#ernesto buonaiuti
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anticattocomunismo · 6 months ago
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C'è ancora qualcosa di Cattolico? Ricordiamo anche Lucifero!
Il cardinale Zuppi celebrerà in memoria di Ernesto Buonaiuti (per onorarlo, non in suffragio) più volte scomunicato in vita per l’adesione incondizionata all’eretico movimento modernista. Continue reading C’è ancora qualcosa di Cattolico? Ricordiamo anche Lucifero!
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rausule · 1 year ago
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In S. Officio autem, in primis graviter limitandis effectibus vitae praelectionis, quam maxime diehard, modernistae Italicae, Ernesto Buonaiuti, professus est, quoad potuit, e cathedra universitatis est professus. Tandem ad limbi exsistentiam precariam amandatam, etiam plusquam professionalem; in hesodiaco "precatio", ut ipse eam definivit cum figura linguistica valde originalis in sua MCMXLV autobiographia, selectiva et partialia, sicut ceteri omnes. Conlatio lectionis Buonaiuti ad studia mediaevalis italica nota est 180, sed in eo 1945 libro, inter alia, se ab «peccatum juventutis» commisit cum Litteris anni 1908181, Buonaiuti etiam ultimam magnam professionem suam fecit. 'Passio Romana'; Legatum erat ut, sicut ei, alii modernistae etiam ab intransigenti catholicismo derivantur, eam tamen subicientes mutationibus, quae in authentico saltu speciei provenire possent, et propterea prohibent quominus ad illud paradigma referendum sit quasi matrix ideologica communis. variae familiae catholicae quae vicesimo saeculo elaboraverunt. A Mario Niccoli anno 1964 et Giancarlo Gaeta paucis abhinc annis, Buonaiuti autobiographia est altior reinterpretatio experientiae, in qua nonnulla argumenta fundamentalia recipiunt quae, ut testimonium testamentarium, fructum ferre potuerunt intra segmenta limitata et ne quidem. omnis homogenea, sed non levis, societatis Italicae. Quarum prima est quae Pii VII succincte ad Lebtzeltern responsio, secundo sententiarum in exercitio voluminis allata est, quae ad conscientiae primatum fidelitatem pertinent. Altera (communicationis cum Aldo Capitino) 182 de reiectione belli ut «rem anti-humanam et anti-religiosam per excellentiam»183. Alia est illa quae ad necessitatem pertinet ad sphaeras religiosas et politicas distincte distrahendas, quam repraesentativum scholae iuridicae liberalis, sicut Jemolo, imprimis praefecit 184. Postrema nuntius, turbulentus in ordine religiosorum, a Buonaiuti in conclusione operis concludens condensatur, ut significetur certaminis significatio « servare fidem in vocatione christiana et sacerdotali » in mundo mutabili: « Para. opportuna elementa ad novam conscientiae religiosam et evangelicam restaurationem, sine quibus adventus democratiae universalis victoria mutila, sine sanguine et caduca fuisset»185. Verisimile, Buonaiuti cogitavit de eremitatione oecumenica Campelli et de alauda sorore eius Maria Pastorella, Valeria Pignetti186, quae ei in difficillimis temporibus proxima fuerat, ut unum ex luminibus, unum ex « praenuntiatione signorum. magna palingenesis » quam expectavit charismatica renovatio Ecclesiae. Per annos iam, anima solitarii mutui amici eremiticae Clitumni, Don Primo Mazzolari, impresserat exsilium Buonaiuti cum facultate comprehendendi, ultra clausuras confessionales, « fraterna ubi immensa umbra. Crucem Christi extendit»187. Hoc in loco, Roma adhuc lacessit post mutationes visuales a Rossellini formatas, cum eventu penultimo Paisà (1947.)
