#emigrare in America
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In America si vive davvero meglio che in Italia? Un’Analisi Approfondita delle Differenze di Qualità della Vita
Confronto tra USA e Italia: stipendi, sanità, istruzione, cultura e qualità della vita
Confronto tra USA e Italia: stipendi, sanità, istruzione, cultura e qualità della vita Quando ci chiediamo se in America si vive davvero meglio che in Italia, è importante considerare una vasta gamma di fattori che influenzano la qualità della vita nei due paesi. Ogni nazione ha i suoi pregi e difetti, che possono variare significativamente in base a criteri come stipendi, sistema sanitario,…
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Para muchos cubanos el mejor negocio es emigrar
En zonas rurales hay pequeñas fincas que sus propietarios han vendido para obtener el dinero que les costee la ruta de huida del país Por IVÁN GARCÍA LA HABANA, CUBA. – Cuenta Gerandy, 24 años, graduado de Historia del Arte, que incluso en las noches de verano, cuando en pleno apagón los mosquitos te agobian en el poblado de Bainoa, municipio de Jaruco, provincia Mayabeque a unos 30 kilómetros…
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La Amiriḳa - לה אמיריקה
🇪🇸 La Amérika, "A National, Literary, Political and Commercial Weekly", apareció por primera vez el 11 de noviembre de 1910. Su fundador fue Moshe Gadol (1874-1971), un empresario sefardí nacido en Ruse (Rustchuk), Bulgaria, educado en instituciones de la AIU (Alliance Israélite Universelle) en su país natal. Después de emigrar a Nueva York en mayo de 1910 y presenciar las difíciles condiciones de vida de los sefardíes inmigrantes, decidió establecerse permanentemente en la ciudad. Gadol fundó inicialmente el semanario La águila, seguido por La Amérika, que publicó durante 15 años y 706 números. La revista abordó temas de la vida diaria de los inmigrantes, problemas sociales y políticos en Anatolia y los Balcanes, además de promover el sionismo y discutir la cuestión de Palestina. Gadol también proporcionó servicios de consulta y ayuda para la naturalización de los inmigrantes, publicó traducciones de las leyes de inmigración estadounidenses al ladino, y apoyó los derechos de las mujeres y la integración de la comunidad sefardí con la comunidad ashkenazí en Estados Unidos. A pesar de sus esfuerzos, La Amérika cesó su publicación el 3 de julio de 1925, dejando un legado significativo en el periodismo sefardí en Estados Unidos.
🇺🇸 La Amérika, "A National, Literary, Political and Commercial Weekly", first appeared on November 11, 1910. Its founder was Moshe Gadol (1874-1971), a Sephardic businessman born in Ruse (Rustchuk), Bulgaria, educated in Alliance Israélite Universelle institutions in his native land. After immigrating to New York in May 1910 and witnessing the harsh living conditions of Sephardic immigrants, he decided to settle permanently in the city. Gadol initially founded the weekly La águila, followed by La Amérika, which published for 15 years and 706 issues. The magazine addressed issues of immigrants' daily life, social and political problems in Anatolia and the Balkans, promoted Zionism, and discussed the Palestine question. Gadol also provided consultation and aid services for immigrants' naturalization, published translations of American immigration laws into Ladino, supported women's rights, and advocated for Sephardic integration with the Ashkenazi community in the US. Despite his efforts, La Amérika ceased publication on July 3, 1925, leaving a significant legacy in Sephardic journalism in the United States.
#לה אמיריקה#La Amiriḳa#La Amérika#Ladino#New York#Ladino Press#Jewish Press#judaísmo#judaism#jewish#jumblr#cultura judía#cultura sefardí#sephardic culture#moshe gadol#moshe#judío#ladino#judeoespañol#sephardic literature#sephardic#sefardí
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No quiero ser americano. Pero no puedo ser otra cosa, porque nací aquí y no quiero emigrar a ningún otro lugar ahora mismo.
Yo no gusto mi gobierno, mi país es miérdo actuar como un país unificado.
Mis impuestos se destinan a financiar guerras y no voté a favor de eso.
I can't say this in English, because I am afraid of being targeted by somebody. But it's something I struggle with as a 3rd generation Filipino and 2nd generation Cuban child of immigrants to America. They're really big feelings I struggle to grapple with constantly. My family gives me shit for not being a proud American, and they wanted me to completely assimilate and emulate white supremacy.... I think my heritage makes me uniquely extra American even on my least patriotic days, because I know America's true history and wake up choosing to be the change I wish to see in the world rather than perpetuating the status quo. There's no where else in the world where I can get Thai food, Mexican Food, and some french fries all on one order of food delivery app. There's no where else that has my favorite kinds of foods all in one state/country. The thing is, I like all the foods of the world. I don't know it all, but I would love to have my own version of Anthony Bourdain's televised career, as a person who loves food to travel the world and meet all different kinds of people and prepare meals together. I'm an American but I don't want to be the kind of American the rest of the world thinks of when they hear the word American.... idk. Just food for thought.
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"Da Sidney al Vesuvio" di Andrea America
Presso la sede dell'Associazione Culturale Merqurio, a Napoli, ha avuto luogo la presentazione del libro "Da Sidney al Vesuvio" scritto da Andrea America. La presentazione del libro di Andrea America Un pomeriggio che non è stata solo una semplice "presentazione" del nuovo romanzo di Andrea America ma anche l'occasione per ripercorrere le profonde trasformazioni che hanno interessato Napoli, la sua provincia e l'intero Paese nella seconda metà del Novecento. Presenti alla presentazione insieme all’autore, Antonio Bassolino, Goffredo Bettini, Simona Brandolini, Gianluca Daniele e l'arcivescovo Beniamino De Palma. «Dobbiamo ricostruire dei valori culturali che ci fanno stare assieme. Mi riferisco ad una nuova sinistra che dobbiamo ricostruire al di là dei partiti». Queste le parole di Gianluca Daniele, segretario generale Slc Cgil Napoli e Campania. «Il suo lavoro offre grandi spunti. Penso alla protagonista Concetta che è costretta ad emigrare a causa del mancato sviluppo del Sud. L'autonomia differenziata penalizzerà le regioni del Mezzogiorno e su questo non ci sono dubbi. Dobbiamo ripartire dal lavoro». Il libro Concetta, nata e cresciuta nella pittoresca provincia di Napoli, prese la difficile decisione di abbandonare la sua terra natale per cercare fortuna in Australia. Tuttavia, il legame con le sue radici era indissolubile, e così, divenuta donna matura, decise di intraprendere un viaggio di ritorno. Un pellegrinaggio verso i luoghi e le persone che aveva lasciato impressa nel cuore, un ritorno alle origini che assumeva un valore ben più profondo. L’autore Andrea America è nato a Mariglianella, in provincia di Napoli. Giornalista pubblicista e opinionista, è stato dirigente sindacale della Cgil. Assessore allo sport e cultura al Comune di Napoli, sindaco di Mariglianella e segretario del Comitato provinciale Anticamorra. Redattore del Codice di comportamento degli amministratori locali, ha pubblicato il volume Sindacalista immaginario (Lan, 1991), e per Pironti i romanzi: Il Cane che ride (2005); Ciccio 24, Napoli: Cronache della Grande Regressione (2010); La rivolta delle patate. Storie di fabbrica e campagna (2013); Il ritorno di Terra Felix. Una fiaba moderna (2014); La gioventù infinita (2017); Con un p’ di sentimento (Rogiosi 2019); Il Commissario Vaccinone (Guida editori 2021). Read the full article
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Litfiba - Africa (1994)
Africa Testo Home>L>Litfiba>Colpo Di Coda (1994)>Africa Ascolta "Africa" su Amazon Music Unlimited (ad) facebook twitter instagram Testo Africa Uga, uga uga e Yeah,..... ... Guga, guga, yeah Heyeah,.. 6, 5, 4, 3, 2, 1, 0 L'anno zero, l' anno zero E la foresta di metallo vedi IO mi trasformo, da fiore a scimmia è una scintilla Africa, Africa, Africa Fuoco, rosso fuoco, mi allungo fino alle nuvole la gioia del guerriero senz' armi che lascia casa per vivere cosi' L'Africa, Africa, Africa, Africa,.... fino all' 'Europa Europa fino all' Africa Tam, tam, senza giungla, voglio un posto al sicuro un po piu' in alto non dire quel che è bene non dire quel che è male Ognuno ha il suo modo di giudicare se credi che il diverso sia da cancellare tu spera solo di non dovere emigrare africa.... africa mangia sull' Europa Europa mangia sull' africa Fuoco rosso fuoco, mi allungo fino alle nuvole ma vedo la fame del ghetto che parla a fianco da bocca nera non dire quel che è bene non dire quel che è male Ognuno ha una ragione per AMMAZZARE non nasci dal colore ne da una appartenenza ma dall' EUROPA IN AFRICA Africa, Africa, .... non nasce dal colore nè dall' appartenenza quell' ODIO CHE TI PRENDE E' CATTIVA COSCIENZA africa africa in europa in Africa come in AMERICA No alle intolleranze, No al razzismo 6, 5, 4, 3, 2, 1, uhe
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Cine: Potato Dreams of America (2021)
Hay mucho de surrealismo en esta película autobiográfica sobre Wes Hurley, nacido en Vladivostok (URSS, o Unión Soviética) como Vasili Naumenko. En el marco del advenimiento de Mijail Gorbachov y el fin del comunismo, Vasili, apodado “Potato” (Hersh Powers), se ha acostumbrado a que todas las noches se corte la energía eléctrica y a soñar el sueño americano que le ofrece un canal de series estadounidenses que emanan desde su televisor en blanco y negro. Lena, su madre (Sera Barbieri) es una médica se ha divorciado de su esposo violento (Jule Johnson) y recibe cada tanto la visita de su progenitora, Tamara (Lea DeLaria); casi adolescente, ya comienza a advertir que quizás no le seducen los culos femeninos, situación que no le da ninguna tranquilidad. Un poco a la manera del protagonista de “Jojo Rabbit” (2019), Potato encuentra un “amigo imaginario” no en Hitler sino en el mismísimo Jesucristo (Jonathan Bennett).
