#che fosse uno stronzo lo si sapeva già
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Ve lo dico, se il Papa, ad uno dei prossimi Angelus, dal balcone urla Addunucchiatev, uomm'n 'e merd!, mi faccio cattolico.
#ormai il Papa è lanciato#che fosse uno stronzo lo si sapeva già#ma almeno adesso ha smesso di avere la lingua nel pulito
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PROVOCAZIONE E VENDETTA
Sapeva che dal parcheggio fino all'ingresso si sarebbero comportati come due sconosciuti, qualche cenno col capo, forse un sorriso con gli occhi e nulla più.
Una volta nell'ascensore la volle stringere e sentire l'odore fra i suoi capelli, lei abbozzò il movimento di un bacio, ritraendosi crudele subito dopo e soffermandosi a un centimetro dalle sue labbra, una delle sue tante provocazioni, un capriccio da fanciulla che andava ripreso e che lo fece sorridere, strappandogli uno sguardo torvo e intenso.
La stanza era colma di tensione calda e rossa, come i divanetti di velluto e il copriletto di broccato. Una stanza fuori dal tempo, un po' barocca e dall'odore antico in cui erano già stati altre volte.
"Hai indossato quello che ti ho chiesto?"
La donna non rispose, in piedi davanti allo specchio, aspettò che fosse lui a scoprirlo, lasciandosi spogliare da quelle mani sapienti.
Una volta nuda, le coprì gli occhi con foulard di seta nera, dello stesso colore e tessuto del corpetto che le stringeva il corpo fin sotto l'ombelico, lasciandole nudo il sesso perfettamente glabro.
La sua presenza alle spalle la faceva fremere di attesa in quel buio artificiale, era pronta a partire per un nuovo viaggio, una delle loro incoscienti cadute nell'ignoto, da cui ogni volta faticava a tornare.
A un tratto il respiro tiepido sul collo le donò piacere, poì sentì ul suo sussurro all'orecchio:"Seguimi e sdraiati...".
Il copriletto non c'era più, sentiva le lenzuola fresche e il cuscino morbido; quando sentì il contatto con il metallo e il rumore del meccanismo che si stringeva, strinse i pugni e appoggiò i polsi ammanettati sul ventre, ansimando appena.
Poteva ancora muovere le braccia, così gli accarezzo il volto ispido, godendosi il primo vero bacio di quella sera, che terminò con un piccolo morso sulle labbra ancora coperte del rossetto carminio, così come le aveva ordinato.
"Non ho ancora finito...", il sussurro la face rabbrividire e il cuore cominciò a batterle di eccitazione e timore.
L'uomo le sollevò i fianchi, facendo passare una cintura sotto il suo corpo. Ora aveva le braccia vincolate, appena sopra i gomiti. Si rese conto di poter muovere solo le mani che restavano appoggiate e in attesa sul ventre, a coprire il sesso nudo e indifeso.
Qualcosa era cambiato, faceva freddo è cominciò a rabbrividire visibilmente, l'uomo doveva aver alzato l'aria condizionata al massimo. Avvertì la pelle d'oca e i capezzoli inturgiditi premevano sul tessuto del corpetto, quasi che il seno volesse ribellarsi a quei piccoli lacci che lo costringevano, rendendolo superbo e colmo di desiderio.
L'alito caldo dell'uomo sul viso le diede sollievo, così come le mani che le accarezzavano le cosce.
"Hai freddo, ti passerà a breve..."
Aveva un tono tra il giocoso e il severo, quel modo di parlare la eccitava, facendole talvolta saltare i nervi. Lui aveva la capacità di intimorirla e attrarla contemporaneamente, creando quella complice tensione che la spingeva in un terreno inesplorato, in cui i suoi giochi perversi non finivano di stupirla.
I brividi di freddo furono amplificati quando cominciò a sentire le labbra dell'uomo percorrerle il corpo, per spingersi fra le sue cosce.
Cominciò a gemere sentendo la punta della sua lingua, inarcò il corpo, trattenendogli il capo con entrambe le mani, in quell'unico movimento che le era concesso.
"Stronzo...me la pagherai"
L'uomo, quando la sentì al culmine del piacere, si divincolò, percorrendole il corpo eccitato con un dito.
"Ora continua da sola, voglio guardarti, un bacio negato va vendicato...".
- Evasioni dell’Anima -
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potevo mai non scrivere una chiellucci ispirata al podcast? certo che no. spero vi piaccia <3
"Oddio, non posso credere che ci abbiano doppiati."
Da dietro il divano, Giorgio si sporse di più verso il cellulare di Leo e rise. Tutto si sarebbe aspettato nella vita, tranne di apparire in un podcast con la voce di Thor.
"A me fa ridere" disse. "Ho sicuramente una voce migliore così."
"Sì ma che cazzo, avevamo i microfoni spenti? Davvero?" sbuffò l'altro, ma non era davvero arrabbiato. Semplicemente, quando c'erano di mezzo lavoro e professionalità, Leo ci teneva particolarmente. Era fatto così.
Giorgio ridacchiò e si sedette al suo fianco sul divano, mettendogli un braccio attorno alle spalle per stare più comodo. In situazioni normali non avrebbero rivisto una loro intervista, ma così era tutta un'altra storia.
"Certo che la voce del Capitano ti sta bene, eh?" commentò, già immaginando la risposta.
"Cos'è, la mia non ti piace?" ribattè infatti Leo, fingendosi indignato. Giorgio rise e gli diede un bacio all'angolo della bocca. Appoggiò poi la testa sulla sua spalla e si mise comodo per guardare il resto della puntata.
Era davvero surreale sentirsi ridoppiati da voci così conosciute, ma dopo un po' ci fece l'abitudine.
Quando arrivarono alla fine, però, notò che Leo aveva corrugato la fronte. "Cosa c'è?" chiese, non capendo questo improvviso cambio di umore dell'altro.
"Non mi piace quando parli così" rispose lui, continuando a guardare il suo cellulare.
Giorgio continuava a non capire. "Così come?" insistette, nel tentativo di capirci qualcosa. Cosa aveva detto di strano negli ultimi minuti?
"Hai detto che sei brutto come la fame e che saresti stato da piangere se non fossi stato un calciatore" disse Leo, come se quelle parole lo avessero offeso personalmente.
Giorgio rimase un momento in silenzio, poi ridacchiò. "Ehi, non tutti possiamo essere sex symbols come alcuni qui presenti" rispose, riprendendo a sua volta le parole usate nell'intervista. Lo aveva detto in tono scherzoso, ma Leo non stava ridendo. Anzi, lo guardò ancora più corrucciato.
"Giorgio, sono serio."
Giorgio sospirò. "Anche io, non ho mica detto una bugia. Non sono certo questa gran bellezza, a differenza tua." Leo sembrava sul punto di volerlo prendere a pugni, quindi si affrettò ad aggiungere: "Non mi dà fastidio, è la verità! Non ho problemi ad ammetterlo!"
Dal muso lungo che gli mise Leo, non sembrava esserne molto convinto. La sua mano andò ad accarezzargli lentamente il petto, poi nascose il viso nell'incavo del suo collo. Il suo respiro gli solleticò la pelle, facendolo rabbrividire. "Se fossi brutto pensi che starei così?" disse con voce roca, avvicinando il bacino alla sua gamba. Era già duro. Giorgio deglutì.
La mano di Leo continuò a muoversi su di lui, accarezzandogli prima le braccia, poi le gambe, poi ritornando al petto, in un movimento circolare, mentre il suo bacino si muoveva con movimenti languidi contro di lui.
"Credi davvero che mi avresti degnato di uno sguardo se non fossi stato un calciatore?" insistette Giorgio, imperterrito, nonostante il fiato si stesse facendo corto e i pantaloni stretti.
Leo si fermò, poi gli affondò le unghie nella carne del fianco. "Se non ti avessi degnato di uno sguardo, sarei stato il più grande povero stronzo della storia."
Giorgio lo strinse a sé. Sapeva che quel commento non era tanto rivolto a lui, quanto a Leo stesso. Lui non era uno stupido, tanto meno un ipocrita: lo sapeva benissimo che Giorgio aveva ragione, che in circostanze diverse Leo non gli avrebbe dato nemmeno una chance, ma anche solo conteplare quello scenario lo faceva arrabbiare con se stesso. Giorgio era la cosa migliore che gli fosse capitata nella vita, il solo pensare di poterlo snobbare gli faceva desiderare di essere punito in qualche modo, di meritare un qualche tipo di penitenza. Si allontanò da Giorgio, ma solo il tempo di spostarsi e mettersi a cavalcioni su di lui. "Scopami" disse, per poi baciarlo.
E Giorgio lo fece.
Dopo, stesi sul letto, in mezzo alle lenzuola sfatte, Leo allungò una mano verso il suo viso. Seguì delicatamente con le dita i tratti di Giorgio, come a volerseli imprimere nella mente. L'altro sospirò, poi gli afferrò la mano e se la portò alla bocca per baciarla. Non disse nulla, ma sorrise. Leo gli si avvicinò e poggiò la fronte sulla sua. Se solo avesse potuto trasmettergli così, senza aver bisogno di parole, quello che provava, come Leo lo vedeva, come era bello ai suoi occhi. Ma non poteva, e Leo non era bravo con le parole. Intrecciò le dita tra quelle di Giorgio e se le portò sul petto, all'altezza del cuore. Giorgio si meritava di avere al suo fianco qualcuno che non gli facesse dubitare nemmeno per un secondo di se stesso, e anche se Leo non era ancora quella persona, sperava di poterlo diventare, un giorno. Perché Giorgio si meritava questo e ben altro.
Finì quindi per fare quello che faceva sempre. Schivare i suoi sentimenti e mascherare tutto dietro la violenza o presunta tale. "Prova a dire un'altra volta che sei brutto e giuro che ti do un pugno. Io non me la faccio di certo con le persone brutte."
Giorgio roteò gli occhi, ma ridacchiò. "Va bene, va bene, non oserò più. Ora però vorrei dormire. Ho una certa età."
Leo lo baciò un'ultima volta. "Buonanotte, Matusalemme" disse, prima di chiudere gli occhi ed addormentarsi, con ancora la mano di Giorgio intrecciata nella sua.
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CAPITOLO 10
“Cazzo marcio! La mia non vuol saperne di accendersi!” Imprecò Schizzo, tenendo in una mano la sigaretta e nell'altra il fiammifero acceso.
“Sfido io che non ci riesci, coglione che non sei altro!” Lo rimbrottò, sghignazzando, Tonino, “Mica è un ramo secco! La devi metter in bocca e tirare, tonto!” Concluse, dando il buon esempio e assumendo quell'aria da scafato che io odiavo. Quella di chi crede di saperla sempre più lunga di tutti. Cercammo comunque di imitarlo. Titubanti e maldestri come un branco di elefanti in una cristalleria.
“Come ti senti?” Chiese sottovoce Bomba, seduto al mio fianco.
“Cosa hai detto?” risposi. Ero concentrato sull'operazione e sulle possibili trasformazioni del mio corpo, a seguito di quella prima, clandestina, fumata.
“Ti ho chiesto: come ti senti?” Domandò di nuovo. Stavolta a voce più alta. Talmente alta che tutti si voltarono a guardarlo e scoppiarono in una rombante risata.
“Che c'è, Bomba? Hai fifa? Guarda che mica devi mangiartela!” Lo provocò Sergetto. Ma si vedeva che pure lui era impaurito. Ce lo aveva scritto in faccia.
“Se era da mangiare, un sol boccone e sarebbe sparita! Anzi, si sarebbe pappato anche le nostre sigarette!” Rincarò la dose il Tasso.
Bomba lasciò scivolare a terra le provocazioni. Era turbato, preoccupato, si, insomma, aveva una fifa della Madonna. Tanto che mi chiese, per la terza volta:“Allora, Pietro, me lo dici come ti senti?”
“Che vuoi che ti dica: secondo me non fa un cazzo! A parte la puzza e la bocca cattiva, sto esattamente come prima. Niente di niente.” Era vero. Non riuscivo proprio a capacitarmi del perché si dovesse fumare. Che gusto ci provavano?
“Ma tu, lo mandi giù il fumo?” Chiese l'insegnante Tonino.
“Giù dove? Dove cazzo devo mandarlo?”
“Nei polmoni, tonto! Dove se no? Nel buco del culo? Davi aspirare, mandare giù, trattenere un po’ il respiro e buttarlo fuori così!” Disse, soffiando fuori il fumo dalle narici. Lo guardammo ammirati ed anche invidiosi. Lui si che ci sapeva fare. Si vedeva che non era la prima volta.
“Come cazzo hai fatto?” Gli chiese il Tasso, fissandolo come a carpirne il segreto.
“E’ facile, butti dentro il fumo e respiri col naso. Puoi farcela anche tu!”
“Se sei capace tu, che sei nato stupido e, crescendo sei pure peggiorato, sicuro che ne sono capace anch'io! State a vedere!” Il Tasso si concentrò sulla parte, diede una gran tirata, ma la parte finale non fu mai partorita. Gli si riempirono gli occhi di lacrime, il viso si accese di un rosso violento e iniziò a tossire come il motore della macchina di mio padre quando è ingolfata e di partire proprio non ne vuol sapere. Quello si che era un bell'effetto! Si alzò in piedi e iniziò a girare in tondo piegato su se stesso. Tossiva e sputava, quasi volesse liberarsi pure dei polmoni in fiamme. Alla fine si vomitò pure l'anima.
“Che schifo!” Esclamò Schizzo, inorridito alla vista di quella scena.
“Che succede, Schizzo? Non dirmi ora che ti fa schifo il vomito!” Chiesi.
“Il vomito no, ma questa bestia ha mangiato i piselli. Guardali lì, sono ancora interi! Io i piselli li odio!”
La prima esperienza con le sigarette fu molto istruttiva. Ci insegnò che…facevano vomitare. Ma non mollammo. Da lì a non molto, saremmo diventati, tutti e sei, dei fumatori incalliti. Avremmo scoperto, sempre a posteriori, che anche il vino poteva far vomitare, e la marjuana e le donne, in qualche caso, tuttavia cercammo sempre, con tutta la nostra volontà, di non farci mancare niente di quanto sopra elencato. C'era quasi da credere che vomito e piacere fossero due facce della stessa medaglia.
“Senti, Tonino, dove le hai sgraffignate le sigarette? Dalla giacca di tuo padre?” Domandò Sergetto.
“Mica voglio morire da giovane! Le ho fregate a mio fratello, Francesco.”
“Cosa?” Intervenne preoccupato il Tasso, che ancora sussultava per la tosse, “Ecco perché ho vomitato! Erano drogate!”
“Che cazzo vai dicendo, idiota?”
“Mio padre dice che tuo fratello è un drogato. E che, prima o poi, si metterà nei guai.”
“Certo che sei proprio uno stronzo, Tasso! E pure tuo padre! Anzi no, forse tuo padre non è stronzo, ma un drogato vero!”
“Drogato si, ma di pippe!” confermò sorridendo Bomba.
“Pipparolo! Pipparolo!” Gridammo in coro. In parte per stemperare la situazione, ma molto di più perché niente era così divertente come prendere per il culo qualcuno.
“Fatela finita! Mio padre non è un pipparolo!” Si difese il Tasso, assumendo la tipica posizione da combattimento del suo spirito guida.
“Se è come dici tu, allora perché tutti lo chiamano Pippo?” Chiese Sergetto. Non mollare mai. Era una delle regole fondamentali del gioco.
“Perché è il diminutivo di Filippo, deficiente che non sei altro!”
“Si, ma perché hanno scelto la parte finale del nome? Ci sarà un motivo! Lo avrebbero potuto chiamare Fili!”
“Fili? Hai mai sentito nessuno con quel nome?”
“Sarà pure come dici tu, Tasso, però la faccia da pipparolo ce l'ha davvero. Eccome se ce l'ha!” Sentenziò Schizzo. E l'ilarità toccò di nuovo il suo picco massimo.
“Non prendertela, Tonino,” Dissi, non appena ebbi riacquistato l'uso della parola. “Lo sai come sono fatti i genitori, no? Si preoccupano di tutto, non va mai bene niente e nessuno. Solo loro sono perfetti. Non sbagliano mai, fanno sempre la cosa giusta. Il Tasso non voleva offenderti.”
“Certo che non volevo offenderti! E non volevo offendere nemmeno tuo fratello. Mi sta pure simpatico. Ride sempre e mi saluta, ogni volta che mi incontra. Ho solo detto cosa ne pensa mio padre. Non volevo farti incazzare!”
“Mi dispiace, Tonino, ma anche mio padre dice che tuo fratello si droga. Ma che vuol dire? Io non lo dico! E neanche lo penso!” Disse Sergetto, avvampando di vergogna,
Tonino lo guardò di traverso, ma non replicò. Era diventato improvvisamente triste. Non aveva più voglia di combattere quella battaglia. Poi sapeva che non era con noi che doveva combattere, Noi eravamo i suoi amici. Stavamo dalla sua parte, perdio!
“Non volevo dirtelo, pure a me dispiace, ma mia madre dice esattamente le stesse identiche cose.” Aggiunse timidamente Bomba.
“E tu, Pietro? Che mi dici?” Mi chiese direttamente, Tonino, ma senza guardarmi in faccia. Conosceva già la risposta. Da qualche minuto era impegnato a gettare pietre nell'acqua, cercando di colpire le foglie dei cerri che viaggiavano in balia della corrente. Dava l'impressione che tutto il suo mondo si esaurisse lì. Mi schiarii la voce, avrei voluto indorare la pillola, ma non potevo. Eravamo amici, meritava la verità, per quanto cruda fosse: “Che vuoi che ti dica? Lo conosci mio padre, lo sai come è fatto. Quando ci si mette è il peggio di tutti. Per lui non solo tuo fratello è un drogato, ma lo sono anche tutti i suoi amici. Drogati e scansafatiche. E quelle tre ragazze che stanno sempre insieme a loro sono tre troiette che te le raccomando!” Avevo vuotato il sacco.
Ci fu un attimo di silenzio lungo una settimana. Tonino lanciò l'ultimo sasso, si voltò verso di noi con gli occhi arrossati dallo sforzo di trattenere le lacrime e disse: “ Lo sapete qual è la cosa che mi fa più incazzare? Che anche mio padre, che poi dovrebbe essere anche il padre di mio fratello, la pensa come i vostri genitori. E, ogni tanto, glielo dice pure! si fanno certe litigate che sembrano non finire mai. Prima o poi, andrà a finire che si ammazzeranno di botte. Anzi, andrà a finire che mio fratello ammazzerà di botte mio padre. E io sarò felice! Perché mio padre è uno stronzo, ma mio fratello è un grande! Ecco cosa penso!”
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Sacrifice, Chapter 25
Pairing: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
Le luci delle sirene della polizia riuscì a vederle da lontano, il cancello principale era aperto e lui parcheggiò di fretta e perfino male, tanto da ottenere una multa ma in quel momento poco gli importava. Scese dalla macchina, sbattendo la portiera mentre Wanda era ancora dentro combattendo con la cintura di sicurezza che aveva indossato prima, per colpa della corsa che James aveva fatto. Lui era appena arrivato sull'uscio della porta, quando iniziò a vedere della roba sparsa già per l'ingresso della casa.
Dei cocci di vetro sparsi per terra e alcune piume di cuscini che continuavano a volare a mezz'aria. Proseguì fino ad arrivare nel salotto, si girò verso la sala da pranzo e solo lì potè vedere sua mamma seduta su una delle sedie con un'infermiera che la stava medicando.
"Mamma..."
"James"
Lui la raggiunse e l'abbracciò facendo attenzione alla fascia che aveva attorno al braccio sinistro. Si abbracciarono e restarono fermi in quella posizione per alcuni minuti, fin quando l'infermiera che era vicino a sua madre poco prima gli disse di staccarsi. E nonostante lui non lo volesse fare decise di staccarsi lo stesso. Se avrebbe fatto il contrario avrebbe iniziato una questione che non sarebbe mai finita.
"Avevi ragione"
"Avevo ragione su cosa?"
"Su quella ragazza, non era come sembrava..."
Lui fece un respiro profondo, stava per mangiarsi le mani a morsi. Sua madre non l'aveva creduto ma non aveva nessuna intenzione a prendersela con lei. Sua madre era solo una vittima, colui che avrebbe dovuto pagare che ciò che aveva fatto, era la stessa persona che ora, in questo momento, in casa non c'era.
"Beh, allora hai scoperto che ti tradiva e tu non mi hai creduto dall'inizio..."
"Vorresti prendertela con me che sono tua madre?"
James si zittì un secondo, rendendosi che stava facendo esattamente l'opposto che si era promesso di non fare. Ora quello che c'era da fare era rassicurarla, era farla sentire meglio e se suo padre non c'era riuscito allora il compito passava a lui. E lo avrebbe portato a termine perfettamente.
"No, non ho nessuna voglia di prendermela con te...ma ho bisogno di sapere perché sono dovuto ritornare a casa di fretta e furia e la ritrovo quasi distrutta. Poi ci sei tu con dei lividi e...mi fai pensare solo al peggio. Allora quello che mi avevi detto l'altra sera non è servito a niente? Dove cazzo è finito l'amore fra voi due? Dimmelo!"
"È complicato James"
"L'avete reso voi complicato, tu e papà. O preferisci che lo chiami quel brutto stronzo che ti ha messo le mani addosso? Lo avete ridotto così a suon di bugie, con cui riempite me e Rebecca dalla mattina alla sera. Lascia che ti dica una cosa...puoi riempire di bugie Rebecca quanto vuoi, ma non voglio che quando si faccia più grande abbia paura dell'altro sesso perché suo padre riempiva di botte sua madre. E non puoi più farlo con me, ho diciotto anni e se volete che cresca, non lo farò come credeva lui, in un'azienda. In un'azienda dove mi sarei dovuto subire quelle stupide smancerie di quella puttana..."
"James..."
