#autorità paterna
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pier-carlo-universe · 7 days ago
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Lettera al padre di Franz Kafka: Un conflitto interiore universale. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nella psiche di uno scrittore geniale attraverso il rapporto con il padre.
Un viaggio nella psiche di uno scrittore geniale attraverso il rapporto con il padre. Introduzione all’opera:Scritta nel novembre del 1919, Lettera al padre di Franz Kafka è una confessione intima e profonda che mai giunse al destinatario. In questo testo, Kafka non solo svela i contorni del suo tormentato rapporto con il padre Hermann, ma si immerge in una riflessione universale sul senso di…
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valeria-manzella · 2 months ago
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\Con la sua parola e il suo esempio Gesù ci parla di autorità come sacrificio di sé e servizio umile, come tenerezza materna e paterna nei confronti delle persone, specialmente quelle più bisognose\VangeloDiOggi\Sono vicino alla popolazione dell’Isola di Flores in Indonesia, colpita dall’eruzione di un vulcano\Papa Francesco\Angelus\
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jacopocioni · 4 months ago
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Dante e il suo fantastico viaggio 7: Dante e i personaggi dell'Inferno.
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Prima parte Seconda parte Terza parte Quarta parte Quinta Parte Sesta parte Chi sono gli ultimi dannati incontrati da Dante prima di arrivare in Purgatorio?
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Mosca dei Lamberti è nato a Firenze alla fine del XII secolo e morto a Reggio Emilia nel 1243. È stato un politico e un condottiero. Apparteneva all’importante famiglia ghibellina dei Lamberti, alleati degli Uberti di Farinata ed aveva ottenuto diversi incarichi nel Comune fiorentino. Fu podestà di Viterbo nel 1220, di Todi nel 1227, condottiero durante la guerra contro Siena nel 1229-1235 e podestà di Reggio Emilia nel 1242. A Mosca è dedicato un episodio dell’Inferno, dove il poeta lo trova orribilmente mutilato delle mani, come punizione del suo consiglio “Cosa fatta capo ha”, ovvero quando convinse gli Amidei a uccidere Buondelmonte de’ Buondelmonti, dando via a Firenze alla lotta tra Guelfi e Ghibellini.
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Geri del Bello (tra 1280 e il 1300) era un lontano parente di Dante, figlio di Bello e cugino di primo grado di Alighiero II, il padre di Dante. Si trova menzionato in alcuni documenti del 1266 e del 1276. Fu processato nel 1280 in contumacia a Prato per rissa e percosse. Dante racconta che la sua morte non era ancora stata vendicata. Non si hanno fonti documentali di questo assassinio, ma i figli di Dante, nel commento all’opera paterna, indicarono come fosse il responsabile dell’omicidio di Brodaio Sacchetti. Era consuetudine nel medioevo, che un omicidio venisse vendicato privatamente secondo gli usi dell’epoca, anzi la cosa era ampiamente tollerata dai regolamenti comunali. Risale al 1342 un documento di pacificazione tra gli Alighieri e i Sacchetti per volontà  del duca d’Atene Gualtieri VI di Brienne. Dante pone questo personaggio tra i seminatori di discordia nella nona bolgia dell’ottavo cerchio. Virgilio invita Dante a desistere dal volerlo incontrare, avendolo visto indicare minacciosamente con il dito il poeta, ancora irato per la mancata vendetta. Dante dimostra di capire le richieste di Geri ritenendole giuste, ma considera comunque la violenza privata come un atto deprecabile.
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I Sacchetti sono un'antica famiglia nobile fiorentina conosciuta già dal XII secolo. Dante ricorda un tale Isacco risalente al XI secolo e che dette nome al casato citato nel Paradiso. Accumulò ingenti ricchezze con l'attività bancaria e i commerci, ricoprendo varie cariche nella città di origine. In seguito la famiglia si trasferì a Roma, dove ottenne ulteriore prestigio nobiliare e grandi ricchezze. La famiglia era di parte Guelfa. Di questa famiglia è famoso il novelliere Franco Sacchetti, autore delle “Trecento novelle”. Alcuni componenti di questa famiglia ricoprirono incarichi importanti per la Repubblica Fiorentina come quella di priore e gonfaloniere.
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Capocchio nacque a Siena in una data sconosciuta, morì il 15 agosto 1293, condannato a morte per alchimia ed eresia. Dante immagina di incontrare Capocchio nella decima Malabolgia dei fraudolenti, tra i falsari condannati a soffrire di lebbra. Nel poema egli siede accanto a Griffolino d’Arezzo, anche lui un alchimista, che si mostra sarcastico nei confronti della vanità dei senesi. “Fu buona scimia della natura”, ovvero un imitatore, un contraffattore, come una scimmia appunto. Viene citato anche da Meo de’ Tolomei in un sonetto dove si ribadisce la sua fama di falsario.
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Di Gianni Schicchi de’ Cavalcanti sappiamo sia morto prima del febbraio 1280. Era un cavaliere di cui non si hanno molte notizie storiche. Posto nella bolgia dei falsari era stato condannato per falsificazione di persona, avendo preso il posto di Buoso Donati il Vecchio. Schicchi era famoso per essere in grado di rubare le identità altrui con una certa facilità, riuscendo ad ingannare anche le autorità. Quando morì Buoso, un ricchissimo vedovo senza figli, Simone Donati, il nipote, chiese a Schicchi di spacciarsi per lo zio. Schicchi fingendosi Buoso in fin di vita, chiamò un notaio per fare testamento a favore di Simone. Per la sua prestazione chiese in cambio solo una giumenta, probabilmente come atto di scherno verso chi aveva ingannato. Grifolino d’Arezzo, muore a Siena nel 1272, viene collocato nell’ottavo cerchio, dei fraudolenti nella decima bolgia dei falsari, in particolare tra i falsari di metalli per il suo peccato di alchimia. È citato in alcuni documenti storici dove risulta iscritto alla società dei Toschi a Bologna nel 1258 e per essere stato giustiziato sul rogo come eretico prima del 1272  probabilmente a Siena.
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Simone Donati era il figlio di Forese di Vinciguerra e di Gualdrada, nacque a Firenze probabilmente nel terzo decennio del XIII secolo. La sua famiglia era tra le maggiori della città della fazione Guelfa, costretta all’esilio dopo la sconfitta di Montaperti del1260. A lui e a Bonaccorso Adimari spettò nel 1261 l’incarico di recarsi in Germania dal re fanciullo Corradino di Svevia, per chiedere l’intervento contro lo zio Manfredi responsabile delle disgrazie dei Guelfi toscani. L’ambasciata non sortì alcun esito e l’esilio per i fuorusciti fiorentini rimase in corso fino al 1266, quando con la battaglia di Benevento Carlo d’Angiò pose fine al dominio svevo. Simone partecipò molto probabilmente con un gruppo di esuli Guelfi allo scontro contribuendo alla vittoria. I Donati subirono molti danni dalle rappresaglie ghibelline, ma la situazione ora si rovesciava a loro favore e con il ritorno a Firenze come uno dei principali capi della fazione vincente, le sue sorti mutarono. Nel tentativo di ottenere una pacificazione generale in città attraverso unioni matrimoniali tra giovani di famiglie avverse, venne deciso che sua figlia Ravenna andasse sposa a Neri Cozzo degli Uberti, un figlio di Farinata. Ma il risultato politico fu vano. Mastro Adamo era di origini inglesi, morirà a Firenze nel 1281. Dante lo incontra nella bolgia dei falsari, mentre si lamenta della grande sete che prova a causa dall’idropisia. Questo stato gli deforma il corpo gonfiandogli la pancia a dismisura. Il dannato ricorda quando visse nel Casentino presso Romena, dove i Conti Guidi (Guido, Alessandro e Aghinolfo) lo spinsero a falsificare la moneta fiorentina, togliendo tre dei ventiquattro carati d’oro da ciascuna moneta per sostituirli con metalli di poco valore. Una volta catturato venne accusato come falsario e arso vivo. Guido I apparteneva al ramo dei conti Guidi, prendeva il suo nome dal feudo di Romena, nel Casentino. Ebbe quattro figli: Guido II, il primogenito ed erede, Alessandro, Aghinolfo ed Ildebrandino. Nel primo periodo dell’esilio Dante si era fermato proprio nel Casentino, ospite di questa famiglia.
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Napoleone ed Alessandro erano i figli di Alberto di Mangona, dell’ antica famiglia degli Alberti, conti di Vernio e di Mangona, e della contessa Gualdrada. I due erano divisi da un odio feroce per ragioni di interesse economico, prima ancora che per contrapposizione politica (uno era Guelfo l’altro Ghibellino). Nel suo testamento, infatti, il conte Alberto, per motivi che non ci sono noti, lasciò la parte maggiore del suo patrimonio e dei suoi possedimenti ai due figli minori, diseredando Napoleone il maggiore. A nulla giovò un giuramento di pace imposto ai due fratelli dal Cardinal Latino, che morirono in uno scontro fratricida intorno al 1284. Sono ora condannati ad essere imprigionati nel ghiaccio e a stare sempre avvinti abbracciati l’uno all’altro. Alberto Camicione de’ Pazzi (XIII secolo), appartiene alla famiglia dei Pazzi di Valdarno (non quella dei Pazzi di Firenze). Uccise a tradimento Ubertino de’ Pazzi, suo congiunto, per impossessarsi di alcune fortezze che avevano in comune. Per questo peccato Dante lo colloca nel IX cerchio dove si trovano i traditori. Dante scambia alcune battute con Camicione in dialetto toscano. L’uomo che ha perduto entrambe le orecchie per il gelo, si offre di indicare al poeta alcuni personaggi posti in quel girone, che però non possono parlare perché immersi completamente nel ghiaccio, come Mordred, Focaccia e Sassolo Mascheroni. Camicione aspetta che Carlino de’ Pazzi lo scagioni, perché si è  macchiato di un peccato più grave del tradimento della patria, ovvero quello di aver tradito i suoi congiunti. Un peccato che per Dante sembra essere peggiore del primo. «E perché non mi metti in più sermoni, sappi ch’i’ fu’ il Camiscion de’ Pazzi; e aspetto Carlin che mi scagioni.»
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Bocca degli Abati è stato un nobile fiorentino Ghibellino vissuto nel XIII secolo. Figlio di Schiatta degli Abati, combatté con i Guelfi fiorentini nella Battaglia di Montaperti. Durante l’assalto delle truppe tedesche di Manfredi si trovava nella schiera della cavalleria Guelfa, vicino a Jacopo de’ Pazzi che reggeva lo stendardo guidando la schiera. Quando qualcuno gli mozzò la mano facendogli cadere la bandiera, gettando in confusione e disperdendo le truppe Guelfe. Bocca degli Abati,  si inserì poi ignominiosamente tra i Ghibellini vittoriosi che entrarono a Firenze vittoriosi. Dopo la rivincita Guelfa del 1266 venne però condannato all’ esilio. Probabilmente non ci furono prove sufficienti per incolparlo del grave tradimento. Gianni de’ Soldanieri (Firenze XIII secolo), era di famiglia Ghibellina, dopo la sconfitta di Benevento e la morte di Manfredi nel 1266, passò ai Guelfi. Proprio durante le sommosse popolari ai tempi della “reggenza” dei frati Catalano e Loderingo. Dante lo colloca nel nono cerchio dell’Inferno, nell’Antenora, tra i traditori della patria.
