#cinema autoriale
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pier-carlo-universe · 6 days ago
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Torino Film Festival 2024: Un'Edizione Ricca di Star e Anteprime Internazionali. Dal 22 al 30 novembre, la 42ª edizione del TFF porta a Torino grandi nomi del cinema e una programmazione innovativa
Il Torino Film Festival (TFF) si prepara a celebrare la sua 42ª edizione dal 22 al 30 novembre 2024, trasformando la città in un epicentro di cultura cinematografica
Il Torino Film Festival (TFF) si prepara a celebrare la sua 42ª edizione dal 22 al 30 novembre 2024, trasformando la città in un epicentro di cultura cinematografica. Sotto la direzione artistica di Giulio Base, il festival promette un mix di tradizione e innovazione, con una particolare attenzione al glamour e alla presenza di star internazionali. Un’Inaugurazione di Prestigio La serata…
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1-inclassificaalboxoffice · 11 months ago
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C'è ancora domani 1° in classifica al Box Office
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✔️ 𝐒𝐓𝐑𝐄𝐀𝐌𝐈𝐍𝐆 𝐎𝐑𝐀 𝐐𝐔𝐈 ▶ https://t.co/zFZOIdS9Qu
:: Trama C'è ancora domani ::
Delia è "una brava donna di casa" nella Roma del dopoguerra: tiene il suo sottoscala pulito, prepara i pasti al marito Ivano e ai tre figli, accudisce il suocero scorbutico e guadagna qualche soldo rammendando biancheria, riparando ombrelli e facendo iniezioni a domicilio. Secondo il suocero però "ha il difetto che risponde", in un'epoca in cui alle donne toccava tenere la bocca ben chiusa. E Ivano ritiene sacrosanto riempirla di botte e umiliarla per ogni sua "mancanza". La figlia Marcella sta per fidanzarsi con il figlio del proprietario della pasticceria del quartiere, il che le darebbe la possibilità di migliorare il suo status e allontanarsi dalla condizione arretrata in cui vive la sua famiglia, nonché da quella madre sempre in grembiule e sempre soggetta alle angherie del marito. Per fortuna fuori casa Delia ha qualche alleato: un meccanico che le vuole bene, un'amica spiritosa che la incoraggia, un soldato afroamericano che vorrebbe darle una mano. E soprattutto, ha un sogno nel cassetto, sbocciato da una lettera ricevuta a sorpresa.
C'è ancora domani è l'esordio alla regia di Paola Cortellesi, ed è una pura emanazione della sua persona.
Il tono è divulgativo, pensato per raggiungere il più ampio pubblico possibile, ma questo non va a scapito della sua vocazione autoriale, che è manifesta in scelte molto precise di colore (il film è girato nel bianco e nero della cinematografia d'epoca con grande attenzione filologica del direttore della fotografia Davide Leone), di formato (che cambia lungo il corso della narrazione), di commento musicale (che in aggiunta alle composizioni originali di Lele Marchitelli alterna brani retrò di Fiorella Bini e Achille Togliani con titoli italiani molto più recenti - di Dalla, Nada, Silvestri, Concato -- e innesti internazionali di hip hop, elettronica e rock alternativo, in maniera non dissimile da quanto fa nel suo cinema Susanna Nicchiarelli).
La sceneggiatura, della stessa Cortellesi insieme ai sodali Giulia Calenda e Furio Andreotti, è intenzionalmente didascalica nell'obiettivo esplicito di parlare al grande pubblico, soprattutto - ma non solo - femminile, e concentra nei personaggi di Ivano e Delia l'ingiustizia di un sistema patriarcale di cui anche Ivano è in qualche modo vittima (oltre che perpetuatore), e Valerio Mastandrea riesce a inserire nella sua caratterizzazione quel tanto di umano e di fragile da non farcelo liquidare completamente come un orco d'antan (ma non abbastanza da farcelo perdonare).
Tuttavia la sceneggiatura è astuta nel distribuire anche a tutti gli altri personaggi una misura dello stesso veleno culturale, e dunque le donne di ogni condizione (tranne la venditrice al mercato interpretata da Emanuela Fanelli) vengono messe a tacere dai loro mariti, e anche gli uomini più gentili possono (devono?) cadere preda del loro imprinting socialmente approvato.
Le botte di Ivano inferte a tempo di musica in una danza macabra e un paso doble del terrore (intuizione cinematografica straziante ed efficacissima) non hanno nulla a che vedere con quelle testosteroniche importate nel cinema da Martin Scorsese, e molto con quelle inferte da Zampanò a Gelsomina, così come la preparazione della famiglia nelle scene iniziali di C'è ancora domani deve tutto all'incipt di Una giornata particolare.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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premiatoaromafilmfestival · 11 months ago
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There's Still Tomorrow non è ancora presente
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:: Trama C'è ancora domani ::
Delia è "una brava donna di casa" nella Roma del dopoguerra: tiene il suo sottoscala pulito, prepara i pasti al marito Ivano e ai tre figli, accudisce il suocero scorbutico e guadagna qualche soldo rammendando biancheria, riparando ombrelli e facendo iniezioni a domicilio. Secondo il suocero però "ha il difetto che risponde", in un'epoca in cui alle donne toccava tenere la bocca ben chiusa. E Ivano ritiene sacrosanto riempirla di botte e umiliarla per ogni sua "mancanza". La figlia Marcella sta per fidanzarsi con il figlio del proprietario della pasticceria del quartiere, il che le darebbe la possibilità di migliorare il suo status e allontanarsi dalla condizione arretrata in cui vive la sua famiglia, nonché da quella madre sempre in grembiule e sempre soggetta alle angherie del marito. Per fortuna fuori casa Delia ha qualche alleato: un meccanico che le vuole bene, un'amica spiritosa che la incoraggia, un soldato afroamericano che vorrebbe darle una mano. E soprattutto, ha un sogno nel cassetto, sbocciato da una lettera ricevuta a sorpresa.
C'è ancora domani è l'esordio alla regia di Paola Cortellesi, ed è una pura emanazione della sua persona.
Il tono è divulgativo, pensato per raggiungere il più ampio pubblico possibile, ma questo non va a scapito della sua vocazione autoriale, che è manifesta in scelte molto precise di colore (il film è girato nel bianco e nero della cinematografia d'epoca con grande attenzione filologica del direttore della fotografia Davide Leone), di formato (che cambia lungo il corso della narrazione), di commento musicale (che in aggiunta alle composizioni originali di Lele Marchitelli alterna brani retrò di Fiorella Bini e Achille Togliani con titoli italiani molto più recenti - di Dalla, Nada, Silvestri, Concato -- e innesti internazionali di hip hop, elettronica e rock alternativo, in maniera non dissimile da quanto fa nel suo cinema Susanna Nicchiarelli).
La sceneggiatura, della stessa Cortellesi insieme ai sodali Giulia Calenda e Furio Andreotti, è intenzionalmente didascalica nell'obiettivo esplicito di parlare al grande pubblico, soprattutto - ma non solo - femminile, e concentra nei personaggi di Ivano e Delia l'ingiustizia di un sistema patriarcale di cui anche Ivano è in qualche modo vittima (oltre che perpetuatore), e Valerio Mastandrea riesce a inserire nella sua caratterizzazione quel tanto di umano e di fragile da non farcelo liquidare completamente come un orco d'antan (ma non abbastanza da farcelo perdonare).