"No, niente James mamma. Io ho il dovere, d'ora in avanti di proteggere te e Rebecca cosa che tuo marito non ha saputo fare perché troppo occupato a portarsi a letto minorenni e prendere a botte sua moglie"
Quando lui finì il suo grande sfogo, entrambi sentirono alcuni passi provenire dal piano di sopra e un vociare abbastanza alto da fuori la porta di casa sua. Era cosi concentrato a far uscire la sua rabbia, che aveva dentro di sé da tanto tempo, che non si era accorto che non era solo in casa. E che aveva lasciato qualcuno fuori di essa.
"James?"una vocina da sopra i gradini delle scale di casa sua lo fece girare e poi ritornò con la sua attenzione sull'uscio della porta, dove c'era Wanda che si dimenava ad entrare nonostante i poliziotti continuavano a fermarla.
"Lei è con me...fatela entrare"disse lui sovrastando le voci dei poliziotti.
Wanda mosse i primi passi dentro casa sua. Si avvicinò a loro, stando lontano di poco da James e quando vide l'immagine di sua madre la salutò con un cenno della mano.
Winnifred sorrise leggermente, invece James guardava la scena con un'espressione sconfitta sul viso. Sua sorella continuava a rimanere in mezzo alle scale e subito dopo rivolse uno sguardo di supplica verso Wanda, in quel momento per lui era diventata l'unica speranza. Voleva veramente badare a sua sorella, ma in questo momento aveva bisogno di chiarire la questione con sua madre. Si allontanò con Wanda di poco e le sfiorò il fianco destro con la sua mano sinistra e a quel contatto lei riuscì ancora a sentire quelle strane farfalle nello stomaco.
"Ho bisogno che tu mi faccia un favore..."disse lui guardandola in maniera speranzosa e con quelle pozze profonde blu.
Lei fece prima un respiro profondo, abbassò lo sguardo e poi lo guardò una seconda volta sapendo che prima o poi, più poi che prima, avrebbe perso la testa per quegli occhi.
"Dimmi..."disse lei a voce bassa, che riusci a sentire solo lui.
"Ho bisogno che tu distragga Rebecca, non voglio che si metta in questo casino a meno che quel cretino non l'abbia già messa...ti prego, non farla scendere per nessun motivo"
"Okay, sarà fatto...poi mi dici cosa è successo"
"Non so se ne sarò in grado"
"Se non vuoi parlarne, va tutto bene non ti costringo..."
"Lo so..."
James vide che Wanda si stava allontanando e stava per salire le scale per poter andare al piano di sopra, lei prese la piccola mano di Rebecca e si diressero insieme nella stanza della piccola. Ma prima che mettessero piede lì dentro James richiamò Wanda e lei si girò una seconda volta.
"Grazie per essere venuta...non so cosa avrei fatto se tu non ci fossi stata"
Wanda non ebbe il coraggio di rispondere a parole figuriamoci a gesti, cosi gli fece un piccolo sorriso. Rimasero lì alcuni secondi fin quando lui si girò verso sua madre e lei seguì Rebecca che non entrò nella sua stanza ma in quella del fratello.
"Perché non in camera tua ma bensì in quella di tuo fratello?"
"Quando i nostri genitori litigano, io li sento spesso. Di solito lui non li ascolta perchè ha sempre le cuffie nelle orecchie e così se io li sento entro in camera sua. Non mi molla fin quando non ho preso sonno con le sue storielle"
"Con le sue storielle? Sapevo che giocava con te e le tue Barbie"
"Come facevi a saperlo? Era un segreto, lui non sa mantenerli"
Wanda rise un po' di fronte alla dolcezza della piccola Rebecca, ma decise di andare a difendere il suo compagno di fisica.
"Sei sicura che sia solo di fisica?"si chiese nella sua mente ma lei non badò a quel pensiero.
"Guarda che non è vero! Tuo fratello è davvero bravo a mantenere i segreti ed è anche un ottimo cavaliere"disse lei ricordando il gesto dell'aprirle la portiera e lei solo con quello sorrise.
"Un cavaliere? Forse intendevi un principe azzurro!"
"Okay, si quello. Un principe azzurro"
A Wanda si scioglieva il cuore al solo pensare che un ragazzo come James fosse il suo principe azzurro. Di solito, nelle storie, il principe salvava la fanciulla dalle grinfie del drago o della strega cattiva. E se fosse stato cosi, lei sarebbe stata la principessa, James il principe e il drago quella brutta cosa che aveva? Le faceva paura persino nominare quella cosa che aveva, se non era paura allora era ribrezzo.
"Ma come ogni principe azzurro che si rispetti, lui ha bisogno della sua principessa"
"Già, hai ragione!"
"Credo che quella principessa debba essere tu"disse la piccola avvolgendosi nelle coperte e tenendo stretto quello che doveva essere un koala di peluche.
"Davvero?"chiese lei.
"Si, vedo mio fratello davvero felice con te...tu sei la sua principessa!"
"Rebecca, per l'età che hai credo che corri troppo"
"Forse è vero, me lo dicono tutti. Ma non negare che non sia vero..."
Okay, una bambina di soli nove anni stava per tirare fuori dalla bocca di Wanda quello che nascondeva da un bel po' di tempo a questa parte, ovvero quello che James poteva essere davvero il principe azzurro.
Ma davvero il suo futuro principe azzurro, davvero uno come James avrebbe avuto tutta la forza di saper affrontare un male del genere, come lo aveva lei? Qui non si trattava più di streghe cattive o di draghi che sputano fuoco, ma della vita vera... E per quanto lei potesse negarlo, la piccola Rebecca aveva ragione. Non aveva intenzione di mentire dinanzi ad una creatura così pura come lei ma certamente non l'avrebbe neanche detto apertamente dinanzi a suo fratello, perché se l'avrebbe fatto sapeva che sarebbe andata a finire male. Fra loro due o solo a lei? Questo non l'avrebbe mai saputo se lei non si sarebbe mai dichiarata, giusto?
"Un po' lo è..."
"Visto? Vedi che avevo ragione?"
"Shh, abbassa la voce! Al piano di sotto tuo fratello e tua madre credono che tu stia dormendo o almeno che tu stia per farlo, quindi non urlare..."
"Va bene, non lo faccio più! Allora raccontami una storia...con un principe e una principessa"
Wanda si arrese e si fece convincere dalla dolcezza della piccola che le fece un gesto di venire da lei e stendersi sul letto di James, dove lei poté sentire molto chiaramente il suo profumo. Lei iniziò a raccontare una storia piena di fantasia ma che si rifaceva molto alla realtà e nel mentre che le sue narici si riempivano ancora una volta del suo profumo, Rebecca aveva già preso sonno e insieme a lei anche Wanda. Nel frattempo, al piano di sotto erano rimasti solamente madre e figlio. Ormai i poliziotti e i paramedici erano andati via e le sirene con le loro luci blu avevano finito di infestare la strada. Ma l'unica cosa infestata in quel momento, era la testa di James. Quelle bugie dei suoi genitori, che credeva avessero distrutto il loro matrimonio, erano solo per proteggere lui, sua sorella e persino sua madre. Ma proprio quest'ultima è stata ferita.
"Che intenzioni hai?"chiese lui dopo essersi passato le mani fra i capelli dalla frustrazione.
"Non lo so..."
"Non dirmi che vuoi fare finta che non sia successo nulla, sai che non funziona così..."
Vedendo che sua madre non gli rispondeva, sì alzò dal divano e andò verso di lei accovaciandosi sulle ginocchia. Restò fermo in quella posizione guardando con occhi supplicanti sua madre.
"Mamma, ti prego rispondimi..."
Alcune lacrime uscirono dalle sue pozze blu e con quelle supplicava sua madre di ragionare e di pensare per lui, per Rebecca ma soprattutto per se stessa.
"Chiederò il divorzio"disse lei spezzando il silenzio che si era creato fra di loro.
Ma che in fondo era presente già da tempo.
Lui alzò la testa appena sentì le parole di sua mamma, rimase scioccato e continuò a guardarla con ancora un po' di incertezza.
"Ne sei sicura?"chiese lui prendendole le mani fra le sue.
"Ho bisogno di liberarmi di lui e la soluzione del divorzio è quella giusta..."
"Per quanto possa esserlo, sai bene che non ci metterai così presto a mandarlo via? E poi ce la farai a mantenerci..."
"James...per ora sono sicura della mia scelta, del resto non mi importa"
"Io voglio solo aiutarti"
"Lo farai James, lo so che ci riuscirai..."
Restarono a guardarsi per alcuni minuti con un espressione dispiaciuta che avevano entrambi sul volto. Sua madre provava a rassicurarlo ma James non riusciva a smettere di far fuoriuscire le sue lacrime.
"Cercher�� di essere il meglio solo per te..."
"Tranquillo, non esserlo per me"disse lei sorridendo di poco e quando lui stava per rispondere sua madre parlò una seconda volta.
"Fai in modo che tu sia il meglio per qualcun'altro...ti conviene andare di sopra"
Fece un respiro profondo e si alzò da terra, diede un bacio sulla guancia a sua madre e si allontanò da lei salendo le scale. Appena arrivò di fronte camera sua, aprì la porta e una volta che accese la luce si trovò dinanzi agli occhi la scena più tenera che aveva mai visto. Sua sorella era nel suo letto e avevo stretto fra le sue braccia il pupazzo, che era un unicorno o un koala non cambiava nulla. E dall'altro c'era Wanda, anche lei con già gli occhi chiusi.
Rimase fermo a guardare quella scena e in quel momento pensava a quanto sarebbe stato bello se l'avrebbe vista ogni giorno così. Prese Rebecca e la porto in camera sua, appena la mise sotto le coperte sua sorella si girò sentendo il calore di esse. Lui ritornò indietro in camera sua e stavolta Wanda era girata dal lato del muro, ancora con i suoi vestiti e le sue scarpe addosso. James non badava a quanto fosse scomodo per lei doversi addormentare così ma anche con qualsiasi cosa addosso lui avrebbe voluto che accadesse così ogni volta.
Si stese di fianco a lei dandole le spalle, ma solo dopo si rese conto che così, con lei di fianco, non avrebbe mai preso sonno come si aspettava. Si girò dall'altro lato e lei ancora non si era mossa, lui riusciva solo a vedere la massa di capelli ondulati che coprivano quasi tutto il suo cuscino. Si fece più vicino a lei e con cautela poggiò una mano sul suo fianco.
Lei aprì gli occhi di scatto, si non era vero che stava dormendo. O almeno, era tra veglia e sonno, ma quel minimo contatto la fece svegliare di scatto. La mano di James era ancora ferma lì, senza andare troppo a fondo come se volesse abbracciarla, ma bastò che lei facesse un solo piccolo movimento, ovvero avvicinarsi a lui e subito dopo James l'abbracciò completamente. Lei sapeva perfettamente che non doveva essere lì in quel momento, che sua madre avrebbe urlato fino a farsi sentire in Asia se non sarebbe tornata presto. Ma d'ora in poi sapeva che avrebbe contato su di lui in tutti in sensi.
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Meeting the professor
-Chiudi la bocca, Weisz.- Weisz ammutolì per qualche secondo, poi si riscosse. -Buon giorno anche a te, iena spaziale.- borbottò accennando all'altro un inchino a braccia aperte. Si era appena svegliato e la prima frase che Laguna gli rivolgeva era: "Chiudi la bocca, Weisz." Frugò seccato fra le lenzuola alla ricerca dei boxer, ma non riuscì a distogliere lo sguardo per troppo tempo da Laguna, che si stiracchiava come un gatto con indosso la sua felpa. Solo la sua felpa. E dato era abbastanza larga, creava uno strano effetto su di lui. Gli dava quasi un'aria innocente, con l'inguine a malapena nascosto dal bordo e le punte delle dita che sbucavano dalle maniche. Per non parlare dei capelli in disordine e dell'aria assonnata. Assonnata ma sempre sveglissima quando si trattava di provocarlo dalla mattina. -Buongiorno.- gli disse tirandosi su, per poi scoccargli un bacio sulla guancia e dirgli -Andiamo a fare colazione prima che Rebecca e Couchpo divorino tutto.- Lentamente, ancora intorpidito dal sonno, s'infilò gli slip e i pantaloni, si sistemò la felpa addosso e poi si diede un'aggiustatina a capelli e trucco. Il tutto mentre Weisz si rivestiva a sua volta. Quando Laguna fu pronto, fece per uscire, ma Weisz saltò su. -Aspetta, vieni così?- Laguna inarcò il sopracciglio, poi si guardò. -Vuoi che venga in baby doll e calze a rete?- -No, ma la mia felpa... - Laguna alzò gli occhi al cielo. Eccolo lì, di nuovo... Parlava di culi e tette dalla mattina alla sera, ma quando gli prendeva la mano in pubblico, o faceva qualsiasi altra cosa che metteva in mostra la loro relazione, arrossiva come una mammola. -Ancora?- gli chiese -Sanno che non facciamo solitari la notte.- -Sì, ma... - Laguna represse l'istinto omicida. E dire che si era svegliato bene ed era pieno di tanti buoni propositi. Voleva sfotterlo di meno, coccolarlo di più, fargli capire che amava anche passare del tempo tranquillo in sua compagnia. Stavano insieme da quasi tre mesi, ma Weisz era in qualche modo bloccato. Ne avevano parlato diverse volte. Mettendosi con lui, il biondo aveva messo in discussione tutto se stesso. Era passato dall'essere un donnaiolo incallito a scoprire di essere bisessuale e Lagunadipendente nel giro di poche settimane. Temeva che l'immagine che gli altri avevano di lui finisse per indebolirsi. Lui era quello duro, un ribelle, un uomo di mondo, quello che non deve chiedere. Aveva una visione virile di sé e non era tanto il piacergli un uomo a disturbarlo, quanto il mostrarsi dipendente. Aveva bisogno di trovare un equilibrio e Laguna lo capiva. Perciò pazientava, ma iniziava ad avere bisogno di esternazioni quotidiane, non solo al sicuro della camera da letto. Lui aveva superato la fase dello "Oh santissima Mother mi piacciono gli uomini" praticamente durante l'adolescenza, ma era già un tipetto che se ne fregava altamente del giudizio altrui. Weisz no. Iniziava a sospettare che durante quelle conversazioni non gli avesse detto proprio tutto, che ci fosse ancora qualcosa a bloccarlo, perciò pazientava e aspettava che parlasse. Nonostante l'altro mostrasse poco le sue emozioni, Weisz riuscì a decifrarle comunque. Non gli stava solo dando un dispiacere, lo stava offendendo col suo comportamento. "Sono un idiota... " si disse e gli prese la mano. -Volevo dire che dovrei proprio metterla in lavatrice.- provò a rigirare la frittata. Un maldestro tentativo di rimediare, ma Laguna lo accettò di buon grado e strinse la sua mano. Quando arrivarono in mensa, la ciurma era riunita al completo ed erano tutti su di giri, in particolare Rebecca ed Happy. -Che succede?- domandò Laguna. Quando l'attenzione si spostò su di loro, Weisz s'irrigidì appena e il suo primo istinto fu quello di lasciargli la mano, ma non ci riuscì, perché lo Spirito dell'Acqua gliela tenne ben stretta. Gli altri dedicarono a quel dettaglio e alla felpa ben pochi istanti, quasi impercettibili, erano troppo galvanizzati dalla novità. Infatti, Rebecca rispose subito: -Il professore sta venendo a farci una visita!- Weisz inarcò il sopracciglio. -Quando?- -Chi?- domandò Laguna sedendosi. -Il professor Weisz!- rispose Rebecca. Dopo un attimo di confusione, lo Spirito dell'Acqua fece cenno a tutti di non aggiungere altro e versò il caffè per sé e Weisz. Ne bevve qualche sorso e attese che la caffeina facesse il suo effetto. Poi riuscì a mettere insieme le informazioni in suo possesso, basandosi sui racconti di Jinn, Shiki e Witch. -Capisco.- disse -In pratica la sua versione più intelligente.- Weisz masticò un insulto a mezza voce, poi domandò: -Che ci viene a fare?- -Dobbiamo discutere di alcune cose.- rispose Witch -È chiaro che sappia qualcosa su Ziggy e Pino. È ora di mettere le carte in tavola.- Pino bevette il suo succo, con una crescente ansia ed emozione in lei. Forse i misteri sulla sua memoria sarebbero stati dipanati. La cosa la preoccupava ed emozionava al tempo stesso. -Che tipo è?- domandò Laguna. -Più affascinante di Weisz Junior.- rispose Rebecca. -E più responsabile!- infierì Happy. -Ehi!- berciò il diretto interessato. -Potremmo filmare l'incontro!- soppesò la ragazza. -Non ignorarmi!- sbottò il biondo. Laguna si godette il siparietto con aria rilassata, divertito dalla novità. Incontrare il Weisz adulto e maturo di cui tutti parlavano sempre bene lo incuriosiva non poco. Sarebbe stato solo un po' strano. Come da accordi, incontrarono il professor Weisz su un pianeta nelle vicinanze. Rebecca ed Happy andarono a prenderlo con una navicella per portarlo sull'Edens e quando il trio sbarcò nell'hangar della corazzata, la ragazza e il gatto erano al settimo cielo. -Vedrai, ti piacerà stare qui per un po'!- -Il cibo è buonissimo!- -Magari Sister può fare qualcosa per il tuo braccio!- -Abbiamo delle terme fantastiche!- -Calma, calma!- esclamò quello, arginando gli entusiasmi. Alzò lo sguardo e vide la ciurma al completo che osservava la scena, incuriosita. -Avete messo su un bel gruppetto di amici, eh?- sorrise- -Sì!- esclamarono Happy e Rebecca raggianti. Shiki si precipitò a presentarsi e a dichiarare amicizia, visto che non avevano mai avuto occasione di farlo per bene. Quando il professore gli strinse la mano di buon grado, lui si voltò verso Weisz. -Lui si che è una brava persona.- -Una persona responsabile.- continuò Rebecca, con Happy che faceva da eco. -Ehi, mi sto offendendo!- sbottò Weisz sentendosi toccato. Quando però lo sguardo del professore si posò su di lui s'irrigidì e sentì le viscere contrarsi. Era assurdo trovarsi davanti il sé stesso invecchiato. Un conto era vederlo attraverso uno schermo o un ologramma, dal vivo era tutta un'altra cosa. Era inquietante... E per di più aveva una orrenda stempiatura. E sembrava proprio uno di quei nerd noiosi... se non avesse visto la ragazza coniglio abbracciarlo con i suoi occhi non gli avrebbe dato un soldo bucato. Diavolo, sarebbe davvero finito così? Ok essere un genio, ma aveva una visione più esteticamente figa del se stesso futuro! -Vedo che hai cambiato pettinatura.- esclamò il professore -Oh e questa bellezza... - Weisz trasalì. Quello che il professore aveva chiamato "questa bellezza" non amava essere scambiato per una donzella. Guardò di sottecchi Laguna, aspettandosi che rispondesse a tono o che nel peggiore dei casi massacrasse l'ospite (ma con stile), ma poi l'uomo afferrò le mani dello Spirito dell'Acqua e gli sorrise. -Tu sei il suo ragazzo, vero?- -Cos- -Sì.- confermò Laguna. -Hai fatto la spia!- Weisz accusò subito Rebecca. -Ma non è vero!- Il professore rise. -Ma no, ma no! Conosco i miei gusti e poi si capisce guardandovi!- -Sbrigati ad invecchiare, Weisz Junior, magari ti cresce il cervello.- -Vaffanculo, Laguna. Ok?- Il professore rise. -Decisamente, state bene insieme.- -Ma se si battibeccano in continuazione?!- fece Homura. -Quello non significa nulla.- rispose il vecchio Weisz -Aggiunge un po' di pepe alla cosa, giusto?- -La sua maturità è quasi anomala.- commentò Laguna e Weisz lo trucidò con lo sguardo. In quel momento capì che la permanenza del se stesso del presente sarebbe stata il suo inferno personale. E infatti, fu così. Laguna andava schifosamente d'accordo col professor Weisz. Parlava con lui senza sfotterlo, con educazione, rispetto e complicità. Ascoltava le sue "dissertazioni scientifiche" con grande attenzione e, cosa peggiore di tutte: rideva. Rideva, sorrideva, era schifosamente divertito da lui e sul suo sorriso non sembrava esserci la benché minima ombra di maliziosità. A parte quando si erano messi a parlare di questioni piccanti e il professore gli aveva spiattellato il suo mortale segreto. Lo aveva praticamente venduto! Aveva venduto entrambi!! -Dietro l'orecchio?- soppesò Laguna -Me lo ricorderò.- Oh e se lo aveva ricordato a letto quella notte. -Che fai!- aveva urlato cercando di sfuggirgli. -Non fare così, Junior. Weisz senior mi ha detto che ti eccita se ti leccano dietro l'orecchio.- -Ora che so che te l'ha detto lui non mi eccita più!- aveva cercato di opporsi, di lottare, di staccarselo di dosso, di allontanargli la testa dalla bocca, ma Laguna lo teneva abbracciato saldamente e alla fine la ebbe vinta. Su tutti i fronti. Weisz strinse lo stipite della porta, osservandoli di nascosto e rodendosi l'anima. -Che stai facendo?- domandò Shiki, facendolo saltare sul posto. Non l'aveva sentito arrivare, -Nulla.- mentì. Jinn, che era con lui e Homura, scoccò un'occhiata all'interno e capì immediatamente il problema. Accennò un mezzo sorriso. -Smetti di ridere!