#era meglio quando si stava peggio
Explore tagged Tumblr posts
Text
Il progresso femminile per cui le donne vogliono essere prese sul serio, trattate con rispetto e volute non solo per il corpo, emerge in tutta la sua coerenza quando si approcciano agli uomini usando il profumo ai feromoni.
Adorabili burlone sconclusionate prive di attività cerebrale. Viene quasi voglia di adottarne una.
(A distanza).
#mondo pazzo#donne#uomini#profumo#feromoni#incoerenza#zombie#società#relazioni#società malata#sistema#manipolazioni#rincoglioniti#responsabilità#femminismo#era meglio quando si stava peggio
50 notes
·
View notes
Text
Il miracolo gente!
Non vorrei turbare il momento di giubilo.
Queste macchine esistono già.
Si chiamano “alberi”
Finance&Counseling
all'improvviso il genio...:-)
#zombie#società#società malata#svegliatevi#aprite gli occhi#sistema#manipolazioni#rincoglioniti#ossigeno#mondo marcio#beoti#discernimento#matrix#cervelli spenti#era meglio quando si stava peggio#hanno fatto anche questo
94 notes
·
View notes
Text
Sono il tipo di persona che se combatte per se stessa si sente spietata, un mostro. Però sono pure assurdamente convinta di dovere qualcosa a quella me stessa, e lì va in tilt l’algoritmo. Non so come uscirne. Valerio ha provato a mostrarmi l’alternativa, quella in cui avrei dovuto sentirmi a posto con lo spazio che occupo, ma alla fine la sua malattia era più importante di me, forse è per questo che abbiamo fallito. O forse è per questo che lui poteva permettersi di provare ad insegnarmelo, non lo saprò mai. Ad agosto ad un certo punto è morto il signore senza volto che occupava il letto di fianco al suo in terapia intensiva, per me lui era solo il rumore del monitor dietro la tenda di plastica e un’altra cosa molto più umana: il volto scavato e rugoso della moglie che incontravo fuori, in quella terribile sala d’attesa. Lei non avrà mai un nome per me, lui sì: si chiamava Roberto. Quando lui è morto Valerio stava un po’ meglio, e mi ha raccontato di aver fermato la moglie per esprimerle la sua vicinanza. Lei le ha dato un bacio sulla fronte e le ha detto “adesso sono una cittadina libera, perché non si è mai liberi fin quando una persona che si ama soffre”. Io ho paura che sua madre sia stata sollevata dalla sua morte - ne ho paura perché purtroppo lei è sempre stata una figura problematica, ne ho paura perché lo sembra, perché lo è davvero. Ma è normale, siamo esseri complessi e viviamo esperienze che portano sempre dentro ambivalenze, sia io che Valerio non siamo mai sfuggiti a questo genere di consapevolezze. Ma forse ne ho paura soltanto perché ho paura del mio di sollievo, e mi chiedo dove cazzo sia, combatto con quello che di me è sopravvissuto alla sua morte, mi scavo dentro a mani nude per scovare la mia parte di colpa, e mi incazzo peggio perché ancora non la trovo, perché so che deve essere lì da qualche parte. Poi però trovo che ci sia anche dell’altro, una colpa più neutra, il dolore di sapere che a me non è cambiato niente, o poco, quantomeno nei fatti. Il lavoro operato su me stessa per costringermi a fare i conti col fatto che Valerio non poteva più essere il mio pilastro, tre anni fa. Questi tre anni a prendermi il meglio ed il peggio, la sensazione di vuoto derivante da quell’apprendimento forzato: non è il caso di chiamarlo, chiamerà lui. E lui poi chiamava, ma erano i suoi momenti per me, i momenti in cui ero chiamata ad essere per lui, momenti in cui mi dava tantissimo e prendeva quel poco che avevo da dargli, che - lo so - per lui era tantissimo. Lui era tantissimo per me, ma non potevo dipendere da lui, non potevo nemmeno farci affidamento. La prima parte dovrebbe essere normale: l’amore non è dipendenza, giusto? Io però ero stata così pronta a farlo, quando il suo corpo ancora ce lo consentiva. Lo farei anche adesso se potesse essere qui, se potesse contenermi, se potessi contenere lui. Quindi credo di non essere sollevata dalla sua morte, sono portata a credermi sincera, anche se mi pare inaccettabile - il conflitto. Al contrario, però, penso senza remore che la sua morte mi abbia davvero liberata, e per questo mi sento in debito con questo tempo, col momento presente, con quello che stabilirò come normale per i prossimi anni. È difficile. Vorrei darmi il tempo per piangere. Non ci riesco. Ho pianto tantissimo tre anni fa, ho pianto più quando è morta quella speranza di quanto non abbia fatto adesso, che lui è davvero un racconto chiuso, senza possibilità di scrivere nuove pagine. Forse sto strumentalizzando la sua morte, come ho provato invano a fare anche con quella di papà, forse sono un mostro, e adesso non ho più scusanti per chiedere al mondo di lasciarmi stare, nessun alibi in più. Forse ho ragione io e la vita è davvero solo questo, farsene qualcosa di quello che ci succede - qualcosa come qualsiasi cosa, basta che ci cambi. Perché le cose morte non possono più farlo, e quelle vive sono costrette a subire il cambiamento anche quando sono inermi. Io credo di avere questo problema: non mi accetto inerme. Mi ci sento sempre però.
9 notes
·
View notes
Text
unpopular opinion: lasciate stare le nuove generazioni
sono un po' annoiata dalla retorica di questi post che leggo sui social in cui si confronta lesame di maturità dellə millennial alle generazioni precedenti.