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Tebaldello Zambrasi, nasce a Faenza tra il 1230 e il 1240 e muore a Forlì nel 1282. Appartenente ad una famiglia Ghibellina, il 13 novembre del 1280 tradì la sua città spalancando di notte le porte  ai bolognesi della famiglia dei Geremei, per vendicarsi di un'offesa ricevuta dai Ghibellini Lambertazzi (anch'essi bolognesi), che si erano rifugiati proprio a Faenza dopo essere stati messi al bando dalla propria città. Morì nel 1282 attaccando Forlì nella battaglia dove i Ghibellini capitanati da Guido da Montefeltro riuscirono a battere le truppe francesi inviate dal papa per conquistare una delle ultime enclave ghibelline in Italia. Dante Alighieri lo colloca nel nono cerchio dell'Inferno, nell'Antenora, tra i traditori della patria citandolo come colui che "aprì Faenza quando si dormia".
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Tesauro Beccaria è conosciuto anche come Tesauro dei Beccheria o San Tesauro, nasce a Pavia e muore a Firenze il 12 settembre 1258. Ecclesiastico e uomo politico. Era discendente della nobile e importante famiglia pavese dei Beccaria, nacque a Pavia in data imprecisata. Entrò nella comunità dei Vallombrosani, un ramo dell’ordine benedettino, divenendo abate generale. Papa Alessandro IV lo inviò a Firenze come legato pontificio, con l’incarico di cercare un accordo tra le due fazioni in lotta. Dopo la morte di Federico II (1250), la fazione Guelfa aveva preso il sopravvento a Firenze, compiendo una lunga serie di vendette ed epurazioni che erano culminate con l’esilio delle famiglie ghibelline e con la distruzione delle loro case. Nel 1258 Tesauro Beccaria fu arrestato con l’accusa d’aver segretamente trattato con Manfredi per favorire il rientro dei Ghibellini a Firenze. Processato e condannato a morte, il 4 (o il 12) settembre 1258 venne giustiziato, mediante decapitazione, nell’antica Piazza di Sant’Apollinare, attualmente Piazza San Firenze. L’esecuzione causò alla città l’interdetto papale che durò per oltre sette anni. L’uccisione dell��abate provocò anche la condanna da parte della città di Pavia che minacciò di imprigionare i mercanti fiorentini e di confiscarne i beni. I fiorentini risposero, attraverso la penna di Brunetto Latini, che se l’abate fosse resuscitato mille volte, mille volte avrebbe meritato la morte, pur dichiarandosi disposti a trattative di pace. Dante e Virgilio si avviano ora verso il purgatorio…
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Riccardo Massaro Pubblicità Per soggiorni a Firenze negli appartamenti San Giuseppe 12 contattare: For stays in Florence in the San Giuseppe 12 apartments contact: Antonino Sutera +393497099832 [email protected] Cin IT048017C2WVJQ6CBW  Read the full article
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daimonclub · 11 months ago
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Riflessioni e pensieri sul padre
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Riflessioni e pensieri sul padre Riflessioni e pensieri sul padre, sui padri, sulla paternità e più in generale idee varie, battute e provocazioni sui genitori, i figli, e anche la famiglia. In conformità al sistema tradizionale dei ruoli, gli uomini si sono assunti il peso completo del mantenimento della famiglia: sono stati così privati di qualsiasi contatto emotivo con i propri figli e sono oppressi da responsabilità che spesso conducono a seri disturbi fisici e psicologici. B. Linner La società attuale non è in grado di sostituire in modo soddisfacente l’azione economica ed educativa del padre. Nella funzione educativa ed amministrativa da lui assolta in altri tempi, anzi nel suo stesso rigore trovava espressione sia pure infelice un’esigenza che sussiste oggi ancor sempre, e che la società, mentre mette in pericolo la famiglia, tuttavia non soddisfa. Sotto il peso del padre i figli apprendevano a non intendere gli insuccessi in ordine alle loro cause sociali, ma a tenersi alle loro origini individuali e ad assolutizzarle come colpa, fallimento o inferiorità personale. Se la famiglia soddisfaceva al suo compito, i figli acquistavano così una coscienza, la capacità di amare e la coerenza. M. Horkheimer & Th. W. Adorno Un tranquillo impiegato cinquantenne al rientro dalla cerimonia di beatificazione del grande santo di Pietralcina ha sterminato a coltellate la moglie e le due giovani figlie. Un altro estremo esempio dell’immensa forza del grande padre pio di stimolare suggestivi ed inspiegabili eventi miracolosi. Carl William Brown Quello che tu, padre, avevi dovuto conquistarti lottando, noi lo ricevemmo dalle tue mani, ma la lotta per la vita, quella che a te fu subito familiare, e che naturalmente neppure a noi venne risparmiata, noi la dovemmo combattere più tardi, con forze infantili nell’età adulta. F. Kafka E si riflette che l’unico timore che sogliono avere i figli, è del padre: e allora essi temeranno la madre, il maestro, l’aio, quando il padre si fa temere dai figli e subordina i figli alla madre, al maestro, all’aio; e dona a questi la sua autorità costituendoli suoi luogotenenti; sicché le loro direzioni prendono forma dalla paterna autorità. G.M. Sarnelli
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Papà con le sue figlie La chiesa ha istituito una linea telefonica a pagamento dove si possono ascoltare canzoncine elaborate con i testi del rosario, brani che fanno tra l'altro parte di un cd che sta per uscire anche nei negozi. Voglio ricordare al santo padre che esiste anche la prostituzione sacra e che se proprio ha bisogno di soldi potrebbe far lavorare un po' anche le suore. Carl William Brown Di tutte le rocce su cui costruiamo la nostra vita, oggi ci viene ricordato che la famiglia è la più importante. E siamo chiamati a riconoscere e onorare quanto ogni padre sia fondamentale per tale fondazione. Sono insegnanti e allenatori. Sono mentori e modelli di ruolo. Sono esempi di successo e gli uomini che costantemente ci spingono verso di esso. Ma se siamo onesti con noi stessi, ammetteremo che quello che manca anche a troppi padri? mancante da troppe vite e troppe case. Hanno abbandonato le loro responsabilità, comportandosi come ragazzi invece che come uomini. E per questo le fondamenta delle nostre famiglie sono più deboli. Barack Obama I dati biologici fanno senz’altro pensare che è stato l’uomo a raggiungere la paternità, mentre la donna è stata madre fin dall’inizio, prima che l’uomo decidesse di stuprarla, odiarla, renderla schiava e poi invidiarla e imitarla Certo sembra estremamente paradossale affermare che la paternità è un tratto materno dell’uomo, ma è tanto paradossale quanto vero. G. Zilboorg È lo statuto familiare quello che un giorno dovremo modificale dà cima a fondo, giacché le famiglie tradizionali sono popolatrici, e tutti i moralisti si sono profusi nel lodarle. Noi vogliamo prendete in parola questi moralisti, e poiché la fecondità è divenuta criminale, un giorno infieriremo contro il crimine, sconvolgendo lo statuto familiare. Inoltre è qui che ha sede la scuola della schiavitù, ed è per questo che i tiranni amano le famiglie tradizionali, in cui la donna è serva e i figli sottomessi, mentre il padre - fosse pure osceno, ridicolo e miserabile - è padrone in casa sua e archetipo dei nostri principi, proprio cosi, modello vivente dei nostri dèi e dei nostri re! Questo assetto è durato troppo, la massa di perdizione ne è la conseguenza. Albert Caraco I genitori sono stati figli e i figli potenzialmente saranno ancora genitori, e nel frattempo hanno anche vissuto insieme; dunque nel parlare di padri, madri e generazioni varie ricordatevi che gli elementi fondamentali sono il tempo e lo spazio; ecco perché la discussione è di natura eminentemente fisica, quasi scientifica, addirittura direi metafisica. Carl William Brown
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Mio padre Luciano nel 1984 Una volta conoscevo un ragazzino in Inghilterra che chiese a suo padre: ‘I padri sanno sempre più cose dei figli?’ e il padre rispose ‘Sì’. Poi il ragazzino chiese: ‘Papà, chi ha inventato la macchina a vapore?’ e il padre: ‘James Watt’. E allora il figlio ribatté: ‘Ma come mai non l’ha inventata il padre?’. G. Bateson La percezione da parte di un ragazzo di un padre come individuo affettuoso e potente è di suprema importanza per lo sviluppo della mascolinità, ma non vi sono prove per dire che la struttura della personalità dei genitori, in particolare il grado di tipificazione sessuale e la fiducia in sé, abbiano una influenza significativa. Anzi, l’incoraggiamento da parte dei genitori alla partecipazione del ragazzo ad attività mascoline non pare abbia un effetto significativo nelle preferenze del giovane per un ruolo sessuale. P. Mussen/E. Rutherford Se un uomo avrà un figlio testardo e ribelle che non obbedisce alla voce né di suo padre né di sua madre e, benché l’abbiano castigato, non dà loro retta, suo padre e sua madre lo prenderanno e lo condurranno dagli anziani della città, alla porta del luogo dove abita, e diranno agli anziani della città: Questo nostro figlio è testardo e ribelle; non vuole obbedire alla nostra voce, è uno sfrenato e un bevitore. Allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno ed egli morirà; così estirperai da te il male. Deuteronomio, Antico Testamento Al ristorante, due tavoli più in là del mio, stasera c’è un tale che mi sembra di conoscere… Anche lui, a un certo punto, si volta e sorride. Allora è vero. Rispondo al sorriso con un cenno del capo, ma non riesco proprio a ricordare dove ci siamo già visti. Più tardi, al momento di uscire, il tizio, passandomi vicino, mi posa una mano sulla spalla. «Come va, figliolo?» «Papà! Che mi venga un colpo! Cosa fai da ‘ste parti?» Romano Bertola Dio per Freud era un padre potenziato. A me sembra più che altro un personaggio delle favole, tipo il lupo cattivo, l'uomo nero o l'orco, che ha lo spiacevole compito di far paura ai poveri diavoli al fine di obbligarli ad osservare mestamente e passivamente la stupida morale dei benestanti. Questa funzione l'ha svolta egregiamente per molti secoli, perlomeno fintanto che il potere non ha inventato i mass media. Carl William Brown Come dice Lacan, è certo che il posto del padre è spesso lasciato vuoto. Non occupato dall’uomo che è detto il padre, né sembra esserlo da chicchessia. In effetti, il posto è puramente e semplicemente vuoto. C’è un posto libero per un’autorità maschile, ma l’autorità che esiste effettivamente (quando esiste) spesso non è quello che si dice un’autorità. È terrore, è mero potere, forza bruta, che non suscita il minimo rispetto, ma soltanto paura. R.D. Laing