Tuttavia la sceneggiatura è astuta nel distribuire anche a tutti gli altri personaggi una misura dello stesso veleno culturale, e dunque le donne di ogni condizione (tranne la venditrice al mercato interpretata da Emanuela Fanelli) vengono messe a tacere dai loro mariti, e anche gli uomini più gentili possono (devono?) cadere preda del loro imprinting socialmente approvato.
Le botte di Ivano inferte a tempo di musica in una danza macabra e un paso doble del terrore (intuizione cinematografica straziante ed efficacissima) non hanno nulla a che vedere con quelle testosteroniche importate nel cinema da Martin Scorsese, e molto con quelle inferte da Zampanò a Gelsomina, così come la preparazione della famiglia nelle scene iniziali di C'è ancora domani deve tutto all'incipt di Una giornata particolare.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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multiverseofseries · 2 months ago
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Joker: ridere fa buon sangue
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Joker di Todd Phillips è veramente un gran bel film e l'interpretazione di Joaquin Phoenix davvero magistrale.
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Joker: l'urlo di Joaquin Phoenix
Joker è innanzitutto un film dal deciso piglio autoriale, che non prevede alcuna concessione alle logiche commerciali dei blockbuster: nessuna necessità di scene d'azione, di una storia d'amore, di un eroe o di una qualche redenzione. Rispetto agli altri film della DC (ma anche della Marvel ovviamente) siamo davvero agli antipodi; tanto che, in retrospettiva, anche un'operazione coraggiosa come quella della trilogia nolaniana sembra ormai vecchia (per quanto comunque straordinaria) rispetto a questa vera e propria rivoluzione.
Una trama in cui non c'è nulla da ridere
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Joker: Robert De Niro e Joaquin Phoenix a confronto in una scena
Il protagonista del film Joker è appunto Arthur Fleck, un uomo asociale che vive da solo con la vecchia madre malata, affetto da non meglio precisate malattie mentali, tra cui un raro disturbo che lo porta a ridere in modo sguaiato e ininterrotto quando si trova in situazioni di disagio e difficoltà. Il suo sogno è quello di diventare un cabarettista, e magari essere un giorno ospite del suo show televisivo preferito, quello condotto dal comico Murray Franklin, ma nel frattempo si arrabatta come può travestendosi di clown.
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Joker: Joaquin Phoenix dà l'addio al ruolo l'ultimo giorno di riprese
Il film segue le sue disavventure in una Gotham inospitale e sull'orlo della rivolta, in cui l'unica speranza sembra essere data dalla discesa in campo politico del miliardario Thomas Wayne. In questo contesto Arthur si ritrova suo malgrado risucchiato in una spirale autodistruttiva di violenza che lo porterà ad avvicinarsi al personaggio che tutti conosciamo, uno dei più celebri villain della cultura pop. Ma per una volta è lui il protagonista, è suo il punto di vista che condividiamo fin dall'inizio, ed è proprio questo a rendere il tutto molto più affascinante. Il personaggio del Joker viene quindi trattato come antieroe qual è anche nel fumetto, ma allo stesso tempo viene inserito in un mondo che sembra provenire non tanto dall'universo della DC Comics, ma dai film della New Hollywood, quelli di Scorsese in primis.
'Un nessuno che vuole diventare qualcuno'
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Joker: Joaquin Phoenix si trucca da clown
Proprio l'ambientazione iperrealistica del film, una Gotham violenta e sporca ma niente affatto distopica, rappresenta forse la più grande novità di questo Joker. Semplicemente perché Todd Phillips dà l'impressione di aver lavorato in modo opposto rispetto a quanto si fa normalmente con i cinecomic: ovvero non ha cercato di introdurre degli elementi realistici o attuali dentro il mondo dei fumetti, ma piuttosto ha preso il personaggio ideato da Bob Kane e i suoi ideali anarchici e li ha inseriti nella New York/Gotham dei primi anni '80. La differenza è sottile ma sostanziale, e fa sì che si generi un incredibile cortocircuito cinefilo tra il cinema di oggi, più spettacolare che concreto, e quello di una volta, più politicamente e socialmente impegnato.
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Joker: Joaquin Phoenix durante una scena del film
Abbiamo già citato Martin Scorsese, ma d'altronde i riferimenti al suo cinema sono veramente evidenti e anche la presenza nel cast anche di Robert De Niro lascia pochi dubbi. Nel film di Phillips lo spirito di quel cinema ormai lontano si sposa perfettamente con un personaggio come quello di Joker, tanto che Arthur Fleck può tranquillamente essere avvicinato ad un personaggio emblematico quale Travis Bickle. In fondo basta sostituire la celebre "stai parlando con me?" con "stai ridendo di me?" ed il gioco è presto fatto.
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Joker: un'immagine del film
Ma quello che davvero sorprende è come, con questo mix di personaggi di fantasia e atmosfere e temi vecchi quarant'anni, Joker riesca comunque a raccontare il mondo di oggi, e a rendere in modo così preciso un male tipico sopratutto dei giovani dei nostri giorni: il disagio di non sentirsi rappresentati, quel senso di trascuratezza e abbandono nonché di superiorità da parte di coloro che contano. Quanti oggi si sentono derisi e trattati come clown, sui social e in TV, da politici e personaggi altolocati, ricchi e potenti? E quanti continuano giornalmente a ricorrere alla violenza pur di farsi notare ed ascoltare in un mondo che li reputa invisibili ed inutili?
'Volete vedere come faccio sparire questo Oscar?'
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Joker: il Joker interpretato da Joaquin Phoenix durante una fuga
Se tutto questo sfocia in un film tanto bello quanto misurato, il merito è quasi tutto del suo mostruoso protagonista: Joaquin Phoenix offre una nuova personalissima rielaborazione di un personaggio che ben conosciamo, e regala al suo Joker una profondità e una tragicità che finora era sempre mancata sul grande schermo. Se quello di Heath Ledger rimarrà per sempre nella storia del cinema per il suo carisma, le sue battute leggendarie ed una caratterizzazione più unica che rara, il Joker di Phoenix è un personaggio molto più completo, più reale, e con cui è molto facile empatizzare.
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Joker: un intenso primo piano di Joaquin Phoenix
Ogni sua risata è una richiesta di aiuto, ogni passo di danza un ulteriore avvicinamento alla follia. Perché l'Arthur che conosciamo all'inizio del film pazzo non lo è affatto, ma "semplicemente" malato e vittima di una società (e una madre) che lo ha alienato. Il processo di trasformazione di Joaquin Phoenix è sottile ma impressionante.
Un nuovo inizio o un esperimento a sé stante?
Ma sarebbe ingiusto chiudere senza elogiare il grandissimo lavoro di Todd Phillips, un regista che finora si era dedicato solo alla commedia (lo ricordiamo soprattutto per la trilogia di Una notte da leoni) ma che in Joker è riuscito a stupirci in un modo che non credevamo possibile. La sua regia è misurata e quasi sempre al servizio del suo incredibile attore, ma al tempo stesso riesce a rendere benissimo l'atmosfera moribonda di una città e una popolazione al limite.
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Joker: una scena del film con Joaquin Phoenix
Un'altra cosa che colpisce della sua regia e sceneggiatura è la maturità e l'equilibrio con cui è riuscito ad inserire in Joker citazioni e riferimenti al mondo DC: c'è ovviamente un piccolo Bruce Wayne, ci sono citazioni palesi ad opere precedenti (Il cavaliere oscuro di Nolan o The Killing Joke di Alan Moore) e anche una buona trovata a livello di trama, potenzialmente esplosiva per l'intero canone, che saggiamente decide di lasciare ambigua e non risolta. Ecco, forse l'unico vero appunto che alcuni potranno fare a questo Joker è quello di non aver osato di più in questi termini, e di non aver voluto inserirsi in maniera più netta e decisa nel filone cinematografico pre-esistente. Ma si tratta di un peccato davvero veniale che siamo ben felici di perdonare, a patto però che questo sia solo l'inizio di un nuovo modo di affrontare i cinecomic.
