#apparirebbe
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italytimesnow · 11 years ago
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Truffe religiose: Mario D'Ignazio - Brindisi
Video del truffatore brindisino Mario D'Ignazio. Ogni 5 del mese accoglie gente incapace di intendere e di volere nel suo giardino dove, a detta del noto truffatore, apparirebbe la Madonna…
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solosepensi · 11 months ago
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La vita è infinitamente più bizzarra di qualsiasi fantasia l’uomo possa concepire. Se potessimo scoperchiare gentilmente i tetti e osservare le stranezze che accadono, le coincidenze bizzarre, i piani che vengono elaborati, il meraviglioso concatenarsi degli eventi nell’arco delle generazioni e i risultati quanto mai outrè che ne derivano, qualsiasi romanzo con i suoi convenzionalismi e le sue conclusioni scontate ci apparirebbe vieto e trito.
Arthur Conan Doyle
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chi-va-piano-arriva-dopo · 1 year ago
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Un giardino verde in inverno
“Il mio mondo è il mio mondo non posso aprirlo davanti a voi
E se anche descrivessi le statue dei dodici mesi celate nel fìtto verde
ognuno di voi vedrebbe un verde diverso una statua diversa e non questo verde
E se descrivessi la mia tristezza apparirebbe ridicola e infantile
perché la mia tristezza è piena d’incanto
come un giardino verde in inverno”.
Jarosław Iwaszkiewicz
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elperegrinodedios · 10 months ago
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Liberi e vagabondi pensieri notturni
Senza la notte, non potremmo leggere le stelle, il cielo apparirebbe solo come un unico bagliore.
La libertà è più bella vista da dietro le sbarre di una cella e navigar più dolce dopo il temporale.
La gioia si misura equamente, soltanto quando si perde e le benedizioni son più chiare quando sono lontane ma se ne conosce la provenienza..
Tutti i frutti più rigogliosi crescono ai piedi della croce e di notte si sente più chiara la voce degli angeli che cantano inni e melodie a noi mortali.
lan ✍️
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multiverseofseries · 4 months ago
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House Of The Dragon S2 Episodio 8 (The Queen Who Ever Was): Fuoco e Sangue is Coming
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Siamo arrivati alla resa dei conti nel finale della seconda stagione di House of the Dragon (2x08)… o forse no? Un epilogo aperto per una stagione avvincente e che ci prepara per quel che verrà.
I draghi di Valyria solcano il cielo dei Sette Regni tutte le pedine si muovono sulla scacchiera ed il tempo del fuoco e sangue si avvicina. Almeno è questo che ci viene mostrato nell'ottavo ed ultimo episodio della seconda stagione di House of the Dragon. Episodio che ci costringe a salutare i Targaryen e la storia della loro dinastia fino al 2026, per un terzo ciclo già ordinato da HBO dopo il successo della serie prequel. Una seconda stagione forse altalenante, che non ha raccolto i consensi praticamente unanimi del ciclo inaugurale, probabilmente per alcune scelte narrative volte ad allungare ed espandere il racconto rispetto a quel compendio storico che è il romanzo originario di George R.R. Martin.
Un finale di stagione atipico
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Rhaenyra passa finalmente all'azione
È un epilogo che apparirebbe pieno di tensione, perché è tempo per tutti i personaggi di arrivare alla resa dei conti. I due schieramenti dei Neri e Dei Verdi, che avevano aperto la Danza dei Draghi ad inizio stagione, fanno sfilare i propri eserciti. Rhaenyra (Emma D'Arcy) ha avuto successo coi Dragonseeds, ovvero coloro che pur se bastardi e di basso lignaggio, contengono sangue Targaryen nelle proprie vene, essendo quindi capaci di cavalcare i draghi. Nonostante questo, c'è grande scontento a corte da parte di Jacaerys (Harry Collett) e tracotanza da parte dei nuovi arrivati, in particolare Ulf (Tom Bennett), tecnicamente suo prozio (ma sappiamo quanto non sia un narratore affidabile). Dall'altra parte Aemond (Ewan Mitchell) sta perdendo lucidità e va su tutte le furie, al punto da gettare a ferro e fuoco un'intera cittadina e i suoi abitanti.
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Aemond perde il controllo
Segno che il suo machiavellico controllo sta vacillando, al punto da voler coinvolgere l'unico altro possibile cavaliere in famiglia: la sorella Helaena (Phia Saban), che gli rinfaccia di sapere che cosa ha fatto ad Aegon (Tom Glynn-Carney) sul campo di battaglia e di aver visto il futuro nelle sue visioni: non è destinato a regnare sul Trono di Spade, qualunque cosa faccia, e non sarà certo lei ad aiutarlo nell'impresa. Si impone tra loro anche la madre Alicent( Olivia Cooke), cercando di proteggere la figlia e tentando il tutto per tutto. Aegon del resto sembra confermare la regola della resilienza degli storpi nel mondo di Martin: dopo Bran Stark ne Il Trono di Spade e in questo frangente Piededuro, col quale guarda caso decide di fare squadra, anche il Re Usurpatore potrebbe sopravvivere nonostante le ferite.
