#il cielo come un libro
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maurosempre · 7 months ago
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Io sono sempre sorpreso e ammirato di come il meteo possa, per esempio, prevedere con una settimana d’anticipo la durata dell’afa, la sua geografia esatta, le sue temperature.
Il cielo come un libro
(Bernard Pivot)
...siamo un popolo di santi, poeti, navigatori...e meteorologi.
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mirmidones · 1 year ago
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ma non è vero porca troia basta parlare male della mia bibbia amatissima
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empito · 15 days ago
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La mia mente è talmente affollata di pensieri che le lacrime premono per uscire. Ogni idea, ogni ricordo, ogni emozione si accavalla come onde in tempesta, sommergendo la quiete che tanto desidero. Il cuore batte irregolare, come un tamburo impazzito, mentre cerco invano un rifugio in cui nascondermi da questo turbine interiore. Il cielo sopra di me è grigio e pesante, rispecchia fedelmente il caos che ho dentro. Cammino senza meta per le strade familiari, ma oggi tutto appare diverso, distante. Gli alberi spogli tendono i loro rami scheletrici verso un orizzonte sfocato, e il vento freddo mi sferza il viso, portando con sé sussurri di memorie lontane. Vorrei poter fermare il tempo, trovare un angolo di silenzio dove poter ascoltare il battito dei miei pensieri, decifrarli, comprenderli. Ma essi si rincorrono, si sovrappongono, creando un groviglio inestricabile che mi opprime il petto. Ogni respiro è un atto di volontà, ogni passo un'impresa. Gli occhi mi bruciano, sento il peso delle parole non dette, dei sentimenti inespressi. Mi chiedo se sia normale sentirsi così persi, così sopraffatti dalla propria mente. Forse tutti indossano maschere, celando dietro sorrisi di circostanza il proprio tumulto interiore. Eppure, in questo momento, mi sento terribilmente solo. Un gatto nero attraversa la strada, mi fissa per un istante con occhi magnetici, poi scompare tra le ombre. Vorrei avere la sua leggerezza, la sua indifferenza. Invece, ogni dettaglio intorno a me sembra amplificare il mio stato d'animo. Il rumore del traffico è un ronzio lontano, le voci delle persone sono ovattate, come se fossi immerso in una bolla di vetro. Mi fermo davanti alla vetrina di una libreria. I titoli dei libri scorrono come flash davanti ai miei occhi: storie di vite vissute, di mondi immaginari, di speranze e dolori. Penso al potere delle parole, a come possano curare o ferire, e mi domando se scrivere potrebbe aiutarmi a dare un senso a ciò che provo. Decido di entrare. L'odore della carta stampata mi avvolge, familiare e rassicurante. Sfioro le copertine con delicatezza, come fossero oggetti fragili. In quel piccolo universo fatto di silenzi condivisi, sento finalmente un po' di pace. Forse, penso, non sono le lacrime la soluzione, ma la ricerca di qualcosa che dia voce al tumulto che ho dentro. Esco con un libro tra le mani e un lieve sorriso sulle labbra. Il cielo sembra essersi schiarito, un timido raggio di sole fa capolino tra le nuvole. Forse non posso fermare i pensieri, ma posso scegliere come affrontarli. E in quel momento, capisco che ogni tempesta, per quanto intensa, è destinata a placarsi.
Empito
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fridagentileschi · 3 months ago
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L’avevano fermata, le avevano detto che il suo velo era fuori posto, che doveva sistemarlo meglio, che coprisse come si deve. Uno sguardo di ammonizione, una regola ripetuta, e un comando che pesava come catene invisibili.
Ma invece di abbassare lo sguardo, di tirare quel velo come le avevano detto, si toglie il velo. Poi la giacca, la camicia. Strato dopo strato, libera la pelle, si scrolla di dosso le catene.
Nel cuore pulsante di Teheran, nel cortile dell’università, rimane in biancheria intima, ma rivestita di un coraggio e una dignità che superano ogni stoffa.
Gli sguardi si accalcano su di lei: alcuni pesanti, di giudizio; altri increduli, come se stessero respirando libertà per la prima volta. Lei è una nota stonata in un coro di silenzi, un punto esclamativo in un libro di regole immutabili.
La terra sotto i suoi piedi è sempre la stessa, ma il cielo sembra abbassarsi per accoglierla. Si domanda se il vento senta il peso di tutte le parole che non si sono mai osate.
Gli occhi degli altri si posano come pietre sul suo corpo, mentre le voci si sussurrano contro di lei, tempeste di giudizi. Ma nel suo silenzio c’è un grido che sfida il mondo.
Arrivano per spegnere la sua fiamma, ricoperti di divise che trasudano conformità. La afferrano con forza, la trascinano via, mentre lei resta muta, forte come una roccia. La portano in un luogo dove sperano di spezzarla, di soffocare quel fuoco indomabile. La trasferiscono in un ospedale psichiatrico, dove tentano di etichettare come “follia” il suo desiderio di libertà. Ma non capiscono che le idee non si possono ammanettare, né chiudere in una stanza bianca.
Donna. Libera. Rivoluzione che cammina a piedi nudi sul selciato della storia.
Il suo corpo è un manifesto, la sua pelle è inchiostro vivo, e oggi ha scritto una nuova pagina di libertà.
Nel dipartimento rimane il suo ricordo, un’ombra luminosa, un’equazione irrisolta sul muro. Perché spogliarsi dei simboli imposti è l’unico modo per rivestirsi di infinito.
PS: La ragazza si chiama #AhouDaryaei, studia letteratura francese all’Università di Oloom Tahghighat, in Iran.
Un’eroe di cui avevamo bisogno! ♥️
Dalla Fenomenologia della lingua
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apis-vergilii · 22 days ago
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M. Laeta Francisco Petrarcae epistulam dedicat.
Fu nella tua città di Arezzo, maestro, ove per primo iniziai a dedicarmi alla lingua italiana.