El sueño se vuelve real cuando Lena acepta emigrar a Seattle, aceptando la opción de casarse con John (Dan Lauria), un cristiano ortodoxo junto a quien espera conformar una rutina segura. Es un punto de quiebre en la historia, que comienza en 1985 y luego se traslada a la década de los noventa. El niño Potato ya es un adolescente (ahora lo interpreta Tyler Bocock mientras que la Lena “americana” recae en Alycia Delmore) y reafirma el rumbo de su búsqueda visitando el videoclub, deleitándose con la vista del empleado, yendo a la sección “Gay & Lesbiana” y alquilando de forma repetitiva la cinta “The Living End” (1992). El problema: John ya avisó que, si la vida familiar no resulta ser lo conservadora que quiere, no tardará en desligarse de Lena y en regresarla a Rusia y la sexualidad de su hijastro convierte la amenaza en una posibilidad cierta.
“Potato Dreams of America“ no es el primer intento de Hurley por narrar su historia: ya en 2017 estrenó su corto documental “Little Potato“, ganador de siete premios. Para esta “versión extendida“, el director y guionista aúna la comedia y el drama, integra algunos apuntes sobre el crecimiento personal con críticas al comunismo, al capitalismo, al fanatismo religioso y, en definitiva, a la idiosincrasia estadounidense en un relato que parece desdoblarse en dos episodios radicalmente distintos: la amable comedia de la infancia de Vasili y el peligro latente, encarnado por su padrastro, de su adolescencia.
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IL 9 OTTOBRE 1967 MORIVA ERNESTO "CHE" GUEVARA.
A VENDICARLO CI PENSERA' UNA RAGAZZA TEDESCA: LA STORIA DI MONIKA ERTL
Quando quella giovane tirò fuori la pistola, Quintanilla - l'uomo che aveva deturpato il cadavere di Ernesto Che Guevara - avrebbe voluto dire qualcosa, forse avrebbe voluto implorarla, chiedere scusa, pregare. Forse, ma non ne ebbe la possibilità.
Monika Ertl gli sparò tre colpi diretti al petto. Nemmeno il tempo di scappare, lasciandosi dietro una parrucca, la borsetta, la Colt Cobra 38 Special, che Quintanilla era già morto.
Era il primo aprile 1971 e questa ragazza, fingendosi una giovane reporter australiana, era penetrata nel consolato della Bolivia di Amburgo dove aveva finalmente potuto onorare un giuramento pronunciato tre anni e mezzo prima. Aveva promesso che avrebbe vendicato il Che e dopo di lui Inti Peredo, il guerrigliero che ne aveva preso il posto, anch'egli torturato dall'odiato Quintanilla.
Inti di cui lei era innamorata, Inti che aveva seguito nelle giungla con il nome di battaglia di Imila.
Per questo era tornata in Germania. Terra da cui se n'era andata da bambina al seguito del padre, regista costretto ad emigrare in Bolivia dopo la Seconda guerra mondiale, a causa dei rapporti avuti con il regime nazista. In Sud America Monika, scossa dalle ingiustizie sociali e dai governi autoritari, aveva scelto la strada della lotta. Strada che perseguì fino all'ultimo giorno della sua vita.
Dopo aver ammazzato Roberto Quintanilla, che aveva oltraggiato il corpo del Che facendogli mozzare le mani, Monika decise di farla pagare ad un altro assassino: Klaus Altmann Barbie, l'ex capo della Gestapo di Lione. Tornata in Bolivia, dove l'ex gerarca si nascondeva, cadde però in un'imboscata dell'esercito. Sulla sua testa pendeva una taglia da 20.000 dollari.
Fu uccisa all'età di 36 anni.
I suoi resti non vennero mai restituiti alla famiglia.
Cannibali e Re
Cronache Ribelli
La storia di Monika è raccontata anche nel nostro primo libro, Cronache Ribelli, che ha ormai venduto quasi 7.000 copie! Lo trovate qui: http://bit.ly/3sen0wX
Fonte FB
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Soy de América latina, soy de acá... #Youtube #video @dariomoramusic #followme #followers #latin #american #music #latinoamerica #america #latina #venezuelaes #venezolanos #venezolanosenelexterior #venezolanosenbuenosaires #emigrar #emigrantes #inmigrantes #baires #ba #argentinos #migrar #bsas #arg #pty #507 #panama #palermo #palermocity #buenosairescity #venezolanosenchile #venezolanosenurugay
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Arcam Terrae 1
"Thema metti Brave dei Marillion anno 1994"
<<Un attimo che cerco nel database.
File trovato. Marillion. Album Brave data 7 febbraio 1994. Composto da 11 tracce. Avvio riproduzione >>
Eccomi di fronte alla mia finestra digitale con veduta su una Piazza San Marco piena di sole. Un ricordo solamente perché, ora, una delle città più belle del mondo è sott'acqua.
Assaggio il mio whisky di puro malto scozzese invecchiato 200 anni. Ancora ricordo quando lo comprai in quel supermercato nella mia amata città. Anche lei ora non c'è più.
"Thema metti sulla finestra digitale Roma, veduta di Via dei Fori Imperiali anni 2000"
<<Trovato filmato di via dei Fori Imperiali di maggio 2036. Avvio riproduzione su finestra digitale"
Sorrisi e pensai che l'anno successivo a quel filmato sarei morto. Già. Quell'incidente in auto ha cambiato la mia vita e per fortuna che, prima di entrare in coma, riuscii a mandare un messaggio al mio amico Lucio. Quel pazzo figlio di puttana stava lavorando ad un sistema di salvataggio della memoria dal cervello. Come una sorta di Hard Drive. Lui riteneva che si poteva salvare tutta la nostra memoria, la nostra cognizione e tenerla da parte finché non sarebbe stato possibile di impiantarlo nuovamente. Quel sistema sarebbe diventato il modo per non perdere le migliori menti del mondo da lì a qualche decennio.
Sono morto nel 2037 a sessantasei anni e sono rinato nel 2110. Settantatre anni dopo. Mi hanno trovato in uno scatolone del laboratorio che dividevo con Lucio e hanno provato a inserirmi in un androide umano. Il back up dei dati andò a buon fine. Ero stato impiantato in un corpo di circa trenta anni e non potevo più invecchiare.
I miei cari e mia figlia non c'erano più. Feci una ricerca in segreto e scoprii di avere dei pronipoti ma non volevo recar loro disturbo e, comunque, ero diventato un esperimento dell'esercito. Ora, invece, sono un ammiraglio della Federazione Unita Terra e sono al comando della Arcam Terrae 1.
Il mio amato pianeta era morente, un dead man walking e dovevamo emigrare su altri pianeti prima del collasso definitivo della Terra e dell'estinzione di tutta la razza umana.
Ingollai un sorso del liquido color ambra e sorrisi.
Forse questa estinzione ce la saremmo anche meritati. Stavamo già distruggendo da soli il nostro pianeta. Non bastò neanche il trattato Berlusconi III fimato nel 2054 per cessare l'utilizzo di petrolio e di abbassare le emissioni di CO2. C'è voluto il distaccamento di mezza Antartide ed il conseguente annientamento di milioni di persone. Per non parlare delle città sommerse.
Roma.
La città più bella del mondo capitale culturale della Terra è sommersa dal 2124.
Il Colosseo ora si visita in idromobile.
Il trillo dell'interfono interrompe quella malinconia che si stava impossessando dei miei momenti di riposo.
"Avanti"
"Comandante"
"Mi dica Guardiamarina Bissoli"
"Stiamo arrivando alla cintura di asteroidi intorno a quello che resta di Saturno. Tra circa 1 ora ci passeremo in mezzo"
Erano passate dieci ore dal decollo dalla base di New Philadephia e, ina volta superato Saturno o quello che ne restava, potevamo usare il motore a Iperfusione Termonucleare Quantistica che ci avrebbe fatto arrivare su Roma 1, insieme alle dodicimila persone che viaggiavano sulla mia astronave. In circa un anno saremmo arrivati a destinazione.
Roma 1 si trova nella costellazione di Gemini a metà strada tra le due stelle Castore e Polluce a circa 316 anni luce dalla Terra.
Un anno è lungo. Molti sarebbero morti e molti sarebbero nati su quest'astronave ma, noi, eravamo la speranza di tutto il genere umano.
"Bene. Comunica al primo ufficiale che tra dieci minuti salirò sul ponte di Comando"
"Agli ordini Comandante"
Il messaggero aveva lasciato il mio alloggio. Bevo il mio ultimo sorso di whisky e, facendo nell'aria il gesto di aprire la mano, accendo il palmare.