Visione dal futuro
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Proprio le predizioni accompagnano il finale di stagione di House of the Dragon 2. L'altro squarcio di futuro più importante avvolge Daemon (Matt Smith), insieme ad Alys Rivers (Gayle Rankin) sull'albero cuore di Harrenhal, patria degli Strong. Questa visione rappresenta le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, e in parte rappresenta ciò che Viserys disse a Rhaenyra che poi l'ha tramandato a propria volta al suo primogenito. Si osserva il futuro dei Sette Regni, al grido di "L'inverno sta arrivando" pronunciato in valyriano antico, con Daenerys circondata dalle fiamme e dai suoi piccoli draghi e il Re della Notte pronto ad invadere oltre la Barriera insieme ai suoi Estranei: il Principe Consorte finalmente comprende il proprio posto nel grande disegno delle cose e giura fedeltà davanti a tutti alla moglie e legittima erede al Trono.
Un confronto necessario e aspettato da quando lui si era nascosto tra le mura di quel castello infestato e lei rimaneva bloccata a Roccia del Drago per volere del proprio Concilio. Ora l'esercito è con loro, così come i draghi e i loro cavalieri e la flotta di Corlys Velaryon (Steve Touissant) capitanata dalla Serpente di Mare, rinominata Regina Che Non Fu Mai in onore di Rhaenys. Anche quest'ultimo ha un duro confronto rimandato da troppo tempo: proprio adesso che ha perso praticamente tutta la sua famiglia, si riavvicina a Alyn di Hull (Abubakar Salim), fratello maggiore di Addam (Clinton Liberty), tra i nuovi cavalieri di draghi scovati dalla Regina: abbiamo la conferma, entrambi sono figli illegittimi e potrebbero avere un ruolo anche nella successione del Trono di Legno.
il (secondo) confronto tra Rhaenyra e Alicent
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Dato che si tratta di una puntata dedicata alle discussioni troppo a lungo rimandate, quella più importante e decisiva (e che farà gioire i fan) è quello tra Rhaenyra e Alicent: questa volta è la seconda a voler parlare con la prima, intrufolandosi di nascosto a Roccia del Drago. Le due amiche/nemiche che un tempo provavano/provano ammettono tutte le invidie e le gelosie che hanno avuto negli anni: Alicent (Olivia Cooke) è pronta ad aprire le porte di King’s Landing, alla regina dei neri, senza spargimenti di sangue, addirittura compiendo una scelta dolorosa sacrificare Aegon, pur di mettere fine a questa guerra civile insensata.
Ed è proprio qui che l'ending non delude: durante questo faccia a faccia si nota quanto le due ancora tengano l’una all’altra anche se il tempo, le dispute e gli uomini delle loro vite hanno cercato di danneggiare il sentimento che le unisce. Alicent è pronta a lasciarsi tutto alle spalle e quel “Come with Me” è stato in aspettato sia per chi vi scrive sia per entrambe le protagoniste. Alicent incredula di averlo detto ad alta voce e Rhaenyra che finalmente sembra riconoscere la sua vecchia amica,( io ho un idea ben precisa sul loro rapporto, del resto ognuno è libero di vederci ciò che vuole, ma il sottotesto è là e sta ognuno interpretarlo). Sta di fatto che questa stagione conferma come Rhaenyra e Alicent siano il centro di HOTD. E questa seconda stagione parla proprio di questo. Di loro alle prese con la possibilità di portare la pace prima di un inevitabile guerra, mentre affrontano la propria autorità messa in discussione in un mondo dominato dagli uomini. Piaccia o no, questa stagione è stata coerente per tutta la sua durata, ecco perchè è finita dove è finita.
Manca il colpo di scena che ha sempre caratterizzato la scrittura di Martin e di Game of Thrones: è assente quell'evento culminante che faccia esplodere il climax narrativo, che invece rimane sospeso ma del resto questo non è Game of Thrones ma il suo prequel e non c'è bisogno che sia uguale in tutto e per tutto. L’episodio si conclude con un montaggio che vede susseguirsi i vari protagonisti, con una musica enfatizzata in sottofondo, le pedine sono pronte e la guerra è oramai alle porte. L’unica nota veramente dolente della conclusione di questa stagione è che dovremmo aspettare due anni per il prosieguo della storia.
Conclusioni
In conclusione il finale della seconda stagione di House of the Dragon è fatto da reunion a lungo rimandate e che apre al futuro per ciò che accadrà. Un futuro che intravediamo attraverso la preveggenza di alcuni personaggi, che omaggiano la serie originale, ma sopratutto il destino che attende i personaggi di questo prequel non c’è che attendere la prossima stagione e di sicuro sarà Fuoco e Sangue.
