#beni comuni
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aitan · 3 months ago
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In Spagna, in Francia, in Grecia, in Turchia, in Croazia, in Tunisia e, praticamente, in quasi tutti i Paesi del Mediterraneo, le spiagge sono libere, pubbliche e ad accesso gratuito per almeno l'80% del litorale balneabile. E noi qui a parlare del rinnovo delle concessioni a individui che per quattro soldi occupano e sfruttano intensivamente spazi di costa da cui ricavano barche di soldi, negando di fatto l'accesso al mare a chi non è disposto o non è in grado di pagare dai 25 ai 60 euro per l'uso di un paio di sedie e un ombrellone per qualche ora del giorno.
Un problema secondario rispetto ai grandi problemi che tormentano gli oppressi del mondo, ma comunque un problema di oppressione verso chi è più debole e privo di difese e protezioni.
Cfr.
aitanblog.wordpress.com/2022/08/06/le-docce-di-blanes/
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albertodicapua · 5 months ago
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3. Che fai di bello? Il futuro emergente
Democrazia partecipativa e beni comuni
E veniamo invece a descrivere questa figura professionale che tu chiami ‘Facilitatore’ In effetti questa figura richiama gli insegnamenti di Socrate e la sua famosa maieutica. Questa figura nel tempo si è caratterizzata in base agli ambiti di intervento; nel saggio mi sono soffermato sul facilitatore di processi rigenerativi, su quello dei processi partecipativi e quelli di Life Design ma…
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marcogiovenale · 8 months ago
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biblioteca di condominio
È la prima biblioteca di condominio che ha aperto i battenti in Via Rembrandt 12 a Milano nel febbraio 2013 . Una portineria in disuso attrezzata con scaffali, poltrone e una macchinetta automatica del caffè per rendere più piacevole la lettura. Con gli inquilini di otto piani di appartamenti a darsi il turno per gestire mille libri arrivati da mezzo quartiere. Fra schedature, registri per…
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bikewalden · 1 year ago
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sui BENI COMUNI
Intervista a Lorenzo Guadagnucci Realizzata da Luciano Coluccia
BENI COMUNI
L’equivoco di far coincidere l’ideologia della decrescita con un periodo di crisi economica. La delusione di un terzo settore sempre meno fattore di cambiamento e il paradosso di una Banca Etica che investe in Borsa. La tradizione, dimenticata anche dai sindacati, del mutualismo. Intervista a Lorenzo Guadagnucci.
Lorenzo Guadagnucci, giornalista, ha pubblicato, tra l’altro, Il nuovo mutualismo, Feltrinelli 2007, e Dalla parte sbagliata del mondo, un libro-intervista a Francesco Gesualdi, Terre di Mezzo 2008.
Una Città n° 158 / 2008 Agosto-Settembre
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pier-carlo-universe · 16 days ago
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Beni Confiscati in Piemonte: Sostenere i Piccoli Comuni per Facilitare i Percorsi di Riutilizzo Sociale
La Regione Piemonte e il Consiglio Regionale si impegnano per migliorare il riutilizzo sociale dei beni confiscati, puntando sul sostegno ai piccoli comuni
La Regione Piemonte e il Consiglio Regionale si impegnano per migliorare il riutilizzo sociale dei beni confiscati, puntando sul sostegno ai piccoli comuni. Il riutilizzo sociale dei beni confiscati in Piemonte rappresenta una sfida significativa, soprattutto nei piccoli comuni, dove le risorse limitate e la complessità burocratica ostacolano spesso l’attuazione di progetti di recupero e…
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primepaginequotidiani · 3 months ago
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PRIMA PAGINA Gazzetta Del Sud Calabria di Oggi martedì, 20 agosto 2024
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assowebtv · 2 years ago
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TRIESTE: 50 BENI CONFISCATI, 40 DESTINATI. LE SCELTE DEI COMUNI
TRIESTE: 50 BENI CONFISCATI, 40 DESTINATI. LE SCELTE DEI COMUNI
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fridagentileschi · 11 months ago
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Se vi hanno insegnato a salutare quando entrate in un ambiente,
se vi hanno abituato a dare del lei agli adulti come forma di rispetto,
se vi hanno detto che negli autobus il posto si lascia alle donne incinte e a quelli più grandi di voi,
se vi hanno insegnato che i beni comuni vanno rispettati più dei propri,
se vi hanno insegnato che l’onestà è un valore imprescindibile,
se siete cresciuti con il cibo fatto in casa,
se avete giocato per strada per ore,
se non avevate i vestitini firmati.