Ero giovanissima, studentessa universitaria, americana, ignorante, peggio di tutto ero musicista, quando per prima sentii il tuo nome. (Petrarch, Petrarca, mi chiedevo, ma chi è questo? Petr-arca, arca di pietro, come un antico tempio romano. Recitavo il tuo nome come un incantesimo per placare il genius loci di Arretium, prima di leggere una tua singola parola. Perdonami.)
Ad Arezzo come in ogni altra città del mondo ero l’estranea di ogni gruppo sociale. La mia esperienza emblematica di questa vita da sempre è: osservare un circolo stretto di amici, dall’altra parte della stanza. Per quello studiavo piuttosto da sola, girovagavo in città da sola. Imparai un giorno che eri un poeta medioevale che cantavi d’amore, per una donna con cui non parlavi mai: come Dante con la sua Beatrice, sognando e piangendo ma sempre senza speranza, eri così per la tua Laura.
Alma del core, spirto dell’alma - sempre costante t’adorerò. Un altro ricordo di Arezzo di quell’estate. Una canzonetta settecentesca, una melodia tenera e semplice. Non c’entravi, eppur quando lo cantavo da sola nella mia voce tenua e fanciullesca, per le strade e nei parchi e boschetti, mi immaginavo di cantare per te, anche mentre cantavi a Laura. All’aria perfettamente vuota.
Una notte con i miei compagni di classe comprammo, con gli occhi sgranati e ridacchiando nervosi per il senso di trasgressione, una bottiglia di assenzio. Chiudemmo le luci a casa e facemmo il rito dello zucchero bruciato per addolcire il liquore amaro, lo bevemmo e ci sedemmo sul balcone della casa a guardare il cielo stellato e attendere le allucinazioni e visioni mistiche a noi promessi dalle leggende urbane e dagli scrittori morti male dell’ottocento. Ovviamente non successe niente tranne una consueta ubriacatura, ma io ad un certo punto iniziai a fissare dei cipressi lontani, alberi eleganti e malinconici, tratti di inchiostro nero che spezzavano il lume delle stelle, mai visti prima nella mia terra e così poetici che mi venne da piangere. I miei compagni di classe mi presero in giro e non mi credettero quando dissi di aver visto lo spirito di Petrarca.
Canzoniere. Io da musicista conoscevo già la parola “canzone”, ma “canzoniere” mi suonava magico, come un sospiro. Troppo romantico. Dovevo finalmente conoscerti. Entrai in una libreria - e maestro, tieni presente che tutto questo accadde prima che io avessi la minima competenza letteraria in italiano. Ero nella classe dei principianti analfabeti, con un’insegnante distratta e antipatica, e dopo un paio di settimane avevo già imparato tutto il materiale che ci aspettava per l’esame e iniziai a saltare le lezioni per pura noia.
Quel giorno - quel nostro giorno - presi in mano la mia nuova Canzoniere e salii in cima della città, ove regna la cattedrale come una fortezza etrusca costruita sopra la vetta della collina. Il sole quel giorno, quel nostro giorno, era di uno splendore travolgente. Accanto al cattedrale c’è un parco, con il tuo monumento - un po’ pomposo, trionfale, romano, augustiniano, precisamente come piacerebbe a te, ridicolo che sei. Di lauro incoronato.
Mi misi là, sdraiata sul prato, ascoltando in cuffie le sonate di Liszt basate sui sonetti tuoi, e iniziai a sfogliare ciecamente la tua opera. Dietro le parole che faticavo a decifrare percepii una bellezza struggente che mi tenne l’attenzione alla pagina. Poi lo splendore del sole diventò troppo, diventò un fastidio troppo caldo, e andai a cercare riparo ombroso da qualche parte.
Fu tutta una scusa per l’ultimo pelegrinaggio. La tua casa sta ancora là, la casa in cui la beata Eletta ti ha dato alla luce. Quel nostro giorno, la porta del cortile era aperta. Sotto un albero (forse un ampio faggio, se vogliamo citare il nostro Tityrus, ma lui quel giorno mi aspettava ancora, lontano nel mio futuro) aprì di nuovo il libro. Il nome di Laura - o meglio Laureta - mi catturò l’occhio.
Quando io movo i sospiri a chiamar voi,
e 'l nome che nel cor mi scrisse Amore,
LAUdando s'incomincia udir di fore
il suon de' primi dolci accenti suoi.
Restai là per forse 2 ore, soffermandomi su ogni parola, strappando i neuroni dal cervello per decifrare il tutto, lentamente, sperdutamente, senza la minima idea di cosa stavo facendo - ma alla fine, lo capì. Per questo lo chiamo quel giorno il nostro: perchè là a casa tua diventasti il mio primo vero maestro d’italiano, e mi hai insegnato una canzone. Rubai per te un fiore dal giardino e scappai via - un regalo per te, che conserverò tra le pagine della tua Canzoniere per sempre.
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tizianacerralovetrainer · 3 months ago
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L’avevano fermata, le avevano detto che il suo velo era fuori posto, che doveva sistemarlo meglio, che coprisse come si deve. Uno sguardo di ammonizione, una regola ripetuta, e un comando che pesava come catene invisibili.
Ma invece di abbassare lo sguardo, di tirare quel velo come le avevano detto, si toglie il velo. Poi la giacca, la camicia. Strato dopo strato, libera la pelle, si scrolla di dosso le catene.
Nel cuore pulsante di Teheran, nel cortile dell’università, rimane in biancheria intima, ma rivestita di un coraggio e una dignità che superano ogni stoffa.
Gli sguardi si accalcano su di lei: alcuni pesanti, di giudizio; altri increduli, come se stessero respirando libertà per la prima volta. Lei è una nota stonata in un coro di silenzi, un punto esclamativo in un libro di regole immutabili.
La terra sotto i suoi piedi è sempre la stessa, ma il cielo sembra abbassarsi per accoglierla. Si domanda se il vento senta il peso di tutte le parole che non si sono mai osate.