👍🏻
I confronti tra Rhaenyra e Daemon e Alicent, tra Aemond e Helaena, tra Corlys e Alyn.
l’intera sequenza tra la Rhaenyra di Emma D’arcy e l’Alicent di Olivia Cooke è davvero struggente.
Il ripescare la legittimità della dinastia di sangue Targaryen.
Le visioni e le citazioni a Game of Thrones.
👎🏻
Dovremo aspettare due anni per la continuazione.
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mindfulness75 · 14 days ago
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COME RAGGIUNGERE LA PACE INTERIORE ?
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Vi siete mai chiesti perché è così difficile sentirsi in pace? 
Sembra un paradosso ma la pace interiore, che tanto desideriamo, è già dentro di noi e non ha nulla a che fare con ciò che ci circonda. Eppure, spesso siamo convinti che la nostra serenità dipenda da fattori esterni, da altre persone o dalle circostanze. Ma è davvero così?
Se imparassimo a vivere il presente, ad ascoltare il nostro respiro e a osservare i nostri pensieri senza giudizio tutto apparirebbe più semplice. Ma in che modo tutto questo può aiutarci a trovare la pace interiore? La chiave è nel comprendere che tutto ciò di cui abbiamo bisogno per sentirci sereni e completi è già in noi. Nessuna persona o evento esterno può davvero privarci di questa pace, a meno che non siamo noi a permetterglielo.
Immagina di avere un diverbio con un collega o con un familiare. In quel momento, potresti sentire rabbia, frustrazione, forse anche rancore. È facile attribuire queste emozioni all'altro, dicendo: "Mi hai fatto arrabbiare". Ma, guardando in profondità, è davvero così? Queste emozioni sono nostre e, molto spesso, nascono da aspetti di noi stessi che ci rifiutiamo di affrontare.
Perché continuiamo a dare il potere della nostra serenità agli altri? 
Pensaci: quando nutriamo rancore, è come se portassimo con noi un carico pesante, un peso che lentamente logora la nostra pace. Attribuire la causa delle nostre emozioni negative a qualcun altro è una scusa inconscia, un modo per evitare di guardare dentro di noi e affrontare quelle parti che ci spaventano o che rifiutiamo.
Non è facile ammettere che la rabbia o il rancore che proviamo sono riflessi di aspetti irrisolti in noi. Ammetterlo è un atto di coraggio necessario per risolvere i nostri conflitti interni. Riconoscere che ogni emozione è una nostra responsabilità non significa ignorare i conflitti o le difficoltà con gli altri, ma accettare che la risposta emotiva a questi eventi è sempre nostra.
Chi ha davvero il potere sulla tua felicità? 
NESSUNO, in realtà, può renderci infelici se non glielo permettiamo. Se lasciamo che qualcuno o qualcosa influisca sul nostro stato d’animo, stiamo concedendo a quella persona o situazione un potere su di noi che non dovrebbe avere. Accusare qualcuno della nostra infelicità è un modo per delegare a qualcun altro la responsabilità della nostra serenità.
Quando accusiamo qualcuno di renderci infelici, stiamo evitando di prenderci la responsabilità della nostra risposta emotiva. Certo, alcune persone o situazioni possono risultare difficili da gestire, ma il modo in cui reagiamo è sempre una nostra scelta. Siamo noi che decidiamo se permettere a qualcun altro di influenzare il nostro stato interiore.
Cosa ti impedisce davvero di essere felice? 
La pace interiore, così come la felicità, è una scelta che facciamo ogni giorno. Non è uno stato esterno che qualcuno può darci o toglierci; è un equilibrio che troviamo in noi stessi. Essere felici significa accettare che, anche nei momenti di difficoltà o nelle situazioni di conflitto, possiamo scegliere di mantenere una prospettiva interiore serena.
Un esercizio pratico: ogni volta che senti un’emozione negativa verso qualcuno o qualcosa, fermati. Osserva quell’emozione senza giudicarla. Chiediti: “Questa rabbia è davvero dovuta a ciò che è accaduto, o ci sono aspetti di me che questa situazione ha messo in luce?” Guardiamo alle emozioni negative come opportunità per comprendere parti di noi che richiedono attenzione e cura.
La vera serenità non è l’assenza di difficoltà, ma la capacità di rimanere stabili e in equilibrio, indipendentemente da ciò che accade intorno a noi.
Ricorda che nessuno ha il potere di toglierti la tua serenità, a meno che tu non glielo permetta. Trova la tua pace interiore, sii responsabile delle tue emozioni, e scoprirai che la felicità è una tua scelta.
Sei pronto a intraprendere un viaggio verso la tua pace interiore e una vita più serena? 