se la vostra casa non era a prova di bambino,
se vi punivano quando vi comportavate male,
se non siete stati da uno psicologo e uno scappellotto ogni tanto l’avete preso;
se avete vissuto coi negozi chiusi la domenica e avete bevuto l’ acqua del rubinetto.
se il rispetto per gli insegnanti era la prima regola
se non conoscevate l’inglese a 6 anni e non avevate il telefonino a 9 ma sapevate bene cos’era l’educazione.
dimostrate che siete sopravvissuti in un mondo di valori e regole ancora VALIDISSIMI
Non permettete che il nuovo mondo di selvaggi Ve li porti via.
Ci
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falcemartello · 1 year ago
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La diva Albrecht, dopo il bagno nei servi sciocchi in quel di Romagna, ha fatto poi tappa a Venezia per farsi un giretto su un motoscafo (sembrerebbe un bellissimo Riva) e poi in gondola.
Non c'era mai stata!
Ma non è andata li per godere della bellezza di quei luoghi, infatti non c'era mai stata prima, il profondo nero della sua anima dubito abbia anche solo gli strumenti base per permetterle di apprezzare la delicata e struggente fantasia dell'arte umana che si trova a Venezia.
L'occasione era ghiotta, infatti la "nuova diva Paradiso" ha fatto tappa per visitare la Biennale di Venezia e per riversare sul suolo italiano, altra melma climatica che puzza peggio di Mefisto!
“Venezia è una meraviglia del mondo, ma questo gioiello del patrimonio europeo è minacciato dal cambiamento climatico. Possiamo agire e preservarlo. Il Nuovo Bauhaus Europeo ci sta mostrando la strada. Questo è il motivo per cui sono qui alla Biennale.
Un appuntamento dedicato ai nuovi modi di vivere e di come andare oltre la convinzione che il futuro dell’umanità sia legato a soluzioni già esistenti, di architetture emergenti per la giustizia climatica, di futuro digitale inclusivo, della nozione di beni comuni globali".
Luperco
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Traduco le ultime parole:
Questo gioiello del patrimonio europeo è minacciato dal cambiamento climatico = Venezia non vi appartiene all'Italia ma a noi elite
Il Nuovo Bauhaus Europeo ci sta mostrando la strada = il Bauhaus è la nemesi dell'architettura unica di Venezia, è l'esatto contrario, è standardizzazione contro arte di pezzi unici ed inimitabili
nuovi modi di vivere = non possederai nulla e sarai felice ma, se non lo sarai felice, non me ne fregherà un fico secco!
andare oltre la convinzione che il futuro dell’umanità sia legato a soluzioni già esistenti = non avete proprio idea di quello che stiamo preparando per voi idioti
architetture emergenti = baraccopoli
giustizia climatica = voi andrete a piedi e noi invece in gondola, motoscafo ed elicottero o jet privato
futuro digitale inclusivo = galera digitale in baraccopoli da 15 minuti
beni comuni globali = quello che oggi è vostro, domani sarà mio
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pettirosso1959 · 8 months ago
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VENEZUELA DIMENTICATO
Sono trascorsi decenni dal mio soggiorno lavorativo in Venezuela, ma da allora ho seguito sempre con interesse le sorti di quel paese. Ho lasciato una terra ricca di risorse, che nonostante certi difetti da attribuire in generale all’America Latina, che si manifestavano già a quel tempo, mostrava il volto di una nazione in crescita, il cui sviluppo industriale sociale e culturale in atto faceva sperare in un futuro prospero. Il Venezuela si avviava a diventare una sorta di locomotiva per gli altri stati dell’area.
Invece non è stato così. Un giorno è tutto cambiato. E’ salito al potere, eletto peraltro dal popolo, un rappresentante della sinistra più spinta, simpatizzante del sistema cubano. A partire da Chavez, poi grazie al suo successore Maduro, il regime di stampo comunista si è consolidato. Il rapporto con i capi cubani si è fatto sempre più stretto e il Venezuela è precipitato nel periodo più buio della sua storia.
La dittatura ha imposto condizioni terribili alla popolazione. Nei primi anni, quando si stava affermando, ascoltavo, collegandomi con gli amici locali tramite Skype, le loro lamentele. Erano preoccupanti quei racconti, da stentare a crederci se non fossi stata convinta della loro buona fede.