Dr De Beer 
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bergoglionate · 3 years ago
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La “Chiesa diversa” di papa Francesco. La “peste nera” si diffonde…
La “Chiesa diversa” di papa Francesco. La “peste nera” si diffonde…
È impossibile capire il pontificato di Francesco, nonché il suo progetto di “Chiesa diversa” (parole da egli stesso dette il 9 ottobre e che approfondiremo in quest’articolo), senza comprendere la mentalità dell’uomo e del gesuita Jorge Mario Bergoglio, la cui matrice è intrinsecamente moderna, perciò – purtroppo per lui e per tutti i battezzati – modernista. San Pio X (1903-1914), il papa…
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gregor-samsung · 5 years ago
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Il brontolìo del confronto in atto da tempo si trasforma in aperta tempesta quando, il 21 aprile del 1925, a conclusione di un «Convegno per le istituzioni fasciste di cultura» che si è svolto a Bologna, viene redatto un "Manifesto degli intellettuali del fascismo" pubblicato da buona parte della stampa italiana. Il testo, scritto da Gentile e corretto personalmente da Mussolini, riassume le motivazioni che sono state alla base dell’adesione del filosofo al fascismo. Un fascismo del quale si dirà pochi mesi più tardi che «non è un’ideologia, non è un sistema chiuso e non è neanche veramente un programma se per programma s’intende un disegno preconcepito e proiettato nell’avvenire» e dunque viene presentato come azione («la dottrina del fascismo è nella sua azione») e, al tempo stesso, «atteggiamento spirituale». Riecheggia in tutto il Manifesto l’idea gentiliana del fascismo come superamento delle due Italie che convivono da secoli. Due Italie che - secondo Gentile - vanno ben al di là dello speculare rifrangersi tra produttivismo e parassitismo, buono o cattivo governo, ma si contrappongono come due inconciliabili categorie spirituali, frutto di eventi secolari. Riprendendo la lezione del De Sanctis, Gentile vede nel fascismo la risposta all’Italia decadente, quella plasmata dal Rinascimento, dal dilagare dell’individualismo, dell’asservimento della vita pubblica al «particulare». Non ci si soffermerà ulteriormente su questo testo né sugli aspetti ideologici del dibattito, poiché, come è stato autorevolmente osservato, «se al Convegno per le istituzioni fasciste di cultura fu una vera corsa ai piazzamenti per centinaia di intellettuali, i risultati teorici dell’adunata furono però ben più magri».
Giorgio Boatti, Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Einaudi (Collana ET Saggi n° 527), 2002; pp. 32-33.
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cooperatoresveritatisinfo · 6 years ago
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“Bisogna riformare Roma con Roma”: quel Modernismo che governa oggi la Chiesa
“Bisogna riformare Roma con Roma”: quel Modernismo che governa oggi la Chiesa
Con la Pascendi Dominici gregis di san Pio X per la condanna del Modernismo e il Giuramento Antimodernista.
«Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro i quali devono essere riformati. […] per questa via Essa (la Chiesa) diventerà un protestantesimo; ma un protestantesimo ortodosso […]» (Ernesto Buonaiuti).
Se non partiamo da queste affermazioni e non…
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cristianesimocattolico · 6 years ago
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Cattolici nel mondo post-cristiano. I racconti di Roberto de Mattei sull’eresia modernista
Cattolici nel mondo post-cristiano. I racconti di Roberto de Mattei sull’eresia modernista
Il messaggio del suo libro, Trilogia romana, è un “appello”, ancorché formulato in maniera inusuale, al cuore ed alle menti di chi oggi vive con trepidazione il destino verso cui sembra incamminata la Chiesa di Roma
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corallorosso · 7 years ago
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I dodici professori che rifiutarono di giurare fedeltà a Mussolini L’articolo 18 del regio decreto n. 1227 del 28 agosto 1931 obbligava i professori universitari a giurare fedeltà allo stato, alla monarchia e al regime fascista, andava incontro alla necessità espressa dal duce di fascistizzare l’università italiana. Su 1200 professori, solo 12 si rifiutarono di adempiere al giuramento: coloro che scelsero la via più stretta non erano ribelli o sovversivi. Provenivano da diverse estrazioni sociali e culturali, credevano nella scienza, nella filosofia e nella religione. Erano laici e cattolici, progressisti o monarchici, giovani e meno giovani. Divisi in molti aspetti della vita e dell’insegnamento, ma uniti dalla convinzione che in coscienza non avrebbero mai potuto tollerare di giurare fedeltà ad un regime che oltre alle loro vite voleva controllare anche il loro pensiero. Francesco Ruffini, Mario Carrara, Lionello Venturi, Gaetano De Sanctis, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Ernesto Buonaiuti, Giorgio Errera, Vito Volterra, Giorgio Levi della Vida, Edoardo Ruffini Avondo, Fabio Luzzatto dissero no e ne pagarono le conseguenze. Oggetto delle denigrazioni e del disprezzo della stampa di regime tutti furono esclusi dall’insegnamento. Alcuni emigreranno, altri saranno sempre sotto l’attenta osservazione del regime, qualcuno verrà perfino incarcerato per sospetto antifascismo. Insomma, perderanno la cattedra e anche di più, ma conserveranno la dignità. (Cannibali e Re)