- -Stiamo andando ad allenarci.- disse Homura -Vuoi venire con noi?- Weisz fu per rifiutare l'invito, quando udì la risata cristallina di Laguna. -Sì, meglio!- ruggì, Non era solo gelosia. Era incazzato nero perché Laguna sembrava fare gli occhi da cerbiatto morto al se stesso del presente, quando era LUI il suo ragazzo. Se voleva un tizio maturo poteva non sedurlo dall'inizio. Personalmente lo vedeva come un comportamento da stronzo, ma sapeva benissimo che se fosse entrato in cucina in quello stato, non ne sarebbe uscito vincitore. Gli avrebbero riso dietro insistendo che le sue erano solo paranoie dettate dalla gelosia. Poteva già sentire la voce dell'altro dirgli -Cresci Weisz Junior- E santa Mother non aveva voglia di stare lì a guardare quei due fare i piccioncini. Si sentì derubato di tutto. Da se stesso. La vita era davvero stronza... Al poligono le cose non andarono meglio, dato che non riusciva a concentrarsi. Non beccava un bersaglio neppure pagandolo. Andò tutto così storto che era sicuro non potesse esserci giornata peggiore per lui. Alla fine, frustrato, lanciò il fucile a terra e gli diede un calcio, poi si sedette a terra, la testa fra le mani. Homura gli si avvicinò, con la spada d'Ether poggiata sulla spalla e fissò il bersaglio a cui aveva mirato. -Sei geloso, eh?- -Non hai proprio filtri, eh?- rispose piccato. Homura scosse il capo. -Le parole sono importanti. Se vuoi dire qualcosa a Laguna, devi dirgliela. Se vuoi fare qualcosa, fallo.- Weisz alzò il capo e la fissò. -Se aspetterai ancora, prima o poi... - -Non aggiungere altro.- la interruppe stringendo il pugno. -Lo so. Dannazione, lo so!- Sapeva cosa doveva fare, lo aveva sempre saputo, ma aveva sempre liquidato quella risposta, lasciando che il tempo sistemasse da solo il tutto, senza sforzo. Senza aggiungere altro, corse in mensa, da Laguna, perché aveva delle cose da dirgli. Cose importanti, prima di perderlo stupidamente. Laguna sorseggiò il suo cocktail azzurro. Il professore accanto a lui era un bell'uomo e poteva facilmente riconoscere i tratti di Weisz. Era una cosa assurda parlare con la versione invecchiata del suo ragazzo, ma interessante, quasi eccitante. Weisz Senior era un uomo carismatico, di mondo, era divertente e non temeva di esprimersi. Laguna poteva cogliere quella scintilla di sicurezza in Weisz solo in alcune occasioni, per il resto lo trovava molto insicuro e questo nonostante il biondo si nascondesse dietro una facciata da teppista scassacazzo. Sapeva benissimo che il più giovane stava crescendo, mentre il vecchio aveva già fatto le esperienze che lo avevano maturato, eppure... -Rebecca mi ha accennato qualcosa.- iniziò ad un tratto il professore, pensieroso -Riguardo te e quei due fratelli.- Laguna tacque, aspettando un discorso che già conosceva. -Eravate fra gli uomini di Drakken Joe... - -Sì.- non mentì, tanto era inutile. -Tu sai cos'ha fatto?- Laguna gli guardò il braccio. Il professore sollevò l'arto meccanico. -Non solo questo.- Si sorprese. -Sai che... - -Ad un certo punto ho scoperto che era stato lui ad uccidere mia madre e non una malattia.- confermò l'uomo con aria grave -Ma non mi sono vendicato. Avrei buttato al vento la mia vita, perché non avevo la forza. Invece, questi ragazzi... il destino è qualcosa di ironico e grandioso, non trovi?- Lo Spirito dell'Acqua non rispose, si limitò ad annuire. Il professore continuò il discorso. -Pensa che sorpresa, scoprire che il me del passato, con ancora fresca la memoria di sua madre sul letto di morte, è riuscito ad innamorarsi di uno degli Elementi di DJ Zombie.- La sua aria era diventata tremendamente seria. Laguna poteva percepire col proprio Ether un mutamento in lui. Dopotutto l'acqua è presente in gran parte del corpo umano e lui la sentiva, anche se meno chiaramente di come poteva sentire Drakken Joe quando il legame alchemico era attivo. -È stato qualcosa che nessuno di noi due si sarebbe aspettato.- disse, in guardia. -Ah, ma non è un problema!- esclamò il professore -Dopotutto non è la mia vita questa.- -Bene.- fece Laguna, alzandosi in piedi per andarsene. Finì di bere il cocktail e rimise il bicchiere sul bancone. -Perché non avresti comunque il diritto di scegliere per la sua.- disse. Il suo sguardo serio fece sorridere il professore, che si alzò in piedi superandolo di una spanna. -Tagliente come una lama... è una cosa che mi è sempre piaciuta.- Avanzò, intrappolandolo fra sé e il bancone. Laguna lo allontanò, ma non riuscì a spostarlo di molto. Sembrava insospettabilmente solido per essere attempato. Il professore gli prese il polso col braccio meccanico. -Che diavolo stai facendo?!- lo fulminò lo Spirito dell'Acqua, ragionando se usare Tears Lover o meno. -A differenza dell'altro me, io non sono mai stato con un uomo, non ho mai provato. Voglio capire cosa mi sono perso.- -Beh, trovati un bordello spaziale.- cercò di liberarsi Laguna, ma inutilmente. -Andiamo, sono sempre Weisz. Fra una cinquantina d'anni sarò così, quindi puoi approfittarne per fare un salto sul futuro.- Era la peggior frase d'abbordaggio che avesse mai sentito... era talmente shockato che non reagì in tempo quando le labbra dell'altro s'impossessarono delle sue. Si divincolò, ma senza grande successo e quando il professore lo spinse ancora di più contro il bancone si sentì davvero in pericolo. Ok, era ora di passare alle maniere forti. Attivò Tears Lover e cercò di pestargli il piede con forza, ma non ci riuscì. -Che sta succedendo qui?- Impallidì. Con la coda dell'occhio, vide Weisz sulla porta, che li osservava con gli occhi spalancati. A quel punto, il vecchio professore parve abbassare la guardia e lui ne approfittò per pestargli il piede. Quello urlò, ma non lasciò la presa. -Weisz, posso spiegarti.- si affrettò a dire lo Spirito dell'Acqua, ma l'altro replicò: -Non c'è niente da spiegare!- disse serio e avanzò a passo di carica verso di loro con i marchi dell'Ether sul braccio. Afferrò la mano meccanica del professore che in un istante si scompose e ricompose in un ammasso informe. -Giù le mani dal mio ragazzo.- ordinò Weisz con aria omicida, per poi afferrare un incredulo Laguna e allontanarlo dall'altro e portandoselo alle spalle. -Ahiahiahiahi... -borbottò il professore, ancora dolorante a terra. Weisz continuò a stringere il polso di Laguna. -Weisz, da quanto... - -Sono appena arrivato.- disse secco, poi lo tirò via -Andiamo.- Laguna lo seguì, leggermente rosso in volto e molto, molto colpito. -Ora puoi lasciarmi la mano sai... - -No.- si oppose Weisz. -Prima non ho sentito bene.- Lo vide arrossire fin sulla punta delle orecchie e borbottare qualcosa. -Cosa?- Weisz si fermò nel corridoio e ripeté a voce più alta. -Giù le mani dal mio ragazzo.- A quel punto sarebbe dovuta arrivare la battuta, ma Weisz non diede tempo all'altro di dire niente, perché si voltò di scatto e gli afferrò le spalle. -Ok, Lovely, apri bene le orecchie:- iniziò, ricordando le parole di Homura -Non sono mai riuscito a dimostrartelo apertamente come avresti voluto. Sono stato egoista e codardo, ma ciò non cambia il fatto che ti amo!- Lo scandì a voce alta e probabilmente mezzo equipaggio lo aveva sentito, infatti, poteva vedere alcune teste far capolino, incuriosite dal tafferuglio. Weisz si sentiva abbastanza imbarazzato, ma anche felice di essere finalmente riuscito a dire una cosa così... semplice. Laguna restò semplicemente secco lì. Il biondo aspettò la sua reazione con grande ansia, ma con sua sorpresa, lo Spirito dell'Acqua lo baciò. -Anch'io, Arsenal.- Weisz sentì un grosso groviglio sciogliersi nel suo stomaco e ricambiò velocemente il bacio. Si guardarono negli occhi e le loro mani s'intrecciarono. Riunirono le bocche in un bacio più lungo e dolce, accompagnato da carezze sui volti arrossati. Quando si separarono, Weisz continuò a tenere stretta la mano di Laguna e lo accompagnò nella propria stanza senza fare scenate davanti agli altri, anzi, si tirò Laguna stretto a sé e non lo lasciò neppure quando furono soli, al riparo da sguardi indiscreti nella propria camera. Si appoggiarono alla parete, in preda alle effusioni. Le loro mani si separarono solo per cercarsi lungo i corpi e sotto i vestiti. Le labbra s'incontravano fra un bacio e l'altro sulla pelle del collo e delle spalle e le voci mutarono in sospiri, mentre i bacini si sfregavano. -Laguna... - sospirò Weisz, sentendo la propria virilità indurirsi. -Weisz... - Lo Spirito dell'Acqua gli mise una mano dietro la nuca e lo strinse a sé. Gli sollevò la felpa e scoprì il petto, per stuzzicargli l'addome. Weisz sussultò, mentre Laguna scendeva lungo i suoi addominali, solleticandogli l'ombelico con baci delicati. Gli calò appena i pantaloni per liberargli il sesso e prese a dare piacere anche a quello. Weisz si strinse contro la parete aggrappato alle spalle dell'altro, mentre quello glielo prendeva in bocca e gli regalava la fellatio più intensa che ricordasse. In preda alle sue labbra, Weisz non riuscì che a godere e restò con le spalle al muro ad ansimare e gemere. Ad un tratto, Laguna gli sollevò le gambe e con una manovra rapida riuscì a mettersele sulle spalle, inchiodandolo fra sé e la parete. Weisz affondò le dita nella sua chioma azzurra e gemette sonoramente, per tutto il tempo, in preda a quella bocca che sembrava più quella di un mostro prodigo di lussuria. Laguna succhiò e pompò il sesso del biondo ad un ritmo che sapeva l'avrebbe fatto impazzire. Sentiva il piacere incendiargli il basso ventre e i gemiti di Weisz, le sue mani e le sue gambe che si irrigidivano e contraevano su di lui, ogni suo sospiro. Lo stava portando alla deriva. Gli dava piacere al ritmo della sua voce, gli dava piacere per darsene a sua volta, solo il sentire Weisz godere così tanto gli mandava tutto il sangue fra le gambe. Aveva un'erezione dura e dolorante che gli premeva contro gli slip e i pantaloni attillati. -Lag... - Weisz annaspò, gli occhi liquidi di lussuria. Laguna aumentò la velocità delle pompate e lui s'irrigidì, con le punte dei piedi incurvate verso l'interno e le dita delle mani strette fra i capelli dell'altro. Si svuotò nella sua bocca, travolto dall'orgasmo. Poi restò accasciato contro la parete, con ogni muscolo del corpo intorpidito. Laguna si staccò da lui e inghiottì il suo seme, per poi ripulirsi di quello rimastogli sul viso. Lo fece scendere, sedendolo sulle proprie ginocchia. -Tu... sei... un mostro... - sussurrò Weisz. -Lo prendo come un complimento.- rispose dandogli una pacca sulla testa, per poi sussurrargli all'orecchio -È colpa tua... mi hai salvato... assumiti le tue responsabilità... - -Sarà fatto.- sogghignò il biondo e gli premette la mano sull'erezione. Laguna si morse il labbro, mentre col bacino si spinse contro il suo palmo. -Andiamo sul letto.- gli fece Weisz, passandogli una mano intorno alla vita e tirandolo su in piedi. Si lasciarono cadere sulle lenzuola e ripresero da dove avevano lasciato. Weisz si liberò dei pantaloni che aveva ancora infilati ad una caviglia e posizionandosi su Laguna, gli calò la lampo, per liberargli il sesso gonfio e turgido. Laguna si accomodò meglio sul materasso, stringendo il lenzuolo fra le dita. Weisz gli prese in mano l'erezione e iniziò a masturbarlo, mentre con l'altra mano, s'insinuava fra le sue natiche per prepararlo. Laguna inarcò la schiena nel sentire l'intrusione. Weisz aveva imparato piuttosto in fretta ciò che lo faceva impazzire e stava applicandosi con impegno a farlo uscire di testa. -Piano... -protestò. Di quel passo sarebbe venuto prima della penetrazione vera e propria. Weisz rallentò il ritmo e cercò di risvegliare il proprio sesso, che si era appena ammorbidito. Non fece una grande fatica, vedere Laguna con le guance imporporate e gli occhi languidi, bramoso di essere posseduto, l'avrebbe fatto rizzare a chiunque. Lo Spirito dell'Acqua si sollevò sulle ginocchia, alla sua altezza e sostituì la propria mano a quella del biondo, così che quello si dedicasse solo a prepararlo. Appoggiò il capo contro la sua spalla e sospirò profondamente, mentre le dita di Weisz affondavano in lui. -Weisz... - mormorò quando sentì di non resistere più -Va... - sospirò -Bene... così... - Weisz lo distese sul lenzuolo e s'inserì fra le sue gambe, portando il proprio sesso, di nuovo turgido e pulsante, a premere contro la sua intimità. Laguna si strinse fra le lenzuola e strinse i denti mentre entrava in lui. Weisz si mosse, affondando il proprio sesso in tutta la sua lunghezza e strappandogli alti e sonori gemiti. In quel momento non sentirono il bisogno di farsi battutine o di istigarsi, andava bene così, quel momento era perfetto così. Weisz continuò a spingere e Laguna strinse le gambe intorno al suo busto, inarcando la schiena ad ogni spinta, fino a quando non raggiunse l'orgasmo e il nome di Weisz gli sfuggi alto come un lamento, un grido d'immenso bisogno. -Mi sento tradito.- sbottò Weisz. -Esagerato.- ribatté Laguna -È solo una tazza di caffè.- Weisz osservò la suddetta tazza venir portata alle labbra dall'altro. Il pomo d'Adamo di Laguna andò su e giù mentre la bevanda nera veniva inghiottita. Il tutto con una lentezza rituale da brivido. -Solo tu bevi il caffè così.- -Uno che fa colazione con latte affogato nei cereali non può capire.- replicò lo Spirito dell'Acqua incrociando le gambe. Erano seduti entrambi sugli sgabelli della mensa. Quella mattina, ancora una volta, Laguna aveva preso la felpa di Weisz, che di contro aveva indossato la sua maglia a scacchi. Dopotutto non era stato male quanto accaduto la sera prima, se quello era il risultato. -Io almeno ci faccio colazione.- ribatté Weisz girando il cucchiaio nella sua tazza -Non un porno.- Laguna quasi sputò il caffè che aveva in bocca. -Un cosa?- Weisz mise su la sua miglior imitazione dell'altro. -L'aroma forte e robusto di questa miscela speziata ti avvolge voluttuosamente il palato, pervadendoti con la sua intensità travolgente. Seriamente. Mai visto un porno caffè così... - -Beh, di sicuro è sempre meglio di fare dei porno cereali... mi passa la voglia solo a vederli.- -Sicuro?- Weisz prese un fiocco al mais dalla scatola e se lo mise fra le labbra. -Sicuro, Lag?- domandò agitandolo a pochi centimetri dal viso. Laguna socchiuse gli occhi. -Hai vinto solo per questa volta.- borbottò prendendoglielo di bocca coi denti e poi baciandolo. -Sono lieto di vedervi andare d'amore e d'accordo.- La voce del professore li interruppe. I due si girarono verso di lui, infastiditi. -Restate, restate!- fece quello a mani alzate -Non interrompete il vostro corteggiamento mattutino per me.- -Che diavolo vuoi?- sbottò Weisz saltando giù dallo sgabello e avanzando verso di lui. Laguna rimase fermo alle sue spalle, scrutando l'uomo per capire cosa volesse. -Non ti è bastato ieri?- Il professore si guardò il braccio meccanico. Era tornato normale. -Direi di sì.- ammise -Ci sei andato giù pesante.- -Voglio ben vedere.- -Giù le mani dal mio ragazzo.- esclamò con enfasi il professore -Non ti senti libero adesso?- -Eh?- Weisz sbatté le palpebre. Laguna si mise una mano sulla fronte. -Non... dirmi che... - -Lo hai fatto apposta!?- trasalì il biondo. -Di niente.- rispose il professore, riempendosi una tazza di cereali e caffellatte e togliendo le tende. -Quando volete!- Se ne andò ridacchiando, lasciando i due immobili come stoccafissi al bancone. -Non ci credo... -borbottò Laguna -Mi sono fatto prendere per il culo da un Weisz attempato... - -Ehi!!- sbottò Weisz, sentendosi toccato -Non dirlo come se fosse un'offesa!- Laguna ribatté e Weisz replicò a sua volta. Quando Shiki e gli altri entrarono a fare colazione, i due stavano ancora lanciandosi frecciatine più o meno esplicite. Weisz vide che gli altri li guardavano e guardavano i loro vestiti, ma li ignorò altamente. Come aveva potuto essere così timoroso nei confronti di quella che poteva considerare la sua famiglia? -Dannazione, sto perdendo colpi.- si autocommiserò Laguna. Weisz sentì come una freccia trafiggerlo. -Te li do io due o tre colpetti!- esclamò infastidito. -Quando vuoi.- rispose Laguna con un sorrisetto sensuale da schiaffi. Weisz tacque. "Mi ha appena fregato... " Almeno gli restava la consapevolezza.
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[ FREDRIK E DAPHNE ] #Ravenfirerpg
Fredrik non sapeva cosa fosse quella donna per Kurt. Il fatto era che, dopo essersi documentato su di lui, aveva scoperto che questa Daphne conosceva Kurt. Amico, collega, vicino di casa.. non importava il legame che avessero. Si, perchè il Berg era più che altro concentrato sull'obbiettivo, ovvero quello di smascherare Kurt una volta per tutte. Se fosse dipeso da lui, lo avrebbe già ucciso, ma sinceramente c'erano delle persone che avevano bisogno di sapere chi era davvero quell'uomo, ragion per cui Fredrik, doveva avere un approccio differente e soprattutto, essere paziente. Aveva smesso però di indugiare.
Aveva aspettato che la ragazza che stava cercando rientrasse a casa e una volta averla vista sull'uscio della porta, pronta ad entrare, scese dalla macchina e si avvicinò velocemente a lei. Era buio e fortunatamente in quella via, le strade erano abbastanza deserte.
< Buona sera.. >
Disse alle sue spalle, mentre attendeva che lei si girasse. Avrebbe provato con le buone all'inizio, ma sinceramente se lei avesse cercato di fargli perdere tempo, lui sarebbe subito passato alle maniere pesanti. Voleva informazioni e lei poteva aiutarlo ad ottenerle.
Daphne Adamantine G. Shape
Erano giorni controversi quelli che stava vivendo la veggente, governati da apatia e altri da un'ansia che non le apparteneva. Sembrava che i giorni felici fossero un lontano ricordo, il suo essere così spensierata era un passato che sperava di riottenere, ma nel frattempo non poteva fare altro che ritornare a poco a poco alla sua vita di tutti i giorni. I giorni di vacanza apparivano come una manna dal cielo in quel momento, il bisogno di staccare e non stare in mezzo alle persone sembrava essere divenuto fondamentale per Daphne, e quando giunse alla porta d'ingresso dovette raccogliere tutte le proprie forze prima di entrare. Fu però la voce roboante di un uomo a distrarla, a farle girare di scatto il capo e far sì che ogni pensiero fluisse da lei. Appariva mastodontico ai suoi occhi, i capelli biondi che davano un aspetto falsamente angelico perché erano i di lui occhi ad inchiodarla. Sentiva il cuore battere incessantemente, dominato da un paura che non aveva nulla a che fare con la sua presenza quando al suo passato. « Mi ha spaventato... » Replicò con un tono sommesso, privo di quella vitalità che l'aveva sempre contraddistinta. Daphne si ritrovò ad inspirare ed espirare un paio di volte prima di calmarsi e razionalizzare così quell'incontro. « Ha bisogno d'aiuto? »
Fredrik Alexander Berg
Fredrik osservò la ragazza per qualche istante, rimanendo in silenzio. Era strana. Ovviamente era spaventata, ma c'era dell'altro. I suoi occhi erano spenti, come se oltre alla paura che provava a causa sua, ci fosse dell'altro. In ogni caso non gli importava, ogni persona doveva affrontare alcuni momenti particolari della vita. Bisognava solo capire come gestirli. Ma forse, essere occupata in qualcos'altro, l'avrebbe aiutata. Sorrise e guardò la casa dietro la ragazza. Poi di nuovo lei. < Dovrei parlarti, perché mi serve che tu faccia qualcosa per me. Non mi inviti ad entrare? > Chiese mentre la osservava. Lo sguardo freddo, come sempre. La vittima poteva essere qualsiasi altra persona, ma per qualche strana ragione, Fredrik aveva scelto proprio lei. Forse Daphne doveva ritenersi fortunata. < Mi chiamo Fredrik Berg, tu sei Daphne, lo so. So molte cose di te. So che studi psicologia. So che sei una veggente. E so altre cose, ma non credo che sia il caso di continuare ad elencarle. > Concluse successivamente, quando senti il suo respiro mozzarsi e il cuore iniziare a battere più forte. Era paura quella e lui, era assetato di paura.