Il regime, dichiarando paradossalmente che il suo intervento era volto al benessere della popolazione, al riscatto delle masse più disagiate, non ha fatto altro invece che appiattire nella povertà e nell’ignoranza un intero popolo. Si è avvalso naturalmente di tutti i mezzi classici usati dalle dittature. L’opposizione ha avuto vita difficilissima ed è sempre stata schiacciata e soffocata anche nei momenti apparentemente democratici riservati alle elezioni, che si sono svolte in un clima terroristico.
La povertà dilagante e quindi l’impossibilità di ricavare ricchezza dalla popolazione, ha fatto sì che il regime abbia iniziato da subito a svendere le sue materie prime agli stranieri, prima fra tutte il petrolio, il cui sfruttamento era il perno dell’economia negli anni precedenti la dittatura.
L’impoverimento è stato tale che i beni di consumo si sono sempre più rarefatti, ricordo quando un’amica mi comunicava allarmata che non si trovava più neanche la carta igienica.
La corruzione dilaga. Anche l’apparato della salute pubblica è venuto meno, altro che sistema socialista, solo chi ha denaro riesce ad accedere alle cure. L’istruzione è distrutta. La stampa è imbavagliata, come pure il sistema giudiziario.
Il disastro si è maturato nel giro di pochi decenni, e non c’è speranza di cambiamento per ora.
Dal paese sono usciti non solo dissidenti del regime, ma tanti cittadini comuni in cerca di lavoro, di un futuro decente, per sfuggire alla miseria più nera.
Tanti italiani, gran parte dei quali discendenti di persone che si sono affermate negli anni in cui vigeva la democrazia, se ne sono dovuti andare. Ma l’Italia non è stata per niente generosa nei loro confronti. Non si sono sentiti appelli perché venissero accolti a braccia aperte nel paese d’origine dei loro antenati. Tutt’altro. Si parla della necessità impellente di ripopolamento dell’Italia, ma i governi italiani non hanno preso neanche in considerazione l’accoglienza e l’aiuto di persone che potevano rappresentare risorse importanti per la nostra nazione.
Come se non bastasse, è calato un silenzio di tomba su quella realtà troppo scomoda. Nessuno parla più della tragedia venezuelana.
Isabella M.
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libriaco · 1 year ago
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Beni comuni
La timidezza è il più comune tra tutti i fenomeni. Quello che di più comune c’è in tutti noi è la paura di essere ridicoli…
F. Pessoa, [Aforismos e afins, 2003], La divina irrealtà delle cose, Firenze-Antella, Passigli, 2004 [Trad. G. Boni]  
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aitan · 4 months ago
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Amo l’Italia, amo il mio Paese, i suoi panorami e la sua costa lunga e variegata; adoro l’Andalusia e sento un fortissimo legame con i Paesi Baschi (da cui proviene pure il mio cognome). Ma la quindicina di giorni di mare che mia figlia e io abbiamo a disposizione in estate preferisco trascorrerli in Costa Blanca o in Costa Brava, per il clima mite e temperato (con scarse piogge e temperature che difficilmente superano i 30 gradi); il mare limpido, curato e pulito; le spiagge libere e poco affollate anche in epoca di overtourism; l’alta frequenza di spazi ben attrezzati e disponibili per tutti; la sabbia fine e dorata di buona parte della costa; l’organizzazione di feste paesane ed eventi culturali quasi sempre gratuiti.
Da queste parti risulta chiaro che si intende per beni comuni e, nonostante i fiumi di cemento colati sulla costa spagnola [...] si mostra un vero rispetto per l’ambiente marino.
Tuttavia, mi dicono che in tutta la costa mediterranea della Spagna si continua a costruire in modo dissennato e forsennato, forse anche perché buona parte dei proventi dei comuni balneari proviene dalle tasse sul mattone e sul cemento.
Quello che è certo è che qui non esiste la mafia dei lidi. Viene dato in concessione (a seguito di asta pubblica) solo l’affitto di ombrelloni e sdraio, che hanno un costo standard di 6 euro ciascuno a giornata. [...]
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pensierodelgiornoblog · 6 months ago
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Non è possibile mostrarsi per sempre diversi da ciò che si è.
“Alla gran maggioranza di noi si richiede un’ipocrisia costante, eretta a sistema. Ma non si può, senza conseguenze, mostrarsi ogni giorno diversi da quello che ci si sente: sacrificarsi per ciò che non si ama, rallegrarsi di ciò che ci rende infelici. Il sistema nervoso non è un vuoto suono o un’invenzione. La nostra anima occupa un posto nello spazio e sta dentro di noi come i denti nella bocca. Non si può impunemente violentarla all’infinito”. – Boris Pasternak, ‘Il dottor Živago‘.