Gli occhi degli altri si posano come pietre sul suo corpo, mentre le voci si sussurrano contro di lei, tempeste di giudizi. Ma nel suo silenzio c’è un grido che sfida il mondo.
Arrivano per spegnere la sua fiamma, ricoperti di divise che trasudano conformità. La afferrano con forza, la trascinano via, mentre lei resta muta, forte come una roccia. La portano in un luogo dove sperano di spezzarla, di soffocare quel fuoco indomabile. La trasferiscono in un ospedale psichiatrico, dove tentano di etichettare come “follia” il suo desiderio di libertà. Ma non capiscono che le idee non si possono ammanettare, né chiudere in una stanza bianca.
Donna. Libera. Rivoluzione che cammina a piedi nudi sul selciato della storia.
Il suo corpo è un manifesto, la sua pelle è inchiostro vivo, e oggi ha scritto una nuova pagina di libertà.
Nel dipartimento rimane il suo ricordo, un’ombra luminosa, un’equazione irrisolta sul muro. Perché spogliarsi dei simboli imposti è l’unico modo per rivestirsi di infinito.
PS: La ragazza si chiama AhouDaryaei, studia letteratura francese all’Università di Oloom Tahghighat, in Iran.
Un’eroina di cui avevamo bisogno!
Fonte: Simone Carta, scrittore ❤️
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angelap3 · 8 days ago
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Lascia che sia fiorito
Signore, il suo sentiero
Quando a te la sua anima
E al mondo la sua pelle
Dovrà riconsegnare
Quando verrà al tuo cielo
Là dove in pieno giorno
Risplendono le stelle
Quando attraverserà
L'ultimo vecchio ponte
Ai suicidi dirà
Baciandoli alla fronte
Venite in Paradiso
Là dove vado anch'io
Perché non c'è l'inferno
Nel mondo del buon Dio
Fate che giunga a Voi
Con le sue ossa stanche
Seguito da migliaia
Di quelle facce bianche
Fate che a voi ritorni
Fra i morti per oltraggio
Che al cielo ed alla terra
Mostrarono il coraggio
Signori benpensanti
Spero non vi dispiaccia
Se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
Soffocherà il singhiozzo
Di quelle labbra smorte
Che all'odio e all'ignoranza
Preferirono la morte
Dio di misericordia
Il tuo bel Paradiso
L'hai fatto soprattutto
Per chi non ha sorriso
Per quelli che han vissuto
Con la coscienza pura
L'inferno esiste solo
Per chi ne ha paura
Meglio di lui nessuno
Mai ti potrà indicare
Gli errori di noi tutti
Che puoi e vuoi salvare
Ascolta la sua voce
Che ormai canta nel vento
Dio di misericordia
Vedrai, sarai contento
Dio di misericordia
Vedrai, sarai contento
Ho inciso la canzone dei suicidi ancora sotto choc, dopo aver visto Luigi steso in quel piccolo obitorio vicino a Sanremo, pareva un ospedaletto da campo. Nella mia canzone c'è una specie di tentativo di riscatto, da parte di un ente supremo come Dio, che fa proprio il contrario di quello che han fatto gli uomini: cioè lo perdona. È una canzone che è stata considerata addirittura blasfema quando nell'ultima strofa dico per esempio: "Dio di misericordia, vedrai, sarai contento". Questo dialogo uomo-Dio a tanta gente non piace, da fastidio. Il discorso che ho voluto fare era questo: " Sta tranquillo, che se non ti abbiamo capito noi, ci sarà qualcuno che ti capirà meglio".
Anche se io, tutto sommato, non posso considerarmi né cristiano né cattolico, mi farebbe piacere che nel caso di Luigi ci fosse veramente un dio. “Preghiera in gennaio”, che scrissi sull’onda di quell’emozione, partendo da una poesia di Francis Jammes.
Fabrizio De André.
( Dal libro - Anche le parole sono nomadi - a cura della Fondazione De André onlus)
Luigi Tenco 21 marzo 1938 - 27 gennaio 1967
( Illustrazione Milo Manara)
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palmiz · 3 months ago
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L’avevano fermata, le avevano detto che il suo velo era fuori posto, che doveva sistemarlo meglio, che coprisse come si deve. Uno sguardo di ammonizione, una regola ripetuta, e un comando che pesava come catene invisibili.
Ma invece di abbassare lo sguardo, di tirare quel velo come le avevano detto, si toglie il velo. Poi la giacca, la camicia. Strato dopo strato, libera la pelle, si scrolla di dosso le catene.
Nel cuore pulsante di Teheran, nel cortile dell’università, rimane in biancheria intima, ma rivestita di un coraggio e una dignità che superano ogni stoffa.
Gli sguardi si accalcano su di lei: alcuni pesanti, di giudizio; altri increduli, come se stessero respirando libertà per la prima volta. Lei è una nota stonata in un coro di silenzi, un punto esclamativo in un libro di regole immutabili.
La terra sotto i suoi piedi è sempre la stessa, ma il cielo sembra abbassarsi per accoglierla. Si domanda se il vento senta il peso di tutte le parole che non si sono mai osate.
Gli occhi degli altri si posano come pietre sul suo corpo, mentre le voci si sussurrano contro di lei, tempeste di giudizi. Ma nel suo silenzio c’è un grido che sfida il mondo.
Arrivano per spegnere la sua fiamma, ricoperti di divise che trasudano conformità. La afferrano con forza, la trascinano via, mentre lei resta muta, forte come una roccia. La portano in un luogo dove sperano di spezzarla, di soffocare quel fuoco indomabile. La trasferiscono in un ospedale psichiatrico, dove tentano di etichettare come “follia” il suo desiderio di libertà. Ma non capiscono che le idee non si possono ammanettare, né chiudere in una stanza bianca.