"Fascicolo Melissa e Vittoria"
Do un'occhiata al fascicolo delle mie pronipoti che sono riuscito a far salire a bordo chiedendo dei favori alle alte sfere politiche. So che dovrò ricambiare ma non importa. Non ora. Ora la massima priorità era di averle a bordo a qualunque costo.
E c'ero riuscito.
Entrambe sono bellissime.
Melissa assomiglia molto a mia figlia. Prima di entrare in coma riuscii a parlare anche con lei. L'amore vero della mia vita.
Purtroppo ero sempre a lavoro su quel programma di cibernetica ed, a casa, non c'ero quasi mai.
Mia moglie mi tradiva, ne ero sicuro, ma volevo stare con mia figlia e la parvenza di una famiglia valeva la candela.
Melissa e Vittoria. Anche per loro avrei fatto qualsiasi cosa. Chiamai la plancia e gli comunicai che sarei salito più tardi. L'ufficiale in seconda, il capitano Pepsi, mi redarguì. Mi ricordò l'importanza di essere sul ponte di comando e l'importanza della missione stessa.
"Capitano arriverò sul ponte dopo aver fatto una cosa"
"Ma Ammiraglio...."
"Capitano. Le devo ricordare chi comanda sull' Arcam? Arriverò quando ho fatto"
"Si Signore. Mi scusi"
Gloria Pepsi. Capitano della Marina Federazione Terra. Un genio militare e non solo. È stata la prima donna al comando del distaccamento su Luna. Il suo trattato "Antiche passioni di Guerra e Pace" è studiato in tutte le scuole ufficiali del pianeta e l'ho voluta fortemente al mio fianco in questa missione.
Abbiamo avuto una storia anche se io ero "solamente" un androide ed, il sesso, per me, non era più come quello di una volta. Posso provare emozioni ma non posso esternare nulla. Per me, il sesso, ora, è solo un effimero atto di movimento.
Siamo stati "insieme" due mesi, poi, quando la Federazione mi diede il comando della missione Roma 1 ci siamo lasciati anzi, più precisamente, la lasciai io. Non volevo sentimentalismi per una missione così delicata. Poi, sei mesi dopo le chiesi di essere il mio numero due e, lei, dapprima rifiutò ma, qualche giorno dopo, accettò il mio invito. Lei non voleva essere una numero due. Lei si sentiva una numero UNO e, questa situazione, la faceva sentire frustrata. Le promisi che avrebbe fatto più il capo lei che io e, quindi, decise di accettare.
Uscii dalla mia cabina e mi diressi verso l'ascensore del settore L. Una volta arrivato entrai e pronunciai "Piano 34L1"
Mi stavo dirigendo all'area City dove c'era tutto un settore riconvertito a città. C'era una piazza con al centro una fontana, riproduzione fedele della Barca di Acqua di Valencia in Spagna. Ai quattro punti cardinali c'erano i luoghi di culto. Anch' esse copie perfette. Per i cristiani la chiesa di Santa Prassede in Roma; per i musulmani la moschea di Abu Dhabi; per gli ebrei il tempio di Gerusalemme e, per i buddisti, il tempio Mahabodhi in India. Tutte intorno alla piazza, invece, vi erano le costruzioni adibite a cabine del popolo. Nel settore M c'era un un'altra cittadella identica. I nomi che vennero dati alle due city erano Europa per il settore L ed America per l'altro settore. Sull' Arcam ero il capo supremo e potevo decidere tutto. Una sorta di monarca assoluto. Ero quasi giunto al lotto 642 palazzina 2 quando alle spalle mi sentii salutare.
Mi voltai. Era Vittoria. Splendida. I lunghi capelli castani si adagiavano morbidi sulle spalle. I suoi occhi verdi, profondi, mi scrutavano.
"Comandante Miller?"
John Miller è il nome che mi fu dato dall'esercito.
"Salve. Si sono io. Ma mi chiami John. Signora?"
"Mi chiamo Vittoria Flavi. E volevo ringraziarla. Il tenente Richardson ci ha comunicato che è stato lei a volere fortemente me e mia sorella Melissa con i suoi due figli a bordo. È vero?"
"Guardi signora Flavi. Ora non posso fermarmi a parlare. Le spiegherò più tardi. Stavo giustappunto cercando il tenente. Lo ha visto?"
"Prima era davanti al generatore di abiti vicino alla nostra palazzina. Lì dove è stata assegnata mia sorella Melissa. Ognuno di noi ha un compito su questa nave. Io non ne ho nessuno."
"Lo avrà signora. Non si preoccupi. Ora devo andare. Con permesso."
Girai le spalle e proseguii per il generatore. Lì c'erano il tenente Richardson e Melissa che stavano parlando. Amichevolmente direi, viste le risate tra loro. Ora prendo il tenente e gliene dico quattro.
"Tenente Richardson" ammonii severo.
"Si Ammiraglio" scattò immediatamente sull'attenti.
"Signora mi scusi ma devo prendere il mio tenente"
Melissa mi sorrise spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio ed un'emozione d'altri tempi mi attraversò la mente. È identica a mia figlia Clarissa.
Stessi capelli color miele e stessi occhi nocciola. Un sorriso contagioso che ti fa perdere la testa.
Ecco... Amavo quelle due donne.
Presi per un braccio il tenente e in un angolo gli rimproverai l'accaduto.
"Tenente lei deve starle vicino e controllarle. Non deve comunicare con loro e soprattutto non deve dire che sono qui per merito mio. Anche lei, tenente, è qui per intercessione del ministro della difesa Brunì. Lei è qui perché ho dovuto contraccambiare il favore ma non mi sfidi perché la metto a lavare le latrine degli animali. Inteso?"
"Signorsi ammiraglio"
"Bene. E ora mi dica. Che lavoro possiamo dare a Vittoria Flavi?"
"Potremmo metterla all'approvvigionamento dei viveri. Li c'è sempre caos"
"Perfetto. Si occupi lei di tutto. E mi ragguagli su situazioni strane"
Mi allontanai salutando da lontano le due donne e mi diressi verso l'ascensore per il percorso inverso. Durante il tragitto ripensai ad ogni attimo avuto con loro. Era la prima volta che le vedevo così da vicino. È stato come un tuffo nel passato. I ricordi e i profumi di mia figlia. I suoi sorrisi e i suoi "Ti amo papà" o i suoi capricci e i suoi "Sei il papà più brutto del mondo. Sei un mostro" che mi facevano stringere il cuore.
E loro stavano prendendo il posto di quella figlia che mi mancava terribilmente più del mio corpo, più della mia pelle.
"Capitano Pepsi. Quanto manca alla cintura di Saturno?"
"Ammiraglio siamo in prossimità dei primi asteroidi"
"Bene. Sto arrivando"
In pochi minuti giunsi al ponte di comando.
Il capitano Pepsi si alzò dalla poltrona di comando e si mise alla destra di essa e pronunciò: "Ammiraglio in plancia di comando"
"Bene ragazzi ora voglio il massimo da tutti voi. Vi ho scelto uno ad uno e so quanto valete. Non mi deludete. Tenente Romanov alzi gli scudi al massimo e accenda l'allarme rosso. Tenente Jenkins diminuisca la velocità di cinque mach e ci porti dentro la cintura. Con calma."
"Agli ordini Ammiraglio"
Il tenente Jenkins era un eccellente pilota di aerei da corsa. Lo reclutai io personalmente più di dieci anni fa per portare gli Shuttle su Luna. Era perfetto per questo tipo di manovre.
La tensione stava cominciando a salire.
"Thema. Pink Floyd. Another Brick on the wall part two. Album The Wall. Riprodurre"
Il capitano Pepsi mi guardò ed io le sorrisi dicendole:
"Un po' di buona musica è quello che ci vuole in questo momento no? Se moriremo lo faremo cantando. Jenkins la conosce questa canzone?"
"Ammiraglio è quella che mise il giorno del mio esame da ufficiale. La conosco perfettamente"
"Bravo ragazzo. So che posso fidarmi di te"
Il tenente stava facendo del suo meglio aiutato egregiamente dagli scudi difensivi. Ci sarebbero voluti una decina di minuti e saremmo stati fuori dalla cintura di asteroidi e poi avremmo potuto azionare il motore principale per un salto di circa 300 anni luce.
"Bene. Capitano Pepsi lascio a lei la plancia. Vado nella mia cabina"
"Ma Ammiraglio ancora non siamo fuori pericolo"
"Capitano. Si calmi. Jenkins sta facendo il suo lavoro egregiamente e lei è una ottimo numero UNO. Io sono un vecchio di più di cento anni e devo riposare"
"Ammiraglio lei non può invecchiare..."
"Il mio corpo Capitano. Solo il mio corpo non può invecchiare. Per quanto riguarda l'anima, invece..."
Lasciai il ponte di comando con un lungo sospiro e le occhiate stupite degli ufficiali.
Solo Jenkins non mi guardò. Lui era occupato in ben altro.
"Ponte ufficiali. Piano 78A1"
In pochi secondi arrivai a destinazione. Entrai nella mia cabina e chiesi a Thema di proiettarmi sullo schermo ciò che vedeva Jenkins.