Spunti di riflessione
La citazione è tratta dal celebre romando “Il dottor Živago” di Boris Pasternak. Il personaggio fa una profonda riflessione sull’ipocrisia che spesso permea la vita quotidiana delle persone. Pasternak attraverso queste parole denuncia la società, che con le sue convenzioni, obblighi e aspettative, richiede a molti di noi di essere ipocriti, di vivere una sorta di doppia vita in cui ci si mostra diversi da ciò che si è veramente.
In queste frasi si trova tutto il conflitto interiore che si origina da questo modo di vivere, più che mai attuale. Mostrarsi diversi da ciò che si è veramente è un sacrificio interiore, un continuo “violentare” la propria anima, che come ben esprime la citazione, occupa un suo spazio reale dentro di noi. Questa violenza continua alla nostra essenza interiore, al nostro vero sé, può avere conseguenze dannose sul nostro benessere psicologico e emotivo.
Non a caso, Pasternak fa anche riferimento al sistema nervoso, spiegando che questo non è semplicemente un insieme di processi biologici, ma piuttosto un’entità che riflette il nostro essere interiore. E’ importante sottolineare come vivere in un costante stato di ipocrisia può portare a uno squilibrio nel sistema nervoso, una sorta di disarmonia tra ciò che siamo veramente e ciò che mostriamo al mondo.
La riflessione di Pasternak è molto forte e ci chiede di riconsiderare l’importanza di vivere senza compromessi (sia interiori che esteriori), di essere in sintonia con il nostro vero io. Le impalcature esterne, le maschere che abbiamo costruito per difenderci nella vita, non possono sostituirsi alla nostra anima, né soffocare i nostri veri bisogni come persone che hanno una propria unicità. Dunque, bisogna rimettere in discussione tutto, qualora ci si accorga che la vita che stiamo vivendo non rispecchia noi stessi.
Se sentiamo che di fondo c’è un’infelicità che non si può colmare con semplici antitodi di distrazione, è il caso di andare a fondo per scoprire se le nostre istanze interiori trovano spazio nella nostra esistenza.
Contesto storico e conflitti umani
Per comprendere meglio il senso della citazione, dobbiamo approfondire anche il contesto storico in cui fu scritto il romanzo “Il dottor Živago”, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1957 e poi diffuso in tutto il mondo.
Il romanzo è ambientato in Russia, principalmente durante la rivoluzione russa e la successiva guerra civile, che hanno avuto luogo tra il 1917 e il 1922. Questo periodo storico è caratterizzato da una profonda agitazione politica, sociale ed economica, con la caduta dello zarismo, l’ascesa dei bolscevichi guidati da Lenin e l’instaurazione del regime comunista.
Nel contesto della rivoluzione russa, emerse uno scontro ideologico tra il nuovo ordine socialista e le tradizioni culturali e comunitarie preesistenti. Il regime comunista cercò di plasmare la società secondo i suoi principi, promuovendo l’uguaglianza sociale e la collettivizzazione dei beni. Tuttavia, questo portò anche a una forte repressione politica, a una limitazione delle libertà individuali e a una censura culturale.
Nel mezzo di questo scenario di tumulto politico e sociale, il protagonista del romanzo, il dottor Yuri Živago, un medico e poeta, naviga tra le sfide personali e le difficoltà esterne. Il romanzo esplora temi universali come l’amore, la guerra, la perdita e l’identità individuale, offrendo anche una critica implicita al regime comunista e alla sua influenza sulla vita quotidiana delle persone.
La citazione si inserisce perfettamente in quell’ambientazione, esprimendo il conflitto psicologico del protagonista e di molte altre persone nel dover vivere in un ambiente in cui l’ipocrisia è diventata la norma. Ogni qualvolta le esigenze umane individuali divergono in modo estremo dalle pressioni sociali e politiche, si genera una tensione che indica il livello di disarmonia tra la necessità di conformarsi alle aspettative della società imposte dal regime e il desiderio di mantenere un senso di integrità e coerenza interiore.
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giuseppelaporta · 11 months ago
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Il Cristo Santissimo Salvatore, della Cattedrale di Termoli
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Come ho già potuto enunciare in varie occasioni, la storia dei nostri beni comuni è pregna di quegli accadimenti inaspettati, benefici e talvolta catastrofici, che plasmano le fondazioni della nostra cultura e della tradizione, locale e nazionale.