Donna. Libera. Rivoluzione che cammina a piedi nudi sul selciato della storia.
Il suo corpo è un manifesto, la sua pelle è inchiostro vivo, e oggi ha scritto una nuova pagina di libertà.
Nel dipartimento rimane il suo ricordo, un’ombra luminosa, un’equazione irrisolta sul muro. Perché spogliarsi dei simboli imposti è l’unico modo per rivestirsi di infinito.
PS: La ragazza si chiama Ahou Daryaei, studia letteratura francese all’Università di Oloom Tahghighat, in Iran.
Un’eroe di cui avevamo bisogno!
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Un grosso problema sono le donne a favore della sharia, e se non sono tutte coese contro il regime religioso, sarà l'ennesimo martire di un ottusa religione.
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kon-igi · 10 months ago
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IL RAGAZZO E LA MONTAGNA
C'era una volta un giovane esploratore, la cui più grande passione era addentrarsi in tundre, scendere in ghiacciai e percorrere deserti alla ricerca della Gemma Preziosa.
Ogni luogo della terra aveva una propria Gemma Preziosa - scintillante, tenebrosa, rubescente o lattiginosa - e lui aveva viaggiato già mezzo mondo ed esplorato mille lande impervie per trovarle e collezionarle tutte.
Nella sua casa aveva una stanza intera piene di tali meraviglie, tutte racchiuse in teche di cristallo, ma il giovane esploratore non amava tornare nella propria casa, se non per riporvi i suoi tesori.
Intendiamoci, adorava la propria casa e la propria città, voleva bene ai suoi genitori e stava bene con i suoi tanti amici, ma il suo animo inquieto lo portava puntualmente a guardare le nuvole fuori dalla finestra, desiderando di poterle cavalcare e andarsene via col vento.
Un giorno sentì parlare dell'Ultima Montagna e di come al suo interno fosse la celata la pietra più preziosa di tutte: il Cuore di Gea.
L'Ultima Montagna si trovava nel paese di Finisterrae e il suo vecchio mappamondo non aveva ancora finito di girare che lui si era già messo in cammino.
Non fu un viaggio facile, né per le gambe né per il cuore, perché dovette salutare molte persone - Finisterrae era lontana - e parte del suo percorso lo dovette fare a piedi, passo dopo passo, senza mai più incontrare anima viva (tranne i ragni, che gli tennero compagnia nelle lunghe notti insonni ma che però non erano gran conversatori).
Quando arrivò all'Ultima Montagna rimase con la bocca spalancata per qualche minuto (i ragni controllarono preoccupati se ci fossero delle carie ma uscirono soddisfatti): un'enorme montagna scintillante di materiale translucido giallo paglierino svettava fino a quasi bucare la volta del cielo.
Ma il suo stupore si tramutò ben presto in preoccupazione quando, a un esame più attento, il giovane esploratore si rese conto che la montagna era in realtà un enorme conglomerato di Crisoberillo come non se n'erano mai visti in alcun libro di geologia.
Molto bene - pensò con stanca autoironia, guardando il suo piccone - sulla Scala delle Durezza di Mohs il crisoberillo ha un punteggio di 8,5 ma volendo considerare il bicchiere mezzo pieno mi è andata anche bene... la montagna poteva essere fatta di Rubino o di Zaffiro!
E cominciò a scavare una galleria per raggiungere il Cuore di Gea.
Man mano che avanzava a fatica all'interno della montagna, egli si rese conto di una cosa molto strana: per ogni colpo di piccone e di scaglia di crisoberillio che cadeva a terra lui sentiva di perdere qualcosa.
Ma cosa? - si chiese.
Non lo so - si rispose.
E allora pensò di riempire quei vuoti nel cuore immaginando il momento in cui avrebbe finalmente scalzato dalla roccia il Cuore di Gea... la gioia di sentirlo pulsare tra le proprie mani, gli occhi socchiusi per schermarsi dal bagliore di mille soli di puro cristallo, lo stupore delle persone al suo ritorno, la teca gigante già pronta al centro della sua collezione.
Quello di cui in un primo momento il Giovane Esploratore non si rese conto è che ogni picconata stava sottraendo un minuto alla sua vita e le picconate erano tante e il tempo scorreva avanti in una sola direzione, dritto come la galleria che sventrava la montagna.
Le mani che impugnavano il piccone invecchiavano, come invecchiavano le domande che lui si faceva...
Perché? Da dove? Verso cosa?
Quando le domande diventano opprimenti, i colpi del piccone rallentavano, salvo poi riprendere forza al pensiero della gemma che ogni giorno si avvicinava.
E poi, dopo mille eternità l'ultima picconata, la parete che crolla ed ecco il Cuore di Gea, sospeso nel buio luminescente di un antro nel ventre della colossale montagna.
Ma il Giovane Esploratore non poteva più definirsi tale.
Non stava più esplorando nulla e di certo non era più giovane.
Con passo incerto e polverose mani tremanti si avvicinò al Cuore di Gea e fece per prenderlo.
Ma si fermò.
Verso cosa? E perché?
E poi la domanda giusta.
Da dove?
Da dove vengo? Cosa ho lasciato? Chi ho lasciato?
E voltandosi vide che la lunga galleria che portava all'esterno era disseminata di corpi, congelati nell'atto di colpire la roccia.
Erano tutti lui, metro dopo metro sempre più vecchio, bloccati nell'attimo in cui aveva deciso di cancellare un ricordo per fare spazio al pensiero della Gemma Più Preziosa.
Sono morto? - si chiese.
Sì, ogni volta - si rispose.
Il Cuore di Gea lo guardava con occhio pulsante ma la mano, dimagrita e raggrinzita, scese sul fianco.
Non era quello che voleva... quello era ciò che aveva deciso di volere per cancellare i veri desideri, quelli che lo tenevano vivo in attesa del domani.
E il vecchio ragazzo si voltò e tornò indietro, accarezzando con una mano sempre più giovane tutti i sé che aveva lasciato morire per non aver voluto ricordare come vivere.
