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#Lettera al padre
gridaesussurri · 1 year
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“ Non è poi necessario volare fino al sole, in fondo basta strisciare sulla terra fino a un posticino pulito dove a volte il sole appaia e ci si possa scaldare un poco. “
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statiifilia · 2 years
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Tu hai influito su di me come dovevi influire; soltanto devi smettere di considerare come una particolare malvagità da parte mia il fatto che sotto questo influsso io abbia finito per soccombere.
FRANZ KAFKA, Lettera al padre 
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subsonica · 11 days
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È anche vero che non mi hai mai davvero picchiato.
Ma le urla, il volto arrossato, il rapido slacciare le bretelle e vederle pronte all'uso sulla spalliera della sedia per me era quasi peggio.
È come quando qualcuno deve essere impiccato. Se lo si impicca sul serio, allora è morto e tutto è finito.
Ma quando deve vedere tutte le preparazioni per l'impiccagione, venendo a sapere di essere stato graziato soltanto quando si vede penzolare il cappio davanti alla faccia, allora potrebbe ritrovarsi a soffrirne per tutta la vita.
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lorenzospurio · 1 year
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Franz Kafka a centoquaranta anni dalla nascita. Con un’interpretazione del “tema natale” dello scrittore boemo.
A cura di Isabella Michela Affinito Senza voler ostentare emulazione nei riguardi del filosofo e storico greco, Plutarco di Cheronea (46 circa – 120 d.C. circa) che redasse le famose Vite parallele ponendo a confronto esistenze di personaggi illustri quali, ad esempio, Cesare con Alessandro Magno, Teseo con Romolo, Aristide con Catone, Cicerone con Demostene, etc., ebbene, il profilo, dalla…
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ugomaggengo · 2 years
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Padre Pio scrive una lettera al Papa
Padre Pio scrive una lettera al Papa
Sapevate che San Pio da Pietrelcina scrisse una lettera al Papa? E non una solamente. Il Padre Pio ne scrisse altre, aveva poi una corrispondenza epistolare anche con il cardinale Wojtyla il futuro Papa Giovanni Paolo II.
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lapalisse-naples · 6 months
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Ci avete tolto la magia di una foto, la poesia di una lettera, la calligrafia, l'odore di un libro, il ritaglio di un giornale, il "ci vediamo alle otto in piazza", il negozietto di alimentari sotto casa, le infinite chiacchierate in una cabina, i baci su una panchina, la paura che rispondesse il padre al telefono fisso, il diario segreto, il pallone nel cortile, l'attesa del rewind, la dedica alla radio, l'impaccio nel ballare un lento, i giochi di società, la comunicazione.
Quando la tecnologia avrà seppellito anche l'ultimo sussulto relazionale, avrete completato l'opera inarrestabile di desertificazione emotiva, perché allora, e solo allora, ci avrete reso animali urbani, sempre più vicini, eppur così lontani.