La figura del ricercatore quindi, in qualsivoglia ambito e grado, deve attenersi ad un codice morale ed etico ove al momento dell'analisi di un reperto, egli svanisce, mantenendo però un pensiero critico-storico, ottenuto dalla propria formazione e con la pratica sul luogo del mestiere, cercando di rimettere insieme le pagine che raccontano la vita di tali manufatti e di chi li ha ideati.
Sulla facciata principale della Basilica Cattedrale di Termoli, tra gli ordini arcuati è inserito il portale maggiore, che si presenta in un carme di cornici, girali a racemi, archivolti ornati, policromie e soprattutto icone, con la più celebre di questo insieme, che da i connotati identitari al tempio mariano di Termoli, ovvero la lunetta della Presentazione al Tempio, collegata all'agiografia cristica della reincarnazione, a sua volta identificabile a partire dalla bifora di sinistra detta "Dell'Annunciazione", e che un tempo doveva essere composta da una continuazione, riscontrabile facilmente in esempi bipartiti come quello del pulpito di Mastro Guglielmo nella Cattedrale di Cagliari, posizionato originariamente in quella di Pisa.
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Quanto alle statue di questo portale, senza nominare le altre del programma iconografico, possiamo elencare con certa facilità le due coppie di santi che posano ai lati dell'archivolto, su mensole recanti la committenza di queste opere, originaria della Repubblica Marinara di Amalfi.
Un tempo dette mensole dovevano essere sorrette da colonne tristili, di cui restano solo frammenti, in parte trafugati, e un capitello a colletto trilobato, capovolto e conservato nella prima stanza ipogea di Termoli Sotterranea, riconducibile ad una scuola artistica che tende a superare i caratteri del romanico pugliese arcaico e che tendono ad andare verso il gotico nascente, come si può notare anche nelle icone di cui si parlerà e in esempi di colonnati riscontrabili nelle opere di Nicola Pisano, ma anche dei cantieri federiciani del Castello di Siracusa, Castel Del Monte e riportando una sincronia schematica che troviamo anche nel Medio Oriente, come nelle nicchie della Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, e nel vicino pulpito Burhan Ad-Din Minbar, nel Monte del Tempio.
Le statue presenti in questo portale sono ad ora per la maggior parte anonime e oggetto di studio da parte di tanti eruditi, passati e presenti.
A sinistra abbiamo la prima statua di un uomo in abito episcopale, nell'atto benedicente e che poggia su di un uomo ormai distrutto dall'erosione, e tale figura sembra essere quella del proto-vescovo lucerino San Basso, patrono di Termoli, confermato dai caratteri incisi a piombo nella mitria, recanti "SCS BASS".
L'insieme è seguito da due statue purtroppo anonime, vestite anch'esse come vescovi, ma di cui purtroppo mancano i volti, tranne per la figura di destra, testimoniata da una fotografia scattata intorno agli anni 60 del '900, dove compare nella neo-cripta, un uomo barbuto con una aureola spaccata in due lati, purtroppo oggi scomparsa come tanti altri oggetti di questa veneranda basilica.
Ma se c'è una statua davvero singolare tra tutte, è di certo quella di destra, che si mostra con una postura sempre benedicente, ma con un panneggio diverso da quelle pre elencate, che ci indica la presenza di un personaggio biblico, con il suo pallio che copre metà busto e scende lungo la spalla destra, i legacci e le cinture, ma anche le striature del drappeggio che in tutto il programma della facciata, ci indicano bene la presenza di uno stile che non è per nulla simile al gotico fiammeggiante (es. Chartres) ma nemmeno ad un romanico borgognone come a Notre Dame La Grande, oppure anche un semplice romanico pugliese che si ferma alle strutture di Troia o anche Trani e Ruvo.
Questo stile presenta tutte le caratteristiche di una scuola di pensiero locale, che aveva a che fare con le caratteristiche iconografiche bizantine, pregne di simbolismi, colori e didascalie che determinavano una ferrea regola rappresentativa dell'icona, con un suo posto adeguato e una sua caratteristica evangelica, in gran parte apocrifa, ma che nell'esecuzione sembra comunque evolversi in uno stile sempre più plastico ed espressivo, o dinamico, che ci mostra una perfetta transizione stilistica nata probabilmente nel romanico della scuola di Foggia attorno alla figura del protomagister Bartholomeus e condotta in ogni dove, sino a raggiungere l'evoluzione più tarda e prettamente gotica, come nel caso del programma iconografico del duomo di Zara, e che nel caso di Termoli trova un suo uso contemporaneo nel cantiere tardo-romanico di San Giovanni in Venere a Fossacesia.
