERNO La sentenza del Tar respinge il ricorso dell’amministrazione Fuda e lancia un triste monito a chi vorrà candidarsi in futuro Lente Locale
Gianluca Albanese
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dariobraga · 7 years ago
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Mobilità e Trasparenza  Sole 24Ore del 6 Ottobre 2017
Quando il Sole ha pubblicato a fine luglio l’articolo sulla perpetua discussione sulle carriere universitarie con il sommario “quarant’anni persi” sono rimasto sorpreso. Un titolo un po’ forte, ho pensato, ma si sa, i titolisti devono catturare l’attenzione del lettore.
Ne è nato un thread e gli interventi che ne sono seguiti hanno disegnato un panorama in chiaroscuro della nostra accademia con diverse sottolineature sui temi delle risorse, del blocco degli scatti, del reclutamento, del dottorato, della valutazione e dell’ANVUR, ecc. Andava tutto bene, si stava riflettendo in modo utile – e certamente non solo sul Sole 24 ore – sul presente e sul futuro dell’università, sulla necessità di aumentare in modo significativo l’investimento in ricerca e didattica, e sul ruolo dell’università in una società colta, scientificamente e tecnicamente in grado di confrontarsi con i paesi evoluti.
Poi è arrivata l’ennesima “concorsopoli”, con tanto – e questa è stata certamente la novità più eclatante – di arresti domiciliari e sospensione dal servizio per un numero ampio di illustri colleghi. Abbiamo ricominciato a parlare di concorsi, di ricorsi e di terapie più o meno fantasiose per “curare” questo male cronico della accademia italiana. E tutti i ragionamenti hanno fatto un salto indietro, come nel gioco dell’oca. Altro tempo perso ?
 Proviamo a rispondere, ma prima, però, mettiamo in chiaro una cosa: l’università italiana funziona. A dirlo non siamo noi, ce lo dicono le valutazioni internazionali e ce lo dice la vasta rete di relazioni scientifiche che coinvolgono i nostri studiosi e ricercatori. E questo nonostante la scarsità di finanziamenti, l’obsolescenza di molte strutture e la irrazionale distribuzione delle risorse, le sacche di inefficienza, il numero stravagante di settori disciplinari, la burocrazia soffocante e in continua espansione, ecc.. 
Se normalizziamo i nostri risultati rispetto allo sforzo finanziario del Paese, alcune delle nostre università salgono tra le prime nel mondo. In termini di numero di pubblicazioni e di qualità delle pubblicazioni siamo addirittura superiori, nel confronto pro-capite, ai ricercatori di paesi più avanzati del nostro. I nostri laureati sono ambiti all’estero e sono in grado di ottenere risultati enormi. Siamo un paese “generoso”: investiamo molto nella loro formazione e non chiediamo nulla in cambio.
Dato questo doveroso riconoscimento al lavoro di docenti e ricercatori il problema dei concorsi universitari ci rimane incollato addosso. Ed è un problema che non risolveremo – nell’opinione di chi scrive e anche di molti altri commentatori – fino a quando all’università saremo costretti a “cooptare mediante concorso”. Costretti a praticare un ossimoro da una percezione errata del lavoro accademico.
Il professore universitario insegna e fa ricerca. E’ la ricerca il grande discrimine, la caratteristica peculiare, la grande differenza con i docenti delle scuole primarie e secondarie (ai quali non vogliamo togliere nulla, perché sono proprio loro a gettare le basi sulle quali noi costruiamo). Ed è proprio la ricerca che rende indispensabile la cooptazione: un ateneo, un dipartimento deve poter scegliere il tipo di competenza che serve perché i ricercatori non sono intercambiabili.E’ un concetto difficile da assimilare per chi non conosce le università del mondo o è legato a una visione burocratica della docenza. Eppure tutti ci stupiremmo se un direttore d’orchestra, in cerca di un violinista, assumesse invece un altro pianista, perché è il migliore, o se una squadra di calcio comprasse il migliore attaccante del mondo, quando ha bisogno di un portiere. Invece all’università si dovrebbe assumere solo “il più bravo”, magari sulla base di qualche indice numerico (I.F.; C.I.; H-. ecc.), non importa se in un campo di ricerca che al dipartimento non interessa o che è già ampiamente presidiato o che richiederebbe strumentazioni e infrastrutture non disponibili.