-Michelangelo da Pisa
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papesatan · 4 months
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Trovo che nulla parli di noi come le nostre lacrime. Di conseguenza, ho deciso di trascrivere qui una lista di eventi e situazioni che mi fanno piangere inconsolabilmente:
le lettere scritte da mia madre e nascoste in un vecchio diario di scuola, quando andavo ancora alle medie. Le ho scoperte soltanto pochi mesi fa, riaprendolo casualmente, e sono scoppiato a piangere,
il finale di Mary Poppins, quando dopo essere stato licenziato, il signor Banks torna a casa con l’aquilone finalmente riparato e comincia a giocare coi figli, correndo fuori con loro per farlo volare nel parco (scena tuttora inguardabile per me senza cominciare a frignare),
gli abbracci alla stazione,
l’episodio di Doraemon in cui Nobita vorrebbe ringraziare la persona che, durante una gita all’asilo, lo aiutò a rialzarsi, scacciando i bruchi pelosi che lo ricoprivano. Tuttavia, Nobita non riesce a ricordare il suo volto, così Doraemon gli offre l’opportunità d’incontrare chiunque voglia nella Stanza del Rivedersi,
la perduta innocenza,
il finale dell’Uomo dei Sogni, quando Ray incontra suo padre, morto da tempo, e prima che questi svanisca gli chiede: “Ehi papà, vuoi giocare un po’ con me?” (tema a quanto pare ricorrente, dovrei forse dedurne qualcosa?),
l’inesorabile decadimento fisico e psichico dei miei genitori, ormai pressoché anziani,
la tenerezza del mio cagnolino e la consapevolezza della sua ineluttabile caducità, 
questo mio talento letterario negletto e sprecato, gettato ormai ad appassire come giardino incolto,
il finale della terza stagione di Person of Interest, quando Samaritan sembra aver ormai vinto, ma il monologo di Root ci ricorda che nonostante tutto il male che ci opprime, non dobbiamo mai smettere di sperare,
Exit music for a film dei Radiohead, dal minuto 2:50, ovvero lo smanioso desiderio di rivalsa che da sempre m’avvampa e mi corrode animo e viscere dopo ogni mortificante derisione, al pensiero che sì, un giorno tutti sapranno, e allora, beh, gliela farò vedere io… (me ne rendo conto, di solito è così che nascono i serial killer). Questa parte, ad ogni modo, mi emoziona a tal punto da avermi spinto a scrivere il finale della mia storia: “Un ventoso mattino di settembre, i servi del marchese  avrebbero forzato le porte dello studio, ove il misero scrittore soleva rinchiudersi di notte, e lo avrebbero trovato morto, riverso fra le sue carte in una pozza di vomito. Spalancate le finestre a lutto, i poveri disgraziati sarebbero stati travolti allora dall'empia ferocia di quegli astiosi fogli sdegnati dal tempo e, così finalmente libere, pagine e pagine d'inchiostro si sarebbero riversate in strada, pronte a prender d'assalto case e negozi, scuole e caserme, mulinando burrascose sulla città, fra le strida dei borghesi impazziti e le urla dei bambini accalcati contro i vetri, fino a seppellire il mondo, terra e cielo, sotto cumuli di scritti dissotterati dal fuoco e dagli abissi”,
la morte di Due Calzini in Balla coi lupi (e il tema ad esso collegato), quando il lupo segue fedelmente Dunbar ormai prigioniero e i soldati gli sparano addosso per dimostrare la loro tonitruante possenza di coraggiosissimi esseri umani supercazzuti, finché non l’ammazzano senza pietà. 
la lettera di Valerie da V per Vendetta, (credo non occorrano spiegazioni né commenti qui),
la mia sciagurata impotenza dinanzi al dolore degli amici,
la morte del commissario Ginz ne Il dottor Živago: “Soldati armati di fucili lo seguivano. ‘Cosa vorranno?’ pensò Ginz e accelerò il passo. Lo stesso fecero i suoi inseguitori. [...] Dalla stazione gli facevano segno di entrare, lo avrebbero messo in salvo. Ma di nuovo il senso dell’onore, educato attraverso generazioni, [...] gli sbarrò la via della salvezza. Con uno sforzo sovrumano cercò di calmare il tremito del cuore in tumulto. Pensò: ‘Bisognerebbe gridargli: - Fratelli, tornate in voi, come volete che sia una spia! - Qualcosa di sincero, capace di svelenirli, di fermarli.’ [...] Davanti all’ingresso della stazione si trovava un’alta botte chiusa da un coperchio. Ginz vi balzò sopra e rivolse ai soldati alcune parole sconvolgenti, fuori dell’umano. Il folle ardire del suo appello, a due passi dalle porte della stazione, dove avrebbe potuto rifugiarsi, sbigottì gli inseguitori. I soldati abbassarono i fucili. Ma Ginz si spostò sull’orlo del coperchio della botte e lo ribaltò. Una gamba gli scivolò nell’acqua, l’altra rimase penzoloni fuori della botte. [...] I soldati accolsero la sua goffa caduta con uno scroscio di risate: il primo lo colpì al collo, uccidendolo. Gli altri gli si gettarono sopra per trafiggere il morto a baionettate”. Non riesco a dire come questa fine mi commuova, ma credo abbia a che fare con goffaggine, spietatezza e umiliazione, cose che mi colpiscono tutte enormemente,
l’episodio de La casa nella prateria, in cui il signor Ingalls realizza una scarpa speciale per la piccola Olga che zoppica a causa di un’asimmetria nelle gambe. Il padre però non vuole che giochi con le altre bambine perché teme possano deriderla o che, ancor peggio, possa farsi male. Aggredisce così il signor Ingalls per essersi intromesso, ma all’improvviso vedendo la figlia giocare felice in cortile, muta espressione commuovendosi profondamente, ed io con lui. È la gioia d’un padre che comprende che sua figlia è finalmente felice. 