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Per poter parlare della statua anonima di Termoli, espongo qui i risultati di uno studio condotto negli anni con una vera e propria equipe di esperti se vogliamo, una confutazione di questo studio sviluppata per esempio con il prezioso parere del Professor Ivan Polverari di Roma, e in collaborazione anche con l'Iconografa Assunta Fraraccio , e molti altri che hanno voluto contribuire alla ricerca, che ben presto citerò in maniera dovuta in un saggio storico incentrato sulla figura in questione.
La statua purtroppo tra gli anni 30 e 40 del '900, cadde rovinosamente sul pavé della Cattedrale, poiché il suo cuore di piombo come anche asseriva Don Luigi Ragni, era ormai usurato e sarebbe bastato un non nulla per distruggerla, anche e soprattutto usandola come semplice appiglio per teli.
Per mezzo secolo era possibile visionare la statua solamente dalle fotografie del 1910 svolte dai fratelli Trombetta e ripubblicate dalla storica Ada e da colleghe come la celebre Maria Stella Calò Mariani, oggi rintracciabili facilmente negli archivi Alinari e in quello di Stato come nel caso delle frontali.
In questi decenni fortunatamente la statua venne ripresa in considerazione e, avendo anche io la possibilità di vederla in pezzi da vicino, ho potuto anche ammirarne la ri-apposizione sulla mensola, al seguito di restauri, però dove manca, ancora oggi, il volto perso di quest'uomo dalla barba appuntita e i capelli lunghi.
Nel corso del tempo è poi stata inserita in numerose ricerche ma che purtroppo hanno dato tutte esiti contrastanti, da chi avvalorava la credenza popolare secondo cui fosse San Sebastiano e anche da chi, senza una minima prova, ne asseriva di leggervi le sembianze di San Timoteo, co-patrono della città adriatica e discepolo prediletto di San Paolo Apostolo, presente nel celebre trittico con la presenza di Tito nella prima parasta a sinistra della facciata, e dove si evidenzia la caratteristica iconografica del discepolo, che appartiene alla più parte dello schema greco in cui è rappresentato questo santo, e le cui raffigurazioni anche più elaborate come nella vetrata del Musée De Cluny (XII sec.) e nel Codex Barberiniano, non sono minimamente rintracciabili nella statua senza volto del protiro termolese, sfatando definitivamente la teoria secondo cui ci troviamo davanti al co-patrono di Termoli.
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In accordo invece con ciò che resta del personaggio, e seguendone la simbologia, si può certo dire che non è un vescovo, a differenza dei precedenti tre, si mostra con una postura benedicente e con capelli e barba lunghi, uno sguardo severo, un uomo dormiente ai suoi piedi, che portano dei calzari e che nella mano sinistra doveva sorreggere un oggetto di non grandi dimensioni.
Per districarci in questo groviglio di fili, un notevole aiuto ci viene dato non solo dalle caratteristiche base dell'iconografia greco-ortodossa, ma ovviamente dalle tante modalità in cui esse sono create, dall'alto al basso medioevo, riuscendo finalmente a poter definire l'identità di quest'uomo, che altri non potrebbero essere se non il Cristo Pantocratore, venerato come Santissimo Salvatore in maniera massiccia negli antichi ducati e principati longobardi come quello di Salerno per fare esempi, e che a Termoli rappresenta uno dei culti più antichi della storiografia locale, più antico del culto bassiano, timoteano e persino dei santi minori come Biagio e Sebastiano, un culto che viene confermato esistere ancora nel 1700 dal vescovo Tommaso Giannelli, e che nei primi del '900 era rimasto solo come memoria storica della vecchia comunità cristiana termolese, dissolto nei secoli e dimenticato, probabilmente portando gli stessi analizzatori della statua ad essere influenzati dalla riscoperta di San Timoteo negli anni 40, e tralasciando totalmente la presenza del culto cristico, forse prima consacrazione della ecclesia esistente già nel VI secolo, soppiantata dalla seconda basilica bizantina del X-XI secolo.