"io me la ricordo la mia maturità. jeans e maglietta sgualcita, sudata fradicia, pallida come una dama dell'Ottocento e con le occhiaie fino alle ginocchia. ore sono tutte con il completo, la piega fatta e il bouquet di fiori"
commenti di questo tipo ne leggo a decine, a centinaia. e onestamente, ME COJONI.
anche io me la ricordo la mia maturità. il giorno della prima prova scritta mi è arrivato il ciclo, sono corsa in bagno per cambiare l'assorbente e il flusso era talmente abbondante che non riuscivo a tirarmi su i pantaloni. mentre con una mano scrivevo, con l'altra stringevo il banco per il dolore dei campi. il giorno della terza prova ho avuto una gastrite acuta da stress che mi ha fatto vomitare sangue e non mi sono presentata. mi ha telefonato sul cellulare la professoressa di inglese chiedendomi come stessi e promettendomi che avrebbe trovato una soluzione. ho svolto la terza prova due giorni dopo da sola circondata da 10 professori che mi fissavano. il mio esame orale è stato posticipato all'ultimo giorno in extremis. ho fatto un'interrogazione da ottimi voti, ed ero completamente sola - neanche la mia migliore amica che era passata prima di me era rimasta ad aspettarmi. ho ringraziato e sono uscita. la professoressa di inglese mi ha abbracciata e mi ha detto "mi dispiace che sei rimasta da sola". ho camminato fino alla stazione, ho aspettato il treno per un'ora. scesa a destinazione ho scritto alla mia famiglia per chiedere un passaggio in paese ma si erano dimenticati che sarei dovuta tornare e non potevano venirmi a prendere. così mi sono fatta altri 6 km a piedi risalendo sotto il sole cocente di luglio le vigne del Monferrato.
questo è il ricordo della mia maturità. io, sola, sempre. quando sono arrivata a casa mi sono fatta una doccia e sono andata a dormire. nessuno mi ha chiesto come fosse andata. come stavo. cosa avrei voluto fare, dopo l'esame, durante l'estate o nella vita. vuoto.
è un bel ricordo? no. lo avrei voluto diverso? sì.
perciò lasciate stare lə ragazzinə che hanno qualcunə che lə supporta. lasciate che festeggiano questo traguardo - perché, fidatevi, con il tasso di abbandono scolastico italiano, il diploma è un traguardo non da poco. lasciate che si facciano bellə e che si cimentino nelle cose da grandi per un giorno con tailleur e completo formali mentre convincono la commissione che la loro tesina sulla seconda guerra mondiale è originalissima. lasciate che si godano quel momento di gioia misto nostalgia che si prova quando si termina un percorso faticoso. e applauditelə, coccolatelə, celebrate i loro traguardi perché non c'è nessun vanto nell'aver avuto possibilità diverse, non c'è vanto nell'aver sofferto. insegniamo alle nuove generazioni che le quelle che per noi sono state cose banali possono essere bei ricordi, insegniamo loro che si possono celebrare le vittorie piccole o grandi che siano, che è bello condividere le emozioni. non diventiamo la nuova generazione del "ai miei tempi era meglio perché si stava peggio e si sgobbava". io non voglio appartenere a chi pensa che stare male e lavorare il triplo senza garanzie sia non solo norma ma dignità. io voglio essere parte di chi accetta che la vita è anche festeggiare con un mazzo di fiori un esame. fotografare la patente dopo averla presa, regalarsi un giorno di permesso per una bella notizia.
non siamo fatti per soffrire.
76 notes
·
View notes
Text
alle 7:16 del mattino, dopo essermi svegliato di soprassalto, e pur di evitare di parlare di me, perché sono in quella fase mi tengo tutto dentro perché alle persone non importa non mi fido di nessuno, mi viene improvvisamente in mente un argomento altrettanto se non più interessante di cui parlare: i modelli di abbigliamento. in quella fase in cui ero alla ricerca di un vestiario che mi facesse sentire più a mio agio e non solo, i modelli dei siti di shopping hanno fatto tanto. guardarli mi ha venduto una specie di nuovo me ma nemmeno, meglio, un modo di esprimersi a un me che stava già dentro. quando l’ho detto mi hanno preso per matto, quindi riporterò qualche esempio.
termine di ricerca “blazer nero”, da una parte PIOMBO e dall’altra MANGO, che adoro. da una parte un modello bello per carità, però posa e basta, il blazer non me lo fa piacere, ha un taglio troppo da comunione, il modello ha indossato un completo pensando che bastasse per sentirsi il più figo della comitiva, non lo vuole indossare veramente o peggio dice mi metto il completo perché fa elegante ma in realtà non ci crede neanche lui. poi durante la serata arriva l’amico che aveva detto che non sarebbe passato, lo si vede nella seconda foto. innanzitutto la posa alla CAZZO VUOI. non sono semplicemente le mani in tasca, o banalmente gli occhiali da sole, è una questione di spalle. nel primo un piedino più avanti rispetto all’altro era ancora un segno di sottomissione sociale, una semplice posa, nel secondo i piedi sono sì spostati ma un po’ più allineati, cioè lui il completo se l’è messo senza voler essere figo, se lo mette pure per fare colazione.
con “blazer chiaro” la cosa diventa più interessante. qua ritorna la mano in tasca e dimostra che non basta per sembrare figo. cioè poverino il modello sembra il nuovo fidanzato stupido nelle romcom che sappiamo anzi vogliamo venga lasciato per quello vecchio. cioè non vuole chiaramente stare qua, non ci crede neanche lui perché dovrei crederci io. la posa che potrebbe sembrare da figo, mani in tasca, piedino in avanti eccetera, lo fa sembrare tipo nicola a papà fammi finire il rullino fatti vedere come stai bell oggi. invece nel modello MANGO vive una contraddizione, lui alla richiesta di mettere le mani in tasca ha detto un deciso no, da una parte quindi non gliene frega un cazzo se il completo vende o meno, dall’altra però c’ha quello sguardo che pare che ti picchia se non lo compri, attraverso una specie di algoritmo che vede che tu hai aperto la foto ma non hai affettato l’ordine. cioè, come ti permetti.
ritorna, io qua non volevo esserci, ho capito figlio mio ma non puoi metterti in questa posa da manichino, il primo ha proprio l’espressione da quello che d’estate si annoda il cardigan intorno al collo nonostante siano passati gli anni novanta e nonostante non stia in un cinepanettone. tu vedi quanto è scontato ma lui si sente figo. il secondo invece è un modello a cui voglio quasi bene perché come un amico l’ho ritrovato spesso e mi ha guidato verso la via dell’espressione del proprio io, mascherando attraverso un modo di vestire e un atteggiamento una disillusione profonda, l’ho guardato e ho pensato mi vesto in un certo modo e distraggo gli altri ma pure me da come mi sento veramente.
raccolgo ispirazioni, non sono matto e neppure scherzo, cercavo una maschera che mi facesse sentire più celato e nello stesso momento più a mio agio e l’ho trovata.