Daphne Adamantine G. Shape
Il cuore sembrava battere sempre più forte all'interno del suo petto, come se potesse schizzare fuori da un momento all'altro, eppure continuava ad osservare i capelli biondi dell'uomo come se fossero quelli di angelo. Doveva tuttavia capire se non fosse un angelo della morte. Impiegò istanti preziosi dopo averlo ascoltato per capire realmente ciò che stava dicendo. La paura si stava impadronendo di lei, schiacciata da una forza che la stava per mettere in ginocchio mentre capiva che diavolo volesse l'uomo. « Io... Come fai a sapere tutto questo di me? » Preoccupazione mista a paura stavano prendendo il sopravvento sull'amico della veggente, la quale osservava l'uomo incuriosita in egual misura, domandandosi che cosa mai lei potesse sapere. Aveva sempre vissuto una vita pressoché normale, certo la storia di sua sorella era una ferita ancora aperta in qualche modo, ma mai aveva fatto chissà che cosa. « Puoi parlarmi qui fuori... »
Fredrik Alexander Berg
< Perchè se mi serve qualcosa io devo ottenerla e per farlo, devo conoscere la persona che sto per minacciare. Non credi? > Chiese mentre la osservava. Era davvero uno stronzo e sapeva bene di esserlo. Quello che faceva era pericoloso, ma anche necessario. In verità poi Fredrik non voleva minacciare Daphne, voleva solo che lo aiutasse con una cosa e che non rifiutasse. Fredrik voleva chiudere quella faccenda che andava avanti ormai da due anni. Era stanco, voleva tornare a respirare. Avrebbe fatto di tutto affinché questo accadesse. < Va bene. > Acconsentì successivamente, anche se gli bastava afferrarla per il braccio e spingerla dentro, ma qualcuno gli aveva consigliato di comportarsi in modo gentile, quindi ci stava provando. < Si tratta del tuo vicino, quello. > si voltò e indicò la casa che si trovava di fronte a quella di Daphne. < ... domani sera devi invitarlo a casa tua e fare in modo che ci resti per qualche ora. Riesci a farlo? Tranquilla, è talmente idiota che non ricollegherà tutto a te. > Spiegò brevemente il suo piano e attese che lei rispondesse. Era importante che lei accettasse, in qualche modo.
Daphne Adamantine G. Shape
Ad ogni secondo che passava, sentiva il cuore battere sempre più forte e solamente quando sentì quelle due semplici parole la veggente tirò un sospiro di sollievo. Sollievo, tuttavia, che non doveva essere chissà che, soprattutto perché entrambi sapevano che se l'uomo avesse voluto prendersi ciò che voleva lo avrebbe fatto dentro o fuori la sua abitazione. Inspirò un paio di volte, sbatté le palpebre per mettere a fuoco il biondo e volse lo sguardo verso la casa del suo vicino. « Michael? » Domandò la veggente aggrottando appena la fronte. Non sapeva che cosa avesse fatto il giovane, ma di certo la veggente non aveva alcuna intenzione di mettersi in mezzo. « Che cosa vuoi da lui? Sta fuori tutto il giorno, spesso con turni che ammazzerebbero chiunque... Dubito che possa accettare. E anche se ti dicessi di sì, perché dovrei farlo? » Ora era la curiosità a parlare, a lasciare che si insinuasse l'idea che potesse realmente accettare quella stramba richiesta. Stava correndo il filo del rasoio in quel momento, le sarebbe convenuto accettare semplicemente, ma sapere cosa vi era sotto era più stimolante, ecco.
Fredrik Alexander Berg
Fredrik alzò gli occhi al cielo e successivamente li riabbassò per tornare con lo sguardo sulla donna. Ecco perché passava sempre alle maniere forti, perché ogni volta che provava a chiedere qualcosa in modo tranquillo, finiva sempre per perdere tempo ed energie. Erano tutti così. Si trovavano davanti una persona che sembrava disposta a collaborare, e pensavano di poter fare tutte le domande che volevano. < Senti, mi serve entrare a casa sua e basta. Le domande non sono ammesse. Ti consiglio però di guardarti le spalle perché non è una persona del tutto positiva. Sai potrebbe entrare una notte a casa tua e ucciderti senza darti il tempo di riaprire gli occhi. > Disse successivamente mentre si sistemava il cappotto. < Fallo e basta Daphne Shape. > Concluse. Fredrik non era un uomo che si faceva fregare facilmente, e quel vicino di casa di Daphne, aveva provato a farlo. Non sarebbe accaduta una seconda volta. Certo, avrebbe potuto benissimo affrontarlo, ucciderlo, ma stava cercando di cambiare. Di non chiudere i problemi uccidendo e basta. < Fallo e mandami un messaggio. Tranquilla ti faccio avere io il mio numero. Presto. >
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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The one with the cinema
Fabrizio sbuffò rumorosamente, senza preoccuparsi di nascondere il proprio disappunto.
Odiava quando capitavano contrattempi di quel tipo, quando faceva dei programmi che poi puntualmente venivano sconvolti per colpa del suo lavoro.
Avrebbe dovuto passare quella giornata con Ermal, si erano messi d'accordo settimane prima. E poi però era stato contattato dal suo staff, che gli aveva comunicato di aver anticipato le riprese del video di un giorno per problemi tecnici.
Fabrizio non aveva nemmeno voluto sapere quali fossero quei problemi.
Aveva cercato di far capire a tutti che lui proprio non poteva quel giorno, ma non c'era stato modo di convincerli.
Alla fine aveva dovuto rinunciare ai suoi programmi.
"Smettila di fare così" disse Ermal.
Fabrizio gli rivolse un'occhiata ma non rispose.
Era ovviamente felice che Ermal avesse deciso di accompagnarlo, almeno avrebbero passato del tempo insieme tra una ripresa e l'altra, ma non era così che avrebbe voluto trascorrere quella giornata.
"Avevo dei programmi per oggi e sono andati tutti a puttane" rispose Fabrizio sempre più scocciato.
"Oh, andiamo, di quali programmi parli? Conoscendoti, avevi programmato di stare a letto tutto il giorno a guardare Netflix" scherzò Ermal.
"Beh, non solo Netflix. Avrei guardato anche te, e soprattutto certe parti di te che nessun altro può vedere" rispose Fabrizio facendo scivolare lentamente lo sguardo lungo il corpo di Ermal.
Nelle settimane precedenti avevano davvero avuto poco tempo per stare insieme e Fabrizio non si vergognava ad ammettere di sentire la necessità di fare l'amore con il suo fidanzato.
Cosa che, ovviamente, quel giorno non avrebbe potuto fare.
Ermal si morse il labbro inferiore, poi con un sorrisetto malizioso disse: "Forse possiamo divertirci lo stesso."
Se inizialmente Fabrizio non aveva capito cosa volesse dire Ermal, dopo appena qualche minuto era diventato più che ovvio.
La prima parte del video doveva essere registrata in macchina. Fabrizio avrebbe dovuto cantare le prime strofe della canzone, fino all'arrivo ad un cinema.
Da lì avrebbero dovuto poi spostarsi all'interno di un altro cinema - per le riprese interne, il regista aveva preferito una sala più grande rispetto a quella del cinema scelto per la ripresa esterna - e lì avrebbero girato il resto del video.
Non appena Fabrizio salì in macchina per registrare la prima parte, sentì il telefono vibrare nella sua tasca.
Ermal gli aveva mandato un messaggio - cosa che lo stupì, visto che Ermal era insieme a lui quel giorno - e, visto che le riprese non erano ancora iniziate, Fabrizio ne approfittò per leggerlo.
Quanto sarebbe bello se io ora fossi seduto accanto a te, con la faccia tra le tue gambe...
Fabrizio si guardò intorno, quasi impaurito che qualcuno potesse aver letto il testo del messaggio anche se era consapevole di essere solo.
Infilò il cellulare in tasca e sospirò, mentre cercava di togliersi dalla mente l'idea di Ermal che gli faceva un pompino in macchina.
Cosa praticamente impossibile, perché più cercava di dimenticarlo, più ci pensava. E più ci pensava, più sentiva i pantaloni tirare.
Di quel passo non sarebbe arrivato vivo a fine giornata.
Furono necessarie il doppio delle riprese che erano state previste, a causa della poca concentrazione di Fabrizio.
Continuava a distrarsi, a sbagliare le parole della sua stessa canzone, a fare movimenti diversi da quelli che erano stati programmati. E Fabrizio sapeva benissimo per quale motivo era stato così distratto durante tutte le riprese.
"Sei uno stronzo" disse rivolto a Ermal, mentre lo raggiungeva dopo essere sceso dall'auto.
Ermal sorrise e sollevò le mani in segno di resa. "Io non ho fatto niente!"
"Per ora."
"Che vuoi dire?"
Fabrizio si strinse nelle spalle e disse: "Ma niente, solo che ora dobbiamo spostarci al cinema per le riprese. Dieci minuti di viaggio in macchina. Sono certo che saprai come sfruttarli."
"Bizio, dai, non possiamo" disse Ermal.
Sapeva che ormai praticamente tutto lo staff era a conoscenza della loro relazione, ma questo non voleva dire che poteva mettersi a fare cose con Fabrizio sui sedili posteriori di una macchina, mentre si spostavano verso il cinema.
"Oh, sì che possiamo! C'è un vetro scuro che divide il posto del guidatore dai sedili posteriori. Non ci vedrà nessuno."
"Bizio..."
Ma Fabrizio non lo considerò minimamente. Si avviò verso la macchina, seguito da Ermal un attimo dopo.
Non che a Ermal dispiacesse quella situazione, in realtà.
Anzi, era intrigato da tutta quella faccenda, dal fare cose che in realtà non avrebbe dovuto fare - non in quel momento, almeno - e non poteva negare che il luccichio malizioso che aveva visto negli occhi di Fabrizio lo avesse in un certo senso acceso.
Salì in macchina, constatando che Fabrizio aveva ragione: c'era davvero un vetro scuro che divideva i sedili posteriori dal resto dell'auto.
Fabrizio lo osservò in silenzio mentre si guardava attorno titubante, poi appena la macchina partì disse: "Guarda che prima scherzavo. Non voglio davvero combinare qualcosa qui, non se tu non ti senti a tuo agio. Lo sai, vero?"
Ermal sorrise di fronte alla preoccupazione del compagno. Era sempre estremamente attento nei suoi confronti, sempre pronto a rispettare i suoi tempi e le sue decisioni.
"Lo so" disse Ermal. Poi si avvicinò a Fabrizio e gli sussurrò all'orecchio: "Ma non ho mai detto di non volerlo fare."
Fabrizio non ebbe il tempo di rispondere.
Ermal si era appropriato del suo collo, baciandolo facendo attenzione a non lasciare segni. Le sue mani intanto si erano spostate sul bordo dei jeans di Fabrizio, pronte a slacciarli e insinuarsi all'interno.
Fabrizio reclinò la testa all'indietro, contro il sedile, e chiuse gli occhi sentendo le dita di Ermal farsi lentamente strada sotto gli strati di stoffa che lo coprivano.
Ormai stanco di attendere oltre - Ermal lo aveva già provocato abbastanza - Fabrizio sollevò il bacino e si abbassò contemporaneamente jeans e boxer, lasciando scoperta la sua lunghezza ormai quasi del tutto eretta.
"Hai fretta?" chiese Ermal, massaggiandolo lentamente.
"Otto minuti."
"Oh ma dai, stai seriamente tenendo il conto di quanto ci vuole ad arrivare?"
"Tra poco saranno sette."
"Pensi di farcela a venire in sette minuti?"
"Se ti dai una mossa..."
Ermal non se lo fece ripetere.
Abbassò la testa tra le gambe del compagno e lasciò una lunga leccata sulla vena che percorreva la sua intera lunghezza, fermandosi poi sulla punta e continuando a stuzzicarlo con la lingua.
Fabrizio si lasciò sfuggire un sospiro e, quando appena un attimo dopo Ermal prese completamente in bocca la sua erezione, non poté evitare di immergere le dita tra i suoi capelli guidando i suoi movimenti.
Ermal continuava a succhiare avidamente e senza sosta, con il solo scopo di far raggiungere a Fabrizio l'orgasmo prima di arrivare a destinazione, mentre Fabrizio - ormai completamente rapito dalla situazione - non ricordava nemmeno più dove stessero andando.
Fu solo quando la macchina si fermò ed Ermal si scostò bruscamente da lui, che Fabrizio riprese contatto con la realtà.
Erano arrivati davanti al cinema e Fabrizio se ne stava mezzo nudo e con un'erezione dura come il marmo tra le gambe.
Si affrettò a rivestirsi, cercando di nascondere quello che era improvvisamente diventato un problema - ovviamente senza successo - e scese dall'auto seguito da Ermal.
Tirò l'orlo della maglietta verso il basso, cercando di nascondere l'evidente rigonfiamento nei suoi pantaloni, e lanciò un'occhiataccia a Ermal - il quale rispose con un ghigno malizioso - mentre raggiungeva i suoi collaboratori.
Gli altri membri dello staff e della troupe erano già lì e il regista stava dando delle indicazioni sulle riprese successive.
Fabrizio ascoltò con attenzione, sperando che almeno quello servisse a distrarlo e fargli smettere di ricordare cosa stava facendo appena qualche minuto prima.
Non sarebbe stato affatto facile concentrarsi, Fabrizio lo sapeva bene, ma doveva almeno provarci.
Nella sua mente continuava a esserci l'immagine di Ermal chinato su di lui, la sua bocca attorno al suo membro pulsante, e di certo non sarebbe riuscito a concentrarsi mentre quelle immagini si susseguivano nella sua mente.
Sospirò prima di scusarsi con i presenti e dire che li avrebbe aspettati dentro.
Aveva bisogno di restare solo per un attimo, di sedersi un momento e cercare di smettere di pensare.
Percorse lentamente il corridoio che conduceva alle sale, approfittandone per fare una storia su Instagram, e poi aprì l'ultima porta ed entrò dentro quella che sapeva sarebbe stata la sala in cui avrebbero girato il resto del video.
Si sedette in fondo alla sala e fissò lo schermo davanti a lui.
Sapeva che, nel video, su quello schermo si sarebbero susseguite immagini dei suoi concerti, scene della sua vita che teneva racchiuse gelosamente nel cuore.
Ricordava bene il momento in cui gli avevano proposto quell'idea per il video e lui aveva risposto che, oltre a quei momenti, avrebbe voluto vedere anche altre cose che per lui erano state importanti - la sua vittoria a Sanremo nel 2007, i suoi figli, la vittoria accanto a Ermal, l'Eurovision - e ricordava bene come poi l'avevano convinto che non fosse il caso, perché sarebbe risultato una copia di ciò che era stato fatto per il video di "L'eternità" e soprattutto perché fare vedere troppe immagini di Ermal avrebbe scatenato per l'ennesima volta quella spirale di gossip in cui continuavano a cadere.
Fabrizio ci aveva pensato a lungo e alla fine aveva concordato con il suo staff, eppure in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere quei pezzi della sua vita, per vedere sul grande schermo i momenti che lo avevano reso l'uomo che era.
"Tutto bene?" chiese Ermal sedendosi accanto a lui. "Sei scappato dentro di corsa."
Fabrizio sorrise. "Chissà come mai."
Poi gli lanciò un'occhiata eloquente ed Ermal sorrise a sua volta.
"Stai dicendo che è colpa mia?" chiese innocentemente il più giovane.
"Sei tu che mi distrai."
"Non mi pare ti dispiacesse."
"Non mi dispiace, infatti. Mi scoccia solo essere stati interrotti sul più bello" rispose Fabrizio.
Ermal si avvicinò a lui a sussurrò: "Magari potrei continuare da dove ci siamo fermati."
Poi, senza attendere risposta, si gettò sul suo collo, mentre con la mano gli accarezzava una coscia.
"Guarda che se non lo fai davvero mi incazzo" disse Fabrizio con il fiato corto.
"Più tardi, però. Non vorrei mai che qualcuno ci interrompesse di nuovo" replicò Ermal scostandosi.
Fabrizio non ebbe il tempo di ripetergli quanto fosse stronzo. Un secondo dopo, la troupe entrò nella sala, mentre il regista diceva a Fabrizio che avevano pensato di sfruttare il fatto che fosse già lì per girare le ultime scene del videoclip, e di occuparsi più tardi della parte centrale.
Fabrizio abbassò lo sguardo sull'evidente rigonfiamento nei suoi pantaloni.
In quello stato di certo non avrebbe potuto andarsene in giro. Tanto valeva approfittarne per girare quelle scene.
Quando finalmente la troupe si allontanò per una pausa e per sistemare le luci nel corridoio per girare le scene successive, Fabrizio tirò un sospiro di sollievo.
Anche se si stava divertendo a girare quel videoclip, era stanco e non vedeva l'ora di tornare a casa insieme a Ermal.
Non era riuscito a distrarsi nemmeno un po' e continuava solo a pensare a cosa sarebbe successo quando finalmente sarebbero rimasti soli. La sola idea di dover stare lì ancora almeno per un paio d'ore lo faceva impazzire.
Ermal si lasciò cadere sulla poltroncina accanto alla sua, proprio in mezzo alla sala, e Fabrizio lo osservò per qualche attimo.
"Tu da dove spunti fuori? Da quando abbiamo iniziato le riprese non ti ho più visto" chiese Fabrizio.
Ermal si strinse nelle spalle. "Ero qui in giro. Ho sentito dire che la pausa durerà un po' di più. Hanno un problema con una luce, non ho capito bene."
"Ma che palle" sbuffò Fabrizio buttando la testa all'indietro.
"Sei stanco?"
"Frustrato, più che altro. Non vedo l'ora di tornare a casa" disse Fabrizio. Poi afferrò la mano di Ermal e aggiunse: "Insieme a te."
Ermal ricambiò la stretta sorridendo, poi disse: "Però, mentre aspettiamo di tornare a casa..."
"Ermal, se cominci qualcosa solo per poi interromperti di nuovo io ti giuro che..."
"Non ci interromperà nessuno" mormorò Ermal, prima di riprendere esattamente da dove si era fermato poco prima, posando le labbra sul suo collo e la mano sulla sua coscia.
Fabrizio sospirò chiudendo gli occhi e abbandonandosi completamente alle attenzioni di Ermal.
L'idea di farlo in un cinema - anche se vuoto - e in un posto in cui chiunque avrebbe potuto vederli, lo rendeva allo stesso tempo inquieto ed eccitato. Anche se l'inquietudine passava in secondo piano di fronte alle dita di Ermal che si intrufolavano velocemente all'interno dei suoi pantaloni.
Fabrizio gli diede una mano a sbottonarli e ad abbassarli un po', mentre Ermal aveva iniziato a toccarlo attraverso la stoffa dei boxer.
"Ermal, ti prego."
Il più giovane sorrise compiaciuto di fronte alle suppliche del compagno e, per quanto si stesse divertendo a stuzzicarlo in quel modo, decise di accontentarlo abbassandogli anche i boxer e lasciando libera la sua erezione.
Fabrizio sospirò sollevato, ma un attimo dopo si ritrovò a trattenere un gemito mentre Ermal avvolgeva la sua lunghezza con una mano e iniziava ad accarezzarlo lentamente.
Sentiva le dita fredde di Ermal scorrergli sulla pelle, soffermarsi sulla punta umida e poi tornare a massaggiargli l'asta, fino alla base dove poi si fermavano per qualche secondo a stuzzicare i testicoli pieni e gonfi.
Ermal ripeté gli stessi gesti un paio di volte, poi si chinò e indirizzò l'erezione del compagno verso la sua bocca, accogliendola quasi completamente.
Avvertì Fabrizio tendersi sotto di lui mentre continuava a massaggiargli i testicoli con una mano e a lavorare la sua erezione con la bocca.
Si soffermò a stuzzicare la punta con la lingua, mentre Fabrizio affondava la mano tra i suoi capelli, tirandoli leggermente e un attimo dopo spingendogli la testa verso il basso.
Ermal si scostò per un attimo giusto per sollevare lo sguardo e fissare Fabrizio, che lo stava guardando a sua volta con gli occhi lucidi e il volto stravolto dal piacere.
"Potrei venire solo guardandoti" disse Fabrizio, fissando le labbra lucide di Ermal.
"Rischieresti di sporcare le poltroncine. Non mi pare il caso" rispose Ermal.
Poi si abbassò di nuovo tra le gambe del compagno, accogliendo tra le sue labbra la sua lunghezza e succhiandola come se tra le labbra avesse avuto uno di quei lecca-lecca che diceva tanto di odiare.
Fabrizio sentì le guance di Ermal stringersi attorno a lui e, senza riuscire a controllarsi, sollevò il bacino verso l'alto affondando nella bocca del compagno.
Ermal gemette sentendo l'erezione di Fabrizio sfiorargli la gola e il più grande, sentendolo gemere, continuò a penetrargli la bocca.
"Cazzo, Ermal, sto per venire" mormorò Fabrizio, ormai quasi senza fiato.
Ermal non lo ascoltò nemmeno. Continuò a succhiare, quasi con ingordigia, fino a quando sentì l'orgasmo di Fabrizio esplodere nella sua bocca.
Quando risollevò lo sguardo, Fabrizio aveva la testa abbandonata all'indietro e gli occhi chiusi, il petto che si alzava e si abbassava velocemente al ritmo del suo respiro affannato, e un'espressione rilassata sul volto.
Era bello da morire, forse come mai prima.
"Te l'avevo detto che questa volta non ci avrebbero interrotti" disse Ermal, sedendosi di nuovo composto accanto a lui.
Fabrizio aprì gli occhi e si voltò a guardarlo. Appena lo fece, un sorrisetto malizioso gli si dipinse sulle labbra notando che una goccia del suo rilascio era scivolata lungo il mento di Ermal e che lui non sembrava essersene accorto.
Allungò una mano verso la sua nuca e lo attirò a sé, ripulendogli il mento e poi baciandolo.
Ermal sospirò nella sua bocca, lasciandosi baciare a fondo e stringendosi a lui, per quanto il bracciolo della poltroncina lo permettesse.
"Hai ancora tutta questa necessità di tornare a casa?" chiese Ermal un attimo dopo, scostandosi da lui.
Fabrizio sorrise e lasciò che una mano scivolasse tra le gambe del compagno. "Sì. Non vedo l'ora di renderti il favore."
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Roll the dice, puntata 2
Ansia, tutto quel occupare mi nettezza ansia. Assenza di dialogo, decisione prese per me da qualcun altro. Qualcuno che non valutava che chiedere è il modo migliore per evitare discussioni, che imporre è il modo migliore per ottenere un’insurrezione. Basta aprire un libro di storia a caso, in una qualsiasi epoca, e vedrai spiegato questo concetto.