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La rappresentazione del Cristo Pantokrator è quasi onnipresente nei programmi iconografici degli edifici di culto medievali, soprattutto in opere votive, manufatti liturgici e pareti musive o affrescate, tra i cui esempi più celebri troviamo le deesis della basilica di Santa Sofia a Costantinopoli, ma anche negli esempi di architettura Arabo-normanna e bizantina dell'Italia insulare e continentale.
Preziosi sono anche i pendenti aurei bizantini e le placchette votive in avorio e steatite, che ad oggi costituiscono un patrimonio davvero inestimabile per l'iconografia storica, anche per l'analisi delle grandi variazioni che potevano essere osservate tra una bottega e l'altra in determinate epoche storiche della cristianità, anche nella nostra penisola, pur se in maniera molto ridotta e postuma.
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Particolarmente interessanti sono i bassorilievi che immortalano il Pantokrator eretto, singolo o nella deesis, dove, anche nelle icone pittoriche, la similitudine con la nostra statua è elevatissima.
Ma ci sono dei dettagli che portano la prova ufficiale di questa identità cristica nella sua esecuzione, ovvero la sua statua gemella, che si trova attualmente sulla già citata basilica di San Giovanni in Venere a Fossacesia, dove si riscontra la medesima mano scultorea, seppure in proporzioni differenti poiché inserite in una lunetta e non poste su dei piedistalli aggettanti, che dimostrerebbero grossomodo la presenza della stessa maestranza operante nel cantiere federiciano di Termoli nella metà del XIII secolo, intorno al 1230, proveniente da quella scuola romanica di ambito foggiano, ma lontana ancora molto da quella plasticità e delicatezza realistica tardo-duecentesca di Nicola Di Bartolomeo Da Foggia, il che ci porterebbe a pensare alla figura di un ulteriore magister formatosi nella scuola romanica di Foggia, che tutti noi conosciamo come Alfano Da Termoli, "figlio di Ysembardo", e la cui famiglia (gli Alfani) trae origine dall'antico Ducato longobardo di Salerno e nei territori stretti di Amalfi, Scala e Ravello.
La caratteristica iconografica delle due statue è prettamente la medesima, mostrandoci il volto purtroppo scomparso alla nostra, con la stessa lavorazione della capigliatura lunga e mossa nelle punte, che travalicano le orecchie, e nell'insieme simbologico del drappeggio e della benedicenza, conferma ancor di più i metodi e le proporzioni che contraddistinguono questo esecutore e ovviamente questa scuola di pensiero.
Altro dettaglio fondamentale di questo studio è capire gli elementi che tutt'ora mancano alla statua del Cristo di Termoli, e ci può venire in aiuto la stessa iconologia bizantina, che ricorda come nella figura del Pantokrator, egli sia raffigurato con il manoscritto nella mano sinistra e la mano destra nell'azione benedicente, ma è altresì vero che il Cristo in moltissime occasioni è ritratto o scolpito con la pergamena, nell'atto di cedere la sua parola ai discepoli affinché la promulgassero al prossimo, ed è un elemento fondamentale per capire la sua familiarità nel nostro territorio, non solo nel caso di Fossacesia, ma anche in quello di San Marco Evangelista nella Cattedrale di Zara, nello stesso San Timoteo del trittico di Termoli e così via, sino anche a giungere in pendenti di ambito votivo come il Cristo Pantocratore di Santa Maria di Trastevere, opera duecentesca di una bottega centro-meridionale del XIII secolo, ulteriore prova delle caratteristiche iconografiche di queste scuole di pensiero locali e delle influenze che esse hanno dato alla produzione artistica sacra.
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Seppure la figura del Cristo, per rango religioso viene vista come fuori posto in un contesto che non sia centrale nella facciata, non mancano quegli esempi in Europa, maggiormente gotici, di una variazione della sua posizione in base al lessico dell'intero schema, cosa che ci fa evincere come nel caso di Termoli anche questa ferrea regola scultorea sia stata ammorbidita, permettendoci anche di identificare come il portale rechi nei piedistalli le quattro figure principali venerate in questo luogo di culto, oltre alla presenza del patrono Timoteo in una zona alta, probabilmente di esecuzione variata dalla originale scelta "progettuale" dell'ordine superiore.
Tutte queste premesse mi hanno concesso di poter postulare una ipotesi di ricostruzione della modesta icona, partendo dai rimasugli strutturali del corpo, come i monconi delle mani, i cui resti dei ponti di giunzione con il busto, del pollice e del dito indice, sono rimasti fusi nel petto, mentre nel caso della gamba sinistra è riconoscibile la sbozzatura ammaccata del panneggio, scambiata in passato per la base di un bastone pastorale o da pellegrinaggio.