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goodbearblind · 7 years ago
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LA CULTURA CONTRO IL FASCISMO: I DODICI PROFESSORI CHE RIFIUTARONO DI GIURARE FEDELTÀ A MUSSOLINI
L’articolo 18 del regio decreto n. 1227 del 28 agosto 1931 obbligava i professori universitari a giurare fedeltà allo stato, alla monarchia e al regime fascista. Il testo elaborato in sinergia da Giovanni Gentile e Balbino Giuliano, ex ministro e ministro dell’istruzione al momento della sua emanazione, andava incontro alla necessità espressa dal duce di fascistizzare l’università italiana. Molti tra i docenti che covavano idee antifasciste decisero di giurare ugualmente fedeltà. I cattolici obbedendo alle indicazioni che venivano dal Santo Padre, i comunisti ascoltando i consigli di Togliatti e i liberali seguendo quelli di Benedetto Croce. Tutti temevano che un rifiuto avrebbe spianato al strada all’occupazione fascista di tutte le cattedre universitarie. Così su 1200 professori, solo 12 (secondo altre fonti 15, 16 o addirittura 18), si rifiutarono di adempiere al giuramento che così recitava: “giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime Fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l'ufficio di insegnante e adempire tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla Patria e al Regime Fascista. Giuro che non appartengo né apparterrò ad associazioni o partiti, la cui attività non si concilii coi doveri del mio ufficio.” Coloro che scelsero la via più stretta non erano ribelli o sovversivi. Provenivano da diverse estrazioni sociali e culturali, credevano nella scienza, nella filosofia e nella religione. Erano laici e cattolici, progressisti o monarchici, giovani e meno giovani. Divisi in molti aspetti della vita e dell’insegnamento, ma uniti dalla convinzione che in coscienza non avrebbero mai potuto tollerare di giurare fedeltà ad un regime che oltre alle loro vite voleva controllare anche il loro pensiero. Francesco Ruffini, Mario Carrara, Lionello Venturi, Gaetano De Sanctis, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Ernesto Buonaiuti, Giorgio Errera, Vito Volterra, Giorgio Levi della Vida, Edoardo Ruffini Avondo, Fabio Luzzatto dissero no e ne pagarono le conseguenze. Oggetto delle denigrazioni e del disprezzo della stampa di regime tutti furono esclusi dall’insegnamento. Alcuni emigreranno, altri saranno sempre sotto l’attenta osservazione del regime, qualcuno verrà perfino incarcerato per sospetto antifascismo. Insomma, perderanno la cattedra e anche di più, ma conserveranno la dignità. Cannibali e Re #libertà #pensierolibero #fascismo #antifascismo
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pangeanews · 6 years ago
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Il Rivoluzionario della Giovinezza temuto dal Duce: dialogo su Fiume (100 anni dopo) e su D’Annunzio con Giordano Bruno Guerri
In effetti, siamo un Paese inospitale agli eroi e che tratta a male parole i propri grandi. Al netto dei gusti personali e della propria palestra letteraria (dettagli irrilevanti), per dire, m’immagino cosa sarebbe di Gabriele d’Annunzio se fosse accaduto in Usa, in UK, nell’avida Francia. Lo avrebbero accudito, coccolato con musei e mausolei, accolto come un immortale. Basta pensare alla retorica in cui intingono le imprese di Lord Byron, i vagabondaggi di Walt Whitman, le smargiassate poematiche di Victor Hugo. Cito solo autori dell’Ottocento, perché nel secolo scorso nessuno ha fatto ciò che ha fatto d’Annunzio, che ha crogiolato la propria istrionica individualità non solo nell’alcova letteraria ma anche nell’azione, nella presenza. Omerico, uomo fuori dal tempo perché autore del proprio tempo, d’Annunzio ha forgiato la storia dell’arte e ha cambiato la Storia, ha fatto e disfatto, ha impalcato i miti di cui ha abusato il Fascismo e sfotteva il Duce, è stato rivoluzionario e carismatico, capopopolo e icona di se stesso, animatore di folle e esegeta del proprio ego. “Ho sempre vissuto contro tutto e contro tutti, affermando e confermando ed esaltando me medesimo… ho giocato col destino, ho giocato con gli eventi, con le sorti, con le sfingi e con