C'era stato detto di risparmiare sull'acqua per cui potevamo fare al massimo una doccia al giorno. La zia di Lataika che ci ospitava quella settimana stava in un camping e non sapeva cucinare, come diceva Lataika stessa. Il fatto che non sapesse cucinare poteva essere dedotto dalla cucina dove non c'erano strumenti per cucinare, o almeno per cucinare tutti i giorni. Una donna sposata senza figli di mezza età non usa in una pentola per bollire la pasta da dieci persone tutti i giorni, e quella pentola fa consumare giorno per giorno molta più acqua di quanta realmente ne serva. Lo scolapasta- portafrutta porta batteri solo a vederlo, basterebbe utilizzarlo come portafrutta e basta.
A prova del fatto che parlare serva, se Latakia avesse creato un gruppo whatuspp evidenziando i problemi della casa che aveva visitato prima, con dentro tutti noi avrei potuto portare una chiave inglese per aggiustare il lavandino, una pentola e una padella di dimensioni normali, o meglio adatte alla bisogna di quattro persone, ed uno scolapasta, da casa. Ecco questo avrebbe permesso una vita più vivibile e di risparmiare di più l'acqua. Ma come detto nella puntata due chi è abituato ad essere escluso e decide di escludere, replicando il comportamento dei suoi aguzzini, non dialoga. Latakia voleva imporre il suo potere su di me per vedere quanto fossi buono. Il che dato il mio carattere è un pò come sedersi sopra un vulcano e sperare di non bruciarsi il culo. Non lo dico per fare il figo, ma io le imposizioni non le sopporto e basta.
La madre di Lataika aveva ripetuto dodici volte quel giorno che la prima sera potevamo mangiare la pizza, la figlia convinta dalla perentoria decisione materna, aveva mandato me ed il ragazzo a comprare suddetta pizza. Io e Rob andiamo alla pizzeria sotto casa a prendere la cena. Il locale ha la rete Wi Fi e la ragazza porta un specie di panno legato in vita che mette in evidenza il seno prosperoso. Il mio già cervello sta per partire in automatico per salvare l'immagine nella cartella "seghe", ma mi trattengo, quella sera avrei dormito con una vera ragazza. Che poi vera, diciamo reale, Felicita a letto era poco più di una bambola gonfiabile. Ci aveva messo 4 mesi ad imparare a fare le seghe, anche se devo riconoscerlo è stata la prima, e forse l’unica donna ad afferrarmi il cazzo di sua spontanea volontà. Ritorno all'appartamento e dopo aver aperto il portafoglio mi accorgo di come solo il primo giorno sono riuscito a spendere trentasei euro sui settanta che ho risparmiato e portato con me . Data la compagnia avrei preferito non partire. Quella sera beviamo birra e superalcolici, Lataika, alla quale avevamo pagato la benzina, beveva tranquillamente, e siccome si comporta come fosse la padrona di casa, ha deciso che per quella sera sarebbe andata in un balneare dove si mette musica, e si può bere un cocktail e fumarsi una sigaretta in riva alla spiaggia. Senza macchina il tragitto è di sette chilometri. Io e Felicita abbiamo già dei problemi, ma lei non vuole parlare, è ancora incazzata per l'affare del mio amico che doveva venirmi a trovare e mi guarda con superiorità, come a dire “Ti perdono, ingenuo, affinché tu possa arrecare a me ogni gioia prima di arrivare al sacro talamo", e io pensavo "Guarda che pur essendo morto di fica mantengo una mia dignità, per cui levati quello sguardo da Messia che non hai niente da perdonarmi, non ho incontrato nessuno, ti sono stato a fianco tutto il tempo, cosa mi devi perdonare, l'idea che ci possa essere qualcuno a questo mondo che mi vuole vedere?”
Ricordo che Rob si lamentava del fatto che quell'estate Lataika aveva deciso di viversi la sua vita, andava in discoteca e lo chiamava alle quattro del mattino dicendo “Uno mi ha toccato il culo, domani sera ci torno” e chiudeva la chiamata. Pensavo che la cosa dovesse farla eccitare, ma lui era abbastanza maturo da saper tollerare un atteggiamento del genere e abbastanza stupido da permetterlo tanto a lungo quanto lei avesse voluto.
I catechisti a 16 anni mi avevano insegnato che se vivi la tua vita in apnea, aspettando il weekend allora dovresti cambiare la tua vita. Anche Steve Jobs lo diceva, quello stronzo. Latakia era stufa della sua routine ( e te credo 3 persone x 365 giorni all’anno e non tollerava già me che ero la 4a), e invece di cambiarla e provare ad includere qualcun altro quello che faceva era andare a farsi toccare il culo in discoteca, perché la società, le persone attorno lei le dicevano che questo era il modo giusto di viversi la vita. E in effetti lo è, leggero e divertente. Ma non risolve nulla, e ansi come la droga rende più sopportabili quelle cose che rendono la nostra vita invivibile, contribuendo a renderla peggiore di quello che è.
Felicita voleva imitarla, e s'incazzava se le chiedevo di non farlo, di essere prudente. Ricordo che con le amiche di Felicita, molto prima che tutto ciò avvenisse, si divertivano in vacanza a dare illusioni ai ragazzi del luogo per farsi offrire da bere. Facevano a gara tra di loro per provarci con i ragazzi, farsi offrire, e poi scappare via, e vantarsi di aver risparmiato sul bere. Della serie “capitalizziamo la nostra vagina”. Dopo sette chilometri scopriamo che il balneare dove voleva andare Lataika era chiuso. Mi accendo il sigaro della sopportazione di fronte al cartello “ Chiuso per disturbo della quiete pubblica”, mentre il cervello mi dice "Mò ce ne stanno n'altri sette da fà a piedi pè riturnà". Vicino allo chalet chiuso c'è un bar, l'unico che conosca in zona, perchè c’ero già stato, con un arredamento anni '50 nella sala principale e western in quella più piccola, è il posto ideale per prendersi una birra e mangiare qualcosa. Dato che gli altri sembra che se non spendono soldi non si sentono in vacanza gli indico il posto e loro ci vanno come per farmi un favore, dopo che Lataika e Rob hanno comprato i preservativi per la serata al distributore. Il posto lo conosco perché ci sono venuto con degli amici una sera, le strade intorno erano piene di prostitute, divise per tipo a seconda delle strade, ad esempio su una strada trovavi quelle di colore, in un'altra le italiane, in un'altra quelle dell'est europeo. Ne ricordo una con un delizioso vestitino nero molto elegante, bassa con i capelli castani che aveva attirato l'attenzione di un mio amico, io gli urlavo " Fra! Non poi fa cuscì, te sei appena fidanzato ufficialmente!". Ci sediamo fuori dal locale, io non chiedo nulla, Felicita ordina per sé un panino e una birra, quando poi torna la cameriera mi dice "Dai ti offro una birra!" sono al settimo cielo, cosa si può chiedere di più dalla vita? Quando vado a pagare Felicita mi dice "Non ho il portafoglio, paga tu". Una serie di bestemmie mi attraversano il cervello a velocità supersonica mentre pago io con i soldi messi da parte lavorando come Gostwriter. Ma lei che ne sa della fatica di farli quei soldi, lei li chiede al padre e basta.
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Nella precarietà giuriamo eternità
Ermal amava stare con i bambini
Amava i bambini in generale: la loro felicità, la loro curiosità, il loro essere puri, bambini su cui scivolava addosso lo schifo di società in cui vivevano, che non venivano attaccati dalla politica, bambini che amano semplicemente il giusto e il buono
E forse li amava così tanto perché in fondo lui non lo era mai stato, non in maniera così totale
Mai libero
Mai completamente felice
Mai spensierato
Mai come questo, di periodo, forse il più sereno della sua vita
Quindi quando vedeva dei bambini felici, si sentiva completo
Gli si riempiva il cuore di gioia e l’unico desiderio che aveva era quello di donare loro tutto l’amore che aveva nel cuore quello che gli era rimasto,per il semplice gusto di vederli sorridere
Ed era questo quello che pensava avendo Libero e Anita davanti agli occhi che prendevano in giro il loro papà mentre giocava a braccio di ferro con un amico
“Dai papà come puoi difendermi se non riesci neanche a battere qualcuno a braccio di ferro!!”
“Anì ce sto a provà, ma tu padre c’ha ‘na certa età pe’ ste cose”
E Ermal se la ride di gusto guardandoli interagire, incoraggiando alle lamentele quella bambina che era praticamente la versione in miniatura e femminile di Fabrizio
“Ricciolè nun ride’ che te faccio nero quando finisco qua” gli dice ancora forzando il braccio dell’altro
“Certo certo”
Ed è rilassato, per davvero
Non importava aver fatto due ore di macchina da Arezzo solo per godersi quella serata, non importava la stanchezza che gli indolenziva i muscoli, non importava il lieve mal di testa che premeva contro le sue tempie e non importava ciò che potevano pensare gli altri vedendoli insieme
Perlomeno non adesso, magari in mattinata avrebbe cambiato idea
Ma adesso andava bene così e osservava la scena beato, rilassato sullo schienale della sedia, mandando giù gli arrosticini intervallati da sorsi generosi di una birra locale
“Sei stanco?” gli chiede Libero di punto in bianco
“Un po’, oggi ho fatto qualche intervista… ma sono felice di essere qui con voi”
“Papà è più felice quando sei qui, è… diverso” e lo dice fievolmente osservando il padre scherzare, quasi fosse una constatazione appena realizzata, un flusso di pensieri
E Ermal sorride, non può nascondere quel senso di felicità che gli hanno donato quelle semplici parole di un bambino
“Siete la cosa più preziosa per vostro padre, credetemi” risponde Ermal poggiando una mano sulle spalle del bambino, ed è vero
Se ama i bambini, ama ancor di più vedere altre persone amarli e Fabrizio, che donerebbe anche il cuore ai propri bimbi se necessario, è sicuramente uno di questi
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Quando lasciano i bambini da Giada è da poco passata la mezzanotte, Anita era crollata in macchina e anche Libero stava per cadere tra le braccia di Morfeo
Tornano a casa di Fabrizio in silenzio, la musica a volume vagamente percettibile, il rumore delle ruote che stridevano contro l’asfalto come unico intervallo tra i pensieri
“Tutto ok?” gli chiede Fabrizio dopo qualche minuto spostando la mano dal cambio alla coscia del più giovane
“Si, sono solo stanco, scusami se non sono di compagnia” risponde mettendo la mano sulla sua e stringendogliela appena
“Allora stanotte te fai ‘na bella dormita” e glielo dice come lo avrebbe detto a uno dei suoi figli, lo stesso tono, la stessa preoccupazione, la stessa dolcezza
“Va bene papà” lo prende in giro Ermal, che si becca una mano giocosa nei capelli nel giro di mezzo secondo
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“In realtà dovrei lavarmi” dice Ermal dopo che sono entrati in casa
“In realtà dovresti durmì, c’hai du’ occhiaie da spavento”
“Ma faccio presto, non sono così assonnato”
“Nun me interessa, spogliate e vatte a cuccà a letto che te raggiungo tra n’attimo -gli dice con lo stesso tono paterno di prima, lo sguardo fintamente severo- so’ serio eh”
“Va bene mi arrendo” risponde Ermal alzando le braccia in segno di resa e avvicinandosi a lui
Gli sorride dolcemente mentre sposta le braccia sulle sue spalle, incrociandole poi dietro la sua testa
“Mi sei mancato” gli soffia sulle labbra prima di baciarlo
E lo fa con tutta la calma del mondo, privo della forza necessaria per approfondirlo, ma bisognoso come non lo era da settimane
E Fab sorride sulle sue labbra ricambiandolo e abbracciandolo, beandosi del suo odore di cui ormai ne era praticamente dipendente
“Ti aspetto” gli sussurra Ermal prima di staccarsi per avviarsi verso la camera da letto
E Fabrizio ci mette letteralmente 15 minuti ad andare in camera dopo aver sistemato alcune cose, 15 minuti in cui Ermal si era appropriato di una sua tuta mettendosi sotto le coperte, gli occhi chiusi contro il cuscino
Lo guarda e non può pensare ad altro che non sia quanto è bello, con i ricci un po’ sfatti sul cuscino e le morbide coperte che delineavano la figura longilinea dell’altro, il respiro quieto e le mani aggrovigliate vicino al petto
E ci mette davvero poco a raggiungerlo, mettendosi con calma sotto le coperte cercando di non svegliarlo
Si gira verso le sue spalle e osserva il suo profilo prima di cingerlo con le braccia, dandogli un bacio sulla nuca e inebriandosi dell’odore del suo shampoo
Ermal mugugna un po’, sistemandosi meglio contro il suo petto e abbracciando a sua volta le braccia che gli cingevano il busto
“Buonanotte Fabbrì” sussurra strascicando le parole, che forse alle orecchie del romano non avevano neanche un suono comprensibile
E Ermal ne era convinto, avrebbe fatto anche 1000km al giorno per vivere quotidianamente momenti come questi
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Svegliarsi tra le braccia di qualcuno era l’ottava meraviglia del mondo
Il sole dell’alba che veniva filtrato dalle tapparelle abbassate creando la penombra e giochi di luce nella stanza, un silenzio ovattato disturbato solo dal fruscio delle coperte dovuto ai movimenti delle loro gambe intrecciate
Ermal apre lentamente gli occhi trovandosi il viso assonnato di Fabrizio a pochi centimetri dal suo, potrebbe contargli ogni sua singola lentiggine se solo lo avesse desiderato
Dopo averlo osservato un po’ si avvicina per dargli un leggero bacio sulla punta del naso, per poi appoggiare la fronte sulla sua
E lo amava, ne era profondamente convinto
Quell’amore, quell’affetto che andava oltre il gossip, oltre quello che gli altri potevano anche solo lontanamente immaginare
Era forse la definizione di anima gemella?
Qualcuno diceva che l’anima gemella è come il tuo migliore amico, ma molto di più. È la persona in questo mondo che ti capisce meglio di chiunque altro. È colei che ti rende una persona migliore. Anche se alla fine non è lei che lo fa, ma sei tu che ti rendi migliore perché loro ti ispirano.
E allora si, forse Fabrizio lo era
Qualcuno con cui poteva essere se stesso ancor di più che con i suoi amici, con cui poteva essere gentile ma scontroso, generoso ma permaloso
semplicemente sapeva che nonostante mostrasse anche la parte più dura del suo carattere lui non se ne sarebbe andato
Che lo avrebbe ascoltato, capito e accolto
Qualcuno con cui poteva discutere ma che non lo avrebbe mai disprezzato
Un amore che andava oltre tutto ciò che era comune, così forte che lo destabilizzava
E si perdeva in quei pensieri, così tanto da non rendersi neanche conto che Fabrizio lo osservava
“A cosa stai pensando?” gli chiede a bassa voce portando una mano ad accarezzargli il collo
“A delle cose” gli risponde Ermal uscendo dallo stato di trance in cui era assorto
Fabrizio mugugna in risposta, non propriamente convinto, ma sapeva che non era il massimo forzare la corda di prima mattina, anche se viene interrotto da Ermal che si scosta di colpo spostando le coperte
“Che stai a fa’?”
“Adesso vedrai” e gli risponde sorridendogli, per poi mettersi a cavalcioni su di lui
Fabrizio non ha neanche il tempo di controbattere perchè viene subito zittito dalle labbra del più giovane
Labbra che baciano, leccano e succhiano ogni singola porzione di pelle accessibile del suo petto coperto da una t-shirt
Labbra che gli mordono giocosamente il collo mentre è con le mani tra i suoi capelli, facendo gemere il più grande senza un minimo di pudore
Labbra che scendono lentamente fino a finire sull’erezione mattutina, stimolata anche dalle carezze che il più giovane gli stava riservando
Labbra che avvolgono ritmicamente il suo membro donandogli brividi di piacere che lo facevano tremare fino all’apice del piacere
Labbra che si era sapientemente leccato soddisfatto della sua opera sotto lo sguardo liquido di Fabrizio, ansimante e arrossito
“Se- sei, Dio, sei ‘no stronzo cazzo” dice Fabrizio stropicciandosi il viso stravolto con una mano
“Ah pure?” risponde Ermal fingendosi offeso, lasciandogli dei pizzicotti sui fianchi
“Vie’ qua” e se lo tira addosso abbracciando per poi baciarlo tra i ricci
Ed entrambi passerebbero la vita così, mezzi svestiti, mezzi assonnati, avvolti dalle caldi coperte mentre Fabrizio gli canticchia all’orecchio, un sussurro che sommariamente racchiude -inconsciamente- tutto ciò che prima Ermal stava pensando
“E mentre il tempo scade e il mondo si sta armando In un monolocale noi ci stiamo amando Nella precarietà giuriamo eternità A questo nostro amore grande e incondizionato Perché ogni fantasia qui non sembra mai un reato Sorridi ancora amore Che il peggio è passato”
BUONSALVE RAGAZZUOLE E RAGAZZUOLI. Ebbene si, nonostante l’assenza di headcanon in queste ultime due settimane non sono morta, sono sopravvissuta agli eventi e foto e video e COSE degli scorsi giorni, direi che è già un bel e grande risultato.
Ho scritto questa cosetta ispirandomi appunto alle news di… venerdì (?) sera, insomma, riferendomi alla famosa storia di Fab al ristorante con i bambini con una “MISTERIOSA” persona.
Spero che vi sia piaciuto e fatemi sapere cosa ne pensate! Un moro-bacetto a tutti. (per richieste di prompt la casella è sempre aperta)
#metamoro#ermal meta#fabrizio moro#headcanon#fluff a palate#soulmate#metamoro fanfiction#metamoro headcanon
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Quando spezzi un’anima a metà
Oggi, 2 Aprile
Ho cominciato a scrivere, a raccontare di me perché sento che solo così potrò affrontare tutta realtà, la verità. Sono qui seduta sul pavimento di camera mia, con il computer sulle ginocchia, pronta a fare i conti con me stessa. Ho finito la simulazione di seconda prova con due ore di anticipo e per una volta mi sono sentita realizzata, confesso ho scritto tante cose sbagliate ma ero e lo sono tuttora convinta di aver dato il meglio, e poi infondo è solo una simulazione.
Ti chiederai che cos’ho da raccontare di così importante? Bene, ora comincia il viaggio.
Fine novembre, 2018
Esattamente 10 giorno dopo mi hai riscritto con una scusa inutile, mi hai stupita, tu che mi cerchi ma sai non ci ho fatto caso. È cominciato tutto quella sera, assurdo, da quel messaggio, stupido, quasi inutile, ci siamo scritti giorni e giorni. Tu che mi dici che c’è una ragazza io contenta per te, io che ti dico che non va bene nulla con il mio ragazzo, ma fossero quelle le cose importanti, parlavamo di stupidate, con frasi frecciatina ci raccontavamo di noi, delle nostre giornate. Quanta poca attenzione ci ho posto, quel modo che io sottovalutavo, ribadivo a me stessa ‘è solo un amico’; come no.. i giorni passano, come al solito, solo che c’eri tu e io ti rispondevo solo quando ero da sola. Chissà perché.
8 Dicembre 2018
Dopo due anni abbiamo finalmente deciso di vederci, dopo che la tua super bionda ha deciso di lasciarti da solo su due piedi tu piombi da me a chiedermi se mi va di fare un giro. E perché no? Organizzo tutto in modo tale che mia madre non scopra che usciamo, il tuo ritardo abnorme quasi mi fa saltare il piano ma c’è il mio amore, di quel tempo che mi regge il gioco. Sorrido ancora se ci penso, a noi due. Così strano è stato vederti, dopo due anni, nessun cambiamento anzi tu eri sorpreso a vedermi, come se fosse la prima volta che mi vedevi, in effetti dopo due anni e poco più era così. Direzione paesino carino, tu guidi io che cambio canzoni, ma tutto di una naturalezza inimmaginabile. Io che chiedo di te e tu che ti stupisci del mio interesse, dico un’amica ti chiede di te, di come ti vada. Un pomeriggio come tanti se non fosse stato per le domande scomode, per tutte le varie frecciatine e l’invito a cena che ho declinato causa fidanzato che mi aspettava da un’ora sotto casa. Non mi è piaciuto, quel giorno mi hai fatta sentire strana, come fuori posto. Mi hai talmente scossa che alla sera pensavo a te, il mio ragazzo non mi interessava. Il mio problema di aver dato peso alle parole mi ha fregato ancora una volta. Accipicchia a me e maledetto che mi hai fregata.
Esattamente una settimana dopo io lascio il mio ragazzo tu che fai? Mi dici che se ho bisogno di parlare mi chiami o usciamo, io ero già fuori con le amiche a divertirmi. La mia storia era arrivata al capolinea ma non perché eri arrivato tu, mi hai solo aiutato a capire che avevo bisogno di altro.
23 Dicembre 2018
Come previsto, usciamo. Si va a comprare i regali per natale insieme, indeciso se portarmi fuori a cena o meno alla fine ceniamo insieme. Mia madre che pensa che sono fuori con le mie amiche e invece no, sono con te a cercare di capire a che punto vuoi arrivare. Mi guardi il culo, mi scruti come se ti stessi analizzando, ed era così sì, mi offri la cena e ti soffochi quasi appena accenno che io a te ci tengo. Un’uscita come tante altre direte, ed è vero, non è successo nulla di che, se non cose che solo io e lui sapremo e che forse solo io ricorderò, come uno scherzo beffardo del destino.
Ci sentivamo ogni giorno, che voi ci crediate o meno ogni giorno ci si sentiva. Dopo capodanno, dopo che lui insisteva nel trovarsi usciamo. E ora la vita, aveva deciso di farmi un bruttissimo scherzo, e anche lui ne era complice.