Conclusioni
In conclusione per il film Joker come avrete capito gli aspetti interessanti sono davvero tanti e degni di approfondimento. Nel complesso il giudizio non può che essere estremamente positivo, sia per la straordinaria interpretazione di Phoenix che per il coraggioso nuovo approccio da parte di un regista che questa volta ci ha veramente stupito.
👍🏻
Il Joker di Joaquin Phoenix è perfetto: un personaggio affascinante e complesso, reso in modo anche piuttosto originale, in tutte le sue sfaccettature.
Quella di Phillips è una vera e propria rivoluzione: un nuovo modo di guardare ai personaggi dei fumetti dei supereroi e integrarli all'interno di un cinema autoriale ed impegnato.
Questa Gotham decadente e anni '80 è il vero villain del film.
L'utilizzo delle musiche (White Room dei Cream su tutte) è esemplare.
👎🏻
I fan dell'Universo DC probabilmente avrebbero desiderato qualche riferimento in più a Batman ed altri personaggi/situazioni dei fumetti.
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afnews7 · 3 months ago
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Christopher Nolan, i film da vedere almeno una volta nella vita
http://www.afnews.info segnala:  Nel mondo di Christopher Nolan ci sono almeno tre grandi filoni: quello del cinema a sfondo scientifico-tecnologico, con trame complesse che riprendono importanti teorie sul tempo, la relatività, il sogno (parliamo di film come Inception, Tenet, Memento,  Oppenheimer); quello più classico del thriller e del noir, rivisitati in chiave autoriale in Following, il…
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curiositasmundi · 7 months ago
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[...]
Leggere sui maggiori quotidiani e siti di cinema recensioni entusiastiche per il film della Cortellesi obbliga, a mio modesto avviso, ad una duplice considerazione consequenziale.
La subalternità dei critici alle logiche produttive e distributive, dunque alle ragioni del mercato; l’inevitabile abbassamento delle qualità analitiche dei suddetti critici e la loro progressiva incapacità argomentativa, derivante da un ridimensionamento della complessità culturale e dell’indagine dell’oggetto artistico, cui far riferimento.
Un deserto di ricerca e di studio che diventa inesorabilmente propedeutico alla oramai acclarata mediocrità del cinema (e del teatro) italiano.
Un cinema costruito per lo più su nepotismo e caste. Sul botteghino e sugli incassi. Sulla moderazione tematica e sugli equilibri politici. Su codici liberal e sintassi postmoderne.
Fatte or dunque queste doverose premesse, veniamo più precisamente al film della Cortellesi.
L'”opera prima“ dell’attrice romana risulta, sin dai primissimi quadri, un irritante concentrato di cliché senza alcuna potenza espressiva.
Enfatico nella proposizione delle scene topiche, prontamente appesantite da sottolineature recitative e registiche, finisce coll’apparire stucchevole nel suo quasi arrogante didascalismo “di sinistra”. Un film banale sul versante drammaturgico e slabbrato su quello stilistico.
Incapace di dosare commedia, cifra grottesca e dramma sociale, la regista/attrice romana sbanda paurosamente nell’impostazione linguistica, mandando fuori giri la pellicola anche sul terreno recitativo.
Dalla palude della mediocre caratterizzazione e dell’enfasi mimico-gestuale che coinvolge un po’ tutti i protagonisti, si salvano solo alcune figure comprimarie e Romana Maggiora Vergano (la figlia Marcella).
Valerio Mastandrea dal suo canto oscilla tra l’incoerenza dei registri mentre la stessa Cortellesi è costantemente sopra le righe. Ma il problema, come dicevamo, sta nel manico che imposta la regia.
Mescola – la Cortellesi – stilemi neorealistici e registri onirico/surreali; tuttavia, non essendo né Rossellini né Buñuel, sortisce effetti destabilizzanti se non addirittura ridicoli.
Emblematica, in tal senso, è la scena fuori dalla carrozzeria di Vinicio Marconi quando, colta da improvvisa pulsione, Delia – il personaggio della Cortellesi – fa dono, al suo vecchio innamorato, di una tavoletta di cioccolata americana.
La regista cala tutta l’inquadratura in un’ insopportabile atmosfera di rarefazione trasognata che risulta involontariamente grottesca e simile ad uno spot dei Baci Perugina.
Si aggiunga poi, a tutto ciò, un bianco e nero ineffettuale e pleonastico nel suo intento puramente calligrafico e il melange indigesto è servito.
Attesa pertanto tale imbastitura linguistica, il tema centrale del lavoro autoriale della Cortellesi, ovvero il patriarcato e la conseguente violenza di genere, si smarrisce e depotenzia proprio tra i rivoli dell’incertezza stilistica.
Le scene di violenza fisica e verbale – che pur si preannunciano con il loro carico di brutalità maschilista – tra squinternati balletti, incursioni buñuelliane sul terreno del surreale, dialoghi sul filo di un grottesco che non riesce mai a risolversi in una chirurgica critica del patriarcato – sottoproletario, borghese o piccolo-borghese che dir si voglia – naufragano malamente tra le onde del pedagogismo di basso profilo, dell’insensatezza e, purtroppo, del macchiettismo.
Ancor più grave, poi, si rivela l’ambientazione sociale scelta dalla Cortellesi.
Una famiglia del sottoproletariato urbano post bellico, con immancabili aspirazioni piccolo-borghesi, dove la violenza sembra albergare quasi per endemica necessità di classe. Mentre, tra gli strati sociali più benestanti, seppur imperi il patriarcato, quella prepotenza si risolve in mere declinazioni verbali ed anche notevolmente smussate.
Uno stigma classista che non fa certo onore ad un’attrice che ha sempre voluto distinguersi per le sue idee progressiste.
In tal senso, ancor più sconcertante risulta il finale. Laddove lo spettatore si attenderebbe una fuga d’amore con l’innamorato dei tempi giovanili per sottrarsi alle violenze domestiche, Delia fugge sì, ma… al seggio elettorale.
Per votare, nel Giugno del 1946 – quando finalmente le donne ottennero per la prima volta in Italia il diritto di voto – e scegliere tra Monarchia e Repubblica.
Un gesto che dovrebbe simboleggiare, nelle intenzioni dell’autrice, la presa di coscienza politica ed esistenziale delle donne italiane. Nonché un gesto di ribellione, emancipazione e liberazione.
Se non fosse una tragica ingenuità ci sarebbe da ridere. Una simile illusione poteva darsi nell’immediato dopoguerra, all’indomani della dittatura fascista. Oggi, nel presente del film, il voto, declinato al maschile o al femminile, è un’irrimediabile truffa. Poco democratica e molto oligarchica.
[...]