le chimere”, scrive nel suo Libro segreto, al termine della parabola, nel 1935. Esteta in guerra, ideatore di slogan e di simboli corroboranti – durante la Grande guerra, il fatidico volo su Vienna e la ‘Beffa di Buccari’ – il fato di Gabriele d’Annunzio è all’apice un secolo fa, nel 1919, con la presa di Fiume, laboratorio artistico (chiedere a Giovanni Comisso) e politico (l’eccellente “Carta del Carnaro”) e sessuale e sociale, preludio ai beat e al Sessantotto, ululato delle minoranze, riassunto di ogni contraddizione, l’epica dell’istante e dell’irripetibile. Insomma: un poeta che preda una città, un artista avventuriero e visionario che si erge a guida di una nuova ipotesi di civiltà. Chi non sente l’elettrificazione dell’epica, in quel ciclo di albe che hanno annullato le distanze tra antica Grecia e romanzo di fantascienza? Sui “Cinquecento giorni di rivoluzione. Fiume 1919-1920” lo studio più dettagliato, autorevole – ma che ha fibra narrativa – non poteva essere che quello di Giordano Bruno Guerri: quasi 600 pagine stampate da Mondadori con un titolo eccellente, Disobbedisco. Storico che ama riabilitare gli irriverenti e i vinti (ha scritto di Giuseppe Bottai e di Galeazzo Ciano, di Curzio Malaparte e di Italo Balbo, di Ernesto Buonaiuti e di Filippo Tommaso Marinetti), presidente e direttore generale della Fondazione Vittoriale degli Italiani, l’ho chiamato al dialogo. (Davide Brullo)
Giordano Bruno Guerri è presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani
Fiume: ai suoi occhi l’Impresa è stata l’alcova del Sessantotto e di alcuni temi del tempo presente, ha anticipato “la spettacolarizzazione della politica, la distorsione della realtà tramite la propaganda, la ribellione generazionale, l’avanguardia e la festa come mezzi di contestazione, la rivolta contro la finanza internazionale, il conflitto tra nazionalismi, i volontari che lasciano i paesi d’origine per combattere guerre globali, la libertà sessuale e di abbigliamento, il ribellismo e la trasgressione”. Di per sé è l’ultima utopia del poeta che guida un esercito, un regno. Quali valori estetici e culturali preparano questa Impresa, danno impeto al non più giovane D’Annunzio?
Per capire il comandante di Fiume bisogna capire d’Annunzio, che è stato un irrequieto rivoluzionario in ogni stagione della sua vita. Da giovane scrittore, ha scosso l’Italia mettendola di fronte alle sue contraddizioni. I suoi romanzi e i suoi drammi sono veri studi antropologici che indagano ogni volto della società del tempo, dai vertici alle radici contadine. A Roma, a Napoli, a Firenze, a Parigi ha lasciato traccia di sé tra gli spiriti più geniali e inquieti dell’epoca. Quando scoppia la Prima guerra mondiale, d’Annunzio s’innamora di quel cataclisma, non solo per patriottismo. Nel grande conflitto vede, come molti altri intellettuali del tempo, l’inizio di una rivoluzione. Fin dai suoi primi discorsi interventisti si rivolge ai giovani, invitandoli a rinnovare la Nazione e la società. Durante la guerra s’impegna in prima linea per motivare i cittadini in armi. Per il ‘poeta soldato’ e per molti giovani rivoluzionari, la guerra contro l’Impero asburgico rappresenta soprattutto l’opportunità di plasmare la società del futuro. Ma al termine della guerra è chiaro – e a d’Annunzio più di tutti – che quelle aspettative sono state disilluse e che il mondo non è affatto cambiato. Migliaia di giovanissimi che avevano conosciuto la violenza e l’avventura, tornarono a casa gonfi di rabbia contro quel sistema che li aveva gettati in trincea e che li riportava a una normalità cui non erano più abituati, governata da una politica distante e estranea, che non capivano e non li capiva. La questione della “Vittoria mutilata”, della mancata annessione di Fiume e della Dalmazia erano certo questioni vitali per il poeta, da sempre tenace sostenitore di una “Grande Italia”. Ma nella mobilitazione irredentista, d’Annunzio vede soprattutto l’inquietudine di un’intera generazione tradita dalle istituzioni. Per questo, prendendo la guida della ribellione fiumana, fin da subito la presenterà come una rivolta generazionale contro l’ordine costituito. Sognerà una rivolta di tutti gli oppressi della terra, scriverà una costituzione rivoluzionaria e vivrà per cinquecento giorni circondato da giovani, lui quasi sessantenne. È qui, a mio parere, la radice psicologica e morale del d’Annunzio fiumano: quella di un rivoluzionario che, come tutti i vecchi rivoluzionari, cerca una seconda giovinezza, e la trova in una generazione che sembra perduta. In cambio, le trasmetterà il suo immaginario sconfinato e la sua irrequietezza visionaria. Uno scambio che purtroppo molti non capirono, o travisarono, o plagiarono. Come il fascismo, che sfruttò quella generazione e le visioni dannunziane, trasformandoli in strumenti della politica totalitaria.