Era perfetto nell'evitare quegli asteroidi grandi quanto l'Australia. Gli scudi avrebbero retto a due o tre colpi. Il quarto sarebbe stato meglio evitarlo. Misi due dita di whisky nel bicchiere e ne assaggiai un sorso. Strano sentire il sapore dell'alcol sulla lingua. Era come se fossi ancora umano. Mi accomodai nella poltrona e chiesi a Thema la stessa musica che stavano ascoltando in plancia.
<<Nessuna musica in plancia>>
Sicuramente Gloria aveva levato la musica e messo alla frusta l'equipaggio. La mia capitano con le palle. Ehi Jenkins attento a quell'asteroide a ore cinque.
Un forte scossone si sentì per tutta la nave. Il whisky si rovesciò in terra. Maledizione Jenkins fai attenzione.
"Ammiraglio a Plancia. Mi sentite?"
"Si Ammiraglio. Siamo stati colpiti da un asteroide."
"Davvero? Io pensavo che stessimo a fare quattro salti in discoteca.... Danni Capitano?"
"No signore. Nessun danno e gli scudi sono ancora al 90%. "Controlli se ci siano dei feriti e, nel caso, portarli immediatamente in infermeria. Inoltre devii tutte le energie ausiliari agli scudi."
"Ammiraglio così facendo, nelle cittadelle, i passeggeri saranno quasi al buio"
"Meglio quasi al buio che certamente morti. È un ordine capitano."
"Signorsi comandante"
Chiusi il contatto con la plancia e provai a chiamare col trasmettitore il tenente Richardson.
"Tenente dove si trova? In Europa o in America?"
"Comandante sono in Europa."
"Bene. La situazione lì come è?"
"Tutti i passeggeri sono nelle loro cabine come da protocollo"
"Perfetto. Faccia un giro con i suoi uomini perché ora le due cittadelle passeranno alle luci di emergenza. Rassicuri la gente"
"Signorsi Comandante".
Ancora un paio di minuti e tutto finirà.
Un altro scossone fece sobbalzare l'Arcam.
Forza Jenkins. Tiraci fuori da qui.
Trascorsi i due minuti eravamo, finalmente, fuori da quella situazione e per un momento sprofondai nella poltrona senza pensieri.
Ce l'avevamo fatta. Ora sarebbe bastato fare il salto e aspettare un anno.
"Bravissimi ragazzi. Sono fiero di voi e sono fiero di lei Capitano Pepsi. Mi apra un canale con la Federazione su Terra e invii il collegamento sullo schermo del mio alloggio."
"Si Comandante lo facciamo subito"
Mi versai altre due dita di whisky con la speranza di poterlo gustare senza distrazioni.
"Ammiraglio Miller. Ci dica"
"Buonasera a lei Primo Ministro ed a tutti gli altri ministri presenti. Vi comunico che abbiamo oltrepassato la cintura di Saturno senza problemi e tra un'ora circa attiveremo il motore principale ed effettueremo il salto cosmico. Una volta fatto i messaggi con la Terra impiegheranno un anno ad arrivare e, quindi, spero che non ci siano problemi. Probabilmente faremo prima noi ad arrivare su Roma 1 che voi ad ascoltare il messaggio."
"Ammiraglio volevamo comunicarle due cose. La prima è che si ricordi esattamente la procedura in caso di pericolo dell'integrità di Arcam 1. La seconda è che la partenza di Arcam 2 avverrà esattamente tra 10 giorni. In bocca al lupo Ammiraglio"
"Viva il lupo Signori. Ci vedremo su Roma 1 tra qualche anno"
Finisco il mio whisky e mi dirigo nuovamente in plancia.
"Ammiraglio in plancia di comando"
"Bravi ragazzi. La federazione mi ha fatto i complimenti per il passaggio indenne nella cintura di Saturno. Ovviamente è merito vostro non mio e, soprattutto, merito di Jenkins. Complimenti Tenente e complimenti al capitano Pepsi che ha diretto tutta la manovra"
Gli applausi si levarono in aria.
"Jenkins mi deve due dita di whisky invecchiato 200 anni e consideri che l'unica bottiglia in giro è quella che è nella mia cabina e che era vicino al mio hard drive nel mio laboratorio."
Gli applausi si tramutarono in sorrisi e parole di scherno ai danni di Jenkins.
"Ragazzi che ne dite, siete pronti ad accendere il motore principale? Tenente Dakini. Il motore principale è a posto?"
"Si Ammiraglio. Ho effettuato io personalmente il check del computer di bordo del motore. Tutto in ordine"
"Benissimo. Passiamo ad allarme giallo e iniziamo il conto alla rovescia per l'accensione del motore principale"
Per attivarlo occorrevano circa trenta minuti.
"Capitano a Lei il comando. Vado in infermeria a vedere come stanno i contusi."
Dopo pochi minuti in infermeria il Capitano medico Kay mi comunicò che nessuno aveva riportato ferite gravi. I più preoccupanti erano due signore che si erano rotte un'unghia. Ridemmo di gusto.
"Eva. Ho un favore da chiederti. Ci sono due donne. Melissa e Vittoria Flavi. Vorrei che tu le controllassi nuovamente"
"John ti conosco da tanto tempo. Perché tieni tanto a loro? Sai che potresti giocarti la carriera? Potresti perdere tutto il potere che avresti su Roma 1 e per che cosa? Sono le tue amanti? Hai un'infatuazione per loro?"
"Sono la mia famiglia Eva"
Il capitano medico rimase sbigottita.
"Come sono la tua famiglia? Quando le ho visitate prima di salire a bordo ho letto accuratamente il loro fascicolo e non ho trovato tracce di parentela con te"
"Eva il mio nome da umano era Flavio Iulia e loro sono le mie pronipoti. Controlla se non hanno avuto incidenti"
"John se avessero avuto un incidente sarebbero state condotte qui e curate. Calmati"
"Ok. Grazie Eva. Mi raccomando discrezione"
Me ne andai dall'infermeria e arrivai al mio alloggio.
Mi fissai nello specchio e non vedevo più un androide. Non vedevo più neanche un alto ufficiale della Marina della Federazione Terra.
Davanti a me c'era solo il volto di un uomo stanco di vivere. Stanco di non avere nessun cordone ombelicale col passato. Affranto perché gli amori della sua vita non c'erano più da molto tempo. Troppo.
Il trillo dell'interfono interruppe i miei pensieri.
"Comandante tra due minuti il motore principale si accenderà"
"Bene Capitano Pepsi. Aspetterò qui in poltrona. A lei il comando. Lasci l'interfono aperto così sentirò il tutto.
"Signorsi Ammiraglio"
Sprofondo nella mia poltrona e guardo sullo schermo. Tra pochi secondi diventerà tutto bianco e faremo un salto di 300 anni in 30 secondi.
Non mi va neanche di bere.
"Mancano dieci secondi. Nove, otto,sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno. Tenente Dakini accenda il motore"
"Accensione effettuata Capitano"
Le schermo diventò di un bianco accecante. Trenta secondi che sembravano non finire mai ed, ad un tratto, un'esplosione potente.
Così forte che venni quasi scaraventato sul pavimento.
"Capitano cosa sta succedendo"
"Non lo so Ammiraglio. Siamo usciti dallo spazio tempo e l'esplosione ci ha investito"
"Tenente Romanov che danni ci sono?"
"Abbiamo gravi danni strutturali ai settori H, J e L"
"Come L? Europa? È intatta?'
"Si Ammiraglio ma dobbiamo procedere all'evacuazione d'emergenza del settore L perché lo scafo ha dei danni strutturali gravi. Sembra che un asteroide sia stato risucchiato nel salto e che sia poi entrato in collisione con noi quando ci siamo fermati."
"Capitano Pepsi cosa ne pensa?"
"Ammiraglio se Romanov dice di evacuare io inizierei il protocollo Alpha1"
Il protocollo Alpha1 consisteva nel prendere nelle famiglie le persone valide alla sopravvivenza e inviarle nel settore M e le rimanenti trasferirle nelle capsule di salvataggio che si trovavano nel settore emergenza W. Una volta lì sarebbero salite poi ibernate e, se fossero sopravvissute, sarebbero state prese dall'Arcam 2 o da altre navi.
Di seimila persone che vivevano su Europa ne sarebbero restate tremila.
Già sapevamo chi sarebbe restato e chi no. E nella lista di chi doveva andare nelle capsule c'era anche Vittoria.
Non ci voleva. Non doveva andare così. Ordinai a Pepsi di comandare ad una squadra di controllare sul posto lo stato dello scafo. Intanto che mi dirigevo al settore L, chiamai Richardson comunicandogli di controllare lo stato dei passeggeri e di aiutare allo smistamento delle persone.
Giunto sul posto erano accese solo le luci di emergenza. L'allarme rosso echeggiava in tutta Europa e la gente piangeva. Raccolsi un giocattolo caduto dalle mani di un bambino e glielo riconsegnai con un sorriso. La mamma piangeva e la rassicurai con parole di circostanza. In lontananza vidi Richardson fare ciò che gli era stato ordinato.
Gli feci cenno di avvicinarsi.
"Eccomi Ammiraglio"
"Com'è la situazione tenente?"
"Abbiamo dodici feriti gravi che sono stati trasferiti in infermeria. Ventuno lievi. I Guardiamarina O'Leary e Banff stanno provvedendo all'indirizzamento delle persone alle capsule di salvataggio"
"Vittoria e Melissa Flavi?"