la vittoria dell’Italia alle olimpiadi di Torino 2006 nel pattinaggio di velocità, inseguimento a squadre maschile. Avevo 17 anni, avevo finito da poco i compiti e non so perché, restai paralizzato di fronte alla tv ad ammirare l’impresa di Enrico Fabris e compagni, esplodendo poi in un inspiegabile pianto liberatorio che ancora oggi sa per me d’imponderabile (disciplina mai più seguita, che quel giorno però mi regalò un’emozione eguagliata solo dall’oro di Jacobs nel ‘21 - senza lacrime),
la canzone Ave Maria, donna dell’attesa: dal matrimonio di mia sorella ad oggi son passati sette mesi, eppure questa canzone mi fa ancora lo stesso perturbante effetto, scuotendomi ogni santa volta.
Isengard Unleashed dalla colonna sonora del Signore degli Anelli, in particolare, il momento coincidente con la marcia degli Ent (vedi sogni di furiosa rivalsa), dal minuto 2:18,
la comprensione altrui,
ogniqualvolta ho dovuto accompagnare qualcuno all’Eterna Porta e dirgli addio in Spiritfarer,
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trovare ricci spiaccicati sulla strada,
gli immarcescibili sensi di colpa per la morte del gattino Figaro, quando avevo cinque anni,
le storie di grandi insegnanti, capaci di lasciare tracce di sé nei loro alunni.
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septeline · 3 months
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Ci avete tolto la magia di una foto, la poesia di una lettera, la calligrafia, l'odore di un libro, il ritaglio di un giornale, il "ci vediamo alle otto in piazza", il negozietto di alimentari sotto casa, le infinite chiacchierate in una cabina, i baci su una panchina, la paura che rispondesse il padre al telefono fisso, il diario segreto, il pallone nel cortile, l'attesa del rewind, la dedica alla radio, l'impaccio nel ballare un lento, i giochi di società, la comunicazione.
Quando la tecnologia avrà seppellito anche l'ultimo sussulto relazionale, avrete completato l'opera inarrestabile di desertificazione emotiva, perché allora, e solo allora, ci avrete reso animali urbani, sempre più vicini, eppur così lontani.
-Michelangelo da Pisa
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Ci avete tolto la magia di una foto, la poesia di una lettera, la calligrafia, l'odore di un libro, il ritaglio di un giornale, il "ci vediamo alle otto in piazza", il negozietto di alimentari sotto casa, le infinite chiacchierate in una cabina, i baci su una panchina, la paura che rispondesse il padre al telefono fisso, il diario segreto, il pallone nel cortile, l'attesa del rewind, la dedica alla radio, l'impaccio nel ballare un lento, i giochi di società, la comunicazione.
Quando la tecnologia avrà seppellito anche l'ultimo sussulto relazionale, avrete completato l'opera inarrestabile di desertificazione emotiva, perché allora, e solo allora, ci avrete reso animali urbani, sempre più vicini, eppur così lontani.