I rapporti tra Mussolini e D’Annunzio. Lei ricorda che il Vate ‘battezzò’ a male parole Mussolini all’epoca della presa di Fiume. Anche quando Mussolini fu Duce, il politico guardò sempre con sospetto le bizze estetiche del Vate. In quale misura D’Annunzio è stato profeta e antesignano del fascismo?
A Fiume d’Annunzio dimostrò che la politica tradizionale e lo stato democratico potevano essere sfidati e abbattuti. Il fatto che sia rimasto a Fiume per sedici mesi a dispetto del mondo intero, che cittadini, legionari e sostenitori potessero essere motivati tramite cerimonie, discorsi e visioni esaltanti, era il chiaro segnale che si stava affermando un nuovo tipo di politica fondata sul carisma, sulle emozioni e sui rituali di massa. Da questo punto di vista, l’esperimento dannunziano costituì un esempio per Mussolini, che si proclamò suo “soldato” fin dal primo momento. Poi lo tradì due volte: prima, lasciando che il governo italiano scacciasse i legionari da Fiume, poi saccheggiando i riti, i simboli e i reduci dell’Impresa, includendoli nel movimento fascista. Saccheggiò tutto dall’Impresa, tranne ciò che era più importante: la sua essenza libertaria e visionaria. D’Annunzio non era certo un democratico: credeva in uno Stato forte, che educasse e guidasse il cittadino. Ma la sua visione prevedeva masse elevate culturalmente e moralmente, non inquadrate nello Stato caserma che il fascismo creò dopo il 1925. Ciò nonostante, il poeta scelse di rimanere in Italia. In fondo sapeva di essere un fantasma vivo e ingombrante per quel regime che a lui doveva gran parte dei suoi miti e dei suoi riti. “Nel movimento cosiddetto fascista il meglio non è generato dal mio spirito?”, scrisse provocatoriamente a Mussolini. Considerava dovuti e necessari gli onori che il regime gli tributava per ottenere il suo silenzio, che amava interrompere di tanto in tanto con gesti di sfida o di sberleffo. Quando, dopo l’annessione di Fiume nel 1924, Mussolini lo nominò principe di Montenevoso, il Vate scelse il motto “Immotus nec iners”: fermo ma non inerte. A dimostrazione che era più vivo e indipendente che mai rispetto alla dittatura che l’aveva eletto suo simbolo. E lo dimostrò fino all’ultimo, quando si oppose apertamente all’alleanza tra Mussolini e Hitler.
D’Annunzio ‘politico’, dalla parentesi Parlamentare del ‘salto della quaglia’ in qua: puro esibizionismo o audace lungimiranza?