3 Gennaio 2019
Finalmente, direte. Il tutto parte come al solito lui che viene a prendermi a casa, io che scelgo la meta e la musica. Ad essere sinceri si intravedeva già che lui era titubante, ma io non ci facevo caso, lo ritenevo solo una possibile persona con cui uscire, mi era stato vicino insomma, nulla di chè, di certo non credevo in un reale interesse nei miei confronti. Lui che mi dice che ha chiuso con l’altra ragazza, e io che penso? A nulla se non, vediamo qual è il tuo prossimo passo. Giretto in un altro paesino carino, l’uscita che mi è meno piaciuta, forse perché lo stavo già iniziando a capire che tutto quello che mi stava capitando sarebbe stata la più grande fregatura. Come due anni fa, quando mi piaceva. Ebbene sì signori, io ero follemente persa di lui, chissà che aveva di così particolare, mica me lo ricordo. La serata si conclude andando a vedere le stelle. Il freddo che faceva, e proprio lì chiusi in macchina, uno accanto all’altro lui mi prese la mano, la strinse, come se volesse dire io ci sono, la strinse così forte che mi scaldò il cuore. Giuro io ero immobile, mi stavo assaporando la pelle d’oca, mi stavo gustando la soddisfazione. Ebbene sì, vi chiederete e dopo? E dopo mi baciò, mi baciò in modo semplice, in quel momento capii che non lo sentiva, certo ero sbalordita perché non me lo aspettavo anche se lo avevo pensato 2 minuti prima, assurdo. Ma lui non sentiva quello che sentivo io, non era un gesto sentito. Nemmeno a negarlo, mi mandò un messaggio in cui diceva di averlo sforzato e che comunque ce la saremmo vissuta con calma. Niente di strano, direte, se non fosse che mi ha baciata anche quando sono scesa dalla macchina, mi ha chiesto se andavo via con lui la mattina seguente, mi ha riempita di parole come ci sei sempre stata, che è verità assoluta, che mi ha abbracciata, che mi ha fatto scoppiare l’anima, mi ha fatta sentire in un altro posto, che ha scavalcato quel muro che nemmeno io riuscivo a superare. Come mi è entrato lui nell’anima nessuno l’ha fatto mai, come ho abbassato la guardia con lui non l’ho fatto mai, avessi solo ascoltato il mio sesto senso.
Dopo una settimana circa mi scarica, con un semplice sento solo attrazione fisica, fosse quello il problema. Confesso dopo quella sera avevo pensato di interessargli, come non pensarci? Ma il culmine di questa storia arriva ora con lui che prima mi accusa di essermi costruita castelli con successivo vittimismo informandomi che è uno stronzo incallito ed egoista e ci sono altri ragazzi che mi faranno stare bene e che persone come lui devono essere lasciate perdere. Un discorso degno di premio della dialettica se non fosse che ogni singola parola era una bugia, se non fosse che io, ragazza, donna, dalle palle , ho speso una settimana per farlo ragionare e fargli capire che si stava sbagliando, che tutto era partito da lui e l’unica cosa che doveva fare era quella di assumersi le sue responsabilità. Maturità a parte la sottoscritta ci ha perso troppo tempo, non contenta ha deciso di andare fino in fondo.
Passano i mesi, ci si sente a stento, quasi come se fossimo sconosciuti, si litiga di più ci si parla di meno. Due mesi dopo, lo rivedo, mentre si allena, assurdo, come il caso mi fotta ogni volta. Gli mando un messaggio e lui con una serenità di quelle ‘sei qualcuno di importante per me’ chiede se voglio un passaggio, la fortuna ha voluto che fossi già a casa. Non contenta, gli lancio una frecciatina e lui mi risponde dicendomi che nel weekend ci saremmo visti. Punto a mio favore penso, per una volta ha abbassato l’orgoglio. Non ci sentiamo quasi mai per tutta la settimana se non che arriva venerdì e con un messaggio, dicendomi che non gli sembra il caso, che mi rispetta e che non vuole ferirmi preferisce non uscire. Lasciami sulle spine e poi rifiutami che scateni un terremoto. Terremoto fu, litighiamo, e con vari riferimenti a un interesse reciproco mi dice che io e lui a litigare faccia a faccia non riusciremmo mai. Tento, come mia ultima volta, anche se non fu così, di vederlo, lui mi rifiuta dicendomi che ha parenti. Incasso il colpo ma lui sembra aver cambiato atteggiamento ma ciò non cambia nulla, qualche messaggio e poi ognuno ritorna agli affari suoi. Entrambi d’accordo decidiamo di uscire la domenica. Vado incontro alla disfatta di me stessa, per sempre.
17 Marzo
Usciamo, all’inizio un imbarazzo da parte sua e le mie continue frecciatine perché chi non avrebbe voluto tirargli uno schiaffo e chiedergli che gli passa per la testa? Ma la realtà è che nemmeno lui sa che cosa vuole, non lo sapeva e non lo saprà mai. Si dilunga in discorsi raccontandomi di lui, privilegiandomi con qualche aneddoto, lo becco a guardarmi più di qualche volta, sempre di nascosto. Mi dice frasi che fanno pensare a un ennesimo interesse, ti penso, ma come va con i ragazzi e varie inutili frasi a cui la sottoscritta non facevano nessuno effetto se non schifo. La perla è stata il ci vediamo ci sentiamo andiamo dove vuoi e facciamo qualche guida insieme prima di fare l’esame di patente. Come no. Dopo avergli spiattellato in faccia per l’ennesima volta che deve prendersi le sue responsabilità, dopo averlo massacrato, giustamente, era il minimo. Mi ha sottovalutata, già. Non ci sentimmo più se non per me che gli provai a scrivere, sbagliai sì ma testarda come sono dovevo provarci, non volevo avere rimorsi. Inutili furono le persone che mi dissero che dovevo lasciar perdere, io ci provai comunque perdendo e ritrovando me stessa.
Vi dico, non rincorrete nessuno, no fatelo nemmeno se siete i più testardi. Sprecate forze, la parte migliore di voi per persone che non vi meritano, persone che sono riuscite a strapparvi il sorriso, che vi hanno fatto sentire inutili. Chi ti riempie di tante parole , ricordatelo, non sa mai bene ciò che vuole. E non dipende dal carattere, dal’età, se tu vuoi qualcosa te la vai a prendere. Non importa se tu ritieni che ci sia qualcosa, non importa quanto tu ci spera, se quella cosa deve essere tua, lo sarà. Lo potrò ringraziare, lo so già perché mi ha fatto capire che di persone come lui io non ne ho bisogno, nonostante i bei momenti che ricordo con un sorriso, nonostante le passioni in comune che mi hanno fatto pensare che lui era quello giusto, il modo con cui mi sfiorava, chi se lo scorda più. Sono però consapevole che merito di meglio, merito chi mi porterebbe in capo al mondo, merito una persona a cui piaccia fuggire, dal mondo con me e non da un futuro noi, non merito chi deve essere convinto per stare con me, non merito chi se ne approfitta della mia rara gentilezza, del mio essere empatica, del mio altruismo, della mia testardaggine, del mio modo di amare. Perché io sono così, io ci scommetto su di te, se tu mi dimostri che ne vali la pena io ci scommetto, mi gioco fino al’ ultima carta e la mia carta, l’ultima, la più importante, era proprio me stessa. Non l’avevo giocata mai, chissà che hai fatto per convincermi, e le notti passate a chiedermi come potevi farmi questo, a me, che sono sempre stata presente anche quando tu stesso ti voltavi le spalle, come hai fatto, tu, a non apprezzare la sincerità, come hai fatto a mollare tutto. Egoismo o meno, non meriti nulla, non meriti nemmeno di trovare la persona che ti sfiori l’anima, non meriti di trovare un amore incondizionato, di quelli che non te li scorderai mai. Tu prendi tutto e poi scappi via,lasciando un vuoto enorme. Sono cambiata, sono più forte, sono più me stessa tu rimani il solito stronzo senza anima. Riderò a vederti morire dentro quando non potrai più parlarmi, quando io non mi metterò più in gioco per scorticarmi l’anima, per scoprirti il cuore, quando tornerai da me e con una scusa mi dirai ‘ci facciamo un giro questo weekend’.
Tutto è bene quel che non è mai cominciato, io da oggi in poi vivo però.
@frasidicartavelina
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I’m sorry (Mi dispiace) - capitolo 3
Autore: @incorrect19days
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He Tian si avvolse attorno al braccio una delle poche magliette che non fossero già state macchiate in quel modo che gli erano rimaste. Si sedette al volante e cercò di calmarsi. Il dolore lo stava aiutando a schiarirsi i pensieri, come sempre.
Solo ventisei minuti dopo, accostò davanti casa di Mo Guan Shan, e gli mandò un messaggio.
Qualche minuto più tardi, Mo Guan Shan stava affondando nel sedile del passeggero, guardava He Tian come se fosse il cane di famiglia al quale non riesci ad impedire di giocare in mezzo alle macchine.
He Tian distolse lo sguardo ed avviò l’auto. Qualsiasi cosa l’altro stesse pensando, era sicuramente giusta e giustificata, e anche l’ultima cosa che lui aveva intenzione di sentire in quel momento. In modo infantile, He Tian alzò il volume dello stereo a palla, per evitare conversazioni.
Quando parcheggiarono davanti alla casa dei loro amici, Mo Guan Shan controllò il proprio riflesso nello specchietto del sedile per poi fare una smorfia. Stava di merda. He Tian bussò alla porta e qualche secondo dopo venne ad aprire Jian Yi. Fece andare gli occhi dalla faccia di Mo Guan Shan al braccio di He Tian, poi emise il lungo e sofferente sospiro che era andato a perfezionare col passare degli anni.
Seguirono Jian Yi in salotto. Zheng Xi alzò lo sguardo verso di loro dal divano e fece una risata soffocata.
“Ragazzi avete giocato di nuovo a minigolf?”
He Tian annuì solenne.
“Se ti arrendi vince il gioco.”
Tirandolo per il braccio buono, Jian Yi portò He Tian in bagno e lì gli tolse delicatamente il bendaggio improvvisato, rivelando un taglio lungo e profondo. Continuava a grondare sangue, e ciò gli provocava un dolore monotono con ogni battito. Jian Yi aprì il rubinetto dell’acqua fredda e mise il braccio di He Tian sotto il getto per liberarsi del sangue in eccesso. Afferrò una bottiglietta di acqua ossigenata dall’armadietto e la versò sulla ferita.
“FOTTIti!”
“Non fare il bambino, te lo sei fatto da solo.”
Jina Yi sciacquò nuovamente il taglio e chiuse il rubinetto, facendo cenno a He Tian di sedersi sul water, mentre rovistava nell’armadietto alla ricerca dell’occorrente per fascaire bene la ferita.
“Amico che è successo.” Chiese Jian Yi.
“Ho preso a pugni un muro.”
“Ovviamente. E alla faccia?”
He Tian si girò verso lo specchio. Non si era nemmeno accorto dei lividi che gli erano spuntati sullo zigomo.
“Solo una rapina di routine, ho già compilato i moduli e tutto.”
“He Tian…”
“Come un coglione mi sono fatto prendere a pugni da un canguro. E’ l’ultima volta che mi ubriaco allo zoo.”
“Amico.”
“Ho imbrogliato uno Wendigo* a Pai Gow**. Quegli stronzi suscettibili.” *creatura demoniaca **gioco cinese
“AMICO.”
Cristo santo. Odiava mentire a Jian Yi. Non solo perché è una cosa brutta da fare o perché lo faceva sentire come se stesse calpestando un cucciolo, ma perché Jian Yi lo capiva SEMPRE e ogni volta era fottutamente imbarazzante. Aveva una reputazione, porca puttana.
Più che altro la cosa del cucciolo, però.
“Non me lo dirai, non è così?”
“Mi dispiace, Jian Yi, non posso,”
“Tipo… non puoi non puoi o non puoi non vuoi?”
“La prima.”
Jian Yi si appoggiò al ripiano, incrociando le braccia.
“Dipingimi come ufficialmente preoccupato.”
“Piccolo, ti dipingerei coi pennarelli se servisse a farti stare zitto.”
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Mo Guan Shan deviò verso la cucina per andare a prendere da bere, poi raggiunse Zhan Zheng Xi sul divano. Mentre cammianava stappava le bottiglie, infilandosi i tappi in tasca. Era un’abitudine che lo aveva messo nei guai più di una volta. Non c’è niente che può farti sembrare più colpevole di una tasca piena di tappi di bottiglia.
Si buttò sul divano a qualche metro di distanza da Zhan Zheng Xi e gli passò una bottiglia.
“Quindi… voi ragazzi avete finalmente scopato?”
Mo Guan Shan impallidì, quasi si strozzò con la bibita di cui aveva appena preso un sorso, e si mise in fretta in piedi.
“Perché CAZZO dovresti pensarlo?!” domandò.
Zhan Zheng Xi mise le mani in alto, gli occhi spalancati. “Cazzo, amico, stavo scherzando! I lividi, e voi due che avete dei trascorsi nel farvi male a vicenda… era una battuta di cattivo gusto, scusa.”
Mo Guan Shan sospirò, tornando a sedere e scuotendo la testa, sentendosi uno stronzo.
“Scusa, è solo che sono davvero stanco.” Cercò di spiegare inutilmente. Rimasero seduti in silenzio per qualche momento, prima che Zhan Zheng Xi parlasse.
“Me lo diresti ci fossa qualcosa di brutto, vero? Se stesse succedendo qualcosa?” Chiese Zhan Zheng Xi, facendo cenno al suo occhio.
Mo Guan Shan ci pensò su un attimo e annuì. Erano entrambi consapevoli che si trattava di un bugia, ma la consapevolezza non vale un cazzo in situazioni come questa, no?
Zhan Zheng Xi si chinò in avanti, aprendo un piccolo cassetto scorrevole del tavolinetto. Passò al setaccio alcune cose prima di richiudere il cassetto e tendere a Mo Guan Shan un antidolorifico su ricetta di quando si era operato all’appendice. Senza fare domande, Mo Guan Shan lo ringraziò e si buttò una pillola in bocca, mandandola giù con un sorso di birra.
Nel mezzo del vortice drammatico formato da Jian Yi e He Tian, Mo Guan Shan e Zhan Zheng Xi avevano formato una tacita alleanza che, col passare degli anni, era diventata una buona amicizia. Mo Guan Shan si fidava di Zhan Zheng Xi, e in molti casi non avrebbe esitato a tirarlo dentro qualsiasi cazzata avesse in testa, ma non questa.
QUESTA era orribile. QUESTA era disgustosa e umiliante e quei due non avevano bisogno di venirne a conoscenza. Non DOVEVANO venirne a conoscenza. Sapeva di essere stato stupido. Ovviamente avrebbero dovuto chiamare la polizia. Ovviamente sarebbero dovuti andare in ospedale, ma il pensiero di essere seduto in una sala d’emergenza ed essere punto e pungolato. Il pensiero di parlare a una stanza piena di poliziotti che lo avrebbero fissato con quello sguardo pietoso che gli faceva venire voglia di prendere a pugni la gente, lo trovava inutile.
Ma non gli importava poi tanto. Non aveva avuto bisogno di cure mediche, aveva già avuto graffi e tagli un bel po’ di volte e aveva fatto l’antitetanica l’anno prima, dopo che a una festa aveva fatto a botte con uno stronzo armato di taglierino. Però gli avrebbero probabilmente fatto comodo uno o due giri di antibiotici o qualcosa del genere, non era successo in un posto poi così pulito. Riguardo… all’altro lato, He Tian aveva ragione, non gli aveva fatto male. Stupidamente, egoisticamente, quasi aveva sperato di sì. Sapeva come gestire il dolore.
E comunque alla fine, i poliziotti avrebbero solo intralciato la strada a He Tian.
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I quattro passarono la gioranta a guardare film, bere, e in generale a cazzeggiare, e le cose sembravano quasi normali. Verso l’ora del tramonto, He Tian annunciò che sarebbe andato al supermercato. Jian Yi gli chiese se avrebbe fatto ritorno e Zhan Zheng Xi gli disse di portare da mangiare. Mo Guan Shan lo seguì fino alla porta.
“Vengo con te.”
He Tian si girò a guardare prima lui e poi, da sopra la spalla, Jian Yi e Zhan Zheng Xi, che erano concentrati sulla televisione. Aprì la porta e fece uscire Mo Guan Shan fuori, sul portico. Sarebbe stato inutile dirgli che stava solo andando al supermercato, riusciva a leggerlo bene, quasi come ci riusciva con Jian Yi. Aveva proprio bisogno di migliorare nel mentire.
Voleva dirgli di no, tenerlo fuori da tutto questo, e lasciarlo lì, dove sarebbe stato al sicuro. Ma in fondo lo sapeva. Se Mo Guan Shan voleva venire, chi era lui per fermarlo? Se voleva essere coinvolto in questa cosa, che così fosse. Lui glielo doveva. Il cazzo di universo glielo doveva.
“Va bene. Ma resti in macchina.”
Mo Guan Shan lo guardò per la prima volta da quando erano arrivati lì, e lo prese in giro. “Oh, wow, scommetto che lascerai persino i finestrini abbassati e tutto il resto. Non sono un cazzo di barboncino.”
“Almeno ci ho provato.”
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Tornammo al campo base. Antonio ci accompagnò fino in piazza, poi si congedò, salì sul furgoncino e se ne tornò al lavoro. Lui ce l'aveva un lavoro vero. Quella giornata era un regalo grandioso. All'inizio, si era prospettata una chiavica, ora invece avevamo un mondo di possibilità nelle nostre mani. C'era solo da inventarsele. Non avevamo alternative: dovevamo per forza divertirci. C'era solo da decidere come. Il Maremmano non aveva ancora detto una parola. Niente, neanche mezza. Non è che fosse un fatto così insolito, era, per natura, un taciturno. Quando ci si impegnava, qualcosina la diceva ed era anche divertente, ma, se non lo spronavi, era capace di starsene muto come un pesce per tutto il tempo. Era arrivato il momento di coinvolgerlo. Era un giorno speciale. E ce lo eravamo meritato tutti. “Cosa ti andrebbe di fare, Pietro?” Gli chiesi, abbracciandolo e tirandolo in mezzo al gruppo. “Non saprei. Decidete voi, a me, sta bene tutto.” “Che ne dici di una bella partita al campo sportivo?” Disse con sarcasmo il Tasso. Quel giorno, era in forma il testa piatta. Lo guardammo con gli occhi pieni di rimprovero, ma il Maremmano non fece una piega, sorrise, addirittura. “Beh? Che sono quelle facce? Che cazzo avrò detto mai?” Il Tasso sapeva di aver detto una cattiveria, ma era solo per ridere. “Non ho voglia di andare al campo, Tasso, non ora, almeno. Troppo caldo per i mie gusti. Non mi va di prendermi un'insolazione. Ma, a proposito del campo, devo dirvi una cosa…” Si sedette, abbassò lo sguardo, come a frugare in terra per trovare le parole, poi, quando, evidentemente la ricerca era finita, sollevò lo sguardo e ci fissò: “Devo ringraziarvi.” “Per cosa?” Non volevo essere ringraziato, ancora mi sentivo in colpa. “Lo sai bene per cosa. Lo sapete tutti. Senza il vostro aiuto, avrei dovuto passare l'estate nei campi. Mio padre me lo aveva promesso. E lui si vanta di essere uno che mantiene sempre le promesse.” “Stavolta s'è sbagliato!” Disse timidamente Sergetto. “Ci ha ripensato, non se l'è rimangiata. Lo avete sorpreso. Ieri sera era davvero commosso. Ha detto che voi avete dimostrato il valore dell'amicizia. E che io, ora, devo dimostrare di meritarmela. Ha aggiunto che avete pagato il mio debito, debito che era solo mio, causato dalla mia incapacità di tenere ferme le mani.” “Cazzate!” Urlò Tonino, alzandosi in piedi. “Tutte cazzate! Tu ci avevi salvato le chiappe, Maremmano, ficcatelo bene in quella tua zucca dura! Al campo, ti sei battuto per noi, non per te. Tu non c'entravi, quei tre coglioni ti avrebbero lasciato in pace, visto che neanche ti conoscevano. A noi, invece, avrebbero sicuramente fatto il culo, se non ci fossi stato tu ad impedirlo, naturalmente. Te lo ridico: sei stato un grande! Il debito quindi era nostro. Tu hai dato l'anticipo e noi ti abbiamo risarcito. Tutto qui. Liscio come l'olio.” “Mi dispiace dovertelo dire, amico mio, ma anche tuo padre si è dimostrato un po’ stronzo. Certo, non come quello di Bomba, ma un pochino lo è!” Disse il Tasso, appoggiando una mano sulla spalla di Pietro e guardando in faccia Bomba, da quel provocatore che era. “Mio padre non è uno stronzo!” Protestò quest'ultimo, ma con poca convinzione. “Eccome se lo è!” Rincarò la dose, Schizzo. “Perché il tuo, invece, com'è?” “Uguale! Anche il mio. Ma meno del tuo. E meno pure di quello del Tasso.” “Brutto quattrocchi bifolone! Che c'entra adesso mio padre?” “Comunque, in parte, ha ragione.” Riprese il Maremmano, alzando il tono della voce per ristabilire la calma. “E’ vero che mi viene subito da alzare le mani. L'ho fatto anche con voi, la prima volta che ci siamo incontrati.” “Quella volta, però, hai sbagliato!” Si affrettò a dire il Tasso, memore anche della figura di merda che aveva fatto.“ "Vero, avresti dovuto dargliene di più!” intervenni, infervorato, e. di seguito, rivolto al Tasso;“ Certo che quando c'è da dire stronzate, non ti fai pregare!” “Perché? Cosa ho detto?” “Te lo sei scordato come sono andate le cose? Abbiamo iniziato noi. Siamo stati noi a lanciare le pietre contro le sue mucche.” “Veramente tu non l'hai fatto.” Disse il Maremmano. “Ma non ho neanche impedito che lo facessero loro! Che cambia? La cosa non mi piaceva, ma me ne sono rimasto zitto e fermo. Pure al campo sono rimasto zitto e fermo. Ho avuto paura. Ho paura di quelli più grandi. Non volevo prenderle, ero sicuro che te le avrebbero date e non volevo farti compagnia. Ti ho lasciato solo. Ora mi dispiace. Sono stato un fifone!” Finalmente mi ero tolto quel peso dallo stomaco. “Non prendertela Pietro, sei stato saggio, come direbbe il mio vecchio.” Mi consolò. “ Il macello l'ho fatto io. Ho fatto tutto da solo. Non so cosa mi sia preso. Non so cosa mi prende tutte le volte che vedo qualcosa che, secondo me, non è giusta. Non riesco a trattenermi, poi, quando passa, quasi mi faccio paura da solo. Certe cose proprio non riesco a buttarle giù. Se vedo uno grande che picchia uno più piccolo, o tanti che se la prendono con uno solo, o con gli animali, mi succede qualcosa. Qualcosa di strano…” “Cosa?” Domandammo in coro. Ci guardò e sorrise: “Non è che, per caso, avete una caramella? Mi si è seccata la gola a forza di parlare.” “Piantala con le sciocchezze, finocchio di un Maremmano! finisci di raccontare! Quando avrai finito, te ne compro un pacchetto di caramelle, tanto i soldi me li ha dati quel cogl… quel sant’uomo di tuo padre!” Aveva fatto marcia indietro in tempo. l'ho già detto: il Tasso temeva il Maremmano e aveva paura a spingersi oltre. “Non c'è nulla da raccontare. Ve l'ho detto: non so cosa mi succeda. E come se qualcun altro entrasse dentro al mio corpo e prendesse in mano il controllo. Qualcuno che non ha paura di niente e di nessuno. Io divento un semplice spettatore. Vedo tutto, sento tutto, ma non posso farci niente. Ve l'ho detto: è strano.” “Cazzo se è strano! E’ la cosa più strana che abbia mai sentito!” Esclamò Bomba, sgranando gli occhi. “Invece non è strano affatto!” Lo contraddisse Tonino, che, naturalmente, catturò tutta la nostra attenzione. Come non era strano? Era stranissimo! “Che avete da guardarmi con quelle facce da idioti?” Proseguì, “Voi, a messa, non ci venite mai, altrimenti avreste già capito!” “Ma che cazzo vai dicendo, Toni’? Che c'entra ora la messa?” Ero sorpreso. “Già, che cazzo c'entra la messa?” Fece eco Sergetto. “Toninuccio bello sta per spararne una delle sue!” Lo prese in giro Bomba. Tonino non si curò di noi e con l'espressione che, credo, abbia avuto Colombo, quando scoprì l'uovo di Colombo, disse: Il Maremmano è posseduto! E’ posseduto dal demonio in persona! Questo spiega tutto!“ Ci aveva fulminati. Restammo per un po’ senza parole, poi partì una di quelle risate corali capaci di coprire pure il rumore delle bombe. Tonino stesso rimase contagiato e si unì al coro. Quando le acque si calmarono, Schizzo richiamò insistentemente la nostra attenzione. Era perplesso, evidente che qualcosa non gli quadrava. "Che ti prende, nasone? Anche tu sei posseduto dal demonio?” Lo stuzzicò, Tonino. “Col cazzo! E neanche il Maremmano lo è! Andrai pure a messa come un bacchettone, ma, di quello che dice il prete, non hai capito una sega!” “Hai capito tu, allora!” “Certo che ho capito! Pensateci bene: come fa ad essere posseduto dal demonio? Non è che se ne va in giro ad ammazzare, arrostire bambini, bruciare le chiese, no. Lui difende le sue mucche, noi poveracci da quelli più grandi, insomma: difende chi non si difende da solo, i deboli!” “E allora? Che vuoi dire? non ti capisco, Schizzo. Dici che non è posseduto?” “No! Cioè, si! Certo che è posseduto. Ma non dal demonio, da Dio!” “Si, adesso Dio si mette a possedere le persone!” gli rise in faccia Tonino. “Dio è Dio” E fa quel che cazzo gli pare e piace! Non solo possiede le persone, se ne ha voglia, ma, se gli girano, possiede anche il Diavolo!“ Concluse Schizzo, soddisfatto.