6 notes
·
View notes
Text
Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio ero poco più di una bambina, avevo sì due figli e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, sempre in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figliole e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano a scuola e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose. Insomma era una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece segno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò, e morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio tanto che un giorno, esasperata dall'immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un'ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio. Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all'uomo e che l'uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire.
Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell'esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso in quanto mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica ad uscire. Improvvisamente, come nelle favole, tutti i parenti scomparvero.
La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale. Dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti. Ma, non era forse la mia una ribellione umana? non chiedevo io di entrare nel mondo che mi apparteneva? perché quella ribellione fu scambiata per un atto di insubordinazione?
Un po' per l’effetto delle medicine è un po' per il grave shock che avevo subito, rimasi in istato di coma per tre giorni e avvertivo solo qualche voce, ma la paura era scomparsa e mi sentivo rassegnata alla morte.
Dopo qualche giorno mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a riconoscere in lui un nemico e poi ero così debole e confusa che a casa non avrei potuto far nulla. E quella dissero che era stata una mia seconda scelta, scelta che pagai con dieci anni di coercitiva punizione.
#aforisma#aforismi#aforismos#alda merini#citation#citazioni#frasi sulla vita#lirica#merini#personaggi
4 notes
·
View notes
Text
QUANDO C'ERA LUI
Berlusconi era postfascista sionista sessista sfruttatore approfittatore megalomane e tutto il peggio che già sappiamo. Ha raccontato così tante volte le stesse cazzate che per molte persone queste sono diventate vere. Non lo rispettavo da vivo, ma molti dicono che dovrei farlo ora che è morto. Perché i morti meritano rispetto. Questa è un'altra cazzata partorita dal grande appiattimento culturale operato da lui e dai suoi collaboratori dal 1994 a oggi sfruttando i mezzi d'informazione e plasmando le leggi a suo piacimento. Un meccanismo che dopo un po' non ha avuto più bisogno di energia per macinare del marcio, andava avanti da solo, in automatico, iniettando oscenità e buffonate quotidiane nei cervelli, tanto da arrivare a dedicare a una persona del genere il lutto nazionale. Non che mi importi della nazione, concetto per me senza valore, ma il grande piano di pacificazione, del siamo tutti uguali, del "nel bene e nel male ha fatto la storia dell'Italia" e del santificare chi ha devastato un Paese, continua e continuerà finché esisterà una gestione del potere tale da dividerci in sfruttati e sfruttatori. Un sistema talmente corrotto e insito nella società che gli sfruttati piangeranno lo sfruttatore dopo la sua morte, mettendolo a pieno titolo dentro al grande insieme del "si stava meglio quando c'era lui." Di una cosa però quasi lo ringrazio, aver fatto capire a quelli della mia generazione da che parte stare. Quella degli ultimi, degli sfigati, degli emarginati, degli insoddisfatti, dei sempre arrabbiati. La stessa parte degli antifascisti, dei solidali, degli ironici, dei romanticamente illusi. Dei perennemente sconfitti, ma invidiosi mai.
[foto: 3.000 persone si radunano a Londra nel 2013 per festeggiare la morte di Margaret Thatcher]
20 notes
·
View notes
Text
TOKYO MEW MEW REWATCH EP 43
- Che t'importa di perdere un compagno di squadra?
In linguaggio psicoanalitico, questo si chiama 'proiettare peggio che in un drive-in anni 50'.
Comunque questa scena si conclude in niente. Kisshu spiffera tutto di Deep Blue alle Mew Mew, chiede in modo molto vago a Zakuro di unirsi a lui, e poi se ne va piantandola in un cantiere. Boh? Io quando ho visto questa scena per la prima volta a sette anni mi aspettavo/speravo che Kisshu si alleasse con le Mew Mew per trovare un modo di salvare la sua gente senza ricorrere a Deep Blue, e ci rimasi abbastanza stranita quando di quella scena non se ne fecero nulla. Ho il sospetto che agli sceneggiatori sarebbe piaciuto andare in quella direzione, visto come hanno sviluppato il personaggio rispetto al manga, ma si siano dovuti trattenere per non discostarsi troppo. Il risultato sono scene molto belle e interessanti che però non sfociano da nessuna parte.
Adoro quando mostrano le altre ragazze, oltre a Ichigo, comunicare con animali loro affini.
La pesomortaggine si diffonde in fretta da queste parti!
Pace, almeno Minto ha cambiato idea ... Letteralmente un secondo dopo rispetto a quando sarebbe stato utile.
Ryou che come al solito si sente tutte le responsabilità addosso. Certo che quando il suo personaggio è usato bene funziona alla grande: non può condividere la situazione delle ragazze Mew per quanto lui voglia, non riesce davvero a capire i loro problemi perché poveretto è pure presissimo dai suoi e immedesimarsi negli altri non gli viene facile, e al contempo si addossa tutte le colpe non appena qualcosa va male. Un piacevole disastro umano.
E rissa! Minto effettivamente dimostra una certa forza morale nell'affrontare quella che è sempre stata il suo idolo, ma con il suo atteggiamento Zakuro, come le ribadisce Ichigo, sta davvero passando il limite. Come ho letto da qualche parte, Minto si è quasi sacrificata per salvarla mentre faceva il peso morto; non avrebbe imparato una grande lezione se fosse morta disciolta da un getto d'acido.