Né l’uno, né l’altra. Per d’Annunzio, la politica non era che un mezzo per esprimere la propria complessa visione del mondo. Più è vasto e tormentato un percorso intellettuale, più è difficile costringerlo in gabbie ideologiche precostituite. D’Annunzio, nella sua vita artistica, politica e anche spirituale, avvertì sempre il bisogno di attingere contemporaneamente a universi differenti. L’esigenza di diffondere le sue intuizioni sempre nuove, mediate da un’acuta percezione dello spirito dei suoi tempi, lo spinse a frequentare diversi orizzonti politici. Grazie all’agiata borghesia da cui proviene, entra in Parlamento come deputato di destra, ma quando si tratta di difendere la libertà di pensiero, non esita a spostarsi pubblicamente tra i banchi della sinistra. Durante la lotta per l’intervento in guerra la sua duttilità politica diventa un’arma formidabile contro i neutralisti: condivide il programma della destra nazionalista, ma adotta i miti, i riti e i valori della tradizione mazziniana, garibaldina e repubblicana. Anche grazie ai suoi discorsi e ai suoi articoli, che sanno rivolgersi agli uni e agli altri, fu possibile creare un grande coalizione politica interventista. Ma è a Fiume che d’Annunzio sperimenta la massima espressione del suo sincretismo ideologico e filosofico, fondendo patriottismo e ribellismo, nazionalismo e sindacalismo rivoluzionario. Il nuovo e ribollente crogiolo di idee contenute nei suoi proclami fiumani darà vita a un movimento politico: il fiumanesimo. Sarebbe sbagliato identificare nella modernissima Carta del Carnaro la massima espressione del pensiero politico dannunziano, che anche dopo Fiume continuerà a elaborare, sperimentare, evocare nuove forme di coscienza civica e patriottica: nel Libro ascetico, pubblicato nel 1926, il Vate elaborerà un nuovo senso di appartenenza nazionale nell’Italia rinnovata dalla guerra ma sconvolta dall’ascesa del fascismo. La sua variegata esperienza politica ruota intorno a dei pilastri ricorrenti: la tutela del patrimonio monumentale e paesaggistico; l’educazione alla bellezza e all’armonia; il culto della Nazione come sorgente di identità individuale e collettiva; l’intreccio tra celebrazione del passato e proiezione verso il futuro. Pur di realizzarle, d’Annunzio non si precluse mai alcun orizzonte politico, dialogando con tutti, conservatori, repubblicani, fascisti, comunisti e anarchici. “Io non ho mai temuto i contagi”, affermò in un’intervista del 1922: “Né ho mai temuto di trarre al servigio della mia causa bella le forze più pericolose”.
Quali sono gli aspetti ‘rivoluzionari’, imitati, ‘attuali’ – parola orribile per chi mira agli assoluti – della Carta del Carnaro?
La Carta dannunziana fa impallidire molti testi costituzionali vigenti oggi nel mondo. Laicità dello Stato, parità tra i sessi, eleggibilità di ogni cittadino a partire dai venti anni, autonomia locale, tutela delle minoranze, istruzione primaria gratuita, assistenza sociale per malattia, invalidità, disoccupazione, vecchiaia. I lavoratori sono inseriti in un sistema corporativo che ambisce a porre fine al binomio padroni-oppressori e proletari-vittime. Un corporativismo sperimentale che intende proteggere concretamente i deboli e intrecciare il bene dell’individuo a quello della collettività. Rivoluzionario è l’articolo sull’etica del lavoro, che oltre a essere un fondamento dello Stato – anticipando la Costituzione repubblicana del 1946 – deve essere una “fatica senza fatica”, vera realizzazione delle energie creatrici dell’uomo. Tali principi, com’è noto, furono elaborati dal poeta con Alceste De Ambris, celebre teorico del sindacalismo rivoluzionario. Ma i principi più rivoluzionari sono quelli pensati e scritti dal poeta, che vi trasmise tutta la sua sensibilità per la bellezza e l’armonia. Prevedette la costituzione di un collegio di architetti e urbanisti con il compito di curare la salubrità delle case, difendere il paesaggio, pianificare l’urbanistica secondo principi di armonia, allestire manifestazioni pubbliche. Una sensibilità che anticipa la lotta per la difesa dell’ambiente e del territorio, della qualità della vita nelle città. Una lotta oggi più che mai necessaria e che troverebbe nella Carta del Carnaro un manifesto vivo e sferzante.
Perché Fiume non ha avuto altro esisto che una estatica parentesi nella Storia? Cosa vince? La ragion di Stato contro quella lirica, la politica sull’estetica? E poi… quale tra i fiumani le sembra il più rappresentativo di un istante irripetibile?
L’Impresa di Fiume maturò in un momento affascinante e drammatico, in un mondo sconvolto dalla Grande Guerra e che cercava nuovi significati. A Fiume confluirono uomini di tutte le età e le convinzioni: si confrontarono, si fusero, si azzuffarono. Va anche detto che d’Annunzio non era un abile capo politico e, nella sua ansia di attirare le forze più diverse, fece molta confusione provocando conflitti e ripensamenti tra i suoi stessi seguaci. Tuttavia credo che il poeta fosse intimamente soddisfatto di quel grande crogiolo ribollente, impossibile in altri tempi e in altri luoghi. Quel momento non poteva durare in eterno, ma sarebbe rimasto la sua opera più grande (“Un’opera con le altrui vite” lo definì). Sapeva che i suoi seguaci, qualsiasi direzione avessero preso o qualunque fosse la loro convinzione, avrebbero ricordato Fiume come un’esperienza irripetibile. Per questo motivo credo sia difficile scegliere un solo istante dell’Impresa più irripetibile di altri: tutto ciò che accadde in quei sedici mesi avventurosi, dalla conquista pacifica della città alla creazione di una flotta pirata, fu possibile solo in quella città di confine, in un momento di transizione tra due epoche, per opera di un uomo capace di cogliere gli umori di un mondo in trasformazione. Credo valga per tutta l’Impresa ciò che d’Annunzio dichiarò nell’aprile 1920 riguardo la Carta del Carnaro: “Anche se l’annessione ci impedisse di attuare la Costituzione in tutte le sue forme, questa potrebbe sempre rimanere come un esempio a tutto il mondo dell’aspirazione di un popolo e di un gruppo di spiriti”.