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agrpress-blog · 10 months ago
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Enea, il secondo film diretto da Pietro Castellitto, è un'opera cinematografica che dopo il suo debutto al Festival di Venezia, accolto con plauso dalla critica e dal direttore Barbera, finalmente arriva nelle sale cinematografiche italiane. Il 2024 inizia con il suo primo titolo autoriale, confermando il talento e la visione del regista emergente. TAG24 ha avuto l'opportunità di incontrare nuovamente il cast a Roma, cogliendo i retroscena e l'entusiasmo dietro questa produzione. Vision Distribution, dopo il notevole successo ottenuto con il film di Paola Cortellesi "C'è ancora domani" nel 2023, si lancia in questa nuova sfida con "Enea". Il film avrà una distribuzione importante: ben 250 copie saranno proiettate in tutta Italia a partire dall'11 gennaio. Durante la presentazione romana, è stato annunciato anche un tour promozionale che vedrà il regista Pietro Castellitto e il cast impegnati in un viaggio attraverso tutte le regioni. Il tour prenderà il via proprio questa sera a Bologna, 8 gennaio, per poi giungere ad un altro appuntamento imperdibile a Roma il 11 gennaio al Cinema Troisi. La trama di "Enea" offre uno sguardo penetrante sulla vita di giovani appartenenti alla Roma Bene, focalizzandosi su Enea e Valentino, protagonisti e artefici di un mondo corrotto ma intrisi di una vitalità inalterata. Enea, in particolare, ricerca un legame con il mito che porta nel nome, un tentativo di sentirsi vivo in un'epoca decadente e stanca. Nonostante la presenza costante della droga e del crimine, la storia narra di gioie condivise e degli estremi vissuti da questi giovani. Al centro, la famiglia di Enea, caratterizzata da un padre malinconico che manifesta la sua rabbia, un fratello che affronta difficoltà a scuola e una madre sconfitta e logorata. In questo contesto arriva Eva, portando un raggio di luce e la promessa di un cambiamento, benché il lieto fine rimanga incerto. Il film dipinge una vita di eccessi su un mondo fragile, in cui la ferocia e il romanticismo si scontrano in una realtà intensamente affascinante.
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lamilanomagazine · 1 year ago
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Siracusa presenta la terza edizione di Cine Oktober Fest , dal 6 al 31 ottobre all'Urban Center e al Biblios Cafè.
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Siracusa presenta la terza edizione di Cine Oktober Fest , dal 6 al 31 ottobre all'Urban Center e al Biblios Cafè. È stato presentato ieri alla Stampa Cine Oktober Fest, edizione 2023. La manifestazione – giunta alla sua terza edizione, ed unica nel suo genere – si svolgerà a Siracusa dal 6 al 31 ottobre all’Urban Center, in via Nino Bixio 1 e al Biblios Cafè, in via del Consiglio Reginale 11. Alla presentazione ha partecipato l’assessore alla Cultura Fabio Granata. “Così come nella migliore tradizione del ‘900, i fermenti culturali nascono dai caffè letterari – ha dichiarato Granata - Mi sembra questa la cifra più significativa del Cine Oktober Fest, che è un evento colto rivolto agli amanti del cinema ma anche costruito in maniera aggregativa per l’intera comunità non soltanto giovanile della città. L’Urban Center, che l'amministrazione comunale mette a disposizione, è lo spazio perfetto per garantire il connubio tra una manifestazione che nasce in un locale privato di intrattenimento ma che di proietta come evento pubblico. Quindi, complimenti agli autori di questa sapiente miscela che vede il cinema protagonista ma attorno a esso mette assieme anche altre linguaggi artistici come la letteratura, la recitazione e la grafica.” L’evento cinematografico siracusano, ideato e diretto da Giuseppe Briffa – presidente Post Cinema APS ( Associazione promozione sociale) e da Ludovico Leone – vice presidente e project manager generale – è patrocinato dal Comune di Siracusa in partnership con Siracusa Città Educativa, Urban Center Siracusa e Biblios Cafè Ortigia. L’evento - lo sottolinea il presidente Post-Cinema, Giuseppe Briffa - “ è orgogliosamente un unicum senza precedenti a Siracusa, volto a creare una rinascita nel panorama socio-culturale e artistico, oltre a diventare elemento propulsivo per la creazione di nuove modalità espressive e fare dialogare tra loro le varie realtà culturali siracusane nell’attesa della quarta stagione. In cantiere, infatti – ha annunciato Briffa – mostre d’arte cine-pittoriche, video-filmiche ed esposizioni vintage”. “L’associazione Post-Cinema – ha dichiarato Ludovico Leone - nasce nel luglio 2023, ma esisteva già come movimento culturale dal 2021. L’obiettivo primario è diffondere la cultura cinematografica e le arti a essa connesse a 360°, proponendo un nuovo modello di fruizione che fondi conferenza, proiezione, musicazione dal vivo e teatro con una facile replicabilità a tutte le fasce d’età in ogni luogo e contesto con l’ausilio di pochi mezzi, attraverso la collaborazione con sempre nuovi enti e associazioni.” L’edizione 2023 del festival si articola lungo quattro linee direttrici: Scandinavian, Anniversary, Silent ImAge e Post Horror Wave. Nel dettaglio: Scandinavian, dedicata a opere cinematografiche scandinave inedite, dimenticate o da riscoprire, uscite nell’ultimo decennio. Anniversary è la sezione dedicata alla proiezione di grandi classici della storia del cinema che nel 2023 compiono l’anniversario di uscita; dall’animazione all’autorato scandinavo, fino al cyberpunk e al body horror degli anni ottanta. Silent ImAge, per celebrare i grandi capolavori del cinema muto di matrice espressionista, con cine-concerti creati su misura. Fra gli altri, il Faust di Murnau del 1926. La sezione dedicata alla Post-Horror Wave parlerà di film indipendenti premiati in tutto il mondo negli ultimi vent’anni, di stampo autoriale e dalle venature orrorifiche, destinati a un pubblico adulto e dalla indiscussa valenza estetica. Nel corso della manifestazione verranno proposte conferenze introduttive alle proiezioni, letture teatrali di brani dei romanzi da cui sono stati tratti alcuni dei film in programma, con musicazione dal vivo a cura di Ludovico Leone. Il direttivo è composto dal presidente Giuseppe Briffa, dal vicepresidente Ludovico Leone e dal segretario Valerio Zanghi. Al direttivo si affiancano i soci collaboratori Claudio Pavia (grafico), Gianandrea Cama (fundraiser) e Davide Carnemolla (recensore). G. Briffa, esperto in filmologia, videoeditor, videomaker, art-director per associazioni culturali siciliane, curatore di rassegne cinematografiche fra cui “In the mood for Biblios”, per il Biblios Cafè di Siracusa. È stato direttore artistico del Nuovo Museo del Cinema di Siracusa “Remo Romeo”. L. Leone, vicepresidente, responsabile del progetto grafico e musicista, si occupa degli inserti musicali dal vivo nel corso degli eventi. Graphic designer e regista indipendente, ha al suo attivo quattro cortometraggi, diverse opere letterarie, poetiche