La felicità e la quiete che cerchi sono come un lago nascosto nel profondo, calmo e immutabile. Ogni passo verso la conoscenza di te stesso è come schiarire le acque, permettendo alla tua vera luce di risplendere. Scopri come, rallentando e ascoltando, puoi trasformare il tuo rapporto con te stesso e con il mondo. 
la chiave è già nelle tue mani.
Tito Bisson
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lunamagicablu · 1 year ago
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Se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe all'uomo come in effetti è, infinito. William Blake *********************** If the doors of perception were cleansed everything would appear to man as it is, infinite. William Blake
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la-scigghiu · 1 year ago
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“Il mio mondo è il mio mondo non posso aprirlo davanti a voi E se anche descrivessi le statue dei dodici mesi celate nel fìtto verde ognuno di voi vedrebbe un verde diverso una statua diversa e non questo verde E se descrivessi la mia tristezza apparirebbe ridicola e infantile perché la mia tristezza è piena d’incanto come un giardino verde in inverno”.
.🦋.
🔸Jarosław Iwaszkiewicz
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marquise-justine-de-sade · 4 months ago
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Si chiama "jamais vu" (in francese "mai visto"), ed è il contrario del "deja vù" ( che invece vuol dire "già visto" ): il nostro cervello improvvisamente non riconosce e di conseguenza percepisce come estraneo qualcosa o qualcuno di ben noto.
Tuttavia il jamais vu non ha correlazioni con altre patologie più note legate alla memoria, come l'alzheimer o la demenza senile. Esso è differente, poiché il deficit agisce sul meccanismo della routine.
Una strada percorsa decine di volte, eppure si sbaglia direzione; una canzone suonata sempre, di cui improvvisamente non si ricordano le note. Il jamais vu è proprio questo, il cervello e la memoria, dopo una eccessiva esposizione e rappresentazione di situazioni, luoghi e volti, si "oppongono" all'abitudinario, ed è come se interrompessero un automatismo.
In questo senso il famoso gatto nero di matrix potrebbe passarci davanti svariate volte con le medesime modalità, stessa eleganza, stesso movimento felino, stesso luogo, stesso miagolio, ma in tal caso ci apparirebbe del tutto inedito.🐈‍⬛
Giuseppe Casà
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ma-pi-ma · 1 year ago
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Il mio mondo è il mio mondo non posso aprirlo davanti a voi E se anche descrivessi le statue dei dodici mesi celate nel fitto verde ognuno di voi vedrebbe un verde diverso una statua diversa e non questo verde E se descrivessi la mia tristezza apparirebbe ridicola e infantile perché la mia tristezza è piena d’incanto come un giardino verde in inverno.
Jarosław Iwaszkiewicz, da Xenia ed Elegie , 1970
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poesiablog60 · 1 year ago
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Il mio mondo è il mio mondo
non posso aprirlo davanti a voi
E se anche descrivessi
le statue dei dodici mesi
celate nel fìtto verde
ognuno di voi vedrebbe
un verde diverso
una statua diversa
e non questo verde
E se descrivessi la mia tristezza
apparirebbe ridicola
e infantile
perché la mia tristezza
è piena d’incanto
come un giardino verde
in inverno
Jarosław Iwaszkiewicz
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anocturnalanimal · 1 year ago
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Hai pronunciato le tue parole come se tu non riconoscessi l'esistenza delle ombre, e neppure del male. Non vorresti avere la bontà di riflettere sulla questione: che cosa farebbe il tuo bene, se non esistesse il male? E come apparirebbe la terra, se ne sparissero le ombre? Le ombre provengono dagli uomini e dalle cose. Ma ci sono le ombre degli alberi e degli esseri viventi. Vuoi forse scorticare tutto il globo terrestre, portandogli via tutti gli alberi e tutto quanto c'è di vivo per il tuo capriccio di goderti la luce nuda?
Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita
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cinefiloatratti · 2 years ago
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«Che cosa sarebbe il tuo bene se non ci fosse il male, e come apparirebbe la terra se non ci fossero le ombre? Le ombre nascono dagli oggetti e dalle persone. Ecco l’ombra della mia spada. Ma ci sono le ombre degli alberi e degli esseri viventi. Non vorrai per caso sbucciare tutto il globo terrestre buttando via tutti gli alberi e tutto ciò che è vivo per godere nella tua fantasia della nuda luce?»
Il Maestro e Margherita, Michail Bulgakov
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crazy-so-na-sega · 8 months ago
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se conosceste i granchi che ha preso Aristotele in fatto di logica, non potreste nutrire fiducia incondizionata per chicchessia, non avreste nessun Guru, nessun Eroe da seguire...persino Barbero vi apparirebbe fallibile, a volte contestabile, umano.....ma non studiate...:-)
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fotopadova · 9 months ago
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Fotografia italiana di 5 decenni fa, élite negletta: Geri Della Rocca de Candal
di Carlo Maccà
Dedico l’articolo a Gustavo Millozzi, grande amico e maestro da più di mezzo secolo. Lasciandomi come sempre piena libertà, ne ha seguito tutta la gestazione ed è scomparso proprio al momento della conclusione.