E li perdonò tutti, uno a uno, finché la luce del sole non gli baciò le palpebre socchiuse e lui non ritrovò la voglia di esplorare, mai perduta ma solo addormentata sotto a una pesante coperta di tristi rimpianti.
E come il mappamondo tornò a girare, il vero Cuore di Gea riprese a battergli nuovamente nel petto, perché Finisterrae è quel luogo che comincia nel punto in cui appoggi il piede per iniziare il viaggio verso il domani.
Questo post è dedicato a @seiseiseitan, per me il più grande esploratore <3
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thegianpieromennitipolis · 10 months ago
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti
PARADIGMI DELLA RAPPRESENTAZIONE
Due modi d'interpretare, non solo il tema religioso ma il proprio tempo: simbologie opposte.
Il Cristo di Piero della Francesca è una rappresentazione di onnipotenza disincantata, la forza della verità che si erge, maestosa eppure solitaria e rassegnata, lascia dietro di sé le tracce del mondo sconfitto dalla sterile condizione dell'umanità immersa nel sonno della ragione.
Risorgere potrebbe apparire inutile.
Eppure, è il segno potentissimo che rivela la radicalità della scelta, tra salvezza e morte.
Al contrario, il "Risorto" di Paolo Veronese è trionfante, posseduto dalla mistica ascesa al cielo, ormai incurante delle vicende terrene, come un dio pagano si erge al di sopra della materialità e delle miserie umane, avvolto nella luce che acceca e spaventa, mentre l'angelo sul fondo, in una scena lontana, indica alle pie donne il compimento del disegno divino.
Il primo è un Cristo messaggero che invita gli uomini a destarsi per contemplare la dualità della storia e la necessità della scelta.
Ed un Cristo che imprime la sua "auctoritas" sulla realtà terrena in una plateale, solida fissità capace di suscitare un ineluttabile moto di conversione.
Il secondo è un "redentore" che offre il mistero della sua resurrezione come implacabile superiorità del divino sull'umano, come luce sulle tenebre, come leggerezza che vince la "gravitas" dell'esistenza terrena.
Ma che guarda in alto.
E si lascia contemplare nella sua apoteosi.
Due narrazioni della cristianità, opposte, inconciliabili.
Tra la severità che accoglie e l'alterità che allontana.
- Piero della Francesca (1416-1492): "La Resurrezione",1460-1465, Museo Civico, Borgo San Sepolcro (AR) - Paolo Veronese (1528-1588): "La Resurrezione di Cristo",1570 circa, Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo
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smokingago · 10 months ago
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“Io ho una teoria.
La mia teoria riguarda i girasoli.
Seguitemi bene perchè è una teoria tutta mia.
I girasoli sono dei fiori particolari, nascono, vivono e muoiono per il sole.
Così come alcune persone che io chiamo girasoli, loro vivono per l'amore, amano la vita, amano l'amore in tutte le sue forme, sono persino un pò attratte dalla sofferenza, come il fiore che vive di tristezza quando il sole va via.
Le persone girasole sono persone particolari, le noti subito perchè hanno una strana luce dentro gli occhi e sono belle,belle da morire e lucenti, come un fuoco che arde.
È difficile spegnere certe persone, a volte si spengono da sole, mai per gli altri e hanno questa capacità di illuminare ogni cosa che hanno intorno.
Fateci caso, a volte ci sono delle persone che incontrate e vi sentite migliori, perché loro questo fanno, vi fanno sentire qualcos'altro, qualcosa di buono, qualcosa che brilla.
I girasoli illuminano ogni posto in cui mettono piede.
Sono fatte così loro.
Non puoi non amarle, non puoi spegnerle, non puoi non brillare accanto a loro.
Sono dei fiori, ma profumano di cielo.”
Adessoscrivo
Tratta da libro “Dieci Magnitudo”
#fotomia
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blacklotus-bloog · 3 months ago
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Credi davvero che...
... comprendere la natura di un Uomo sia così scontato? Credi davvero che il tuo corpo sia quella chiave capace di aprire la sua Anima? Ma soprattutto ti sei chiesta cosa sia l'Anima del tuo Uomo? Sono lacrime di un fiore che non appassisce perché mai dischiuso, pagine bianche di un libro che si riempiono di profondità solo se il tuo Uomo lo senti scorrere dentro, ricordi che come naufraghi solcano i mari della gioia e del dolore sotto il cielo della memoria, un temporale in cui si è perso ed è servito a camuffare le lacrime con la pioggia, una lavagna nera, pulita, sulla quale scrivere una sola parola sola: "TUA". L'Anima di un Uomo è un posto troppo piccolo per colei che non sa camminare in punta di piedi, per colei che sa toccare ma non accarezzare, per colei che sa solo sopire ma non risvegliare, per colei che è abituata a chiudere ma non aprire, per colei che vuole vederci solo luce ma non sa camminare al buio, perché camminare al buio nell'Anima del tuo Uomo è chiudere gli occhi e vedere la luce mentre attraversi un posto al quale appartieni.
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BLACKLOTUS
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ambrenoir · 6 months ago
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Perché la canzone si chiama "Bohemian Rhapsody"?
Perché dura esattamente 5 minuti e 55 secondi?
Di cosa parla realmente questa canzone?
Perché il film dei Queen è stato rilasciato il 31 ottobre?
Il film è stato rilasciato il 31 ottobre perché il singolo è stato ascoltato per la prima volta il 31 ottobre 1975. La canzone è intitolata così perché una "Rapsodia" è una composizione musicale libera, composta da diverse parti e temi apparentemente non correlati tra loro. La parola "rapsodia" deriva dal greco e significa "parti assemblate di una canzone". La parola "bohemienne" fa riferimento a una regione della Repubblica Ceca chiamata Boemia, luogo di nascita di Faust, il protagonista dell'opera di Goethe. Nell'opera di Goethe, Faust è un anziano molto intelligente che sa tutto tranne il mistero della vita. Non comprendendolo, decide di avvelenarsi.