Questo sarebbe stato un ottimo momento per fare usare il Mew Aqua Rod a Minto! Era il suo momento, il focus di questa scena è il suo coraggio e la sua forza d'animo. Perché il vecchio anime stava tanto in fissa con Ichigo?
Altra cosa in cui New fa di meglio, lasciando a ognuna delle ragazze il suo momento.
- Ero arrabbiata perché avete creduto alle notizie senza prima consultarvi con me.
L'hanno fatto! È stata la prima cosa che Ichigo le ha chiesto, una conferma! Le uniche a crederci erano Minto e Purin!
Okay, d'altronde capisco che il punto di questi episodi sia che Zakuro abbia veramente esagerato. Quelle briciole del suo passato accennano a un evento traumatico che coinvolge qualcuno che non le ha creduto, e quello che le è sembrato un ripetersi della situazione ha probabilmente fatto da trigger per una reazione sproporzionata e totalizzante. Alle fine, il personaggio resta coerente con sé stesso, e alla fine riesce a svilupparsi in positivo ammettendo di aver avuto torto.
2 notes
·
View notes
Text
due sere fa sono rimasta sveglia a studiare fino alle 3 e ieri alle 8 ero già in macchina verso l'università. per fortuna non ero fra i primi dell'appello perché la prof procedeva per verbali e ho aspettato 5 ore prima che toccasse a me. ripassare prima dell'esame è una cosa che ho smesso di fare qualche anno fa e di solito se i prof danno la possibilità di scegliere sono la prima a propormi ma ieri non dovevo ripassare, dovevo studiare. ho studiato fino all'ultimo secondo, con l'acqua alla gola, quando la prof mi ha chiamata alle 14:52 e io ero lì fuori che cercavo di finire le 50 pagine centrali di wide sargasso sea dopo aver provato in tutti i modi a memorizzare opere e date di autori degli ultimi due secoli, mentre leggevo su wikipedia le teorie di godwin e rousseau che hanno influenzato shelley e la storia coloniale dell'impero della regina vittoria e cosa questo avesse a che fare con dracula, associando i punti principali della poetica di lawrence forster e ford a immagini improbabili nella mia mente con giochi di parole che difficilmente dimenticherò. quando mi sono seduta lei si è ricordata di me perché l'altro giorno per letteratura1 aveva notato il mio dilatatore. stava mangiando dei biscotti e mi ha detto dopo gliene offro uno, ora facciamo l'esame. mi ha chiesto di nuovo un solo autore del manuale, blake, l'ultimo preromantico, uno di quelli che ricordavo meglio. poi in italiano mi ha fatto una domanda sugli studi postcoloniali. quando ho preparato letteratura1 sono andata così a fondo in quest'argomento per cercare di capire cose che non capivo (tipo il discorso di foucault e il pensiero della spivak), che a questa domanda ho risposto così bene che mi ha interrotta dicendomi che non c'era bisogno di continuare. poi mi ha chiesto di prendere la mia copia di jane eyre e quando l'ho posata sulla scrivania ha riso e ha detto oh finalmente un libro vissuto, le è piaciuto? mi sono rilassata immediatamente e ho detto di sì, soprattutto perché era la prima volta che lo leggevo, e mentre lo sfogliava per decidere quale parte farmi analizzare pensavo glielo dico o non glielo dico e alla fine ho detto che in realtà però mi ha turbata perché mi dispiace non aver odiato mr rochester e berta è così silenziata in jane eyre che quasi mi dimenticavo di lei e sapevo che era sbagliato e quindi sono stata combattuta e lei ha riso e mi ha chiesto di analizzare un paragrafo e fare un confronto con quello che succede su wide sargasso sea e mi ha chiesto di approfondire quel pensiero e se leggere la riscrittura della rhys mi aveva fatto cambiare idea. poi mi ha fatto un'ultima domanda sulla warner che non ho capito bene ma alla quale ho risposto con tutto quello che mi veniva in mente e poi mi ha fermata e mi ha detto va bene così, le metto 30. ho rifiutato il biscotto che mi aveva offerto perché tanto comunque stavo andando a casa, ho salutato e sono scappata via. non ho preso neanche l'ascensore, ho fatto sette piani piangendo al telefono con mia mamma e quando sono uscita mi sono accorta a contatto con l'aria gelida di non aver messo neanche il cappotto e di avere in mano ancora il raccoglitore le fotocopie jane eyre e sono andata di corsa verso la macchina di mio padre e da lontano gli ho gridato indovina chi ha preso 30 all'ultimo esame? e per tutto il viaggio verso casa ho solo sorriso, sorriso e pensato che non solo ce l'avevo fatta, ma che è stato anche un successo quando io pensavo a come in caso avrei dovuto chiedere un'altra domanda per arrivare al 18. negli ultimi 10 giorni sono stata veramente soffocata dall'ansia di non farcela e dover rimandare la laurea, di sentirmi chiedere cose di cui non avevo la minima idea o, peggio, di cui avrei saputo parlare se avessi studiato meglio. ora devo iniziare la prova finale ma mi sembra incredibile essere arrivata a questo traguardo e in questo modo. ho pensato che in fin dei conti mi piace studiare (assurdo, lo so) e che sono stata veramente brava e sono contenta perché non sono stata davvero sola. quest'ultima in particolare è la mia gioia più grande in questo momento
31 notes
·
View notes
Note
Ti prego sono consumata dal desiderio di leggere il post incriminato che ha scatenato questi rabid promessi sposi fans
no ma in realtà è una cosa assai contenuta, e spero che la persona in questione abbia detto quello che doveva (un paio di reblog con annesso commento e passa la paura) e sia poi andata a farsi un meritato beauty sleep
ma in sostanza il post in sé non era nemmeno sui promessi, bensì un ilare commento volutamente ironico-polemico su come i vari booktok etc abbiano rovinato l’esperienza della lettura e quanto si stava meglio quando si stava peggio e non ci sono proprio più le mezze stagioni signora mia. al che, ponevo come esempio di sana e retta educazione la forzata lettura liceale di questi poveri promessi, che ormai si saran pure sposati, a occhio. ma a quanto pare le mie provocazioni contro il sistema sono state troppo scomode e hanno dato fastidio alla BigManzoni Spa. ora mi unirò ai terrapiattisti, la mia nuova gente, poiché loro non hanno paura di dire le cose come stanno [didascalia per chi ne necessitasse: è tutto volutamente ironico mamma mia è un gioco.mp3]
7 notes
·
View notes
Text
Credi che siamo già arrivati alla frutta?