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Pensieri e riflessioni sul padre Il padre delle moderne ricerche sullo stress, Hans Seyle, afferma che lo stress non dipende tanto da ciò che accade, quanto dal modo in cui noi lo interpretiamo. Sarà anche così, io comunque gli auguro ogni possibile disgrazia, e poi vedremo. Carl William Brown Quando gli uomini vivono più per il ricordo di quello che è stato che per la preoccupazione di ciò che è, quando sono più dediti al rispetto per quello che pensavano i loro antenati che non a pensare loro stessi, il padre è il legame naturale tra passato e presente Quando la società si democratizza e gli uomini adottano come loro principio generale che è buono e giusto giudicare tutto per conto proprio, usando le precedenti credenze non come una regola e un dogma di fede, ma semplicemente come mezzo d’informazione, il potere esercitato dal modo di pensare di un padre su quello dei suoi figli diminuisce così come il suo potere legale. A. de Tocqueville Essere papà mi ha reso più consapevole di me stesso. Posso vedere tutte le mie virtù e i miei difetti. Diventano straordinariamente chiari quando mia figlia comunica con me nello stesso modo in cui io comunico con lei. Posso davvero dire dove e quando ho sbagliato. Harold perrineau Ho visto un uomo piccolo con grossi calli su entrambe le mani lavorare quindici e sedici ore al giorno. Una volta l'ho visto letteralmente sanguinare dalle piante dei piedi, un uomo venuto qui senza istruzione, solo, incapace di parlare la lingua, che mi ha insegnato tutto quello che dovevo sapere sulla fede e sul duro lavoro con la semplice eloquenza del suo esempio. Mario Cuomo Riflessione umoristica, non prendetela troppo sul serio. Per quanto riguarda la mia biografia, ai posteri basti sapere che ero un ragazzo di vastissime letture, di un'enorme cultura, di una profonda sapienza, di una coerente saggezza, di un'incommensurabile forza psichica e di innumerevoli esperienze pratiche. Per ciò che concerne invece quella dei miei genitori, basti sapere che erano il padre e la madre di un grande filosofo. Carl William Brown La maternità non è la paternità. Nella maternità la donna abbandona il proprio corpo al bambino. E i bambini le stanno sopra come su una collina, come in un giardino, la mangiano, la picchiano, ci dormono sopra e lei si lascia divorare e qualche volta dorme mentre loro le stanno addosso. Niente di simile avverrà mai nella paternità. Marguerite Duras La persona che teme di diventarepadre non capisce che la paternità non è qualcosa di perfetto che fanno gli uomini, ma qualcosa che perfeziona l'uomo. Il prodotto finale dell'allevare dei bambini non è il bambino ma il genitore. Frank Smith Pittman III Le relazioni basate sull'amore fedele, fino alla morte, come il Matrimonio, la paternità, l'essere figli, la fratellanza, si apprendono e si vivono all'interno del nucleo familiare. Quando queste relazioni formano il tessuto di una societàumana, le danno coesione e consistenza. Papa Francesco
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Papà con sua figlia Settembre 1998. Muore Lucio Battisti, un grande poeta che attraverso le sue canzonette è riuscito a dare persino una certa dignità alla banalità. Egli è stato un faro musicale, nonché un padre melodioso, per molteplici generazioni e anche Carl William Brown nei lontani anni 80 gli rese un grande omaggio acquistando da un marocchino in un bar una sua compilation di greatest hits. Carl William Brown Nessuno di voi potrà mai essere abbastanza orgoglioso di essere il figlio di un TALE Padre che non ha suoi pari in questo mondo: così grande, così buono, così impeccabile. Cercate tutti di seguire le sue orme e non scoraggiatevi, perché per essere davvero in tutto come lui nessuno di voi, ne sono certo, lo sarà mai. Cercate, quindi, di essere come lui in alcuni punti, e avrete acquisito moltissimo. Regina Vittoria Henry James una volta definì la vita come quella situazione difficile che precede la morte, e certamente nessuno ha un debito d'onore o di gratitudine per averlo messo in quella situazione difficile. Ma un bambino ha un debito con suo padre, se papà, dopo averlo messo in questo guaio, si toglie il cappotto e si mette all'opera per mostrare a suo figlio il modo migliore per sfondarlo. Clarence Budington Kelland Man mano che diventavo grande, osservando sempre di più il mondo, il mio umorismo andava sviluppandosi a dismisura, tanto che quando mio padre si sedeva a leggere avidamente la pagina dei necrologi non potevo esimermi dal chiedergli se non vi fossero per caso novità divertenti. Carl William Brown Sherman fece la terribile scoperta che prima o poi gli uomini fanno riguardo ai loro padri... che l'uomo davanti a lui non era un padre anziano ma un ragazzo, un ragazzo molto simile a lui, un ragazzo che era cresciuto e aveva un figlio suo e , come meglio poteva, per senso del dovere e, forse, amore, adottò un ruolo chiamato Essere Padre affinché suo figlio avesse qualcosa di mitico e infinitamente importante: un Protettore, che avrebbe tenuto a freno tutto il caotico e catastrofico possibilità di vita. Tom Wolfe La cosa da ricordare sui padri è che sono uomini. Una ragazza deve tenerlo a mente: sono cercatori di draghi, decisi a salvataggi improbabili. Gratta qualsiasi padre, trovi qualcuno pieno zeppo di scrupoli e terrori romantici, convinto che il cambiamento sia una minaccia - come le tue prime scarpe con i tacchi, come la tua prima bicicletta che ci sono voluti mesi per ottenerla. Phyllis McGinley Sullo stesso argomento potete anche leggere: Aforismi e citazioni sul padre Aforismi per autore Aforismi per argomento Pensieri e riflessioni Read the full article
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beppebort · 2 years ago
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Il buon pastore Gv 10, 1-10 Gv 10,11-18
C'è una rivendicazione da parte di Gesù su questa immagine del pastore, quasi di un marchio che appartiene solo a lui, un invito a non nominare il nome di Dio invano e a non usare a sproposito l’immagine del pastore.
"Io sono il buon pastore", il pastore "bello" secondo il testo greco, la bellezza del pastore sta in me, dice Gesù. Stiamo ben attenti a non sostituirci a lui, a non voler prendere il suo posto. L'apostolo Pietro è esplicito: "In nessun altro c'è salvezza”. “Non vi è infatti altro nome sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati". E ancora: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina! E, presolo per la mano destra, lo sollevò”.
La forza che ha fatto rialzare lo storpio viene da Gesù, viene da quella pietra che gli uomini hanno scartato. Ripercorrendo la metafora del pastore mi viene spontaneo ricordare due parole che hanno la luce e la forza di farci intuire le caratteristiche del pastore, due parole che sembrano in contraddizione: la fortezza e la tenerezza.
Resiste ancora una certa iconografia un po' dolciastra del buon pastore, come se il suo fosse un andare quasi passeggiando con la pecora sulle spalle. La vita di Gesù, lo sapete meglio di me, non è stata una passeggiata, ha affrontato il lupo che rapisce e disperde. Gesù da buon pastore ha affrontato i mercenari, quelli che si presentano con il titolo di pastori, ma ai quali interessa solo il denaro. Gesù li ha affrontati e ha lottato per difendere le pecore e difenderle anche fino alla morte.
Quando vide venire il lupo non abbandonò il gregge ma lo difese fino alla croce. Questa è la fortezza e insieme è anche la tenerezza del pastore che conosce ed è conosciuto. Gesù consolava e fasciava le ferite della vita. Alleggeriva i pesi quando gli altri aggiungevano peso a peso, e rallentava il passo perché nessuno del gregge rimanesse indietro o si perdesse, neppure i più deboli.
Fortezza e tenerezza, le due carezze che ancora oggi Gesù ha per noi; perché fortezza e tenerezza fanno il pastore. E dobbiamo ricordarlo, e ricordarlo a noi sacerdoti e a noi educatori della fede. Ma forse dobbiamo ricordarlo ad ogni autorità. Nell'antichità, il pastore era il re. Se manca fortezza, se manca tenerezza, si usurpa il titolo di pastore e di re.
La fortezza spiazza i mercenari, perché è dei forti intravedere anche da lontano le aggressioni al patrimonio di valori dell'umanità. Oggi circola un’angoscia esistenziale, la depressione, il disfattismo che ci stritola e non ci lascia più vivere. C’è bisogno di tenerezza in un mondo spietato come il nostro. La divina tenerezza è pace misericordiosa. È una mano dolce, materna e paterna che conosce, conforta, ripara e rimette in piedi e dà fiducia.
E' uno sguardo simile a quello di una madre sul figlio che nasce. È orecchio attento e discreto che non spaventa, che non giudica, che sceglie sempre il buon sentiero. La tenerezza è salda come la buona terra, su cui tutto riposa. È il luogo sicuro, dove io smetto di fare paura a me stesso. La divina tenerezza tutto salva e tutto vuol salvare e non dispera di nessuno, crede che c’è sempre una strada. Senza sosta, continua a generare, a curare, a nutrire, a rallegrare, a confortare.
Perché la tenerezza è vita, la tenerezza è speranza.
(don Paolo Zamengo SDB)
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carmelitanoteresiano · 5 years ago
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Lectio Divina: Marco 1,21b-28
Lectio
Martedì, 14 Gennaio, 2020
Tempo ordinario
1) Preghiera
Ispira nella tua paterna bontà, o Signore,
i pensieri e i propositi del tuo popolo in preghiera,
perché veda ciò che deve fare
e abbia la forza di compiere ciò che ha veduto.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...
2) Lettura
Dal Vangelo secondo Marco 1,21-28
In quel tempo, nella città di Cafarnao Gesù, entrato proprio di sabato nella sinagoga, si mise ad insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi.
Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: “Che c’entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio”. E Gesù lo sgridò: “Taci! Esci da quell’uomo”. E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!”.
La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea.