Ai tempi antichi, nel millennio passato, la fotografia era analogica. Ogni immagine fotografica era il risultato di un processo che oggi apparirebbe lentissimo. Il sensore era costituito da uno strato di gelatina contenente sali d’argento depositato su una pellicola. La luce liberata dallo scatto dell’otturatore produceva all’interno del materiale sensibile un embrione, che attraverso fasi fisico-chimiche successive (sviluppo e stampa) si concretizzava materialmente in una immagine partorita sulla superficie di un supporto solido, generalmente cartaceo. Solamente allora l’immagine entrava effettivamente nella vita reale, poteva ricevere un nome, vivere in una cornice appesa a una parete o dormire all’interno di un album, essere mostrata a parenti e amici, alla comunità fotografica, e, attraverso i media, alla società e al mondo intero. La speranza di vita dell’oggetto poteva facilmente superare quella dei suoi contemporanei umani, compreso il presente autore. [1]
Alla selezione della immagini che meritavano di essere conosciute e divulgate nell’internazionale fotografica provvedevano soprattutto alcuni Annuari di editori specializzati, per lo più Americani o Britannici. Anno per anno, professionisti e amatori evoluti, giovani o maturi, nuovi o affermati, inviavano agli editori stampe, sciolte o in portfolio, sperando che almeno una di queste selezionata e il proprio nome comparisse nell’indice degli autori accettati seguito dal numero della pagina in cui avrebbero ritrovato l’immagine o dal numero d’ordine di questa. Se di quei numeri ne compariva più di uno, l’autore poteva considerarsi - o vedersi confermato – “Autore” coll’A maiuscola.
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Figura 1. Geri Della Rocca deCandal -Sulla spiaggia. Ferrania XXI/7, luglio 1967, p.3.
Per Fotopadova immagini relative all'articolo
Per questa via, dalla metà degli anni ’60 cominciarono a farsi conoscere e apprezzare nel mondo fotografico internazionale alcuni dei nostri futuri Maestri, che già contribuivano ad animare e a svecchiare la fotografia italiana. Conservo con devozione alcuni di quegli annuari e ogni tanto li ripercorro con piacere (e qualche nostalgis). Per esempio, nel britannico Photography Year Book [2] del 1967 si rivedono Gianni Berengo Gardin con 4 fotografie (2 in doppia pagina), e Mario Giacomelli con 2 (fra cui l’iconico ritratto della madre colla vanga); con 2 immagini anche Cesco Ciapanna (futuro fondatore del mensile Fotografare, innovativo per l’ambiente fotografico italiano), e con una ciascuno Cesare Colombo e Michelangelo Giuliani. Via via negli anni si ritrovano anche altri autori italiani tuttora amati e apprezzati, assieme ad altri che hanno lasciato qualche memoria alla fotografia italiana. 
Fra fotografi italiani che nei pochi Photograpy Year Book dei primi anni ’70 a disposizione già a quel tempo avevano destato la mia attenzione per la qualità delle immagini e per i commenti che le presentano, soltanto uno, che portava un nome facilmente ricordabile : Geri Della Rocca deCandal, non sembra aver trovato ricordi permanenti nella nostra comunità fotografica. Nella pubblicista fotografica italiana di quegli anni parsimoniosamente tramandata fino ai nostri giorni sembra essersene occupata soltanto la rivista Ferrania [3], che nel numero di luglio 1967 presenta un ispirato articolo di Giuseppe Turroni [4] dal titolo La consolazione dell’occhio. L’autore, autorevole critico cinematografico e fotografico, scrittore e pubblicista notissimo in quegli anni, promuove alcuni giovani autori part-time che nella loro opera si distinguano per "chiarezza, onestà, purezza, spontaneità, e/o linearità di espressione". Doti che in uno di loro riconosce accompagnate da una spiccata sensibilità formale, che diremmo “classica”. Ecco come lo introduce.
 “Un giovane di Milano, studente in Fisica, Geri Della Rocca deCandal, ricerca un dilettantismo quasi prezioso, che può sembrare fuori moda e che anche per la scelta del soggetto non indulge alle convenzioni dei tempi. Ma in quanti siamo a stabilire l’esatta portata di un lavoro al di là degli aspetti formali o linguistici che ci suggestionano? Anche Geri Della Rocca de Candal ha spirito libero e introspettivo. Le sue foto ”artistiche” hanno un’impronta ovviamente diversa da quella che distingueva la produzione amatoriale italiana di lontana memoria. Sono centrate nel gusto formale del momento e nello stesso tempo riescono a tradurre un simbolo di realtà, per i nostri occhi abbacinati da tanta, da troppa cronaca che finisce per non dirci più niente, anzi per guastarci il sapore della realtà.” [4] Turroni accompagna questo testo con ben 5 immagini, certificando che il giovane, in Fisica ancora studente, in Fotografia ha già raggiunto un livello magistrale. 