e saggistiche; è inoltre curatore della rassegna “Post-Cinema: Imagination, Exploration, Experimentation”. V. Zanghi, segretario, ingegnere elettronico specializzato in ecologia, è coordinatore di eventi a tematiche ambientali legate alla transizione ecologica. Collabora al progetto con Post Cinema e partecipa alla manifestazione anche l’associazione V.A.N. (Verso Altre Narrazioni), per promuovere la divulgazione teatrale mediante gli strumenti cinematografici, creando un’ingegnosa collaborazione tra cinema e teatro. Il CineOktoberFest 2023 si terrà in due sedi, il Biblios Cafè in Ortigia, Via del Consiglio Reginale 11 e presso l’Urban Center in Via Nino Bixio 1. Programma Sezioni dei contenuti: Intro Cartoons • Betty Boop Dark Show • Disney Horror Silly Symphonies • Looney Tunes USA War Propaganda • Felix The Black Cat Prima Serata (Urban Center) Anniversary Scandinavian Silent ImAGE Special Prima Serata (Biblios Cafè) / Seconda Serata (Urban Center) Post-Horror Wave URBAN CENTER SIRACUSA 6 Ottobre: Disney Horror Silly Simphonies BABES IN THE WOODS by Burt Gillet (1932) Betty Boop Dark Show SNOW-WHITE by Dave Fleischer (1933) Anniversary (85 anni) BIANCANEVE by David Hand (1938) Post-Horror Wave GRETEL E HANSEL by Oz Perkins (2020) 7 Ottobre: Betty Boop Dark Show THE MAN AND THE OLD MOUNTAIN by Dave Fleischer (1933) Scandinavian IL SOSPETTO by Thomas Vinterberg (2012) Post-Horror Wave IT FOLLOWS by David Robert Mitchell (2014) 8 Ottobre: • Disney Horror and Silly Simphonies DER FUEHRER'S FACE by Jack Kinney (1943) Silent I• mAGE FAUST by W. F. Murnau (1929) • Post-Horror wave BABADOOK by Jennifer Kent (2014) 20 Ottobre: • Disney Horror and Silly Simphonies HELL'S BELLS by Ub Iwerks(1929) • Anniversary (50 anni) THE EXORCIST by William Friedkin (1973) • Post-Horror wave A GHOST STORY by David Lowery (2017) 21 Ottobre: • Betty Boop Dark Show MINNIE THE MOOCHER by Dave Fleischer (1932) film – Anniversary (40 anni) VIDEODROME by David Cronemberg (1983) • Post-Horror wave COME TRUE by Anthony Scott Burns (2021) 22 Ottobre: • Felix The Black Cat SWITCHES WITCHES by Otto Messmer (1927) • Silent ImAGE HÀXAN by Benjamin Christensen (1922) • Post-Horror wave THE WITCH by Robert Eggers (2014) • Selezione ragionata di letture tratte da Malleus Maleficarum (Il martello delle streghe) trattato pubblicato nel 1487 dai frati Heinrich Kramer e Jacob Sprenger a cura di V.A.N. Verso Altre Narrazioni 27 Ottobre: • Betty Boop Dark Show POOR CINDERELLA by Dave Fleischer (1934) • Scandinavian UN PICCIONE SEDUTO SU UN RAMO RIFLETTE SULL'ESISTENZA by Roy Anderson (2015) • Post-Horror wave THELMA by Joachim Trier (2017) 28 Ottobre: Disney Horror and Silly Simphonies THE SKELETON DANCE by Walt Disney (1929) Anniversary (55 anni) L' ORA DEL LUPO by Ingmar Bergman (1968) • Selezione ragionata di letture tratte da La Lanterna Magica di Ingmar Bergman a cura di V.A.N. Verso Altre Direzioni 29 Ottobre: • Betty Boop Dark Show HA HA HA ! by Dave Fleischer (1934) • Silent ImAGE LA PASSIONE DI GIOVANNA D'ARCO by Carl Theodor Dreyer(1922) • Post-Horror wave MIDSOMMAR by Ari Aster (2019) 31 Ottobre • SPECIAL THE CINEMA OF JOHN CARPENTER Un excursus video-musicale in occasione dell'anniversario (45 anni dall'uscita statunitense ) del film di culto, celebrato in tutto il mondo, Halloween - La notte delle streghe (1978). Il programma prevede nell'ordine: una digressione ragionata dell'intera filmografia di Carpenter, con contributi videografici realizzati ad hoc per l'occasione con accompagnamento musicale dal vivo (synth, basso, chitarra) delle colonne sonore che hanno caratterizzato le opere dell'autore in questione, poiché egli stesso è stato ed è compositore. In seconda serata la proiezione del film • Anniversary (45 anni) HALLOWEEN by John Carpenter (1978) BIBLIOS CAFÉ ORTIGIA ciclo conferenze CineOktoberFest POST-HORROR WAVE "L'ultima avanguardia della storia del cinema" 10 Ottobre SWALLOW by Carlo Mirabella-Davis (2020) 11 Ottobre THE NEON DEMON by Nicholas Refn (2017) 12 Ottobre HEREDITARY by Ari Aster (2015) 13 Ottobre A GIRLS WALKS HOME ALONE AT NIGHT by Ana Lily Amipour (2014) 14 Ottobre MOTHER! by Darren Aronofsky (2017) 17 Ottobre A CLASSIC HORROR STORY by Roberto De Feo, Paolo Strippoli (2021) 18 Ottobre FAVOLACCE by Fratelli D'Innocenzo (2020) 19 Ottobre SICILIAN GHOST STORY by Fabio Grassadonia, Antonio Piazza (2017) Nelle giornate del 17, 18 e 19 ottobre avremo l'onore di ospitare Carmelo Maiorca per un breve excursus storico sulla criminalità organizzata ('ndragheta calabrese, criminalità romana suburbana, mafia siciliana). 24 Ottobre THE LIGHTHOUSE by Robert Eggers (2019) 25 Ottobre IL SACRIFICIO DEL CERVO SACRO by Yorgos Lanthimos (2017) 26 Ottobre UNDER THE SKIN by Jonathan Glazer (2013)... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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statoprecario · 2 years ago
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ARTHOUSE approda alla 40esima edizione del TFF con 4 titoli: Fumer fait tousser di Quentin Dupieux, Rodeo di Lola Quivoron, The Fire Within di Werner Herzog ed Eo di Jerzy Skolimowski
Torino, 24/11/2022 – Un road movie carico di poesia ed empatia con protagonista… un asino; una storia di motociclette e rivalsa al femminile; il nuovo pungente e commovente documentario di Werner Herzog; una corrosiva commedia surreale francese su un gruppo di giustizieri in stile Power Rangers. Arthouse, label di I Wonder Pictures dedicato al cinema più autoriale e innovativo, arriva al…
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spritzapeiron · 2 years ago
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René Ferretti batte Galadriel
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L’arte del minestrone
Sarà forse questo il racconto di un’esperienza personale, ma non poteva mancare una breve pensata dopo aver visto nello stesso mese due serie tv di cui tanto si è parlato. Ora, i seriofili sorrideranno al mio modesto record, diranno: “Due serie io me le faccio alla settimana”. Lo so, ammetto di non  essere un divoratore di film a puntate, anche se vi importerà ben poco di questo dettaglio. Vi svelo allora quali sono le due serie in questione.
La prima è Gli anelli del potere (The rings of power), attesa circa dal 2017 dalla fanbase tolkeniana, hype che a me personalmente è sceso a ridosso dell’uscita, visto il trailer ma soprattutto dopo il bombardamento di format simili che hanno fatto le piattaforme streaming, saziandomi; l’altra è invece Boris 4, il presagio di una porcata firmata Disney che però, attenzione, a detta mia e dei miei amici si è fatta rispettare. Dico amici perché chiunque abbia visto Boris in vita sua sa che poi è tutta una questione di meme e battute celebri fra la cerchia di persone che l’hanno guardata, una cosa molto italiana insomma. Ma questa non è una recensione, sia chiaro. È piuttosto una sorta di confronto lontanamente filosofico di ciò che queste due opere artistiche rappresentano e mi hanno rappresentato: vediamo se è lo stesso per voi. 