3) Riflessione
• Sequenza dei vangeli dei giorni di questa settimana. Il vangelo di ieri informava sulla prima attività di Gesù: chiamò quattro persone per formare la comunità con lui (Mc 1,16-20). Il vangelo di oggi descrive l’ammirazione della gente dinanzi all’insegnamento di Gesù (Mt 1,21-22) ed il primo miracolo che espelle un demonio (Mt 1,23-28). Il vangelo di domani narra la guarigione della suocera di Pietro (Mc 1,29-31), la guarigione di molti malati (Mc 1,32-34) e la preghiera di Gesù in un luogo isolato (Mc 1.35-39). Marco raccoglie questi episodi, che erano stati trasmessi oralmente nelle comunità e li unisce tra di loro come i mattoni di una parete. Nel 70, anno in cui lui scrive, le comunità avevano bisogno di orientamento. Descrivendo come fu l’inizio dell’attività di Gesù, Marco indicava come dovevano fare per annunciare la Buona Novella. Marco fa catechesi, raccontando alle comunità gli avvenimenti della vita di Gesù.
• Gesù insegna con autorità, diversamente da come fanno gli scribi. La prima cosa che la gente percepisce è il modo diverso che Gesù ha di insegnare. Non è tanto il contenuto, bensì il modo di insegnare che impressiona. Per questo suo modo diverso, Gesù crea una coscienza critica nella gente rispetto alle autorità religiose dell’epoca. La gente percepisce, paragona e dice: Insegna con autorità, in modo diverso da come fanno gli scribi. Gli scribi dell’epoca insegnavano citando le autorità. Gesù non cita nessuna autorità, ma parla partendo dalla sua esperienza di Dio e della sua vita. La sua parola ha le radici nel cuore.
• Sei venuto a distruggerci! In Marco, il primo miracolo è l’espulsione di un demonio. Gesù combatte ed espelle il potere del male che si impossessa delle persone e le alienava da loro stesse. L’uomo posseduto dal demonio grida: “Io so chi sei tu: tu sei il Santo di Dio!” L’uomo ripeteva l’insegnamento ufficiale che presentava il Messia come “Santo di Dio”, cioè, come un Sommo Sacerdote, o come re, giudice, dottore o generale. Anche oggi, molta gente vive alienata da se stessa, ingannata dal potere dei mezzi di comunicazione, della propaganda del commercio. Ripete ciò che sente dire. Vive schiava del consumismo, oppressa dalle prestazioni del denaro, minacciata dai debitori. Molti pensano che la loro vita non è come dovrebbe essere se non possono comprare ciò che la propaganda annuncia e raccomanda.
• Gesù minaccia lo spirito del male: “Taci ed esci da lui!” Lo spirito scosse l’uomo, gettò un urlo ed uscì da lui. Gesù restituisce le persone a se stesse. Restituisce la coscienza e la libertà. Fa recuperare alla persona il suo perfetto giudizio (cf. Mc 5,15). Non è stato facile allora, non lo è stato ieri, non lo è oggi fare in modo che una persona cominci a pensare ed a agire in modo diverso dall’ideologia ufficiale.
• Insegnamento nuovo! Comanda perfino gli spiriti impuri. I due primi segnali della Buona Novella sono questi: il suo modo diverso di insegnare le cose di Dio, ed il suo potere sugli spiriti impuri. Gesù apre un nuovo cammino affinché la gente raggiunga la purezza. In quel tempo, una persona dichiarata impura non poteva presentarsi davanti a Dio per pregare e per ricevere la benedizione promessa da Dio ad Abramo. Doveva prima purificarsi. Queste e molte altre leggi e norme rendevano difficile la vita della gente ed emarginavano molte persone considerate impure, lontane da Dio. Ora, purificate dal contatto con Gesù, le persone potevano presentarsi davanti a Dio. Era per loro una grande Buona Novella!
4) Per un confronto personale
• Posso dire: “Io sono pienamente libero/a, signore/a di me stesso/a? Se non lo posso dire di me, allora qualcosa in me è posseduta da altri poteri. Come faccio per espellere questo potere estraneo?
• Oggi molta gente non vive, ma è vissuta. Non pensa, ma è pensata dai mezzi di comunicazione. Non ha un pensiero critico. Non è padrone di sé. Come espellere questo “demonio”?
5) Preghiera finale
O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra!
Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi,
il figlio dell’uomo perché te ne curi? (Sal 8)
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oppureno · 6 years ago
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Patrum auctoritas
Sono ossessionato dal concetto di autorità e, molto probabilmente, è qualcosa che ha malleato la mia psiche. Dopo aver fatto un’immersione totale nel mondo (vero) di Kafka, mi sono sentito in dover di recuperare quanto più possibile la sua opera (ma sicuramente abbandonerò anche questo progetto).
L’autorità è un fantasma imperante dell’opera kafkiana. È clustrofobia invisibile, motore supremo espresso attraverso la burocrazia e la figura paterna. Ma chi, come me, ha fatto esperienza di questo tipo di autorità, si sente in dovere di sradicarne le radici.
La lettera di Kafka al padre è di una formalità indecente. È forse la cosa che più mi è rimasta impressa. Un treno di pensieri nevrotici concatenati dalla formalità della lingua tedesca che, per carità, la cultura del tempo richiedeva, ma che ciononostante rende la sensazione possibilmente più costrittiva.
In Das Urteil il padre è un dio accomodante e iracondo, insensato, convesso nelle proprie improvvise esecrazioni pragmatiche, mezzo di rifiuto del figlio stesso. Il padre è il dio senza logica che porta il senso di autorità e illogicità esistenziale tanto cari a Kafka. Ma chi decide cosa siamo? Il tempo o nostro padre? E se nostro padre fosse il prodotto del tempo? Lo sappiamo. Abbiamo spesso potuto comprovare che siamo quello che siamo perché figli del tempo. Persino i più audaci rompono con la tradizione a loro modo, anche se vogliono conservarne intatta la struttura, l’essenza. I nostri padri sono i condensatori della nostra psiche.
Porto un nuovo trauma, dovuto alla lunga osservazione di un modellino della macchina infernale presente in In der Strafkolonie, laddove Kafka immagina un mondo un po’ fuori dallo stato - precisamente un’isola - che prevede una punizione esemplare per un uomo attraverso una intricata macchina di tortura. Siamo noi l’uomo, e soffriamo con devozione. Ci rammarichiamo delle colpe e soffriamo. Subiamo la pressione, l’oppressione, il potere di una voce interiore e il suo male esteriore, capace di piegarci e farci male. Come la colpa, subiamo l’autorità.
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emilianism · 6 years ago
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The Unapologetic Captain Marvel
Per chi ha sempre riconosciuto la valenza culturale dell’universo fumettistico, l’ultimo decennio è stato denso di soddisfazioni. Grazie all'intuizione cross-mediale di Disney (a cui ha fatto seguito, con alterni successi, anche il duopolio Warner-Dc Comics) di acquisire e valorizzare l’intero parco di narrazioni Marvel, abbiamo assistito a un susseguirsi di film, serie e videogames ispirati alle storie con cui siamo cresciuti, veri e propri racconti mitici “a bassa intensità” come li definirebbe Peppino Ortoleva, che molto, moltissimo hanno significato per la decodifica del nostro quotidiano.
Se di quotidiano parliamo, ovviamente, non possiamo pensare che all'interno del narrato cinematografico non andremo a ritrovare rappresentate anche le aberrazioni del nostro tessuto sociale: non è un caso quindi che solo negli ultimi due anni marvel abbia trovato il coraggio di dedicare un film a un protagonista afro-americano e, successivamente a una donna. Entrambi i film in qualche modo hanno dovuto subire qualche forma di scetticismo e discriminazione: ma se da un lato gli intellettuali black americani riescono a fare quadrato attorno ai propri artefatti culturali (ma per sconfiggere il razzismo made in USA la strada è ancora lunghissima, soprattutto dopo i passi da gambero compiuti dall’elezione di Trump nel 2016) mettere anche solamente in discussione il patriarcato sembra qualcosa di assurdo, complicato. Lo è perché la donna oggi, in tutte le esperienze sociali, vive uno stato di subalternità culturale ed economica; un’egemonia maschile difficile da scalfire. Se la realtà non è altro che “una costruzione sociale” (Berger, Luckmann) e se “non esistono fatti puri, ma solo interpretazioni” (Nietzsche), vedere questa Captain marvel farsi largo nello storytelling mainstream, non può che essere un segnale confortante.
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Intendiamoci: Captain Marvel non è un film perfetto, anzi: come tutti i film che raccontano le origini di un supereroe Marvel si attiene a una ricetta che dopo dieci anni inizia a essere un po’ stantia, sebbene la rivisitazione degli anni novanta come luogo della memoria (e non gli onnipresente ottanta, di cui, francamente, non se ne può più) lo rende godibilissimo, grazie anche al gran lavoro “da spalla” fatto da Samuel L. Jackson. Quest’ultimo recita ringiovanito di vent'anni grazie a una tecnologia figlia degli algoritmi di intelligenza artificiale dietro ai cosiddetti deepfakes; tecnologia che di anno in anno diventa sempre più (in)credibile, ponendoci di fronte a interrogativi e scenari stimolanti per il futuro: un attore potrà essere giovane per sempre? potrà lasciare la sua immagine e il suo timbro vocale in eredità anche dopo la sua morte? potremo mai rivedere sullo schermo divi come Marlon Brando o Marylin Monroe recitare - in qualche modo - nuove scene?
Mentre la trama del film si dipana al ritmo del rock post-grunge (No Doubt, Hole, Elastica, Garbage… ma anche Nirvana), seguiamo il doppio percorso della protagonista, Vers: terminare la sua prima missione come guerriera Kree e, contemporaneamente, comprendere sé stessa. I ricordi dei suoi primi anni di vita sono disorganici, sconnessi, anche di fronte all'Intelligenza Suprema (una sorta di divinità dalle mutevoli fattezze: in questo caso, quelle di Annette Benning) Vers non riesce a ricomporre i frammenti del suo passato. Soltanto dopo lo schianto sulla Terra inizia a scalfire la superficie dell’oblio indottole dal lavaggio del cervello subito e a comprendere la complessità della sua identità. Con l'aiuto degli agenti del neonato S.H.I.E.L.D., Nick Fury e Phil Coulson, un “gatto” che si rivelerà molto più aggressivo del suo aspetto sornione e la famiglia Rambeau, Vers non solo scoprirà di essere Carol Danvers, un'ex pilota americana, ma rivaluterà la sua posizione rispetto alla guerra che sta combattendo.
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Socchiudendo lo sguardo per meglio leggere tra le righe, Carol Danvers combatte una guerra in cui si trovano coinvolte tutte le donne, fin dal loro primo vagito: quella contro l’accoppiata patriarcato/misoginia. 