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Sacrifice, Chapter 15
PAIRING: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
"Wanda! Wanda aspetta!"disse lui rincorrendola ma anche se, per l'ennesima volta le sue gambe non reggevano, lei continuava a correre.
"James tornatene a casa, magari tuo padre ti starà ancora aspettando. Avrete molto da dire su di me" urlò lei.
"Oh, andiamo!"
Wanda camminava spedita, non voleva vederlo, non voleva guardarlo perché sapeva che sennò avrebbe ceduto, che non se ne sarebbe mai andata da lì, da lui.
"Wanda ti prego,ascoltami"
"Cosa c'è? Cosa vuoi?"disse lei scazzata, sentendo come il suo corpo chiedeva pietà.
Poteva fermarsi, doveva farlo. Se non l'avrebbe fatto, sarebbe successo qualcosa di cui se ne sarebbe pentita. E questo, dinanzi a James, non doveva succedere.
"Credi che mi faccia piacere vedere che mio padre ti ha trattato di questa maniera?"
"Non lo so James, non so niente di te. Non so cosa pensi realmente di me, magari potresti anche cambiare idea..."
"Chiudi quella bocca e smettila di dire stronzate. Io non sono loro, non sarò mai loro e me ne frego di ciò che possono pensare gli altri di me e anche di te, in questo caso e già te lo dissi"
"Tu continua a pensare che le parole che mi dicono scompaiano magicamente quando arrivi tu"disse lei, stava per girarsi in modo da poter proseguire il suo ritorno a casa.
"E tu continua ancora a credere che io sia uno stronzo menefreghista che non riesce a provare nulla e che non vede quando gli altri stanno male. Ti ripeto la domanda, credi che mi faccia piacere che mio padre ti ha trattata male?"
Wanda non credeva davvero che lui era un menefreghista, che si faceva grande per poter distruggere qualsiasi cosa che aveva davanti solo per puro piacere personale. Ne aveva avuto la prova, ma qualcosa dentro di sé la fermava sempre. Poteva essere davvero la sua malattia?
Che molto spesso non la faceva sentire a suo agio sia con sé stessa che con gli altri? Che non le permetteva di andare oltre?
La verità era che lei aveva paura di fidarsi, non tanto perché, forse, era diversa da tutti gli altri ma proprio perché nessuno aveva un segreto da custodire, grande come il suo. Ed era proprio quello che temeva di più. Se si sarebbe lasciata andare, cosa sarebbe successo? Veramente qualcuno l'avrebbe aiutata?
Veramente James sarebbe stato in grado di andare oltre? Lui continuava a guardarla, nonostante il sole fosse già calato e le luci dei lampioni iniziavano ad illuminare la via. Ed è stato in quel momento che forse Wanda ha distrutto la prima delle sue barriere con James.
"No...non ti fa piacere"
In quello stesso istante James si avvicinò a lei, prendendole le mani e sorridendo.
"Scusa se ho dubitato di te, non pensavo veramente quello che tu intendevi. Non lo farei mai...è colpa mia, non riesco a fidarmi delle persone molto in fretta"
"Non mi fa piacere ripetere sempre le stesse cose, ma credo che con te ne varrà la pena"
"Ne varrà la pena? E per quale motivo?"
"Perché alla fine penso che riuscirai ad accettare te stessa, insomma sei intelligente, molto bella non vedo perché dovresti sottovalutarti"
Ma Wanda aveva già smesso di ascoltare. Era rimasta a pochi secondi prima, a quando per sbaglio, lui le aveva detto che era bella. Non è stato per sbaglio, questo era un dato di fatto, James lo pensava davvero.
Però lei faceva ancora fatica a capire che aveva ricevuto un complimento dal capitano della squadra di basket, che fino a due settimane fa non conosceva, se non di vista. È stato il primo complimento che abbia mai ricevuto e sarebbe stato il primo di una lunga lista infinita.
"Hai detto intelligente solo perché solamente con te riesco a capire la fisica"
"Beh...da un lato è vero, ma ho come l'impressione che fai faville con la professoressa Potts"
"Dici così perché vai ad intuito, ma parliamo di te Barnes. Tu sei forte, sei il capitano della squadra di basket"
"Oh ti prego, non me ne parlare"
Erano ancora sul marciapiede, poco lontani da casa di lui e solo ora stavano muovendo i primi passi per poter andare via da lì.
Non letteralmente, solo James stava accompagnando Wanda a casa per la seconda volta senza accorgersene.
"Che succede capitano? E così che ti sei nominato nella mia rubrica"disse lei con una leggera risata.
"Si...beh, sono stato espulso"
"Espulso? Hai fatto guai?"
"Non esattamente, anche se Steve potrebbe non pensarla allo stesso modo"
"E allora cosa è successo?"
"Rumlow. Eravamo troppo presi dalla partita entrambi, la mia squadra voleva vincere e cosi io li incitavo parecchio, ma non mi è ancora chiaro il motivo per cui mi ha messo le mani addosso"
"Addirittura?"
"Si, da lì non ho giocato bene ed ho accumulato solo una serie di falli e, come hai già sentito, un'espulsione"
"Forse l'ha fatto per invidia?"
"Non vorrei saperlo, anche perché poco mi importa"
"Ma ne va della tua reputazione e anche di te, insomma hai lottato tanto per avere quel posto e certamente non sarà uno come Rumlow a toglierti tutto"
"Tu credi?"
"Non lo credo, lo so"
"Se lo sai, perché quando ti ho invitato alla partita non sei venuta? Insomma se c'eri potevi darmi una carica in più"
"Si, avrei potuto darti una carica in più come la tua amata cheerleader? Aspetta non lo è più..."
"Sei tagliente..."
"Mi hanno chiamato sempre acida, mai tagliente"disse lei camminando poco più avanti di lui.
"C'è sempre una prima volta, no? Non mi hai più detto perché non sei venuta"chiese lui e lei si fermò per un attimo.
"Mi ero sentita poco bene, soffro di pressione bassa e spesso molti spostamenti o sforzi non giovano molto alla mia salute"
"Non potevi mai dirgli la verità, giusto?"le ricordo il suo subconscio.
"Ah...allora la tua è stata tutta fortuna. Chi come me, che ha una madre infermiera, potrebbe aiutarti in questi casi?"
"Tua madre è un'infermiera? Non me l'aveva detto"
"Non te l'aveva detto perché eravate troppo impegnate a parlare di me e della mia paura di cucinare, che non riesco neanche a friggere delle patate che subito corro in camera mia"disse lui e Wanda scoppiò in una risata sincera che riempiva il silenzio di quella strada dove si trovavano.
Guardandola si rese conto che quello che aveva detto era vero, che lei era veramente bella. I suoi occhi verdi, pieni di luce grazie ai lampioni della città, la lunga cascata di capelli castani in contrasto con il suo solito girocollo bordeaux che si abbinava al suo smalto nero.
Era tutto perfetto in lei, niente e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea.
"Sei esagerato. Credo che dovrò insegnarti qualcosa"
"Insegnarmi? Tu ricambierai solo il favore che ti sto facendo"
"No, o lezioni private o niente"
"Invece si"
"Invece no"
"Okay, l'hai voluto tu..."
"Cosa?"chiese lei curiosa e con un sorriso sulle labbra.
"Proverò a convincerti con la mia mossa segreta"
"Giochi a basket, non sei uno che fa karate"
"Infatti non è una mossa di karate, è solo quella che uso per convincere qualcuno, specie Rebecca"
"Si, okay ma si dà il caso che non sono tua sorella e perfavore, non fare quello che stai per fare...James, non osare. James no!"urlò lei appena si trovò a pochi centimetri da terra.
La prese in braccio e la sua faccia si scontrò con la sua schiena mentre la cascata dei capelli lunghi e castani sfiorava il marciapiede. Le manteneva le gambe e lei gli riempiva la schiena di pugni.
"James mettimi giù!"
"È divertente! Dai solo due minuti"
"Due minuti? Sei impazzito?"
"Non dirmi che non ci riesci, ti manca poco dai!"
"No James, ti prego! Mettimi giù"lo supplicò lei presa da una paura improvvisa che appena avesse piede sul marciapiede sarebbe svenuta.
"Okay mylady"e lui la poggiò a terra mentre lei teneva ancora stretta la presa sulle spalle.
"Ti senti bene?"
Non seppe rispondere in fretta, troppo persa nelle sue pozze blu per poter tornare in superficie. Le avrà viste una decina di volte ma mai da così vicino e dentro di lei un senso nuovo di meraviglia stava per nascere.
"Si, solo un leggero fiatone..."disse lei spostando solo ora le mani da sopra le sue spalle.
"Bene, allora andiamo?"chiese lui.
Lei annuì e tolse le mani da sopra le sue spalle ma lui fu più veloce e ne prese una per intrecciarla alla sua. Per l'ennesima volta sarebbe stato un ritorno a casa parecchio lungo.
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20 luglio 2022
Daniele mi ha dato buca per il film. Why I am not surprised? Questa volta però me la sono presa. Ma non per il film, ormai fa niente per quello. Non puoi prendermi in giro così. Non sapeva che mi dovevo vedere con ile stamattina e venire in auletta e alla fine non me la sono sentita di rinfacciargli il fatto che io ormai avevo preso un treno ed ero già qua, sarebbe stato childish e anche inutile. Mi ha mandato un audio dove inizia dicendo ‘scusa se non ti ho più risposto ieri, stavo impegnato a fare una cosa e poi mi sono scordato’ (ma mi aveva risposto? Mi aveva letteralmente scritto ‘si, assolutamente’) e continua dicendo che oggi la cosa salta e scherza dicendo che questo ce lo vedremo in streaming sta volta. Ora io dico, ma che bad karma ho? Che ho fatto di male per non essere neanche presa sul serio?
1) Ieri avevo mandato un audio a lui in cui sono stata molto breve e concisa dicendo esattamente ‘c’è il film che avevamo deciso di vedere, i giorni disponibili sono oggi e domani, ti va di vederlo domani?’ Non gli avevo proposto il giorno stesso perché sono una che da un minimo di preavviso alla gente, dato che sarebbe venuto in macchina. La sua risposta a questo audio è stata ‘si, assolutamente’. Hai davvero risposto all’unica domanda che avevo fatto. Il fatto che dice che non mi ha più risposto può voler dire solo che a) non hai nemmeno ascoltato cosa ho detto e mi hai risposto a caso oppure b) hai sentito e detto si ma poi hai preso altri impegni o non ti andava più di venire (quindi cmq hai deciso di mentirmi ok). Questo ci porta al punto 2 cioè
2) Se hai deciso che non ti andava più (sto prendendo l’ipotesi migliore per te) perché cazzo menti? Siamo compagni di tesi e già più volte ho detto in vari contesti che preferirei che la gente dicesse le cose in modo dirette senza inventare scuse. Lui manco una scusa mi ha dato. Ha solo detto che non si può più fare. Ha deciso lui e basta.
Perché mi dici si se poi devi bidonarmi? Secondo me non ha neanche ascoltato cosa gli dicevo. Perché non era finito lì il discorso, io gli ho risposto con un altro audio dicendo che dato che questo era il mio film preferito avrei voluto vederlo dall’inizio (dato che l’altra volta per colpa del parcheggio ci siamo persi 20 min) e gli ricordo l’orario e di essere puntuale. Lui risponde di nuovo si e poi se la ride. Uno che risponde un si secco io pensavo fosse una cosa buona, non gli piace perdere tempo e quindi dicendo solo si pensavo avesse recepito il messaggio. Ma no, lui stava nel mondo dei sogni e io stavo avendo chiaramente una conversazione con un muro dato che poi mi dice che non mi più risposto il giorno dopo. Assurdo. Io pensavo potessi contare su di lui per questa cosa, era solo un’andata al cinema. Avrei solo davvero voluto avere compagnia mentre rivedevo un film che mi è piaciuto un sacco. Ma questo manco mi ascolta quando parlo. Mi fa incazzare solo sta cosa. E il fatto che non mi merito neanche una spiegazione/scusa. Ovviamente dopo gli ho lasciato un messaggio ricordandogli che se scorreva con un dito la chat di due centimetri avrebbe trovato la risposta che effettivamente mi aveva dato e che non mi sono sognata. Ora non penso abbia visualizzato niente di tutto ciò. Che facesse il muto. Con tutti i litigi tra me e mio padre sono diventata bravissima a fare il gioco del silenzio. Io sono una che perdona ma non dimentica di solito. I prossimi film te li vai a vedere da solo. E i manga non li rivedi fino a settembre. E non so neanche se gli chiedo il permesso di prestarmi il proiettore perché significherebbe parlargli e non mi va. Lo prendo e basta e lo riporto lunedì, quando verrò con mia sorella che ha l’esame, ho deciso. Non lo contatto più fino a settembre sto stronzo. Pensa di potermi mentirmi così. La mia fiducia nei tuoi confronti è scesa a -200%. Probabilmente col tempo I will cave in e salirà ma almeno per ora (magari fino a settembre) non mi va più di sentirlo.
Ora ho deciso che ci vado lo stesso a vedermelo, andrò da sola ma che ci vuoi fare. Non posso fidarmi proprio di nessuno io. Manco di ile che oggi mi ha fatto perdere tempo per aggiustare il poster del concorso a cui parteciperà con gruppo di restauro e che alla fine ho pure accompagnato a stampare. Dove altro la volete trovare una come me? Mi stanno facendo sentire una nullità solo perché sono una persona loyal to you. Non abbiamo fatto niente di inglese. Un’altra cosa con cui avrei preferito avere compagnia, su cui mi assicurano di avere compagnia e che ora mi tocca vedermela da sola perché non posso neanche contare su quelle pochissime persone con cui sono amica. Ora lei se ne è andata, il mio nuovo programma era rimanere a sentire le tesi che discutono col ppt il pomeriggio fino alle 5 e a quell’ora avviarmi al cinema. Ma non posso fare neanche quello perché non fanno entrare persone esterne ad assistere per il covid. Stanno fuori un sacco di parenti fuori a guardare da zoom la seduta bah.
Quindi io ora sono salita in auletta, ho l’aria condizionata sparata a mille, I’m on the verge of crying for my own stupidity and trust toward umans e mi devo pure leggere la risposta di quell’idiota dove dice ‘venire apposta apposta mi era un po’ difficile’. Vedi che escono le ragioni vere che spingono sto ragazzo a mentire? Bho, io tentata di dirgli ‘lascia stare, fa niente’ e chiudere qui la mia fiducia. Si prospetta un’estate alquanto triste, ottimo. I can only count on me, like always. This is why I’m never getting a boyfriend. Non fa per me.
Manca ancora mezz’ora, penso di aprire il tablet e vedere io qualcosa di inglese per fatti miei, non ho molta scelta, o questo o crogiolarmi e autoanalizzarmi per capire dove è che sbaglio. Ok basta, metto una sveglia alle 5 e stacco internet ora.
[after the movie]
The princess my loml my beloved she’s stayed true to herself so proud of her I aspire to be like you. Ora ho messo il biglietto nella cover trasparente del telefono. Sono contenta di essere andata lo stesso a vederlo, it’s been strangely exhilarating. Non so. Ora però mi sta venendo un mal di testa da non aver mangiato. Mi ha fatto salire un po’ di nervosismo oggi che non mi andava di pranzare e persino ile non ha insistito, ha percepito che stavo un po’ così. Meno male che prima di andarmene dalla facoltà mi sono presa una cosa biscottosa allo yogurt dalle macchinette. Mi dispiace di non aver sentito i voti dei laureandi. Finisce sempre così assurdo. Vabbè. Domani aggiorno ile. Per il resto della giornata cerco di non prenderla troppo sul serio. Se si vorrà fare vivo lui allora gli spiego, se no ciao davvero, fai quello che vuoi per il resto dell’estate, ci si rivede una volta che torniamo.