Proprio in quel momento, suonano le campane della chiesa e lui esce. Al ritorno, incontra un cane che si trasforma in una sorta di uomo: è il diavolo Mefistofele, che gli promette una vita piena in cambio della sua anima. Faust accetta, ringiovanisce e diventa arrogante. Incontra Gretchen e hanno un figlio, ma la moglie e il figlio muoiono. Faust viaggia attraverso il tempo e lo spazio, sentendosi potente, ma invecchiando di nuovo, si sente nuovamente infelice. Non avendo rotto il patto con il diavolo, gli angeli si contendono la sua anima. Questa opera è fondamentale per comprendere "Bohemian Rhapsody".
La canzone parla dello stesso Freddie Mercury. Essendo una rapsodia, ci sono 7 parti diverse:
Primo e secondo atto A Capella
Terzo atto Ballata
Quarto atto Solo di chitarra
Quinto atto Opera
Sesto atto Rock
Settimo atto "Coda" o atto finale
La canzone parla di un ragazzo povero che si chiede se questa vita sia reale o una sua immaginazione distorta. Dice che, anche se smettesse di vivere, il vento continuerebbe a soffiare senza la sua esistenza. Così fa un patto con il diavolo e vende la sua anima. Dopo aver preso questa decisione, corre a raccontarlo a sua madre e le dice: "Mamma, ho appena ucciso un uomo, gli ho messo una pistola alla testa e ora è morto. Ho buttato via la mia vita. Se non torno domani, continua come se nulla importasse..." Quell'uomo che uccide è se stesso, Freddie Mercury.
Se non rispetta il patto con il diavolo, morirà immediatamente. Si congeda dai suoi cari e sua madre scoppia in lacrime, lacrime che si riflettono nelle note di chitarra di Brian May. Freddie, spaventato, grida "Mamma, non voglio morire" e inizia la parte operistica. Freddie si trova su un piano astrale dove vede se stesso: "Vedo una piccola silhouette di un uomo" e chiede "Scaramouche, vuoi fare una lite?" Scaramouche è una piccola disputa tra eserciti a cavallo (i 4 cavalieri dell'Apocalisse del male combattono contro le forze del bene per l'anima di Freddie) e continua dicendo "Fulmini e saette mi spaventano molto". Questa frase appare nella Bibbia, precisamente in Giobbe 37: "il tuono e il lampo mi spaventano: il mio cuore batte nel mio petto". Sua madre, vedendolo così spaventato per la sua decisione, supplica che venga salvato dal patto con Mefistofele. "È solo un povero ragazzo... Perdona la sua vita da questa mostruosità. Ciò che viene facile, facile se ne va, lo lascerai andare?" Le sue suppliche vengono ascoltate e gli angeli scendono per combattere contro le forze del male. "Bismillah" (parola araba che significa "Nel nome di Dio") è la prima parola che appare nel Corano, il libro sacro dei musulmani. Così Dio stesso appare e grida "Non ti abbandoneremo, lascialo andare".
Di fronte a tale confronto tra le forze del bene e del male, Freddie teme per la vita di sua madre e le dice "Mamma mia, mamma mia, lasciami andare". Dal cielo gridano di nuovo che non lo abbandoneranno e Freddie grida "no, no, no, no, no" e dice "Belzebù (il Signore delle Tenebre) potrebbe aver messo un diavolo con te madre". Freddie rende omaggio a Wolfgang Amadeus Mozart e Johann Sebastian Bach quando canta "Figaro, Magnifico" riferendosi a "Le Nozze di Figaro" di Mozart e al "Magnificat" di Bach. Finisce la parte operistica e inizia la parte rock. Il diavolo, collerico e tradito da Freddie per non aver rispettato il patto, dice "Pensi di poter insultarmi in questo modo? Pensi di poter venire da me per poi abbandonarmi? Pensi di potermi amare e lasciarmi morire?" È sconvolgente come il signore del male si senta impotente di fronte a un essere umano, di fronte al pentimento e all'amore. Persa la battaglia, il diavolo se ne va e si arriva all'ultimo atto o "coda" dove Freddie è libero e quella sensazione lo conforta. Suona il gong che chiude la canzone. Il gong è uno strumento utilizzato in Cina e nell'estremo oriente asiatico per curare persone sotto l'influenza di spiriti maligni.
La canzone dura 5 minuti e 55 secondi. A Freddie piaceva l'astrologia e il 555 in numerologia è associato alla morte, non fisica, ma spirituale, la fine di qualcosa dove gli angeli ti proteggeranno. Il 555 è legato a Dio e al divino, una fine che darà inizio a una nuova fase. La canzone è stata ascoltata per la prima volta la vigilia di Ognissanti. Una festività chiamata "Samhain" dai celti per celebrare la transizione e l'apertura all'altro mondo. I celti credevano che il mondo dei vivi e dei morti fossero quasi uniti e il giorno dei morti entrambi i mondi si unissero permettendo agli spiriti di transitare dall'altra parte. Nulla in "Bohemian Rhapsody" è casuale. Tutto è molto misurato, lavorato e ha un significato che va oltre l'essere una semplice canzone. È stata votata a livello mondiale come la miglior canzone di tutti i tempi. Questo tema ha rappresentato un cambiamento radicale per i Queen, come se davvero avessero fatto un patto con il diavolo, ha cambiato le loro vite per sempre e li ha resi immortali.