Partiamo da Gli Anelli del Potere, rivisitazione dell’universo di Tolkien con l’intenzione di essere a tutti gli effetti dell’inarrivabile saga de Il Signore degli Anelli. Silmarillion e compagnia bella lasciamoli da parte, c’è sicuramente gente più esperta di me che ha fatto le proprie considerazioni sulla coerenza letteraria della nuova produzione di Amazon rispetto alle opere a cui si ispira, soltanto il web ne è pieno e zeppo. Quello che vorrei qui mettere in luce è l’intento, lo spirito autoriale dell’opera. Non citerò personaggi, non farò spoiler, potete stare tranquilli, ancora una volta, non è una recensione. Pongo invece una domanda, forse una provocazione: 
Gli Anelli del Potere era qualcosa di davvero necessario? 
Secondo me no. In primis, perché la confusione dal punto di vista della scrittura e appunto della coerenza letteraria è abbastanza lampante, ma come detto sopra numerose argomentazioni a favore di ciò si trovano ovunque, online e non solo. In secundis, ci saranno altre quattro stagioni: perché? Di Caravaggio ce n’era uno solo, non so se mi spiego. È chiaro che ci sono mezzo i milioni, anzi i miliardi di dollari spesi per un progetto di enorme portata, ma se lo stesso progetto è scritto male e rispetta malamente la filosofia stessa di Tolkien (e su questo consiglio un video di Dufer che ne parla, troverete il link alla fine), perché bisogna portare avanti questi miseri tentativi di riscaldare un grande minestrone. Perché non investire invece il denaro in idee nuove, che potranno forse un giorno tramutarsi in opere dello spessore de Il Signore degli Anelli? No, bisogna piuttosto scrivere male una serie surrogata approfittando della rinomanza dell’opera da cui si prende ispirazione: il minimo sforzo creativo per il massimo risultato, tanto la gente la guarda lo stesso. Che palle. Stiamo fino a prova contraria parlando di arte nelle sue molteplici sfumature, come la letteratura e il cinema, se manca lo spirito di fondo, un’idea solida che diventa il motore dell’opera stessa, il resto ha davvero poca importanza. Potremmo dire che i soldi non comprano l’arte, oltre che la felicità come si usa dire. Ma in fondo stiamo parlando di prodotti consumati dalla massa, di cui noi facciamo parte, e alla massa spesso basta essere saziata, anche con la minestrina riscaldata, cucchiaino dopo cucchiaino, una puntata dopo l’altra. 
Poi c’è Boris 4, arrogante come non mai, volontariamente brutta e bella allo stesso tempo. Un susseguirsi continuo di richiami nostalgici e cliché, la locura italiana portata nel mondo senza però pretendere di essere un capolavoro. No, non lo è, ma mantiene comunque una propria dignità artistica, ed è proprio questo che la eleva. La Terra di Mezzo è Cinecittà, Sauron è l’occhio della piattaforma: tutto vede, tutto coordina. Il riso in faccia all’inclusione forzata, multietnica, multigender, insomma, tutto ciò che oggi marca bene le differenze invece che valorizzarle. La serie tv nella serie tv, Gesù di Nazareth interpretato da un magistrale Stanis LaRochelle, grottesco come sempre, interpretato a sua volta  dall’attore che l’Italia intera sottovaluta, Pietro Sermonti. Ciò che non è un capolavoro alla fine un po’ lo diventa, proprio perché prende per il culo ciò che le piattaforme oggi rappresentano, fagocitate dalla massa informe di videoconsumatori che vogliono minestra, minestra e ancora minestra. Ecco in Boris all’opera i tre sceneggiatori che imboccano le loro vacche, portandole all’ingrasso: ce n’è per tutti, consumate. 
Infine, il rocambolesco colpo di scena. Sì, è spoiler: 
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Alla fine la serie diventa un film. 
René Ferretti batte Galadriel. 
A noi
le serie 
hanno rotto il cazzo!!!
Fonti:
Gli Anelli del Potere - J.D. Payne, Patrick McKay
Boris 4 - Mattia Torre, Luca Vendruscolo, Giacomo Ciarrapico, Luca Manzi
youtube
Tommaso Mosole
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pangeanews · 4 years ago
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“Lui si porta i libri di Kafka ma poi studia solo ogni cu*o che passa”. Le hit dell’estate più rarefatta del secolo, ovvero: sull’analfabetismo della musica italiana (che spacciano per indagine socio-artistica)
Ci si attendeva tonnellate di romanzi claustrofobici incubati durante la clausura anticontagio (arriveranno, dategli tempo) e di film ambientati nella cattività degli zoo per umani che sono diventate le città (purtroppo a quello di Enrico Vanzina ne seguiranno altri), così nel frattempo sono tornate le canzoni. Anzi le hit, come sono chiamate quelle produzioni che dovrebbero durare quanto gli assorbenti e invece diventano la colonna sonora delle stagioni.
Ci sono sempre state le hit, ma quelle imposte dalle radio durante l’estate post Covid – la più rarefatta e sospesa dell’ultimo secolo – oltre a rinsaldare i nostri vincoli affettivi con la mediocrità sembrano aver individuato la loro funzione sociale: sono diventate il piccone con cui demolire quel che resta della lingua italiana, il machete con cui smembrarla a beneficio di una comunicazione orizzontale, istantanea, indistinguibile e quindi informe. «Senza studiare, senza fiatare, basta intuire che è anche troppo, colpo d’occhio è quello che ci vuole, uno sguardo rapido» scriveva Ivano Fossati (Il battito, 2006), preconizzando la necessità di sintonizzare le nostre frequenze filologiche su onde sempre più elementari, catacombali: «Dateci parole poco chiare, quelle che gli italiani non amano capire, basta romanzi d’amore, ritornelli, spiegazioni, interpretazioni facili – diceva Fossati – ma teorie complesse e oscure, lingue lontane servono, pochi significati, titoli, ideogrammi, insegne, inglese, americano slang». Si argomenta spesso della crisi della letteratura, del vuoto intorno al cinema e della mancanza di coraggio dell’arte italiana, ma la verità è che dalla musica pare non ci si possa aspettare altro che disgregazione, chiacchiericcio, volgarità più o meno esplicite, analfabetismo a rigorosa misura di social. Ma guai a scambiarla per sottocultura, al contrario questa potrebbe essere la nuova frontiera della dignità autoriale con cui viene chiesto di fare i conti agli interpreti del nostro tempo, e chi non risponde «presente» o è tagliato fuori o è un dinosauro (come chi scrive).
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La morte di una lingua.