Per questo è stato introdotto un passaggio a monte: la abilitazione scientifica nazionale (ASN). Non un concorso (come purtroppo la maggior parte della stampa ha riportato commentando l’inchiesta di Firenze) ma una “patente” per accedere ai concorsi successivi banditi sulle necessità di ricerca e didattica dei dipartimenti. L’ASN non è a numero chiuso, richiede che venga superata una soglia di qualità/quantità di produzione scientifica per potersi poi presentare ai concorsi. La mancata abilitazione preclude la possibilità di partecipare a qualsiasi competizione. E’ come la qualificazione per una gara sportiva internazionale, o per un concorso canoro. Solo se ti qualifichi potrai partecipare ai concorsi che verranno.
 L’inchiesta di Firenze sembra spingere a rimettere tutto in discussione. La stampa e i social network sono pieni di commenti indignati, di polemiche e di proposte contraddittorie. 
 C’è, per esempio, chi pensa che tutti i mali scaturiscano dal fatto che i professori universitari non sono contrattualizzati. Non sarebbe tutto più facile – qualcuno si chiede  - se, come nella scuola media, si entrasse per concorso, si andasse avanti per anzianità e graduatoria e ci si muovesse per trasferimento basato sul punteggio? In fondo questo è il modo in cui opera il comparto del pubblico impiego di cui l’università fa parte. 
C’è anche chi sostiene una liberalizzazione totale. Come sarebbe l’università se si muovesse in totale autonomia amministrativa e finanziaria, ricevendo sostegno dal governo sulla base di accordi di programma, operando sulla base della capacità di acquisire tasse universitarie, e finanziamenti pubblici e privati, nazionali e internazionali?
Non credo sia una buona idea rimettere tutto in discussione. Se lo facessimo bloccheremmo di nuovo il turnover universitario e aumenteremmo gli anni da buttare via. E’ tuttavia possibile agire da subito nell’ambito della normativa attuale su due “fondamentali” del reclutamento: mobilità e trasparenza. 
Per incentivare la mobilità (e contrastare i rapporti di fedeltà accademica) è sufficiente eliminare l’oggettivo vantaggio economico per le casse degli atenei derivante dalla promozione di interni. Meglio ancora se si renderà vantaggioso chiamare ricercatori e professori da altre sedi con risorse ad hoc di mobilità e di installazione.
Per elevare il livello di trasparenza dei momenti concorsuali basta esporre i CV dei candidati – come le partecipazioni di matrimonio - in modo che tutti possano rendersi conto di quali competenze sono a confronto (e non si tiri fuori la “privacy”: sono concorsi per ruoli pubblici), chiedere referenze, e chiamare tutti i candidati a svolgere seminari pubblici dipartimentali. Chi partecipa potrà porre domande e valutare le risposte che riceve. Le commissioni decideranno in piena autonomia ma con maggiore “accountability”. Non sono idee originali: si fa così in molti dei paesi con i quali ci confrontiamo.
Due “accorgimenti” semplici ma … elettoralmente impopolari. Eppure, da soli potrebbero contribuire ad arrestare una deriva che sta allontanando l’università italiana da quelle dei paesi più avanzati.
Sole24Ore del 6 Ottobre
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italreport · 8 years ago
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Comiso. On. Assenza: "Un'amministrazione alla deriva tra confusione e inefficienza. Potabilità dell’acqua e Mercato sempre più nel caos"
Comiso. On. Assenza: “Un’amministrazione alla deriva tra confusione e inefficienza. Potabilità dell’acqua e Mercato sempre più nel caos” was originally published on ITALREPORT
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fancityacireale · 8 years ago
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ZTL, maggioranza, minoranza? Se il sindaco non ha i numeri si dimetta.
ACIREALE – La bellezza e la vivibilità di una città si valuta attraverso l’analisi di indici di misurazione ben precisi: dalla qualità dell’aria, ai parcheggi, mezzi pubblici, parchi, luoghi per la socializzazione, zone a traffico limitato, aree pedonali, piste ciclabili, vocazione e progettualità.  Appare, quindi, evidente che l’argomento ZTL è centrale nella vita amministrativa dei governi locali, appare altrettanto evidente che lo stallo che per questa materia regna ad Acireale è un chiaro sintomo di indecisione, inefficienza, difficoltà a sostenere il provvedimento con il sostegno di una maggioranza solida e ben motivata.