"Melissa Flavi e i suoi due figli sono stati già trasferiti ad America. Lì il tenente Perez sta smistando le persone come da protocollo negli alloggi di emergenza. Vittoria è diretta al settore W. Lei è assegnata alla capsula numero 1039."
"Avverta il tenente Paxos di non far partire la capsula 1039 senza un mio ordine diretto. Inteso?"
"Signorsi Ammiraglio"
Corsi verso il settore W e nel mentre, chiamai su una linea privata Gloria.
"Gloria?"
"John dimmi"
"Devo farti una rivelazione. Quando siamo stati insieme ho provato davvero qualcosa per te e me ne sto accorgendo solo ora. Ma non sono stato del tutto sincero con te. Io ho ancora dei familiari in vita e sono sull'Arcam. E sceglierti è stato per due motivi. Il primo è perché ti volevo vicino e che sei un grandioso capitano. Il secondo è perché potevi darmi più tempo libero per conoscere la mia famiglia"
Gloria sorrise e disse
"Sono tre i motivi allora scemo"
"La solita perfettina... Nel protocollo Alpha1 una mia nipote è prevista in capsula di salvataggio. Sto andando da lei."
"E poi? "
"E poi non lo so. Paxos è inappuntabile e incorruttibile. L'ho messo apposta lì. Ci sentiamo dopo"
Ancora una manciata di secondi e sarò arrivato.
1031, 1032 eccola là Vittoria.
"Signora Flavi. Tenente Paxos ci penso io ora. Vada pure"
"Signore non posso andare. Me l'ha ordinato lei. E mi ha detto categoricamente di avviare le operazioni di lancio."
"Ok tenente. Intanto lanci le altre 2999 capsule. Poi rivenga qui"
"Comandante Miller. Ora che succederà?" Vittoria aveva il volto impaurito ed io non sapevo come rassicurarla.
"Non lo so Vittoria. Posso chiamarla Vittoria vero? In teoria una volta sganciata, la capsula passa in ibernazione per far sprecare meno energia vitale possibile per durare più di un anno. Ma è tutto teorico."
"Qualcuno verrà a recuperarci?"
"Se l'Arcam 2 farà la nostra stessa rotta e non avrà problemi tra una decina di giorni sarete recuperati e portati su Roma 1"
"E se non ci trovasse?"
"Non ci pensi ora Vittoria. Volevo dirle una cosa. Ha presente sua nonno Milo? La nonna di Milo era Clarissa. La mia amata figlia. Lei, Vittoria e sua sorella Melissa siete le mie pronipoti."
Un segno di stupore fece breccia nel suo volto.
"Ma è impossibile Ammiraglio"
"John. Vittoria chiamami John o se vuoi Flavio, il mio vero nome"
Vittoria esplose in un pianto abbracciandomi forte.
Il tenente Paxos arrivò spezzando il momento carico di emozioni.
"Un attimo Vittoria"
Mi avvicinai e parlai con il tenente che annui, controvoglia, a ciò che gli stavo dicendo.
"Vittoria. Il tenente Paxos ora la scorterà nel mio alloggio e lascerà un messaggio al Capitano Pepsi."
Il tenente fece cenno a Vittoria di seguirlo e lei così fece. Si allontanarono.
Quando entrarono nell'ascensore Vittoria chiese al tenente perché non fosse più salita sulla capsula. Questi le comunicò che io avrei preso il suo posto.
Lei rincuorata chiese: "Una volta giunti nell'alloggio dell'ammiraglio cosa succederà? E per fortuna che l'ammiraglio è un androide e quindi durerà più a lungo nella capsula"
"Il capitano Pepsi la farà rimanere nell'alloggio del comandante per tutto il viaggio. Per l'altra questione, invece, la capsula non ha una batteria per la ricarica di un androide e, quindi, dopo settantadue ore o qualcosa in più si spegnerà per sempre. L'ammiraglio le voleva molto bene signora Flavi".
Vittoria guardò nello specchio dell'ascensore mentre le lacrime le scendevano copiose dagli occhi verdi smeraldo. Quelle gemme che sono state l'ultimo ricordo di Flavio Iulia alias John Miller Ammiraglio della Marina di Federazione Terra e comandante dell' Arcam Terrae 1, padre innamorato di sua figlia.
Fine
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“ Chi aveva la casa rotta, l'accomodava. Chi l'aveva sporca l'imbiancava. Chi aveva figlie cercava di sposarle. Chi non si poteva sposare si sposò. Chi aveva un figlio coi piedi storti o il torace ammaccato, glieli fece aggiustare. E il figlio camminava. Chi aveva fatto gravi peccati mortali, tentava di scontarli con le beneficenze. Alle quattro del mattino, Napoli sembrava San Paolo del Brasile. Carrettieri, cocchieri, falegnami, tappezzieri, imbianchini, pittori, calzolai, dolcieri, fattucchiere, vivevano tutti. Ma quando gli americani cominciarono a partire la gente si sentì scorrere dentro l'emorragia interna. Ciò si notò a Napoli con gli occhi. La gente si rianimava solo alla propalazione della notizia che le truppe sarebbero restate ancora un mese. Trenta giorni assicurati, e riprendevano fiato. Non piú come prima. La botta l'avevano avuta. I contrabbandieri piú feroci giuravano che il mondo non sarebbe tornato piú indietro, avrebbero fatto la rivoluzione! Ma al trentunesimo giorno un'altra nave partiva, e la gente accorsa ai porti già cominciava a dire: «Beati loro che vanno in America!» Americani e napoletani eran diventati cittadini della stessa nazione. Quelli tentavano di parlare il dialetto e i nostri l'inglese. E nacque una terza lingua. Poi gli stranieri, diventate persone di casa, volentieri consacrarono un simile stato con cristianissimi matrimoni. E con chi? Con figlie di lustrascarpe, con ragazze perdute, con povere criste; le quali suscitavan l'invidia degli uomini e delle donne delle classi abbienti. Le nostre signore non sposarono e non sposeranno mai un operaio italiano. Ne avrebbero sposato volentieri uno, o anche due, americani, in vista dell'America di Hollywood, e perché, non parlando il dialetto, l'americano non sa di zotico. Ma poiché gli americani erano operai fecero quasi sempre alleanza con i loro simili. E da qui lo scandalo! «Dove siamo caduti! Dove siamo caduti!» Decine di stradette si ricordano rumorose di code di barattoli vuoti attaccate alle automobili nuziali. Voi, beate, fanciulle, che riusciste ad emigrare col “capitano del legno neviorchese”. Prima della guerra, ragazzine, capiste poco. Col capire, su Napoli piovve denaro. Esse non sapranno mai che dopo la loro partenza, il grande morto che si chiama Sconfitta, che non si era fatto in tempo a sotterrare nel '43, appesta l'aria e chiunque ne annusa il puzzo, si trasforma in disoccupato, in giocatore, in mendicante. Le strade sono di nuovo piene di mendicanti, distesi per terra, tra i passi della gente, di una gente che nemmeno per brutto sogno pensa che i mendicanti sono italiani. E come quando passa il morto, al quale rivolgiamo un saluto di commiserazione, commemorando: «Ma che peccato! Che peccato!» quasi fossimo immortali, quasi tra noi e il mendicante ci fosse una diga e non un biglietto di mille lire. “
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Tratto da Breve storia del contabbando, testo raccolta in:
Domenico Rea, Gesù, fate luce, Milano, Mondadori (collana La Medusa degli Italiani, volume LIV), 1952⁴; pp. 94-95.
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Hijos del Maíz
Somos hijos del maíz. We are children of the corn (the Mayan kind, not the movie kind)
En las familias “hay de todo” y la mía no es la excepción. Tenemos de todos los colores, temperamentos, inclinaciones políticas, religiones, en fin, las familias son como una nación en pequeñito. Esa diversidad nos enriquece y nos enseña tolerancia y respeto, porque “fijo” que no siempre vamos a poder ponernos de acuerdo.
In all families we have a little of everything and mine is no exception. We have all colors, personalities, political inclinations, religions… families are like a whole country on a smaller scale. This diversity enriches us and teaches us tolerance and respect, because one thing is for sure, we will not always agree.
Del lado de los Torres tratamos de tener reuniones familiares anuales. No siempre podemos, y recientemente, el Covid no lo ha permitido. Desde que los abuelos fallecieron, nos hemos reunidos en varios lugares en el país. Mis abuelos tuvieron siete hijos: Tía Ondina, mi mamá, Tío Pondo, Tía Marta y Tía Gladiz (ambas que ya fallecieron), Tío Toño y Tía Clemen. Tía Onda y mi mamá son las únicas que siguen viviendo en La Ceiba y de la siguiente generación (los primos), sólo los hijos de Tía Gladiz (Pati y Victor) y yo. Yo soy la nieta mayor del lado de los Torres. Curiosamente, mi primo Carlos López (el mayor de los varones) y yo nacimos el mismo día con 3 años de diferencia. Esa es la misma fecha en que nació Mamaíta, nuestra bisabuela.
From my maternal side (the Torres) we try to have a family reunion annually. We are not always successful, and recently because of Covid we have been able to get together. Ever since our grandparents passed we have had our reunions in various parts of the country. My grandparents had seven children: Tía Ondina, mi mamá, Tío Pondo, Tía Marta y Tía Gladys (ambas que ya fallecieron), Tío Toño y Tía Clemen. Tía Onda and my mother are the only ones still living in La Ceiba, and of the following generation (los primos), only Tía Gladiz’s children (Pati and Victor) and I. I am the eldest grandchild from my maternal side. Curiously, my cousin Carlos López (the eldest of the boys) and I were born on the same day 3 years apart. That is the same date Mamaíta, our great grandmother, was born as well.