No. Non ancora.
Tra approcci virtuali e volontari stordimenti psico emotivi, questo è solo l'inizio.
#mondo marcio#incoscienza#zombie#società#società malata#svegliatevi#aprite gli occhi#sistema#rincoglioniti#responsabilità#video#siamo alla frutta#cazzabubbole#era meglio quando si stava peggio#schiavi#amori virtuali#identità digitale#fluidi#alcool
13 notes
·
View notes
Text
VERGOGNOSO QUANTO ABBIA SOFFERTO
Ero una sposa e una madre felice
«Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio, ero poco più di una bambina, avevo sì due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto, ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figlie e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose.
Insomma, ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò e, morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio, tanto che un giorno, esasperata dall’immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio.
Fu lì che credetti di impazzire
Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all’uomo e che l’uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire.
Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell’esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso: mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica a uscire.
Mi ribellai. E fu molto peggio
La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale. Dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti.
Non era forse la mia una ribellione umana? Non chiedevo io di entrare nel mondo che mi apparteneva? Perché quella ribellione fu scambiata per un atto di insubordinazione? Un po’ per l’effetto delle medicine e un po’ per il grave shock che avevo subito, rimasi in istato di coma per tre giorni e avvertivo solo qualche voce, ma la paura era scomparsa e mi sentivo rassegnata alla morte.
Quella scarica senza anestesia
Dopo qualche giorno, mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a risconoscere in lui un nemico e poi ero così debole e confusa che a casa non avrei potuto far nulla.
E quella dissero che era stata una mia seconda scelta, scelta che pagai con dieci anni di coercitiva punizione. Il manicomio era sempre saturo di fortissimi odori. Molta gente addirittura orinava e defecava per terra. Dappertutto era il finimondo. Gente che si strappava i capelli, gente che si lacerava le vesti o che cantava sconce canzoni.
Noi sole, io e la Z., sedevamo su di una pancaccia bassa, con le mani raccolte in grembo, gli occhi fissi e rassegnati e in cuore una folle paura di diventare come quelle là.
In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroshock. Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera, dove ci preparavano per il triste evento.
Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro, perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L’attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra.
Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all’elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l’atroce ricordo».
Alda Merini
3 notes
·
View notes
Text
Selvatica - EXTRA Nella mia macchina?!
Nel capitolo 46. Adesso Ante e Corinna si erano lasciati travolgere dalla passione nella macchina di Rade e spesso mi era capitato di pensare come avrebbe potuto reagire il suo amico se avesse saputo. In questo piccolo extra vedremo se Ante è riuscito a mantenere il segreto o se Rade ha scoperto tutto.
***
Non appena varcò di nuovo la soglia del locale si pentì di non essere uscito con la propria macchina. Desiderava solo poter stare da solo e pensare con più lucidità agli ultimi avvenimenti.
Una parte di lui avrebbe voluto raggiungere Corinna e rannicchiarsi al suo fianco, sotto le coperte. Il corpo la voleva ancora ma la mente esigeva il tributo per tutte le stronzate che gli aveva raccontato. O meglio, per quelle piccole informazioni insignificanti che aveva omesso. Talmente piccole e insignificanti che riguardavano persino una mamma malata. Un sorriso amaro gli si dipinse sulle labbra mentre pensava a tutte le volte che Corinna aveva deviato il discorso su sua madre. Perché glielo teneva nascosto?
Raggiunse il privé e si sedette accanto a Mario, il quale sorseggiava una birra e batteva i piedi a tempo di musica.
Gli fece un cenno del capo e si accostò. «Ante, allora come è andata? Siete riusciti a parlare?»
Ante scosse la testa. «Non hai visto in che condizioni era?»
Mario annuì. «Beh, però avete fatto pace.»
Lui sollevò le sopracciglia, con l'aria interrogativa. Come poteva pensare che avevano fatto pace senza neanche parlare?
«Hai il suo rossetto sul collo e la patta dei jeans aperta» continuò l'amico.
Ante abbassò lo sguardo sui suoi jeans e richiuse velocemente la zip. Pensare a come Corinna era stata in macchina, calda e senza alcun tipo di freno, pensare a come era stato bello poter fare l'amore senza il peso dei pensieri che lo avevano ucciso per tutta la giornata... forse Mario non aveva tutti i torti, forse era davvero così facile fare pace. Bastavano loro due uniti, pelle contro pelle. Bastavano i loro occhi intrecciati e le loro mani strette strette.
Si accorse che stava sorridendo, alzò di nuovo lo sguardo verso Mario, che sorrideva a sua volta.
«Eh sì, deve essere stata proprio una gran bella riconciliazione.»
Tornò serio e si passò nervosamente la mano sul collo.
Era stato bellissimo, ma non era stata una riconciliazione. Avrebbe voluto poter dimenticare tutto e ripartire da quel momento in macchina. Aveva ancora il suo sapore sulle labbra. Non era riuscito nemmeno ad arrivare a casa, l'aveva fatta sua in mezzo alla strada, senza potersi controllare. Fortuna che la macchia di Rade avesse i vetri oscurati. Già, la macchina di Rade... se l'amico lo avesse saputo lo avrebbe strangolato.
Si guardò la mano, per cercare tracce di rossetto. «Le ho detto che ho bisogno di un po' di tempo per stare da solo e pensare a tutta questa faccenda. Ne parleremo quando tornerò dalla trasferta.»