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Michelangelo Da Pisa
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Ci avete tolto la magia di una foto, la poesia di una lettera, la calligrafia, l'odore di un libro, il ritaglio di un giornale, il "ci vediamo alle otto in piazza", il negozietto di alimentari sotto casa, le infinite chiacchierate in una cabina, i baci su una panchina, la paura che rispondesse il padre al telefono fisso, il diario segreto, il pallone nel cortile, l'attesa del rewind, la dedica alla radio, l'impaccio nel ballare un lento, i giochi di società, la comunicazione.
Quando la tecnologia avrà seppellito anche l'ultimo sussulto relazionale, avrete completato l'opera inarrestabile di desertificazione emotiva, perché allora, e solo allora, ci avrete reso animali urbani, sempre più vicini, eppur così lontani.
-Michelangelo da Pisa
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subsonica · 11 days
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L'impossibilità di un rapporto tranquillo aveva anche un'ulteriore conseguenza, in realtà molto naturale: ho disimparato a parlare.
Probabilmente non sarei comunque diventato loquace, ma avrei comunque padroneggiato il normale linguaggio fluente degli esseri umani.
Ma tu mi hai proibito molto presto di parlare.
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Vittorio è un ragazzo Napoletano che confessa in una lettera la propria omosessualità al papà. La risposta è spettacolare! Leggete! ❤️
"Caro papà perdonami, sono gay.
Non so bene quando è cominciato, forse alle elementari. Forse alle superiori, quando solo guardando gli occhi di un compagno di classe mi batteva il cuore.
Mi dispiace perché la storia con Gianna non andava bene, le volevo bene, questo è certo, siamo stati insieme 3 anni, ma c'era sempre qualcosa che tra di noi non andava.
Mi dispiace perché spesso commentavi le Veline di Striscia la Notizia e io non ti andavo dietro con le battute, MA NON LO SAPEVO ANCORA.
Per fortuna siamo Napoletani, e ho vissuto questo periodo di accettazione con una popolazione speciale. Per fortuna siamo Napoletani, e abbiamo nel DNA l'amore per il prossimo, quello che ho trovato nelle persone che come me cercavano di capire.
Sono ormai 5 anni che vivo da solo, perché mi sentivo DIVERSO.
A soli 19 anni ho voluto scappare da quel nucleo familiare PERFETTO, e forse è stato quello a spingermi ad andare via... forse ero io a RENDERLO IMPERFETTO, non volevo rovinare il tuo immenso lavoro di padre e capofamiglia.
Ora mi ritrovo in una casa da SOLO a 24 anni, CON LA CONSAPEVOLEZZA di essere gay .
Per fortuna siamo Napoletani, dove non mi sono mai sentito solo e mai sentito DISPREZZATO da nessuno. Non so come sarebbe andata a finire in una altra citta'.
CARO papà mi manchi tanto, POSSO TORNARE A CASA ? questa volta da Gay...
Vittorio"
"Caro Vittorio.
Mi dispiace ma allora si STUNZ... ( in modo affettivo )
Io e tua mamma avevamo già intuito i tuoi gusti sessuali da bambino, quando non ti interessava giocare con i compagni ai famosi soldatini, ma collezionavi migliaia di riviste per adolescenti.
Perdonami, forse avrei dovuto dirtelo prima, in modo che evitavi questo inutile IMBARAZZO, ma ho sempre ritenuto che siano stati "CAZZI tuoi" (scusa la battuta, pero' è simpatica ja' , ejaa').
Visto che siamo Napoletani, e per fortuna che siamo Napoletani, la nostra storia ci ha sempre insegnato che solo aprendo la mente e non creando muri c'è la possibilità di SALVARSI, di SOPRAVVIVERE.
Mi sei sempre mancato dal primo giorno, sei mio figlio e CASTANO, BIONDO O GAY per me non fa differenza.