Da qualche anno la Fondazione 3M offre, oltre alla collezione completa digitalizzata della rivista sopra citata, anche i files delle fotografie originali depositate presso il ricco Archivio Ferrania. Due immagini, una presumibilmente degli anni ’60, l’altra del 1974, presenti nel fondo Lanfranco Colombo sono evidenti tracce di una mostra del giovane Geri a Il Diaframma, la prima galleria in Europa dedicata esclusivamente all’arte fotografica [5], e fanno pensare a una attività espositiva importante. Soltanto le fonti finora  citate  possono suggerire all'ambiente italiano l’esistenza di un Autore da non trascurare.
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Figura 2. Lower Manhattan Skyline - New York City, 1968. APERTURE, SPRING 1972.
Infatti rimane insoddisfatto chi, come noi, cerca di approfondire quelle notizie per la via più agevole, la Rete, che al giorno d’oggi segnala qualsiasi evento grande o piccolo e ne preserva la memoria, e perciò è indotto a supporre che l’attività fotografica del Nostro si sia conclusa in patria prima dell’avvento di Internet. Che però non si trattasse di cosa trascurabile, e che si espandesse anche all’estero, lo si può dedurre da altre tracce che attraverso Internet si reperiscono in archivi digitali della stampa specializzata straniera: per esempio, negli elenchi nominativi dei fotografi con opere presenti in raccolte fotografiche museali, in mostre antologiche dedicate all’eccellenza dell’arte fotografica mondiale o, infine, negli archivi di riviste fotografiche straniere fra le più autorevoli. Tracce lasciate in tutto il mondo, dalla Norvegia all’Australia e dagli anni ’70 fino a tempi recenti. In qualche caso contengono anche riproduzioni di opere. La figura 2, per esempio, è tratta da un articolo dedicato al nostro Autore dalla rivista Aperture [6] nel 1972.
Dalle opere così identificate si poteva già dedurre che Della Rocca de Candal conducesse nel bianco e nero ricerche sulle forme nello spazio parallele a quelle che Franco Fontana e Luigi Ghirri portavano avanti nel colore. Ma nell’accostarsi ai due coloristi a lui contemporanei, Geri manifestvaa ancor più evidente l’eredità dall’arte italiana dei periodi più classici: dalle scansioni spaziali dei pittori del 400 come Piero Della Francesca e Paolo Uccello, alla profondità della prospettiva aerea di Leonardo, ed infine al perfetto equilibrio in cui sono quasi sospese le architetture più compiute di Andrea Palladio. Spazialità tutta di tradizione italiana, da secoli ammirata (e superficialmente imitata) nei paesi anglosassoni.
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Figura 3. The Brooklin Bridge, NYC. 1968. Amon Carter Museum, Fort Worth, Texas.
Il nostro interesse per Geri Della Rocca de Candal si è meglio focalizzato quando, reperito qualche altro numero di quegli anni del Photography Year Book sopra citato, abbiamo trovato ripetutamente il suo nome, a conferma d’una produzione significativa, che si è imposta all’estero più durevolmente che da noi, e che ci è apparsa meritevole di meglio rivisitata.
 
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Figura 4. Fellers, Swiss Alps. Photography Year Book 1972, Fig. 141.
Nello Year Book del 1972, nel quale si affermano ancora Berengo Gardin con due immagini da un servizio sulle celebrazioni della Pasqua a Siviglia, e Giorgio Lotti con quattro storiche fotografie per la rivista EPOCA [7] sugli effetti dell’inquinamento delle acque e dell’aria in alta Italia, Geri figura autorevolmente in doppia pagina coll’immagine di un villaggio delle Alpi Svizzere (Figura 4). Nel 1974, 3 pagine del Photography Year Book presentano un saggio d’un suo progetto pluriennale (BN e colore) dedicato alla tradizionale sfilata delle signore newyorkesi, con vistosi copricapi e accompagnate dai loro pets, nel giorno di Pasquetta lungo la 5th Avenue appositamente chiusa al traffico (Easter Parade, gia all’attenzione con diverso approccio del franco-ungherese Brassaï nel 1957 [8]).
Tuttavia mancava ancora la possibilità di inquadrare compiutamente la figura di Geri Della Rocca de Candal e la sua attività fotografica. Questa opportunità si è avverata soltanto molto recentemente per una fortunosa coincidenza. Compare inaspettatamente in rete un omonimo, fresco di dottorato in discipline umanistiche presso l’Università di Oxford e collaboratore di un gruppo oxoniano di ricerca sul primo secolo di storia del libro a stampa. Il giovane studioso si rivela essere il figlio del nostro obiettivo, e ci dà la possibilità di contattare il padre. Questi accetta di metter mano per noi al proprio archivio fotografico, da decenni lasciato a dormire, e di rivisitarlo con affettuoso distacco.