Mario annuì e fece l'ultimo sorso dal bicchiere di birra. «Però ti vedo già più tranquillo.»
Di sicuro non era più teso, adesso sapeva come stavano le cose. Era amareggiato e forse era anche peggio.
«Ragazzi, ce ne andiamo?» Rade comparve accanto a loro, tenendo per mano Isotta.
«Sì.» Ante scattò in piedi e raggiunse in fretta l'uscita.
Provò una sensazione di sollievo quando l'aria fredda della notte gli cadde addosso, respirò a pieni polmoni e si lasciò andare ad un sospiro.
«Allora, come è andata?» Rade gli si accostò e gli puntò i suoi occhi scuri addosso. Isotta era rimasta indietro con le amiche.
«Come vuoi che sia andata, aveva bevuto un po' troppo. Le ho detto che parleremo quando torno.»
L'amico annuì e gli poggiò una mano sulla spalla. «Vedrai che si risolverà tutto.»
«Non ti preoccupare, Rade, hanno già cominciato a fare pace sui sedili posteriori della tua macchina», intervenne Mario, battendo due volte la mano sul tettuccio dell'auto.
Ante si irrigidì e fissò Mario con gli occhi sbarrati. Come diavolo faceva a saperlo? Gli era sfuggito qualcosa nel locale? Era piuttosto sicuro di averlo solo pensato.
Rade si immobilizzò davanti alla portiera, la mano sospesa a pochi centimetri dalla maniglia. Si voltò a guardare Ante. Il volto era diventato paonazzo e Ante per poco non scoppiò a ridere.
«Come? Hai fatto sesso con Corinna sui sedili posteriori della mia macchina?»
Scosse in fretta la testa. «No.» Rade sembrò rilassarsi. «Su quello davanti» buttò fuori lui, e sorrise nel modo più angelico possibile.
«Che cosa?» Rade sembrava scioccato.
«Che cosa? Dici davvero?» gli fece eco Mario.
«Mi spieghi come cazzo facevi a saperlo?» chiese a Mario, guardandolo truce. Non perdeva mai occasione per combinare guai con quella linguaccia lunga.
Mario scoppiò in una fragorosa risata. Allargò le braccia. «Non lo sapevo! Volevo solo fare una battuta!»
«Oh, Ante, che schifo! Non potevi aspettare di arrivare a casa?»
«Andiamo amico, che sarà mai? Giuro che sono stato attento, non ho sporcato niente.»
Rade rimase in silenzio, a fissarlo in cagnesco. Poi gli puntò un dito contro. «Domani la porti a lavare.»
Isotta si avvicinò a loro e scoccò un bacio sulle labbra del fidanzato. «Andiamo? Non ce la faccio più a stare in piedi su questi tacchi.» Lasciò andare Rade e fece un passo avanti per raggiungere il lato del passeggero. Rade la afferrò per un braccio.
«No. Tu ti siedi dietro. Davanti c'è Ante.»
Lei sbuffò e scosse la testa. «Sono troppo stanca per capire cosa vi passa per la testa.»
Ante sorrideva, divertito da tutta quella situazione. Le reazioni di Rade erano esagerate, ma se lo aspettava, sapeva che all'amico avrebbe potuto dare fastidio. Cavolo, avrebbe dato fastidio anche a lui se si fosse trattato della sua macchina. Ma davvero non era riuscito a fermarsi. Ci aveva provato, ma con Corinna che lo provocava in quel modo a un certo punto non gli era importato più nulla.
Salì in macchina e subito si ritrovò la mano di Isotta sulla spalla. Si era sporta in avanti, con la testa tra i sedili.
«Ante, stasera Corinna era strana. Avete litigato, per caso?»
Lui rivide davanti agli occhi la sua ragazza ubriaca che gli chiedeva perché era arrabbiato con lei. «Che ti ha detto?»
«Nulla. Però era pensierosa e guardava sempre il cellulare.»
«Amore, non rivolgergli la parola, siamo arrabbiati con lui.» Rade si voltò un secondo verso la sua ragazza e verso Ante.
Lui alzò gli occhi al cielo e Isotta rise. «Ah sì? Come mai siamo arrabbiati con lui?»
«Lui sa perfettamente il motivo.»
Isotta scosse la testa. «Dove siete stati stasera?»
«A fare a botte» rispose Mario, che fino a quel momento era rimasto in silenzio a guardare fuori dal finestrino e forse avrebbe fatto meglio a continuare a tenere la bocca chiusa.
Isotta si sporse ancora più avanti. «Davvero? Rade, amore, anche tu?» sembrava eccitata più che arrabbiata e questo destabilizzò un attimo Ante.
«No, Rade no. Lui ha piagnucolato impaurito tutto il tempo, come una femminuccia.»
Ok, questa risposta gli era piaciuta. Ante rise di gusto, scoccando un'occhiata di intesa a Mario. Rade si agitò sul sedile, nervoso sotto il tocco di Isotta che gli passava la mano tra i capelli.
«Oh, amore...»
«Non è vero» disse secco. «Stavo solo cercando di farli ragionare.»
«Beh, ad ogni modo...» Isotta spostò di nuovo lo sguardo verso Ante. «Cerca di non fare l'idiota anche con questa ragazza.»
Incredibile, Isotta non aveva creduto a una parola di quello che avevano detto, credeva che stessero scherzando. «Si può sapere che te ne importa? Neanche la conosci.»
Ante non tollerava che altri gli dicessero come doveva comportarsi con Corinna.
«Non la conosco, però mi sono già affezionata a lei.»
Suo malgrado, sorrise. Corinna era fatta così, entrava subito nel cuore delle persone. Peccato che anche lui non la conoscesse e quella consapevolezza faceva davvero tanto male.
Si girò a guardare Rade e poi Mario. Era stata una giornata dura per lui ma loro non lo avevano mai lasciato solo, lo avevano persino aiutato a pestare quel tizio. Erano dei veri amici.