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I’ll be coming for your love, okay? (Harringrove, Cap 3)
Se avesse dormito un’altra notte in quel motel, avrebbe senz’altro ucciso qualcuno per nasconderlo nel contenitore del ghiaccio accanto ai distributori automatici. Forse aveva deciso di rimanere a Hawkins senza pensare bene a tutte le dovute e significative conseguenze. Però quella conversazione origliata non lo lasciava in pace. Gli risuonava in testa come un eco infinito. E la noia non aiutava. Decise così, il lunedì mattina, che avrebbe dovuto trovare un lavoro. Se voleva cercare un posto in cui vivere, doveva quanto prima avere un fondo cassa assicurato. Girò per tutta la cittadina, chiedendo a chiunque un posto di lavoro ma chi lo riconosceva lo cacciava via senza troppe scuse e chi non lo conosceva, semplicemente non aveva bisogno di una bocca in più da sfamare. Hawkins era in crisi e, per di più, era estate. All’ora di pranzo si ritrovò scoraggiato e stanco alla tavola calda che in qualche modo gli aveva dato il bentornato in quel posto. Fu nuovamente la signora a servirlo, probabilmente ricordandosi di lui o, ancor più probabile, perché fosse l’unica a gestire quel posto mezzo desolato. Nell’attesa si accese una sigaretta, che fumò avidamente come se la nicotina potesse in qualche modo confortarlo. Non aveva proprio idea di cosa fare, più i giorni passavano, più i soldi scarseggiavano. La sola idea di ritornare al motel lo metteva di cattivo umore e il fatto che non avesse alcun posto al mondo dove rifugiarsi lo faceva sentire uno schifo. Fu distratto dal rumore di stoviglie a terra e la signora mezza accasciata su uno degli sgabelli di fronte al bancone. Billy si alzò per soccorrerla, spegnendo la sigaretta nel bicchiere del caffè. La fece sedere su una delle poltrone del locale e si adoperò per portarle un bicchiere di acqua. «Sta bene?» domandò. «Cosa è successo?» Quella bevve come se non lo facesse da un secolo e poi prese un grosso respiro. «Succede che mio figlio si è suicidato e io sono troppo vecchia per mandare avanti questo dannato posto». Billy non diede modo di dimostrarle quanto potesse trarci beneficio da quella risposta, ma finse un sospiro e “mi dispiace molto per la sua perdita” le rispose. Quella fece una smorfia. “Non dispiacerti, caro. Sei molto gentile, spero tu abbia la pazienza di poter aspettare che ti cucini di nuovo la tua ordinazione” si scusò. Billy guardò il piatto a terra e si allontanò senza aggiungere altro. Raccolse i cocci e ripulì. Tornò poi dalla signora che, seppur poco convincentemente, lo aveva esortato a lasciar perdere. “Facciamo così: lei resta seduta qui e io cucino per entrambi qualcosa da mangiare. Che ne pensa?” La signora fu sorpresa. “Sei un cuoco?” “No, ma ho lavorato in un paio di tavole calde e sono piuttosto veloce ad imparare. Prometto che non le incasinerò la cucina, ci sta?” usò la tecnica del fascino, sbattendo gli occhioni blu e assumendo una posa piuttosto scomoda pur di evidenziare le forme virili dei suoi muscoli. La signora, tuttavia, non sembrava colpita – non quanto la signora Wheeler, insomma – ma gli permise comunque di mettersi alla prova con un cenno della mano. Billy camminò verso la cucina fermandosi davanti al jukebox per scegliere un disco con cui intrattenere entrambi. Per fortuna la tavola calda era deserta. Scelse Animals dei Pink Floyd, non uno fra i suoi preferiti ma comunque poteva andar bene. La signora non si lamentò. Tornò una quindicina di minuti più tardi con due piatti fra le mani. Aveva cucinato della pasta, approfittando della pila d’acqua già bollente sul forno. “Oh mio dio, hai cucinato la pasta?” fu sorpresa la donna. Billy si inorgoglì posandole davanti il piatto fumante. Poi le si sedette di fronte col proprio sotto il naso. Dal profumo sembrava buono. In California aveva soltanto visto come il cuoco la preparava ai clienti, non si era mai realmente cimentato, ma era bravo a imparare soltanto osservando le persone fare qualcosa e per quell’occasione, in cui aveva un disperato bisogno di trovar lavoro, aveva optato per scommettere tutto ciò che poteva. La osservò nell’assaggio e quando questa non disse nulla continuando a mangiare, Billy iniziò a fare lo stesso. “Da dove vieni, ragazzo?” “Sono Billy Hargrove, signora. Io e la mia famiglia ci siamo trasferiti lo scorso anno dalla California”. Ci pensò un po’ e il silenzio che gli riservò la signora lo fece pentire di aver detto la verità. “Hargrove, eh. Mai sentito nominare. La pasta è buona, ti è stato insegnato bene”. “Cerca qualcuno che possa aiutarla a mandare avanti la tavola calda, signora?” andò infine al dunque. “Se solo potessi permetterlo. Mando avanti questo posto soltanto per i clienti affezionati, sai? Mio figlio Benny doveva aver fatto un patto col diavolo, perché non riesco proprio a capire come potesse campare in questo modo”. Billy annuì seccamente. D’improvviso non aveva più fame. “Se continua a gestirlo da sola, non finirà bene”. “Se stai cercando di convincermi, stai usando la tattica sbagliata, ragazzo”. Il disco dei Pink Floyd si era girato nel suo lato B e Billy si sentiva già stanco di quella musica. Si alzò per andare a cambiarla. Scelse i Talking Heads. Pyscho Killer iniziò subito a suonare nel locale, quando due camionisti entrarono nella locanda, salutando la proprietaria e sedendosi senza aggiungere altro. Billy tornò da lei, spavaldo e sicuro. “Ora cucinerò per i suoi due clienti, se gradiranno i miei patti, lei si farà aiutare da me. Prenderò quanto mi basta per poter campare e la aiuterò a far aumentare la clientela. Abbiamo un accordo?” La signora sorrise. Lo ispezionò con un sorriso inquietante. Forse qualcosa in lui l’aveva convinta. Billy le sorrise ammiccandole. “Sei ancora qui? Vai a prendere le loro prenotazioni e poi fila in cucina!”. Billy si mise subito all’opera. Fu cordiale con i clienti e operativo in cucina. Averla tutta a disposizione era un privilegio che in California non si era neppure guadagnato. Sapeva di saper cucinare e di essere capace. La stima, dopotutto, non gli era mai mancata. Nonostante ci fosse stato sempre la presenza di un padre molesto che tutto aveva fatto nella vita, tranne che incoraggiarlo. Portò ai clienti ciò che avevano ordinato, niente di davvero complicato ma ci aveva aggiunto il suo tocco per rendere speciali i loro panini, e aveva spiegato loro quale fosse la situazione. Poi li lasciò mangiare in pace, dando modo a Billy di tornare dalla signora. “Farò io la spesa ogni mattina, conosco un supermercato qui vicino che a prezzi più bassi di tutti vende cose buone-” “Ragazzo. Billy, hai detto che ti chiami! Billy, pensi che io non faccia già lì la spesa?” replicò lei osservandolo beffardamente. Billy sorrise vispamente. “Andrò io, così lei non si affaticherà. Starà qui nel locale, almeno fino a che non si fiderà. Penserà alla gestione della cassa e io a tutto il resto”. “Solo se quei due avranno gradito ciò che gli hai preparato. E dicevo sul serio, Billy, non ho molto da offrirti”. “Sono piuttosto disperato, signora-” “Holly, chiamami Holly” “Dicevo, signora Holly” “Solo Holly” “Sono disperato e ho bisogno di un lavoro, Holly. Ho girato per tutta la città e nessuno è disposto a darmene uno. Suppongo sia per quello stronzo di mio padre e delle voci che ha messo in giro, ma sono- sono un bravo ragazzo. Ho solo bisogno di una possibilità”. Non sapeva a quante di quelle parole credesse e quante di queste la signora Holly le avesse percepite sincere. Ma era piuttosto espressiva la sua disperazione. Continuava a sorriderle sghembo come il suo solito, ma era chiaro che Billy non chiedesse altro che una chance. “Come ti ho già detto, non conosco la tua famiglia e se quello stronzo di tuo padre ha messo in giro voci su di te, è un bene che non siano arrivate fin qui. Sarei andata a prenderlo a calci nel sedere: nessun genitore dovrebbe fare questo al proprio figlio, soprattutto se si pensa alle tragedie come la mia, che ho perso un figlio senza avere nemmeno una spiegazione. Oh, basta, prima che mi rimetta a piangere! Quell’ingrato non se le merita più le mie lacrime” ironizzò con gli occhi lucidi la donna. Billy preferì il silenzio, perché sapeva benissimo che Holly non aveva idea dell'inferno che aveva patito o a quante volte anche per lui il suicidio fosse stato un'opportunità. Di salvezza. “Carl, Matthew, che ne dite? Il ragazzo può diventare il vostro cuoco?” fu destato dalla curiosità di sapere la risposta a quella domanda. Guardò i due uomini seduti a un tavolino poco distante da loro. “Direi di sì, Holly” esclamò il primo. Billy sospirò di sollievo stringendo a pugno la mano che aveva sotto il tavolino. “Soprattutto perché lui almeno ci ha fatto scegliere l’ordinazione!” rincarò il secondo. Billy guardò Holly divertito e sorpreso. “Oh, chiudi il becco Matthew, che non ti sei mai lamentato di ciò che ti offriva la casa!” replicò Holly alzandosi. Guardò Billy: “Resta, parliamo d’affari”. *** Tornare al motel fu come una vera e propria tortura cinese per Billy. Se ne rimase nella sua Camaro, parcheggiata di fronte alla propria stanza, ad ascoltare musica e a mangiare la propria cena per un tempo indefinito. Poi entrò in stanza e dopo l’ennesima doccia – cavolo era quasi finito luglio e forse l’estate stava arrivando anche a Hawkins – si mise a letto a guardare i soliti programmi spazzatura alla televisione. Con Holly erano arrivati a un compromesso. Lei non voleva approfittarsi della bontà del ragazzo e gli aveva garantito un orario di lavoro: le bastava che facesse il turno della mattina fino al pranzo, quando c’era un po’ più di gente da servire, e lei si sarebbe occupata delle restanti ore fino alla chiusura. Facevano eccezione quei giorni in cui Holly fosse stata troppo stanca, ma avrebbe comunque chiesto sempre a Billy la sua disponibilità. Il pagamento era in fondo discreto ma Billy pensò subito all’esigenza di un secondo lavoro e considerata la difficoltà che aveva avuto a trovare il primo, prima di imbattersi in Holly, decise di non andarselo a cercare. Sarebbe arrivato da sé. Così i suoi pensieri si focalizzarono sulla sua mancanza di un tetto dove sistemarsi. Pensò a Susan e a Maxine. D’altronde c’era la sua stanza, in quella casa, ma la sola idea di dover convivere con due donne e perdere l’indipendenza di quei mesi da solo, gli fece subito bocciare quella possibilità. La sua nuova esigenza era quindi trovare un appartamento e magari un altro colpo di fortuna come era stato per il lavoro. Si addormentò più serenamente, ora che aveva un lavoro, ma sapeva che aveva ancora molto da fare per poter fare sul serio sogni tranquilli. Si svegliò come sempre a notte fonda. Fumò le solite due o tre sigarette, guardò un altro po’ di televisione e si riaddormentò, ricordandosi come un mantra che nessun mostro sarebbe andato a cercarlo. Perché il suo mostro era passato a peggior vita – o almeno così si augurava. Dormì un altro paio d’ore. La sveglia presto, a cui non era abituato, lo colse del tutto impreparato e nemmeno il caffè riuscì a metterlo di buon umore. Quando salì nella sua Camaro, con una sigaretta in bocca e la musica ad alto volume, però, col pensiero di andare finalmente a lavorare, si sentì un po’ meglio. Aveva uno scopo che gli faceva tenere la mente occupata. Faceva qualcosa che, in ogni caso, gli piaceva fare e anche se non aveva un posto in cui abitare, le sue radici forse stavano iniziando a farsi spazio nel terreno. Perché proprio lì, tuttavia, doveva capirlo anche lui. Fece la spesa, come promesso a Holly, seguendo una lista che gli era stata data dalla proprietaria e comprando anche qualcosa di sua iniziativa. Andò verso la tavola calda, guidando col finestrino abbassato e gesticolando a ritmo dei Metallica. Si stava caricando. Quella giornata non era iniziata benissimo, ma poteva finire in modo grandioso. Invece no. Non ne aveva ancora idea. Ma no. Decisamente non sarebbe finita in modo grandioso. Parcheggiò davanti all’entrata e scese dall’auto, guardandosi attorno. Prese le buste e il giornale con gli annunci di appartamenti ed entrò dall’entrata di servizio dietro al locale. Si ritrovò direttamente in cucina dove Holly lo attendeva guardando il notiziario alla televisione. “Oh buongiorno caro, comprato tutto?” “Sì, Holly, buongiorno” rispose Billy. D’improvviso un po’ nervoso. Ma era bravo a non darlo a vedere. Sistemarono insieme tutto quanto e Holly gli diede le ultime indicazioni. “Ho pensato io alla pasta per i croissant, tu devi solo infornarli. Poi stai perlopiù al bancone e se qualcuno ti ordina qualcosa di più complicato, gli dici che la cucina è chiusa” fu perentoria lei. Billy sorrise divertito. “Non è un problema cucinare anche per la colazione”. Holly fece spallucce e “come vuoi tu, perderai la pazienza molto presto, in ogni caso” gli assicurò. Billy mise le mani sui fianchi e la guardò, maliziosamente, con aria di sfida. Lei lo ignorò e Billy fu deluso di non suscitare in lei le solite reazioni a cui era abituato quando si trattava di comunicare con una donna di mezza età. Holly lo lasciò consigliandogli di far presto che la gente sarebbe incominciata ad arrivare da lì a momenti e Billy annuì semplicemente, mettendosi a lavoro. I croissant erano perfetti. Dorati alla perfezione. Billy li tirò fuori dal forno con un sorriso da idiota stampato in volto. Li ordinò velocemente in un recipiente e li coprì con una teca trasparente, incamminandosi subito fuori dalla cucina. Quando li depositò sul bancone, entrarono i primi clienti. Allora, Billy iniziò a lavorare sul serio. Le ordinazioni erano di ogni tipo, ma in generale le più classiche. Gli abitudinari si erano adattati ai metodi di Holly ma quando videro Billy al loro servizio, ne approfittarono per chiedergli qualsiasi altra cosa. Così Billy si ritrovò a fare avanti e indietro per la cucina. Stancante, ma impegnativo e non aveva desiderato altro. In California girava per i tavoli, prendeva ordinazioni, portava le ordinazioni, ammiccava alle signore e ci provava con le ragazzine. Offriva da bere ai ragazzi, bevendo assieme a loro. Ed era così che si faceva la sua clientela. Lì, invece, seppur l’ambiente fosse meno caotico, Billy era comunque piuttosto occupato a gestire, da solo, tutto quanto. Holly era alla cassa e lo guardava di tanto in tanto, probabilmente domandandosi quando sarebbe stato il momento in cui avrebbe tagliato la corda. Il lato positivo fu che non aveva neppure il tempo di fumare. Non che avesse intenzione di smettere, ma i soldi scarseggiavano e forse fumare qualche sigaretta in meno gli avrebbe giovato. A Hawkins, a differenza della California, parlava molto di meno e diceva quelle due o tre parole in croce che necessitavano per garantire un servizio. Era grandioso, visto la sua poca propensione, attuale, a farsi degli amici. Ed era tutto grandioso, in realtà. Era impegnato, nessun pensiero in testa se non seguire le ordinazioni e portarle a termine, e il risveglio traumatico era solo un lontano ricordo. Sentiva che quella giornata stava proprio prendendo un’ottima piega, ed erano solo le nove. Fu un tantino ottimista. Un po’ troppo. Lo capì quando una voce irruppe nel locale silenziando quasi il vociare sommesso della clientela. Fu una esclamazione. Anzi, una imprecazione. «Cristo santissimo!» Billy alzò immediatamente lo sguardo per cercare chi avesse appena pronunciato il nome – del figlio – di Dio invano. La giornata si guastò non appena si imbatté nello sguardo incredulo e sconcertato di Steve Harrington, che per accertarsi fosse veramente Billy quello dietro al bancone si era perfino tolto i suoi immancabili ray-ban neri. Cristo, se quell’essere vivente sapesse ogni volta rovinargli ogni cosa. «Steve! Ma che ti prende?» lo rimproverò Holly, guardandolo con cipiglio. Harrington, che aveva guardato dritto negli occhi di Billy fino a quel momento, con una mano sul cuore – probabilmente per lo spavento – si girò a guardare la proprietaria e fece una smorfia imbarazzata. «Mi dispiace, Holly. Mi dispiace… ma da quando eri alla ricerca di personale?» le domandò lui. Billy guardò la proprietaria e poi il bicchiere che aveva appena lavato. Decise di depositarlo assieme agli altri e di continuare come se niente fosse successo. Anche se era successo tutto. Con Steve Harrington che era piombato nel locale in cui aveva iniziato a lavorare, il suo primo giorno, era successo fottutamente di tutto. Sentiva già la palla di neve rotolare giù e diventare una valanga che non avrebbe potuto evitare. «Non ero alla ricerca di personale. Cos’è? Ti dispiace che non sia più io a servirti, Steve?» lo prese in giro lei. Steve ridacchiò ancor più imbarazzato, passandosi una mano fra i capelli e gesù cristo Billy doveva smetterla di osservarlo. Indossava un completo elegante e wow era abbastanza strano, visto che l’aveva sempre visto indossare abiti più casual. «Certo che mi dispiace, Holly. Tu sei la mia cuoca preferita, secondo te perché vengo tutte le mattine a far colazione da te?» «Credevo che il motivo fosse il fatto che fossi sempre troppo in ritardo a lavoro, per poterti permettere di cucinare qualcosa a casa» replicò lei. Steve ridacchiò ancora, gettando uno sguardo verso Billy che fece in tempo a ignorarlo. «Già, anche per quello» concluse, poi. Sembrò inizialmente recalcitrante ad avanzare verso il bancone e quasi propenso a fuggire di lì od optare per uno dei tavoli ma alla fine si avvicinò e gli si sedette di fronte. Guardò prima Holly, per accertarsi che non lo stesse più osservando, e sicuro della sua distrazione mentre faceva il conto a due camionisti, Steve parlò direttamente a Billy: «Che diavolo ci fai tu qui?» uscì fuori come una accusa. Billy ghignò a un piattino. Subito dopo lo guardò negli occhi, divertito e folle come ai bei vecchi tempi: «Ci lavoro. Capisco che tutto ciò su cui hai puntato nella vita è il tuo bel faccino, ma credo che sia piuttosto semplice intuire che chi sta dietro al bancone di una tavola calda solitamente è chi lavora nella suddetta tavola calda» lo prese in giro. Harrington roteò gli occhi al cielo. «Cosa ci fai qui a Hawkins» specificò Steve ignorando l’offesa. Billy fece spallucce, mise da parte il piattino appena lavato e posò le mani sul lavandino. Mostrò uno dei suoi migliori sorrisi, anche se l’arrivo di Harrington lì gli aveva decisamente fatto tornare il cattivo umore, e si dimostrò come l’impertinente provocatore che era sempre stato: «Mio padre è morto. Cosa vuoi ordinare?» Steve Harrington rimase senza parole e chiusero quel minuto e mezzo di sguardi silenti ma ben espliciti quando proprio lui si ridestò tirandosi dritto con la schiena e mostrandogli l’espressione infastidita che non vedeva da ben sei mesi. O qualcosa di più. Billy sorrise smagliante. «Ordinare? Da te? Niente, grazie» optò acidamente, alla fine. Billy alzò un sopracciglio. «Arrivederci, quindi. La strada per l’uscita la conosci molto bene, o devo indicartela?» «Billy Hargrove, cristo santo» affermò Harrington, esasperato. «Proprio io, ma non fartela nei pantaloni. Sono venuto in pace, Harrington». «Chissà perché ma stento a crederlo» sospirò il moro. Billy sghignazzò divertito. «Sei tu che sei entrato nel posto in cui lavoro, fosse stato per me avremmo potuto anche non doverci incontrare mai». Steve era esterrefatto. Gli mise il broncio. «Questo è la mia tavola calda-» «Ah, funziona così con la tua famiglia? Solo perché possedete metà Hawkins vi credete i padroni di tutto quanto?» «Non intendevo questo- solo che-» Steve Harrington si risparmiò di confidarsi con Billy. Grazie a Dio. Billy gli fece il verso: «Cosa? King Steve, cosa fa imbronciare quel bel faccino che ti ritrovi?» Steve negò e alzò gli occhi al cielo, già esausto di avere a che fare con lui. «King Steve, ancora con questa storia? Cristo santo, Hargrove, perché non cresci?» «Ti ho chiesto l’ordinazione, qualcosa come cinque minuti fa, sei tu che stai facendo il moccioso offeso soltanto perché lavoro in questo posto» gli fece notare intelligentemente Billy. Steve lo guardò dritto negli occhi, prima di inforcare il proprio paio di occhiali. «Sai che c’è? Vado a sedermi ai tavoli. Un cappuccino, un toast col bacon e… i pancakes. Sciroppo a parte» ordinò andandosene senza attendere alcun segnale dall’altro, né senza ringraziare o chiedere con cortesia. Non che Billy se lo aspettasse, certo. Billy poté solo reagire con una smorfia di disgusto. Quello era un pessimo modo di fare colazione. Però si divertì a preparargliela. Sul cappuccino, soprattutto, riversò tutta la sua creatività. Con la schiuma e il cacao fece una bella rappresentazione artistica di ciò che voleva comunicargli dopo quel breve scambio di parole ed era veramente curioso di scoprire quale sarebbe stata la reazione di Harrington, Mister Permalosità. Gli portò tutto con un vassoio e glielo posò sul tavolo, «Strozzati, Harrington» gli augurò ironicamente, ritirandosi velocemente al bancone. Poi, dalla sua postazione, lo guardò inopportunamente e con un sorrisetto molesto stampato in viso che aumentò notevolmente quando Steve si rese conto dell’opera d’arte nel suo cappuccino. Un dito medio lo salutava, mandandolo laddove Billy, per questione professionale, non aveva potuto mandarlo a gran voce. «Che gran figlio di put-» aveva iniziato Steve, esasperato, interrompendosi quando Holly passando di lì lo aveva guardato allibita, probabilmente a causa di quel comportamento così scortese. Forse Holly era stata abituata a conoscere un altro Steve Harrington. Ma fino a quando Billy Hargrove avesse lavorato in quel posto e Steve avesse continuato a frequentarlo – e dopo quell’incontro da suicidio credeva proprio di averlo convinto a non farlo – Holly avrebbe fatto prima a rassegnarsi a vedere ciò che Billy riusciva a tirar fuori da Steve Harrington: il suo peggio. E in generale da chiunque altro lo conoscesse in quella cittadina. Per un momento sperò che Steve fosse l’unico a far visita a quel posto – dannazione, data la distanza dal centro credeva quasi impossibile far un incontro con un viso conosciuto, eppure aveva dovuto ricredersi immediatamente. Proprio per colpa di Steve Harrington. La vita faceva proprio schifo col suo tempismo. Soltanto quando Steve abbandonò la tavola calda, senza dirgli nulla e anzi fingendo che non ci fosse, Billy ebbe la più brutta delle rivelazioni: ora chiunque avrebbe saputo del suo ritorno. Quella consapevolezza gli fece finire un pacchetto di sigarette. Alla faccia del risparmio!
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