Senta ma… la sua vita, di fatto, è consustanziale a quella di D’Annunzio: perché? Cosa la affascina di D’Annunzio, irresistibilmente? E cosa, soprattutto, non le piace?
Nego che sia “consustanziale”. A parte l’evidente differenza di genio, io per esempio sono padre e sposo esemplare… Di d’Annunzio mi affascina la molteplicità del genio, sintetizzato in quel capolavoro che è il Vittoriale, “Libro di pietre vive”: sono fiero di averne risollevato le sorti, facendone un luogo amato, visitatissimo, culturalmente e socialmente vitale, con un bilancio economico affatto dannunziano, cioè in attivo.
Cinga con un aggettivo gli italiani e con un altro l’Italia.
Non mi esercito nei miracoli linguistici.
Marinetti, Malaparte, Van Gogh, Balbo, Bottai, Ciano, D’Annunzio, ovviamente. Lei è attratto dagli irrequieti, dagli anomali, dai personaggi ‘da romanzo’ – che però non romanza ma inquadra e squaderna. Di chi vorrebbe scrivere, ora?
Oltre l’irrequietezza e l’anomalia, hanno tutti in comune una vulgata a mio parere erronea, grossolana, che ho cercato di cambiare. Scrivere di storia è una tale fatica che non ne vale la pena, se non si ha da dire qualcosa di nuovo e di originale. Il prossimo libro? Glielo posso dire, tanto nessuno sarà tentato dal rubarmi l’idea: un vero romanzo, ispirato alla storia della mia famiglia contadina e a me.
L'articolo Il Rivoluzionario della Giovinezza temuto dal Duce: dialogo su Fiume (100 anni dopo) e su D’Annunzio con Giordano Bruno Guerri proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2IxevtL
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meekhayla · 6 years ago
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Francesco ed Edoardo Ruffini. Fabio Luzzatto. Giorgio Levi Della Vida. Gaetano De Sanctis. Ernesto Buonaiuti. Vito Volterra. Bartolo Nigrisoli. Marco Carrara. Lionello Venturi. Giorgio Errera. Piero Martinetti Gli unici 12 professori su 1225 che non giurarono fedeltà al fascismo
— Luigi #facciamorete #Antifa (@comeDonQuixote) January 9, 2019
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garadinervi · 5 years ago
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«Nel 1931, la dittatura impose a 1225 docenti universitari di giurare fedeltà al fascismo. Solo i seguenti professori rifiutarono per difendere la libertà della ricerca e dell'insegnamento e pertanto furono licenziati — Ernesto Buonaiuti, Roma, Storia del cristianesimo / Mario Carrara, Torino, Medicina legale / Gaetano De Sanctis, Roma, Storia antica / Giorgio Errera, Pavia, Chimica / Giorgio Levi Della Vida, Roma, Lingue semitiche comparate / Fabio Luzzatto, Milano, Diritto agrario / Piero Martinetti, Milano, Filosofia teoretica / Bartolo Nigrisoli, Bologna, Chirurgia / Francesco Ruffini, Torino, Diritto ecclesiastico / Edoardo Ruffini Avondo, Perugia, Storia del diritto / Lionello Venturi, Torino, Storia dell'arte / Vito Volterra, Roma, Fisica matematica — In occasione del nostro congresso martinettiano si ricorda questa loro preclara lezione perché, à la Cattaneo, la 'civiltà è milizia'. – Centro Internazionale Insubrico 'Carlo Cattaneo’ e ‘Giulio Preti', Varese, 26-27 Ottobre 2016»
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anticattocomunismo · 1 year ago
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Il messaggio della Pascendi di san Pio X
Il modernismo si proponeva infatti di trasformare il Cattolicesimo dall’interno lasciandone intatto, nei limiti del possibile, l’involucro esteriore. Continue reading Untitled
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bergoglionate · 2 years ago
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La "Chiesa pragmatica" di Francesco... non sa difendersi?