È solo un gusto, a me ad esempio piacciono le cozze, a te forse piaceranno i CANNOLICCHI (scusa ja' è n'altra battuta, uammamia non si puo' pazziare qua, e che è?)
Grazie a DIO siamo Napoletani.
Da genitore devo farti un rimprovero.
Non azzardarti mai, e poi mai di ritenermi cosi stupido...
La tua stanza è pronta, vieni quando vuoi, non vedo l'ora... Ricordati i genitori la porta di casa non la chiudono mai, la lasciano sempre un pochino aperta per fare in modo che il figlio possa “INFIZZARSI” da un momento all'altro.
TI AMO
Papa'"
P.S
Nella mia famiglia non esiste, e non dovrà esistere mai nessun tipo di RAZZISMO mai tranne per gli JUVENTINI... a casa mia JUVENTINI non ne voglio... CHIARO?
Puoi anche fidanzarti con un CAMMELLO e portarmelo a casa, basta che non sia Juventino.
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colonna-durruti · 1 year
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Maledetti, maledetti sfruttatori classisti.
DA LEGGERE: Lettera su Il Fatto Quotidiano
“Sono una 24enne studentessa universitaria, lavoratrice occasionale. E sono figlia di un padre di 59 anni, invalido, che ha ricevuto l’sms della sospensione del Rdc. Scrivere questa email è umiliante, ma vorrei chiarire le idee a chi forse non le ha chiare su chi siano le famiglie che in questi 4 anni sono riuscite ad andare avanti grazie a questo sussidio.
Vengo da una famiglia molto povera e sin dalle elementari ho avvertito il senso di inferiorità rispetto alle mie compagne. Non ho mai potuto fare sport, ricevuto regali come libri, mangiare fuori con la mia famiglia. Alle medie non avevo un euro per il panino, se non per qualche giorno quando mio padre riceveva il suo misero stipendio, ancora ringrazio la mia compagna Lucia che mi dava un pezzo del suo senza farmelo mai pesare. Non ho mai potuto fare gite di classe, legare davvero con le mie compagne: sapevano che stavo un gradino più in basso, non avevo argomenti, spesso piangevo perché mi sentivo abbandonata a me stessa e molte volte mi chiedevo se avrei mai potuto sentirmi “normale” come loro. Quando i soldi c’erano, erano per la casa, le bollette, per riempire frigo e freezer. Quando le cose andavano male, si rompeva un elettrodomestico, era anche peggio, bisognava decidere se mangiare o non lavarsi per una settimana. Più di tutto mi è pesato dover sempre scegliere la cosa che meno poteva impattare su tutti. A volte mi sembra di non aver vissuto, di non aver ricordi della mia infanzia/adolescenza, se non quelli passati a piangere chiedendomi che cosa avessi fatto di male per essere capitata in una famiglia così povera.
La povertà in Italia è una colpa, è un continuo fare la guerra alle persone che per definizione sono solo scansafatiche. Perché se sei povero, puoi solo essere questo. Non puoi studiare, oppure puoi studiare, senza libri, senza risorse, senza Internet, senza dispositivi, puoi adattarti agli orari delle biblioteche, appoggiarti sulle borse di studio regionali, quelle per cui devi avere il 90% di crediti dell’anno in corso. Ma avete una vaga idea di quanto possa essere difficile rimanere in corso senza una famiglia che ti sostenga alle spalle? L’università premia i bravi studenti, ma non i poveri studenti. E cosa c’entra con il Rdc?
Mi ha permesso di non scegliere, di avere i libri di cui avevo bisogno nell’immediato, di pagare le tasse (nonostante rientrassi in fascia 1), di vivere senza preoccuparmi mentre studiavo, di sentirmi normale, di non sentirmi in colpa per soldi in penne, quaderni, pranzi al sacco all’università. Mi ha consentito di vedere la mia famiglia felice per una spesa che ti assicura dei pasti decenti per 2-3 settimane. Mi ha privato della vergogna di dover chiedere aiuti alla chiesa o ai vicini. Di andare dal dentista quando stavo male, di comprare le lenti a contatto e non usare le mensili per 6 mesi. Mi ha permesso di vivere dignitosamente. Mi preoccupa tornare a come eravamo anni fa, quando i litigi in casa erano all’ordine del giorno, in un clima in cui è difficile studiare.