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*Il Rock è la miglior musica del mondo*
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papesatan · 1 year ago
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schegge da un pomeriggio d'ordinaria follia
Romeo caracolla verso il banco, in tenuta da calcetto. Controllo il diario: compito di italiano: leggere pagina 6, trasformare il testo descrittivo soggettivo in oggettivo, per poi illustrarlo con un disegno. Guardo il testo: L’elefante. “L’elefante è uno degli esseri viventi più grandi al mondo. Possiede due zanne di 3 metri e una proboscide con cui attacca, se minacciato, e si procura cibo e acqua. Vive prevalentemente in Africa e Asia...” Il testo è già oggettivo. Cosa accidenti devo fare? Scrivo alla madre. Romeo mi guarda, sperso: “Intanto lascia una pagina e fai il disegno” dico “Sai disegnare un elefante?” “Sì, ma alle 4 e mezza me ne devo andare”.
Nel frattempo corro a segnare i compiti di Paolo, gentilmente offerti dal registro elettronico inviatogli da sua madre: compito di aritmetica: pag. 172, es. 160-163-165. Apriamo il libro a pag. 172: il nulla. Paolo gioisce entusiasta, “Forse è giusto così, non bisogna fare niente, mi sa”, cerco di tenermi calmo, la prof ha sbagliato chiaramente pagina. Scrivo alla madre. Indico il problema, chiedo ragguagli. Invito Paolo a svolgere la materia successiva. Jacopo mi chiama a gran voce: “Giuseppe, il bagno è allagato, qualcuno ha fatto pipì per terra!” Non ho tempo d'andare a controllare, perciò lo invito momentaneamente a scansarla. Si mette a ridere e continua: “Sai che somigli a Daniele? Siete fratelli!” Daniele per tutta risposta lo guarda e fa: “Magari Giuseppe fosse mio fratello!” poi fissa mio padre e aggiunge: “E Andrea è mio nonno”. Mio padre gongola felice e in un certo senso lo sono anch’io, se il mio lavoro ha il potere di compensarlo dei nipoti che non ha. “Qui siamo tutti fratelli” conclude Jacopo “e Giuseppe è nostro padre”. Prossimo alla commozione, li invito piuttosto a sbrigarsi. Controllo il telefono, la mamma di Romeo ha risposto: “Dicono che il testo è soggettivo e devono trasformarlo in oggettivo”, “Ma non è vero!” m’incazzo, “Faglielo fare come credi. Non so che dirti”. Getto via il telefono. Sono seriamente tentato di bruciare il libro. Che faccio? Romeo sta disegnando ancora l’elefante. È un elefante bello grosso, quindi ho ancora un po’ di tempo. Ma devo pensare a una soluzione, e in fretta. Nel frattempo entra Melissa, secondo superiore: “Domani ho il compito di letteratura sui Promessi Sposi” vorrei uccidermi “E tu ti ricordi il giorno prima? Sono due settimane che ti ripeto di cominciare a prepararti per il compito. Sai che dobbiamo studiare oltre 30  pagine, vero? Come pretendi di poter fare tutto in un giorno?” Mi guarda sconsolata “Comincia a fare le mappe, mo vengo e vediamo insieme”. Una voce fuori campo grida: “Giuseppe alle 5 meno un quarto me ne devo andare!”. Fingo di non sentire e corro da Paolo. La madre ha finalmente risposto: “È giusto così”. Ma come può essere giusto così? La chiamo. Ribadisco il problema, non capisce, “Ok, non farglielo fare”. Paolo gioisce al settimo cielo. Su tutte le furie, lo minaccio di dargli dei compiti extra se non la smette. Volo da Romeo, ha finito l’elefante, devo farmi venire un accidenti d’idea. Trasformarlo da oggettivo in soggettivo è impossibile, dovrebbe aggiungere delle considerazioni personali, farlo proprio, non voglio spingerlo a sbagliare, data la consegna, in più non c’è più tempo, così gli dico: “Ok, lo vuole oggettivo? Lo facciamo oggettivissimo”. Ricopiamo il testo, estromettendo avverbi e aggettivi, rendendolo così ancor più neutro e scientifico. “Giuseppe tra mezz’ora me ne devo andare!” Mi precipito da Melissa. La professoressa ha stabilito uno schema base per indicare i punti che vorrebbe veder analizzati nel commento del primo e del secondo capitolo dei Promessi Sposi il giorno dopo: biografia dell’autore, cenni storici, analisi del periodo, influenze e ispirazioni, commento al primo capitolo, commento al secondo capitolo. Melissa mi mostra le mappe: “Vanno bene così?” ha appena iniziato la biografia di Manzoni, sarà un lunghissimo pomeriggio. Giankarol intanto langue addormentato, “Giankarol studia scienze” “No” risponde “Non ho il libro”, “Usa quello della compagna”, “NO, non mi va” e si rimette a dormire, “Giankarol, guarda che chiamo tua madre! Studia scienze e non farmi arrabbiare!” “No” sussurra riaddormentandosi, mentre m’allontano. “Giuseppe tra dieci minuti me ne devo andare!”