La misoginia (dal greco misèō, "odiare" e gynḕ, "donna"), pur nella sua disarmante chiarezza, risulta un concetto sfuggente, spesso scartato a priori in maniera semplicistica: nessuno “odia” le donne, tutti gli uomini ne hanno, più o meno, amato qualcuna - una giustificazione che avrete sentito dire migliaia di volte: “la mia vita è piena di donne importanti, mia madre, mia sorella, mia moglie ecc.” -  e questo sembra essere, per molti, un’affermazione plausibile che smonta, disinnesca automaticamente il sentimento d’odio. Anche se ci appare superfluo specificare cosa sia il patriarcato, un veloce ripasso non può che essere d’aiuto. Certe volte basta anche Wikipedia:
Il patriarcato è un sistema sociale in cui gli uomini detengono principalmente il potere e predominano in ruoli di leadership politica, autorità morale, privilegio sociale e controllo della proprietà privata. Nel dominio della famiglia, il padre o la figura paterna esercita la propria autorità sulla donna e i figli.
Storicamente, il patriarcato si è manifestato nell'organizzazione sociale, legislativa, politica, religiosa ed economica di una moltitudine di culture differenti. In sintesi, qualsiasi donna (non importa la classe sociale, l’età, l’identità di genere) in questo tipo di società è minacciata – più o meno direttamente – di conseguenze ostili se viola o contesta le norme o le aspettative relative al suo essere tale. Questo sistema normativo garantisce diritti e obblighi ben precisi. Questo ci pone in una situazione difficile da definire, dai contorni sfumati e quindi più complessa: non ci sono “uomini che odiano le donne” in maniera assoluta; ma un’immotivata insofferenza, che può variare di volta in volta d’intensità, fino a giungere a conseguenze gravissime, quando si verificano  particolari atteggiamenti ritenuti al di fuori del ruolo in cui la donna deve essere incardinata.
Come scrive Kate Mann in “Down girl: the Logic of Misoginy” (2018) 
il sessismo è il ramo dell'ideologia patriarcale che giustifica e razionalizza un ordine sociale patriarcale, la misoginia è il sistema che sorveglia e fa rispettare le norme e le aspettative che lo governano.
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Attraverso i numerosi flashback che appaiono nel film, apprendiamo che ci sono stati molti punti nella vita di Carol DanVers in cui le è stato detto di “stare al suo posto”, da differenti persone che hanno ricoperto ruoli più o meno importanti nella sua vita: in primis il suo mentore Yon-Rogg (interpretato da Jude Law).
Nella prima scena in cui li vediamo coinvolti in un allenamento al combattimento, Yon-Rogg insiste più volte sul fatto che Carol non debba lasciare che la rabbia e l'emozione facciano parte del suo combattimento, invitandola alla calma e alla razionalità. Alla luce di quello che scrivevamo poco prima, possiamo osservare chiaramente l’imposizione di un ruolo di genere: l’irrazionalità e la rabbia sono una prerogativa del combattimento mascolino (qualcuno di voi ha mai pensato di insegnare la razionalità a Hulk?). Una donna combattente, per essere “presa sul serio”, deve controllare la sua rabbia isterica (uso, non a caso, un termine ancora d’uso comune ma figlio di un sentimento misogino: il greco Hystera si traduce, non a caso, con Utero). A Carol Danvers non viene detto di controllarsi perché incapace di controllare il suo potere. Viene osteggiata e sbeffeggiata perché donna: come nella caccia alle streghe, la lotta alle suffragette; come accade oggi a Greta Thunberg e alla sua battaglia ambientalista. È una donna che non ha autocontrollo (o meglio, non ha introiettato le leggi del controllo maschile) e quindi destinata a finire nei guai. Quando Carol chiede il motivo per cui non può sfruttare tutto il suo potenziale la risposta, in sintesi, è di “stare al proprio posto”: il suo mentore ha deciso il modo in cui deve combattere, minacciandola di “toglierle tutto ciò che le è stato dato”, facendo riferimento all'innesto di tecnologia Kree che ha nel collo.
Molti fan dei comics originali si sono lagnati del gender-bending di Mar-Vell, personaggio a cui sono giustamente affezionati: nato nella silver age e protagonista di alcuni archi narrativi memorabili (in particolare quello che culmina con la sua morte). Mar-Vell, nella sua incarnazione filmica, appare interpretato da una Donna (dicevamo, Annette Benning); questa scelta, figlia di una scelta dell’ultim’ora, ha perfettamente senso all’interno di questa origin story. Quando Vers si trova al cospetto dell’intelligenza suprema, che prende le fattezze di Mar-Vell - una donna - questa ripropone in qualche modo le stesse minacce alla protagonista, se non rispetterà le regole relative al suo ruolo. Questa, che ironicamente ci diverte definire “sindrome di Stoccolma da patriarcato” è una forma di violenza psicologia esistente e spesso più complicata da far emergere: l’ideologia può assumere forme diverse, compresa quella femminile. Questo è un fenomeno comune a tutte le forme oppressive di dominio psicologico: nomino velocemente i “neri da cortile” di Malcom X, citati anche da Quentin Tarantino nel suo Django Unchained (2012), in particolare – in un veloce incrocio crossmediale – nel personaggio di Stephen, interpretato proprio da Samuel L. Jackson.
L'aspetto particolarmente insidioso di questi ruoli sociali è che essi appaiono il più possibile naturali o scelti liberamente, per cui è difficile scorgere come essi favoriscano l’affermarsi di un'ideologia. Naturalmente l'adozione da parte dell'Intelligenza Suprema dell'immagine di Lawson/Mar-Vell non significa che la Lawson aderisca alle norme sociali patriarcali (Spoiler: in realtà non è affatto così). Quello che ci preme sottolineare è che l’accoppiata patriarcato/misoginia non sempre indossa un volto maschile.
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Carol, mostra di sé il ritratto di una donna impenitente (o come amano dire gli americani unapologetic) il cui potere - raggi fotonici a parte - è proprio quello di rendersi conto di non dover giustificare a nessuno le scelte intraprese nella sua vita. È la sua tenacia, non il sangue Skrull, a darle la forza di rialzarsi dopo ogni sconfitta. Sul grande schermo abbiamo viste tante figure eroiche del genere, ma quasi mai, concedeteci il calembour, di questo… genere. Per una volta c’è una donna al centro del progetto Marvel. Ci vuole coraggio, può sembrare assurdo, a mettere in cantiere un personaggio simile all’interno di una cultura, quella nerd, che ha più volte dimostrato di avere al suo interno delle pericolose frange ultra conservatrici (fenomeno, tuttavia, di facile spiegazione: chi più di un nerd è legato alla cristallizzazione nostalgica di figure caratteristiche della propria infanzia e adolescenza?).
Nei mesi che hanno preceduto l'uscita del film, e nei giorni successivi, abbiamo potuto osservare come alcune persone, spesso anche organizzati in gruppi di “Troll”, si siano sentiti in diritto di controllare il modo in cui le narrazioni supereroiche debbano essere declinate. Ad esempio, dopo il primo trailer di Captain Marvel, un largo numero di fan del MCU (in maggioranza maschi) si è lamentato dell’aspetto di Brie Larson, secondo loro “poco sorridente”. Evidentemente, nel loro sistema valoriale, le donne dovrebbero essere sempre sorridenti e accondiscendenti. Per non parlare della campagna, miseramente fallita, di affossare il film sulle piattaforme che basano il loro giudizio con metriche crowdsourced (in primis, Rotten Tomatoes). Anche se tutto ciò può sembrarci estremamente ridicolo, e ci ritorna in mente William Shatner, indimenticabile interprete del Capitano Kirk di Star Trek apostrofare i fan più zelanti con un liberatorio “get a life!”, è importare comprendere quanto possano essere misogine questo genere di iniziative. Senza nemmeno entrare nel merito dei film coinvolti - è accaduto anche per Ghostbusters (2016) e Ocean’s 8 (2018) - ci si trova di fronte a un sentimento tossico che vorrebbe forzosamente proiettate le proprie aspettative sui prodotti dell’industria culturale.
Captain Marvel è un personaggio femminile forte e complesso, come lo sono molti dei personaggi del Marvel Cinematic Universe; non è una Dea come Wonder Woman, ma una donna che abbraccia le sue vulnerabilità e che ha la forza di combattere, fisicamente - ma non solo - sia contro i nemici che contro i suoi limiti. Un personaggio mitico che affronta il suo personale viaggio dell’eroe, in cui tutti possono identificarsi.
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sauolasa · 3 years ago
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"Eitan rapito dal nonno". In Israele il sopravvissuto alla tragedia di Mottarone
La zia paterna: "Spero che le autorità italiane e israeliane lo faranno tornare a casa"
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pier-carlo-universe · 2 months ago
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Il Generale Andrea Paterna, Comandante della Legione Carabinieri “Piemonte e Valle d’Aosta”, in visita ad Alessandria
Alessandria – Il Comandante della Legione Carabinieri “Piemonte e Valle d’Aosta”, Generale di Brigata Andrea Paterna, ha fatto visita al Comando Provinciale di Alessandria per lo scambio degli auguri natalizi in vista delle prossime festività.
Alessandria – Il Comandante della Legione Carabinieri “Piemonte e Valle d’Aosta”, Generale di Brigata Andrea Paterna, ha fatto visita al Comando Provinciale di Alessandria per lo scambio degli auguri natalizi in vista delle prossime festività. Al comando della Legione dal mese di luglio, il Generale Paterna ha voluto portare il proprio saluto ai Carabinieri alessandrini, per stringere rapporti…
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Quante volte devo perdonare? Buon senso, opportunità, giustizia umana sono termini insufficienti per comprendere adeguatamente la morale cristiana; e non solo perché Cristo è venuto a perfezionare la legge. “Occhio per occhio e dente per dente”, come fu detto agli antichi è una norma che Cristo, nella sua autorità di legislatore supremo, dichiara superata. Ma c’è qualche cosa di più. Dopo la morte redentiva di Cristo l’uomo si trova in una situazione nuova: l’uomo è un perdonato. Il debito gli è stato rimesso, la sua condanna cancellata. “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21). Il Padre ormai ci vede in Cristo: figli giustificati. Il mio peccato può ancora indebolire il mio rapporto filiale con il Padre, ma non può eliminarlo. Più che dal suo peccato l’uomo è determinato dal perdono infinitamente misericordioso di Dio: “Il peccato dell’uomo è un pugno di sabbia - così san Serafino di Sarov - la misericordia divina un mare sconfinato”. La miseria umana s’immerge nell’accoglienza purificatrice di Dio. Se questa è la novità portata da Cristo, anche il perdono umano deve adeguarsi ai parametri divini: “Siate misericordiosi come misericordioso è il Padre vostro” (Lc 6,36). Se il Padre guarda l’uomo come perdonato in Cristo, io non lo posso guardare come un condannato. Se il Padre ci accoglie in Cristo così come siamo per trasfigurarci in lui, l’accoglienza benevola diventa un bisogno della vita, una beatitudine. La comunità cristiana non pretende di essere una società di perfetti, ma vuole essere un luogo di perdono, una società di perdonati che ogni giorno gusta la gioia della benevolenza paterna e desidera renderla manifesta nel perdono reciproco. #vangelodelgiorno #dalvangelodioggi https://www.instagram.com/p/CFERDr3jCZr/?igshid=1x36toar0c2w
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italianaradio · 5 years ago
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SAN LUCA – Commemorazione 35° anniversario eccidio Brig. Carmine Tripodi (Immagini e Video)
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/san-luca-commemorazione-35-anniversario-eccidio-brig-carmine-tripodi-immagini-e-video/
SAN LUCA – Commemorazione 35° anniversario eccidio Brig. Carmine Tripodi (Immagini e Video)
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SAN LUCA – Commemorazione 35° anniversario eccidio Brig. Carmine Tripodi (Immagini e Video)
SAN LUCA – Commemorazione 35° anniversario eccidio Brig. Carmine Tripodi (Immagini e Video) Lente Locale
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di Redazione – Immagini e Video di Enzo Lacopo © 2020
SAN LUCA – Si è commemorato il 35° anniversario dell’eccidio del Brig. Carmine Tripodi, con la resa degli onori e la deposizione di una corona presso il monumento in memoria della vittima in località Ponte Cucuzza. Alla cerimonia commemorativa hanno partecipato le Autorità civili, militari e giudiziarie della Locride e della provincia, nonché il Generale Andrea Paterna, Comandante della Legione Carabinieri della Calabria. La funzione religiosa è stata officiata da S.E. Mons. Francesco Oliva, Vescovo della Diocesi di Locri-Gerace.