La “Chiesa pragmatica” di Francesco… non sa difendersi?
Riprendiamo le nostre pubblicazioni sottoponendo all’attenzione dei nostri lettori un interessante editoriale del vaticanista Andrea Gagliarducci in una nostra traduzione. L’articolo prende in esame l’incontro che papa Francesco ha avuto con i confratelli gesuiti del Canada e la conferenza stampa di ritorno dal viaggio apostolico. Ricordiamo, seppur brevemente, che – il pragmatismo – è quella…
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anticattocomunismo · 6 years ago
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Il modernismo: radici e conseguenze storiche
Il modernismo: radici e conseguenze storiche
Giornata di studi su “Vecchio e nuovo Modernismo: Radici della Crisi nella Chiesa”, Roma – 23 giugno 2018. Relazione del prof. Roberto de Mattei.
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bergoglionate · 6 years ago
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Card. Müller denuncia una "secolarizzazione del concetto di Chiesa"
Card. Müller denuncia una “secolarizzazione del concetto di Chiesa”
Si dice che tutti i nodi vengono al pettine… e tanti di questi “nodi” sono stati trattati meticolosamente e con tanto di prove, dal sito amico di cooperatoresVeritatis, alla voce Dossier, in particolare la pagina dedicata al gesuitismo modernista, vedi qui, ma anche all’ultimo articolo dedicato all’eresia del sacerdote Ernesto Buonaiuti, vedi qui, leggendo il quale potrete comprendere meglio…
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garadinervi · 7 years ago
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Piero Martinetti (1872 – 1943)
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/ «Eccellenza, Ieri sono stato chiamato dal Rettore di questa Università che mi ha comunicato le Sue cortesi parole, e vi ha aggiunto, con squisita gentilezza, le considerazioni più persuasive. Sono addolorato di non poter rispondere con un atto di obbedienza. Per prestare il giuramento richiesto dovrei tenere in nessun conto o la lealtà del giuramento o le mie considerazioni morali più profonde: due cose per me ugualmente sacre. Ho prestato il giuramento richiesto quattro anni or sono, perché esso vincolava soltanto la mia condotta di funzionario: non posso prestare quello che oggi mi si chiede, perché esso vincolerebbe e lederebbe la mia coscienza. Ho sempre diretto la mia attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza, e non ho mai preso in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di subordinare queste esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così, ho sempre insegnato che la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto che l'uomo può avere nella vita, è la propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi altra considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio. Ora col giuramento che mi è richiesto, io verrei a smentire queste mie convinzioni ed a smentire con esse tutta la mia vita; l'Eccellenza Vostra riconoscerà che questo non è possibile. Con questo io non intendo affatto declinare qualunque eventuale conseguenza della mia decisione: soltanto sono lieto che l'Eccellenza Vostra mi abbia dato la possibilità di mettere in chiaro che essa non procede da una disposizione ribelle e proterva, ma dalla impossibilità morale di andare contro ai principi che hanno retto tutta la mia vita.» Lettera di Piero Martinetti al ministro Balbino Giuliano, dicembre 1931 (minuta conservata presso la Fondazione Casa e Archivio Piero Martinetti ONLUS) /
/ Piero Martinetti (Professore di Filosofia all'Università di Milano), 1 di 12 su 1225 professori che rifiutò di giurare fedeltà al regime fascista (articolo 18 del regio decreto legge 28 agosto 1931, n. 1227). Gli altri 11 furono: Ernesto Buonaiuti (Storia del cristianesimo all'Università di Roma); Mario Carrara (Medicina legale all'Università di Cagliari e poi a quella di Torino); Gaetano De Sanctis (Storia antica all'Università di Roma); Giorgio Errera (Chimica all'Università di Pavia); Giorgio Levi Della Vida (Orientalistica all'Università di Roma); Fabio Luzzatto (Diritto agrario all'Istituto Superiore agrario di Milano); Bartolo Nigrisoli (Clinica chirurgica all'Università di Bologna); Francesco Ruffini (Diritto ecclesiastico all'Università di Torino); Edoardo Ruffini Avondo (Storia del diritto italiano e diritto canonico all'Università di Perugia); Lionello Venturi (Storia dell'arte all'Università di Torino); Vito Volterra (Meccanica razionale all'Università di Roma) /
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