¿Y que tiene que ver esto con que somos hijos del maíz? Ya les explico. Nuestros abuelos se conocieron acá en La Ceiba. Mi abuelo Wenceslao era de La Villa de San Antonio, Comayagua y se vino a la costa como muchísimos compatriotas, en busca de trabajo. En el caso de él porque se había peleado con su padre. Estaba bastante joven pero lo testarudo y el orgullo no tienen edad. A él le “echamos la culpa” de estos dos rasgos de personalidad que los Torres compartimos, pero para ser justa debo aclarar que no solo es culpa del abuelo. La abuela era tremenda también y como dicen los Paz (mi lado paterno) ¡el mal viene desde el fondo de la olla!
So what does all this have to do with being “hijos del maíz”? I will explain. Our grandparents met here, in La Ceiba. My grandfather, Wenceslao was born in and raised in La Villa de San Antonio, Comayagua and came to the North Coast as many other Hondurans at the time, in search of employment. In his case, he came because he had had a huge fight with his father. He was quite young, but stubbornness and pride are apparently not limited by age. We usually blame him for these 2 personality traits the Torres’ share, but in all fairness I must say it’s not just our grandfather’s fault. Our grandmother was quite a character as well and like my paternal side of my family (los Paz) say: it “bad” comes from the bottom of the pot!
La abuela Cándida Rosa Centeno Arteaga, era de El Pedernal, Cedros, Francisco Morazán y ella me contó que vino a La Ceiba porque su meta final era emigrar a Estados Unidos y por acá se iba la gente en barco. Mis tías me dicen que no están seguras que el asunto fue así – que ella fantaseaba y cambiaba las historias al final de sus días. Lo que si sabemos es que ella era “sastra” y trabajaba en una fábrica de pantalones. En ese tiempo conoció a mi abuelo, quien la cautivó.
Our maternal grandmother Cándida Rosa Centeno Arteaga was born in El Pedernal, Cedros, Francisco Morazán and she told me she came to La Ceiba because her final destination was to go to the US and through our port, by boat, is how that was achieved. My aunts tell me that they aren’t sure that’s entirely true – that at the end of her days she made up her own reality: past and present. What we do know is that she was a seamstress and worked in a garment factory making pants. It was during this time she met my grandfather and was swept off her feet.
Intelectualmente, ambos eran brillantes, aunque la abuela hasta sus últimos días afirmaba que la inteligencia venía de los Centeno Arteaga. Se ha vuelto un chiste en nuestra familia. Ella sin embargo tenía cómo justificarlo y para esto les tengo que contar lo que nos contó el primo Adolfo cuando nos vimos la última vez.
Intellectually they were both brilliant, although Grandma, until her last breathe would say that our smarts came from the Centeno Arteaga’s (her side of the family of course). It has become a joke in our family. She however had proof, and for this I must tell you the story I heard from cousin Adolfo last time we saw each other.
Un poco de historia para poner las cosas en contexto. Mis tías cuentan que mi abuelo fue un gran padre, pero no el mejor esposo. Tuvo varias mujeres y varios hijos “por fuera”. Obviamente a la abuela Cándida no le fue fácil y un día (porque hay cosas que nunca se olvidan) refiriéndose a una de las “otras familias” de mi abuelo, le dijo a Tito (Adolfo): ves, los hijos de la fulana, son TONTOS. Ustedes sí son inteligentes, porque eso lo heredaron de mí. La inteligencia viene de los Centeno Arteaga. Mirá mis hijos, todos fueron a la universidad. Los hijos de la fulana, ninguno. Si no es por mí, ustedes quien sabe.” Y punto final. Que le quedó decir a Tito el primo más que “si Mayita, tiene usted razón.”
A little background to put things into context. My aunts tell me that my grandfather was a great father, but not the best husband. He was not the most faithful of men and had other women and children outside of wedlock. Obviously, it was not easy for Grandma Cándida and one day (because there are things that can’t be forgotten) referring to one of my grandfather’s “other families” he told Tito (Adolfo): “See, the children of so and so, they are DUMB. You all are smart because you inherited that from me. Intelligence comes from the Centeno Arteaga side. Look at my children, they all went to university. How many of her kids? None. If it wasn’t for me, who knows how you would have turned out.” And that was it, no discussion allowed. All that Tito said was “Yes Mayita, you’re right.”
Y si hablamos de política les cuento que el abuelo era liberal y la abuela nacionalista. ¡Ya se imaginan siendo ambos opinados, inteligentes y esposos como debe haber sido eso!
And as far as politics were concerned, Grandfather was Liberal and Grandmother was Nationalist. So you can just imagine how that was like, both being strong opinioned, intelligent, and married!
Físicamente también eran muy diferentes, literalmente como el día y la noche o como yo prefiero describirlos: la abuela era el maíz y el abuelo el cacao.
Physically they were also very different, literally night and day, or as I prefer to call them: grandmother was corn and grandfather was chocolate.
De acuerdo a las viejas leyendas mayas, la primera mujer y el primer hombre se formaron de la mazorca del maíz. El maíz es originario de Mesoamérica. Recuerdan la expresión “hijuelmais”, pues viene de esa leyenda Maya.
According to mayan legend, the first woman and the first man were created from an ear of corn. Corn is native to the Mesoamerican region. We use an expression that means something to the effect of “rascal” word written phonetically as “hijuelmais” meaning son of corn, comes from that mayan legend.
La milpa o huerta, está compuesta principalmente por 3 cultivos: el maíz, el frijol y ayote, y complementado por el chile, el tomate y hierbas. La palabra milpa viene del náhuatl y significa “lo que se siembra encima de la parcela”. Es un agro-ecosistema precolombino que no solo satisface las necesidades alimentarias sino también es un sistema cultural con muchos siglos de existencia (desde 2500 a.C.).
The Milpa (crop growing system used throughout Mesoamerica) is made up of 3 basic crops: corn, beans and squash and complemented by peppers, tomato and herbs. The word milpa comes from the nahuatl and means “what is farmed on top of the field”. It is a pre-Columbian agricultural system that not only satisfies food needs but is also a cultural tradition with many years of existence (since 2500 BC).
Otro cultivo muy importante y nativo de América es el Cacao. La mitología prehispánica vincula el cacao a dos dioses: Ek-Chuah de los Mayas y Quetzalcóatl de los Aztecas. Cuenta la leyenda que Quetzalcóatl bajó a la tierra con regalos: maíz, frijol y yuca. Robó a sus hermanos los dioses una planta de cacao que sin autorización, se la regaló a los Aztecas. Cuando la planta dio frutos, les enseñó a cosecharlos, tostarlos, a molerlos y a batirlos con agua en las jícaras, obteniendo así el Chocolate. Como el chocolate era una bebida sagrada, sólo permitida para los dioses, cuando estos se dieron cuenta, se enfurecieron y decidieron vengarse de Quetzalcóatl.
Another important crop, also native to America is Chocolate or Cacao. Pre Hispanic mythology links chocolate to 2 deities: Mayan Ek-Chuah and Aztec Quetzalcoatl. According to the Aztec legend, Quetzalcoatl descended to earth with 3 gifts: corn, beans and yuca (cassava). He stole from his brothers (the gods) a cacao tree and gave it to the Aztecs. When the plant bore fruit he taught them how to harvest, roast and grind the seeds, and to beat mixed with water into the jícaras (container made from the fruit of the calabash tree) thereby making chocolate. Since chocolate was a sacred drink, only for the gods, when they found out what Quetzalcoatl had done they became infuriated and swore revenge.
Les contaba al principio que los Torres tratamos de reunirnos todos los años. Una de esas reuniones fue en Los Olingos, en la Laguna de los Micos. Es uno de mis lugares favoritos, no sólo por su belleza escénica, sino también porque los dueños lo hacen sentir a uno como parte de su familia, historia y tradiciones. Entre estas tradiciones está una bebida que es ese casamiento perfecto entre el maíz y el cacao, igual que mi familia. Esta bebida se toma de desayuno y/o de cena y lo podría describir como un atolito achocolatado. Se le puede agregar leche o tomar sólo con agua.
Before I went into this historical sidebar, I was telling you about the Torres family reunions. One of these took place in Los Olingos, in the Laguna de los Micos (near Tela, Atlántida). It is one of my favorite places, not just for it’s scenic beauty, but because the owners make you feel like part of their family, their stories and their traditions. Amongst these traditions is a drink that is a perfect marriage between corn and chocolate, much like my family. This beverage is drunk for breakfast and/or dinner and could be described as a hot chocolate which is thickened by the ground corn. It can be mixed both wirh milk or water
Disfrutamos mucho de esos momentos, poniéndonos al día, viendo como han crecido los de la siguiente generación; rodeados por la belleza y apreciando la diversidad de nuestro país y de nuestra familia.
We enjoy these times together, catching up, seeing how the next generation has grown; surrounded by the beauty and appreciating the diversity of our country and our family.