Per brevità (ovvero banalità), velocità di trasmissione e universalità del messaggio, le canzoni post Covid sono diventate l’espressione più allarmante della deriva del Paese e della Lingua, nonostante questa rimanga tra le più belle, complesse e tradotte al mondo. Ma forse è proprio questo il demonio contro cui combattere, il padre nobile e ingombrante da abbattere. Forse alle nuove generazioni di produttori e compositori non va giù proprio questo, l’insopportabile paragone con un passato impietoso sotto troppi aspetti: nobiltà della missione, qualità del prodotto, straordinaria ricchezza artistica, inarrivabile varietà di proposte, mercato che oggi semplicemente non c’è. Va da sé che l’unica espressione culturale con cui ingaggiare un confronto, nel tentativo di riuscire a vincerlo, per paradosso è proprio l’ignoranza. Volendola tracciare con una parabola, la flessione della ricerca linguistica all’interno delle canzoni moderne, si dovrebbe scavare un fossato, interrarsi in un bunker atomico. Indifendibile, squallida, quasi sempre sessista anche se nessuno dei Benpensanti della Domenica lo fa notare. A larghi tratti analfabeta, quasi sempre composta da una manciata tra sostantivi, aggettivi e pronomi (massimo dieci, sempre gli stessi), ampiamente intrisa di offese gratuite, nomi e marche importati da lingue straniere. Né militante né consunta, né vissuta né scaltra. Una lingua traslucida, abbandonata per eccesso di frequentazione. Una lingua al consumo, usa e getta come le carte prepagate. Una lingua fantasma, nemmeno codice di riconoscimento. Avvertimento lampeggiante, segnale di insipienza riconoscibile da tutti e da lontano. Una lingua svenduta al massimo ribasso, umiliata come se di null’altro si potesse parlare che di stronzate, perché alla gente ignorante (stando al marketing alla base della concezione di questi capolavori) bisogna rivolgersi con cose ignoranti (ecco perché una signora che storpia il nome scientifico del ceppo di un virus su una spiaggia italiana, mixata e debitamente masterizzata fa più download di Alberto Angela). E in questo deserto nessuno chiede uno sforzo di creatività, nemmeno a quelli che invece avevano colpito – o ci avevano provato – per la loro audacia. «E comunque si balla, come bolle nell’aria. E si tagga la faccia, che è riaperta la caccia. E comunque si bacia, l’italiana banana…» canta Francesco Gabbani nel Sudore ci appiccica, mentre Diodato fotografa la solitudine che ci siamo lasciasti alle spalle con «lo vedi amico arriva un’altra estate, e ormai chi ci credeva più, ché è stato duro l’inferno ma non scaldava l’inverno, hai pianto troppo questa primavera» (tratto da Un’altra estate). Non fanno meglio Ermal Meta e Bugo, con Mi manca: «E mi manca aspettare l’estate, comprare le caramelle colorate. E mi manca (mancano, sarebbe plurale) le strade in due in bici. Mi manco io, mi manchi tu. E mi manca una bella canzone (sinceramente, anche a noi!)».
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Bene intesi, nessuno pretendeva la chiave d’interpretazione dell’umanità. Ma forse è proprio dentro la musica, nelle note più spensierate di questi testi privi di urgenza e tensione morale, che la pandemia sembra aver riposto tutte le banalità che ha succhiato infilando una cannuccia sulle nostre teste. «Blocco a volte sembro ancora triste, il testo è vero sai che mamma è fiera, fumo sopra ai sedili di un Velar, penso a quando il successo non c’era – Shiva in Auto blu – fa i soldi appena diciottenne, in qualche modo sotto quelle antenne, in quanti cambiano lo sai anche tu…», con un seguito quasi mai inferiore ai 20 milioni di follower. Che la lingua non esista più lo si capisce da gemiti, monosillabi e vomiti che ormai sono diventati testo e non pretesto, overdose di egocentrismo, autoerotismo più esasperato di quello di certi scrittori. «Lui si porta i libri di Kafka – profetizza J-Ax nella sua Bibbia estiva, quella di quest’anno si chiamava Ostia lido – ma poi studia solo ogni culo che passa». E poi la ricostruzione delle giornate tipo in cui riconoscersi tutti, non solo gli adolescenti ai quali questi pezzi sarebbero destinati. «Mi chiedi com’è passare le giornate a stare sul divano, con un caldo allucinante che mi scioglie, non dormo più la notte, ventilatore in fronte, e questa casa sembra proprio un hotel – scrive Giulia Penna in Un bacio a distanza –. Latine, il bel Paese, pizza pasta e mandolino, tu portami del vino, ché forse in questo pranzo non t’arriva manco il primo».
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Come nei decreti “Mille proroghe” in cui insieme alla manovra finanziaria finiscono anche le sanatorie sui profilattici scaduti, in questa deriva consumista sono finite umiliazioni («ay papi non mi paghi l’affitto (…) Mamma lo diceva, sei carino ma non ricco»: Giusy Ferreri ed Elettra Lamborghini, La Isla); icone di plastica («tu fra queste bambole sembri Ken, ti ho in testa come Pantene»: Baby K e Chiara Ferragni, Non mi basta più);l’ostentazione della povertà («Nelle tasche avevo nada, ero cool, non ero Prada»: Mahmood, Sfera Ebbasta e Feid, Dorado); e la nemesi, sotto forma di insofferenza verso gli eccessi di comunicazione («Te lo spacco quel telefono, oh-oh, l’ho sempre odiato il tuo lavoro, oh»: Elodie, Guaranà).
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Ferie d’Agosto.
In una memorabile scena del bellissimo film con cui Paolo Virzì ha anticipato di almeno un ventennio il funerale politico del Paese, cioè Ferie d’Agosto, Ennio Fantastichini (capo famiglia di Destra) dice a Silvio Orlando (capo delegazione di Sinistra) queste parole: «La verità è che nun ce state a capì più un cazzo manco voi, ma da mo’…». Che non solo è vero, ma fotografa alla perfezione la saturazione di un pubblico in cui chi prova a dire «no» è condannato all’emarginazione, alla solitudine, alla gogna. «Se c’è una cosa che mi fa spaventare, del mondo occidentale, è questo imperativo di rimuovere il dolore. Secondo me ci siamo troppo imborghesiti – dice Dario Brunori in Secondo me – abbiamo perso il desiderio, di sporcarci un po’ i vestiti, se canti il popolo sarai anche un cantautore, sarai anche un cantastorie, ma ogni volta ai tuoi concerti non c’è neanche un muratore».
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Certo non mancano le eccezioni, taluna musica riesce ancora a incarnare l’essenza di una missione a cui non solo i chiamati all’appello rispondono (cit. Leo Longanesi). Così come non mancano le ambizioni, le lezioni di scienza e coscienza di chi mette insieme la musica al più antico insegnamento degli umani, il sapere (penso al progetto Deproducers, lo straordinario tentativo di deprodurre, appunto, la musica attraverso l’ausilio della scienza); ma si tratta di oasi che al cospetto delle cover patinate, delle tracce inascoltabili imposte dalla tv e dalla pubblicità, dinanzi al muro di intolleranza al bello eretto soprattutto da alcune etichette musicali, non arriva alla grande platea. E non ci arriva perché non racconta una mutazione, non arriva perché non riesce a essere antidoto a tutto il peggio prodotto in questi anni, segnatamente in questi mesi.
*
A pensarci bene la pandemia non c’entra, al contrario come noi è costretta a subire questo strazio. La verità è che la cifra stilistica media, l’asticella della dignità, la percezione del gusto e l’estetica condivisa hanno perso qualsiasi ritengo, hanno rinunciato a ogni freno inibitore, così ciò che fino a venti anni fa era meno dello scarto delle bobine oggi è diventato esperimento, ricerca scientifica, derivato d’introspezione, indagine socio-artistica. E a nulla valgono gli impietosi paragoni col passato, quando provando a spiegare alle nuove generazioni la sofferenza da cui proveniamo lo si fa con una canzone di Francesco de Gregori («meno male che c’è sempre uno che canta e la tristezza ce la fa passare, se no la nostra vita sarebbe come una barchetta in mezzo al mare, dove tra la ragazza e la miniera apparentemente non c’è confine, dove la vita è un lavoro a cottimo e il cuore un cespuglio di spine», da La ragazza e la miniera), perché nessuno ha più tempo per ascoltare questi dinosauri. La missione è quella di favorirne l’estinzione, aprendo le porte di un mondo digitale, inespressivo e anaffettivo in cui la canzone – intesa come esperienza/fenomeno – riveste la stessa utilità dei prolungamenti delle unghie: umiliare la natura, nasconderne i prodigi. Come i bari fanno col talento.