Quanto al retro del capo, dietro i capelli e il pallio, si può vedere in maniera chiara un bozzo a rilievo con leggera inclinazione, probabile riminescenza di una aureola scolpita con il busto superiore, elemento comune delle statue in rilievo dal romanico al gotico e anche in età rinascimentale, seppure poi venissero soppiantate dall'uso di aureole metalliche in epoche più prossime a noi.
Basandoci sugli stessi esempi locali, e sulle proporzioni del volto, nonché della durevolezza della pietra calcarea, si può dedurre la presenza di una modesta aureola come nel caso della statua scomparsa, con una fase centrale da cui partivano i bracci della croce, probabilmente patente, e le due scritte identificative del Cristo, come in Fossacesia e generalmente nelle icone; "IHS - XPS", con un bordo ornato dall'alternarsi di file forate.
Nella mano sinistra è plausibile che anche questa statua non recasse la presenza del manoscritto aperto, pensì di una modesta pergamena arrotolata, e per ultimare, sembrerebbe evidente dalle tracce di pigmento bruno in questa, e di foglie d'oro nella statua bassiana e nella lunetta, che le icone della facciata termolese, come anche altrove, fossero dipinte, forse solo negli indumenti e nei dettagli più minimi che la scultura non poteva essere in grado di ricreare per le modeste dimensioni e sottigliezza decorativa.
Una basilica che non smetterà mai di stupirci quella di Termoli, con dei misteri e derivanti elucubrazioni che ogni volta mi fanno girare la testa di fronte a cotanta bellezza, da preservare, ma soprattutto, da valorizzare.
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piusolbiate · 1 year ago
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Più efficienza energetica
Ecco la nuova caldaia del Municipio ottenuta con la partecipazione al bando “C.S.E. 2022 – Comuni per la sostenibilità ambientale e l’efficienza energetica” del Ministero della Transizione Ecologica (MiTE) relativo alla concessione di contributi per l’efficienza energetica anche tramite interventi per la produzione di energia da Fonti Rinnovabili degli edifici delle Amministrazioni comunali dell’intero territorio nazionale attraverso l’acquisto e l’approvvigionamento di beni e servizi tramite il Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione (Me.PA)
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honestlyqualityengineer · 2 years ago
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Il 'capolavoro' compiuto dalla propaganda politica di destra.
I governi tecnici che si sono avvicendati negli ultimi anni hanno messo sempre più in crisi il comune cittadino italiano in ambito di Diritti Sociali. Il governo Berlusconi, tra i molti danni provocati al Paese, introdusse la flessibilità del lavoro: una manovra che causò forte emigrazione, da parte soprattutto delle giovani generazioni.
Non sono fatti indimenticabili, eppure nelle ultime elezioni 2022 si è compiuto un suicidio sociale: il ceto medio - quello fatto da impiegati, operai, pensionati; quello che fra molto assenteismo si è recato alle urne - ha scelto di essere guidato ancora da politiche di destra.
Con grande maestria (complice la scarsa memoria e il diffuso analfabetismo), chi guadagna anche più di ventimila euro al mese è stato in grado di convincere coloro che hanno un salario e uno stipendio molto bassi che la colpa del disastro economico italiano sia di chi è molto più svantaggiato - addirittura di coloro che rischiano la propria vita per emigrare in un altro Paese per mettersi in salvo.
Prima ancora che si formasse il governo Meloni, la coalizione di destra avanzò tre proposte per limitare il riconoscimento del diritto di autodeterminazione delle donne, mettendo in evidenza che la Repressione è considerata dall'ideologia di destra quale arma vincente per tenere in pugno un Paese intero.
Quali sono le priorità del governo Meloni? Rendere sempre meno esigibili i Diritti dei Lavoratori, dei consumatori, dei comuni cittadini, favorendo l'esiguo, ma determinante, ceto ricco italiano - quel ceto ricco che finanzia i partiti di destra affinché limitino il più possibile qualsiasi rivendicazione da parte dei lavoratori o dei consumatori truffati.
E tutto questo accade per la 'disattenzione' sui Diritti: sull'idea che essi non siano poi così importanti finché esisterà una 'famiglia di origine' che, sostituendosi ai Doveri di uno Stato Sociale, garantirà denaro e beni agli eredi con scarsa propensione alla riflessività e alla Dignità d'essere Soggetti Maturi e Indipendenti.
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