L’autore stesso ci fornisce un buon numero di files ottenuti da stampe analogiche eseguite personalmente per mostre e pubblicazioni. Molti sono di immagini per noi nuove, altri sostituiscono vantaggiosamente parte di quelli ricavati dalle fonti a noi già note. Tutti insieme saranno di valido aiuto ad interpretare correttamente secondo la dell’Autore pe le immagini ricavate da atre fonti. 
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Figura 5. Easter Sunday Fashion Parade, NY. Photography Year Book 1974 fig.133 . 
Infine i suoi cenni autobiografici, seppure scarni, ci salveranno da induzioni ed esercizi di fantasia di precedenti commentatori [9] e ... nostri. E così possiamo raccontare che il giovane amatore (n. 1944), dopo un primo periodo di partecipazioni e successi in concorsi e mostre collettive, del quale rimase rara testimonianza l’articolo di Turroni sopra riportato, venne effettivamente "scoperto" da Lanfranco Colombo, che nel 1970 gli consentì la sua prima mostra personale presso la Galleria Il Diaframma [5]. Ben presto Geri interruppe gli studi universitari di Fisica per dedicarsi completamente alla professione di fotografo free-lance per la stampa internazionale. Fotografie realizzate nel corso dei suoi viaggi venivano pubblicate su quotidiani, settimanali riviste e libri negli Stati Uniti e in molti paesi europei (in Italia, per esempio, su Il Mondo). Contemporaneamente condusse un’intensa attività espositiva quasi esclusivamente all’estero, con mostre personali e partecipazioni a collettive in Europa e fino ai quattro angoli del mondo, dagli U.S.A. all’Australia e dal Brasile alla Cina. Considerato uno dei più rappresentativi fra i giovani fotografi Italiani del momento, sue opere vennero acquistate da musei stranieri. Ma all'inizio degli anni '80 Geri dovette occuparsi personalmente delle attività legate agli interessi di famiglia, tanto da abbandonare, prima gradualmente e poi del tutto, la fotografia. Le sue ultime apparizioni dirette non vanno oltre il 1984, ma sue opere continuano a comparire in ulteriori mostre dedicate alla più rappresentativa fotografia Italiana dei decenni in cui egli ha operato.
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Figura 6. Venezia, 1977 (bacino di S. Marco visto da S. Giorgio Maggiore)
Una fotografia dello scaffale in cui sono allineati gli annuari, i cataloghi e altri fascicoli occasionali in cui sono riprodotte le sue opere ci ha permesso di arricchire la documentazione figurativa, completando la serie di Photography Year Book degli anni fra il 1972 e il 1980, in ognuno dei quali compare almeno una sua opera. La loro successione ci ha aiutato a formulare una traccia sulla quale restituire l’evoluzione dell’Autore.
Sua caratteristica costante è la sapienza della composizione, distribuita nello spazio con equilibrio di stampo classico, anche quando la prospettiva geometrica è forzata coll’impiego di un grandangolo spinto (fino al 20 mm), e quando si combina con quella forma particolare di prospettiva aerea ottenuta coll’aiuto di foschie e nebbie (figura 6), che già si notava nelle foto dei primi anni (figure 1 e 2). A mano a mano si accentua la ricerca d’una geometria severa, rafforzata da forti contrasti con bianchi puri e neri intensi o addirittura chiusi. Tuttavia il facile rischio dell’aridità viene evitato dalla presenza della persona umana o da dettagli che la richiamano, spesso con una ironia garbata e benevola (figure 7 e 8).
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Figura 8. His, Hers (per Lui, per Lei). Photography Year Book 1980 fig.58.
Il bordino nero con cui l’autore costantemente racchiude l’immagine stampata (e nelle stampe da esposizione isola l’immagine entro un largo campo bianco) appare dettato, piuttosto che da una pretesa di eleganza, dall’intenzionale affermazione della compiutezza della composizione.
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Figura 8. Silhouettes. PHOTOGRAPHIE (Winthertur, CH) Juli 1977.
Nelle diapositive a colori l’impatto grafico è mediato da una forte saturazione del colore (Figura 9), che possiamo ritenere frutto d’una leggera sottoesposizione del Kodachrome in fase di ripresa.
 
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Figura 9. Storage closets. PHOTOGRAPHIE (CH) Juli 1978.