Davide Grittani
* Davide Grittani (Foggia, 1970) ha pubblicato i reportage “C’era un Paese che invidiavano tutti” (Transeuropa 2011, prefazione Ettore Mo e testimonianza Dacia Maraini) e i romanzi “Rondò” (Transeuropa 1998, postfazione Giampaolo Rugarli), “E invece io” (Biblioteca del Vascello 2016, presentato al premio Strega 2017), “La rampicante” (LiberAria 2018, presentato al premio Strega 2019 e vincitore premio Città di Cattolica 2019, Nicola Zingarelli 2019, Nabokov 2019, Giovane Holden 2019, inserito nella lista dei migliori libri 2018 da “la Lettura”del Corriere della Sera). Editorialista del Corriere del Mezzogiorno, inserto del Corriere della Sera. Dirige la collana “Dispacci Italiani (Viaggi d’amore in un Paese di pazzi)” per l’editore Les Flaneurs. 
L'articolo “Lui si porta i libri di Kafka ma poi studia solo ogni cu*o che passa”. Le hit dell’estate più rarefatta del secolo, ovvero: sull’analfabetismo della musica italiana (che spacciano per indagine socio-artistica) proviene da Pangea.
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salottoitalia · 4 years ago
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"[....]Le parole sopra riprodotte gettano luce anche sul problema dei destinatari del "cinema di prosa", che si identificano in un pubblico di massa dalle formazioni intelletuali differenziate e che usufruisce generalmente del cinema come di un mezzo di intrattenimento piacevolmente immediato. I fruitori del "cinema di poesia", invece devono presumibilmente essere disposti ad osservare una rappresentazione cinematografica che preveda uno stretto rapporto tra il cineasta e il personaggio da lui messo in scena, rilevabile attraverso una forte presenza autoriale nel racconto filmico, di cui si dirà più avanti. Nel porre in maniera ancora più incisiva l'accento su questo concetto, Pasolini afferma, riferendosi alle caratteristiche eminentemente linguistiche del mezzo del cinema, che "la breve storia stilistica del cinema a causa della limitazione espressiva imposta dall'enormità numerica dei destinatari del film, ha fatto sì che stilemi fattisi subito sintagmi del cinema (cioè gli archetipi visivi) e rientrati dunque nell'istituzionalità linquistica siano molto pochi e in fondo rozzi". L'autore ribadisce, dunque, che le proprietà poetiche del mezzo cinematografico sono state annullate e alla loro scomparsa è seguita la supremazia del linguaggio prostastico-convenzionale.[....]" Isadora Cordazzo, "Accattone" di Pasolini. Dal testo al film. Pendragon, Bologna, 2008.
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corallorosso · 6 years ago
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Film visto ieri sera: da non perdere In Guerra: film con Vincent Lindon Dopo La legge del mercato, premiato al Festival di Cannes 2015, In Guerra vede il ritorno della collaborazione tra Stephane Brizè e Vincent Lindon, punti fermi del cinema contemporaneo francese. La collaborazione tra i due non potrebbe essere più proficua, avendo portato in questi anni a film di spessore e di alto valore autoriale. In Guerra si aggiunge alla perfezione in questo contesto, essendo a sua volta di forte impatto e trattando senza paura temi molto complessi, come solo il grande cinema può fare. La direzione della pellicola è assolutamente anticonvenzionale, e riesce a coinvolgere lo spettatore, che si sente al centro della storia, grazie non solo alle ottime doti recitative di Lindon, ma anche alla sapiente cura del regista, che monta molto bene immagini estremamente differenti tra loro. Tra una discussione e l’altra, le immagini delle manifestazioni, delle lotte sindacali e dei reportage televisivi in merito si susseguono una dopo l’altra, senza che una oscuri l’altra. ... Laurent Amèdèo è un sindacalista di quelli tutto d’un pezzo, che si oppone insieme ai suoi colleghi alla chiusura della fabbrica in cui lavora, dovuta ad un colosso internazionale tedesco, la Dimke. Il licenziamento avrebbe dimensioni disastrose: 1100 dipendenti in totale resterebbero senza un impiego. Attraverso una lotta sempre più aperta e dura, Laurent si scontrerà non solo con un sistema avverso ai lavoratori, ma anche con le enormi divisioni all’interno dei lavoratori stessi. Il più grande pregio del film di Brizè è che non demonizza nessuno, decidendo di avere uno sguardo maturo ed equilibrato sulle questioni che affronta. Il regista infatti non distingue tra buoni e cattivi, ma mostra un mondo e una realtà, come quella attuale, in cui ci troviamo tutti sulla stessa barca, anche se qualcuno indossa una giacca e una cravatta e qualcun altro no. Anche se “voi siete in coperta, noi siamo sotto con i ratti e la me**a“, come ricorda uno dei protagonisti. La mancanza assoluta di retorica, poi, è una manna dal cielo in film come questo, che troppo spesso si basano su insopportabili cliché che rendono vano l’intero prodotto. L’unico colpevole, che aleggia sul film come uno spettro, emerge verso la fine del film, ed è il mercato. Oppure, con una visione più ampia, la globalizzazione. In un mondo globalizzato ed interconnesso, infatti, a farla da padrone sono i numeri. Non è più sufficiente dare un profitto all’azienda, bisogna darne sempre di più, altrimenti gli azionisti non sono contenti e il mercato ne risente. Bisogna stare attenti a non spaventare gli investitori stranieri. I mercati di oggi vedono inoltre aumentare il valore economico di un’azienda anche se chiude le fabbriche, abbassa i salari o licenzia personale, e quindi il suo valore sociale scende. Si assiste quindi allo scollamento definitivo tra economia virtuale e reale. ...Laurent e i suoi colleghi sembrano infatti parlare lingue diverse, rispetto ad ognuno dei loro interlocutori. Mentre loro si rifanno alle famiglie, alle persone che restano senza lavoro, i dirigenti rispondono con i freddi dati, che tengono di fatto legati anche loro. Esiste quindi una sorta di dittatura dei numeri, del denaro, che incatena ogni classe sociale allo stesso modo, sebbene con differenti conseguenze....Insomma, In Guerra è un film maturo ed equilibrato, che si prende le responsabilità che il cinema d’autore troppo spesso, in questi anni, ha evitato di affrontare: raccontare la realtà, in modo crudo e senza per forza schierarsi dalla parte di qualcuno, bensì mostrando la situazione nella sua interezza, portando a discussioni piuttosto che a soluzioni preconfezionate. By LUCA PESENTI x cinematown.it
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afantini · 2 years ago
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AFANzine - Ludovisione
AFANzine – Ludovisione
Nati come innovativi fenomeni di attrazione e svago per le masse, prima il cinema e più di recente i videogiochi hanno saputo conquistarsi negli anni una propria dignità artistica ed autoriale. In questa puntata AFAN dimostra come, grazie all’evoluzione tecnologica, i rapporti sempre più stretti tra i due media siano arrivati a prefigurare l’avvento di una nuova e più radicale declinazione…
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claudiotrezzani · 2 years ago
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afnews7 · 4 months ago
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Da domani a Bagheria la X edizione di Animaphix: inaugurazione con il cineconcerto di Sollima sui dipinti di Ushev
Tutto pronto per la 10a edizione di Animaphix – Nuovi Linguaggi Contemporanei Film Festival. La manifestazione, in programma dal 22 al 28 luglio a Bagheria (Pa) presso Villa Cattolica, sede del Museo Guttuso, ancora una volta offrirà il meglio della produzione internazionale di cinema d’animazione autoriale, mostrando la prolificità e vivacità di questa forma di cinema sempre più capace di essere…
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