«Rade, Mario, grazie. Senza di voi non so cosa avrei fatto.»
«Ehi fratello, ma ti pare» Rade lo colpì con un pugno sulla spalla. «Su di noi puoi sempre contare.»
«Per qualsiasi cosa», intervenne Mario.
Erano la cosa più cara che avesse lì vicino e lo stavano facendo sentire meno solo in mezzo a quella tempesta di emozioni che lo stava attraversando.
2 notes
·
View notes
Text
Sollevai la copertina dell'album che avevo appena messo sul grammofono per mostrarla a Eric. Non avevo mai ascoltato quel disco prima, ma l'immagine della copertina era familiare: una banana su uno sfondo bianco e la firma di Andy Wharol in un angolo. Avevo una maglietta con quello stesso disegno, una delle tante che Alex ed io ci divertivamo a sottrarre dalle bancarelle, quando andavo a trovarla a Camden.
"Da quando in qua ti interessi alla musica babbana?" Domandai, mentre le prime note della canzone, simili a quelle di un carillon, si diffondevano nella camera da letto di Eric.
Sunday morning brings the dawn in
It's just a restless feeling by my side
Eric, sdraiato sul letto, con le braccia incrociate dietro la testa, alzò appena il capo per guardare.
"Me l'ha regalato Damon, ha detto che è un bomba." Rispose Eric puntellandosi con i gomiti e mettendosi mezzo seduto per guardare meglio, "trattalo bene."
"Certo che lo tratto bene, io" risposi appoggiandolo in cima a una pila di altri dischi più o meno maltrattati, "Wood ti ha regalato un disco con una banana in copertina? Così?"
Eric si accigliò e sembrò riflettere sull'implicazione. "Sé, a volte non so cosa pensare." Commentò alla fine ributtandosi completamente sdraiato sul letto.
Early dawning, Sunday morning It's just the wasted years so close behind
It's nothing at all
"Io penserei a una cosa sola." Dissi con un sogghigno.
Continuai a scartabellare tra i dischi di Eric per qualche istante, prima di alzare lo sguardo su lui e accorgermi che si era rimesso seduto e mi stava guardando intensamente.
Watch out, the world's behind you
There's always someone around you who will call
"Che c'è?" Domandai inarcando le sopracciglia e sorridendogli incerto.
Eric rimase serio, forse era solo la musica di sottofondo, ma sembrava malinconico. "Sei sicuro di voler chiudere così, Zach?" Domandò infine con un sospiro, "non vogliamo darci un'altra possibilità?"
Sunday morning and I'm falling
I've got a feeling I don't want to know
Early dawning, Sunday morning It's all the streets you crossed not so long ago
Mi alzai in piedi e mi stiracchiai, prima di chinarmi a prendere di nuovo l'album che avevo messo giù poco prima, accarezzai la copertina con un gesto lento.
"No. Lo sai benissimo perché," gli spiegai girandomi a soppesarlo con una lunga occhiata, "ti piace un altro."
"Che non mi vuole." Chiosò Eric in tono rassegnato.
Mi strinsi spalle. "Dagli tempo. Lo sai benissimo: io e te insieme siamo un disastro," mi guardai attorno, scansionando nella penombra il pavimento, alla ricerca della via più breve verso il letto, "e poi sei troppo disordinato."
"Non sono così disordinato!" Esclamò Eric in tono semi-indignato, "sei tu che sei un precisino del cazzo."
Risi, mentre camminavo verso il letto, ma la mia risata fu sostituita da un urlo di dolore. Mi chinai imprecando tra i denti per prendere da terra quel diabolico oggetto che mi si era incastrato sotto il piede e saltellai su una gamba sola fino al letto. "Cazzo lo dico io, Eric, questo coso è peggio di un crucio." Sbraitai sedendomi sul letto e agitando un minuscolo cubetto di plastica; brandii la bacchetta appoggiata al comodino, facendo disapparire il pezzo criminale. "Che ci fai coi Lego in camera? Credevo avessi smesso anni fa." Domandai con una smorfia massaggiandomi il piede.
"È di mio fratello, e tu l'hai fatto disapparire. Magari era un pezzo importante" Eric esclamò in tono contrariato, "quando se ne accorge, Greyson mi uccide."
"A proposito di Greyson..." Lanciai un'occhiata verso la porta, "non farà un'altra comparsata, vero? Quella volta lo abbiamo traumatizzato a vita, mi sento ancora in colpa."
"La casa è vuota. Greyson è a Hogwarts," rispose Eric alzando gli occhi al cielo, "finalmente. E stai tranquillo, non è stato traumatizzato, anzi credo abbia una cotta per te."
"Davvero?" Domandai alquanto divertito.
"Non ci pensare nemmeno Zach." Mi ammonì Eric con aria cupa.
"Per chi mi prendi? Non sono così depravato." Risi e scossi la testa, "ma prima di tornare al castello andiamo da Mielandia: gli compro un po' di caramelle. Devo farmi perdonare per il pezzo di Lego mancante." Dissi casualmente appoggiandomi indietro su Eric.
Eric mi afferrò per la vita e mi strinse a sé. "Mi mancherai Zee."
"Non vado da nessuna parte." Risposi con una risata leggera.
"Hai capito cosa voglio dire."
Sospirai e pensai a come Rattcliffe aveva cominciato a guardare Eric quando ci vedeva insieme. "Mi mancherai anche tu. Ma credimi, è la cosa giusta."
Watch out, the world's behind you
There's always someone around you who will call
It's nothing at all...
0 notes
Text
Più passa il tempo e più la comunicazione scritta mi dà sui nervi perché ha un ampio raggio di interpretazione.
A prescindere dal fatto che detesto chi, per farmi capire che ha voglia di tagliare corto con me, mi scrive "tesoro", "cicio", "amo(re)" e compagnia bella, peggio è quando non riesco a trasmettere il mio stato d'animo al mio interlocutore.