Ripongo nella mia carriera le speranze che un giorno la mia famiglia non vivrà tutto questo, che potrò raccontare ai miei figli ridendo di essere stata aggredita dalla mia professoressa per non avere 10 euro per il diario scolastico. La carriera da medico non mi farà dimenticare che cosa significa essere povera e vivere nella sfortuna, sarò presente nella vita di chi ha bisogno come me, ricordandomi di chi ha aiutato la mia famiglia quando più ne aveva bisogno. Nanni Moretti diceva: “Io non parlo di cose che non conosco”, perciò voi italiani, che puntate il dito, che avete visto la povertà solo nei film, che leggete della delinquenza sui giornali e la attribuite a noi, mettetevi una mano sulla coscienza e chiedetevi se siete consapevoli abbastanza per poterne parlare.”
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l-incantatrice · 6 months
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Ci avete tolto la magia di una foto,
la poesia di una lettera, la calligrafia,
l'odore di un libro, il ritaglio di un
giornale, il "ci vediamo alle otto
in piazza", il negozietto di alimentari
sotto casa, le infinite chiacchierate
in una cabina, i baci su una panchina,
la paura che rispondesse il padre
al telefono fisso, il diario segreto,
il pallone nel cortile, l'attesa del rewind,
la dedica alla radio, l'impaccio nel
ballare un lento, i giochi di società,
la comunicazione.
Quando la tecnologia avrà seppellito
anche l'ultimo sussulto relazionale,
avrete completato l'opera inarrestabile
di desertificazione emotiva,
perché allora, e solo allora,
ci avrete reso animali urbani,
sempre più vicini, eppur così lontani.
~ Michelangelo Da Pisa ~
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pettirosso1959 · 6 months
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Dalla bacheca dell'amico Alberto Mascioni di FB:
"Buona Pasqua al nostro Presidente.
Grazie “Bresidende”!
Egregio Signor Presidente Mattarella,
apprendo dalla stampa che Ella abbia risposto, con una telefonata, alla lettera del padre della pluripregiudicata Ilaria Salis, attualmente detenuta in Ungheria in attesa di giudizio per reati che vanno dal tentato omicidio premeditato, all’associazione a delinquere di stampo terrorista ed eversivo, alle lesioni personali.
Ci viene riferito che durante tale conversazione Ella abbia sottolineato al padre della militante di estrema sinistra :«la differenza tra il sistema italiano, ispirato ai valori europei, e quello in cui si trova Ilaria Salis, sottolineando come questa disparità colpisca l’opinione pubblica italiana».
Lei, Eccellenza ha ragione: c’è differenza tra il nostro sistema giudiziario e penale con quello ungherese. E io da umile e semplice cittadino della Repubblica da Lei capeggiata, ne sono molto colpito.
Infatti la secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) dal 1959, fino al 2021:
✔️l’Italia è il terzo paese ad aver ricevuto più condanne (2.466), dopo Turchia e Russia. L’Ungheria ne ha ricevute 614.
✔️L’Italia è stata condannata 9 volte per tortura (l’Ungheria mai).
✔️L’Italia è stata condannata 297 volte per violazione del diritto al giusto processo mente l’Ungheria solo 33
✔️L’Italia è stata condannata 1.203 volte per la durata eccessiva dei processi (344 l’Ungheria).
Inoltre Egregio Signor Presidente, con l’occasione mi permetto altresì di ricordarLe che che:
✔️in italia, un detenuto su tre si trova in carcere in custodia cautelare da oltre 6 mesi.