Varie mostre di successo e i frequenti portfolio ospitati da riviste fotografiche a grande diffusione portano la prova della sua popolarità. “Le sue frequenti permanenze negli Stati Uniti hanno dato alle immagini un’impronta, che per la fotografia europea risulta innovativa” (PHOTOGRAPHIE, Winthertur, Svizzera. Luglio 1978, editoriale). Reciprocamente, per i Nord-americani l’occhio con cui il loro paese è stato fotografato dall'ospite italiano era uno specchio insolito, rivelatore di aspetti da loro mai notati (o mai voluti prendere in considerazione, sebbene meno imbarazzanti di quelli bruscamente esibiti da altri stranieri come Robert Frank, Svizzero, o William Klein, Newyorkese ma culturalmente parigino e autodefinitosi straniero in patria).
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Figure 10 e 11. Dalla serie Bars (Sbarre) PHOTOGRAPHIE (Winthertur, CH) Juli 1978.
NOTE
 [1] Superfluo il confronto colla invadente, fugace, evanescente fotografia della nostra epoca digitale; ovvio e banale ogni commento. Sì, anche cumuli ben distribuiti di elettroni possono essere finalizzati a partorire immagini analogiche; ma ciò nella realtà avviene solo per frazioni fantastilionesimali di quelli partoriti dalle apposite strutture tecniologiche. Nonostante tutte le riviste di moda o di viaggi e gli album di matrimonio.
[2] In Italia fino agli anni ’60 quel poco che esisteva di editoria e pubblicistica fotografica  era orientato quasi esclusivamente alla divulgazione e all’aggiornamento in materie tecniche, e gli orizzonti artistici erano assolutamente provinciali. Chi voleva rimanere informato sulla fotografia nel resto del mondo poteva reperire soltanto in rare librerie più accorte (a Padova, la Libreria Internazionale Draghi) qualche periodico internazionale, come il mensile statunitense Popular Photography e il suo Annuario, o il britannico Photography Year Book. Coll’arrivo di Gustavo Millozzi, qui immigrato da Venezia e La Gondola, i frequentatori del Fotoclub Padova potevano prenotare il mensile svizzero Camera, principale punto di riferimento internazionale per la fotografia.
[3] La rivista Ferrania [ https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrania_(periodico) ], fondata nel 1947 e cessata nel 1967, era sponsorizzata dalla storica industria italiana omonima, che fu per vari decenni la produttrice di apparecchiature e materiali fotografici e cinematografici dominante sul nostro mercato. Memorabile la sua pellicola P30, matrice del bianco e nero del Neorealismo cinematografico italiano. La storia dell’azienda, conclusa definitivamente e infelicemente in questo millennio, si può trovare riassunta in https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrania_Technologies . I PDF di tutti i numeri della rivista sono liberamente consultabili in Rete sul sito https://www.fondazione3m.it/page_rivistaferrania.php . 
[4] Giuseppe Turroni, La consolazione dell’occhio,Ferrania XXI/7, luglio 1967 pagina 2.
[5] La Galleria Il Diaframma di Milano, fondata e diretta da Lanfranco Colombo, la prima in Europa dedicata esclusivamente all’arte fotografica, presentava molti maestri stranieri e giovani innovatori nostrani, esercitando così un’azione fondamentale per lo svecchiamento della fotografia italiana.
[6] APERTURE magazine è un periodico con cadenza trimestrale nato a New York nel 1952 per opera d’un gruppo di fotografi (Ansel Adams, Minor White, Dorothea Lange e altri) al fine di promuovere la fotografia d’arte. Si è presto affermato come il più importante interprete della cultura fotografica mondiale assieme al più antico Camera. Nelle sue pagine hanno trovato slancio o conferma molti dei più apprezzati fotografi delle successive generazioni, come Diane Arbus, Robert Frank e tanti altri. La rivista è ancora attiva, disponibile anche in formato digitale assieme all’archivio di tutti i numeri dalla nascita; soluzione particolarmente conveniente in Italia dove recentemente sono state “perdute” per le strade postali la metà delle copie cartacee d’un costoso abbonamento biennale.
[7] Il settimanale Epoca della Arnoldo Mondadori Editore, nato nel 1950 sul modello dell’americano LIFE, faceva ampio uso di servizi fotografici, molti dei quali sono rimasti nella storia.
[8] Brassaï, 100 photos pour la liberté de presse. Reporters Sans Frontieres, 2022.
[9] Vatti a fidare delle informazioni reperibili in rete. Esempio:Amazon presenta così Incontri con fotografi illustri, Ferdinando Scianna, 2023: “Scianna ha realizzato migliaia di ritratti: i contadini duri e dignitosi di Bagheria, le donne estasiate durante le processioni siciliane, l’amico e coinquilino (sic) Leonardo Sciascia”. In evidenza la massima, ma non unica, baggianata contenuta in quella frase, nel suo insieme atta a disorientare l’ignaro compratore sul reale contenuto del libro.
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alonewolfr · 11 months ago
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Se le porte della percezione fossero sgombrate, ogni cosa apparirebbe com'è, infinita.
|| William Blake
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