Le immagini e il Video del nostro Enzo Lacopo, con i momenti commemorativi presso il monumento della vittima, le dichiarazioni del Generale Paterna e del Sindaco di San Luca Bartolo.
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SAN LUCA – Commemorazione 35° anniversario eccidio Brig. Carmine Tripodi (Immagini e Video) Lente Locale
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di Redazione – Immagini e Video di Enzo Lacopo © 2020 SAN LUCA – Si è commemorato il 35° anniversario dell’eccidio del Brig. Carmine Tripodi, con la resa degli onori e la deposizione di una corona presso il monumento in memoria della vittima in località Ponte Cucuzza. Alla cerimonia commemorativa hanno partecipato le Autorità civili, […]
SAN LUCA – Commemorazione 35° anniversario eccidio Brig. Carmine Tripodi (Immagini e Video) Lente Locale
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Enzo Lacopo
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ildiariodibeppe · 5 years ago
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Lectio Divina: Marco 1,40-45
Lectio
Giovedì, 16 Gennaio, 2020
Tempo ordinario
1) Preghiera
Ispira nella tua paterna bontà, o Signore,
i pensieri e i propositi del tuo popolo in preghiera,
perché veda ciò che deve fare
e abbia la forza di compiere ciò che ha veduto.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...
2) Lettura
Dal Vangelo secondo Marco 1,40-45
In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi guarirmi!”
Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, guarisci!”. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: “Guarda di non dir niente a nessuno, ma va’, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro”.
Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.
3) Riflessione
• Accogliendo e guarendo il lebbroso, Gesù rivela un nuovo volto di Dio. Un lebbroso arriva vicino a Gesù. Era un escluso, un impuro. Doveva essere allontanato. Chi lo toccava, anche lui/lei diventava impuro/a! Ma quel lebbroso ebbe molto coraggio. Trasgredì le norme della religione per poter arrivare vicino a Gesù. E gridò: Se tu vuoi, puoi guarirmi “ Non hai bisogno di toccarmi! Basta che tu lo voglia, ed io sarò guarito! La frase rivela due mali: a) il male della lebbra che lo rendeva impuro; b) il male della solitudine a cui era condannato dalla società e dalla religione. Rivela anche la grande fede dell’uomo nel potere di Gesù. E Gesù profondamente commosso, guarisce i due mali. In primo luogo, per curare la solitudine, tocca il lebbroso. E’ come se dicesse: “Per me, tu non sei un escluso. Io ti accolgo come un fratello!” E poi cura il lebbroso dicendo: Lo voglio! Sii curato! Il lebbroso, per poter entrare in contatto con Gesù, aveva trasgredito le norme della legge. Anche Gesù, per poter aiutare quell’escluso e quindi rivelare un volto nuovo di Dio, trasgredisce le norme della sua religione e tocca il lebbroso. In quel tempo, chi toccava un lebbroso diventava impuro per le autorità religiose e per la legge dell’epoca.
• Integrare di nuovo gli esclusi nella convivenza fraterna. Gesù, non solamente guarisce, ma vuole anche che la persona curata possa vivere con gli altri. Inserisce di nuovo la persona nella convivenza. In quel tempo, per un lebbroso essere di nuovo accolto in comunità, aveva bisogno di un certificato di guarigione da parte di un sacerdote. E’ come oggi. Il malato esce dall’ospedale con un documento firmato dal medico del reparto. Gesù obbliga la persona a cercare il documento, in modo che possa vivere normalmente con gli altri. Obbliga le autorità a riconoscere che quest'uomo è stato curato.
• Il lebbroso annuncia il bene che Gesù gli ha fatto e Gesù diventa un escluso. Gesù proibisce al lebbroso di parlare della guarigione. Il Vangelo di Marco informa che questa proibizione non servì a nulla. Il lebbroso, allontanatosi, cominciò a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti (Mc 1,45). Perché? Perché Gesù aveva toccato il lebbroso. Per questo, secondo l’opinione della religione di quel tempo, ora lui stesso era un impuro e doveva essere allontanato da tutti. Non poteva più entrare nelle città. E Marco indica che alla gente importavano poco queste norme ufficiali, infatti venivano a lui da ogni parte (Mc 1,45). Sovversione totale!
• Riassumendo. Sia nel 70, epoca in cui Marco scrive, come pure oggi, epoca in cui noi viviamo, era e continua ad essere importante avere dinanzi agli occhi modelli di come vivere ed annunciare la Buona Novella di Dio e di come valutare la nostra missione. Nei versi 16 a 45 del primo capitolo del suo vangelo, Marco descrive la missione della comunità e presenta otto criteri affinché le comunità del suo tempo potessero valutare la loro missione. Ecco lo schema:
Testo
Attività di Gesù
Obiettivo della missione
Marco 1,16-20
Gesù chiama i primi discepoli
Formare comunità
Marco 1,21-22
La gente resta ammirata del suo insegnamento
Creare una coscienza critica
Marco 1,23-28
Gesù scaccia un demonio
Combattere la forza del male
Marco 1,29-31
Guarisce la suocera di Pietro
Ridare la vita per poter servire
Marco 1,32-34
Guarisce malati ed indemoniati
Accogliere gli emarginati
Marco 1,35
Gesù si alza presto per pregare
Rimanere uniti al Padre
Marco 1,36-39
Gesù continua l’annuncio
Non fermarsi ai risultati
Marco 1,40-45
Guarisce un lebbroso
Integrare di nuovo gli esclusi
4) Per un confronto personale
• Annunciare la Buona Notizia, vuol dire rendere testimonianza dell’esperienza concreta che si ha di Gesù. Il lebbroso, cosa annuncia? Racconta agli altri il bene che Gesù gli ha fatto. Solo questo! Null’altro! E questa testimonianza conduce gli altri ad accettare la Buona Novella di Dio che Gesù ci porta. Qual è la testimonianza che tu dai?
• Per portare la Buona Novella alla gente, non bisogna aver paura di trasgredire le norme religiose che sono contrarie al progetto di Dio e che rendono difficile la comunicazione, il dialogo ed il vissuto dell’amore. Anche se questo reca difficoltà alla gente, come le recò a Gesù. Ho questo coraggio?
5) Preghiera finale
Venite, prostrati adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati.
Egli è il nostro Dio,
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce. (Sal 94)
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mmnt17 · 5 years ago
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Ernst Niekisch, La tragedia della gioventù tedesca (1932)
Da Ernst Niekisch, Una fatalità tedesca [1932], ed. Nova Europa 2018, pp. 34-41.
A conquistare la fiducia della gioventù che aveva fatto la Guerra fu il fatto che finalmente il movimento nazionalsocialista riconosceva la sua specifica forza e il suo promettente peso politico. In questa gioventù vivono forze ribelli che mettono in questione tutte le basi dell’esistenza dell’ordine costituito. Senza capire il contesto, non si può avere accesso allo spirito della giovane generazione del dopoguerra. Il 1918 rappresentò una rottura […]. Quello che venne dopo ebbe poche relazioni con ciò che vi era prima.
La generazione prima della Guerra fu formata in un’epoca dove la Germania ebbe grandezza e considerevole peso politico sullo scenario internazionale. […] La loro memoria è ancora abituata alla gloria passata che una volta diede senso alle loro vite. L’umiliante presente è apparso loro come un sogno confuso, come un soffio di un destino terribile ma passeggero. La vecchia Germania rimase per loro la vera Germania […].
Le condizioni di vita della generazione del dopoguerra sono completamente differenti. Hanno fondamentalmente vissuto in questa Germania nella sua impotenza […]. Per questo l’amarezza politica, la miseria sociale e la rovina economica sono elementi naturali per loro, sempre presenti nella vita d’ogni giorno. […]
In realtà, il lavoro e l’eredità della vecchia generazione è solo un campo di macerie. La sua conseguenza, un caos senza confini. Per questa ragione, essa non può imporre né rispetto né autorità sulla generazione del dopoguerra. Se ci si accorge che la somma della sua esistenza è stata un collasso, essa non può pretendere alcuna stima. La mancanza di considerazione che la giovane generazione ha nei confronti degli anziani è il riflesso della loro bancarotta.
La gioventù del dopoguerra si è trascinata dietro le pesanti conseguenze di questa bancarotta. I giovani di tutte le classi sociali, giuristi, insegnanti, impiegati e lavoratori si trovano davanti unicamente porte chiuse. L’orribile certezza di un’esistenza allo sbando li depriva di un fiero coraggio, estingue quella fiamma della giovanile necessità dell’azione. Le loro ali sono state spezzate prima che essi abbiano potuto imparare come volare. […] Essi non vedono alcuna direzione aperta, il futuro gli sembra negato. […] Non sperano più che il “loro” tempo possa arrivare. Non c’è più alcun tempo che li chiama. In realtà, essi hanno l’impressione che sono stati gettati via prima di aver dimostrato quanto valgono. C’è un grande odio accumulato contro i propri padri. Il figlio vede se stesso come derubato dal padre: derubato dalla speranza di guadagnarsi il pane, dalla possibilità di fondare una famiglia, della libertà di movimento per un lavoro creativo, in generale dello spazio vitale e, soprattutto, della fede in una missione.