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Tristeza
Tristeza de llegar en invierno y no de paseo, de pasar hambre y frío, de ver al viejo trabajar en lo que salga, de ver a mi mama, con lágrimas en los ojos salir de una empresa porque el ID es falsa.
Emigrar es mierda, ver a mi hermana trabajar me parte el alma, mentir en nuestras edades, nombres y cualidades, tener que competir con gente que seguramente querrá sacarte del campo de batalla, ser mirado con asco, ser rechazado por cómo hablas, que tu acento no dé envidia sino miedo, la misma gente que creías tu raza, te trata de la mierda porque según ellos, ser indio es ignominia.
Tener que dejar aparte tu idioma, que tanto te ha costado entenderlo, poseerlo, amarlo, construirlo, deconstruirlo, usarlo, acomodarlo, identificarlo contigo para luego aprender otro donde solo van a importar las órdenes, los precios y el trabajo correcto.
Tristeza me da ver como nos explotan por querer hacer bien las cosas por creer que el empleador blanco quiere para nosotros lo mejor, tristeza ver a mis viejos y a mi hermana con ganas de llorar con el cansancio en las manos, en los pies, en sus ojos, en su mirada porque el sueño es posible si tienes papeles, si eres blanco si estudiaste en Harvard.
Me duelen las manos, la comida me sabe a nada, extraño mi tierra, mis amigos, los abrazos de extraños,los bailes, las farras, lo poco que ganaba, extraño estudiar, extraño sentir que tenía alma, tal vez triste pero alma, acá solo me desconozco solo veo a la gente desgastarse en sumar números y restarse ocasiones, restarse salud, movilidad, familia, felicidad y tantas otras.
Me quiero morir pero aún tengo la esperanza que la vida sea buena y me lleve de vuelta, no a una patria, sino a un hogar, que sienta mío, pero también de otros, que me de el chance creer en el alma, que me de alma.
Tristeza emigrar, perder la identidad, perder la noción de tiempo, el clima, la valentía, el amor, Tristeza llegar a “America”, así sin tilde porque es gabacha.
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La brisa llegará al valle - capítulo 1
Vocabulario/gramática de enfoque:
veces, su, noun+adj agreement, pelear, platicar, suficiente ,poder
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Capítulo 1
Luis es un chico de 9 años. Luis tiene una mamá. Quiere mucho a su mamá que se llama Daniela. Quiere mucho a su mamá porque su mamá es paciente, trabajadora y cariñosa. Daniela quiere mucho a su hijo Luis también, y a sus otros hijos, Marvel y Jorgecito. La abuela de Luis también vive en la casa con ellos, y a todos les gusta platicar con la abuela. Platican de la escuela, sus pasatiempos y sus sueños.
La familia vive en San Pedro Sula, Honduras. La familia es pobre. Los pobres y los ricos de la ciudad de San Pedro Sula son muy separados; los ricos viven en casas muy grandes en las colinas, y los pobres viven en casas muy humildes en los valles, incluso en las calles.
El papá de Luis, Arnoldo, trabajaba en una fábrica de camisetas. Ganaba suficiente dinero para dar de comer a la familia, pero también era un hombre enojado. Peleaba violentamente con la mamá de Luis, y le decía muchas cosas muy feas. Un día, decidió ya no dejar a su esposo decirle esas cosas, y le dijo que se fuera de la casa para siempre.
La familia es aún más pobre porque no tienen el dinero del papá. Ahora tienen tal vez una comida al día, y Daniela no come mucho para dejar a sus hijos comer más. Muchas veces tiene mucha hambre Daniela. Los hijos también tienen mucha hambre a veces. Arroz y frijoles son muy comunes pero a veces solo tienen agua con azúcar. Muchas veces van a sus camas con hambre. Daniela y la abuela venden tostadas del patio a los vecinos para ganar un poco de dinero. Es muy difícil encontrar un trabajo donde puedas ganar suficiente dinero para dar de comer a toda la familia, ni hablar de pagar la escuela, los uniformes, y un juguete para los niños. No puede comprar pasteles de cumpleaños. No puede comprar un regalo para la navidad. A veces piensa que no es buena madre.
La mamá tiene que buscar más trabajo. Vender tostadas no es suficiente para dar de comer a toda la familia. La mamá va a las casas de la gente rica para preguntar si tienen trabajo:
“Disculpe, señor, veo que tiene un jardín hermoso. Puedo ayudarle a regar las flores? Ta lvez una vez la semana?”
“No, señora, lo siento pero no necesito más jardineros.”
La mamá también va a las fábricas, las cocinas de los restaurantes, los mecánicos y a los supermercados. No hay trabajo.
Pero no todo es malo. La familia pelea a veces, pero generalmente es una familia muy unida. A los tres chicos les gusta jugar al baloncesto con unos amigos de la escuela primaria. A la mamá le gusta platicar con los vecinos y con la abuela. Tiene un jardincito en frente de su casa y le encanta cultivar flores de todo tipo de colores allí.
Un día caliente, Daniela regresa a la casa para relajarse un poco de buscar trabajo. Una brisa fresca viene a las colinas de la ciudad, pero no llega al valle donde se sienta Daniela al lado de la abuela, frustrada y cansada.
“Qué tal tu día?” le pregunta la abuela.
“No muy bien. No creo que podamos seguir así” le responde la mamá.
“Puedes emigrar.”
“Yo sé, pero no quiero. No puedo. Imagínate, dejándote a ti y a los niños. Se van a pelear, y...”
La abuela la interrumpe; “Yo sé, pero ya sabes que yo puedo cuidar muy bien a los niños. Y con el dinero que nos envías, por fin podemos darles a los niños la vida que siempre queríamos.”
La mamá llora silenciosamente, pensando en el sacrificio que va a ser. Llora cuidadosamente para no despertar a los niños. Piensa en lo que van a pensar los niños. Van a saber que yo los dejo por amor? Por querer un mejor futuro para ellos? La abuela la abraza. Ya es sacrificio suficiente tener que trabajar durante tantas fiestas de cumpleaños, navidades y pascuas. Así que vivir en otro país y no poder regresar - no se lo puede imaginar. La abuela continúa,
“Y, tal vez, después de un año, tendrás suficiente para llevar a los niños a vivir contigo al otro lado”
“Yo sé,” repite. “Yo sé.”
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Referencias
“Analysis: Why are so many children coming to the US from Central…”, Washingington Post
“Central American child migrants move in ‘shadows’, at risk from traffickers: UN…”, Reuters
“Child migrants in Central America, Mexico and the US”, unicefusa.org
“Detentions of child migrants at the US border surges to record levels”, New York Times
La travesía de Enrique: la historia real de un niño decidido a reunirse con su madre, Sonia Nazario
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L uca Zaia, qual è il suo primo ricordo? «I profumi delle stagioni. Il fieno, le vacche, il pelo dei cavalli, il latte, le ciliegie che rubavamo. E le vinacce con cui si faceva la grappa».
Famiglia contadina? «No. Mia madre Carmela era casalinga, mio padre Giuseppe, detto Beppo, aveva un’officina. Ho cominciato ad aiutarlo a sei anni e lui mi ha sempre dato la paghetta. Sono stato un bravo meccanico: ancora oggi, se la mia macchina si fermasse, saprei aggiustarla da solo. Tutte le altre famiglie del paese erano contadine».
Quale paese? «Bibano, frazione di Godega Sant’Urbano, sinistra Piave. Era un tempo lento, scandito da ritmi antichi. Si pranzava a mezzogiorno, i contadini andavano a rivoltare il fieno, poi arrivava il momento di dormire: la pennichella. Scendeva un silenzio totale, si sentivano solo le cicale. Una sensazione che ho ritrovato solo con il lock-down. La natura ci insegnava tutto: la nascita, la vita, la morte... e anche l’educazione sessuale».
L’educazione sessuale? «Diciamo che alla fatidica domanda “come nascono i bambini?” avevamo già la risposta da conigli, polli, anatre... Non avevamo grandi guide culturali, ma una potenza esperienziale fortissima. In tv si vedevano solo due trasmissioni, oltre al tg: la messa del Papa e Linea Verde. Eravamo una comunità aperta. Tornavano i veneti emigrati in Belgio, in Argentina, in Australia».
Nel suo nuovo libro autobiografico, «I pessimisti non fanno fortuna», lei cita un proverbio arabo: «Tempi duri danno vita a uomini forti, uomini forti danno vita a tempi facili...». «...Tempi facili danno vita a uomini deboli, uomini deboli danno vita a tempi duri. Due guerre mondiali hanno formato uomini forti: i nostri nonni. Poi è arrivato il tempo facile; come alla fine dell’impero romano, quando pensavano che non servisse più lavorare per vivere; provvedevano gli schiavi, gli immigrati. Ora però il tempo facile è finito. E sono tornati i tempi duri».
Cosa facevano i suoi nonni? «Mio nonno paterno aveva combattuto la Grande Guerra, lo legavano al cannone con il fil di ferro. Suo fratello voleva emigrare in America, ma non passò la visita medica per una dermatite, e il nonno ne prese il posto lasciando la famiglia in Veneto. A New York dormiva in una branda con le quattro gambe immerse in quattro brocche d’acqua, in modo che le pulci annegassero anziché tormentarlo. Era solo. Un giorno piangeva disperato, seduto su un marciapiede di Little Italy, quando arrivò un ragazzo a portargli una mela: era del suo paese, Codogné, accanto a Bibano. Tempi durissimi. Al ritorno con i guadagni di anni di sacrifici comprò dei terreni».