(Figuratevi che una volta, in un locale, per UMILIARMI, un RAGAZZO, mi ha dato un bacio a stampo sulla bocca, chiamandomi "MON AMOUR" e mi ha fatto un sarcastico "ciao ciao" con la mano... Ed eravamo in presenza (ovvio: li era chiaro che mi stava palesemente soffrendo però già da quel brutto episodio ho potuto capire quanto sia difficile farsi comprendere da chi non sa chi sei)...!
Spesso e volentieri mi trovo ad avere paura ad interagire con le persone per paura di dire qualcosa che, se poi viene recepito male, rischio di essere allontanato e, per chi mi conosce bene, sa che sto sempre sull'attenti, spesso in tensione.
Giusto ieri sera mi stavo interfacciando con una persona per fargli una proposta legata al mio lavoro di sensibilizzazione e mi sono reso conto di quanto sia difficile cercare di fare capire per iscritto ciò che vuoi comunicare...
Ecco perché, tra tutte le app di messaggistica, preferisco di gran lunga WhatsApp.
Alla fine ho pensato di mandargli un audio ma, anche in quel caso, ho avuto il timore di fare peggio in un parlato di pochi secondi perché, chiaramente, non puoi mandare messaggi lunghi un'ora: altrimenti poi uno (o una: non attaccateci al discorso del patriarcato... Era per generalizzare) si scoccia e ti manda al diavolo.
In sintesi: finché si può, cerchiamo sempre di esprimerci al meglio che possiamo perché, purtroppo (o per fortuna) non siamo nella testa dell'altra persona ed ognuno di noi è responsabile di quello che dice e non di quello che il nostro interlocutore recepisce; poi ci sono io che mi creo tante paranoie anche su quello.
0 notes
Text
LA GENERAZIONE DI MEZZO
Quanto era bello quando…
Si stava meglio quando si stava peggio, quando non c’era niente e c’era tutto, quando ci si divertiva con poco, quando esisteva il rispetto per le persone e si poteva giocare liberamente nelle strade, liberi da un cattivo utilizzo di smartphone e da una società dove diventa sempre più importante l’apparire piuttosto che l’essere.
Quanti ricordi appartenenti a generazioni che hanno goduto del benestare economico e sociale creato dai predecessori, generazioni decantatori di cotanta stima del passato, i primi a ricordare e primi a dimenticare, primi ad avviare quel processo di decadenza, che tutt’oggi ci schiaccia come mosche, generazione che ha goduto delle gesta delle generazioni precedenti e che tutt’ora predicano bene e razzolano male, generazioni che avrebbero dovuto cambiare il mondo e che invece ci hanno guidato verso lo sfascio.
Generazione dopo generazione abbiamo preso quella folle abitudine di predicare di come di stava meglio negli anni passati e nello stesso tempo complici di un cambiamento che tanto ripudiamo.
Quante volte abbiamo sentito da nonni e genitori l’insulsa (per quanto veritiera) frase “Io alla tua età già lavoravo”, senza riflette sul fatto che proprio grazie a queste generazioni di “frasologi” nonché precoci lavoratori, ci ritroveremo ancora a lavorare quando avremo raggiunto l’età pensionabile di queste generazioni di pensionati che non fanno altro che predicare bene e razzolare male.
Ma com’è stato possibile arrivare fino a questo punto
Senza nemmeno rendersene conto sono proprio questa generazione di mezzo che ha dato inizio un lento processo di decadenza.
Con l’avanzare generazionale si tende sempre più ad ammorbidirsi e afflosciarsi, aprendosi un varco in mezzo alla superficialità che domina l'era moderna, e che non ci rappresenta più.
Le generazioni passate hanno creduto ai nuovi onesti, a chi doveva liberarci da quella corruzione e così da coerenti onesti educati e presi da esempio, abbiamo fatto nuovi bugiardi e venditori di fumo che hanno messo le radici nei terreni più importanti ci siamo cascati come piselli e pensare che le vecchie generazioni sono state anche le ultime ad avere attraversato la leva obbligatoria, un lungo anno che nella sua inutilità bellica, avrebbe avuto il compito di formare il carattere.
Generazione dopo generazione abbiamo fallito come genitori e come figli, i nostri genitori hanno fatto la rivoluzione, hanno goduto delle conquiste fatte per poi sentirsi in dovere di dimenticare tutto, quindi dopo di loro non si è combinato più nulla.
Più le generazioni avanzavano, più diventavano amici dei propri figli piuttosto che educatori, per questo non hanno saputo essere severi come la generazione precedente e alla fine sono stati fatti solo danni.
L’educazione basata sui divieti e sulle punizioni è stata bandita, quando invece c'era ancora bisogno di genitori autorevoli, sono i giovani che non hanno fatto il 68 non hanno attraversato gli anni di piombo non hanno mai usato un telefono a gettoni, le moderne generazioni si erano promesse di dare ai nostri figli tutto ciò che non hanno mai avuto.
Ci ostiniamo tutt’ora a percorrere strade dissestate, che generazione dopo generazione siamo riusciti a rovinare, pretendiamo rispetto ma non lo insegniamo, pretendiamo lavoro e non lo creiamo, possediamo nuove tecnologie e tendiamo ad avere ancora un sistema arretrato, siamo diventati una società superficiale, che fonda le proprie radici sulle comodità, nello svago e nel pettegolezzo, puntando sempre il dito verso gli altri e mai contro se stessi, nascondendo i propri difetti ed esaltando quelli del prossimo, pratica che non darà mai la possibilità di migliorarci intraprendendo un percorso di autocritica che possa portare a vivere meglio.
Impariamo a guardarci ogni tanto allo specchio e fare un resoconto di come ci stiamo comportando, impariamo a diventare un po’ più obiettivi e soprattutto costruttivi con noi stessi, impariamo a capire ciò che è giusto e ciò che potrebbe portarci alla rovina, altrimenti errore dopo errore, generazione dopo generazione, potremo trovarci a raggiungere l’estinzione dei buoni propositi e del benessere della propria persona.
0 notes