Squilla il telefono, è la mamma di Paolo. “Giuseppe, avevi ragione, la professoressa ha sbagliato, era pagina 138, grazie”, Paolo smette di ridere e comincia a piangere disperato, dimenandosi matto sulla sedia. Chiedo ad una delle mie dipendenti di metter fine alle sue pene, mentre Giankarol persiste a dormire. “Giankarol, fai scienze”, “No”. Loris mi saluta zaino in spalle: “Giuseppe, ho finito, me ne devo andare” “Ma non ti ho ancora corretto!” “Mio padre mi sta aspettando, è già fuori!”. Bestemmiando, lo costringo a togliersi lo zaino e a farmi vedere i compiti. Lo spedisco fuori a calci e corro da Melissa, in lacrime: “È troppo… ho mal di testa, non ce la faccio”, mi siedo accanto a lei e sottolineo le informazioni essenziali al posto suo, la sprono a continuare. Ha finito la biografia, siamo alle influenze. Il romanzo storico, Walter Scott. So già come andrà a finire, ma non voglio dirlo. Bisogna fare le maledettissime mappe, dopodiché studiarle ed elaborarle infine in un discorso organico (cosa che in secondo superiore non è ancora in grado di fare), creando una bozza di commento, una simulazione di prova. La vedo nera. “Giuseppe alle 5 e mezza me ne devo andare!” Giankarol intanto sogna. All’ennesimo rifiuto, chiamo la madre. Sta arrivando, dice. Il doposcuola si svuota, m'accorgo che Melissa è allo stremo, sono già le sei, non ce la farà. M’avvicino a lei, ha smesso già da un po' di lavorare e, preso esempio da Giankarol, s’è lasciata andare sul banco, atrocemente afflitta. “Chiama mamma” le dico “le devo parlare”. Intanto arriva la mamma di Giankarol. Lo grida un po’, lo redarguisce, fanno teatro, lei lo prega, lui le sibila parole d’odio alle spalle, soddisfatta se ne va. Mentre assisto al bieco spettacolo, la mamma di Melissa chiede spiegazioni al telefono: “Allora domani non la mando a scuola…” Non so che dirle. Per me è un enorme fallimento. Mi siedo accanto a Melissa e le faccio un veemente discorso sul reagire e tramutare la rabbia e le emozioni negative in determinazione e voglia di rivalsa. Se ne va, guardandomi sconsolata. Il compito dovrà comunque farlo, se non quel giorno, un altro ancora. L’appuntamento con Manzoni è solo rimandato, ma almeno avremo tempo per prepararlo con più calma. Giankarol dorme ancora. Mi siedo con lui e lo prego di studiare. Cerco di convincerlo in ogni modo, ma non m’ascolta. Odia la prof di scienze e tutto ciò che ad essa è collegato. “Io non voglio fare lo scienziato” dice “non me ne frega niente”. Non so che fare. Lo supplico, come se ne andasse della mia stessa vita e mi domando se forse non dovrei essere io stesso a instillargli quella voglia che gli manca, inventarmi qualcosa, la differenza fra un bravo maestro ed uno mediocre. Finisce con lui sonnecchiante ed io a ripetergli asmr le varie tipologie di tessuto: epiteliale, connettivo, muscolare e nervoso, sperando entrino in lui per via inconscia. Buonanotte Giankarol, e fai bei sogni.   
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gregor-samsung · 5 months ago
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" Qualcuno uscí da una tavola calda e cercò di porgergli una bottiglia d’acqua. Era una donna che indossava una mascherina antipolvere e un cappellino con la visiera, e ritrasse la bottiglia e svitò il tappo e quindi gliela tese di nuovo. Lui posò la valigetta per prenderla, a malapena conscio che non stava usando il braccio sinistro, che aveva dovuto posare la valigetta prima di poter prendere la bottiglia. Tre furgoni della polizia svoltarono e si precipitarono verso downtown, a sirene spiegate. Chiuse gli occhi e bevve, e sentí l’acqua scorrergli nel corpo trascinando giú con sé polvere e fuliggine. La donna lo stava fissando. Gli disse qualcosa che lui non sentí, quindi le restituí la bottiglia e raccolse la valigetta. Il lungo sorso d’acqua gli lasciò un retrogusto di sangue. Riprese a camminare. Un carrello del supermercato giaceva immobile e vuoto. Dietro c’era una donna, girata verso di lui, con del nastro della polizia avvolto intorno alla testa e al viso, di quel nastro giallo con la scritta caution che delimita la scena di un delitto. I suoi occhi erano piccole increspature bianche nella mascherina sgargiante, e lei stringeva la maniglia del carrello e se ne stava lí, a guardare dentro il fumo.
Fece in tempo a udire il suono del secondo crollo. Attraversò Canal Street e cominciò a vedere le cose, per qualche motivo, in modo diverso. Non parevano pregnanti come al solito, le strade lastricate, i fabbricati in ghisa. C’era una qualche mancanza cruciale nelle cose intorno a lui. Erano incompiute, per cosí dire. Erano inosservate, per cosí dire. Forse era quello l’aspetto che avevano le cose quando non c’era nessuno che le vedesse. Udí il suono del secondo crollo, o lo avvertí nel tremore dell'aria, la torre nord che cadeva, uno sconcerto sommesso di voci in lontananza. La torre nord che crollava era lui. Il cielo era piú leggero, lí, e riusciva a respirare piú facilmente. C’erano altri dietro di lui, migliaia, che andavano riempiendo la media distanza, una massa prossima a formarsi, gente che fuoriusciva dal fumo. Proseguí finché non dovette fermarsi. Lo investí rapida, la consapevolezza di non poter andare oltre. Provò a dirsi che era vivo, ma era un’idea troppo oscura per riuscire a prendere corpo. Non c’erano taxi e il traffico in genere scarseggiava e allora apparve un vecchio furgoncino, una ditta elettrica di Long Island City, e gli si accostò e il conducente si sporse verso il finestrino dal lato del passeggero a esaminare ciò che stava vedendo, un uomo incrostato di cenere, di materia polverizzata, e gli chiese dove voleva andare. Fu solo una volta salito a bordo e chiusa la portiera che capí dov’era diretto fin dall'inizio. "
Don Delillo, L'uomo che cade, traduzione di Matteo Colombo, Einaudi, 2008. [Libro elettronico]
[Edizione originale: Falling Man, Charles Scribner's Sonspublisher, New York City, 2007]
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anima-complicata-80 · 6 months ago
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Anime calde e vodka.
Ti sfioro.
Ti tocco.
Ti bacio.
Ti lascio bere, l'ultima goccia di voka, ed un istante sei mia.
Inostri corpi ancora caldi di passione.
Come anime calde che si fondono insieme. Solo tu ed io, il resto solo sfumature, cosa ci importa del cielo, delle stelle?
Noi due contro tutto e tutti!
Sognare.
Sognare non costa nulla, il sogno rifugio ideale, per cullarsi con degli inganni piacevoli.
Giovanni Pecoraino. (Tratto dal libro scritto da me "Il giaciglio dei sogni perduti")
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