Andiamo alla motivazione. La ZTL e le aree pedonali vengono istituite da oltre venti anni a questa parte in tutti i comuni italiani per ragioni che sono ovvie e razionali. La protezione dei beni architettonici che subiscono danni irreversibili dall’inquinamento da traffico urbano, per la salute pubblica, per aprire spazi favorevoli alla microeconomia cittadina, per dare ai visitatori l’immagine di una città che preserva dei luoghi e li dona alla collettività. Altri motivi insistono per la formulazione di aree pedonali o con flusso ridotto del traffico privato, come ad esempio incentivare l’uso del mezzo pubblico, ridurre l’inquinamento acustico e dell’aria,  spingere ad intraprendere con attività di bike sharing, incrementare e sostenere l’apertura di luoghi per l’accoglienza e per la ristorazione. Insomma tante buone motivazioni fanno si che le aree pedonali e le ZTL sono, da anni, al centro delle scelte amministrative; da nord a sud.
Ed allora è vero che decidere per l’istituzione della ZTL oppure lasciare tutto come è adesso è certamente una scelta politica di primo piano. I governi delle città, i sindaci, le giunte amministrative si valutano per i risultati che raggiungono proprio in riferimento agli indici di vivibilità. Ad Acireale siamo così sicuri che la maggioranza consiliare che sostiene il sindaco Barbagallo è coesa intorno a questo possibile provvedimento? Noi crediamo che la liste che sostengono il sindaco Barbagallo per la loro evidente eterogeneità non consegneranno a questa giunta la maggioranza per l’eventuale provvedimento sulla ZTL e crediamo anche che un simile provvedimento deve passare dal consiglio comunale, discusso e votato. Una conta va fatta e la ZTL è l’occasione giusta per capire se i consiglieri di maggioranza davanti ad un provvedimento così importante e tormentato si presenterà unita o disgregata. Siamo convinti, infine, che se il sindaco non dovesse avere con se una maggioranza coesa dovrebbe dimettersi perché davanti ad una scelta che tocca il cuore della città e la salute dei cittadini o si ha la maggioranza o si lascia la poltrona.
(mAd)
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italianaradio · 6 years ago
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OSPEDALE DI LOCRI Tutto quello che a “Le Iene” è “sfuggito”
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OSPEDALE DI LOCRI Tutto quello che a “Le Iene” è “sfuggito”
OSPEDALE DI LOCRI Tutto quello che a “Le Iene” è “sfuggito”
di Gianluca Albanese
LOCRI – Una struttura sanitaria che serve una popolazione potenziale di 140.000 abitanti, la stessa di quando il numero dei posti letti erano molti di più. Delle disfunzioni e delle problematiche dell’ospedale di Locri si è detto e scritto tantissimo. Oggi, chi lavora in questa struttura non ci sta a essere parte di un magma indistinto in cui viene accomunato a chi ha avuto e ha le responsabilità – a tutti i livelli – per le quali mancano servizi essenziali e, soprattutto, il personale necessario. E allora, è giunto il momento di fare sapere a un’opinione pubblica troppo spesso distratta dal facile sensazionalismo, che all’ospedale di Locri, accanto alle inefficienze e alle disfunzioni, ci sono anche e soprattutto realtà encomiabili, esattamente come l’impegno di chi ogni giorno profonde il massimo sforzo per assicurare la dovuta assistenza sanitaria ai pazienti.
Il chirurgo Luigi Brugnano, tra gli altri, nei giorni scorsi ha rilasciato una significativa intervista a Giuseppe Tumino di “Gazzetta del Sud”, nella quale ha detto, tra l’altro, che “Mi auguro che il Comitato dei Sindaci decida di appropriarsi finalmente del ruolo che la legge gli attribuisce in materia di programmazione sanitaria (L. 502/92 art. 3 bis comma 7) superando la fase delle sterili manifestazioni di piazza e degli scoop scandalistici per passare a una concreta vigilanza sul diritto alla salute dei propri cittadini ed a proposte concretamente risolutive dello stato di crisi. Forse, se i sindaci avessero esercitato per tempo i propri doveri in tal senso, a rischio anche di mettersi contro le rispettive parti politiche, non saremmo arrivati a questo sensazionalismo, rivelatosi così infamante e deleterio. Finché si parlerà male della struttura ospedaliera al solo scopo di additare responsabilità altrui, perpetrando l’atavico pianto greco che è retaggio delle nostre origini culturali, l’unico risultato che si riuscirà ad ottenere sarà rendere ancora più arduo il nostro già difficile lavoro”.