Tutto ciò apre un invalicabile abisso tra la generazione dei padri e quella del dopoguerra. La gioventù era diffidente delle tradizioni sacre per gli anziani. Una tradizione trasmessa da tali padri che valore avrebbe potuto avere? Per questa gioventù il conservatorismo era un vaniloquio. Nella loro eredità paterna non c’era più nulla che valesse la pena di conservare. […] Essi annusano il fetido odore delle idee borghesi, degli ideali dei proprietari, che non gli corrispondono. Non v’è più nulla che a loro interessi lì. Che importo loro delle ansiose preoccupazione dei proprietari? Questi proprietari sono i residui di un mondo che non è più quello di questa gioventù. […]
Essa ostenta una posizione priva di basi e legami, che terrorizza la precedente generazione. La sua scala di valori è in definitiva differente. Segretamente, essi già disprezzano i benefici della civilizzazione , del progresso e dell’umanesimo. Essi dubitano dell’affidabilità della ragione e non indietreggiano di fronte alla possibilità di una vita barbarica. Il loro “radicalismo” attacca realmente le radici. Per loro, l’opposizione non è più un gioco frivolo, come una volta era una distrazione dall’impegnarsi in una carriera già pianificata. Essi vogliono la sovversione. Le loro tendenze e intenzioni sono violentemente ostili all’ordine costituito. Entrano in partiti estremisti non per la loro immaturità, ma per fare in modo che avvenga l’azione. Quando essi dicono “socialismo” non parlano della fede nella dottrina marxista. No, piuttosto in questo modo esprimono la loro determinazione a ribellarsi contro il mondo borghese. Poiché l’economia non offre più loro aperture, essi non la considerano più il loro destino. […] Guardando più attentamente, vediamo che questa gioventù è nel mezzo della trasformazione della propria miseria in un tipo di virtù prussiana: è idoneo al combattente essere spogliato di ogni proprietà.
Questa gioventù si è intimamente adattata al suolo vacillante sul quale è collocata, a quelle relazioni insicure nelle quali si trova a esistere. Vive di espedienti. Il modo di vita dell’epoca borghese, quando si era contenti di se stessi, quando si calcolava e si pianificava, è completamente estraneo a questi giovani. La traiettoria delle loro vite tocca costantemente il fondo. Psicologicamente, essi vivono pericolosamente ma senza pathos. Assomigliano a un materiale umano grezzo che è capace di qualsiasi cosa, nel bene o nel male.
Nel movimento nazionalsocialista, questa gioventù cerca la propria realizzazione. È lì che essi pensano di ricevere l’addestramento alla lotta contro il vecchio mondo. […] era il meglio della gioventù e , in definitiva, il meglio de tedeschi che lì si radunava. Data la qualità della sostanza umana, le SA e le SS davano loro un’occupazione, indipendentemente dal loro orientamento e dalla funzione politica, all’interno di un rango specifico, che esisteva unicamente per se stesso. È stata proprio questa gioventù a dare tanto fuoco e splendore al Movimento. […] Quello che fu attribuito al Movimento fu in realtà il merito della gioventù che vi aderiva in massa […], avevano tradotto il sentimento del mondo, la visione della vita e la tensione volontarista dei giovani nel linguaggio commerciale della politica, in tal modo che la loro efficacia pratica corrispose alla posizione essenziale di questa gioventù.
Questa gioventù era in rivolta contro il vecchio mondo. Per loro, il Terzo Reich fu l’incarnazione di un mondo nuovo. […] Il Terzo Reich è il mascheramento che il vecchio mondo usò per simulare l’attrazione verso un mondo nuovo. […] Si è abusato della loro fede in modo da metterli al servizio delle forze che avevano giurato di distruggere. […] Esso difende un passato marcio con il linguaggio del futuro. Le sue promesse sono pacificazione.
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fabriziomottironi · 6 years ago
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Il tradimento e il perdono sono il cuore dell’esistenza non mancata.
Nel 1964 lo psicologo e filosofo statunitense James Hillman intervenne presso la Guild of Pastoral Psychology di Londra con una conferenza dal titolo Betrayal (Tradimento).
Il testo di questa conferenza di Hillman è stato pubblicato dalla Adelphi di Milano nella prima parte dell’opera Puer Aeternus.
Il tema affrontato da Hillman è stato ripreso più volte, non in ultimo l’omelia del vescovo di Rieti Domenico Pompili in occasione della Pasqua dello scorso anno.
Questo tema è tanto scottante quanto profondo, di seguito viene riproposto per come è stato trattato dal filosofo e studioso delle religioni italiano Elémire Zolla nel suo Uscite dal mondo (1992, pubblicato dalla Adelphi), alle pp. 366 e sgg.
«Comincia da una storiellina: un padre ebreo allena il figliolino a saltare da una scala cogliendolo fra le braccia, finché all'improvviso si scosta, lasciandolo stramazzare e dicendo: «Così impari a non fidarti di un ebreo». Hillman informa: «La storia va molto al di là del suo apparente antisemitismo, tanto più che con molta probabilità è una storia ebrea ». Anzitutto il repellente tradimento paterno ha una remota premessa, senza la quale non esisterebbe: lo stato edenico primordiale, la fusione dell'infante con la madre, in cui non era immaginabile un venir meno della fiducia.
Adamo passeggiava con Dio prima della caduta in una realtà pervasa di fede: Dio aveva creato il mondo per l'uomo, il suolo non poteva sottrarsi al piede che lo calcava, il sole non poteva mancare di rispuntare all'aurora. Ma in questo paradiso entr�� Eva cioè l'anima e l'anima è ambigua, tradisce. Dopo il tradimento di Eva, tutta la storia è una successione di slealtà e di perfidie, Caino assale Abele, Giacobbe inganna Esaù, i fratelli vendono Giuseppe e infine Dio tradisce Gesù. L'uomo è sottratto alla pace che gli largivano la pelle tiepida, le soffici mammelle colme di latte, si aggrappa oramai a una parola virile che promette e garantisce amore, tutela, lealtà, sicurezza, parola di padre o di amico. Questa parola d'impegno consente di continuare a essere fanciulli, di non dover affrontare l'anima, l'ombra di Eva. Ma una parola non può essere mantenuta, è un fiato di voce ed Eva in noi dev'essere accettata. Perciò il tradimento è fatale, provvidenziale, salutare, occorre che il padre inganni.
La storiellina sgradevole comincia a prendere una luce inattesa, assume il profilo di un'iniziazione. Hillman insiste: il tradimento è necessario per passare dall'Eden al mondo della coscienza desta e della responsabilità avvisata. La vita deve spezzare la struttura di garanzie verbali, il ragazzo dev'essere tradito per poter toccare il cuore dell'esistenza e perciò Dio-padre è infido, appunto: traditore. La storia di Gesù esercita un fascino così costante perché manifesta l'archetipo del tradimento. Giuda inganna, i discepoli dormiranno durante la notte di strazi e invocazioni, Pietro rinnegherà tre volte. Via via il tradimento si moltiplica, dalla tristezza dell'ultima cena al patimento della notte nell'orto fino all'urlo sulla croce. Giuda, i discepoli, Pietro commettono tuttavia infedeltà accettabili, Gesù li può perdonare e può chiedere il perdono anche per i suoi carnefici, essendo una cosa sola con suo padre, ma giunge infine il tradimento insostenibile, dilaniante, di Dio. E Gesù urla il Salmo 22. Ceronetti traduce:
 Dio mio Dio mio perché mi lasci solo?
Mia Salvezza perché sei lontano?
Non parlo più muggisco
Era salvarsi invocarti
Mai essere delusi fidare in te
Eppure dal ventre mi hai cavato tu
Tu ai capezzoli di mia madre mi quietavi.
 Al culmine del disperato orrore il Salmo inverte tutto e grida:
 Tu mi hai risposto.
Gesù muore prima di avere questa risposta. Nel crescere progressivo di infamie c'è stato un risalire sempre più intenso dell'anima femminile, a principiare dal lavacro dei piedi fino alla conclusione trionfale: «alla ferita nel fianco nell'estremo momento della morte, come quando Eva fu strap pata dal fianco di Adamo» sgorga il sangue, il fanciullo divino muore, s'intravede l'uomo che gli succede.
S'intravede, ma nelle nostre vicende comuni può non emergere. Può invece insinuarsi nell'uomo tradito una stizzosa reazione: l'amore, egli dirà, è un inganno, la convinzione una trappola, e così evita di accettare il valore del tradimento. Le perle che profondeva al tempo della fiducia (le confessioni intime, le lettere d'amore, le rivelazioni sulla propria infanzia) ora gli appaiono sabbia, polvere, immondizia. Nega tutto, soffre, diceva Jung, senza autenticità.
 Oppure il tradito diventa un demente, si sforza di rimediare alla labilità delle parole con altre parole, esige d'ora in poi giuramenti disperati, professioni di fedeltà eterna. Sorge una domanda ardua: che cosa è stato il tradimento per il padre? Qualcosa di molto affine alla sua qualità paterna. Egli ha un lato puramente brutale e lo dimostra. Opera, nel dimostrarlo, con il lato sinistro della sua persona, inconsciamente. Non si spiega. Anche il maestro, nel senso tradizionale del termine, autorità assoluta e inspiegabile, ha una freddezza che sola può davvero iniziare il suo alunno. Penso all'allenamento inflitto a Milarepa. La capacità di tradire è affine a quella di guidare, lascia solo il guidato, quando occorra. E solo dev'essere, per sentire ciò che lo sorregge quando non sia più in grado di reggersi. In breve, il padre traditore si trova in un destino tragico, inspiegabile con la psicologia.
 Così il grande maestro iniziatico. Così anche il figlio o l'alunno che riescano a perdonare, operazione terribilmente difficile perché si è animati dall'amor proprio che è stato schiantato, dall'orgoglio che è stato irriso, dall'onore che è stato calpestato e l'offesa si ricorda, provvedono i sogni se nella veglia si riesce a reprimerla. Per perdonare, bisogna trasformare la propria amarezza mercé la Sapienza.
È la creatura che parla nel libro dei Proverbi (8, 22-25) e di sé dice:
L'Eterno mi ebbe all'inizio dei suoi atti
prima di fare le sue opere, in antico.
Fui stabilita in eterno
dal principio, prima che la terra fosse,
fui generata che ancora non c'erano gli abissi,
quando non c'erano ancora le acque sorgive
fui generata prima che i monti fossero fondati.
E entrata o rientrata nel nostro mondo concettuale abbastanza di recente, per opera di Russi. Incominciò Solov'èv a sentire accanto a sé la Sapienza a principiare da quando, all'età di nove anni, se la vide comparire dinanzi in un abbaglio e gli penetrò in cuore un'estasi piena di conoscenza. Per tutta la vita approfondì quella visione, contrappose quella femminilità intellettuale all'Umanità dei positivisti. Dopo di lui Florenskij riprese il tema e formulò la definizione: la Sapienza è la quarta ipostasi di Dio.