✔️Che in Italia dal 1991 al 2022 i casi di errori giudiziari hanno coinvolto l'incredibile numero di 30mila persone. Divisi per anno fanno circa 961 cittadini sbattuti in carcere, in custodia cautelare, o addirittura condannati essendo però poi innocenti.
✔️Che nelle carceri italiane topi e scarafaggi e cimici in cella sono la norma , come è la norma uno spazio vitale inferiore agli standard comunitari e un sovraffollamento del 119 per cento rispetto alla capienza prevista.
✔️Che le carceri italiane, sono un ambiente con 85 suicidi in cella l’anno ( dati 2022, ultimi disponibili) e il 40 per cento dei penitenziari è stato costruito prima del 1900 o al massimo prima del 1950, senza acqua calda nel 45,4 per cento dei casi e senza doccia nel 56,7 per cento, con nessuna dieta personalizzata (in caso di intolleranza alimentare) e cure mediche scarse oltre alle solite, eterne e disgraziate prepotenze della Polizia penitenziaria.
Quindi Egregio signor Presidente , La pregherei umilmente, dopo naturalmente la “priorità” della vicenda Salis, di occuparsi anche del Paese che Ella ci onora di rappresentare, perché non credo che siamo nella condizione di impartire “lezioni di valori europei” a chicchessia.
Con rispetto e deferenza, colgo l’occasione per formularLe i miei più sinceri auguri per una felice Santa Pasqua".
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francescosatanassi · 3 months
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NADIA E SERGIO
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Aprile ‘44. Giuseppina Venturini ha 17 anni e gira con una Beretta mod. 35, procura armi per i compagni, vestiti, cibo, medicinali. Quando 5.000 nazifascisti salgono da Biserno per attaccarli, lei è in mezzo alla battaglia e salva la vita al partigiano Benvenuto Coatti, tamponandogli una ferita con la camicia. È in montagna da alcune settimane, dopo aver lavorato in tipografia, a Santa Sofia, e aver aiutato i soldati sbandati a rifugiarsi sui monti dietro casa. A Santa Sofia la chiamano Geppi, ma nei boschi il suo nome di battaglia è Nadia. Milita nel 3° distaccamento dell’8° Brigata Garibaldi, quello composto da russi e slavi. Li guida Sergej Sorokin, nome di battaglia Sergio, ufficiale dell’Armata Rossa evaso da un campo di prigionia e diventato partigiano. Nadia e Sergio combattono assieme, condividono amore e pallottole fino alla Liberazione. Nel ’45 si trasferiscono all’ambasciata sovietica di Roma e lì si sposano. Hanno un figlio, Lionik. Nadia vive con la comunità russa, ma è tempo di guerra fredda, Stalin manda Sergej in Siberia per diversi anni, Nadia vuole seguirlo, ma da occidentale sa che il suo sarebbe un viaggio di sola andata. Gli anni passano, i due si scrivono ma la censura blocca inesorabilmente ogni lettera. Per 10 anni non hanno notizie uno dell’altra. Si rivedono negli anni ’60, quando la delegazione russa torna in Italia per un anniversario della Resistenza. Ma il tempo è inesorabile, entrambi si sono risposati, hanno altre famiglie e altri figli. Solo un breve contatto, qualche ricordo, e l’incontro tra Lionik e il padre, il comandante Sergio che guidava i partigiani russi in Romagna, e ora indossa il distintivo delle Brigate d'Assalto sul petto. Nadia torna ed essere la Geppi di Santa Sofia, dove si spegne nel luglio 2006, tra una sigaretta e l’altra, sempre lottando per le donne e per la libertà degli oppressi. Sergio scrive un libro di memorie, ma l’ANPI decide di non pubblicarlo perché “poco rilevante”.  La sua storia abbraccia quella resistenza romagnola di cui oggi si parla ancora poco, dal comandante Libero alla prima Repubblica Partigiana d’Italia, quella del Corniolo (ma questa è un’altra storia).
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