E i nonni materni? «Mia madre è l’ultima di undici figli, che poi divennero diciassette».
Come mai? «Mia nonna e una sua sorella avevano sposato due gemelli omozigoti: mio nonno e mio prozio. Erano perfettamente identici, da piccolo non li distinguevo. Poi la sorella di mia nonna morì, lasciando i suoi sei figli, che si aggiunsero agli undici della nonna».
Come si mantenevano? «Erano mezzadri, hanno conosciuto la fame e la povertà. Poi nel dopoguerra pian piano si sono affrancati. Negli anni ’70 gli zii crearono un’azienda agricola all’avanguardia. Compravano in Olanda vacche frisone, facendole arrivare con un treno speciale. In casa ospitavano imprenditori e studenti, che volevano conoscere il loro modello. Tra questi un giorno arrivò un senegalese. Era la prima volta in vita mia che vedevo una persona di colore».
E cosa pensò? «Ai re magi del presepe, tra cui ce n’era uno nero: segno che Gesù nasceva per tutti. Il senegalese si chiamava Francesco, era stato battezzato in un villaggio missionario. Lo ricordo altissimo, sorridente, riflessivo. Parlava lento, e i suoi racconti dell’Africa erano i nostri romanzi di Salgari. Da allora ho sempre avuto orrore per il razzismo. Anche grazie alla mia maestra».
Perché? «Ci fece vedere, come nuovo modello di formazione, lo sceneggiato tv Radici, tratto dal libro di Alex Hailey. Kunta Kinte strappato dalla sua Africa e ribattezzato Toby, sua figlia Kizzie...».
Non è proprio la politica della Lega. «La Lega è antirazzista. Ed è antifascista. Il tema che poniamo sui migranti è un tema di coerenza, di rispetto della dignità umana e di legalità. Il Veneto è terra dove l’accoglienza è un faro, dove il modello di integrazione è sotto gli occhi di tutti, ma è anche una comunità che chiede il rigoroso rispetto delle regole».
«Non è un paese per giovani» è il titolo di un capitolo. Cosa bisogna fare? «Non rassegnarci all’emigrazione. All’estero i ragazzi devono andarci per scelta, non per necessità. Purtroppo, le politiche a favore dei giovani cozzano spesso con il consenso, in un Paese dove gran parte degli elettori sono adulti. Dobbiamo buttare il cuore oltre l’ostacolo affinché nelle azioni di governo, sia nazionale sia dei territori, i giovani siano il nostro riferimento».
Lei nel libro parla di «battaglie di retroguardia, che fanno perdere energia». Cosa intende? «Non possiamo parlare dell’omosessualità come se fosse un problema. Vuol dire essere fuori dalla storia. La politica deve garantire le libertà e i diritti, non limitarli o reprimerli. Anche i temi dell’etica, del fine vita, dei diritti della persona vanno affrontati, non lasciati alla sinistra».
Lei scrive: «Libere scelte in libero Stato». «Appunto. Mi ha profondamente toccato la storia di Elena, la signora veneta di 69 anni che, malata terminale, ha scelto di andare in Svizzera per il suicidio assistito. Ha lasciato un videomessaggio per confermare la sua volontà e le sue motivazioni».
E lei Zaia che conclusione ne ha tratto? «Che la politica deve tutelare la libera scelta, garantendo comunque ogni forma di sostegno sanitario, psicologico ed economico alle persone malate. Non dobbiamo giudicare, ma saper rispettare».
Lei era ministro al tempo di Eluana Englaro. «Eravamo vicini a un passo importante dal punto di vista giuridico. Invece si arenò tutto. Eluana ha concluso la sua vita prima che la politica desse una risposta; che arrivò invece dalla magistratura. I giudici autorizzarono la progressiva fine dell’alimentazione forzata. La politica sprecò l’opportunità di poter scrivere una pagina alta del Parlamento».
Il suo sembra un programma di governo. Perché non sfida Salvini per la leadership della Lega? «Con Salvini non ho un rapporto conflittuale, come spesso raccontato dai media, anzi. Sono concentrato sul mio impegno con il popolo veneto, che tre anni fa mi ha rieletto presidente con il 77% dei voti».
Lei insiste per l’autonomia. «L’autonomia è da sempre la ragione sociale della Lega. Finiamola con il definirla “secessione dei ricchi”. Non toglie nulla a nessuno; avvicina le istituzioni alla gente. Un grande uomo del Sud, don Luigi Sturzo, nel 1949 diceva: “Sono unitario, ma federalista impenitente”. E un grande uomo del Nord, Luigi Einaudi, padre costituente, nel ’48 disse che “a ognuno dovremmo dare l’autonomia che gli spetta”».
Sturzo era democristiano, Einaudi liberale. Non erano leghisti. «Sono da sempre convinto che la Lega debba occupare il centro dello schieramento politico. O pensa che il 77% dei veneti sia di destra?».
Bossi è stato anche separatista. «Bossi è stato geniale. È riuscito con il percorso separatista a convogliare le diverse anime e a porre la questione della riforma federalista in questo Paese. Il federalismo è centripeto; il centralismo è centrifugo, disgrega l’unità. Se oggi nell’agenda di governo c’è l’autonomia, è merito della Lega».
Perché è così importante per il Veneto? «Perché il Veneto fu uno Stato per più di mille anni. E la Repubblica veneta fu il primo esperimento di democrazia, per quanto imperfetta, nella storia. I rapporti con Bisanzio e l’Oriente, la capacità di dialogo, il riconoscere le altre culture preservando una forte identità: sono i nostri valori, ancora oggi. La nostra storia è un esperimento inclusivo, aperto alle varie religioni, a tutte le etnie: pensi al fondaco dei turchi, a quello dei tedeschi, al contributo della comunità ebraica, ancora oggi presente e attiva».
Il ghetto di Venezia fu razziato dai fascisti nel dicembre 1943. «Ripeto: i nostri valori, i miei valori, sono quelli dell’antifascismo, oltre ovviamente alla condanna assoluta delle leggi razziali».
Di solito si contrappongono Venezia e la terraferma veneta. «Per i veneti di terraferma, Venezia è un sogno. Pietra adagiata sull’acqua, una città nata su milioni di pali. I mosaici dorati, le tradizioni, una cucina meticcia, pensi alle sarde in saor, con l’uva passa e le spezie: dentro c’è l’Africa, c’è l’Oriente... I miei genitori andarono a Venezia in viaggio di nozze. Abitavano a pochi chilometri e non ci erano mai stati».
E il suo primo viaggio quale fu? «A 18 anni con altri due amici siamo partii, con i soldi contati, sulla Due Cavalli di mamma per Marbella, Andalusia: 3300 chilometri evitando le autostrade per risparmiare. Scrissi un diario. Il mio primo libro, scritto a penna. Lo conservo ancora».
È vero che faceva il pr di una discoteca? «Per pagarmi la laurea. La sera portavo a ballare al Manhattan 4 mila persone, a volte 6 mila. Mi inventai l’invito di carta: le ragazze si sentivano le ospiti d’onore a un ballo di corte. Mai vista girare droga. Lo sballo era la musica di Linus e Albertino».
Cosa pensa della Meloni? «Determinata, competente, cosciente della responsabilità che le abbiamo affidato. Siamo stati ministri insieme. È importante che ci sia una donna a Palazzo Chigi: è stato un percorso lungo, compiuto grazie a persone come Tina Anselmi, Nilde Iotti, Rita Levi Montalcini. Giorgia Meloni ha una forte personalità. Il momento storico è, purtroppo, unico. Due cigni neri — il Covid e la guerra — richiedono scelte forti per tempi davvero complicati».
A proposito: il Covid? «Avevano ragione gli scienziati: si è passati dalla fase pandemica a quella endemica. Diventerà la nostra influenza, il nostro raffreddore. I veneti hanno seguito le indicazioni del mondo scientifico e si sono vaccinati. Non bisogna abbassare la guardia. La stragrande maggioranza degli infetti si cura in autonomia, ma altri hanno ancora bisogno delle strutture sanitarie. Resta l’amaro in bocca per quello che è accaduto in Italia ad opera dei laureati sui social».
E la sovranità alimentare? «È un’espressione che ho inventato vent’anni fa, da ministro dell’Agricoltura. Facciamo i prosciutti con i maiali olandesi; neppure l’olio sulle nostre tavole è italiano. Non va bene. Dobbiamo salvare l’agricoltura e l’ambiente. Anche dal cambio climatico».
Cosa pensa della guerra? «Tutto il peggio possibile. Venezia guerre non ne faceva, se non quando costretta, come a Lepanto».
Certo, ma dalla guerra in Ucraina come se ne esce? «Tenendo duro sulle sanzioni. Continuando ad aiutare l’Ucraina, che altrimenti sarebbe schiacciata. Ma anche rilanciando l’azione diplomatica, oggi ancora insufficiente».
Le Olimpiadi a Milano e Cortina funzioneranno? «Valgono un miliardo di Pil. Faremo la nuova strada per le Dolomiti senza stravolgere l’ambiente, liberando Longarone, i paesi del Cadore e Cortina dalla morsa dei camion. Ho creduto sino in fondo nella candidatura, per il mio Veneto. È andata bene. E andrà bene, a conferma che i pessimisti non fanno fortuna»
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