Grazie alla Sapienza si scopre che come la fiducia contiene il tradimento, così il tradimento contiene il perdono. La fiducia era inconscia e senz'anima, col tradimento la vita spezzò quell'incanto meramente verbale e il fanciullo si estinse attraverso la rivelazione dell'anima femminile e in virtù del dolore. Il perdono del tradito e l'espiazione del traditore sono la coppia redentrice finale. Credo che soltanto Dostoevskij ne seppe parlare, nell'Idiota.
Da questo punto in poi l'anima si potrà estendere e sviluppare in tutta la sua ricchezza.»
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abatelunare · 8 years ago
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Supereroi con gli occhi a mandorla III
Hurricane Polymar
Con i 26 episodi di Hurricane Polymar (titolo originale Hurricane Polymer), si cambia (fortunatamente) registro. Rispetto alle due serie precedenti, la profondità si riduce sensibilmente, mentre i toni si fanno scanzonati, addirittura buffoneschi. Ma soprattutto, in questo anime la trama non esiste. Non c’è alcun filo narrativo che funga da collante narrativo. Troviamo soltanto uno schema fisso e immutabile che si ripete pressoché identico di volta in volta. Il primo episodio è chiaramente il più importante, perché presenta i personaggi principali, oltre a stabilire le “regole del gioco”. Il protagonista è Takeshi, un ragazzo in apparenza sciocco, fannullone e goffo che porta sempre con sé un casco rosso. Lavora (si fa per dire) per la scalcinata agenzia di investigazioni dell’altrettanto scalcinato detective privato Joe Kuruma, il quale, oltre ad essere un fallito, è bruttissimo e senza denti. Si serve di due improbabili armi: una pistola che riempie con liquidi di varia natura (acqua, whisky, profumo…) e un cappello che funziona più o meno come un boomerang. I locali da lui occupati appartengono ad una graziosa biondina tutto pepe di nome Teru, alla quale deve mesi e mesi di affitto arretrato. La ragazza collabora con lui, nella speranza di recuperare, prima o poi, i suoi soldi. Completa la squadra l’ex cane poliziotto Baron, voce narrante della serie. Tutti gli episodi presentano la medesima struttura. S’inizia con un crimine commesso da una banda i cui componenti – salvo qualche rarissima eccezione – indossano costumi che s’ispirano al mondo animale. C’è di tutto: scorpioni, serpenti, gatti, dobermann, farfalle, lucertole, polipi, scorpioni… e chi più ne ha, più ne metta. Ovviamente, l’uniforme del capo è molto più elaborata rispetto a quella dei suoi scagnozzi. La sua identità è sempre segreta, ma è facilmente intuibile. Si tratta, per lo più, di un insospettabile che interagisce con i buoni. Kuruma viene a conoscenza della situazione grazie al suo periscopio e al microfono che Takeshi piazza negli uffici dell’Interpol (situati proprio di fronte all’agenzia investigativa), scegliendo ogni volta un posto diverso (e assurdo). I due cominciano ad indagare per conto loro. Chiaramente, Kuruma si caccia nei guai. A quel punto, Takeshi scompare e indossa il suo casco rosso, che gli permette di diventare l’invincibile Hurricane Polymar, abilissimo nelle arti marziali. Oltre a renderlo molto più forte del normale, il casco gli permette di trasformarsi in cinque diversi veicoli: Polymar Sparviero, Polymar Razzo, Punte Rotanti, Polymar Bulldozer e Polymar Missile. Per attivare la trasformazione, gli basta urlare il nome del mezzo in cui vuole convertirsi. La sua entrata in scena segue un rituale ben preciso. Prima si spengono le luci. Poi si sente (anche se non sempre) la sua risata nel buio. Alla richiesta del capo dei cattivi di identificarsi, segue una frase che, fatte salve le variazioni del caso, suona all’incirca così: Il senso (o La sete) di giustizia mi chiama ovunque ci siano del malvagi… Hurricane Polymar è il mio nome (o Sono Hurricane Polymar). Per te è finita!!! (o È giunta la vostra fine, ormai!! Vi annienterò tutti!!!) Uragano!!! Terminata la frase intimidatoria, si vede la p rossa del suo costume ruotare (sempre nel buio). E Polymar si scatena: prima polverizza la banda, poi ne sconfigge il capo, smascherandolo. Alla fine, interviene il Generale Onikawara, direttore dell’Interpol, che arrestai criminali e ringrazia il nostro eroe del prezioso aiuto fornito alle autorità. Joe Kuruma se ne torna a casa con le pive nel sacco, mentre Baron si rammarica di non poter gridare a tutti che Takeshi e Polymar sono la stessa persona (è l’unico a conoscere il segreto del protagonista). Immancabile lo spassoso finale nella sede dell’agenzia investigativa, durante il quale il nostro eroe fa sempre la figura dell’impiastro. All’inizio, i dati in nostro possesso sono minimi. Non sappiamo chi sia Takeshi, né come abbia fatto a procurarsi il suo prodigioso casco rosso, del quale ignoriamo oltretutto il funzionamento. A poco a poco, però, i tasselli del mosaico finiscono tutti al loro posto. Scopriamo innanzitutto che Takeshi è il figlio di Onikawara e che è scappato di casa per imprecisate divergenze con il genitore. La prima informazione rilevante ci viene comunicata nell’episodio 9. A quanto pare, Polymar non è invincibile come pensavamo (o come sembrava): la banda dei gatti scopre che la sua trasformazione ha un limite temporale, oltrepassato il quale rischia la vita. Come nel caso di Tekkaman, insomma, i poteri di Takeshi hanno una scadenza: se non torna “normale” entro 46 minuti (e un secondo), sono cavoli suoi. Scoperto il suo punto debole, i criminali decidono di sfruttarlo per ucciderlo. Ma interviene Teru, che oltretutto ha un debole per l’eroe. La ragazza dimostra di saper combattere, quando necessario. Per la prima volta, il protagonista si trova ad avere bisogno di una mano. È lui stesso ad ammetterlo. E questo lo rende forse più “umano”. In effetti, dei tre supereroi finora analizzati, questo sembrava l’unico a potersela cavare tranquillamente da solo, senza aiuti di sorta. Polymar ha un altro limite: il freddo. Se la temperatura scende sotto i 50 gradi, il costume perde i propri poteri e diventa fragile. L’episodio più importante, però, è il numero 17. Ne mancano nove al termine e finalmente si decidono a raccontarci le origini di Polymar. Un anno prima del periodo in cui si svolge la vicenda, la banda dei rettili minaccia uno scienziato anzianotto di nome Oregasteru, genio della chimica. Takeshi litiga con il padre perché l’Interpol non intende proteggere lo studioso. Volano parole grosse: A che serve la tua autorità paterna? A far tacere me sull’inutile sacrificio di una vita umana! Il sugo è chiaro: bisogna combattere il male, ma senza perdite che, volendo, si potrebbero evitare. I criminali attaccano il laboratorio di Oregasteru. Takeshi lo soccorre, ma può fare ben poco. A quel punto, il vecchio consegna al protagonista il furto delle sue ricerche: il Polyment, applicazione pratica del Polymar, un materiale polimerizzato composto di molecole pesanti da lui scoperto. Dopo averne spiegato il funzionamento ed essersi fatto promettere di utilizzare l’invenzione per il bene dell’umanità e per la giustizia, si uccide, facendo saltare per aria il laboratorio. La morte del dottore acuisce i contrasti tra Onikawara e il figlio, che se ne va di casa. I due si rivedono nell’episodio 23, durante il quale scambiano anche qualche parola, senza però riavvicinarsi più di tanto. Si riuniscono nella conclusione, suddivisa in due parti. Onikawara, nonostante non abbia molta stima di Kuruma, gli consegna una foto di Takeshi, chiedendogli di ritrovarlo. Naturalmente si guarda bene dal dirgli che il ragazzo è suo figlio. Il detective porta a termine il suo incarico, e i due famigliari si ritrovano faccia a faccia. Vengono, però, catturati dalla banda delle tartarughe, che conoscono il segreto di Polymar e vogliono impadronirsene. Gran finale nella base dei criminali, che hanno imprigionato i protagonisti. Per salvare genitore e amici, Takeshi non ha scelta: deve trasformarsi davanti a tutti. Il che significa guai seri per le tartarughe. Ma significa anche altre cose. Che padre e figlio si riconciliano. Che il primo permette al secondo di rimanere a lavorare con Kuruma. Che Teru può dichiararsi al suo eroe. Un tripudio, insomma. Rispetto a Tekkaman e Kyashan, ci sono alcuni ingredienti in più. Non si tratta soltanto dei toni dichiaratamente farseschi. Innanzitutto, c’è la questione dell’identità segreta. Nessuno conosce l’alter ego di Polymar, un po’ come succede con la maggior parte dei supereroi americani. Ecco perché Takeshi svanisce sempre nei momenti cruciali, suscitando il biasimo di Teru e Kuruma. Ma come facciano loro e il Generale Onikawara a non riconoscerlo dalla voce, o magari dal viso (la visiera di Polymar è parzialmente trasparente) è un vero mistero. A questo elemento si aggiunge il meccanismo dell’agnizione finale, frequentissimo negli anime: alla fine della serie (o verso la metà), le identità segrete si scoprono e gli enigmi si svelano. Qui non è che la situazione fosse particolarmente intricata, però il riconoscimento c’è. E abbiamo una persona che ne cerca un’altra: Onikawara ha nostalgia del figlio, non smette di cercarlo. Come faccia a non incontrarlo mai, dato che gli uffici di Kuruma sono dall’altra parte della strada rispetto a quelli dell’Interpol è un altro mistero. Il generale in più di un’occasione passa poco distante dal pargolo senza saperlo, ma Takeshi evita accuratamente che le loro strade si incrocino. Questa ricerca – o meglio, il ricongiungimento tra i due famigliari, con tanto di riconoscimento finale – potrebbe essere il fulcro di un anime in apparenza anomalo perché i protagonisti sembrano non perseguire alcuno scopo preciso. Non c’è un nemico fisso da sconfiggere definitivamente nell’episodio conclusivo. Le bande che Polymar annienta, cambiano di volta in volta. A meno che la finalità non sia scoprire la reale identità del supereroe in rosso. In ogni caso, si racconta di un padre e dei suoi contrasti con il figlio. I due sono divisi da una questione di principio: Onikawara è il classico giapponese che pensa solo al lavoro ignorando tutto il resto. Takeshi è abbastanza duro, in proposito. Accusa il genitore di essere un uomo formale, ossessionato da onore e prestigio. Arriva perfino a dire che se perdesse il lavoro dovrebbe uccidersi, dato che non gli resterebbe altro. Colpisce, però, l’assenza totale della madre di Takeshi: non solo non la si nomina mai, ma neppure si intravede attraverso la tecnica del flashback, utilizzata per esempio in Judo Boy. Deve pur essere esistita, dato che gli esseri umani non si riproducono per generazione spontanea.
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