Parole pesanti come macigni. E sagge come quelle del suo collega di reparto Francesco Rispoli – tra i primi a intervenire dopo il servizio de “Le Iene” – e di tanti altri che il loro lavoro lo onorano al meglio ogni giorno, seppur in condizioni difficili.
Oggi, la nostra testata vuole proporre alla vostra visione il seguente video, girato da personale interno all’ospedale di Locri, il cui incipit è emblematico: “Tutto quello che è sfuggito alle Iene”.
youtube
Il video è accompagnato dalla seguente comunicazione, nella quale non ci sono firmatari – non serve perché si parla a nome di tutti – ma vuole esprimere un sentire comune che vada oltre a sensazionalismo e scandalismo e ridia fiducia ai cittadini:
“Non ne possiamo più di sentire che la Sanità, nella Locride , è da “terzo mondo” e, al contempo, continuare a vedere che di fatto non s’interviene in maniera concreta per modificare una situazione drammatica che da anni è sotto gli occhi di tutti. Se non fosse che le conseguenze sono vissute quotidianamente sulla pelle dei cittadini, che non vedono riconosciuto il loro sacrosanto diritto alle cure, e sulla maggioranza degli operatori sanitari che si trovano a dover lavorare in condizioni di perenne emergenza, potremmo anche dire che ormai siamo abituati a questa “propaganda”. Uno stato di abbandono che si è consumato, e continua a consumarsi, nell’indifferenza più assoluta di chi avrebbe il potere ed il dovere d’intervenire.  Che cosa abbia determinato tutto questo, e soprattutto, di chi siano le responsabilità di questa scellerata gestione, non è lecito saperlo. Si respira un pesante clima “pilatesco” dove tanti, che potrebbero fare , preferiscono lavarsene le mani e starsene a guardare, senza intervenire.  Nel frattempo si lascia che un pesante clima di sfiducia cancella il sacrificio di tanti operatori che, con grande abnegazione, continuano a lavorare in condizioni drammatiche, di continuo anche mortificati ed umiliati. Se si vuole veramente cambiare, s’intervenga subito per far sì che un Ospedale abbia i requisiti strutturali , di confort alberghiero, di attrezzature e di personale sanitario in numero sufficiente a svolgere le proprie funzioni. Si scelgano  senza clientelismi le persone giuste, si diano con urgenza i mezzi necessari, si abbia il coraggio di identificare le sacche di inefficienza o di incapacità e si dia gratificazione e responsabilità dirigenziale a chi veramente merita. E’ chiedere troppo che nel nostro territorio vi sia un sistema sanitario “normale” , efficace ed efficiente al pari di quanto avviene in altre realtà ? E’ chiedere troppo , che l’ Ospedale sia messo nelle condizioni di poter operare in maniera appropriata, che vi siano servizi territoriali complementari, capaci  di operare in termini di continuità assistenziale e di integrazione dei servizi, che vi siano strutture assistenziali alternative al ricovero ospedaliero, che sia operativa l’ assistenza domiciliare, l’hospice ed il sistema di cure palliative ? E’ fuori luogo pretendere con forza che vi sia una riorganizzazione gestionale ed amministrativa in questa Azienda Sanitaria in grado di supportare e facilitare l’operatività delle varie strutture sanitarie?
Nel frattempo questo territorio, con tutti i suoi cittadini, continua a subire oltre al danno anche l’umiliazione mediatica di che inevitabilmente colpisce tutto e tutti, buoni e cattivi. Occorre fare presto per non vedere cancellato del tutto quanto realizzato, con grande sacrificio, da tanti operatori sanitari che nel tempo hanno dato lustro a questo Ospedale. Ma forse, anche di questo , non importa niente a nessuno”.
di Gianluca Albanese LOCRI – Una struttura sanitaria che serve una popolazione potenziale di 140.000 abitanti, la stessa di quando il numero dei posti letti erano molti di più. Delle disfunzioni e delle problematiche dell’ospedale di Locri si è detto e scritto tantissimo. Oggi, chi lavora in questa struttura non ci sta a essere parte
Gianluca Albanese
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